Abruzzo ... Parte 1^

TERAMO..MARTINSICURO..GIULIANOVA..PARCO NAZIONALE DEL GRAN SASSO..

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI


    “... Mercoledì ... continua il volo della nostra mongolfiera sui cieli dell’Italia ... voliamo verso sud, verso un’altra bellissima regione ... L’Abruzzo ... ogni luogo visitato, ogni immagine, ogni emozione sono energia vitale per le nostre ali ... attraverso di esse acquisiamo certezze e consapevolezza di poter volare ... librarsi nell’aria e permeare i colori dell’universo, quello esterno e quello dell’anima che è ancora più bello ... volare e sentire il vento che attraversa i capelli così come le carezze che doniamo e riceviamo attraversano il nostro cuore ... volare e sentirsi parte del tutto, volare e ridere alla vita ... Buon risveglio amici miei, anche oggi siamo pronti a volare ;non solo verso le terre abruzzesi, ma oltre la razionalità verso i sogni e la realizzazione di essi..."

    (Claudio)



    TERAMO..MARTINSICURO..GIULIANOVA..PARCO NAZIONALE DEL GRAN SASSO..ECCOCI ABBRUZZO!


    “Teramo è situata alla confluenza del torrente Vezzola con il fiume Tordino .. antichissima colonia fenicia Petrut o Pretut fenicia, nata come emporio commerciale, capitale dei Pretuzi, fu annessa alla regione picena da Augusto come Interamnia Praetutianorum (III secolo a.C.), acquisì splendore architettonico e raffinatezza culturale sotto l'imperatore Adriano… deve il nome proprio ai due corsi d'acqua che la delimitano e riunendosi poco dopo l'abitato la collegano al vicino mare…Incorniciata nello scenario del Gran Sasso e dei Monti della Laga, che snoda sullo sfondo della città una formidabile corona di cime e pareti… ma anche protesa verso lo splendido mare della sua costa, a poche decine di chilometri….Nel cuore del centro storico, tra i resti del teatro e dell’anfiteatro romano, vi è la Cattedrale, intitolata a San Berardo del 1158…tre navate.. stupende monofore… portale di Diodato Romano, con bellissime statuine sulle colonnine laterali di Nicola da Guardiagrele..il celebre Paliotto d’argento.. Polittico di Sant'Agostino, del veneziano Jacobello del Fiore e affreschi quattrocenteschi..”

    “E’ un nome curioso, Martinsicuro: in realtà, in origine in questa zona vi si trovava la città di Trentum-Castrum Trentinum, citata da Plinio il Vecchio, della quale si possono ancora vedere i resti.
    Ma nella nostra visita noi ci siamo concentrate su altre cose: per esempio, la Torre di Carlo V. Questa venne costruita nel 1547 come sistema di avvistamento per eventuali incursioni saracene. Successivamente venne adibita a dogana”

    “Giulianova…la città non è solo il Lido, con le sue case basse e gli alberghi, ma si arrampica su un’altura, dove c’è il quartiere Colleranesco…Dalle colline lo sguardo vaga alle spiagge e, nelle giornate serene, fino al Gran Sasso, il massiccio montuoso dell’Abruzzo…Il nome attuale della cittadina è l’ultimo in ordine di tempo e deriva dal fondatore e feudatario Giulio Antonio Acquaviva, Duca di Atri e Conte di Conversano, che nel 1470 costruì una rocca a nord sulla collina per sfuggire alla malaria che infestava i terreni acquitrinosi vicino al mare…La città, a forma di quadrilatero, era circondata da mura con torri, ancora in piedi nel 1860; tre le porte di accesso al centro fortificato, Porta da Piedi o Marina a sud, Porta Napoli o degli antichi Cappuccini e Porta da Capo a nord….Il primo insediamento nella zona risale al 290 a.C.; una colonia romana, Castrum Novus, si stabilì sulla costa in prossimità del mare e sulla riva sinistra del fiume Batinus….La città era potente, fortificata e nota tanto da essere citata negli scritti di Plinio, Strabone, Vellejo e Tolomeo. Il centro di Castrum Novus era strategico perché posizionato sulla via Salaria, che giungeva fino a Roma….Ha una storia antica in cui il mare, la pesca e il commercio hanno avuto un ruolo importante. Di porti la città, attorno al 1400, ne aveva addirittura tre; il principale era quello di San Flaiano. Ancora oggi sul tratto di Adriatico davanti all’abitato ci sono i trabucchi, macchine da pesca di legno”

    “Civitella del Tronto è un paese della provincia di Teramo, la fondazione si fa risalire all’altomedioevo, tuttavia questo borgo è divenuto importante a partire dal 1269, quando fu fortificato e divenne un luogo strategico, una delle roccaforti più settentrionali del regno di Napoli…la Roccaforte Borbonica, posta a guardia della Valle del Selinellio e del borgo sottostante, da qui si gode una vista meravigliosa…. La costruzione è in pietra calcarea giallognola, è cinta da imponenti mura, è stata eretta su una preesistente fortificazione aragonese e ampliata intorno al 1500 ad opera degli spagnoli.. In questo luogo si sente vibrare l’ardore delle antiche battaglie, l’impeto dell’attacco…una Piazza quella delle Armi, dotata di un sistema di raccoglimento dell’acqua piovana che fa confluire tutto nel pozzo…La Ruetta è la via più stretta d’Italia e si trova proprio in questo piccolo borgo, ci si passa a mala pena uno alla volta…la chiesa di San Lorenzo Martire, punto fondante della storia del paese. Convertito in bastione di difesa sorgeva inizialmente fuori dalle mura della città, nel 1557 dopo l’ennesimo assedio alla roccaforte, venne distrutta e ricostruita in prossimità di Porta Napoli. La ricostruzione fu fatta in maniera eclatante, senza badare a spese, la pianta a croce latina è poi stata ampliata con altre due navate laterali.”

    “Nel Parco Nazionale del Gran Sasso, ai piedi del Monte Camicia, si trova il paese di Castelli. Un borgo immerso in una natura incontaminata, circondato da boschi e prati fantastici, nello splendido scenario della regione Abruzzo. Sullo sfondo, ma non così lontane, le bellissime montagne degli Appennini…Un paesaggio pulito, con un’aria che profuma di aghi di pino e di pigne….Una sorta di castello difeso da profondi burroni su tre lati e dalla montagna dal quarto; una terrazza sulla valle che permette di vedere un panorama mozzafiato…Re della scena il Gran Sasso, reso ancora più accessibile allo sguardo dal Belvedere, costruito nel 1926 dopo la distruzione portata dal terremoto del 1915…Tra le vecchie stradine, che si snodano verso il centro, un po’ in salita, sono tantissime le botteghe di artigiani che si occupano di maioliche… un suggestivo gioco di immagini e di colori”

    “Pescara…adagiata tra i colli e il mare, a meno di un’ora di distanza dalle vette più alte dell'Appennino, che delineano all’orizzonte della città il suggestivo profilo di una fanciulla, denominata "la bella addormentata"…. racchiusa tra due pinete.. a nord, la Riserva Naturale di S. Filomena… a sud, la pineta d’Avalos, di dannunziana memoria…Dell'antica Piscaria rimane il cuore dell’abitato, costruito entro le mura della fortezza spagnola, in cui si trova anche la casa natale di d'Annunzio, restaurata negli anni Trenta, dall'architetto del "Vittoriale"..Maroni, ora adibita a museo…al Palazzo del Governo è custodita la famosa tela di Francesco Paolo Michetti "La Figlia di lorio"….le chiese moderne dello Spirito Santo, dalla singolare facciata e di Sant'Andrea Apostolo,in cui si può ammirare un grande affresco di Aligi Sassu…Villa Urania, non lontano dal lungomare centrale, in cui campeggia "la Nave" scolpita da Pietro Cascella.. Lungo il molo sud .. i tradizionali trabocchi, piccole palafitte attrezzate per la pesca del pesce verde.”

    “Serramonacesca è un piccolo comune dell’Abruzzo, noto come la Perla della Majella...Il nome deriva dalla tradizione monastica: il borgo, infatti, era considerato nel medioevo un luogo di rifugio e meditazione per i monaci benedettini…. camminando per le strade, potrete notare qualche anziano seduto a fumare sulla soglia della porta e dei bambini che giocano correndo dietro a una palla, segni che rimandano bonariamente agli antichi valori, alla tradizione folkloristica tipica dei paesi montani e agli usi e ai costumi di un tempo….L’atmosfera che si respira è sorprendente e presenta un non so che di strano.. la parlata dialettale, difficile da comprendere anche se si appartiene alla stessa regione e si conserva una comune identità ancestrale...Serramonacesca incarna in sé tutta la tipicità della tradizione abruzzese, unita da un unico filo conduttore con il resto dei comuni dell’entroterra di questa regione. E’ un luogo ricco di storia che, al di là delle origini antiche, porta ancora i segni dell’età medievale… l’Abbazia di San Liberatore…eretta durante il periodo benedettino dagli stessi monaci … la struttura sorge sui ruderi di un complesso che risale all’epoca di Carlo Magno, costruito e distrutto numerose volte. Raggiunse il suo massimo splendore attorno all’anno mille quando l’abate Teobaldo e in seguito l’abate Desiderio la resero un monumento di inestimabile valore…Ciò che colpisce subito scrutandone le linee e gli esterni è l’insieme dei particolari scultorei accostabili alle altre abbazie abruzzesi: gli archetti rampanti della facciata; i tre portali collegati ognuno in maniera perfettamente proporzionale alla navata; il portale centrale in legno sormontato da una semilunetta decorata con basso rilievi scultorei riconducibili a un codice di disegni cassinesi.”

    “Chiunque abbia visto l’abbazia di San Clemente a Casauria sarà d’accordo con le parole di Gabriele D’Annunzio che descriveva questo luogo come un luogo solitario pieno di memorie antichissime. Tanta è l’emozione che trapela dalla sua monumentalità…L’abbazia è dell’ 871 d. C, ad edificarla fu Ludovico II, pronipote di Carlo Magno. La posizione che occupa ha un significato fortemente simbolico, nei tempi più antichi infatti, attraverso l’insula casauriense, passavano i pastori che migravano nelle terre pugliesi, ed in questo clima così rustico e pastorale, sembrano riecheggiare ancora i versi della poesia d’annunziana: “Settembre… Le vestigia degli antichi padri, il fiume silente, i pastori, la greggia.”…”

    “Se passeggiando per i verdi prati di Roccamorice vi trovaste di fronte una scalinata e qualche finestrella, che sembrano precipitare dalla roccia nella quale sono state costruite, non stupitevi! Non state sognando, né tanto meno siete ubriachi di quell’aria frizzante che vi solletica il naso. Siete semplicemente di fronte all’Eremo di San Bartolomeo di Legio….L’edificio è nato, si pensa, attorno all’anno mille d. C e fa parte di quella costellazione di eremi che fa capolino tra le meravigliose montagne abruzzesi, famose, non solo per i numerosi parchi nazionali, ma anche per la loro tradizione pastorale e per l’asilo che hanno fornito per diversi anni a Fra Pietro da Morrone, meglio noto come Celestino V…Talvolta interrotto dal belato delle greggi e dal cinguettio degli uccelli, l’immenso silenzio in cui è immerso l’eremo, crea un’atmosfera soffusa in bilico tra il sacro e il profano….Visto dall’esterno l’edificio sembra essere un piccolo rifugio o un nascondiglio camuffato dalla nebbia o dalla coltre bianca di neve…L’accesso all’eremo avviene scendendo lungo un percorso battuto tra alberi e sterpaglie: si è fuori dal mondo, non c’è nel raggio di chilometri niente di umano e tecnologico..Dopo 20 minuti, si giunge finalmente a quella scala che si osservava da lontano, vi renderete conto di quanto distanza e prospettiva ingannino, la Scala Santa, così come viene chiamata, non è affatto piccola!...Ventitré scalini da percorrere salendo in ginocchio e pregando, due rampe continue di cui una nascosta da un muretto di pietra bianca, logorato ed eroso dal tempo e dalle intemperie…. al ritorno, scendendo queste scale vi sembrerà di precipitare giù, vi troverete aggrappati a quella parete benedetta cercando protezione e appiglio, è una sensazione strana, particolare, indimenticabile.. L’ingresso all’eremo.. una porticina in legno, che dà su un locale cieco, con pareti e pavimenti spogli, che esaltano un piccolo altare con la statua di San Bartolomeo…Al lato dell’altare scorre un rigagnolo d’acqua santa e miracolosa che defluisce in una vasca esterna a disposizione dei credenti…Questa , oltre alla cappella duecentesca affrescata, costituisce il corpo essenziale”

    di Valeria Gatopoulos



    Il vento scrive
    Su la docile sabbia il vento scrive
    con le penne dell'ala; e in sua favella
    parlano i segni per le bianche rive.
    Ma, quando il sol declina, d'ogni nota
    ombra lene si crea, d'ogni ondicella,
    quasi di ciglia su soave gota.
    E par che nell'immenso arido viso
    della pioggia s'immilli il tuo sorriso.

    Gabriele D’annunzio








    Teramo, panorama



    Civitella del Tronto (Teramo)



    Gransasso



    Gransasso visto dal paese di Sant'Omero

    La città, popolata da tempi antichissimi, era il centro principale della popolazione dei Pretuzi. In seguito venne conquistata dal console romano Manio Curio Dentato nel 290 a.C. (cinque anni dopo la battaglia di Sentino), divenendo municipio.

    Prese parte attiva alla Guerra sociale (91-88 a.C.) e Silla la privò dunque dello statuto di municipio, che le fu in seguito restituito da Cesare.
    La Cattedrale di Teramo

    Come capitale del Petrutium venne inserita nella V regio da Augusto. Sotto il dominio imperiale conobbe un periodo di grande prosperità, testimoniato dalla costruzione, sotto Adriano, di templi, terme e teatri.

    Saccheggiata e rasa al suolo dai Visigoti nel 410 venne rifondata nel 568, in seguito fu conquistata dai Longobardi entrando a far parte prima del marchesato di Fermo e poi del ducato di Spoleto. Contesa fra i Normanni e i duchi di Puglia, Teramo fu quasi distrutta nel 1155 ma si risollevò nuovamente e, sotto la dominazione vescovile, godette di un periodo di relativo benessere testimoniato dall'edificazione della nuova cattedrale di Santa Maria Assunta e San Berardo.

    A partire dal 1395 subì il dominio del Ducato di Atri, da quando il Conte di S. Flaviano Antonio Acquaviva, si nominò Duca d'Atri e Signore di Teramo.

    Tuttavia, una serie di eventi negativi, culminati nel terremoto del 1380, le lotte intestine fra la famiglia dei Melatini e quella dei De Valle e il brigantaggio condussero la città a un profondo declino, dal quale non si risollevò né sotto la dominazione dei signori d'Altavilla, né sotto quelle successive di francesi e spagnoli.

    Entrò nel 1140 a far parte del Regno di Sicilia sotto Ruggero, e quindi successivamente divenne la Porta Regni del Regno di Napoli (poi diventato nel 1815 Regno delle Due Sicilie) e ne seguì le sorti fino all'Unità d'Italia.



    Teramo, veduta notturna





    IL GRAN SASSO

    Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga

    Il parco si estende per 160.00 ettari di cui 135.000 in Abruzzo.
    Al suo interno ricadono completamente le catene montuose del Gran Sasso e dei Monti dela Laga.

    .Corno Grande

    Il Corno Grande, con i suoi 2912 metri d'altezza è la montagna più alta degli appennini.
    Sempre sul Corno Grande troviamo "Il Calderone", l'unico ghiacciaio dell' appennino ed il più meridionale in Europa.
    A meridione del massiccio si estende la sconfinata Piana di Campo Imperatore, posta a 2100 metri di altitudine.
    La catena della Laga, particolarmente importante sia dal punto di vista geologico che naturalistico, comprende tra le altre, la vetta del monte Gorzano (2548 metri).



    Natura


    Flora
    Sono peculiari i grandi boschi di faggio, ciliegio, ciliegio selvatico, agrifoglio, acero di monte, tasso e castagno con un ricco sottobosco di lamponi, mirtillo nero, belladonna, orchidee selvatiche e varie specie di funghi.

    Un cenno a parte meritano i piccoli boschi di abete bianco (Selva di Cortino, Bosco Martese, Selva degli Abeti) residuo della antica tipologia mista di abeti e faggi dell'appennino.
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    Fauna
    Molto varia e rappresentata da specie rare, quali il lupo appenninico. Il gatto selvatico ed il camoscio, reintrodotto da poco sul Gran Sasso, oltre che da cinghiali, scoiattoli neri, ghiri e volpi tutti piuttosto diffusi.

    Tra gli uccelli rapaci si segnalano l' aquila reale, il falco pellegrino, il gufo reale, il barbagianni e l'astore.
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    Riserve Naturali
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    Riserva naturale Corno Grande di Pietracamela
    Nel cuore del Gran Sasso, il comune di Pietracamela ha istituito nel 1991 una riserva di 2.200 ettari, gestita dal CAI, che comprende le aree più suggestive della catena:
    Il corno Grande, il ghiacciaio del Calderone, Campo Pericoli, la Val Mavone e la valle di Rio Arno. Nel 1992 è stato reintrodotto il camoscio d'Abruzzo che è possibile ammirare anche nell'area faunistica.
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    Riserva naturale di Lago di Penne
    E' un lago artificiale formatosi con la costruzione di una diga sul fiume Tavo, si estende per 150 ettari nel territorio comunale di Penne (PE) ed è uno dei pochi in Abruzzo ad offrire un ambiente ideale per ospitare uccelli acquatici. La riserva, oasi del WWF, ha numerose strutture: un entro di educazione ambientale nel quale si organizzano campi studio per ragazzi, un Sentiero Naturale con capanni di osservazione dell'avifauna, un centro per il recupero degli animali fariti, un laboratorio artigianalem un orto botanico, un museo naturalistico che illustra la natura e l'ambiente del lago, due acquari che ricostruiscono l'ambiente faunistico del fiume e del lago, un Centro di riproduzione della lontra.
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    3

    Parco Territoriale Fiume Fumetto
    Situato nel comune di Colledura lungo l'omonimo torrente, il quale forma piccole e suggestive cascate.
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    4

    Riserva naturale Castel Cerreto
    Situata nel comune di Penna S. Andrea, presenta la fauna tipica dell'ambiente collinare.
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    5

    Riserva naturale Gole del Salinello
    Estesa per 800 ettari è caratterizzata da una stretta e profonda gola scavata nel fiume Salinello.
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    6

    Riserva naturale Lago di Campotosto
    Comprende l'omonimo lago artificiale, il più grande d'Abruzzo e d'europa.
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    image Monlaga...
    image Gransasso...
    image veduta del parco...

    <p align="center">PESCARA...

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    NAVE DI CASCELLA

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    VIA DELLE CASERME...D'ESTATE E' PIENA DI LOCALI ALL'APERTO..VIENE
    PARAGONATA AD UNA PICCOLA IBIZA

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    Lungo il Tronto

    Arquata del Tronto è un'affascinante borgo medievale dominato dal Castello della Rocca. Meritano una visita le vicine Trisungo e Spelonga. Le tipiche carbonaie dell'Appennino, che qui funzionano ancora - il villaggio d Colle è per questo famoso - rappresentano la straordinaria occasione per scoprire gli antichi mestieri del Parco. Sulla Salaria, Acquasanta Terme è un attrezzato Centro termale, e base d partenza per escursioni a Umito, da dove inizia il sentiero immerso nella faggeta che, costeggiando il torrente, raggiunge le imponenti Cascate della Volpara, da ammirare in uno scenario suggestivo.

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    Intorno alle Gole del Salinello

    Campli conserva importanti edifici di epoca medievale. E' molto interessante il Museo archeologico che mostra reperti della vicina Necropoli di Campovalano. de VII-V sec. a.C.. A Civitella del Tronto, conosciuta per la notevole Fortezza del X sec., che sovrasta l'intero borgo medievale, è possibile visitare il Museo storico. Dalla vicina Ripe, all'imbocco delle affascinanti Gole del Salinello, parte il sentiero che attraversa le gole ed offre scenari di notevole bellezza naturalistica e testimonianze storiche, arricchite da molti eremi e dai ruderi di Castel Manfrino, nei pressi di Macchia da Sole.



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    Il lago di Campotosto è un "piccolo mare" situato ad una altitudine di 1.313 m., nel Parco Nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga, tra le alte vette delle omonime catene montuose. L'enorme estensione - ben 1.400 ettari - dell'invaso artificiale creato nella prima metà del secolo scorso con lo scopo di utilizzarne le acque per il funzionamento delle centrali idroelettriche costruite nella sottostante vallata del Vomano, rende il lago di Campotosto il bacino più vasto della regione. E' Riserva Naturale dello Stato dal 1984 e l'area protetta comprende anche 200 ettari di sponde.

    Il lago è meta di molti appassionati di canoa e windsurf, mentre la comodissima strada circumlacuale è particolarmente indicata per panoramiche passeggiate in bicicletta (nei mesi invernali c'è anche chi la utilizza come pista per lo sci da fondo).

    L'area che oggi accoglie il bacino era occupato, fino agli anni '30, da acquitrini e torbirere.

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    Giulianova

    è un comune italiano di 23.461 abitanti della provincia di Teramo in Abruzzo. Città storica, possiede una forte vocazione commerciale e turistica e si colloca fra le più frequentate stazioni balneari del medio Adriatico.

    Storia

    Età romana


    Pur se la presenza umana nel territorio di Giulianova è documentata fin da epoca neolitica, le origini della città risalgono al III secolo a.C., allorché i romani crearono presso le foci del Tordino, a meno di due chilometri dall'attuale centro storico, una nuova colonia denominata Castrum Novum (o Castrum Novum Piceni'). Tale colonia si trasformò, col tempo, in un attivo centro commerciale e in nodo di comunicazioni di una certa importanza. Citata da Velleio Patercolo e da Strabone[4], forse raggiunse in età imperiale un perimetro di due chilometri e si dotò di bagni termali.


    Età medievale Castel San Flaviano


    La città, spopolatasi a seguito delle invasioni barbariche, assunse in età altomedievale il nome di Castrum Sancti Flaviani (o Castrum in Sancto Flaviano) in ricordo di San Flaviano, Patriarca di Costantinopoli e Martire, le cui spoglie, secondo una leggenda, sarebbero state portate in Italia nel V secolo. Originariamente dirette a Ravenna, avrebbero raggiunto miracolosamente le coste giuliesi a seguito di una tempesta che costrinse l'imbarcazione che le trasportava a trovare rifugio nel litorale abruzzese. Successivamente, a partire dal XII o XIII secolo, il centro iniziò ad essere conosciuto come Castel San Flaviano. Il borgo fece parte, in età medievale, del Regno Ostrogoto, del Ducato di Spoleto, del Regno di Sicilia e infine del Regno di Napoli. Nella seconda metà del XIV secolo entrò in possesso della ricca e potente famiglia degli Acquaviva che ne fece una delle sue residenze principali fino alla distruzione avvenuta nel luglio del 1460 a seguito della sanguinosa battaglia di San Fabiano d'Ascoli o San Flaviano d'Ascoli (da taluni definita anche battaglia del Tordino), combattuta nei pressi della città fra aragonesi e angioini capitanati rispettivamente da Alessandro Sforza (coadiuvato da Federico da Montefeltro) e da Jacopo Piccinino


    Da Castel San Flaviano a Giulianova


    Circa dieci anni più tardi (1470), Giulio Antonio Acquaviva (dal 1479 Giulio Antonio Acquaviva d'Aragona), duca d'Atri e signore del luogo, preferì ricostruire Castel San Flaviano non sulle sulle sue rovine, bensì su un'altura situata a circa settanta metri sul livello del mare, a breve distanza dall'anteriore centro abitato. Il nuovo nucleo prese da lui il nome di Giulia (o Julia), cui venne aggiunto, già in età contemporanea, il qualificativo di Nova. Era nata l'attuale denominazione della città: Giulianova. L'edificazione di Giulia si protrasse per alcuni decenni e si ispirò a quei criteri di razionalità tipici dell'età rinascimentale. Fu un'impresa di ampio respiro voluta da Giulio Antonio Acquaviva, noto condottiero e uomo di cultura, con una conoscenza personale delle più prestigiose corti dell'Italia del tempo e delle nuove tendenze architettoniche che ebbero in Leon Battista Alberti e in Francesco di Giorgio Martini due fra i massimi interpreti. Per l'impianto urbanistico di Giulianova ci si ispirò a questi e ad altri architetti sia di epoca rinascimentale che classica, come Vitruvio. Il centro abitato originario, in parte conservatosi fino ai giorni nostri, era interamante racchiuso entro una poderosa cinta muraria di forma quadrangolare, difesa da quattro torrioni cilindrici. L'accesso alla città era possibile attraverso tre porte cui se ne aggiunsero altre due nell'Ottocento. Nel cuore del nucleo urbano venne posto l'ampio Duomo ottagonale che dominava l'Adriatico e che organizzava lo spazio urbano circostante. La città, progettata per accogliere alcune migliaia di abitanti, possedeva una pianta regolare, con vie ampie su cui si affacciavano edifici di medie proporzioni. Il borgo, pur presentando un carattere eminentemente castrense offriva ai suoi residenti strutture urbane e abitative che per l'epoca erano salubri, funzionali e spaziose.



    Giulianova paese







    PASCASSEROLI.................image

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    LUNGO FIUME DEL SANGRO image

    VAL..FODILLO....image

    VAL..FONDILLO...image

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    Facciamoci una sciata

    Ovindoli


    Là dove un tempo viveva l'antica comunità dei Marsi, oggi ci sono piste di sci. Ovindoli, centro della Marsica dall' interessante passato storico, è diventata negli ultimi anni, una stazione turistica invernale piuttosto frequentata e fa parte del comprensorio Tre Nevi, insieme a Campo Felice e Campo Imperatore. Nato come roccaforte dei Marsi a difesa dei confinanti Vestini, Ovindoli venne distrutto dai romani nella cosidetta "Guerra Sociale e poi ricostruita dai Longobardi. Qui soggiornò nel 1268 Carlo d'Angiò prima della vittoria definitiva su Corradino di Svevia. Alle bellezze della montagna, dunque, Ovindoli abbina un passato di tutto rispetto, con la possibilità di visitare testimonianze storiche.



    Le piste, servite da impianti moderni, con un'eccellente esposizione, si snodano tra quota 1400 e 2200 per uno sviluppo complessivo di 22 Km. La neve è sempre abbondante Quest'inverno entrano in funzione due modernissimi impianti seggioviari triposto e il pubblico potrà disporre di due nuove piste lunghe, complessivamente, 4 chilometri. Ulteriore novità: lo Stadio del Fondo con anelli di 5 + 3 chilometri. Il paese è attrezzato per qualsiasi tipo di sport come l'equitazione, lo sci, l'alpinismo, il trekking, il parapendio, tiro con l'arco, il freeclimbing, ecc. Ovindoli fa parte del parco Sirente-Velino, con possibilità di interessanti escursioni alla scoperta di una fauna caratteristica: l'orso marsicano, il lupo e il gatto selvatico, numerosi rapaci come l'aquila reale, della poiana e il gufo reale, oltre ai reintrodotti cervi e caprioli.


    Parco nazionale del Gran Sasso





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    Il nostro territorio, la Marsica in provincia di l'Aquila, e' caratterizzato da piccoli borghi medioevali poco abitati e da una natura ancora intatta. I monti sono ricoperti di boschi, che dapprima misti (roveri, castagni, aceri), salendo di quota diventano immense faggete. In queste foreste vive la fauna originaria italiana, che in Abruzzo grazie ad estese aree protette si e' mantenuta piu' integra che altrove.A giro di pochi chilometri potrete visitare:



    Parco nazionale d'Abruzzo.

    Parco nazionale del Gran Sasso e monti della Laga.

    Parco regionale del monte Sirente e Velino.

    Zompo lo Schippo (la cascata naturale piu' alta d'Europa).

    I laghi di Scanno, Salto, Turano e Campotosto.

    Borghi medioevali come quello di Tagliacozzo.

    Resti dell'antica civilta' romana ad Alba Fucense

    ...e moltissimi altri luoghi suggestivi.



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    Campo Imperatore è un altopiano situato a circa quota 2000 m nel mezzo del massiccio del Gran Sasso d'Italia.
    Si estende per oltre 15 Km di lunghezza e 5 di larghezza ed è parte del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga Campo Imperatore si può raggiungere tramite una funivia da 100 posti che parte da Fonte Cerreto (1150 m s.l.m.) ed impiega soli 7 minuti per compiere il tragitto.

    E' anche sede di un giardino botanico nonchè di uno dei più importanti osservatori astronomici d'Italia

    Nel 1943, nell'albergo di Campo Imperatore, fu tenuto prigioniero Benito Mussolini fino alla sua liberazione avvenuta da parte dei soldati tedeschi.

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    Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga



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    <p align="center"><p align="center"><p align="center"><p align="center">La più grande ippovia d'Italia: 320 km attorno alla vetta più alta degli Appennini

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    L'Ippovia del Gran Sasso d'Italia

    Un percorso lungo circa 300 km. per scoprire e conoscere il patrimonio ambientale e culturale del Parco Gran Sasso-Monti della Laga. L'ippovia ruota attorno al massiccio del Gran Sasso e viaggia attraverso sentieri, strade bianche e mulattiere, tra ambienti collinari, altipiani e paesaggi d'alta quota, boschi e borghi medievali.

    L'intera traversata, articolata in diversi sentieri ed arricchita da una maglia di diramazioni e circuiti più brevi, richiede alcuni giorni ed una buona preparazione.

    Lungo il percorso sono stati ristrutturati punti d’acqua, abbeveratoi e fonti ed è stata anche realizzata un’innovativa segnaletica che evidenzia le emergenze naturalistiche, storico-architettoniche ed archeologiche, oltre ai ricoveri, agli ostelli e alle specialità gastronomiche del territorio. Sono state inoltre allestite aree di sosta o di tappa attrezzate con ricoveri per i cavalli, come ad esempio il complesso di Paladini (comune di Crognaleto), dotato di una foresteria di 50 posti letto, un ristorante, un punto informativo ed una stalla che può ospitare fino a 10 cavalli.

    L’ippovia mette infine in rete le aziende agrituristiche ed i centri ippici, favorendo così lo sviluppo dei servizi privati per una migliore accoglienza del cavaliere e del cavallo. Naturalmente le vie ed i sentieri dell’Ippovia, ristrutturati ed attrezzati, possono essere percorsi non solo a cavallo ma anche a piedi o con bici da montagna.

    * Il percorso

    Nel versante teramano il tratto più significativo è quello che favorisce il percorso delle pendici settentrionali del Gran Sasso d’Italia in direzione di Rigopiano, verso est, e di Nerito e Cortino, fin sui Monti della Laga, dal lato opposto, ricongiungendosi agli estremi con il percorso sul versante aquilano c he attraversa le vallate e i piani di media quota tra il lago di Campotosto, l’altopiano del Voltigno e Capestrano.
    Il tracciato del versante aquilano, a differenza di quello teramano, è molto più orientato sull’esaltazione dell’ambiente e del paesaggio, valorizzando in particolare il grande patrimonio storico-artistico costituito da borghi, castelli, abbazie e centri fortificati. È il caso dell’antica Baronia di Carapelle, con i famosi borghi di Santo Stefano di Sessanio, Castelvecchio Calvisio, Castel del Monte, Calascio, Barisciano, nonché centri possenti come Capestrano, famoso per il suo guerriero italico. Su questo versante, tuttavia, non mancano bellezze di grande interesse naturalistico come il lago di Campotosto o la Valle del Vasto, non lontano dalla straordinaria vallata del Chiarino, a cavallo tra le province di L’Aquila e Teramo.

    Il percorso di collegamento con l’area pescarese attraversa la vallata di Rigopiano, sotto l’imponente parete nord del Monte Camicia, straordinaria cornice al pittoresco borgo di Castelli. Si riallaccia al percorso aquilano toccando luoghi di incomparabile bellezza come la Val d’Angri, famosa per la presenza dei camosci, l’area faunistica del Parco, e di Farindola, ancor più nota per il suo mitico formaggio pecorino.



    Fringuello



    Campo Imperatore



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    Il parco del Gran Sasso e dei monti della Laga è una delle aree protette più grandi e più importanti d'Europa.

    Il Massiccio del Gran Sasso domina il paesaggio, il re degli Appennini si staglia verticale sui pascoli sterminati di Campo Imperatore, verso nord mentre migliaia di uccelli migratori sostano sulle rive del Lago di Campotosto, ai confini settentrionali del Parco, tra Abbruzzo, Lazio e Marche, si possono ammirare i profili più dolci della catena dei Monti della Laga, interamente ricoperti di boschi di faggio, abete bianco cerro e castagno. Oltre 2300 specie vegetali sono presenti in questa zona, una delle zone europee con la più elevata densità biologica.

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    PARCO NAZIONALE DEL GRAN SASSO E MONTI DELLA LAGA
    Lazio
    Lazio Lazio Lazio
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    Author homepage: Anton Shevchuk
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    SUPERFICIE: la superficie totale è di 150.000 ettari.
    TERRITORIO: comune di Amatrice (RI)
    CARATTERISTICHE: il massiccio del Gran Sasso, di natura calcarea e dolomitica, presenta caratteri aspri con pareti rocciose altissime, strapiombi e profonde valli; il massiccio della Laga è invece di natura marnoso-arenacea, dalle linee più dolci ed arrotondate. Il monte Gorzano, con i suoi 2458 metri, è la vetta più alta della Laga e di tutto il Lazio.
    FLORA E FAUNA: le entità floristiche sono circa 2000, 250 le specie di animali vertebrati
    ARTE E ARCHITETTURA: centri di origine medievale, chiese, antichi monasteri e castelli posti lungo gli antichi percorsi della transumanza





    A PESCARA C'E' LA CASA NATALE DI GABRIELE D'ANNUNZIO

    Museo “Casa Natale di Gabriele d’Annunzio” si svolge al primo piano dell’edificio che fu proprietà della famiglia d’Annunzio a partire dall’800. L’immobile, passato al demanio dello Stato nel ’57, fu affidato dal 1969 alla Soprintendenza ai BAAAS dell’Aquila. Un primo allestimento museografico, con esposizione di documenti d’archivio, fotografie e cimeli provenienti dal Vittoriale di Gardone Riviera, fu realizzato dalla “Fondazione d’Annunzio”, in occasione della mostra “L’Abruzzo nella vita e nell’opera di Gabriele d’Annunzio”, inaugurata nel 1963 e curata da M. Masci e D. Tiboni. Tale esposizione fu conservata fino al 1993 quando, in occasione dei restauri interni del Museo, fu possibile organizzare un nuovo percorso museale, con sistemazione di pannelli didattici nei quali si possono trovare notizie sulla famiglia del Poeta, arricchite da riferimenti letterari e fotografici, e sulla ricostruzione degli avvenimenti che lo videro protagonista di episodi clamorosi durante la prima Guerra Mondiale e dell’impresa di Fiume. Sono illustrati anche i paesi e i luoghi d’Abruzzo che d’Annunzio ha trattato nelle sue opere letterarie e gli artisti ai quali è stato legato da sentimenti di profonda amicizia, come il pittore Francesco Paolo Michetti e i componenti del Cenacolo di Francavilla al Mare. Altri pannelli sono dedicati alla ricostruzione storico-architettonica dell'antica Fortezza di Pescara e al suo successivo sviluppo urbanistico fino all’unificazione avvenuta nel 1927 con la vicina Castellammare Adriatico, grazie all’intervento del Poeta. Il percorso prevede la visita delle singole stanze della “casa-museo”, che conservano arredi e mobili d’epoca e decorazioni parietali di particolare pregio artistico. Ogni stanza è illustrata con una didascalia che ripropone quei brani del “Notturno” in cui il Poeta ricorda con parole ricche di sentimento sia gli ambienti e gli oggetti sia le persone a lui care.


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    Lago di Filetto





    image......ABRUZZO....



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    Torano Nuovo: Un pò della sua storia a cura di Anilo Nepa




    A metà strada tra il mare e i monti, adagiato su uno dei colli che si elevano sulla sponda sinistra del Vibrata, il piccolo Centro coronato di mille vigneti, lontano dai rumori della civiltà industriale, ignaro della nevrosi e dell’ansia della vita moderna, prospera respirando ancora l’aria della sua antica civiltà contadina. Di origini etrusche (lo stesso nome gli deriverebbe dalla dea Turan ), fu sempre centro agricolo importante, dedito soprattutto alla coltivazione di quell’antico vitigno tuttora oggetto di contesa tra Abruzzo e Toscana, dal quale l’avito vignaiuolo, spremeva (ce ne informa Plinio ) quel vino dalle virtù curative che servì ad Annibale, reduce dalla battaglia del Trasimeno, per curare i suoi rognosi cavalli e che l’imperatore Diocleziano, con apposito editto, onorò di un prezzo altissimo per l’epoca: trenta denari di bronzo al “sestario”. Lo chiamarono vino dei colli Palmesi, ma non poteva trattarsi che dei nostri vini, perchè, a distanza di tanti secoli, quel che oggi chiamiamo Montepulciano d’Abruzzo, continua ad avere la sua zona cru negli opulenti vigneti toranesi. Assorto ad importanza di posto fortificato (Oppidum Turani) il paese, dopo aver conosciuto tutte le ignominie e le umiliazioni delle tante invasioni,fu raso al suolo nel 1494, durante la cosiddetta “guerra del gesso” di Carlo VIII. Ma il rigoglio della campagna e la fama dei vini incoraggiarono una sollecita ricostruzione e gli abitanti scampati all’eccidio, quasi ad auspicio di fortune migliori, aggiunsero all’antica denominazione l’aggettivo “Nuovo” e lo chiamarono Torano Nuovo. La storia, la semplice storia, di questo antichissimo borgo s’identifica quasi nella storia millenaria del suo vino generoso, poichè dal commercio prosperoso di questo prodotto, i toranesi trassero, nel passato, fama di ineguagliabili vignaiuoli. I secoli hanno di poco mutato il volto pacioso dell’antico villaggio che continua a vivere, anche in questi momenti di furia selvaggia, lasua calma, tranquilla cita di sempre. Però, quasi inaspettatamente, ogni anno, ad agosto, esso esplode come impazzito in un’orgia di vino, salsicce e cacio pecorino. E’ la Sagra. Le vie e le chiuse piazzette pregne di effluvi, quasi incredule di tanta animazione, guardano ammirate e stupite i tanti sconosciuti, occasionali avventori. E la gente locale buona e ospitale, che ha messo in mostra, con orgoglio, il frutto della sua diuturna fatica, ma anche della sua antica bravura, sorride compiaciuta di tanto risultato, ma così… di sfuggita, frettolosamente. Ha già nostalgia delle placide notti silenti, interrotte soltanto dal canto dolcissimo degli usignoli. Vincenzo COMI Vanto e lustro del nostro paese, nacque a Torano Nuovo li 3 novembre 1765. I Comi erano originari di Nocera, ma Saverio Cuomo, il nonno di Vincenzo, venne a Torano come soldato di campagna e quì sposò Elena Dauri, che ebbe in eredità la casa in cui abitava la famiglia, possedeva terreni siti vicino case nell’attuale Via V. Comi, altri in C/da Fonte D’Orno, Pretella e Crognaletto (come risulta dal catasto onciario del Comune di Torano del 1700): ebbe tre figli: Annunziante, anch’esso soldato di campagna, Alessio, sarto e Nicolase. Vincenzo, foglio di Alessio, fu mandato dal padre a Napoli a studiare medicina, ma egli, più che a questa disciplina si dedicò alla chimica e nel 1790 pubblicava una memoria sulle acque minerali di Salerno, dedicata al protomedico Vivenzio. Laureatosi in Medicina e Chimica, si stabilì a Torano dove ebbe fama come medico e come chimico. Fù amico di Melchiorre Delfico e di famoso naturalisti quali Spallanzani, Fortis, Zimmermann e Thovvenel, che lo vollero come compagno dei loro viaggi nel Regno di Napoli. Fù il primo a intraprendere la pubblicazione di una rivista periodica ( uno dei primissimi esempi di editoria scientifica) con titolo: “Il commercio scientifico d’Europa col Regno delle Due Sicilie, per i professori ed amatori di chimica, fisica, storia naturale”. Il giornale, composto di sei volumi, uscì per tutto il 1792. Alla fine del sesto volume la rivista cessò molto probabilmente, a causa delle rivoluzioni che imperversavano in quegli anni. Dopo tale periodo, egli si dedicò ad applicare la chimica all’industria e nel 1794 aprì in Teramo una fabbrica di cremore di tartaro (seguita da altre due a Giulianova e Grottammare), nel 1802 un’altra per la concia delle pelli e nel 1809 una terza per la lavorazione della liquirizia. Fu uomo di singolare talento nel parlare e nello scrivere, come affermavano i suoi contemporanei. Nel 1798 si trasferì a Roma perchè sospettato di idee liberali e nel 1820 lo ritroviamo deputato al Parlamento del Regno di Napoli dove, il 21 dicembre 1820, presentò una legge sulle Casse Ipotecarie Nazionali che riunissero il vantaggio di sconto-pegno e sovvenzioni. La sua grande fama è comunque legata alla grande conoscenza degli elementi chimici che egli applicò nei campi più disparati. Proprio a questa passione per le scienze si deve infatti la sua morte immatura: aveva contratto una malattia ai polmoni mentre osservava l’attività del Vesuvio nel 1830, per la lunga permanenza in siti umidi , mentre era dedito alla preparazione di pregiati vini.


    vi parlo di questo piccolo paesino perchè qui nacque mio nonno Ugo, aveva 2 fratelli e una sorella...Il mio bisnonno Emidio era medico condotto....il suo mezzo di trasporto era una carrozza (o forse un calesse)...andava a curare i malati..di tutta la zona....era molto amato ed aiutava tutti...pensate che anche adesso ... è ricordato nella memoria...della gente del posto forse per episodi raccontati dai nonni Mio nonno anche se si era trasferito per motivi di lavoro.....amava la sua terra...e ogni natale ordinava dei piatti del luogo e se li faceva spedire....con una torta che si chiamava la "torta di San Marino"..ho un ricordo bellissimo di lui...comprava tutte le novità "tecnologiche" ...mi ricordo che andavamo sempre a casa sua per vedere la tv....mi ricordo immagini di SanRemo....era buono come il pane..riservato...e mi faceva tanto ridere..tutte le volte che andavamo a trovarlo diceva "Zia Pierinetta (una mia zia) prepara le patatine per i Bambini!!!...mi ricordo ancora il sapore di quelle patatine fritte....







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    PIETRACAMELA



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    Tra i comuni piu' alti della provincia di Teramo Pietracamela e' l'unico ad avere l' intero territorio compreso nel Parco del Gran Sasso - monti della Laga. Entrando nel paese ci si accorgere subito che si tratta di un borgo di montagna davvero antico, dove molte delle case risalgono al 1500 e addirittura al 1400. A testimoniare le sue remote origini non sono solo la struttura urbanistica e l' architettura delle case piu' antiche, ma anche la cadenza e le inflessioni del particolarissmo dialetto locale. Osservando la vecchia torre che si incontra entrando in paese, ora divenuta casa del canonico, si puo' leggere la data incisa sulla finestra: 1550. La chiesa di San Donato e' del 1530, e quella di San Giovanni e' datata addirittura al 1432. . La chiesetta dedicata a San Rocco risale al 1530, quella di San Leucio (e' il santo patrono) conserva, oltre all' organo in legno, una curiosa acquasantiera con scolpiti animali acquatici tipici della zona. Passeggiando poi lungo le stradine del centro storico, tra le tipiche case in pietra di una volta, ormai quasi tutte ristrutturate, con un po' di attenzione si troveranno la casa de Li Signuritte, con bifore del 1400 ed un crocifisso in maiolica, e la casa di Don Ioani, con lo stemma civico ed iscrizioni scolpite in pietra. Proseguendo sulla strada oltre Pietracamela si sale fino a quota 1450, raggiungendo, dopo circa 5 km, Prati di Tivo, la più attrezzata stazione invernale del Gran Sasso d'Italia, alberghi d'ogni categoria, una piscina coperta, 6 impianti di risalita (seggiovia e sciovie), 12 Km. di piste di discesa e 4 Km. di piste di fondo, due scuole di sci, guide (i famosi "Aquilotti del Gran Sasso") e soccorso alpino,e varie infrastrutture per lo sport ed il tempo libero. La seggiovia porta sino alla "Madonnina", a 2000 metri d'altezza, da dove partono sentieri di varia difficolta' che portano, tra l'altro anche alla sommita' del Gran Sasso stesso. Il rifugio Franchetti, alla base del ghiacciaio del Calderone, si trova ad un'ora di cammino dalla "Madonnina". Nel marzo del 1991 il Comune ha istituitoIl camoscio d'Abruzzo la Riserva Naturale Corno Grande di Pietracamela, affidandone la gestione al CAI, e proteggendo cosi' oltre 2200 ettari di montagna incontaminata. Da qualche anno nella riserva e' stato reintrodotto il Camoscio d'Abruzzo (scomparso piu' di un secolo fa) ed oggi una trentina di esemplari corrono liberi tra prati e balze rocciose. Non e' affatto raro scorgerli mentre si percorre la "Cresta del Centenario".

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    CENTRO STORICO




    Pietracamela, m. 1005, uno dei comuni più alti della provincia di Teramo
    Un insediamento antico e dalle origini leggendarie, certamente attivo in età romana. Dalle prime notizie storiche si apprende che inizialmente esistevano tre villaggi distinti: S.Leucio, Plicanti e Rioruso che per eventi ignoti si fusero insieme. Il nuovo paese si chiamò forse Petra Cimmeria, dai popoli Cimmeri, o Cameria, dai Camerti, secondo Mario Montebello; ma altri pensano che il toponimo sia dovuto alla grande roccia in forma di cammello che sovrasta le case. Nel lindo nucleo medioevale e in gran parte ancora recuperabile, sono numerose testimonianze storiche ed artistiche uniche o rare, tutte di notevole importanza. Tra l'altro: la chiesa ex parrocchiale di San Giovanni (1432), sulla cui fronte spiccano il portalino inscritto, il campanile a vela, la meridiana antica e l'orologio, chiesa che ricorda un maestro Marcus de Tringiano; la chiesetta di San Rocco (1530), all'estremità più alta del paese ; la casa de li Signuritte (Signoretti o Signorotti), con le emblematiche bifore del '400 ispirate a quelle teramane dei Signori di Melatino ; la casa di Don Ioani del 1505 con lo "stemma civico"; e le iscrizioni, d'importanza storica, dei due immodesti "governatori" della Valle Siciliana, Baltasar Carvallus Hispanus (1523) e Marcellus Carlonus de Napoli (1590), l'una all'ingresso del borgo in Piazza Cola di Rienzo (che si pensa abbia avuto i natali lassù) e l'altra nella casa Perfetti subito prima della chiesa di San Rocco. E sopra il paese, tra rocce e fienili in parte trasformati in villette, resiste in ambiente montanaro - "Sopratore" e "Segaturo" - assai caratteristico, piu' volte ritratto dal pittore pretarolo Guido Montauti (1918-1979) ed affrescato sulle rocce dal suo gruppo artistico "Il pastore bianco". Verso valle, alle prime case del quartiere meno antico dominano "La Villa" , è l'odierna parrocGuido Montauti: pitture rupestrichiale di San Leucio . Ai Prati di Tivo (alcuni invece ritengono che Tivo sia una mitica divinità silvana), da m. 1450 ai 2000 dell'Arapietra dov'è la statua bronzea della Madonnina del Gran Sasso, proprio ai piedi del Gran Sasso che fu scalato laprima volta già nel 1573 dall'ingegnere bolognese Francesco de Marchi, collaboratore di Margarita d'Austria, il Corno Grande ha ricevuto in questo secolo celebri alpinisti quali Cesare Maestri, Fosco Maraini, Walter Bonatti, accompagnati tutti dall'espertissima guida locale Lino D'Angelo; e sull'impressionante Paretone si è cimentato anche il famoso "sciatore acrobata" Toni Valeruz.

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    la fontana

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    la piazza

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    Alcune delle innumerevoli specialita della cucina Teramana e Pretarola che per la sua genuinità, per le tradizione che l'accompagna e per la cura applicata è unica e inconfondibile...

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    C'è chi li chiama spaghetti, ma i depositari della tradizione, li chiamano Maccheroni, e ne stabiliscono le misure (più larghi o più stretti) a seconda della destinazione finale e del gusto personale. Una certa ruvidezza e la caratteristica forma quadrata ne fanno un protagonista assoluto della cucina cittadina, che lo vuole tradizionalmente condito con un sugo ricco di carne. Sbaglierebbe, però, chi pensasse ad un ragù o ad un macinato ricotto nel pomodoro, la regola impone sì la carne, ma a "pallottine", cioè lavorata in polpette grosse come un'unghia, fatte a mano, una ad una, in interminabili serate di preparazione prefestiva, visto che ancora oggi, nelle case dei cittadini d'Interamnia, la chitarra è il primo piatto del giorno di festa. Immancabile, poi, nel menù del pranzo di nozze tradizionale, anzi: è sulla qualità della chitarra che si giudica, quasi sempre, il livello del pranzo nuziale. Unica concessione al moderno è la lavorazione, il taglio della pasta avviene ormai a macchina, rarissimo è il ricorso all'antica "chitarra" di legno e corde d'acciaio sulla quale, con la forza del mattarello, la massaia teramana costringeva la sfoglia a farsi maccherone. Il turista che volesse iniziare il proprio viaggio alla scoperta dei sapori teramani, dunque, non esiti a chiedere in ogni ristorante della zona i "Maccheroni con le pallottine".

    Il timballo image

    È l'altro signore del dì di festa, ma pretende le feste comandate. È immancabile tra le portate del Natale, del Capodanno, della Pasqua e a Ferragosto e nelle feste intime familiari. Un po' avaro di sugo (sarebbe un errore se macchiasse il piatto con una colata di pomodoro), ma ricco di "pallottine" come quelle dei maccheroni alla chitarra, il "Timballo alla teramana" trova la sua eccezionalità nella preparazione degli strati che, unico tra i suoi simili, non sono di pasta sfoglia, ma di "scrippelle". E qui, necessariamente, si deve aprire una parentesi: per "scrippella" si intende una frittatina di acqua, farina e uova, sottilissima, preparata su una padella caldissima, con un fare e una ricetta che sono simili, se non identiche, alla gestualità della "crepe" francese. C'è addirittura chi sostiene che i francesi abbiano scoperto a Teramo, negli anni del loro passaggio italiano, l'esistenza della "scrippella", ma è sicuramente vero il contrario. Il timballo alla teramana, dunque, sarebbe lontano parente delle "crepes" vendute all'angolo degli Champs Elysees, ma la sua preparazione e la sua concezione ne fanno un figlio unico tra i piatti. Oltre al sugo con le pallottine, i leggerissimi strati di scrippelle ospitano infatti spinaci, uova, dadini di formaggio o mozzarella, carciofi e tutto quello che ogni donna di casa ha ereditato da madre e nonna.

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    Arrotolate, o meglio: ripiegate su se stesse ad ospitare magari un velo di grana, le stesse scrippelle che il timballo usa come impalcatura del suo impianto gustoso, come pavimento leggero e saporito dei suoi piani, trionfano in questo leggerissimo piatto. Un brodo leggero, ma non per questo insapore e inodore, meglio se di gallina (rigorosamente sgrassato), riempe il piatto nel quale sono adagiate le scrippelle, l'una vicino all'altra, come i rotoli di papiro nelle barche dei faraoni. Tutto qui. La leggerezza della scrippella e quella del brodo, la consistenza della prima e la liquidità del secondo, addirittura le diverse temperature (scrippella fredda e brodo caldo), provocano un intreccio unico di sapore. Come la pioggia sulla terra da tempo arida, il brodo bagna la scrippella ('mbusse, sta infatti per bagnate), ma non la gonfia, non la vince, non c'è assorbimento se non minimo. Il gusto è nel gioco del cucchiaio, che spezza la scrippella e la raccoglie con il brodo caldo di gallina.

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    Sembrano un secondo e, di certo, l'impressione prima del turista sarà quella di considerarle una portata successiva al timballo o ai maccheroni alla chitarra. Invece, le mazzarelle sono un primo, anzi: il primo obbligatorio del pranzo pasquale, una sorta di tradizionale ouverture dedicata all'agnello ed evocatrice di un indimenticato e indimenticabile passato di quotidianità contadina. Piatto semplice, all'apparenza, coratella di agnello avvolta in foglie di indivia legate con budelline dello stesso agnello, ma soggetto all'irrisolto dibattito tra due scuole di pensiero: quella della mazzarella semplice, cotta in un soffritto che ne esalti il sapore, e quella della mazzarella in umido, lasciata cuocere in un sughetto che si impreziosisce degli umori delle carni d'agnello.

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    Sono il piatto principe della cucina teramana. Più che un piatto: il santo patrono della gastronomia locale e, come tutti i santi, hanno un loro giorno e un loro rito. Il giorno è il primo maggio, il rito è quello della condivisione del sapore: non esiste famiglia che prepari le Virtù solo per il proprio piacere: si donano, si scambiano, sono motivo di invito e di riunione, sono parametri di riferimento dell'abilità di una massaia. Non sembri eccessivo, le Virtù non sono un piatto, sono "Il Piatto" della cucina teramana, un vero e proprio rito collettivo, un momento di estasi cittadina affidato al confondersi non confuso dei sapori di una sorta di minestrone complesso che richiede, secondo tradizione, almeno tre giorni e tre notti di lavoro anche se, in realtà, l'opera comincia molto prima, con la scelta degli ingredienti, con la preparazione mentale all'impresa, con la scelta delle quantità in base agli ospiti attesi o ai doni dovuti. Figlie della primavera e della necessità di cancellare il passato inverno, le Virtù ospitano nel loro intreccio gustoso i sapori della stagione perduta e quelli della stagione nascente. Gli ingredienti sono un manifesto del sapore: piselli, fave, carciofi, spinaci, cicoria, indivia, bietole, rape, sedani, zucchine, erbe ed erbette aromatiche, lenticchie, ceci, fagioli, farro e poi prosciutto, piedini di maiale, cotiche, pallottine di carne, pasta secca di molti formati (corta o lunga spezzata) e di molti colori, e pasta all'uovo di ogni tipo (anche se i puristi della cucina locale considerano fuori luogo e non tradizionale il tortellino, ormai usatissimo). La straordinarietà rituale del piatto è nel fatto che ogni ingrediente, avendo un tempo di cottura diverso dagli altri, deve essere preparato a parte, in un tegame separato. Solo alla fine, quando tutti gli ingredienti sono pronti, si procede alla cottura della pasta e all'amalgama finale, a conclusione di un lavoro certosino, silenzioso, durissimo.

    I Calcionetti image


    L'etimo è incerto, difficile dire perché si chiamino Calcionetti o Caggionetti, il sapore è straordinario. Eppure, questi dolci invernali sono un paradosso, uno scherzo gastronomico, un mistero. La forma è quella del raviolo, mezzaluna dentata, ma l'impasto è di acqua e farina, rosso d'uovo e olio, è un leggerissimo, quasi impalpabile "contenitore" che esalta e non prevarica il gusto del "contenuto". È il ripieno, infatti, il vero punto di forza: un impasto di castagne o ceci, a formare una purea arricchita poi dal cioccolato, dal rhum, dal miele e dallo zucchero, vaniglia, mandorle tostate e pezzettini di cedro. Una vera e propria opera d'arte.


    dal web
     
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    Crognaleto.(Tr)



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    Il comune di Crognaleto, compreso nell'area del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, è abitato da poco più di 1.550 persone ed è costituito da una infinità di piccolissime frazioni (circa 20) ubicate sui Monti della Laga, ad altitudini che vanno dai 555 m. di S. Croce ai 1.141 m. di Cesacastina.

    Indipendentemente dalla loro altitudine, tutti i piccolissimi borghi dislocati sul territorio comunale di Crognaleto rappresentano veri e propri paradisi naturali che racchiudono, in molti casi, autentici tesori come la cinquecentesca chiesa di S. Caterina e la suggestiva chiesetta della Madonna della Tibia in località Crognaleto; la chiesa di S. Maria Apparente nella frazione Alvi; la chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo nella frazione di Nerito, attuale sede municipale; la chiesa di S. Andrea (XIV sec.) nella frazione di Cervaro; la stupenda chiesa di S. Giovanni Battista nella frazione di Frattoli e la bellissima chiesa di S. Maria Laurentana, con portale e soffitto ligneo del XVII sec., nella suggestiva frazione di Poggio Umbricchio; la chiesa di S. Nicola (XVI sec.) nella frazione di Piano Vomano. In località Piano Roseto si ergono, ad oltre 1250 m. di altitudine, le rovine della rocca di Rocca Roseto, di probabile origine sveva.

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    Nel territorio della frazione di Cesacastina si possono fare suggestive escursioni in un vero e proprio Eden qual'è la Valle delle Cento Cascate.

    Particolare menzione merita la minuscola frazione di Senarica - premiata dalla Regina Giovanna I D'Angiò con l'autonomia per la sua fedeltà alla corona - che fu alleata della "Serenissima Repubblica di Venezia" e rimase Repubblica autonoma fino all'epoca napoleonica.



    VALLE DELLE CENTO CASCATE


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    Una cascata nella "Valle delle Cento Cascate"



    La Valle delle Cento Cascate è un angolo particolarmente spettacolare e suggestivo del Parco Nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga. E' situata ai piedi del Monte Gorzano (2.458 m., la vetta più alta del massiccio della Laga), sopra al borgo di Cesacastina (1.140 m. slm.), piccola frazione del comune di Crognaleto.
    La Valle prende il nome dalle decine di cascate e cascatelle che il torrente Fosso dell'Acero, ricchissimo di acque soprattutto nel periodo tardo-primaverile, alimenta nella sua vorticosa discesa tra boschi di faggi secolari, ricchi pascoli e giganteschi lastroni di arenaria, sotto l'austero sguardo delle vette del Corno Grande (2.912 m., la cima più alta degli Appennini) e del Pizzo di Intermesoli (2.635 m.), che sembrano sorvegliare dall'alto il regolare procedere degli avvenimenti.
    A fine primavera-inizio estate il percorso, che porta ai 1.759 m. dell'Anfiteatro delle Cento Fonti (ed anche più in alto per gli escursionisti più esperti), è punteggiato da stupendi fiori selvatici d'altura, tra cui diverse specie di orchidee.

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    Prati di Tivo



    Prati di Tivo è una località turistica montana sulle falde del Gran Sasso, nel Comune di Pietracamela ("I Borghi più belli d'Italia"). Il nome pare derivare dal termine prati retrivi ossia prati tardivi data la sua posizione in alta quota (1450 m). È sita a 6 km dal centro storico di Pietracamela e a 40 km da Teramo. Abbondante la ricettività costituita dai numerosi alberghi.

    E' una rinomata località sciistica degli Appennini, compresa nell'area del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. E' dominato dalle pareti nord-orientali delle due cime più alte della catena del Gran Sasso: il Corno Grande (2.912 m.) e il Corno Piccolo (2.655 m.). Tra le due vette, alla quota di 2.680 m., si nasconde il ghiacciaio del Calderone, l'unico degli Appennini ed il più meridionale d'Europa. Il ghiacciaio si raggiunge attraverso il sentiero che dai Prati di Tivo porta prima al Vallone delle Cornacchie e poi al rifugio Franchetti (a 2.433 m. di quota). Per la prima parte del percorso può essere utilizzata la seggiovia, che porta i passeggeri fino ai 1.980 m.

    Ad ovest dei Prati si ergono i massicci del Monte di Intermesoli (2.635 m.) e del Monte Corvo (2.623 m.).

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    A Prati di Tivo, ai piedi del versante settentrionale del Corno Piccolo, sono attive piste da sci da discesa e relativi impianti di risalita:
    Il nuovissimo impianto ad agganciamento automatico "La Madonnina", misto seggiovia quadriposto e cabine ad otto posti, può portare 1.800 persone ogni ora a quota 2'050 metri, superando un dislivello di 600 metri, fino ad una impegnativa pista "nera" (che non è stata ancora aperta) oppure a quota 1.750, alla stazione intermedia, non accessibile dalla cabine, da dove parte una interessante pista "rossa";
    Seggiovia quadriposto "Prati di Tivo" (agganciamento fisso) lunga 450 metri, può portare 2.185 persone ogni ora a quota 1.550 metri, superando un dislivello di 110 metri, difficoltà pista: rossa/azzurra;
    Seggiovia biposto "Pilone di mezzo" (agganciamento fisso) lunga 910 metri, può portare 1.198 persone ogni ora a quota 1.810 metri, superando un dislivello di 320 metri, difficoltà: rossa;
    Doppio skilift "Jolly", lungo 293 metri, può portare 720 persone ogni ora a quota 1.440 metri, superando un dislivello di 45 metri, difficoltà: azzurra/campo scuola.
    La storica seggiovia monoposto "La Madonnina", in servizio fino all'estate 2008, ha lasciato il posto ad un moderno impianto combinato di seggio-cabinovia con stazione intermedia, inaugurato il 20 dicembre 2009 e costato 12.500.000 €.; si tratta del primo impianto di questo genere realizzato in Italia. Verranno inoltre introdotte una serie di misure automatiche antivalanghe sulla discesa dell'arapietra e rimossi tutti gli enormi massi presenti sul pendio.
    È presente anche una pista per lo sci da fondo.
    In estate la località Prati di Tivo offre diverse possibilità per escursioni e ascensioni con diverso grado di impegno: da semplici passeggiate nei boschi a difficoltose arrampicate su roccia.
    Attraverso la Valle del Rio Arno e Campo Pericoli è possibile fare una traversata e giungere a Campo Imperatore,mentre attraverso la sella di Cima Alta-cui si giunge prendendo la strada che continua a sinistra sul piazzale-si può arrivare nel comprensorio del comune di Isola del Gran Sasso.

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    il Gran sasso visto da Prati di Tivo

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    Castelli




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    Un borgo medievale tra i più belli d'Italia

    Piccolissimo comune della provincia di Teramo, Castelli è situato proprio a ridosso del monte Gran Sasso. Come la vicina Civitella Del Tronto, anche Castelli appartiene al Club dei Borghi più Belli d’Italia e vale sicuramente la pena di farvi una visita. La sua splendida posizione geografica è capace di offrire una vista del complesso montuoso del Gran Sasso veramente mozzafiato, con colori profumi e dettagli che mutano e conquistano lo spettatore di stagione in stagione. A Castelli il visitatore sperimenta anche la suggestiva sensazione di un vero e proprio viaggio all’indietro nel tempo: si tratta infatti di un piccolo ed arroccato borgo medievale protetto da un antico castello, che se in epoca carolingia difendeva i suoi abitanti dalle aggressioni esterne, oggi sembra difendere il paese dalle incursioni di una modernità e di un’urbanizzazione che altrimenti lo priverebbero del suo fascino.


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    Le ceramiche e maioliche di Castelli

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    Vaso in ceramica di Castelli



    Per chi desidera effettuare una visita approfondita della città di Castelli, è consigliabile una visita al museo della ceramica e la chiesa di San Giovanni Battista, con annessa Cappella di Santa Croce. La Cappella fu realizzata nel 1601 dai figli di Orazio Pompei dopo la morte del padre. Spicca, all’interno della cappella, uno splendido soffitto in maiolica che si stima venne realizzato tra il 1615 ed il 1617 e dove si vedono rappresentati differenti motivi decorativi tra cui animali, motivi geometrici, ritratti, rosoni, santi e così via. La bellezza di questa cappella colpì Carlo Levi a tal punto che la volle definire “la Cappella Sistina della Maiolica”. Anche la pala d’altare presente nella chiesa, che rappresenta la Traslazione della Santa Casa, presenta tutto intorno formelle di maiolica, attribuite a Francesco Grue e risalenti al 1647.
    Prima di partire per un itinerario a piedi lungo le pendici del Gran Sasso, fate una visita anche alla Chiesa di San Rocco, dove tradizione vuole che l’immagine della Madonna di Andrea De Litio risalente al quindicesimo secolo sia stata vista lacrimare.

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    Mosciano S. Angelo


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    Cenni Storici

    Antico borgo medioevale, situato a circa 10 Km dalla costa adriatica ed adagiato sulla dorsale collinare tra le vallate dei fiumi Tordino (a sud) e Salinello (a nord), ricordato già in un documento dell' 897 nel quale si accenna ad una "res Musiani" a proposito di una vertenza sulla giurisdizione del locale feudo. Narra lo storico Vincenzo Bindi che "i Monaci Benedettini, attratti dalla tranquillità ed amenità del sito, vi edificarono il monastero di S.Angelo, con l' annessa Chiesa, intorno a cui sorsero case ed abituri, cinti da mura merlate, che costituirono un piccolo castello, con ampio e profondo fossato, un' unica porta di accesso e un ponte levatoio.

    Il Cenobio e la Chiesa furono retti da un Preposito, che ebbe cura di anime, e, nei primi tempi, anche la civile giurisdizione sugli abitanti, fino a che il Cenobio stesso, col Castello e la Chiesa , non caddero in potere degli Acquaviva. Una torre, che ancora resta in piedi, ricorda questo dominio e chi la fece costruire, con una epigrafe, importante per la storia patria. Gli Acquaviva ottennero poi, come da una bolla di Bonifacio IX, il patronato sulla Chiesa e la facoltà di nominare (...) gli Abati Commendatari, i quali se ne stavano lontani, pur godendosi le pingue rendite, e lasciando la cura delle anime ad un povero prete, provvisto di meschino assegno. Perciò la Badia di S.Angelo, un dì ricca e florida, con giurisdizione quasi episcopale, miseramente decadde. Il piccolo castello, abbattute le mura negli anni successivi, a poco a poco si ampliò, si arricchì di case e di palazzi, ebbe ampie piazze e comode strade e crebbe di popolazione, da diventare oggi una delle più ricche, floride, belle ed industriose cittadine della Provincia di Teramo.


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    A mezza strada tra Mosciano e Giulianova, in sito amenissimo e ricco di ogni sorta di prodotti, in vasto e pittoresco orizzonte, sorgeva in tempi remotissimi un Fano, che in appresso venne convertito in Chiesa cristiana, dedicata ai Santi Sette Fratelli, figliuoli di S.Felicita. Nel medioevo vi furono eretti un Monastero ed un Casale de' Cassinesi, ricordati dalle memorie del tempo, nelle lamine delle porte di bronzo di Montecassino e nelle bolle di Urbano II, Pasquale II, Alessandro III, Innocenzo III ed in altri documenti successivi: venivano retti dal Preposito di S.Liberatore, vicario in queste parti dell'Abate Cassinese. Anche questo Cenobio e l'annessa Chiesa caddero sotto gli Acquaviva, che nominavano i preposti a loro talento. Deperito ed abbandonato il Monastero, il Cardinale Ottavio Acquaviva restaurò e quasi interamente rifece il Cenobio, destinandolo a sede de' Minori Osservanti: dell'antica Chiesa rimase in piedi solo una parte, e in piedi rimase l'antica torre e l'immagine della Madonna del Casale: il Guardiano ebbe la cura delle anime. Divenuto in seguito Commenda, e primi Commendatari ne furono gli stessi Acquaviva, il Guardiano continuò ad esercitare la spirituale giurisdizione, fino a che, per estinzione del ramo ducale dell'illustre famiglia, la chiesa venne riunita a quella di S.Angelo di Mosciano ed a Mosciano si addisse la cura religiosa. La prepositura, divenuta regia, il diritto di nomina venne in appresso esercitato dal Re".

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    municipio




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    montone




    Quanto a Montone - narra ancora il Bindi -"fu anche esso un castello (...) con circostante casale, soggetto, come tante altre terre degli Abruzzi, alla casa Ducale Acquaviva. Costruito su amena collina, vi si gode uno stupendo e meraviglioso panorama, che abbraccia il vastissimo orizzonte, dall'Adriatico all'Appennino (...). Non vi resta oggi altro di notevole che la Chiesa di S.Antonio Abate, a cui nel XVI secolo era annesso un Convento appartenuto a' Monaci Celestini (...). La grancia fu nel 1656, per volere di Giosia III, duca di Atri, annessa a S. Maria dello Splendore in Giulianova. Il Padre Giuseppe Bardi, Priore dello Splendore, cedette la Chiesa alla famiglia de' Bartolomei, la quale già, per antecedenti permute, possedeva le vicine abitazioni. Questa famiglia vi fece collocare, togliendolo dall'antica Chiesa di S.Giacomo, il monumento sepolcrale, che il fondatore di questa chiesa stessa, ridotta a cimitero, Bucciarello di Giacomo di Bartolomeo, erasi fatto costruire. E' pregevole l'opera dell'arte nostra per gli intagli e le sculture che vi si ammirano, condotte con non comune magistero. Venne eseguita nel 1390, come da epigrafe ivi esistente"- (Brani tratti da una monografia redatta da Vincenzo Bindi - cfr. Le Cento Città D'Italia Illustrate Giulianova La Posillipo degli Abruzzi- pag. 16. Ristampa a cura della Galleria D'Arte Moderna di C. Limoncelli & C. sas, Teramo).


    I monumenti

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    La Torre Acquaviva, posta sul lato sinistro della facciata della Chiesa Madre, è costruita interamente con mattoni, è a base quadrata, larga sei metri e alta 28. Gli spigoli sono rinforzati da blocchi di pietra squadrata fino a quasi metà altezza e la sommità è coronata da quattro serie di quattro merli di foggia ghibellina.
    La sua costruzione, avvenuta dopo quella della cinta muraria, completava tutto il sistema difensivo, che prima mancava di un adeguato mezzo d’osservazione lontana e di difesa estrema.
    La torre infatti, disponeva, un tempo, di cunicoli segreti. Di questi il più conosciuto è quello che la collegava alla casa parrocchiale, accessibile fino a pochi decenni or sono.
    Dall’alto, essa offre un panorama incantevole dall’Adriatico al Gran Sasso; da Atri, Castellalto, sino alle valli del Salinello e della Vibrata, costellate da una fastosa corona di ridenti paesi e borgate.
    A circa sei metri da terra è infisso, sulla facciata est della torre in parola, un bassorilievo in pietra, che reca scolpite figure simboliche in tre settori sovrapposti.
    Nel settore superiore troneggia la figura di S. Michele Arcangelo, con le ali spiegate in tutta la loro ampiezza, in atto di protezione del paese a cui ha dato il nome nonché alla Chiesa; il busto dell’angelo poggia su un capitello dorico a triplice ordine di volute; nella parte intermedia, notansi un drago, simbolo di prudenza nella famiglia Acquaviva, strettamente associata alla forza, rappresentata - in basso – dalla figura di un leone rampante con sopracimiero coronato: l’arme della famiglia stessa.
    Secondo lo storico Antinori, il leone rampante, di cui allo stemma posto al centro, sarebbe quello della famiglia Cantelmi, imparentata con gli Acquaviva; l’altro (a sinistra di chi guarda) rappresentante uno scudo traversato da fascia orizzontale con tasselli ornamentali a tutta la periferia, sarebbe lo stemma della famiglia Tomacelli avendo, Andrea Matteo, duca di Atri (in onore del quale fu innalzata la torre stessa) sposato Caterina, nipote di Papa Bonifacio IX; il terzo stemma, una banda diagonale a tre ordini di tasselli scompartiti a scacchiera, era lo stemma dei S. Severini (a motivo di Jacopa, ava dello stesso Andrea Matteo).
    L’Arcangelo svolge da ciascuna mano, lungo i suoi fianchi, due pergamene nelle quali sono scolpite le seguenti iscrizioni in caratteri longobardi:

    (pergamena di sinistra, guardando)

    + L’ANNO MCCCXCVII
    PER MISERICORDIA DIVINA DOMINANTE
    BONIFACIO IX
    E REGNANTE IL SERENISSIMO RE LADISLAO
    RE DI GERUSALEMME, SICILIA E UNGHERIA
    E VIVENTE
    IL CELESTE UOMO ANDREA MATTEO
    DI ACQUAVIVA DUCA DI ATRI
    E CONTE DI SAN FLAVIANO
    (pergamena di destra)

    FECE COSTRUIRE QUESTA TORRE
    FRA MATTEO ANGELO DA MORRO
    DELL’ORDINE DI SAN BENEDETTO
    PREPOSTO NEL SUMMENZIONATO TEMPO
    DI QUESTA CHIESA DI SANT’ANGELO
    IN MUSANO

    In seguito all’ampliamento della chiesa, il mastio, costruito a circa due metri di distanza, venne accorpato ad essa ed adattato a campanile con apertura di finestroni ad arco sotto lo sporto.
    In data imprecisata, molto probabilmente intorno al XVII secolo, all’interno della torre venne collocato l’orologio meccanico, tutt’ora esistente.


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    la Chiesa dell'Addolorata (1828/41)La chiesa dell'Addolorata definita unanimamente la chiesa più bella del paese. La sua costruzione risale al 1828, l'anno dopo il decreto del 10 settembre 1827, con cui Francesco I di Borbone aveva concesso il permesso di edificarla. Dopo tredici anni la nuova chiesa, progettata dall'architetto Federico Dottorelli, fu inaugurata il 23 maggio 1841 da un monaco delegato da Mons. Berrettini, Vescovo di Teramo. Inizialmente la chiesa era lunga appena tredici metri, poco più di una cappella. Nel 1862 la confraternita incaricò l'architetto Giuseppe Lupi di Teramo per ampliare la chiesa e abbellirla internamente. Questi fece demolire la vecchia abside ed allungò la chiesa di altri sei metri, creando lo spazio per la costruzione della cupola centrale del campanile e della sagrestia. Internamente fece costruire le colonne con capitelli corinzi e la struttura dell'organo a canne sulla porta d'ingresso. Non fu possibile invece, a causa dell'eccessivo costo, la ricostruzione della facciata che prevedeva quattro lesene e la trabeazione in stile neoclassico.

    Durante l'ampliamento della chiesa dell'Addolorata, furono eseguite delle pregevoli decorazioni con lo stucco dallo scultore ascolano Domenico Farnese e i dipinti dei quattro Evangelisti, nelle lunette della cupola, e della vita di Gesù, sulle pareti, dall'artista Berardino dei Conti Delfico. Tra il 1874 ed il 1876, su commissione del sindaco Pietro Sabatini, il pittore teramano Gennaro Della Monica dipinse i due quadri posti sugli altari laterali della chiesa e le eroine del vecchio Testamento: Debora, Ester, Giuditta e Sara. Nel 1889 gli artisti romani Filippo Fiorentini e Salvatore Giorgi la decorarono con oro cornici, lesene, pilastri ed altari. Il 27 gennaio 1888, il sommo pontefice LEONE XIII, con lescritto della sacra congregazione, concesse l'indulgenza plenaria "toties quoties" a tutti i fedeli che nella terza o quarta domenica di settembre avrebbero visitato le chiese appartenenti all'ordine dei servi di Maria, al terzordine francescano e alla confraternita di Maria Santissima Addolorata (1).

    Nel 1894 il commendatore Pasquale Ventilii fece intervenire il prof. Prospero Piatti dell'Accademia vaticana, per dipingere il trittico dell'Adorazione nell'abside della chiesa. Agli inizi del 900 per la presenza di falde acquifere nel sottosuolo, fu eseguito un rilevamento geologico. Si resero perciò necessarie delle opere di consolidamento, affinchè la chiesa non subisse gravi danni. Infine furono realizzati, nel 1923, dei sottomurati sulla parete Est ed eseguiti dei concatenamenti, con piastre di ferro, su tutto il perimetro della chiesa, i quali ancora oggi sono visibili dall'esterno. Dopo tanti anni, nel 1977, la chiesa dell'Addolorata fu restaurata completamente. Sotto la direzione tecnica di chi scrive venne smantellata e ricostruita tutta la copertura. Il pavimento in marmo Carrara, logorato dal tempo, fu restituito alla bellezza originale. Il pittore giuliese Venanzio Tentarelli, restaurò gli stucchi originali delle colonne, dei capitelli e delle pareti e alcuni affreschi rovinati dalle infiltrazioni d'acqua piovana.

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    la Chiesa di Maria SS. del Rosario (1853/1876);Nel novembre del 1985 l'esplosione di una stufa a gas danneggiò gravemente l'abside, la pavimentazione, gli infissi e il tamburo della cupola. Si deve al grande zelo di don Giuseppe Picchini se la chiesa è stata ristrutturata e restituita, in breve tempo, alla gente di Mosciano S.Angelo con lo splendore di un tempo. L'artista moscianese Dante Barlafante, che da giovane era stato allievo del Patella ed aveva aiutato il maestro a pitturare la chiesa del Rosario, ha ridipinto, con mirabile destrezza, tutto il trittico superiore dell'abside e restaurato le altre pitture danneggiate dallo scoppio.
    La congrega del SS.Rosario, la più antica del nostro paese, risale agli inizi del XVII secolo. Essa possedeva un altare presso la Chiesa Madre, ma non aveva una chiesa propria. Verso il 1850, per un posto d'onore in processione, si accese una lite fra i confratelli dell'Addolorata e quelli del Rosario, che venivano accusati dagli "avversari" di non avere una chiesa propria. Dopo ventisei anni i confratelli del Rosario ottennero con R.D. 21-7-1852 di Ferdinando II, la possibilità di costruire la sospirata chiesa (1). L'architetto Giuseppe Lupi di Teramo realizzò un progetto simile al Pantheon di Roma. Nel 1853 fu inaugurata la prima pietra da Padre Bernardino dei Minori Osservanti, alla presenza del Vescovo Milelli. Nella prima domenica del 1876, con memorabili festeggiamenti, fu inaugurata la bella chiesa del SS. Rosario.
    La chiesa, a pianta circolare, realizzata tutta in mattoni e con cupola in pozzolana, sorge nel luogo che era denominato "Largo della Croce". Durante gli scavi fu ritrovata una bellissima croce d'argento, finemente cesellata e attribuita a Benvenuto Cellini. La congrega del SS. Rosario, per far fronte alle spese, vendette per 400 ducati ad un antiquario capitato a Mosciano, la preziosa croce, che sarebbe andata poi ad arricchire il museo di Pietrogrado .
    Nel 1908 su progetto dell'Ing. De Panicis di Mosciano S.Angelo fu ristrutturata la cupola e nel 1958, grazie a don Nicola Di Matteo, venne realizzata la trabeazione esterna sul portale dell'ingresso principale, dove venne collocata la statua della Madonna del SS.Rosario. Nel 1958 il pittore Francesco Patella affrescò l'abside con un trittico superiore, al cui centro vediamo la Vergine del Rosario con in grembo Gesù Bambino ed una corona di angeli; a destra S.Caterina da Siena e le suore del suo ordine; a sinistra la figura di S.Domenico ed i suoi discepoli. Al centro del trittico inferiore vi è l'Agnello di Dio; nella parte di destra il pontefice Pio XII ed in quella di sinistra l'Arcangelo Gabriele.

    Nelle quattro nicchie delle pareti circolari il Patella dipinse i quattro evangelisti, mentre nelle lunette, formate dalle colonne che ornano l'altare maggiore, affrescò due grandi angeli che annunciano la diffusione del rosario. Rispetto al progetto originario, che prevedeva dei porticati dinanzi ai tre ingressi, la chiesa non è stata completata.

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    le Torri dell'antica cinta muraria;
    L'antico borgo di Montone ebbe nome ed origine dal castello del feudatario e conserva ancora oggi parte della cinta muraria fatta erigere nel 1390. Di questa cinta muraria restano oggi solo tre torri. La maggiore venne eretta nella parte più elevata del borgo, dietro la chiesa di S.Antonio Abate, ed è simile alla torre Acquaviva di Mosciano S.Angelo, dalla quale si differenzia per l'assenza di merlatura. La costruzione è tipica di quest'area alla fine del XIV secolo, con paramenti in mattoni a vista, di ottima fattura La minore delle due esistenti è a pianta quadrata, marcata in due piani da una doppia fila di mattoni; nella parte superiore della facciata è situato l'orologio, da cui prende il nome la torre. E' coronata da archetti a tutto sesto che sorreggono quattro merli a scaletta; le porte e le finestre sono chiuse ad arco con mattoni, mentre in origine avevano architravi lignei. La tessitura muraria è quella tipica dell'area teramana alla fine del sec. XIV, in ciottoli e mattoni con ammorsature d'angolo e le rifiniture in laterizio, ma eseguita con diverse incertezze. I beccatelli sono, anche se con uno sviluppo molto più limitato, dello stesso tipo di quelli della torre grande, che si ritrovano anche nelle porte da Mare e da Monte di Ancarano, nella porta di Bellante, nella porta est di Castelbasso e nella torre di avvistamento di Ripattoni.

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    i resti delle mura turrite, la Chiesa di S.Antonio Abate ed un Sarcofago gotico del N.H. Bucciarello di Giacomo di Bartolomeo (1390) nella Frazione di Montone;


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    il Monastero dei Santi Sette Fratelli
    (IX^ sec.) con l'attiguo Santuario di S.Maria degli Angeli, sormontato da un pregevole soffitto ligneo del sec. XVII^ (sono da ammirare in detto convento anche gli affreschi sulle lunette del chiostro ed alcune statue lignee seicentesche come quelle di S.Maria del Casale, Patrona dell'Agro Moscianese e di S.Reparata).


    Convento Santi Sette Fratelli

    La chiesa è costituita da una sola navata di stile tardo-rinascimentale. Di notevole pregio è il soffitto ligneo dipinto nel XVII secolo, che raffigura la gloria della Madonna, Regina dei Martiri, con Gesù sulle braccia e una palma in mano; in basso, S.Felicita che presenta i suoi sette figli, i Santi Sette Fratelli Martiri. Fanno corona alla Madonna, da un lato S.Pietro, S.Antonio da Padova, S.Giacomo della Marca, S.Pasquale Baylon; dall'altro S.Francesco, S.Chiara, S.Giovanni da Capestrano, S.Bernardino da Siena, S.Domenico, S.Vincenzo Ferrer e S.Rosa da Viterbo. Nei piccoli riquadri laterali sono raffigurati la Trinità, il Battesimo di Gesù, S.Giuseppe, la Maddalena e S.Margherita da Cortona .

    La chiesa è dedicata ai Santi Sette Fratelli e alla Madonna del Casale, Regina degli Angeli, di cui si conserva la stupenda statua lignea del 1688.
    Sul lato Est della chiesa si trova il bellissimo chiostro con colonne esagonali e capitelli dorici. La torre a base quadrata, costruita con mattoni e pietra ed elevata per ricavarne la cella campanaria, presenta, sulla facciata Ovest, un bel rosone in misto di laterizio e pietra lavorata.
    Infine occorre ricordare due importanti avvenimenti:
    Il primo è il III centenario di S.Maria del Casale, celebrato solennemente il 22 maggio 1988 e reso ancora più prestigioso dalla presenza del cardinale Corrado Ursi, Arcivescovo Emerito di Napoli, cittadino onorario del comune di Mosciano S.Angelo (conferimento del 26 novembre 1989);
    Il secondo del 1989. In questo anno, grazie al continuo interessamento dei PP. Carmine Serpetti, guardiano, e Giacomo Quaglia, parroco, vengono finalmente portati a termine, sotto la direzione della Sovrintendenza per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici dell'Abruzzo, i lavori di restauro del soffitto ligneo della chiesa e vengono inoltre effettuati dall'artista moscianese Dante Barlafante alcuni lavori di ripulitura sul resto della chiesa.


    MUSEO DELLE SCIENZE NATURALI, SEZIONI PALEONTOLOGICA, MINEAROLOGICA E METEORITICA. COMPLESSO MULTIDISCIPLINARE AVENTE LA SUA SEDE PRESSO L' OSSERVATORIO ASTRONOMICO COLLE LEONE

    Si tratta di un centro culturale dove è possibile toccare con mano la multidisciplinarità e le strette connessioni tra campi distanti del sapere umano. La sezione paleontologica porta alla luce la continuità storica della vita sul nostro pianeta, mentre quella minearologica presenta campioni di buona qualità scientifica.

    La collezione dedicata ai meteoriti completa idealmente l’itinerario scientifico tra ambiente terrestre ed extraterrestre.
    Il museo è una esposizione a carattere scientifico, divulgativo e didattico.
    La struttura è molto attiva nel campo della didattica e della divulgazione, e organizza anche programmi per le scuole di ogni ordine e grado.



    Tra gli uomini illustri moscianesi meritano particolare menzione:
    i patrioti risorgimentali Aurelio Saliceti (triunviro della Repubblica Romana nel 1849), Domenico del Zoppo e Francescantonio Rossi;
    lo storico Francesco Savini;
    il pittore Francesco Patella; il musicista Angelo Ciccarelli.




    Importante centro agricolo e commerciale, Mosciano ha conosciuto, nel dopoguerra, un considerevole sviluppo economico, grazie soprattutto alla produzione del mobile, che ha meritato alla cittadina l'appellativo di Cantù dell'Italia centro meridionale. Oggi, la presenza sul territorio di oltre 400 aziende (di cui alcune note ed apprezzate sia in Italia che all'estero) hanno reso questa cittadina uno dei piu importanti poli artigianali ed industriali d'Abruzzo. Non mancano iniziative anche a livello turistico, in funzione di una valorizzazione sempre più ampia del territorio, delle sue bellezze paesaggistiche e dei prodotti tipici locali.

    Restano attivi anche la produzione ed il commercio di prodotti agricoli e del bestiame. Assai sviluppata è la coltura dell'olivo e della vite. Sul territorio insiste un Osservatorio Astronomico in c.da Colle Leone- noto a livello nazionale e meta di studiosi e scolaresche provenienti anche dalle regioni limitrofe.

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    chiesa Madonna degli Angeli -annessa al convento Santi Sette Fratelli


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    osservatorio astronomico


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    (Notizie tratte dai libri: Mosciano Ieri-Oggi di Gaetano Zenobi, Edizioni C.E.T.I. Teramo e Mosciano Sant’Angelo Immagini e Ricorsi di Tonino Di Matteo , Editoriale ECO srl).
    dal web.: comune di mosciano S. Angelo
     
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    Castel Castagna (452 m. s.l.m.)



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    Castel Castagna, in origine "Castrum castanee", è un piccolo borgo medievale di circa 550 abitanti, posto su una collina (452 m. slm) dalla quale si può godere un panorama mozzafiato, con il massiccio del Gran Sasso d'Italia (2.912 m., la vetta più alta degli Appennini) che sembra quasi possa essere accarezzato.

    Nel centro storico della cittadina, rinomata per la produzione di ottimi salumi e formaggi pecorini, si trova l'antica chiesa di S. Pietro Martire (XIV sec.).

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    La "perla" che impreziosisce l'intero territorio di Castel Castagna si trova a valle del centro abitato, nei pressi del fiume Mavone, ed è la stupenda abbazia di "Santa Maria di Ronzano", un gioiello del XII sec.. L'interno, a tre navate, è arricchito da splendidi affreschi absidali dei secoli XII e XIV, e conserva due are pagane ridotte ad altare, una statua lignea dell'Assunta con Bambino (XI sec.) e due croci dei secoli XII e XIV.


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    L'abbazia di "Santa Maria di Ronzano"


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    "La chiesa venne edificata anteriormente all'ultimo ventennio del XII secolo, come attestato dai pregevoli affreschi absidali datati 1181 e dall'incendio del 1183 che ha lasciato evidenti tracce all'interno.

    Il conseguente restauro non ripristinò le volte ma, rialzate le navate, creò uno spazio a sala; tale intervento è stato tuttavia cancellato dal ripristino degli anni 1933-34.

    L'impianto, tra le prime manifestazioni del passaggio tra romanico maturo e gotico, ha tre navate, coperte a tetto e suddivise da archi a tutto sesto su pilastri quadrangolari con lesene addossate; queste, con le altre corrispondenti sulle pareti perimetrali, denunciano la presenza originaria di volte o archi nelle navate minori. La mole laterizia del presbiterio, suddiviso internamente in tre campate voltate a crociera, emerge in altezza dal corpo delle navate ed è scandita da un motivo in pietra di archi a tutto sesto su lesene; il partito decorativo prosegue sulla facciata posteriore che cela, dietro una fronte rettilinea, la curva esterna delle absidi, riproponendo motivi comuni a chiese pugliesi alle quali si accosta anche l'elegante fregio della monofora posteriore, in origine completato da nove testine umane, due sole delle quali ancora in situ."

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    S. Maria di Ronzano a Castel Castagna
    di Marcello Maranella

    Santa Maria di Ronzano é una delle più belle testimonianze storico-culturali che offre la provincia teramana. Risalendo la Vallata del Vomano, da Roseto degli Abruzzi verso il Gran Sasso, si scopre l'Abbazia che troneggia imponente e ben conservata in mezzo alla campagna circostante l'abitato del comune di Castel Castagna, sulla sponda destra del Mavone.
    La Chiesa, edificata nel 1171, é una meravigliosa combinazione di natura e di arte, con la sua facciata absidale e le celle campanarie dietro cui svetta il Corno Grande.
    E'uno scenario incantevole: siamo nel bel mezzo della Valle Siciliana dai greci chiamata la “Valle dei fichi e degli olivi”dove più di tremila anni fa vi abitavano i siculi, come riferisce lo storico Tucidide.
    Purtroppo l'incuria del tempo o, forse, le vicende di un antico vissuto privano oggi il visitatore di ciò che fu l'antichissimo cenobio benedettino il cui abate ronzanese era alle strette dipendenze del San Nicola di Bari.
    Del resto nelle numerose testimonianze scritte sulla chiesa abbaziale di Ronzano ricorrenti sono i riferimenti pugliesi e pisani ma anche i richiami d'Oriente impressi nelle arcate cieche e nelle belle decorazioni di cui sono pieni i muri di questo importante monumento ricco di tesori come ad esempio la statua lignea gotica raffigurante la Madonna col Bambino, riesposta di recente dopo un attento e lungo restauro.

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    Notaresco (267 m. s.l.m.)



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    Le origini di Notaresco (267 m. slm. e circa 6.800 abitanti nell'intero comune) risalgono ad epoca tardo-medievale. Nei documenti più antichi la località è a volte menzionata con il nome di Lotaresco, probabilmente derivante da Lotario, proprietario dell'antico castello. Il borgo, che fu per lungo tempo dominio degli Acquaviva di Atri, è situato nella valle del Vomano, a pochi chilometri dal Mare Adriatico.

    Antico borgo adagiato su di una fertile collina,territorio gia abitato dai tempi della preistoria infatti nella contrada di Caporipe sono stati rinvenuti reperti del periodo dell’età del ferro, e in seguito dagli antichi romani, che nella contrada di Grasciano avevano costruito una villa, tornata alla luce dopo scavi archeologici (I secolo A.C.- II secolo D.C.).

    Notaresco è un paese collinare della Valle del Vomano posto tra il mare Adriatico e il blocco granitico del Gran Sasso.

    Al colle sul quale sorge di forma conica si aggrappano in semicerchio i vecchi edifici costruiti gli uni sugli altri come a

    valersi sostenere fra loro mentre mura antiche anche se nascoste da moderni rifacimenti,chiudono il cerchio ideale. In alto al centro si estende la piazza del Civitello che a tutte le caratteristiche di una cittadella fortificata.

    Il nome originale di Notaresco lo deriva da Lothario,Re d'Italia,o, meglio ancora da Lotharingius' come nativo della Lotaringia la regione francese della Lorena trasformato dalla popolazione Longobarda con probabile intento spregiativo versoi Franchi, in Lothariscus.Solo nel XIV secolo , il nome subirà un cambio della lettera iniziale mutando il nome in Notarescus e quindi in Notaresco.
    Lothario era diventato re d'Italia nell'anno 822 per valere del padre Ludovico I detto il Pio Imperatore dei Franchi succeduto a Carlo Magno.

    Dopo la morte di Ludovico il Pio e l'invenstitura di Lothario ad imperatore dei Franchi per diritto di primogenitura , accese una guerra tra fratelli che si concluse con la pace di Verdun e porto' la divisione dell'Impero dei Franchi tale spartizione consegnò a Lothario La Provenza La Borgogna ,L'Alsazia L'Italia e alcune diocesi.

    Qualche anno dopo Lothario nomina re d'Italia suo figlio Ludovico II conservando per- sé la veste d'Imperatore dei Franchi.

    Negli anni e seguire Notaresco fece parte del Ducato di Atri sotto la famiglia degli Acquaviva fino ad arrivare ai Borboni e quindi ai nostri giorni.Verso la metà del XVIII si sviluppò un eccellente cultura Agronomica di cui diversi studiosi originari di Notaresco si misero in mostra in ambito Nazionale, di questi ricordiamo: Ignazio Rozzi Pio Mazzoni, Carlo Romualdi, Pasquale Clemente e in ultimo Giuseppe Devincenzi che nel Primo Governo Regio dopo l’Unità d’Italia fu Ministro del Lavoro. Devincenzi Nacque a Notaresco nel 1814 mori a Napoli nel 1903,partecipò ai moti del 1848 ,per 10 anni fu esule in Inghilterra, ebbe un ruolo di rilievo nell’organizzazione Cavouriana e Garibaldina ,nel 1868 venne nominato senatore e quindi ministro dei Lavori Pubblici. Le sue aziende agricole,per efficienza e modernità,venivano additate a modello in ambito europeo.

    Notaresco agli inizi del XIX secolo ebbe una forte emigrazione verso l’Europa e l’America, uomini e famiglie intere che partivano in cerca di miglior fortuna . Negli anni sessanta settanta con il bum economico ci fu’ un ritorno delle famiglie nella cittadina e di conseguenza un forte sviluppo ,infatti dal 1973 in poi sorsero tantissime attività artigianali e industriali che portarono lavoro e benessere, grazie anche al saper fare delle Amministrazioni Comunali che si sono succedute fino al 2001.

    Da vedere: centro storico, il “civitello” o fortezza di Lotario, il palazzo Acquaviva (oggi palazzo municipale), la chiesa dei SS. Pietro e Andrea con abside medievale, a Guardia Vomano la chiesa di San Clemente al Vomano con il “ciborio” più antico d’Abruzzo, il museo archeologico “Romualdi” (085-895230). Da Notaresco si può raggiungere l'Abbazia di Santa Maria di Propezzano; anche se situata su territorio del comune di Morro D'Oro, è facilmente raggiungibile da qui.

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    Oggi è un moderno centro commerciale ed industriale il cui nucleo urbano conserva, unitamente alla chiesa parrocchiale di S. Rocco, alcuni interessanti edifici ottocenteschi.



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    Abbazia di S. Clemente al Vomano



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    La chiesa e l'annesso monastero, esistente già nel IX secolo, furono oggetto in età romanica di una radicale ristrutturazione ed a questa fase risalgono i resti del cenobio e l'attuale chiesa, a tre navate su sostegni eterogenei, con copertura lignea a vista, tre absidi semicircolari, senza transetto e presbiterio sopraelevato sulla sottostante cripta. L'epoca di tale rifacimento è tradizionalmente ancorata all'anno 1108, inciso sullo stipite sinistro del portale e sulla cui interpretazione si sono dibattuti numerosi studiosi.

    La chiesa, ridotta ad edificio cimiteriale, è stato oggetto di recenti restauri che hanno portato alla luce i resti dell'edificio preesistente.

    All'interno si conserva il ricco e pregevole ciborio, eretto sull'altare dalla celebre bottega di Ruggiero e Roberto.

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    La tradizione ne attribuisce la fondazione, intorno all’874, ad Ermengarda figlia dell’imperatore Ludovico II, già fondatore di San Clemente a Casauria. La struttura subì un primo restauro nel 1100, per volere dell’abate di Montecassino, assumendo le attuali forme del romanico abruzzese.

    Gli scavi, però, hanno messo in luce i resti dell’originaria costruzione, oggi visibili dal pavimento a vetro della chiesa, che sono molto antecedenti il IX sec. La facciata presenta due robusti contrafforti di sostegno e vi si apre un notevole portale architravato in pietra. L’interno è a tre navate, terminanti in absidi semicircolari.

    Il pezzo più famoso ed importante dell’intero complesso è certamente il maestoso e ricco ciborio, uno dei più belli ed importanti d’Abruzzo, eseguito da Roberto e da suo padre Ruggiero, artisti di formazione normanna, che hanno unito influssi orientaleggianti a quelli classici. Da non dimenticare anche l’altare, che risente delle stesse influenze del ciborio, la statua in legno policromo di San Clemente, del ‘700, e gli affreschi quattrocenteschi della navata sinistra.

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    Abbazia di Santa Maria di Propezzano

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    Il territorio comunale di Morro D'Oro, località collinare situata a pochi chilometri dalla costa adriatica, custodisce una delle più antiche e belle abbazie dell'intera regione: la grandiosa S. Maria di Propezzano (inizi VIII secolo), tempio romanico di scuola atriana, che mostra affreschi di varie epoche ed un magnifico chiostro a pianta quadrata con avanzi di pitture di Sebastiano Majeski.E’ di stile romanico e sorge sul luogo dove la leggenda dice che il 10 maggio dell’anno 715 sia apparsa la Madonna. Si può dire che la facciata sia divisa in tre parti: quella centrale è arricchita da un sobrio portico che precede il portale, la parte di destra è accorpata al convento, mentre la parte di sinistra ha un ricco portale più ampio, detto “Porta Santa”, che viene aperto solo il 10 maggio ed il giorno dell’Ascensione. Una massiccia torre campanaria quadrangolare è accorpata con l’intero edificio. L’interno presenta tre navate di quasi uguale ampiezza, separate da imponenti archi a tutto sesto.

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    Morro D'Oro (210 m. s.l.m.)



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    Antico borgo (210 m. slm) di circa 3.000 abitanti situato su un colle circondato da verdeggianti vigneti ed uliveti.

    Morro D'Oro conserva numerosi splendidi monumenti di varie epoche storiche, tra cui spiccano la chiesa di S. Salvatore (1331), nel centro del paese, che custodisce una pregevole Madonna in terracotta policroma e alcune pitture su tela del seicento di Francesco Ragazzino. A qualche chilometro dal centro abitato il territorio di Morro D'Oro rifulge per la presenza della stupenda Abbazia di "S. Maria di Propezzano", fondata agli inizi dell'VIII secolo sotto Papa Gregorio II. La chiesa, uno dei Templi del cattolicesimo più belli ed antichi dell'intero Abruzzo, è Monumento Nazionale dal 1902. L'abbazia era molto apprezzata nel medioevo per la sua attività spirituale e diversi Pontefici la vollero premiare con la concessione di privilegi ed indulgenze.

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    convento di S. Antonio

     
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  12. dangax
     
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    @ millenium member: nel primo posto citi la storia di Torano Nuovo a cura di Anilo Nepa.
    Per caso ha notizie sul Prof. Nepa, e se sia possibile rintracciarlo?

    Se ha notizie, per favore me le manda su: [email protected]
    Grazie in anticipo,
    Anilo
     
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  13. tomiva57
     
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    Abruzzo • Teramo e la Valle del Vomano

    Mistica solitudine

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    Dall'entroterra adriatico alle vette appenniniche, la valle del Vomano è il filo conduttore di un itinerario d'arte e di storia alla scoperta di un Abruzzo prezioso e genuino, spesso ignorato dai percorsi più noti e battuti: piccoli borghi nei quali ritrovare modi e tempi del folklore, antichi luoghi di culto legati a curiose leggende e, a fare da cerniera, l'inattesa offerta culturale della città di Teramo.

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    Piazza Martiri della Libertà

    L’eco delle drammatiche ore del terremoto in Abruzzo ancora non si esaurisce, intrisa del dignitoso dolore di chi ancora soffre e della miseria morale di sciacalli che speculano su una sciagura. Ma non è certo il sisma dell'aprile 2009 ad aver dato notorietà a una regione da sempre conosciuta per la sua eccellenza ambientale e per la grande ospitalità dei suoi abitanti: e se il Gran Sasso e la Majella sono luoghi culto degli amanti della montagna, certo non mancano le opportunità per tranquilli itinerari d'arte e di cultura come quelli che si possono disegnare nel Teramano, fra le sponde dell’Adriatico e le alte vette della provincia aquilana. Asse centrale di questa scoperta è la Valle del Vomano, che percorre quasi per intero la parte settentrionale dell'Abruzzo e, nonostante sia ben collegata alle grandi direttrici stradali, se ne sta defilata, quasi a proteggere i suoi tesori con pudica riservatezza.
    I trascorsi storici di questo territorio già fiorente in età romana, che sotto l’esarcato di Ravenna assorbì gli elementi della cultura bizantina e divenne più tardi la roccaforte settentrionale del Regno di Napoli, hanno plasmato e caratterizzato la sua identità. Anche gli ultimi decenni, contraddistinti dallo sviluppo economico e dall'impetuosa crescita di un turismo non sempre rispettoso dei luoghi, hanno lasciato intatto lo spirito originario di un entroterra punteggiato da cittadine e paesi ricchi di storia e complessi monumentali di grande pregio, ai quali fanno da contraltare i superbi scenari montani: ma l'itinerario di queste pagine si sviluppa a quote perlopiù collinari, su strade comode e in buone condizioni che consentono di spostarsi agevolmente anche nei mesi freddi (senza però dimenticare le catene da neve) e con veicoli di buona stazza.


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    I calanchi incidono verticalmente le colline intorno ad Atri, inasprendo un paesaggio altrimenti armonioso che sale lentamente dal Mare Adriatico alla più alta cima appenninica



    Architetture dello spirito


    Il Vomano si getta nell'Adriatico in prossimità di Roseto degli Abruzzi e dei suoi lunghi arenili che scendono verso Pineto, ma al di fuori della stagione balneare sono altri gli elementi che richiamano l'attenzione. Lasciata l'autostrada, ci immergiamo dunque nel tormentato e spettacolare paesaggio della Riserva Naturale Guidata dei Calanchi di Atri: detti scrimoni nel dialetto locale, questi profondi solchi sono il frutto dell'erosione operata dal vento e dall'acqua sulle pendici argillose delle colline, formando un labirinto verticale di guglie, ripide pareti e stretti canali che sembra voglia ingoiare da un momento all’altro le costruzioni in cima alle alture.
    Atri, la ricca colonia romana di Hatria posta sulla direttrice dell’antica Via Cæcilia, fu centro di floridi scambi tra la costa e l’interno e assunse un ruolo di rilievo come alleata di Roma contro l’esercito di Annibale. L’imperatore Adriano (i cui genitori ebbero qui i natali) la rese grande e fiorente, poi le invasioni barbariche e la caduta dell’impero la consegnarono alle vicende del Medioevo, epoca in cui vennero innalzati palazzi, chiese e monumenti che tuttora qualificano l'impianto urbano. L'armoniosa Piazza del Duomo si trova a pochi passi dal parcheggio che abbiamo scelto per la sosta, lungo la via intitolata ad Andrea De Litio: questo famoso maestro della pittura rinascimentale abruzzese realizzò vari affreschi nell'imponente basilica concattedrale di Santa Maria Assunta, costruita in pietra d’Istria nella seconda metà del XII secolo. PA_462_04_06_Atri-Chiostro-cattedrale Di fronte all'altare, il pavimento in vetro permette di ammirare i resti delle terme romane su cui la chiesa fu edificata, mentre l'antica cisterna è sovrastata da un elegante chiostro che risale all’inizio del XIII secolo e tramite il quale si accede al Museo Capitolare: la ricca collezione custodita nelle sue sale, tra le più significative della regione in tema di arte sacra, vanta pezzi di estremo valore, come le pregiate maioliche di Castelli e una Madonna con Bambino che Luca della Robbia avrebbe eseguito intorno al 1470, ma anche splendidi codici miniati e una bellissima croce in cristallo di rocca.
    Dopo aver ammirato il portale quattrocentesco della chiesa di Sant'Agostino, a pochi passi dal duomo, proseguiamo verso il Palazzo Ducale in cui oggi ha sede il municipio.

    L’elegante edificio, di fine '300, ospita il Museo Didattico degli Strumenti Musicali Medioevali e Rinascimentali, una raccolta di fedeli ricostruzioni di cui, grazie a supporti multimediali, è addirittura possibile ascoltare il suono. Un’altra curiosità la troviamo nella chiesa di Santo Spirito, dove gli interni barocchi sono adornati da meravigliosi candelabri settecenteschi in vetro di Murano. La tranquillità che regna nel piccolo edificio non deve però trarre in inganno: considerato anche santuario di Santa Rita da Cascia (alla quale è dedicata la cappella a sinistra), il 22 maggio è preso d'assalto da folle di devoti per la concessione del perdono e la benedizione delle rose. Ultima tappa presso la porta cinquecentesca, che segna l'uscita dalla città vecchia, e la vicina chiesa di San Domenico (in realtà intitolata a San Giovanni Battista) nella quale è conservato uno stupendo organo dei primi del '700.

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    Le panoramiche curve della provinciale 553 scendono in una dozzina di chilometri al fondovalle del Vomano e alla statale 150. A breve distanza dall'incrocio si trovano altre due testimonianze dell'antica spiritualità di questo territorio, la prima delle quali è la chiesa di Santa Maria di Propezzano: risalente alla fine del XIII secolo, si dice che sia stata innalzata nel luogo in cui, nell'anno 715, apparve la Madonna chiedendo che fosse costruito il tempio.

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    Il passato abbaziale è testimoniato dalla pregevole fattura della facciata, sulla quale risalta la trecentesca Porta Santa che ogni 10 maggio viene aperta per celebrare l’apparizione della Vergine. L'edificio è chiuso, ma per entrare basta rivolgersi al vicino bar dove chiediamo e otteniamo le chiavi; poi, con un misto di emozione e reverenza, varchiamo l'uscio sotto un piccolo portico decorato. I resti di stupendi affreschi del '400 decorano l'interno a tre navate in nudo stile romanico, che esalta l'atmosfera mistica del sito, e solo il vociare di un folto gruppo di turisti in arrivo ci riporta alla realtà. Visitato il grande chiostro del convento per ammirare con calma le opere seicentesche di pittura muraria, riconsegniamo le chiavi e riprendiamo la marcia lungo il fondovalle per svoltare quasi subito in direzione di Guardia Vomano, nelle cui vicinanze l'abbazia di San Clemente al Vomano è stata recentemente riaperta alle visite dopo un lungo restauro. La fondazione risale all’anno 874, ma la chiesa attuale fu ricostruita all'inizio del XII secolo e nel corso del tempo ha subito diverse modifiche, le ultime negli anni '20 dello scorso secolo. Attraversato il bel portale in pietra, di chiara impronta cassinese, nella navata centrale si notano i resti della chiesa precedente: qui è soprattutto il contrasto di luci e di livelli fra la struttura originaria e quella odierna ad accentuare la ruvida eleganza del romanico. Sulle pareti spiccano i resti degli affreschi medioevali mentre nell’abside, al di sopra dell'altare in marmo, si ammira uno dei più antichi cibori d’Abruzzo (del 1147) finemente decorato in stucco con raffigurazioni di animali inserite in una fitta trama fitomorfa.


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    Affreschi sacri al convento dei Cappuccini presso Montorio al Vomano


    Tremila anni di storia


    Il capoluogo e centro principale della zona, Teramo, rappresenta un corridoio naturale fra la costa e i severi contrafforti del massiccio centrale. Percorso un breve tratto della A24, approdiamo nel comodo parcheggio a pagamento in Piazza San Francesco, che ci permette di lasciare il camper e di godere in tutta tranquillità la nostra passeggiata. Attraversata Porta Melatina, che si apre proprio di fronte al parcheggio, siamo già nel centro storico di una città le cui radici risalgono a prima ancora della romana Interamnia, così chiamata perché posta alla confluenza dei fiumi Vezzola e Tordino. La testimonianza degli antichi fasti della colonia, probabile erede di un remoto insediamento protoitalico e assurta al massimo splendore ai tempi della Roma imperiale, si trova nei resti del teatro databile intorno al 30 a.C., che poteva contenere fino a 3.000 persone.


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    Teramo: la cerchia esterna del teatro romano

    Accanto, in Via Vincenzo Irelli, rimangono i ruderi di un tratto delle mura dell'anfiteatro che originariamente misurava più di 200 metri di diametro.
    Se della romanità di Teramo solo queste vestigia resistono a sfidare il tempo, l’eredità lasciata dal Medioevo è ben visibile, a iniziare dalla cattedrale di Santa Maria Assunta e San Berardo. Eretta nel XII secolo sui resti di un tempio romano, fu ingrandita e modificata nel corso dei secoli successivi, come dimostra la complessa facciata che sovrappone più linguaggi architettonici e in cui spicca l’elaborato portale in stile cosmatesco. Anche all’interno è ben visibile la distinzione fra la prima parte, più antica, e il prolungamento effettuato nel '300, a cui si accede tramite una breve gradinata. Fra le numerose opere d’arte salta subito all'occhio lo splendore del paliotto d’argento dorato alla base dell’altare, opera della metà del '400 di Nicola da Guardiagrele: le trentacinque lamine finemente cesellate, la cui lavorazione richiese circa quindici anni, rappresentano scene della vita di Gesù e figure di santi.
    Dopo una sosta ritemprante in un bar di Piazza dei Martiri della Libertà imbocchiamo Via Delfico alla volta del Museo Civico Archeologico Francesco Savini, la cui vasta collezione racconta efficacemente le vicende di Teramo. Al piano terra la storia della città si snoda dall’epoca romana fino all’Alto Medioevo, quasi un viaggio nel tempo fra preziosi busti romani, vasi e parti di antiche strutture architettoniche; il piano superiore è dedicato al territorio circostante, con testimonianze che vanno dalla preistoria alla romanizzazione. Ci colpiscono in special modo una tomba del VI secolo a.C. con un dovizioso corredo di armi e vasellame e la sepoltura di una donna con il suo cane, che ispira una certa commozione al pensiero dell'amicizia che li legava.

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    Percorrendo l’elegante e vivace Corso San Giorgio in direzione di Piazza Garibaldi si raggiunge la Pinacoteca Civica, con accesso in Viale Bovio. Anche qui l’interessante esposizione è assai ben organizzata, guidando il visitatore alla scoperta delle espressioni artistiche locali di varie epoche. Tra le importanti opere pittoriche qui conservate, che vanno dalle tavole medioevali fino a dipinti del '900, trova posto anche una collezione di ceramiche di Castelli eseguite dai più illustri artigiani abruzzesi. Tornando verso il camper abbiamo modo di dare un ultimo sguardo alla città, ai suoi monumenti e alle grandiose viste che di tanto in tanto si aprono sul massiccio innevato del Gran Sasso: è lì che siamo diretti.


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    Cattedrale-l'austera facciata del duomo affrescato da Andrea De Litio s'affaccia sulla piazza principale.


    Santi e diavoli


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    La statale 80 ci introduce nell’alta valle che ha il suo inizio a Montorio al Vomano, balcone sugli splendidi scenari appenninici. In Piazza Orsini, antica sede di mercato, visitiamo la parrocchiale di San Rocco edificata nella prima metà del '500 e ampliata alla fine del secolo successivo. All’interno, tra sontuosi arredi in legno e stucchi in stile barocco, ammiriamo le due tele raffiguranti la Resurrezione, del 1530, e l’Ultima Cena, del 1607; anche qui è presente un organo settecentesco di pregiata fattura.
    Appena usciti dall'abitato, proseguendo sulla statale 80 troviamo il cinquecentesco convento dei Cappuccini, che emana un fascino inquietante: sarà forse l'aspetto segnato dall’inclemenza dei secoli, con gli affreschi scrostati da cui le figure dei santi sembrano osservarci, oppure la storia di Fra' Silvestro della Macchia. Leggenda vuole che il suo corpo, sepolto tra la prima e la seconda cappella, sia all’origine delle fessure che periodicamente appaiono sul muro, segno della sua presenza ancora vitale, e ci sorprendiamo a scrutare le pareti alla ricerca di qualche indizio.
    Il nastro della statale prosegue tra fitti boschi mentre l’aria diventa sempre più frizzante. E’ assai improbabile che viaggiando in Abruzzo – una regione con il felice primato di oltre il 30 per cento di territorio protetto – non si entri in qualche riserva naturale, e il nostro itinerario non fa eccezione.

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    Eccoci infatti nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, sempre lungo il corso del Vomano e la parallela statale, che lasciamo all'altezza di Aprati per deviare sulla provinciale 45a. In meno di 10 chilometri si sale ai 1.105 metri di quota di Crognaleto e, incrociandone le piccole frazioni immerse nel silenzio dei boschi, ci si aspetta che il centro principale sia piuttosto esteso: in realtà si tratta di un comune diffuso, e l'abitato che gli dà il nome è poco più di un gruppo di case affacciate sul magnifico panorama della Laga. Fermato il mezzo in uno slargo accanto al cimitero, un'escursione di una ventina di minuti (che si può effettuare anche in presenza di neve, naturalmente con le calzature adatte) porta fino allo sperone di roccia sul quale si erge la piccola chiesa della Madonna della Tibia, risalente al 1617.

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    Madonna della Tibia


    La curiosa denominazione di questo rustico edificio in pietra, affiancato da una semplice canonica, si ricollega all'ennesima leggenda popolare secondo cui la chiesetta venne fatta costruire da un ricco commerciante di bestiame che si fratturò la tibia cadendo da cavallo e invocò la Vergine affinché lo aiutasse a far ritorno a casa. Per questo motivo alla statua lignea che raffigura la Madonna con il Bambino, conservata all'interno insieme a un altare barocco dorato e dipinto, vengono attribuite proprietà miracolose per le guarigioni e per la protezione dalle calamità naturali. Il silenzio assoluto di questo luogo a picco sullo scenario montano si interrompe solo in due giorni dell’anno: il 17 agosto, con la suggestiva processione notturna illuminata dalle torce, e in occasione della ricorrenza mariana dell'8 settembre.
    Ridiscesi al bivio, riprendiamo la strada principale nella direzione da cui eravamo arrivati per spostarci sull'altro versante della valle del Vomano.

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    La provinciale 44 si dipana con ampie curve sino al piccolo borgo di Fano Adriano, disteso in una conca alle cui spalle si ergono i contrafforti rocciosi del Gran Sasso. La vivacità di questo grazioso centro montano, che sorge a circa 750 metri di quota, non è venuta meno neanche con il terremoto: i pochi danni hanno fortunatamente risparmiato la parrocchiale di San Pietro, risalente al XII secolo, al cui interno si apprezzano resti di affreschi del '400, un altare barocco in legno dorato e il bellissimo soffitto a cassettoni del '600. Anche qui i possibili spazi di sosta non sono molto numerosi ma non è difficile trovare una sistemazione, in particolar modo nella parte bassa dell'abitato. Se poi doveste trovarvi a passeggiare per i vicoli del paese la sera del 16 gennaio, penserete di essere ancora in preda alla suggestione di storie fantastiche vedendo un corteo di uomini con i volti celati da cappe nere che seguono una pia figura importunata dal diavolo: si tratta del Canto di Sant'Antonio Abate, manifestazione che si tiene ogni anno in onore di questo santo tra i più popolari in Abruzzo. I sandandoniani sfilano cantando e suonando, avvolti in lunghi mantelli e preceduti dall'eremita egiziano e da Satana, che non si risparmia in lazzi e dispetti. L’allegro corteo si ferma di porta in porta per ristorarsi con del buon vino e prelibati assaggi della cucina locale: difficile sfuggire a tanta euforia, e state certi che il vostro bicchiere non sarà mai vuoto!

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    Corno piccolo


    Salita al gigante

    Usciti dall'abitato, si torna a salire attraverso i boschi imbiancati raggiungendo in una decina di chilometri una delle destinazioni più conosciute di questo comprensorio: incastonato nelle pendici del Corno Piccolo a poco più di 1.000 metri di altitudine, Pietracamela è stato dichiarato nel 2007 borgo dell'anno per l’impegno profuso nella valorizzazione e nella tutela del suo territorio. L'abitato è diviso in due parti, con il lungo Viale Europa a fare da cerniera: trovato posto su di esso o, poche centinaia di metri più avanti, sulla strada che porta ai campi sportivi, ci dedichiamo senza indugio alla visita di questa pittoresca località montana.

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    Pietracamela

    Qui il sisma ha danneggiato la trecentesca parrocchiale di San Leucio, attualmente chiusa per i necessari lavori di restauro: ci ripagano della rinuncia gli stretti vicoli della parte alta con le case in pietra che creano, passo dopo passo, un continuo gioco di quinte sul grandioso fondale del Gran Sasso. Salendo attraverso un articolato percorso di strettoie, gradini e piccoli terrazzi arriviamo alla sommità del paese, sulla mulattiera che porta alla valle del Rio Arno; ancora pochi metri e il sentiero che si stacca alla nostra sinistra ci conduce alle Grotte di Segaturo, che ospitano una singolare esposizione d'arte rupestre contemporanea. Negli anni '60 il pittore Guido Montauti (che a Pietracamela era nato nel 1918) e altri artisti del gruppo Il Pastore Bianco, da lui stesso fondato, realizzarono su queste pareti un intero ciclo di dipinti di grande vigore cromatico, che affollano la roccia e sembrano osservarci in silenzio, mentre capiamo lo scopo del cenacolo di Montauti: il ritorno alle origini in contrapposizione alla mercificazione dell’arte, battaglia che il pittore condusse fino agli ultimi anni della sua vita. Del movimento, che assunse un profilo internazionale e si scontrò violentemente con la Biennale di Venezia, oggi ci rimane in eredità questo luogo in cui natura e arte si incontrano stimolando la riflessione e la meditazione.
    Appagati nella vista e nello spirito, ci rimettiamo in marcia verso l’ultima tappa che in soli 6 chilometri ci riporta alla mondanità. Prati di Tivo, rinomata stazione sciistica e base di partenza per numerose escursioni in ogni stagione (d'inverno si possono effettuare vari percorsi con le ciaspole), ci offre un comodo approdo in cui terminare il nostro itinerario. Il grande piazzale di fronte alla moderna cabinovia permette infatti di parcheggiare agevolmente e consumare una bevanda calda in uno dei locali affollati di sciatori e snowboarder. Ci piace la vivacità del posto, dove respiriamo un’aria festosa e leggera, ma alzando gli occhi alle vette innevate e immaginando il silenzio della montagna ripensiamo già con una punta di nostalgia alle atmosfere di un altro Abruzzo, intimo, nascosto, da intenditori.

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    Testo e foto di Adriano Savoretti
    PleinAir 462 – gennaio 2011
    foto web
     
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