QUADRI D'AUTORE..arte moderna e contemporanea

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    FRANZ BORGHESE







    Franz Borghese. Roma 21 gennaio 1941 - 16 Dicembre 2005. Compie i suoi studi presso l'Accademia di Belle Arti e Liceo Artistico di Roma, con Domenico Purificato, Giuseppe Capogrossi, U. Maganzini e Giulio Turcato. Nel 1964 fonda la rivista d'arte e cultura "Il ferro di cavallo". Dalla metà degli anni Sessanta è lucido e ironico narratore delle consuetudini e delle alienazioni della borghesia cittadina, che fissa in stereotipi grotteschi, apparentemente aderenti all'Espressionismo ideologico dei tedeschi George Grosz e Otto Dix, ma in realtà immersi in una vivace e ambigua vena fantastico-favolistica. Le sue prime personali: nel 1968 alla Galleria "N.F.1" di Roma; nel 1969 ed il 1971 alla Galleria "Il Calibro" a Roma; nel 1970 alla Galleria "Il Rombo a Catanzaro; nel 1980 espone alla "Citybank di Torino; nel 1981 alla Galleria "Il Cannocchiale" di Milano. Parole di Villani Sull'artista: "Si tratta di un artista che tende a cogliere le situazioni grottesche del vivere dell'uomo con immagini che ricordano quelle di Grosz, un po' ingentilite da Maccari, ma infuocate dai rossi e dai bruni della Scuola Romana incendiata da Scipione". Solitamente nelle sue opere ha rappresentato fotogrammi ironici e caricaturali della società borghese e delle folle cittadine. Le tecniche dell'autore erano molteplici: ad olio e tempera a china ed acquerello, incisorie e sculture. Ha sempre lavorato moltissimo, infatti anche la morte lo ha colto proprio mentre dipingeva nel suo studio di Roma, il 16 Dicembre 2005.












    la macchina volante






    ritratto immaginario






    traslochi



    Edited by tappi - 21/2/2011, 18:19
     
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    ancora Franz Borghese ......


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    il file rouge sotteso a tutta l'opera del pittore, che ritrae i tanti aspetti di quella vanità, tutta profondamente umana ed universale, celata in ognuno. “Tutto è vanità” ammette sconsolato l'artista “confesso, per esempio, di essere un vanitoso giocatore di scacchi e un vanitoso scrittore. Non sono, invece, un vanitoso pittore...”


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    I protagonisti ritratti sono, in effetti, sempre gli stessi ed è solo grazie all'occhio ironico del maestro che le buffe figurine assumono corpo e concretezza, ognuna impersonando una storia in uno squarcio di vita reale, sempre diverso e sempre attuale.


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    Borghese si afferma con la sua arte, cogliendo l’aspetto più alienante della società del tempo e della vita metropolitana delle due grandi metropoli e di questo mondo alienante, ne fa il senso profondo delle sue opere, il fil rouge, la nota dominante che diventa il segno distintivo del pittore romano, inconfondibile tra mille.. Fedele al suo stile, ai suoi personaggi con la tuba, grotteschi e felliniani che suonano la tromba o che giocano a scacchi, che si amano, che marciano come automi con la corda dietro alle spalle, come peluches dalle batterie Duracell, non si farà mai contaminare dalle mode degli anni a seguire,


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    i Ritratti immaginari -una contraddizione in termini- che rendono quanto mai chiara la natura dell'opera di Borghese. E’ proprio tramite la finzione scenica e la caratterizzazione dei personaggi, infatti, che la sensibilità colta e raffinata dell’artista riesce ad evocare una realtà tutta interiorizzata. Descrivendo un non luogo senza tempo crea dell'uomo un'immagine nuova, peculiare e riconoscibilissima.

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    ANTONIO LIGABUE










    Il nome reale del pittore è Antonio Laccabue, nacque a Zurigo in Svizzera il 18 dicembre del 1899 e scomparso a Gualtieri (Re) il 27 maggio del 1965.

    L'esistenza
    Il nome della madre è Elisabetta Costa una immigrata friulana. Il piccolo con poco più di un anno viene dato in affidamento ad una famiglia svizzera tedesca, che non legalizzò mai l'adozione. Nel 1913 viene inserito in un istituto per ragazzi difficili, dal quale ne fu espulso dopo appena due anni. Nel 1919 fu allontanato dalla Svizzera per lamentele della madre adottiva al Municipio della loro cittadina; venne riportato in Italia nel paese d'origine del padre ammanettato su di una carrozza e di questa esperienza ne fece un'opera.

    La formazione
    Sin da ragazzo si distinse per l'abilità nel disegno e per l'amore verso gli animali. Stabilitosi in Italia dopo la prima guerra mondiale si dedicò a mille mestieri e di conseguenza la sua formazione fu da autodidatta, dipinse persino cartelloni e fondali per circhi equestri. Le sue opere provengono e sono frutto del mondo contadino da cui Ligabue proviene. Fin quando lo conobbe lo scultore Marino Renato Mazzacurati, maestro della prima Scuola Romana, il quale ne comprese l'arte genuina e gli insegnò l'uso dei colori ad olio guidandolo verso la piena valorizzazione del suo talento. Nel 1932 e negli anni seguenti la sua vita fu contrassegnata dalla pittura e dall'essere ospitato da amici e conoscenti.


    I disturbi mentali
    Ligabue soffrì di disturbi mentali vivendo completamente isolato e subendo persino tre ricoveri psichiatrici nel corso della sua vita; i medici descrivevano il suo metodo: "..dipinge in modo primitivo, comincia dall'alto con pentimenti e correzioni, sino al margine inferiore..".


    I primi e grandi successi
    Dal 1948 i critici ed i giornalisti incominciarono ad interessarsi delle sue laboriose ed importanti opere. Nel febbraio del 1961 organizza la sua prima e grande personale nella capitale d'Italia che segna il definitivo successo dell'artista, l'attività creativa interessò molti scrittori, giornalisti e grandi critici tra cui Anatole Jakovky che lo aiutò ad essere riconosciuto a livello internazionale. Nel Novembre del 1962 Guastalla gli dedica una grande antologica.




    Le sue passioni
    L'artista si applicò nella pittura con grande laboriosità e attenzione e fu un grande amante dei motori e delle motociclette in particolar caso, fino a collezionarne ben sedici quando raggiunse una stabilità economica. Da sempre fu incuriosito dal mondo della meccanica, difatti compose molti quadri raffiguranti questi soggetti dipinti con la semplice arte dell'artista ed arricchiti dalla propria immaginazione e passione. Ligabue passeggiava per ore all'interno della sua auto guidata da un autista per il puro piacere del motore. Ad esempio il suo "Treciclo volante" rappresenta un essere della fantasia con sembianze animali e ricorda il primo mezzo di spostamento ed il sogno di ogni essere umano ..."il volo".


    I naif
    Fu uno dei grandi pittori italiani di tutti i tempi. Bizzarro, originale per la sua visione del mondo e della realtà, per tutta la vita fu considerato soprattutto un matto. Fu istintivo e autentico nella sua espressione artistica, solo questa è stata la sua pazzia. E' considerato il più alto esponente dei naifs italiani e rivestì la realtà più semplice di intricati elementi vegetali, popolandola di animali domestici e selvaggi. I suoi animali feroci e di forte cromatismo, inquadrati in idillici ambienti agresti, esprimono una forte suggestione.
    Gli ultimi anni e la morte
    Il 18 Novembre del 1962 viene colpito da paresi, e scomparse il 27 maggio del 1965 quando nello stesso momento si attuava una grande antologica in suo onore





    ALCUNE DELLE SUE OPERE




    aquila e volpe





    cavalli imbizzarriti dal temporale

    autoritratto



    guerriero con leone




    leopardo con serpe





    lotta di galli






    natura morta



    testa di tigre



    tigre reale



    traversata siberiana





    vedova nera



    Edited by tappi - 14/3/2011, 21:00
     
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    Domenico Purificato




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    Nel dopoguerra fu protagonista a Roma del neorealismo, immortalando nelle sue tele gente del popolo, figure e scene campestri della vita quotidiana.
    È stato direttore dell'Accademia di Brera di Milano fino al 1980


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    La pittura di Purificato ha il colore del tempo in cui essa avvenne, e i suoi dipinti sono pieni di calore e di fiato ancora fresco dell’aria nativa
    I volti dei suoi personaggi, quando segnati di drammatica intensità, quando addolciti dal paesaggio che li circonda, sanno interpretare il clima sociale con l’intimo turbamento che deriva dalle umane vicende.


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    I suoi quadri, quei ritratti di umili donne dagli sguardi sereni o di pacati contadini dall'aria mesta, ma depositari di un antico segreto, il segreto della semplicità, di una dignità del vivere conquistata con la fatica di un onesto lavoro e nella speranza di un domani migliore.

    “La morte di Pulcinella all’assedio di Gaeta” in cui Menico Purificato illumina in modo simbolico il passaggio tra le due culture della sua terra d’origine, da quello borbonico a quello sabaudo, unendo storia e leggenda, festa e destino.

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    Gli domando se c'è rassegnazione nella malinconia di quegli sguardi, nell'atteggiamento dimesso dei suoi soggetti? "I miei modelli vengono dalla terra dove sono cresciuto, quella Ciociaria marittima dove l'arancio fiorisce - come direbbe Goethe - anticipando gli aranceti calabresi e siciliani. Da ragazzo, al mio paese, sono stato a contatto con l'umanità degli operai, dei contadini, gente onesta che la malaria e l'immensa fatica hanno invecchiato anzitempo: questa gente mi ha ispirato, poiché ognuno di noi si porta dentro il carattere della propria terra… ma i drammi non hanno incrinato la speranza e, per questo, i miei personaggi non sono dei 'vinti', non c'è rassegnazione in loro ma l'accettazione consapevole e dignitosa della propria condizione, la fiduciosa certezza in un domani migliore. Certo, gli atteggiamenti di quei contadini, di quei pescatori sono umili e dimessi, ma sono costoro che possiedono uno straordinario segreto, il segreto della semplicità e della comprensione fra gli uomini: io mi sono sempre battuto per questi valori, credendo che l'Arte non debba esprimere l'angoscia esistenziale, ma i significati migliori del vivere al di là del tempo, anche dei brutti tempi come quello attuale".

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    E a Fondi, la sua Musa, il suo paese dell’anima che ha ispirato tutta la sua opera pittorica, Purificato dedica una “Filastrocca d’amore” in vernacolo:

    “Quante you sole sponta ‘ncoppe’ a Funne

    Te pù scurdà lu reste de yu munne

    yu sole ‘ncoppe a Funne è n’ata cosa

    Pure de’mmerne fa cresce le rose….

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    WALTER POZZI




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    «Se ciò che facciamo non è utile, la gloria è priva di senso». Questa affermazione della saggezza classica è stata scelta da Walter Pozzi per rappresentare la propria vita e la sua opera pittorica. Pozzi, dalla nativa Bergamo, approda a Milano in una stagione travagliata come fu quella a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, e che nel dopoguerra vide il fiorire di tendenze ed espressività che avevano nell’Astrattismo e nel Realismo i poli divergenti e di successo di una stagione che voleva ripartire.


    Alcuni fra i soggetti più amati dall’artista: gli “Autoritratti”, le “Osterie”, gli “Arlecchini”, le “Serenate” e le “Nature morte”.

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    OSTERIE

    immagini in cui l’artista allinea figure umane che non compiono alcuna impresa, e che nella loro quasi uniforme sagoma esaltano il motivo che le riunisce e che ha il profumo dell’amicizia, il sale del confronto e la vivacità della discussione, dove il vino e la tavola sono la fonte del riflettere e del piacere di vivere.


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    ARLECCHINI

    in cui all’iniziale malinconia tonale della maschera sospinta su deserte spiagge, subentra la vitalità dei timbri cromatici, con una marcata ed inedita intensità tonale. Una maschera, comunque, quasi l’artista ci ricordasse cosa indossiamo ogni giorno nel “recitare” la nostra vita, così come il suo costume variopinto ci dice della nostra multiforme e variegata ricchezza umana.


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    GIUSEPPE MIGNECO





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    Giuseppe Migneco nasce a Messina il 9 Febbraio del 1908.
    La vita, vissuta fra la campagna ed il mare della Sicilia, resterà nella memoria del pittore come il ricordo di un paradiso perduto che ritrarrà in molti suoi quadri.


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    pittore realista, anti-fascista che per la sua coerenza di militante conobbe anche il carcere, è un uomo passionale, persino geloso della sua sicilianità.

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    La sua pittura si sofferma su una umanità dolorosa, su popolani e umili lavoratori : la sua pittura è davvero un grido , è " Pittura Sociale "

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    I suoi pescatori, le sue mondine, i raccoglitori di limoni, gli stessi personaggi di “Pellegrinaggio a Tindari” (specchio di antiche tradizioni votive popolari), non hanno negli occhi la gioia del lavoro e della vita.


    la sua opera rivela un accentuato Vangoghismo , rintracciabile nella acidità cromatica e nella pennellata intricata e ondeggiante

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    Espressionista forte e sincero, Giuseppe Migneco non conosce le mezze tinte o i semitoni. I volti dei suoi personaggi sono l'espressione di una terra dura che dispensa dolore e fatica. L'umanità è illustrata nella sua lotta esistenziale, nel continuo e profondo confronto con se stessa e con gli eventi che la assediano, nella coscienza e nella speranza di libertà e di memoria, al di là dell'assurda solitudine dell'esistenza.


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    Il pittore siciliano, che in oltre cinquant'anni di lavoro, ha espresso in modo sempre più coraggioso ed ostinato, attraverso un magistrale uso dei colori, il suo impegno di artista e di uomo, muore a Milano il 28 febbraio del 1997.



     
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    GRAZIE ANTONELLA
     
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