Abruzzo ... Parte 1^

TERAMO..MARTINSICURO..GIULIANOVA..PARCO NAZIONALE DEL GRAN SASSO..

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  1. tomiva57
     
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    PIETRACAMELA



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    Tra i comuni piu' alti della provincia di Teramo Pietracamela e' l'unico ad avere l' intero territorio compreso nel Parco del Gran Sasso - monti della Laga. Entrando nel paese ci si accorgere subito che si tratta di un borgo di montagna davvero antico, dove molte delle case risalgono al 1500 e addirittura al 1400. A testimoniare le sue remote origini non sono solo la struttura urbanistica e l' architettura delle case piu' antiche, ma anche la cadenza e le inflessioni del particolarissmo dialetto locale. Osservando la vecchia torre che si incontra entrando in paese, ora divenuta casa del canonico, si puo' leggere la data incisa sulla finestra: 1550. La chiesa di San Donato e' del 1530, e quella di San Giovanni e' datata addirittura al 1432. . La chiesetta dedicata a San Rocco risale al 1530, quella di San Leucio (e' il santo patrono) conserva, oltre all' organo in legno, una curiosa acquasantiera con scolpiti animali acquatici tipici della zona. Passeggiando poi lungo le stradine del centro storico, tra le tipiche case in pietra di una volta, ormai quasi tutte ristrutturate, con un po' di attenzione si troveranno la casa de Li Signuritte, con bifore del 1400 ed un crocifisso in maiolica, e la casa di Don Ioani, con lo stemma civico ed iscrizioni scolpite in pietra. Proseguendo sulla strada oltre Pietracamela si sale fino a quota 1450, raggiungendo, dopo circa 5 km, Prati di Tivo, la più attrezzata stazione invernale del Gran Sasso d'Italia, alberghi d'ogni categoria, una piscina coperta, 6 impianti di risalita (seggiovia e sciovie), 12 Km. di piste di discesa e 4 Km. di piste di fondo, due scuole di sci, guide (i famosi "Aquilotti del Gran Sasso") e soccorso alpino,e varie infrastrutture per lo sport ed il tempo libero. La seggiovia porta sino alla "Madonnina", a 2000 metri d'altezza, da dove partono sentieri di varia difficolta' che portano, tra l'altro anche alla sommita' del Gran Sasso stesso. Il rifugio Franchetti, alla base del ghiacciaio del Calderone, si trova ad un'ora di cammino dalla "Madonnina". Nel marzo del 1991 il Comune ha istituitoIl camoscio d'Abruzzo la Riserva Naturale Corno Grande di Pietracamela, affidandone la gestione al CAI, e proteggendo cosi' oltre 2200 ettari di montagna incontaminata. Da qualche anno nella riserva e' stato reintrodotto il Camoscio d'Abruzzo (scomparso piu' di un secolo fa) ed oggi una trentina di esemplari corrono liberi tra prati e balze rocciose. Non e' affatto raro scorgerli mentre si percorre la "Cresta del Centenario".

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    CENTRO STORICO




    Pietracamela, m. 1005, uno dei comuni più alti della provincia di Teramo
    Un insediamento antico e dalle origini leggendarie, certamente attivo in età romana. Dalle prime notizie storiche si apprende che inizialmente esistevano tre villaggi distinti: S.Leucio, Plicanti e Rioruso che per eventi ignoti si fusero insieme. Il nuovo paese si chiamò forse Petra Cimmeria, dai popoli Cimmeri, o Cameria, dai Camerti, secondo Mario Montebello; ma altri pensano che il toponimo sia dovuto alla grande roccia in forma di cammello che sovrasta le case. Nel lindo nucleo medioevale e in gran parte ancora recuperabile, sono numerose testimonianze storiche ed artistiche uniche o rare, tutte di notevole importanza. Tra l'altro: la chiesa ex parrocchiale di San Giovanni (1432), sulla cui fronte spiccano il portalino inscritto, il campanile a vela, la meridiana antica e l'orologio, chiesa che ricorda un maestro Marcus de Tringiano; la chiesetta di San Rocco (1530), all'estremità più alta del paese ; la casa de li Signuritte (Signoretti o Signorotti), con le emblematiche bifore del '400 ispirate a quelle teramane dei Signori di Melatino ; la casa di Don Ioani del 1505 con lo "stemma civico"; e le iscrizioni, d'importanza storica, dei due immodesti "governatori" della Valle Siciliana, Baltasar Carvallus Hispanus (1523) e Marcellus Carlonus de Napoli (1590), l'una all'ingresso del borgo in Piazza Cola di Rienzo (che si pensa abbia avuto i natali lassù) e l'altra nella casa Perfetti subito prima della chiesa di San Rocco. E sopra il paese, tra rocce e fienili in parte trasformati in villette, resiste in ambiente montanaro - "Sopratore" e "Segaturo" - assai caratteristico, piu' volte ritratto dal pittore pretarolo Guido Montauti (1918-1979) ed affrescato sulle rocce dal suo gruppo artistico "Il pastore bianco". Verso valle, alle prime case del quartiere meno antico dominano "La Villa" , è l'odierna parrocGuido Montauti: pitture rupestrichiale di San Leucio . Ai Prati di Tivo (alcuni invece ritengono che Tivo sia una mitica divinità silvana), da m. 1450 ai 2000 dell'Arapietra dov'è la statua bronzea della Madonnina del Gran Sasso, proprio ai piedi del Gran Sasso che fu scalato laprima volta già nel 1573 dall'ingegnere bolognese Francesco de Marchi, collaboratore di Margarita d'Austria, il Corno Grande ha ricevuto in questo secolo celebri alpinisti quali Cesare Maestri, Fosco Maraini, Walter Bonatti, accompagnati tutti dall'espertissima guida locale Lino D'Angelo; e sull'impressionante Paretone si è cimentato anche il famoso "sciatore acrobata" Toni Valeruz.

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    la fontana

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    la piazza

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    Alcune delle innumerevoli specialita della cucina Teramana e Pretarola che per la sua genuinità, per le tradizione che l'accompagna e per la cura applicata è unica e inconfondibile...

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    C'è chi li chiama spaghetti, ma i depositari della tradizione, li chiamano Maccheroni, e ne stabiliscono le misure (più larghi o più stretti) a seconda della destinazione finale e del gusto personale. Una certa ruvidezza e la caratteristica forma quadrata ne fanno un protagonista assoluto della cucina cittadina, che lo vuole tradizionalmente condito con un sugo ricco di carne. Sbaglierebbe, però, chi pensasse ad un ragù o ad un macinato ricotto nel pomodoro, la regola impone sì la carne, ma a "pallottine", cioè lavorata in polpette grosse come un'unghia, fatte a mano, una ad una, in interminabili serate di preparazione prefestiva, visto che ancora oggi, nelle case dei cittadini d'Interamnia, la chitarra è il primo piatto del giorno di festa. Immancabile, poi, nel menù del pranzo di nozze tradizionale, anzi: è sulla qualità della chitarra che si giudica, quasi sempre, il livello del pranzo nuziale. Unica concessione al moderno è la lavorazione, il taglio della pasta avviene ormai a macchina, rarissimo è il ricorso all'antica "chitarra" di legno e corde d'acciaio sulla quale, con la forza del mattarello, la massaia teramana costringeva la sfoglia a farsi maccherone. Il turista che volesse iniziare il proprio viaggio alla scoperta dei sapori teramani, dunque, non esiti a chiedere in ogni ristorante della zona i "Maccheroni con le pallottine".

    Il timballo image

    È l'altro signore del dì di festa, ma pretende le feste comandate. È immancabile tra le portate del Natale, del Capodanno, della Pasqua e a Ferragosto e nelle feste intime familiari. Un po' avaro di sugo (sarebbe un errore se macchiasse il piatto con una colata di pomodoro), ma ricco di "pallottine" come quelle dei maccheroni alla chitarra, il "Timballo alla teramana" trova la sua eccezionalità nella preparazione degli strati che, unico tra i suoi simili, non sono di pasta sfoglia, ma di "scrippelle". E qui, necessariamente, si deve aprire una parentesi: per "scrippella" si intende una frittatina di acqua, farina e uova, sottilissima, preparata su una padella caldissima, con un fare e una ricetta che sono simili, se non identiche, alla gestualità della "crepe" francese. C'è addirittura chi sostiene che i francesi abbiano scoperto a Teramo, negli anni del loro passaggio italiano, l'esistenza della "scrippella", ma è sicuramente vero il contrario. Il timballo alla teramana, dunque, sarebbe lontano parente delle "crepes" vendute all'angolo degli Champs Elysees, ma la sua preparazione e la sua concezione ne fanno un figlio unico tra i piatti. Oltre al sugo con le pallottine, i leggerissimi strati di scrippelle ospitano infatti spinaci, uova, dadini di formaggio o mozzarella, carciofi e tutto quello che ogni donna di casa ha ereditato da madre e nonna.

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    Arrotolate, o meglio: ripiegate su se stesse ad ospitare magari un velo di grana, le stesse scrippelle che il timballo usa come impalcatura del suo impianto gustoso, come pavimento leggero e saporito dei suoi piani, trionfano in questo leggerissimo piatto. Un brodo leggero, ma non per questo insapore e inodore, meglio se di gallina (rigorosamente sgrassato), riempe il piatto nel quale sono adagiate le scrippelle, l'una vicino all'altra, come i rotoli di papiro nelle barche dei faraoni. Tutto qui. La leggerezza della scrippella e quella del brodo, la consistenza della prima e la liquidità del secondo, addirittura le diverse temperature (scrippella fredda e brodo caldo), provocano un intreccio unico di sapore. Come la pioggia sulla terra da tempo arida, il brodo bagna la scrippella ('mbusse, sta infatti per bagnate), ma non la gonfia, non la vince, non c'è assorbimento se non minimo. Il gusto è nel gioco del cucchiaio, che spezza la scrippella e la raccoglie con il brodo caldo di gallina.

    Le mazzarelle image

    Sembrano un secondo e, di certo, l'impressione prima del turista sarà quella di considerarle una portata successiva al timballo o ai maccheroni alla chitarra. Invece, le mazzarelle sono un primo, anzi: il primo obbligatorio del pranzo pasquale, una sorta di tradizionale ouverture dedicata all'agnello ed evocatrice di un indimenticato e indimenticabile passato di quotidianità contadina. Piatto semplice, all'apparenza, coratella di agnello avvolta in foglie di indivia legate con budelline dello stesso agnello, ma soggetto all'irrisolto dibattito tra due scuole di pensiero: quella della mazzarella semplice, cotta in un soffritto che ne esalti il sapore, e quella della mazzarella in umido, lasciata cuocere in un sughetto che si impreziosisce degli umori delle carni d'agnello.

    Le virtù image

    Sono il piatto principe della cucina teramana. Più che un piatto: il santo patrono della gastronomia locale e, come tutti i santi, hanno un loro giorno e un loro rito. Il giorno è il primo maggio, il rito è quello della condivisione del sapore: non esiste famiglia che prepari le Virtù solo per il proprio piacere: si donano, si scambiano, sono motivo di invito e di riunione, sono parametri di riferimento dell'abilità di una massaia. Non sembri eccessivo, le Virtù non sono un piatto, sono "Il Piatto" della cucina teramana, un vero e proprio rito collettivo, un momento di estasi cittadina affidato al confondersi non confuso dei sapori di una sorta di minestrone complesso che richiede, secondo tradizione, almeno tre giorni e tre notti di lavoro anche se, in realtà, l'opera comincia molto prima, con la scelta degli ingredienti, con la preparazione mentale all'impresa, con la scelta delle quantità in base agli ospiti attesi o ai doni dovuti. Figlie della primavera e della necessità di cancellare il passato inverno, le Virtù ospitano nel loro intreccio gustoso i sapori della stagione perduta e quelli della stagione nascente. Gli ingredienti sono un manifesto del sapore: piselli, fave, carciofi, spinaci, cicoria, indivia, bietole, rape, sedani, zucchine, erbe ed erbette aromatiche, lenticchie, ceci, fagioli, farro e poi prosciutto, piedini di maiale, cotiche, pallottine di carne, pasta secca di molti formati (corta o lunga spezzata) e di molti colori, e pasta all'uovo di ogni tipo (anche se i puristi della cucina locale considerano fuori luogo e non tradizionale il tortellino, ormai usatissimo). La straordinarietà rituale del piatto è nel fatto che ogni ingrediente, avendo un tempo di cottura diverso dagli altri, deve essere preparato a parte, in un tegame separato. Solo alla fine, quando tutti gli ingredienti sono pronti, si procede alla cottura della pasta e all'amalgama finale, a conclusione di un lavoro certosino, silenzioso, durissimo.

    I Calcionetti image


    L'etimo è incerto, difficile dire perché si chiamino Calcionetti o Caggionetti, il sapore è straordinario. Eppure, questi dolci invernali sono un paradosso, uno scherzo gastronomico, un mistero. La forma è quella del raviolo, mezzaluna dentata, ma l'impasto è di acqua e farina, rosso d'uovo e olio, è un leggerissimo, quasi impalpabile "contenitore" che esalta e non prevarica il gusto del "contenuto". È il ripieno, infatti, il vero punto di forza: un impasto di castagne o ceci, a formare una purea arricchita poi dal cioccolato, dal rhum, dal miele e dallo zucchero, vaniglia, mandorle tostate e pezzettini di cedro. Una vera e propria opera d'arte.


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12 replies since 21/10/2010, 11:45   4990 views
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