PARAFRASI

tutte quelle che servono sono qui!!!

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Lussy60
     
    .
    Avatar

    Millennium Member

    Group
    Administrator
    Posts
    112,793
    Location
    Milano

    Status
    Offline

    Parafrasi "La cavalla Storna", di Giovanni Pascoli


    Nella torre il silenzio era già alto.
    i pioppi del rio salto sussurravana
    i cavalli francesi al loro posto mangiavano la biada con rumore di croste(fragorosamente)
    là in fondo c'era la cavalla selvaggia,nata tra i pini sulla spiaggia salata
    che nelle narici aveva ancora gli spruzzi del mare e nelle orecchie glistrilli forti.
    di fianco alla groppa aveva mia madre che la guidava:oh cavallina cavallina grigia che hai riportato colui che non ritorna tu capivi i suoi cenni e le sue parole. egli ha lasciato un giovane figlio,il primo ad aver studiato tra i miei figli e le mie figlie, e la sua mano non ha mai toccato le briglie.
    tu che hai fianchi ricevi il comando
    dai retta alla sua piccola mano.
    tu hai nel cuore la terra del mare
    tu dai retta alla sua voce giovane''.
    la cavalla girava la testa scarna vero mia madre che diceva più triste ''oh cavallina cavallina grigia che hai riportato colui che nn ritorna,lo so lo so che tu lo amavi tanto.con lui c'eravate tu e la sua morte
    oh tu nata nei boschi tra le onde ed il vento
    tu hai tenuto nel cuore il tuo spavento avendo il morso nella bocca.nel cuore veloce tu hai rallentato la corsa,hai seguitato a camminare adagio affinchè agonizzassse in pace''.
    la sua scarna lunga testa era vicina al volto in lacrime di mia madre.
    ''oh cavallina cavallina grigia che hai riportato colui che non ritorna
    oh,deve aver pur detto qualcosa!
    e tu le hai capite ma non le sai ripetere.
    tu con le briglie sciolte tra le zampe
    con dentro gli occhi le fiamme del fuoco
    con nelle orecchio l'eco degli spari
    hai continuato a camminare tra gli alti pioppi:
    lo hai riportato a casa al tramonto
    perchè riuscissimo ad udire le sue parole.''
    stava attenta con la sua lunga testa fiera.
    mia madre l'abbracciò sulla criniera.''oh cavallina cavallina storna che hai riporato a casa colui che non ritorna,hai riportato a me colui che non ritornerà mai più
    tu sei stata buona ma nn sai parlare.
    tu nn lo sai fare poverina e gòli altri nn osano farlo.
    oh ma tu devi dirmi una cosa
    tu l'hai veduto l'uomo che lo ha ucciso.la sua immagine ce l'hai ancora fissa negli occhi.
    chi è stato?chi è'ti voglio dire un nome.e tu fammmi cenno.dio ti insegni come fare''
    ora i cavalli non masticavano la biada
    dormivano sognando la strada bianca
    non battevano la paglia con le zampe senza zoccoli
    dormivano sognando il rullo delle ruote dei carri.
    mia madre alzò nel gran silenzio un dito
    mia madre disse un nome e risuonò un nitrito....



    Parafrasi "A Firenze", di Ugo foscolo

    Anche tu sarai ricordata eternamente attraverso la mia poesia,
    tu che con il tuo fiume Arno,
    dividi in due parti la città che finora più di altre
    pareva conservare una traccia dell' antica perduta
    grandezza romana.
    ( Qui il Foscolo allude al ruolo fondamentale svolto da Firenze nel Rinascimento, vera rinascita della civiltà classica ).

    Già dal tuo ponte ( il ponte di S. Trinità, dove abitava l' Alfieri )
    gli scontri feroci tra guelfi, nemici del papa, e ghibellini,
    amici del papa, versavano gran sangue; oggi, invece, è mostrata (nella tua città) la dimora di Alfieri.
    ( l' Alfieri, il poeta che proprio negli ultimi anni, nel suo soggiorno
    fiorentino, aveva accennato il suo atteggiamento solitario e sdegnoso
    [lo stesso con cui il Foscolo lo ritrarrà nei Sepolcri].

    Per me, cara, felice, nobile riva,
    mossa da piedi leggiadri di una donna,
    simile ad una dea nell' incedere,
    che mi guardava con i suoi occhi beati,
    mentre il mio cuore sentiva un profumo divino diffondersi
    dalle sue chiome nell' aria che pareva mossa dal suo fascino.

    [ L' Ambrosia era il profumo in cui si avvolgevano gli dei ].


    Parafrasi "A mia moglie", di Umberto Saba


    §[versi 1-24]
    ›Tu sei come una giovane bianca pollastra, ti si arruffano i capelli come le piume di una gallina che nel bere china il collo e nel mangiare raspa la terra.
    Tuttavia nell’andare hai un lento passo di regina che cammina sull’erba robusta e superficiale. Ciò è migliore che nel maschio, così come tutte le cose migliori di esso, più intime, più dolci che si avvicinano al divino. Tutto questo è a mio giudizio, poiché nessuna come te si avvicina alle cose serene della natura, nessuna come te è degna di ritrovarsi nella bianca pollastra e nella gravida giovenca. Quando la sera reca il sonno nei pollai, le gallinelle mettono voci che ricordano le tue dolcissime querele quando ti lamenti un poco dei tuoi mali; nessuno ci aveva sinora fatto udire con tali orecchi la voce serale dei pollai.

    §[versi 25-37]
    ›Tu sei come una gravida giovenca, materna ma ancora festosa e giovanile, senza la gravità che è consueta a quegli animali. Così come una giovenca se la lisci, volge il collo così come una rosa tinge tenera la sua carne; invece se la incontri e la odi mentre muggisce, quel suono ti è tanto lamentoso che le strappi l’erba di bocca per farle un dono. Di tal modo ti offro il mio dono quando sei triste.

    §[versi 38-52]
    ›Tu sei come una cagna dal collo lungo, che ha sempre tanta dolcezza negl’occhi ma ferocia nel cuore. Proprio per questo sembra una santa ai piedi del padrone, una santa nel quale arde un fervore indomabile simile a quello che Dio ha in serbo per te. In casa o per via ti segue e mostra i candidissimi denti a chiunque osi avvicinarti. E’ il suo amore che soffre di gelosia.
    §[versi 53-68]
    ›Tu sei come la timida e paurosa coniglia, che ,quando non le viene recato ciò che gli attende, si rannicchia nella sua angusta gabbia cercando angoli bui. Chi potrebbe mai far soffrire una coniglia, così pavida e mansueta? Chi potrebbe far soffrire te così simile a lei?

    §[versi 69-76]
    ›Tu sei come la rondine che ritorna in primavera ma che riparte in autunno. Tu non hai nient’altro che la stessa arte. Questo hai in comune alla rondine, le movenze leggere; e questo che ancora che a me, che mi sentivo vecchio nell’animo, annunciasti col tuo arrivo una nuova primavera.

    §[versi 77-87]
    ›Tu sei come la formica laboriosa. Di lei parla la nonna al bimbo che l’accompagna, quando escono a fare una passeggiata in campagna. Ora dunque ritrovo tutto ciò che è del tuo amore nell’ape e in tutti le femmine degli animali sereni che si avvicinano al divino e in nessun altra donna.



    Parafrasi "A Se Stesso", di Giacomo Leopardi

    Ora, o mio cuore stanco, riposerai x sempre, nn avrai piu` motivo di palpitare ancora x qlcs ke ti puo` solo fare soffrire. E` morta anke l'ultima illusione quella ke io avevo creduto ke nn dovesse morire mai. Mori`, me ne rendo conto kiaramente, in te e in me, o mio cuore, si e` spenta nn sl la speranza ma anke il desiderio dei dolci inganni d'amore. smetti x sempre di sbattere, di soffrire. hai palpitato, hai sofferto abbastanza x amore. niente merita i tuoi palpiti e il mondo nn e` degno dei sospiri della tua sofferenza. la vita e` soltanto dolore e noia e niente altro, e il mondo e` qlcs di spregevole, privo di qualsiasi valore. calmati, dispera x l'ultima volta. il destino ha fatto al genere umano un solo dono: quello di morire. ormai, o mio cuore, disprezza te stesso, cioe` la tua inutile sensibilita`, la natura cosi` ostile e crudele e la cinica forza ke segretamente domina su tutto nn x il bene ma x il male dell'umanita`, il brutto potere ke kausa un danno comune, e l'assoluta inutilta` del tutto.


    Parafrasi "A Silvia", di Giacomo Leopardi


    Silvia, ricordi ancora quando eri in vita

    Quando la tua bellezza splendeva, nei tuoi occhi ridenti e schivi,

    e tu lieta e pensierosa ti apprestavi al passaggio dall’adolescenza alla maturità.



    Suonavano le stanze tranquille e le strade al tuo continuo canto,

    quando tu eri intenta ai lavori femminili, sedevi contenta per il tuo avvenire ancora da definire.

    Era Maggio e tu eri abituata a lavorare.



    Talvolta lasciavo gli studi piacevoli e quelli faticosi su cui trascorrevo la mia adolescenza e veniva spesa la migliore parte di me.

    Dalle stanze e dai balconi della casa paterna io ascoltavo la tua voce. E ti immaginavo lavorare con fatica alla tela.

    Guardavo il cielo sereno, le vie illuminate, e la campagna intorno,

    Da questa parte il mare e dall’altra parte le colline.

    Non ci sono parole giuste per esprimere i sentimenti che provavo nel mio cuore.



    Che bei pensieri,

    che speranze, che cuori, o Silvia mia!

    Come ci sembrava allora la vita umana e il destino!

    Quando mi ricordo di tanta speranza

    Un sentimento molto forte mi opprime e torno a dolermi della mia sfortuna.

    O natura, o natura, perché non mantieni le tue promesse? Perché ci inganni?



    Prima che giungesse l’inverno, venivi uccisa da un dolore forte e morivi o tenerella, e non vedevi la tua adolescenza.

    Non ti struggeva il cuore, le lodi dei ragazzi per i tuoi capelli neri ora dei tuoi sguardi innamorati e schivi.

    E con te le tue amiche non parleranno d’amore durante i giorni di festa.



    Anche la mia speranza morì poco tempo dopo: anche a me il destino ha negato la giovinezza. Ahi come sei passata cara compagna della mia infanzia, mia compianta speranza!

    Questo è quel mondo? Sono questi i divertimenti, l’amore, le opere, gli eventi di cui abbiamo tanto discusso insieme?

    E’ questa la sorte degli esseri umani? All’apparire della verità tu moristi: e con la mano indicavi da lontano la fredda morte ed una tomba spoglia.


    Parafrasi "A Zacinto", di Ugo Foscolo


    A Zacinto: Io non verrò mai più sulle tue rive sacre dove io vissi da bambino, o Zacinto che ti specchi nel mar Greco da cui è nata secondo la mitologia la dea Venere, e rese quelle isole feconde con il suo primo sorriso.
    Motivo per cui cantò il verso inclito di Omero che cantò le acque fatali e giunse poi a baciarle la sua Itaca piena di pietre.
    Tu, mia Zacinto non avrai altro che il mio canto, a me il destino ha voluto una sepoltura illacrimata.

    Infinito: Questa collina solitaria mi e' sempre stata cara, e cosi' pure questa siepe, che esclude lo sguardo da tanta parte dell'orizzonte piu' lontano. Ma, stando seduto e guardando, io immagino al di la' di questa siepe spazi immensi, silenzi totali e una calma profondissima, tanto che per poco il cuore non si sgomenta. E, non appena odo il vento frusciare fra queste piante come un uccello che batte la ali, paragono quel silenzio infinito a questo frusciare del vento: e mi torna alla mente l'idea dell'eternita'. Mi appaiono le epoche passate e quella presente, che percepisco attraverso le sue manifestazioni reali: il suono della vita. E cosi', tra questa immensita' spazio-temporale, il mio pensiero perde ogni consapevolezza: e perdersi nel pensiero dell'immensita' dell'infinito mi e' dolce.



    Parafrasi "Alla Luna", di Giacomo Leopardi


    O graziosa luna, mi ricorso che un anno fa io venivo a guardarti pieno d´angoscia sopra questo colle e ti affacciavi come fai adesso illuminando tutto. Ma il tuo volto mi appariva offuscato e tremante ai miei occhi in lacrime a causa della mia vita piena di dolore come lo è ora e non cambia mai! Eppure mi fa bene ricordare e raccontare il mio dolore. Oh come è gradito durante la gioventù, quando davanti c´é ancora tanta speranza e poca memoria del passato da ricordare anche se era triste e pieno di sofferenze che durano ancora adesso



    Parafrasi " Alla Musa", di Ugo Foscolo

    Eppure tu, o Musa, un tempo versavi sulle mie labbra una feconda abbondanza di poesia, quando la prima stagione della mia giovinezza fuggiva e dietro di lei veniva questa età presente, che scende con me per una via dolorosa verso la muta riva del fiume Lete: ora ti invoco senza essere ascoltato;ohimè, solo una scintilla dell’antica ispirazione poetica è ancora viva in me.
    E tu, o Dea, fuggisti con lo scorrere del tempo, e mi lasci ai pensosi ricordi e ad un timore cieco del futuro.
    Perciò mi accorgo, e amore me lo ripete, che rare poesie, frutto di faticosa elaborazione, non riescono a sfogare il dolore che ormai inevitabilmente mi accompagna.


    Parafrasi "Alla primavera o delle favole antiche", di Giacomo Leopardi

    Secondo un antico mito Filomela, dopo aver subito violenza e avere assistito a grandi atrocità, fu trasformata in usignolo. E cosí il “musico augel” che inizia il canto al tramonto ha goduto fama di essere esperto delle vicende umane: le sue note non sarebbero altro che un lamento per la sventura subita e per la triste condizione degli uomini.
    La consapevolezza scientifica (e filosofica) ha smascherato la fallacia del mito, ha distrutto l’illusione, ha restituito alla indifferenza della Natura il canto dell’usignolo che non è mosso da alcun dolore e che nulla ha a che vedere con il genere umano. Una indifferenza della Natura sempre piú evidente dopo la caduta delle illusioni del mito (“... poscia che vote / son le stanze d’Olimpo ...”): per tutti, giusti e ingiusti, l’unico destino destino è la fredda dissoluzione nella morte. Nell’ultima pagina dell’autografo Leopardi annota: “[...] oggi stante la mancanza delle illusioni, la terra stessa e l’albergo stesso dei vivi, è divenuto sede di morte, e tutto morto”.
    A questo punto – di fronte all’evidenza del Nulla – Leopardi vuole recuperare l’illusione degli antichi, la “favella antica”, che non è l’ingenuità del mito, ma, come le “Favole antiche” del titolo, la capacità comunicativa della fabula (dal latino for, faris, “io parlo” e, quindi, “io comunico”, “io esprimo”). La fabula mette l’uomo in comunicazione con la Natura; e proprio alla Natura si rivolge Leopardi negli ultimi versi per ristabilire il contatto e il dialogo che la razionalità scientifica sembrava avere interrotto per sempre: eppure tu vivi, o Natura, e non può non esserci sulla terra, o in cielo o nelle acque degli oceani qualcosa che, vivendo, rompa la tua indifferenza e ci degni almeno di uno sguardo.
    In questi versi, accanto ai temi consueti nel pensiero di Leopardi (la consapevolezza del Nulla, la capacità salvifica dell’illusione) ci sembra compaia quello, meno usuale, della innocenza della Natura. L’usignolo, spogliato della carica emotiva attribuitagli dal mito, diventa meno caro agli uomini, ma “di colpa ignudo”, come la Natura a cui esso è stato restituito, nascosto in fondo a una valle buia. L’innocenza della Natura carica di enormi responsabilità l’uomo, ma gli lascia aperta la strada per comunicare con lei, per poterla chiamare “vaga”, bella. In fondo questa nostra facoltà di fabulare è un suo dono).


    Parafrasi "Alla Sera", di Ugo Foscolo


    Forse perche’ tu o sera sei l’ immagine della morte, così gradita quando vieni a me. Sempre scendi gradita sia quando ti accompagnano le nuvole estive e i venti sereni, sia quando tu o sera porti dal cielo nevoso tenebre lunghe e inquietanti e tu occupi le vie segrete del mio cuore con dolcezza. Tu o sera mi fai vagabondare sulle orme della morte e intento il tempo che sto vivendo fugge e con lui vanno le preoccupazioni, per colpa delle quali il tempo si consuma con me; e mentre io osservola tua pace, dorme lo spirito che dentro di me ruggisce



    Parafrasi"All'Italia", di Giacomo Leopardi




    Italia, io vedo i tuoi monumenti antichi, ma non la tua gloria. Non vedo la gloria poetica e militare dei nostri avi. Tu ora mostri, da inerme, fronte e petto senza ornamenti, se non le ferite livide e sanguinolente. Come ti vedo ora, o donna bellissima!
    Chiedo al cielo e al mondo chi ti ha ridotto così. La cosa peggiore è che è incatenata, in modo che sta seduta a terra, senza nessuno che le dia attenzione, i capelli arruffati, senza velo, e nasconde la faccia tra le gambe e piange.
    O Italia, piangi, perché ne hai ragione, tu che sei nata per dominare i popoli nella buona e cattiva fortuna. Se i tuoi occhi fossero sorgenti, non potresti mai piangere abbastanza per la tua rovina. Sei stata padrona, ora sei servetta. Chi parla o scrive di te deve per forza ammettere, ricordando il tuo passato, che sei stata grande e non lo sei più.
    Dov'è finita la tua forza antica? Il valore militare? Chi ti ha tolto la gloria militare? Chi ti ha tradito? Quale inganno o quale forza o potere ti hanno tolto la gloria? Come o quando sei riuscita a perderla?
    Nessuno combatte per te? Nessuno dei tuoi abitanti ti difende? Io combatterò e mi farò uccidere per te. Cielo, fa' che la mia morte infiammi i cuori degli Italiani. Dove sono i tuoi abitanti? Gli Italiani, a quel che sento, combattono all'estero. Aspetta, Italia.
    Io vedo avvicinarsi un esercito. Non ti rallegri a sentire questa notizia e non sopporti di piegare gli occhi a questo evento sul quale hai dubbi?
    Perché i giovani italiani combattono laggiù? O Dei, combattono per un'altra terra! Infelice è chi muore in guerra non combattendo per la patria, ma è ucciso per un altro paese e non può invocare la patria morendo: "ti rendo la vita che mi hai dato".
    Fortunati gli antichi, che potevano combattere per la patria e voi Termopili, dove pochi soldati fermarono con gloria i Persiani. Tutto quel paesaggio narra a chi passa di lì la morte di quegli uomini devoti alla libertà della Grecia. A quel tempo, vigliacco e crudele, Serse se ne tornò a casa attraverso l'Ellesponto, con vergogna, e sul colle d'Antela, dove i 300 Spartani morirono conquistando l'eternità della gloria, saliva Simonide, guardando il paesaggio; piangendo, ansimando, con piede malfermo, prendeva la lira e così poetava: Fortunatissimi voi che avete combattuto contro il nemico per amore dela patria, onorati dalla Grecia e ammirati da tutti per l'amore della patria il quale vi ha fatto morire. Quanto felice vi sembrò la morte, per la quale felici avete ceduto al vostro destino? Tutti voi sembravate andare non a morire, ma a ballare o a mangiare: però eravate destinati a morire e non aveste vicino mogli e figli quando moriste senza il loro conforto e pianto, ma con quello dei Persiani.
    Come un leone salta addosso ad una mandria di tori e ne uccide uno, ne addenta un altro; così voi Greci facevate con i Persiani. Vedi uomini e bestie cadute, i carri e le tende intralcio per chi vorrebbe fuggire. Tra i primi fugge Serse. Vedi come insanguinati dal sangue persiano i Greci, vinti dalle ferite, muoiono tutti. Felicissimi voi, su cui il mondo parlerà e scriverà. Le stelle cadranno in mare e si spegneranno nelle sue profondità prima che la vostra gloria non sia rinnovellata. Il vostro sepolcro è un altare. Qui verranno le madri per mostrare ai figli il segno del vostro passaggio sulla terra. Anch'io mi inchino alla terra e la bacio: questa terra sarà lodata per sempre. Fossi morto anche io come voi qui. Se non è destino che muoia in battaglia per difendere la Grecia, possa la mia fama di poeta durare tanto quanto la vostra in futuro, se lo permettono gli Dei.


    Parafrasi "Alta è la notte", di Vincenzo Monti



    Alta è la notte, ed in profonda calma

    dorme il mondo sepolto, e in un con esso

    par la procella del mio cor sopita.

    Io balzo fuori delle piume, e guardo;

    e traverso alle nubi, che del vento

    squarcia e sospinge l’iracondo soffio,

    veggo del ciel per gl’interrotti campi

    qua e là deserte scintillar le stelle.

    Oh vaghe stelle! e voi cadrete adunque,

    e verrà tempo che da voi l’Eterno

    ritiri il guardo, e tanti Soli estingua?

    E tu pur anche coll’infranto carro

    rovesciato cadrai, tardo Boote,

    tu degli artici lumi il più gentile?

    Deh, perché mai la fronte or mi discopri,

    e la beata notte mi rimembri,

    che al casto fianco dell’amica assiso

    a’ suoi begli occhi t’insegnai col dito!

    Al chiaror di tue rote ella ridenti

    volgea le luci; ed io per gioia intanto

    a’ suoi ginocchi mi tenea prostrato

    più vago oggetto a contemplar rivolto,

    che d’un tenero cor meglio i sospiri,

    meglio i trasporti meritar sapea.

    Oh rimembranze! oh dolci istanti! io dunque,

    dunque io per sempre v’ho perduti, e vivo?

    e questa è calma di pensier? son questi

    gli addormentati affetti? Ahi, mi deluse

    della notte il silenzio, e della muta

    mesta Natura il tenebroso aspetto!

    Già di nuovo a suonar l’aura comincia

    de’ miei sospiri, ed in più larga vena

    già mi ritorna su le ciglia il pianto.

    ----------------------------------------------------------------------------------------
    Alta = profonda, lat.
    piume = letto; metonimia poetica.
    che....l’iracondo soffio = che l'irato (iracondo) soffio del vento squarcia e sospinge innanzi.
    del ciel per gl’interrotti campi = interrotti dalle nuvole; metafora ricalcata dall'"agros coeli" latino; deserte = solitarie.
    Oh vaghe stelle = da qui Leopardi trasse la celebre apostrofe in apertura delle Ricordanze "Vaghe stelle dell'Orsa...".
    carro = quello formato dalle stelle dell'orsa maggiore di cui al verso seguente.
    tardo = lento; l'Orsa maggiore si trova vicino al Polo e quindi il suo spostamento appare più lento; Boote = nome greco della costellazione dell'Orsa maggiore.
    artici = settentrionali.
    rimembri = ricordi.
    t’insegnai = ti segnalai.
    rote = movimenti circolari.
    prostrato = chinato; stavo inginocchiato dinanzi a lei.
    Oh rimembranze! = l'apostrofe e l'incalzante serie degli interrogativi che seguono lasceranno una profonda impressione in Leopardi fino ad influenzarne la sintassi, ravvisabile soprattutto nell'ode "A Silvia".
    mi deluse = mi ingannò.
    in più larga vena = vena in questo caso designa il flusso dell'acqua e sta a significare: con più abbondanza.

    ---------------------------------------------------------------------------------------
    Tema: L'ode fa parte dei "Pensieri d'amore" scritti per Carlotta Stewart e pubblicati nel 1783, in seno alla raccolta poetica dei Versi. La corona poetica è suddivisa in dieci momenti, di cui quest'ode rappresenta l'VIII, e sviluppa in versi la materia del Werther (tranne i pensieri V e IX). I dieci componimenti vengono scritti negli anni in cui il poeta frequenta il salotto fiorentino di Fortunata Sulgher, dove conosce Carlotta, una giovane fanciulla della quale s’innamora perdutamente e si ispirano ad alcuni passi dei "Die Leiden des jungen Werthers" di Goethe.

    Il pensiero VIII in realtà non deriva direttamente dal Werther ma dai Canti di Ossian (Ossian è per Werther il più grande poeta di tutti i tempi), dove, in uno dei poemi più belli Il Cartone (vv.608-619), un'oscura minaccia turba il corso sempre uguale del sole. La riflessione sulla caduta degli astri e sulla fine del mondo è tipica della letteratura preromantica e i solitari pensieri notturni del Poeta vertono appunto su tale tematica, sulla possibile fine dell'intero universo con il conseguente cadere degli astri e del sole nel caos originario.

    Leopardi attingerà copiosamente a questa lirica, specie per quanto concerne le Ricordanze, il cui incipit è identico al verso montiano:" Vaghe stelle...". ed inoltre la seconda parte dell’idillio leopardiano A Silvia ha il medesimo andamento finale del pensiero del Monti.


    Parafrasi: Apparizione, Niccolò Tommaseo



    Poco era a mezzanotte. Il sol novello

    ratto gigante dal mar si levò:

    non ebbe aurora; e, orribilmente bello,

    l'aria e la terra di fiamma innondò:

    poi, come in acqua fa spranga rovente,

    lungo stridente nel mar si tuffò. dal mar = il mare, come anche nelle Memorie poetiche, è visto come il grembo di una creazione continua.

    orribilmente = talmente bello da ispirare un religioso terrore.

    rovente:stridente = rima interna.







    ----

    Tema: Questa lirica è datata 1851 ed è stata quindi composta durante l'esilio a Confù, dopo il fallimento della Repubblica veneziana. Si tratta di una visione profetico-apocalittica di un'epifania divina nella notte della storia. E' circostanziata storicamente in quanto allude al fallimento delle rivoluzioni tramite un terrificante simbolismo apocalittico.



    Metro: Strofe di endecasillabi piani e tronchi alternati a schema ABABAB.


    Parafrasi: Autoritratto, Ugo foscolo



    Solcata ho fronte, occhi incavati intenti,

    crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto,

    labbro tumido acceso, e tersi denti,

    capo chino, bel collo, e largo petto;

    giuste membra; vestir semplice eletto,

    ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti;

    sobrio, umano, leal, prodigo, schietto;

    avverso al mondo, avversi a me gli eventi.

    talor di lingua, e spesso di man prode;

    mesto i più giorni e solo, ognor pensoso,

    pronto, iracondo, inquieto, tenace:

    di vizi ricco e di virtù, do lode

    alla ragion, ma corro ove al cor piace:

    morte sol mi darà fama e riposo.



    Solcata = segnata dalle rughe. occhi incavati intenti = l’intensità dello sguardo viene resa con l’uso di più aggettivi (intenti proviene dall’Eneide di Virgilio-II, 1-, ripreso da Petrarca “e gli occhi porto per fuggire intenti”, Canzoniere - XXXV,3)

    crin fulvo = capelli di colore rosso; emunte guance = latinismo, colore pallido del viso; sinedocche che varia l’alfieriano “pallido in volto”.

    labbro tumido acceso =labbra rosse e pronunciate. tersi denti = denti bianchissimi. capo chino = anche qui richiama l’autoritratto dell’Alfieri “capo a terra prono”. giuste membra = con un corpo proporzionato. Eletto = accurato. Ratti = veloci. sobrio, umano, leal, prodigo, schietto = semplice, umano, leale, generoso, sincero.

    talor di lingua, e spesso di man prode = valoroso con la parola, la letteratura, e con il braccio, le armi

    morte sol mi darà fama e riposo = sviluppa quanto già riportato nel testo di Alfieri "uom, se' tu grande, o vil? Muori, e il saprai" ed è un motivo tipico nei Sepolcri.




    Tema: Pubblicato nell’ottobre 1802 nel “Nuovo giornale dei letterati” di Pisa, il sonetto Autoritratto di Foscolo, tratto dalla raccolta "Poesie", sonetto VII, si presenta come una vera e propria descrizione che l'autore compie di se stesso, sia a livello fisico, sia a livello psicologico-morale. Si richiama al modello dell’autoritratto di Vittorio Alfieri (Rime, CLXVII, Sublime specchio di veraci detti), il quale per primo attraverso la forma del sonetto autoritratto ha espresso l’ansia



    Parafrasi "Benedetto sia'l giorno el mese el'anno ", di Francesco Petrarca



    Sia benedetto il giorno, il mese e l'anno
    Sia benedetto il giorno, il mese e l'anno,
    e siano benedette le stagioni, il tempo, le ore e le strade,
    e sia benedetto il bel paese, che è il luogo dove io fui condotto da due bei occhi che mi hanno innamorato;

    e sia benedetto l'amore carnale
    che conobbi quando mi innamorai,
    e sia benedetto l'arco e le saette di cupido da cui fui colpito,
    e le ferite d'amore che mi arrivano al cuore.

    Siano benedette le tante voci che ho sparso in tutte le direzioni chiamando il nome della mia donna,
    e siano benedetti i sospiri, le lacrime e il desiderio d'amore;

    e siano benedette tutti i miei scritti che mi danno e mi daranno fama, e sia benedetto ilmio pensiero,
    che è rivolto solo a lei ed a nient'altro.





    Parafrasi "Canto Notturno Di Un Pastore Errante", di Giacomo Leopardi



    O luna, cosa fai tu nel cielo? Dimmi silenziosa luna, cosa fai? Sorgi di sera e vai contemplando i deserti; infine poi scompari. Non sei ancora sazia di ripercorrere sempre gli stessi percorsi? Non ti sei ancora nauseata, sei ancora desiderosa si osservare queste valli? La vita del pastore somiglia alla tua vita. Si alza alle prime luci dell’alba , spinge il gregge attraverso i campi, e vede greggi, fonti d’acqua ed erbe; poi giunta la sera si riposa ormai stanco: altro non spera. Dimmi, o luna: che valore ha per il pastore la sua vita, la vostra vita per voi? Dimmi: dove porta questo mio vagare breve, il tuo viaggio eterno?
    Un vecchietto con i capelli bianchi, malato, mezzo vestito e senza scarpe, con un grosso peso sulle sue spalle, corre via, corre, si affatica attraverso montagne e valli, su sassi pungenti, e sabbia alta, e sterpaglie, al vento e alla tempesta, e quando il tempo diventa caldo, e quando arriva il gelo, attraversa torrenti e stagni, cade, si rialza, e sempre più si affretta senza mai riposarsi o consolarsi, ferito, sanguinante; finché non arriva là dove la strada e tutta la sua fatica lo dovevano condurre: abisso orrido, immenso, precipitando nel quale egli tutto dimentica. O vergine luna, così è la vita degli uomini.
    L’uomo nasce con fatica, e la nascita rappresenta un rischio di morte. Per prima cosa prova pena e tormento; e all’inizio stesso la madre e il padre si dedicano a consolarlo per essere nato. Quando inizia a crescere il padre e la madre lo sostengono, e via di seguito sempre con gesti e con parole si impegnano ad incoraggiarlo, e a consolarlo di essere uomo.: altro compito più gradito non si compie da parte dei genitori verso i figli. Ma perché far nascere, perché mantenere in vita chi poi deve essere consolato per il suo stato? Se la vita è una sventura perché da noi dura? O luna intatta, questa è la situazione umana. Ma tu non sei mortale, e forse di ciò che io sto dicendo ti importa poco.
    Tuttavia tu, solitaria, eterna pellegrina, che sei così pensosa, tu forse riesci a comprendere che cosa sia questa vita terrena, le nostre sofferenze, il sospirare; che cosa sia questa morte, questo supremo impallidire del volto, e il venir meno ad ogni amata compagnia. E tu certamente comprenderai il perché delle cose, e vedrai il frutto del mattino, della sera, del silenzioso, tranquillo trascorrere del tempo.
    Tu certamente sai, tu, a quale suo dolce amore sorrida la primavera, a chi faccia comodo il caldo, e che cosa ottenga l’inverno con i suoi ghiacci. Mille cose sai tu, mille ne scopri, che sono nascoste al semplice pastore. Spesso quando io ti osservo stare così muta stare su nella pianura deserta, che in lontananza confina con il cielo; oppure con il mio gregge ti vedo seguirmi e spostarti pian piano; e quando osservo in cielo brillare le stelle; dico dentro di me pensando perché tante scintille? Che cosa significa lo spazio infinito e quel profondo cielo infinito? Cosa vuol dire questa interminabile solitudine? E io cosa sono? Così penso tra me e me e non riesco a trovare nessuna utilità, nessuno scopo ne dello spazio infinito e superbo, ne delle famiglie numerose , poi di tanto darsi da fare, di tanti moti, di ogni astro e di ogni cosa terrena. MA tu certamente, o giovinetta immortale, conosci tutto ciò. Questo io conosco e sento, che delle eterne rotazioni, che della mia esistenza fragile, forse qualcun altro ricaverà qualche vantaggio o qualche bene; per me la mia vita è dolore.
    Oh mio gregge che ti riposi, beato te, che credo non sei cosciente della tua miseria! Quanta invidia ho nei tuoi confronti! Non solo perché sei quasi priva di sofferenza; dato che ti dimentichi subito ogni stento, ogni danno ogni timore forte; ma più di tutto perché nn proverai mai noia. Quando tu stai all’ombra, sopra l’erba, tu sei calma e contenta; e in quello stato trascorri gran parte dell’anno senza provare noia. E anche io siedo sopra l’erba, all’ombra, e un fastidio mi occupa la mente, e un bisogno quasi mi stimola così che, sedendo, sono più che mai lontano da trovar pace e riposo. Eppure non desidero nulla, e fino ad ora non ho motivo per piangere. Di che cosa o quanto tu goda non lo so certamente dire; ma sei fortunato. E io, o mio gregge, godo ancora poco, né mi lamento solamente di questo. Se tu sapessi parlare , io ti chiederei: dimmi: perché giacendo comodamente senza fare nulla ogni animale si appaga; ma se io giaccio e mi riposo vengo assalito dalla noia?
    Forse se io avessi le ali per volare sopra le nuvole, e contare le stelle ad una d una, o come il tuono potessi viaggiare di montagna in montagna, sarei più felice, mio dolce gregge, sarei più felice, o candida luna. O forse il mio pensiero si discosta dalla verità, riflettendo sulla condizione degli altri: forse in qualunque forma avvenga, in qualunque forma o condizione, dentro una tana o una culla, il giorno della nascita è funesto a tutti.




    Parafrsi "Chi sono?", di Aldo Palazzeschi


    Forse sono un poeta?
    No, certo.
    La penna della mia anima
    scrive solo una strana parola:
    "follia".
    Dunque sono un pittore?
    Neanche.
    La tavolozza della mia anima ha solo un colore:
    "malinconia".
    Allora sono un musicista?
    Nemmeno.
    Nella tastiera della mia anima
    c'è solo una nota:
    "nostalgia".
    Dunque... che cosa sono?
    Metto una lente
    davanti al mio cuore
    per farlo vedere alla gente
    Chi sono?
    L'acrobata della mia anima



    Parafrasi "Chiare, fresche et dolci acque", di Francesco Petrarca


    Limpide, fresche e dolci acque
    dove immerse le sue belle membra
    colei che unica per me merita il nome di donna
    delicato ramo al quale le piacque
    di appoggiare il suo bel corpo
    ( me ne ricordo sospirando )
    erba, fiori che ricoprirono
    il suo leggiadro vestito ed il suo corpo,
    atmosfera limpida, fatta sacra dalla sua presenza
    dove Amore attraverso i suoi begli occhi mi trafisse l'animo
    ascoltate voi tutti insieme
    le mie tristi ultime parole.
    Se è mio destino dunque,
    ed in ciò si adopera il volere del cielo,
    che Amore chiuda questi occhi piangenti,
    qualche favore divino faccia sì
    che il mio corpo sia sepolto tra voi,
    e l'anima ritorni sciolta dal corpo al cielo.
    La morte sarà meno dolorosa
    se reco questa speranza in vista di quel pauroso momento:
    poiché l'anima stanca
    non potrebbe in più riposata quiete
    né in più tranquillo sepolcro
    abbandonare il corpo travagliato da mille angosce.
    Verrà forse un giorno
    in cui all'abituale meta
    ritornerà la donna bella e crudele,
    e a quel luogo dove ella mi vide
    nel benedetto giorno dell'incontro
    volga i suoi occhi pieni di desiderio e di letizia,
    cercando di me, e, divenuta pietosa,
    vedendomi polvere tra le pietre del sepolcro,
    venga ispirata da Amore
    così da sospirare
    tanto dolcemente e ottenere la misericordia divina
    piegando la giustizia celeste,
    asciugandosi gli occhi con il suo bel velo.
    Dai rami scendeva ( dolce nel ricordo )
    una pioggia di fiori sul suo grembo;
    ella sedeva umile in tanta festa della natura,
    coperta da quella pioggia di fiori, ispiratrice d'amore.
    Un fiore cadeva sull'orlo della veste,
    un altro sulle bionde trecce,
    che quel giorno a vederle.
    parevano oro fino e perle
    Un altro si posava in terra ed un altro ancora sull'acqua;
    infine un fiore
    volteggiando nell'aria
    pareva suggerire: "Qui regna Amore "
    Quante volte dissi,
    preso da grande stupore:
    costei certo è nata in Paradiso.
    Il suo modo di procedere quasi divino;
    il suo volto, la sua voce e il suo sorriso
    mi avevano fatto dimenticare a tal punto dove mi trovavo
    e fatto allontanare talmente dalla realtà,
    che mi chiedevo sospirando come
    fossi potuto pervenire in un luogo simile e quando vi ero giunto.
    Perché credevo di essere giunto in Paradiso
    non in Terra dove mi trovavo
    Da quel momento in poi amo questo luogo
    così che non ho pace in nessun altro.
    Se tu, mia canzone, fossi bella e ornata, quanto desideri,
    potresti coraggiosamente
    uscire dal bosco e andare tra gli uomini
     
    Top
    .
181 replies since 11/11/2010, 13:34   260056 views
  Share  
.