VERDURE conosciamole

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  1. gheagabry
     
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    Ho bisogno di conoscere la storia di un alimento.
    Devo sapere da dove viene.
    Devo immaginarmi le mani che hanno coltivato,
    lavorato e cotto ciò che mangio.
    (Carlo Petrini)


    LA MELANZANA


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    La pianta della melanzana appartiene alla famiglia delle Solanaceae, questa specie di pianta infatti comprende al suo interno almeno 85 generi e 2200 specie di piante diverse. Ha fusto eretto, rigido e ramificato, leggermente spinoso, che può raggiungere gli 80 cm di altezza. Ha radici fittonanti, ed ha bisogno di un terreno piuttosto profondo. Le foglie sono grandi, lobate e di colore verde brillante, colore dato dalla clorofilla, un elemento che aumenta di quantità man mano che la foglia si accresce, facendola diventare di conseguenza anche di un colore più scuro. I fiori sono piccoli e spinosi, e possono essere di colore violetto oppure bianchi; presentano corolle a forma di campane con 5 stami, dalle antere di colore giallo che sbocciano tra giugno e settembre. Nelle varietà di melanzana più tradizionali i fiori sono solitamente ermafroditi e solitari, e possono avere fecondazione autogama o fecondazione incrociata, che avviene per mezzo di insetti.
    La melanzana, il cui nome scientifico è Solanum Melongena, è collegato alla pianta da un lungo peduncolo, legnoso a volte, e ricoperto di spine, terminante con il calice che avvolge la parte superiore della melanzana; può assumere, a seconda della varietà di melanzana coltivata, diversi tipi di forme e colore. Le melanzane possono infatti essere di forma tonda, oblunga od ovoidale, ed essere di colore bruno violaceo , rosato o bianco. E' una bacca carnosa con polpa biancastra e spugnosa. La buccia della melanzana può essere liscia, lucida o a coste.spesso dal sapore amarognolo e piccantino; all’interno della polpa vi sono più o meno numerosi semi schiacciati dal colore bianco, ambrato o giallo.
    E' un ortaggio tipicamente mediterraneo; La buccia della melanzana si presenta liscia e tesa; la polpa, al tatto deve presentarsi soda. La presenza di una piccola protuberanza alla base della melanzana indica generalmente che la polpa è compatta e con pochi semi.

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    E' un prodotto ortofrutticolo che viene consumato solo previa cottura poichè se cruda, contiene la solanina, una sostanza tossica, presente anche nelle patate e nei pomodori ancora verdi.
    Ha un valore nutritivo piuttosto basso, ha poche calorie e un basso contenuto di grassi, proteine, glucidi e pochi zuccheri;
    è inoltre ricchissima di acqua, di potassio, di vitamina A e C, di fosforo, di calcio e tannino.
    La buccia della melanzana contiene sostanze benefiche per fegato, pancreas e intestino; non contiene glutine.
    La polpaviene utilizzata anche in cosmesi, nella preparazione di creme e maschere per il viso.
    Tra i produttori mondiali di melanzane nel mondo, il maggiore produttore di melanzane presente sul mercato ortofrutticolo mondiale è la Cina, che produce annualmente oltre 16 milioni di tonnellate di questo prodotto ortofrutticolo fresco, circa il 60% della coltivazione mondiale di questo ortaggio, seguita dall'India, con circa il 30% della produzione di melanzane a livello mondiale, e dalla Turchia, con una produzione annua che si aggira attorno al 5%Sono molte le varietà di melanzana, si distinguono generalmente per forma, oltre che per il sapore, che può essere molto delicato oppure più deciso e piccante.


    Le più conosciute sono:
    Di forma rotonda
    • SABELLE RZ F1: melanzana Violetta, precoce e dalla forma tondeggiante, produce frutti uniformi che hanno il calice di medie dimensioni e pochissime spine. Il colore di questo tipo di melanzana è di un viola brillante.
    • BLACK BEAUTY (O BELLEZZA NERA): melanzana medio-tardiva di forma tonda-ovoidale e dalla buccia lucida di colore viola molto scuro. Ha polpa compatta, con pochi semi e poco amara al gusto.
    • TONDA COMUNE DI FIRENZE (o "Melanzana violetta pallida"): melanzana dalla forma rotondeggiante; ha polpa tenera, compatta e poco acida, che si presenta con pochissimi semi. La buccia è di colore viola chiaro.
    • MELANZANA TONDA NERA: melanzana a pianta piuttosto produttiva; di grosse dimensioni (dai 300 ai 600 gr. circa), di forma tonda o leggermente ovale con buccia di colore viola scuro.

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    • MELANZANA TONDA BIANCA: melanzana a pianta piuttosto produttiva, dalla forma rotonda e dimensioni piuttosto grosse. Ha la buccia di colore bianco e polpa dal sapore delicato con pochi semi.
    • MELANZANA TONDA BIANCA SFUMATA DI ROSA: melanzana dalla forma rotonda e dimensioni piuttosto grosse. Ha la buccia liscia ma lievemente costoluta, di colore bianco leggermente sfumato di rosa, e la polpa è soda, di colore bianco e con pochi semi.
    • MELANZANA TONDA LILLA: melanzana a pianta mediamente produttiva, di forma tonda con superficie leggermente a coste e buccia di colore lilla. Ha la polpa dal sapore delicato e pochi semi.
    • PROSPEROSA: melanzana a frutto tondo ma leggermente ovoidale e di medie dimensioni. La superficie è leggermente costoluta, con calice di colore nero che forma un "colletto bianco", il resto ha la buccia di un intenso color viola chiaro. La polpa è di colore bianco, morbida e di lenta ossidazione.
    • MELANZANA DI MURCIA: melanzana dalla forma rotonda, con superficie leggermente a coste e buccia di colore viola chiaro. Questa varietà di melanzana nasce da una pianta piuttosto resistente con foglie e fusto spinosi.
    • BAFFA: melanzana a pianta vigorosa e dal portamento eretto. L'ortaggio ha una superficie a coste e buccia è di colore nero brillante.
    • PALERMITANA (o tunisina): melanzana a pianta di media vigorosità. Produce melanzane dalla forma tonda con superficie liscia, e calice di colore nero che forma un "colletto bianco", il resto ha buccia di un lucente colore viola intenso.

    Alcune varietà di melanzana dalla forma ovale:
    • BIANCA OVALE: melanzana che nasce da una pianta vigorosa; ha forma ovoidale di piccole dimensioni con buccia liscia e lucente di colore bianco avorio, priva di pigmenti vegetali. La polpa è molto soda e con pochissimi semi.
    • JERSEY KING: melanzana che produce frutti di forma ovale e di notevoli dimensioni. La superficie è liscia e la buccia di colore viola scuro.
    • MELANZANA GIOTTO: melanzana prodotta da una pianta piuttosto robusta e con una buona resistenza alle malattie; si presenta con forma ovale e buccia di colore viola scuro.
    • MOSTRUOSA DI NEW YORK (detta anche "Gigante bianca di New York"): melanzana il cui nome deriva dalla dimensione dell’ortaggio stesso, oltre che dalla sua origine americana; questa varietà di melanzana infatti è tipica di New York. Ha la caratteristica forma a borsetta, il colore della buccia può variare dal bianco, al bianco sfumato di violetto.
    • LARGA MORADA: melanzana di origine spagnola, dalla forma ovale ma abbastanza allungata, ha la buccia liscia di colore rosato striata di viola ed un gusto delicato.
    • DURONA CALICE NERO: (detta anche "a peduncolo nero"): melanzana dalla forma ovale, leggermente allungata e con calice bronzato. La superficie è liscia, leggermente costoluta, con buccia di colore nero.
    • SETA VIOLETTA LUNGA: melanzana a pianta molto vigorosa, produce dei frutti dalla forma ovale allungata, con superficie liscia e calice di colore nero che forma un "colletto bianco" per il resto ha la buccia di un intenso color viola.
    Di forma allungata:
    • VIOLETTA DI NAPOLI: melanzana dalla forma allungata, ha la polpa di sapore forte e piccante
    • VIOLETTA LUNGA PALERMITANA: varietà di melanzana di dimensioni piuttosto grandi e forma allungata e claviforme con buccia di colore viola scuro.
    • VIOLETTA NANA PRECOCE: melanzana molto precoce e dalla forma tonda e assai più piccola rispetto alla Violetta lunga palermitana e alla Violetta di napoli. La superficie di questa melanzana non è liscia ma si presenta a coste, schiacciata alle estremità, e con la buccia di un brillante colore viola chiaro.
    • MELANZANA MORELLA: melanzana a pianta vigorosa che può arrivare ad una altezza di 70/80 cm. I frutti che produce hanno forma allungata, cilindrica, circa 22/24 cm di lunghezza per 5/6 cm di larghezza, e leggermente claviforme. Il calice di questa varietà è di colore verde, mentre la buccia è di colore violetto scuro.
    • PERLINA: varietà di melanzana a pianta di taglia medio-bassa, ha la forma allungata ed è di piccole dimensioni, in media pesa solo 35gr.
    Da segnalare anche un'altra specie di melanzana, del tutto diversa dalle altre:
    • MELANZANA ROSSA DOP di ROTONDA: questa varietà di melanzana è un prodotto ortofrutticolo proveniente dall'Africa e dall'Asia e completamente diverso da tutte le altre varietà di melanzane.
    Questo particolare ortaggio si presenta con la forma molto simile a quella di un pomodoro, e con la buccia di colore rosso-arancione. Melanzana dalla polpa fruttata che non annerisce nemmeno dopo ore dal taglio. Il profumo è piuttosto intenso e ricorda quello del fico d'India, mentre il sapore è leggermente piccante.


    ...storia, miti e leggende...


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    Sembra che questo tipo di ortaggio si sia diffuso inizialmente nelle zone calde dell'Asia meridionale e più precisamente in India, oltre che in Cina, dove è probabile che questo prodotto ortofrutticolo fosse coltivato già in epoca preistorica.
    Non si fa menzione della melanzana per lungo tempo e non si conoscono nomi greci o romani che indichino l’etimologia di questo prodotto ortofrutticolo: per questo è più probabile che la melanzana non fosse ancora conosciuta in Europa in epoca Greco-Romana, ma si ha invece menzione di questo ortaggio fresco nel XIII secolo, quando la melanzana inizia ad essere coltivata nel nord Africa. E’ solo attorno al 1400 che la melanzana venne introdotta, dagli arabi, nelle regioni occidentali e in Europa.
    In Italia arrivò alla fine del Quattrocento, ed è anche per questo che la melanzana non deve il suo nome ai latini o ai greci, ma all’unione del termine arabo badingian. In alcune zone italiane la parola araba "badingian" venne invece preceduta dal prefisso "Petro", e, per questo motivo, fino ai primi anni del 1800 in alcuni testi ove era menzionata la melanzana, questo ortaggio veniva identificato col nome di petronciano. Per evitare fraintendimenti sulle sue proprietà, la prima parte del nome venne mutata in mela dando così origine al termine melangiana e poi melanzana. Il nome melanzana, in particolare, veniva popolarmente interpretato anche come mela non sana, proprio perché non è commestibile da cruda. Dalla forma araba con l'articolo (al-badingian) derivano invece la forma catalana (albergínia) e francese (aubergine).
    Tempo fa si credeva che il nome derivasse da malum insanum, cioè frutto non sano, dovuto al fatto che non è commestibile se non viene cotto o trattato in modo adeguato (contiene solanina, un alcaloide glicosidico tossico, presente anche nelle parti verdi delle patate e dei pomodori e che queste piante producono per difendersi dagli insetti.
    Nel medioevo si riteneva che il consumo di questo ortaggio potesse provocare la pazzia. Si fa menzione dell’uso della melanzana in un testo del 1550 (trattato della coltura degli orti e giardini) ad opera del naturalista italiano Soderini.

    Nell'antichità la Melanzana veniva conservata e consumata in salamoia, arricchita di spezie aromatiche e piccanti; più recentemente, durante la seconda guerra mondiale, le foglie di melanzana venivano essiccate al sole ed usate dai contadini in sostituzione del tabacco, allora introvabile, per la confezione di sigarette e di sigari.
    Un piatto turco di melanzane viene chiamato Imam Bayeldi, che significa "l'Imam trapassato". L'Imam in questione fu così sopraffatto dal sapore glorioso di questo piatto servitogli dalle concubine, che trapassò immantinente.


    Edited by gheagabry1 - 12/10/2019, 18:37
     
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  2. gheagabry
     
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    IL PEPERONE


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    Il peperone è un ortaggio fresco appartenente alla famiglia delle Solanaceae, di cui fanno parte anche i pomodori, le patate e le melanzane. Come per il pomodoro, le sue origini sono da ricercare nell'America del Sud e, più precisamente, nelle regioni del Brasile e della Giamaica.
    Secondo alcuni, il nome latino "Capsicum" deriva da "capsa", che significa scatola, e deve il nome alla particolare forma del frutto. Altri invece lo fanno derivare dal greco kapto che significa mordere, con evidente riferimento al piccante che "morde" la lingua quando si mangia. L’appellativo “peperone” deriva proprio dalla scoperta fatta ad opera di Cristoforo Colombo, il quale era convinto di essere arrivato in India ed era alla ricerca di spezie pregiate per l’esportazione in Europa; egli rimase piuttosto colpito dal particolare sapore piccante del peperoncino che, per la sua somiglianza con il pepe, scambiò appunto per una nuova varietà di pepe rosso.
    La pianta del peperone è una pianta a coltivazione annuale che ha la sua massima produzione nel periodo primaverile ed estivo perchè sensibile a freddi improvvisi ed al troppo vento. La grandezza dei frutti varia a seconda delle temperature di cui gode la pianta. Il terreno che predilige è un terreno morbido e poco compatto, acido, ricco di calcio e ben drenato a causa delle radici che non hanno elevata capacità di suzione. Il peperone ha pianta a fusto eretto e ramificato, dalla forma simile ad un cespuglio, alta dai 40 agli 80 cm a seconda della specie. Le foglie sono ovali e lucide, di colore verde chiaro, mentre i fiori sono piccoli e di un colore che va dal bianco al verde. I fiori della pianta del peperone possono autofecondarsi o essere impollinati da insetti di diverse specie.
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    Il frutto o bacca, il peperone, può avere portamento eretto o pendulo a seconda delle diverse varietà, e si presenta cavo all'interno e semicarti-
    laginoso; di colore verde all'inizio, arriva a maturazione ad avere colori brillanti e luminosi che variano dal rosso al giallo. All'interno del peperone vi sono semi in genere concentrati alla base del peduncolo ed attaccati ad un supporto biancastro e spugnoso, ove in alcune varietà di peperone partono dei filamenti (placenta) che percorrono tutta la lunghezza del peperone.
    Viene raccolto in diversi stadi di maturazione a seconda dell'uso che ne viene fatto sia come verdura fresca che nell'industria; se destinato alla produzione di sottaceti, verrà raccolto quando ancora acerbo e verde, mentre, se consumato fresco o destinato all'inscatolamento, verrà raccolto all'inizio della sua maturazione e infine, se destinato all'essiccamento, il peperone verrà raccolto a completa maturazione.
    Il peperone è presente in numerosissime varietà diverse, alcune delle quali dal gusto più dolce ed altre dal gusto più o meno piccante. Le tipologie dei peperoni si distinguono tra loro, oltre che per il sapore, anche per la forma allungata, conica o quadrata, e per il colore, che può variare dal giallo al rosso, al verde.


    La varietà di peperoni più diffusa e coltivata, appartiene alla specie Capsicum annuum, specie di cui fanno parte moltissime varietà di peperoni dolci ma anche alcune specie di peperoni piccanti e piante di peperoni ornamentali.
    Le altre, relativamente meno coltivate, varietà di peperoni sono: la Capsicum baccatum; la Capsicum chinense, qualità sudamericana originaria dell'Amazzonia, che include anche la varietà di peperoncino Habanero rimasto fino al 2006 nel Guinness dei primati come il peperoncino più piccante al mondo; la Capsicum frutescens, varietà di peperone che include il tabasco, e la Capsicum pubescens, che include la varietà di peperone sudamericana rocoto. Il capsicum annuum raggruppa le varietà più diffuse: il capsicum abbreviatum ha frutti piccoli e conici che non superano i cinque centimetri. L'acuminatum produce bacche sottili a cono allungato leggermente ricurve. Il fasciculatum ha frutti eretti, sottili, molto piccanti, formanti un piccolo mazzo terminale di colore rosso vivo. Il cerasiferum, il bicolor e il christmas candle.

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    Il sapore del peperone viene determinato soprattutto dalla presenza di una sostanza contenuta nei semi, nella placenta, quei filamenti di colore bianco che sono presenti all’interno del peperone, e nella polpa: la capsicina. Un alcaloide che, assieme ad altre quattro sostanze naturali chiamate capsacinoidi, è presente in grande quantità nei peperoni piccanti, mentre è assente o limitato nelle varietà di peperoni dolci.
    La piccantezza del peperone viene misurata con la scala Scoville, secondo la quale il peperone risulta dolce se il livello di capsicina va da 0 a 500 unità.
    I maggiori produttori su scala mondiale sono Asia, America, Africa ed Europa, mentre a livello Europeo i maggiori produttori di peperoni sono Spagna, Francia, Olanda, Germania e Italia. In Italia la maggiore produzione di peperoni si ha soprattutto nelle regioni meridionali.

    ..storia, miti e leggende..


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    Secondo alcuni studiosi, questo vegetale è di origine brasiliana, secondo altri la Giamaica. Alcuni archeologi hanno reperito semi di peperone in tombe preistoriche ad Arricon, nella regione di Lima. Fonti storiche, danno il peperone come utilizzato per l’alimentazione dagli Almechi, la cui civiltà si sviluppò fra il V e I secolo a. C. nelle zone costiere del Golfo del Messico. Una precisa testimonianza si trova nella biografia di Montezuma, ultimo signore degli Aztechi, che mentre era prigioniero di Cortez, passava il tempo scherzando con le sue concubine e mangiando pietanze con peperoncino rosso.
    Non era conosciuto in altri Paesi fino a quando, nel 1493, Cristoforo Colombo fece il suo secondo viaggio verso le Americhe. Il primo occidentale che conobbe il sapore piccante del peperone fu il medico di bordo, Diego Alvaro Chanca, che lo usò come condimento nel 1494. Nel suo diario, parlando dell’isola di Haiti, Colombo scrisse: “i miei uomini vi trovarono molti aji che gli Indigeni usano come fossero pepe e che vantano maggiori pregi del nostro, perchè esso può considerarsi vera e propria pietanza per chi riesca a sopportarne il sapore assai forte. Niuno là mangia senza il condimento di questo aroma”.Il peperone, quindi, arrivò in Europa stivato nelle caravelle di Colombo che tornavano nel vecchio continente, nel 1514. Il nome con il quale era chiamato in tutto il nuovo mondo era "chili".
    A Espelette, vicino a Lourdes, viene tuttora coltivato un peperoncino, giunto qui grazie ad un marinaio di Colombo, che
    ha ottenuto la denominazione d'origine controllata.
    In Europa si diffuse abbastanza velocemente nonostante il divieto di farne commercio sancito dal Portogallo, che temeva un danno per il proprio mercato del pepe, fino ad allora unica e costosissima spezia in grado di insaporire le pietanze favorendone la conservazione. Nicolò Monardes, autore di un famoso trattato del Cinquecento sulle "cose che vengono portate dalle Indie Occidentali pertinenti all'uso della medicina", scrive che il peperoncino si usa esattamente come le spezie aromatiche "che si portano dalle Molucche", e aggiunge che la differenza è che "quelle costano molti ducati, e quest'altre non costa altro che seminarle".
    Il Mattioli, medico senese autore di un famoso trattato sulle piante del 1568, ne parla già come di una pianta comune,
    chiamandolo pepe cornuto o pepe d'India. Comincia da qui la difficile e intricata questione della nomenclatura, che troverà solo con la sistematica di Linneo, nel Settecento, il definitivo nome scientifico di "capsicum".
    Oltre al capsicum annuum lo stesso Linneo aveva distinto anche un capsicum frutescens. Più tardi, negli anni
    cinquanta, sono state aggiunte un capsicum pubescens e un capsicum pendulum.
    Questo ortaggio, al contrario del fratello peperoncino, non ebbe una rapida diffusione nella cucina italiana, anche se venne usato nelle ricette napoletane per la pasta prima che il pomodoro lo soppiantasse.
    Del peperone troviamo alcuni cenni nella letteratura gastronomica del Seicento: Carlo Nascia lo propone con la cottura del tacchino e Antonio Latini per insaporire le salse. Un secolo dopo Vincenzo Corrado lo qualificò come "cibo rustico e volgare" pur ammettendo che piaceva a molte persone. Nell'Ottocento i peperoni sott'aceto di un'oste veronese finirono addirittura sulla tavola di Napoleone, dell'imperatore D'Austria e del re di Napoli.

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    Il peperone venne usato nei riti tradizionali nordamericani; ritenevano fosse in grado di scacciare il malocchio e di allontanare gli spiriti maligni che avrebbero potuto avvicinarsi al neonato durante il sonno o causarne il pianto ingiustificato. Nella tradizione rendeva immuni dai veleni. In contrapposizione a questa visione positiva, la tradizione inca ne sottolinea negativa prorompenza, al punto da bandirne la presenza durante i funerali.

    Il peperone è un ortaggio a bassissimo apporto calorico è ricco di vitamina A e vitamina C, Soprattutto se consumato a crudo il peperone
    E' un ortaggio ipocalorico (ha solo 20 kcal per etto), composto per il 90% di acqua e per il restante 10% da zuccheri semplici e fibre, mentre sono quasi assenti proteine e grassi. Apporta all'organismo sostanze fondamentali, quali sali minerali, grassi, zuccheri, proteine e vitamine. La capsicina è in grado di aumentare la secrezione di muco e di succhi gastrici. E’ molto ricco di calcio, fosforo e potassio, dovuti alla presenza di sostanze quali la lecitina, la capsicina e la pectina, di betacarotene (soprattutto nelle varietà di colore rosso e giallo), con proprietà protettive di pelle e vista, e soprattutto di vitamina C, con azione antiossidante e immunitaria. Poichè la vitamina C è termolabile, per beneficiarne al massimo bisognerebbe consumare i peperoni crudi. Contenendo vitamina C, i peperoni sono particolarmente indicati nell’assorbimento del ferro, nel mantenimento della consistenza del collagene (e quindi di tessuti come pelle, muscoli e tendini.


    Edited by gheagabry1 - 12/10/2019, 18:30
     
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  3. tomiva57
     
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    grazie
     
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  4. gheagabry
     
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    IL FAGIOLO DI GOA


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    Il pisello asparago, o fagiolo di Goa, è un legume, la cui origine non è stata ancora definita, si ritiene che provenga dalle Mauritius e che successivamente si sia diffuso in Nuova Guinea e in Indonesia. La pianta cresce molto rapidamente ed è un rampicante che può raggiungere i 4 metri di altezza e tutte le parti che la compongono hanno un elevato valore proteico e ricco di vitamina A, C, calcio e ferro. Il fagiolo ha baccelli dalla forma particolare, con sezione a stella a quattro punte, che lo hanno reso noto anche come "fagiolo alato". Il suo nome scientifico è psophocarpus tetragonolobus.
    Il fagiolo di Goa è una pianta perenne in clima equatoriale, ma viene coltivato come annuale alle temperature miti. Soffre molto il gelo e il mese più adatto per la semina è maggio. In estate inoltrata la pianta inizierà a produrre i fiori, che la rendono anche adatta alla coltivazione a scopo ornamentale. Se le temperature sono favorevoli, fiori matureranno presto in baccelli, i quali verranno raccolti in modo scalare per favorirne la produzione di nuovi. Sarà solo fiore quando la lunghezza del giorno è più breve di 12 ore. Le foglie variano colore e appaiono con diverse tonalità di verde. Quando la capsula è completamente matura, diventa di un colore cenere-bruno e si spacca per liberare i semi.

    I baccelli possono raggiungere anche i 15 cm di lunghezza, ma per il consumo è bene raccoglierli non maturi, dai 3 ai 5 cm. Ogni parte della pianta è commestibile: con i semi si ricava un olio simile a quello della soia; con la granella secca si prepara un alimento fermentato detto tempeh; le foglie e le radici possono essere cucinate in vario modo, lesse o saltate; i baccelli giovani si possono consumare anche crudi; i fiori blu pallido vengono utilizzati come colorante o per insaporire le zuppe e i piatti con i funghi.
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    In Indonesia è una pianta preziosissima: oltre che nella cucina tradizionale, infatti, il latte di questo legume unito alla farina è utilizzato per nutrire i bambini che hanno carenze di proteine. Tra gli altri vantaggi: è ottima per il foraggio; l’olio di scarto dei suoi semi è sia usato come combustibile sia come ingrediente per il sapone. Oltre che gustoso da portare in tavola, il fagiolo alato è perfetto per essere usato come concime biologico; molti studi hanno dimostrato che le radici della pianta rilasciano grosse quantità di azoto nel terreno e ingenti sostanze nutritive che rendono più fertile la terra e alimentano anche le colture vicine.
    Secondo gli esperti costituirebbe l’elemento base dell’alimentazione del futuro. Le proprietà nutrienti sarebbero sbalorditive, sia se il fagiolo viene cotto che se servito crudo. Si parla di 35% di proteine e 18% di grassi a porzione.


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    Edited by gheagabry1 - 12/10/2019, 18:03
     
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  5. gheagabry
     
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    “…Egli è come un granello di senapa che,
    quando si semina in terra è il più piccolo di tutti i semi
    ma poi cresce e diventa il maggiore di tutti i legumi…”
    (Marco 4:30-32)



    IL CAVOLO d’ABISSINIA


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    Il cavolo d’Abissinia o brassica carinata appartiene alla famiglia delle brassicacae. Questa pianta è nota anche come senape etiope, pur non assomigliando molto alla senape, o anche come texel, texcel o texsel. Ha origini antiche e è recentemente tornato alla ribalta, per la sua crescita veloce e l'alta resa delle piante. E' ritenuta originaria dell'Africa orientale (altipiani etiopici) in quanto proprio in queste regioni sono state individuate il maggior numero di popolazioni selvatiche. La coltivazione di questa specie in Etiopia si è sviluppata da circa 30 anni e si è diffusa prevalentemente sugli altopiani, tra i 2000 e 2700 metri.

    E' una pianta erbacea dal ciclo annuale e dal portamento eretto, è costituita da un fusto robusto e parzialmente lignificato alla base, che a partire dalla porzione mediana e distale, si inseriscono numerose ramificazioni. Lo stelo centrale di ciascuna pianta si sviluppa facilmente superando il metro di altezza, le foglie sono molto distanziate fra loro. Le foglie sono simili quelle della senape a foglie larghe, i fiori sono gialli e formano delle lunghe e compatte infiorescenze terminali. Se lasciata fiorire, la pianta si riempirà di numerosi fiori gialli, grandi 2-3 cm, che produrranno i baccelli contenenti i semi.
    Il cavolo d'Abissinia è purtroppo molto amato dalle cavolaie, che possono gravemente danneggiare le piante, e soffre anche l'attacco di afidi.
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    Etimologicamente Brassica è nome latino del cavolo descritto da diversi autori, attestato in letteratura a partire da Plauto (III-II sec. a.C.). L'origine di questo nome è incerta ed è stata fatta risalire a voci greche o celtiche. Diversi testi etimologici fanno riferimento alla parola Βράσκη braske, secondo Esichio usata dagli Italici in Magna Grecia per indicare il cavolo. Carinata deriva da "cárina" carena: carenato ovvero con una parte sporgente a forma di chiglia o carena

    Tutta la pianta è commestibile: le foglie giovani si consumano come la verdura da taglio, crude o cotte. La foglie di texel sono molto gustose, e anche se assomigliano a quelle della senape non hanno alcuna componente pungente. Il loro gusto invece ricorda il cavolo, e diventa più intenso con la cottura. Quando giunge alla fioritura, i boccioli non ancora fioriti si consumano previa cottura, e il loro gusto ricorda i broccoli pur essendo notevolmente più piccoli, sono particolarmente saporiti.

    Questo tipo di ortaggio migliora i terreni sul piano chimico e strutturale, inoltre, alcuni studi hanno dimostrato che se ne può ricavare un olio che, trattato, diventa un ottimo biodiesel: biodegradabile, non contiene zolfo, riduce la fumosità dei gas di scarico e non vi è rischio di autocombustione.


    Edited by gheagabry1 - 6/10/2019, 19:28
     
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  6. gheagabry
     
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    Il pomodoro del futuro riavrà il sapore di una volta

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    Individuati i geni perduti in mezzo secolo di selezione.
    Con gli incroci tornerà il gusto dimenticato



    Negli ultimi cinquant'anni è pressoché scomparso. Ma alla ricerca del sapore perduto dei pomodori oggi è partito un gruppo di agronomi e genetisti. Essendo il problema globale - i frutti che non sanno di niente si trovano nei supermercati di tutto il mondo - l'équipe ha imbarcato scienziati di tre continenti: cinesi, statunitensi, spagnoli e israeliani. La promessa, nelle parole di Harry Klee, agronomo dell'università della Florida, è che ci vorranno ancora quattro o cinque anni: "Ma poi riusciremo a rendere il pomodoro del supermercato di nuovo saporito".

    Per la missione sono stati ingaggiati strumenti per il sequenziamento genetico di 398 varietà di pomodori fra commerciali, tradizionali e selvatici, un terzo dei quali italiani, e 160 assaggiatori in carne e ossa, chiamati a stabilire quali fossero le caratteristiche dell'ortaggio ottimale. Il risultato è che in cinquant'anni di selezione i frutti sono diventati più grandi e sodi per rendere e durare di più. Ma hanno visto ridursi sia il tasso di zuccheri che una serie di molecole chiamate "composti aromatici", presenti in quantità piccolissime, totalmente trascurate dai selezionatori, ma essenziali per il sapore e l'aroma degli ortaggi.

    Il rapporto fra frutti grandi e tassi di zucchero bassi è apparso chiarissimo, nella ricerca pubblicata da Science. E difficilmente qui si potrà avere la botte piena e la moglie ubriaca. Per quanto riguarda i composti aromatici, invece, i ricercatori ne hanno identificati tredici (ma probabilmente ce ne saranno altri). Si tratta di molecole piccole e difficili da misurare con le attrezzature a disposizione degli agricoltori. I pomodori le producono grazie a una manciata di geni che ora sono stati individuati e che, senza nemmeno rendersene conto, i coltivatori avevano trascurato in nome delle dimensioni e della facilità di trasporto dei frutti. Reintroducendo questi geni - con tecniche di selezione naturale e senza ricorso a tecniche ogm, promettono i ricercatori - sarà ora teoricamente possibile far tornare saporiti e profumati i nostri pomodori. "Vogliamo riaggiustare quello che è stato danneggiato nell'ultimo mezzo secolo" spiega Klee. Per quanto riguarda i composti aromatici, questo sarà probabilmente raggiungibile senza sacrificare le dimensioni dei frutti.

    Il pomodoro, con i suoi 170 milioni di tonnellate prodotte nel mondo, è il prodotto agricolo di maggior valore economico. Tra le varietà selvatiche originarie e quelle odierne c'è una differenza di peso che arriva a mille volte. "E l'aumento delle rese, che oggi toccano i 1.500-2.000 quintali all'ettaro, ha sicuramente ridotto la qualità" conferma Luigi Frusciante, professore di genetica vegetale all'università Federico II di Napoli, uno dei protagonisti del sequenziamento del genoma di questo ortaggio completato nel 2012. "Credo anch'io che gli studi di genetica ci permetteranno di recuperare il sapore perduto" spiega Frusciante. "Ma dovremmo anche prestare più attenzione sia al luogo di origine di ciascuna varietà, sia all'uso cui è destinata". Pomodori da insalata, da sugo o da succo da bere devono avere sapore, dolcezza, aromi e acidità diverse, secondo il genetista. "E ci sono pomodori come il vesuviano, che viene appeso in grappoli e resiste senza marcire fino a marzo, che possono crescere solo nella zona del vulcano". Cuore di bue e Liguria, sorrentino e Sorrento, corbarino e Puglia, pachino e Sicilia: questi binomi non dovrebbero essere mai scissi, per conservare il sapore ottimale. "E per spezzare la continua ricerca di rese più alte, si potrebbe stipulare un nuovo patto fra coltivatori e industriali. Anziché pagare i pomodori per il loro peso, gli acquirenti potrebbero calcolarne il prezzo in base alla qualità". L'indice Brix, ad esempio, misura il grado di zucchero di un frutto. Viene usato per l'uva e la barbabietola. "Sarebbe utile applicarlo anche ai pomodori " prosegue Frusciante. "Ma finora non si è riusciti a raggiungere un accordo. E ai coltivatori non resta che continuare a selezionare i geni che spingono le piante a produrre di più".


    di ELENA DUSI
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    Edited by gheagabry1 - 6/10/2019, 18:07
     
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    Maca peruviano

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    La pianta della Maca appartiene alla famiglia delle Brassicaceae, e il suo nome botanico è Lepidium Meyen Comprende sette varietà "perenni", tutte originarie dell'America del sud e più precisamente della cresta montuosa delle Ande. Le diverse varietà di Maca si distinguono l'un l'altra per forme e colori; la radice può essere di diversi colori: giallastro-dorata, biancastra, rossa, porpora, blu, verde o nera. Il colore delle radici trova relazione anche nel colore dei semi. Le più "pregiate" sono quella gialla o Milagro e quella rosso scuro o Cello.

    E’ una pianta erbacea annuale, ma per la formazione di radici di accumulo può essere definita perennante. E’ considerata pianta alimentare e, tradizionalmente, pianta medicinale La pianta produce foglie ad ampia foliazione a rosetta basale; le foglie esterne periferiche invecchiano e deperiscono al suolo, ma sono continuamente sostituite dalle nuove che si formano al centro. La pianta produce poi uno stelo fiorale eretto, con infiorescenza a racemo con molti piccoli fiori bianchi o biancastri; i frutti sono silique a due semi. I semi sono molto piccoli e colorati; dato il clima, non hanno dormienza. La riproduzione è esclusivamente praticata per semi.

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    È coltivata per la sua radice commestibile (ipocotile). Un tempo era ampiamente coltivata dalle popolazioni andine; oggi la produzione è circoscritta nell'altipiano della Puna (Pasco) e al Junìn, tra i 3500 e i 4500 metri di altitudine. La sua produzione causa il caratteristico "impoverimento del terreno" che necessita un maggese (riposo dalle colture) di circa 5 anni.

    Nella cucina locale la Maca viene utilizzata in tanti modi diversi, in quanto alimento versatile come ad esempio la patata, anche se rispetto a questa ha un potere nutrizionale molto più elevato. È un alimento versatile proprio perchè i tuberi, nella cucina locale, sono consumati sia freschi che secchi, cotti in modi diversi, come piatto base oppure come contorno. La polvere tostata invece diventa ingrediente principale nella preparazione di dolci e alcolici.

    La Maca è un alimento completo: ricca di aminoacidi essenziali (circa il 10%), sali minerali e vitamine, acidi grassi, carboidrati, proteine (10%) e fibre. Per questo motivo può essere definita “ricostituente” sia a livello fisico che mentale. Al contrario di molte piante energizzanti la Maca, però, non contiene stimolanti nocivi. Pur essendo però priva di caffeina, la radice della Maca ha un effetto simile al caffè, stimolando e riequilibrando il sistema nervoso e coadiuvando fisiologicamente le capacità di concentrazione, la lucidità mentale e la memoria.

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    .. storia ..

    La storia di questa radice è molto antica: le sue straordinarie virtù nutrizionali e medicamentose erano note già in età precolombiana agli Inca che la consideravano un dono degli dei, una carica di energia riservata a guerrieri e sacerdoti. Oltre al significato di energia vitale, salute, resistenza e forza per prestazioni elevate che gli Incas attribuivano alla Maca, un altro motivo di notorietà di questa pianta era relativo alle sue qualità afrodisiache e rinvigorenti.

    Alcuni storici, come il frate Antonio Vásquez de Espinoza in una descrizione dell'anno 1598, fanno menzione del consumo di questa pianta da parte delle popolazioni locali, così come posteriormente fece Cobo nel periodo che va dal 1603 al 1629. In seguito la descrivono minuziosamente altri botanici spagnoli, come ad esempio H. Ruiz nella sua Expedición Botánica al Virreinato del Perú.

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    Scoperto il segreto del pomodoro nero,
    è in un gene.


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    Scoperto il segreto del pomodoro nero, il Sun Black ottenuto in Italia nel 2008 con tecniche di selezione tradizionali. Dopo una caccia durata dieci anni, a scoprire il gene che rende il pomodoro così scuro e ricco di sostanze antiossidanti è stato lo stesso gruppo di ricerca che lo aveva scoperto, quello del PlantLab dell'Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant'Anna. Il risultato, pubblicato sulla rivista Frontiers in Plant Science, è firmato dal papà del pomodoro nero, Pierdomenico Perata, coordinatore del laboratorio e rettore della Scuola Sant'Anna, e da Sara Colanero e Silvia Gonzali.

    "Adesso sarà più semplice selezionare nuove varietà", ha detto Perata. Sviluppato grazie alla collaborazione tra la Scuola Sant'Anna e le università di Pisa, della Tuscia, di Modena e Reggio Emilia, il pomodoro nero è stato il risultato di un incrocio tra il pomodoro Anthocyanin Fruit (Aft), dai frutti violacei, e quello chiamato atroviolacea (atv), nel quale solo le foglie sono ricche di antociani, le molecole antiossidanti tipiche dell'uva e dei frutti di bosco. Ora si è visto che il gene che colora il pomodoro nero deriva dalla varietà atv ed è stato probabilmente il risultato di un incrocio accidentale con una varietà di pomodoro selvatico, avvenuto decenni fa. Si è anche visto che nella variante atv il gene che blocca gli antociani è inattivo, mentre nei pomodori rossi è attivo: "questo significa che basta silenziare questo gene repressore per ripristinare la capacità di produrre gli antociani", ha osservato Perata.

    D'ora in poi, ha aggiunto, sarà "molto più semplice selezionare nuove varietà di pomodoro nero SunBlack poiché la conoscenza della sequenza di Dna consente di verificare l'avvenuto incrocio con un semplice test del Dna, invece di dover attendere la produzione dei frutti per verificare l'effettiva presenza degli antociani".

    Il prossimo obiettivo della ricerca, ha concluso, è conoscere il Dna dell'altro 'progenitore' del pomodoro nero, la varietà Aft, e cercare di ottenere varietà sempre più ricche di sostanze antiossidanti"ora gli antociani si trovano solo nella buccia, vorremmo ottenerli anche nella polpa"

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    «Pomo d’oro, cosiddetto volgarmente dal suo intenso colore, overo pomo del Perù, quale o è giallo intenso overo è rosso gagliardamente […] ancora lui da ghiotti et avidi de cose nove è desiderato […] ma al mio gusto è più presto bello che buono».

    Così scriveva Costanzo Felici in una lettera a Ulisse Aldrovandi (1522-1605) del 10 marzo 1572.

    IL POMODORO


    pomodoro

    Il pomodoro (Solanum lycopersicum, L. 1753 - identificato secondo il Codice Internazionale di Nomenclatura Botanica (ICBN) Lycopersicon esculentum (L.) Karsten ex Farw. dalla classificazione botanica), appartiene alla famiglia delle Solanaceae, è una pianta annuale. Le sue bacche, dal caratteristico colore rosso, sono largamente utilizzate in ambito alimentare in molti paesi del mondo.

    Il pomodoro è stato introdotto in Europa in seguito alle scoperte geografiche e alla creazione dei primi imperi coloniali all’inizio del Cinquecento. È originario delle regioni tropicali e subtropicali del Cile, del Perù e dell’Ecuador; si possono trovare delle specie selvatiche dai frutti piccoli che offre i suoi frutti tutto l’anno, tipo cherry o ciliegino.

    La prima classificazione botanica fu di Carlo Linneo nel 1753, nel genere Solanum, ome Solanum lycopersicum (lyco-persicum deriva dal greco λύκος e πϵρσικός, letteralmente pesca dei lupi). Nel 1768, Philip Miller cambiò il nome, sostenendo che le differenze dalle altre piante del genere Solanum, quali patata e melanzana, erano sostanziali, tali da giustificare la creazione di un nuovo genere: da qui il nuovo nome scientifico di Lycopersicon esculentum. Questo nome ebbe notevole successo, sebbene fosse contrario alle regole di nomenclatura vegetale, secondo cui, se si sposta la specie in un nuovo genere, l'epiteto specifico (lycopersicum) non deve essere cambiato, ma solo il nome del genere: Hermann Karsten corresse l'errore nel 1881 e pubblicò il nome formalmente corretto Lycopersicon lycopersicum. Le moderne tecniche di biologia molecolare hanno permesso di creare precisi alberi filogenetici, che hanno indicato come il pomodoro in realtà faccia parte veramente del genere Solanum, dando sostanzialmente ragione a Linneo. Il nome ufficiale è quindi Solanum lycopersicum, sebbene il nome di Miller rimanga ancora in uso in molte pubblicazioni.

    Nelle diverse lingue europee viene chiamato: love apple in inglese, pomme d’amour in francese, Libesapfel in tedesco e pomo (o mela) d’oro in italiano. Alcuni riconducono l’origine del termine pomodoro ad una storpiatura dell’espressione pomo dei mori. Nelle altre lingue, deriva dall’originario termine azteco tomatl, ma è frutto di un errore in quanto la pianta importata in Europa era chiamata dagli Aztechi xitomatl (cioè “pianta con frutto globoso, polpa succosa e numerosi semi”), che significa grande tomatl. La tomatl (tomatillo) è un’altra pianta, simile al pomodoro, ma più piccola e con i frutti di colore verde-giallo, impiegata nella cucina centroamericana. Gli spagnoli chiamano entrambe tomate e ciò ha originato confusione.

    In generale la pianta ha andamento strisciante. La coltivazione a terra può causare il deterioramento delle bacche e della pianta in generale, ed è necessaria normalmente l'installazione di sostegni. La raccolta è fatta prevalentemente a mano. Molte qualità di pomodoro, quando giungono a maturazione, modificano la base del picciolo, che diventa fragile.

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    Nelle zone temperate, la pianta del pomodoro non sopravvive al clima invernale, e quindi è coltivata come annuale. In condizioni tropicale e sub, invece la pianta ha sviluppo pluriennale e continua a produrre fiori e frutti in diverse fasi dello sviluppo.

    Gli agricoltori del bacino del Mediterraneo, a metà del ’700, furono i primi fra tutti a individuare le possibilità d’impiego alimentare dei pomodori; nelle diverse regioni delle penisole iberica e italiana iniziò spontaneamente. I frutti delle prime piante arrivate in Europa, coltivate per lo più in Francia in un clima freddo, rimanevano piccoli e giallognoli, spesso contorti, non particolarmente accattivanti; fu il cambio di zona di coltivazione a renderlo rosso. Nell’individuare, anno dopo anno, le bacche con maggior resistenza e qualità , si ricavarono sementi nuove e nuove colture. Da piante di taglia bassa e di portamento strisciante, coltivate dai popoli andini insieme con il mais e caratterizzate da frutticini generalmente di colore giallo, si è passati, attraverso la selezione naturale prima, e con l’avvento degli ibridi a nuove piante e generando fino a 320 varietà.

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    Tutte le parti verdi della pianta sono tossiche, in quanto contengono solanina, un glicoalcaloide steroidale per questo il fusto e le foglie non vengono utilizzati a scopo alimentare. Anche il frutto contiene solanine (α-tomatina e deidrotomatina) ma in quantità molto basse. Per la presenza di diverse proteine allergizzanti: (Lyc e 1; Lyc e 2; 2Apoligalatturonasi; alfa-fructofuranosidase; superossido dismutasi; pectinesterasi; chitinosi), il pomodoro può essere causa di allergia alimentare anche grave.

    Le bacche del pomodoro possono, oltre che rosse, assumere colorazioni differenti. Si va dal colore bianco (white queen, white tomesol) a quelle giallo (douce de Picardie, wendy, lemon), rosa (thai pink), arancioni (moonglow), verdi anche a maturazione (green zebra), e nere violacee (nero di Crimea, purple perfect). Alcune varietà scure sono state appositamente selezionate, con tecniche tradizionali e OGM; ottenendo una pigmentazione del frutto nero, blu, si può usufruire delle proprietà antiossidanti associate a tali pigmenti. In alcune cultivar la buccia è leggermente pelosa, simile alla pelle di una pesca.

    Esistono pomodori lunghi (San Marzano), rotondi e molto grossi (cuore di bue o beefsteak), a forma di ciliegia, riuniti in grappoli (reisetomaten), e persino cavi all'interno (tomate à farcir).

    Le varietà sono molte: Pomodoro Pachino (o di Pachino, o ciliegino); Pomodoro fragola (o fragolino), una variante del pomodoro Pachino a forma di fragola e con basso contenuto di acidità; Pomodoro datterino; Pomodoro vallivo; Pomodoro Camone; Pomodoro Sun black; Pomodoro di Belmonte; Pomodoro di San Marzano; Pomodoro Regina; Pomodoro Cuore di bue; Pomodoro costoluto catanese detto anche solo 'u catanisi; Pomodoro costoluto fiorentino; Pomodoro blu; Pomodoro di Corbara
    Attualmente il pomodoro è, insieme alla patata, la specie orticola più coltivata al mondo. La Spagna e l’Italia hanno da tempo perduto il primato della sua produzione, superate da Cina, Stati Uniti, Turchia.

    …storia…


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    La salsa di pomodoro era parte integrante della cucina azteca. I pomodori sono originari della fascia di territorio che va dal Cile, al Perù, all’Ecuador, dove ancora oggi sono presenti specie selvatiche che hanno andamento perenne. In Messico comparvero come infestanti tra le piante del mais, ma presto ci si accorse che ne miglioravano la produzione. Furono coltivati con perizia dagli Indios che avevano affinato un sistema produttivo basato sulla regimentazione delle acque e sulla sistemazione del terreno.

    La coltivazione avveniva su una sorta di isole, circondate da canali principali, che portavano acqua a fossi secondari. Le isole erano in buona parte formate con la terra scavata nei fossi; i loro argini erano protetti da piante, per lo più alberi che impedivano lo smottamento delle sponde.

    Al tempo dell’arrivo degli Spagnoli, la pianta di pomodoro aveva ormai perduto, grazie ai lunghi periodi di coltivazione e alle continue selezioni, la sua naturale pericolosità, ed era largamente diffusa. L’alimentazione degli Indios era basata per lo più sul mais, dalla cui farina le donne ricavavano focacce rotonde, le tortillas. In particolari occasioni, le focacce potevano essere riempite con un impasto di verdure e carne a piccoli pezzi, avvolte in foglie di mais e cotte a vapore. Gli Europei dovettero adeguarsi all’alimentazione degli Indios e le prime notizie provengono da tre preziose testimonianze.

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    La prima da un soldato scrittore, Bernal Diaz del Castillo. Quando si accinse a scrivere la sua storia, erano passati più di trent’anni dalla caduta di Tenochtitlan e dalla fine dell’impero azteco, ma questo non gli impedì di rievocare lo stupore dei soldati spagnoli, convinti di trovarsi di fronte a popolazioni selvagge, alla vista della città sconosciuta che si ergeva dalle acque:

    “Vaste città, edifici e templi smisurati sorgevano dall’acqua, come negli incantesimi della storia di Amadigi: i soldati si domandavano se quello non fosse tutto un sogno... Rimasi a lungo in ammirazione, convinto che non si sarebbe mai più scoperta una terra così bella. E dire che di tutto questo non resta ormai pietra su pietra: tutto è andato distrutto, tutto perduto”.. Nel verso che segue, Bernal non tralascia di descrivere, con semplicità ed efficacia, ciò che i suoi occhi videro, tra cui le testimonianze della vita economica e sociale che si svolgeva nelle città. Le prime notizie sul pomodoro appaiono incidentali: durante la conquista, l’esercito di Cortés incontra l’opposizione della popolazione della città di Cholula, che per la sua ribellione subirà una tremenda punizione. “Noi siamo venuti qui per trattarvi da amici e da cristiani, per portarvi la luce della vera fede, togliendovi dall’errore e dalla turpitudine in cui vivete, adorando falsi idoli, facendo sacrifici umani e mangiando carne del vostro prossimo. Ed ecco che voi, dopo averci accolti nella vostra città, vi disponevate proprio a mangiare la nostra carne e avevate già bell’e pronte le pentole col sale, il pepe e i pomodori. Molto meglio avreste fatto se ci aveste combattuto in campo aperto..”. Le parole di Cortés rispettavano un’usanza degli Aztechi, i quali “mangiavano braccia e gambe delle vittime con la salsa di chimole”. Il 13 agosto 1521 la resistenza del Messico contro l’invasione spagnola era finita, Tenochtitlan era distrutta, della grande civiltà degli Aztechi rimanevano per lo più rovine. Solo trent’anni dopo Bernal Diaz del Castillo, che aveva partecipato alla conquista del Messico, cominciò la sua cronaca. Perché tanto ritardo? La sua “Historia Verdadera de la Conquista de la Nueva España” doveva smentire il biografo ufficiale di Hernán Cortés, mettendo in luce il ruolo collettivo che i soldati come lui ebbero nell’ impresa. Bernal scrisse con semplicità e chiarezza, mostrando luci e ombre del mondo che aveva contribuito a distruggere e non nascondendo gli orrori della conquista. L’opera viene considerata la vera narrazione epica del XVI secolo.

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    Il secondo cronista, Fra’ Bernardino di Sahagun, missionario francescano fu un precursore della moderna antropologia, studiò la cultura degli Aztechi, ne mise a confronto diversi gruppi, ascoltò e vagliò le loro testimonianze. Alla fine, scrisse un resoconto. Quando descrisse il mercato, non tralasciò di parlare di ogni attività e di ogni prodotto che vi si trovava. Sappiamo da lui che i venditori offrivano, tra le altre merci, ogni specie di pomodori dal grande al piccolo, dal colore verde al dorato – e che c’erano pomodori di ogni forma, rotondeggiante, allungata, a serpente. Nel grande mercato, le donne preparavano tamales, insieme a una salsa di vegetali, in cui erano solite utilizzare “aji (peperoncino), pepitas (semi di zucca), tomatl (pomodoro), chiles verdes (peperoncini verdi piccanti) e altre cose che rendono i sughi molto saporiti.

    Ci parla anche dell’uso del pomodoro crudo, a fette, con le carni di cane e di tacchino, notando anche il fatto che “la carne di tacchino veniva posta sopra, quella di cane sotto, per far sembrare la prima più abbondante”. Tutto questo è all’interno de “Il Codice fiorentino”, detto anche laurenziano mediceo, la fonte più autorevole di conoscenza della civiltà azteca. Bernardino de Sahagun, dedicò tutta la vita a studiare la cultura degli Aztechi e impiegò dieci anni, aiutato da giovani Indios, a mettere per iscritto i risultati del suo lavoro nella lingua dei Nahua. Venne poi invitato dalle autorità spagnole a tradurre la sua opera in castigliano. Il manoscritto bilingue, corredato da centinaia di bellissime immagini, venne inviato a Filippo II di Spagna, che però non gradì le velate critiche rivolte dal padre ai metodi della conquista. Con bolla reale, il re ne proibì la pubblicazione e donò il prezioso codice al Granduca di Toscana, che gli aveva prestato fortissime somme per la guerra contro il Portogallo. Astrologia, religione, società, vita quotidiana, animali, piante degli Aztechi, insieme al racconto della conquista nella versione dei popoli vinti, restarono sepolti nella biblioteca dei Medici, fino al 1829 quando il codice venne pubblicato in Messico. Bernardino non seppe mai che fine avesse fatto la sua opera.

    Il terzo narratore fu Padre Josè de Acosta, la cui Historia natural y moral de las Indias venne pubblicata a Siviglia nel 1590. Padre de Acosta risultò quasi un precursore di Darwin, per le sue osservazioni sull’evoluzione delle specie. Anche da lui compaiono osservazioni sull’uso del pomodoro: “Per temperare il sapore del peperoncino si ricorre al sale, che lo corregge molto, perché essi sono molto diversi l’uno dall’altro e i loro effetti si frenano reciprocamente, ma si ricorre pure alle “tomate” che sono fresche e sane e sono delle specie di grossi acini sugosi, che fanno delle salse saporite, ma sono ugualmente buone da mangiarsi da sole”.

    Nella forma e nell’aspetto, il pomodoro si presentava probabilmente come bacche leggermente oblunghe, di un colore che andava dal giallo al rosso, forse simili a quelle che il pittore Arcimboldi utilizzò per le labbra di Rodolfo II, nei celebri ritratti.

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    Non si sa con precisione quando e come i pomodori giunsero in Spagna: forse con Colombo, certamente con le navi di Cortés, ma si dice compaiano nel 1540. Fu subito considerata una pianta ornamentale perché giudicata tossica come altre solanacee e alcuni studiosi di botanica la considerarono un’altra specie di melanzana e al pari di questa un nutrimento povero e cattivo. Il Re Sole, a Versailles, amava stupire gli amici mostrando quella pianta strana con i fiorellini gialli e le palline giallo-aranciate. Nel 1544 l’erborista italiano Pietro Mattioli classificò la pianta fra le specie velenose, anche se era a conoscenza che in alcune regioni il frutto veniva mangiato. Al pomodoro vennero attribuiti poteri eccitanti ed afrodisiaci e venne impiegato in pozioni e filtri magici dagli alchimisti del Cinquecento e del Seicento.
    In Italia il pomodoro fece la sua comparsa nel 1596, sempre come pianta ornamentale delle dimore del Nord, e un ventennio più tardi raggiunse il Meridione, dove il clima favorevole portò frutti più grandi e di colore arancione-rosso, e i poverissimi contadini iniziarono a consumarli, un secolo prima di tutti gli altri Europei.

    Nel 1640 la nobiltà di Tolone regalò al cardinale Richelieu, come atto di ossequio, quattro piante di pomodoro, e sempre in Francia era usanza per gli uomini offrire piantine di pomodoro alle dame, come atto d'amor gentile. Così la coltivazione del pomodoro, come pianta ornamentale, dalla Spagna, forse attraverso il Marocco, si diffuse in tutto il bacino del Mediterraneo. Le cose cambiarono con le pestilenze e le carestie dei secoli XVII e XVIII quando, mancando il grano, non solo la plebe ma anche i ricchi dovettero cercare alimenti alternativi. In Gran Bretagna e in Germania le bacche vennero utilizzate per preparare minestre dal caratteristico sapore acidulo.

    Nel secolo che seguì, il pomodoro continuò, per quanto lentamente, a diffondersi, divenendo di uso comune nella popolazione e iniziando una storia sotterranea che, attraverso l’adozione nelle mense dei poveri, l’avrebbe reso un protagonista. Nei primi del ’600, il drammaturgo Tirso de Molina, lo cita nella sua opera El amor médico: “O insalata di pomodori di guance rosse dolci e a un tempo piccanti!”.

    Anche Suor Marcela de San Felix, figlia di Lope de Vega, nel suo simposio spirituale dal titolo

    La morte dell’appetito, parla di “ ..un’insalata di pomodori e cetrioli”. Ancora a Siviglia, trentacinque anni dopo la patata, il pomodoro compare nella lista degli acquisti per il vitto somministrato all’Hospital de la Sangre, nel luglio e nell’agosto del 1608; le date degli acquisti, corrispondenti ai mesi della raccolta, sembrano indicare l’esistenza di un prodotto locale. A metà del ’600 il pittore Estéban Murillo dipinse, per il chiostro del monastero di S. Francesco a Siviglia, “La cucina degli Angeli”, in cui l’episodio del miracolo di San Diego, argomento centrale dell’opera, occupa una posizione abbastanza marginale. Murillo amava inserire nei suoi dipinti scene di genere e adottare modelli di vita vissuta: un’ampia cucina in cui gli angeli svolgono azioni quotidiane, dall’attizzare il fuoco all’apparecchiare la mensa. In basso a destra, accanto a due angioletti, tra pentole di rame, si vedono una lunga zucca, due piccole melanzane, un pomodoro.

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    Per lungo tempo mancano fonti relative a un suo utilizzo diffuso, in Italia, come alimento, mentre abbondano le testimonianze dell’interesse che l’arrivo di piante dal Nuovo Mondo suscitò tra i botanici e i naturalisti: l’insieme delle piante alimentari, officinali e medicinali, che da secoli gli indigeni usavano abitualmente, vennero conservate negli erbari e coltivate nei giardini botanici. Ulisse Aldrovandi, grande naturalista e collezionista bolognese, coltivò lungamente il sogno di visitare di persona il Nuovo Mondo, perchè desiderava vedere le piante americane immerse nel loro ambiente. Così scrisse intorno al 1570:

    “Sono già da dieci anni che io entrai in questa fantasia d’andare nelle Indie nuovamente scoperte, per utile universale...”...“Bisognerebbe armare un buon Naviglio (...), ma soprattutto bisognerebbe ch’io avesse e tenesse molti scrittori e pittori et altre persone erudite...”. Aldrovandi non poté coronare il suo sogno, ma le piante provenienti dall’America occuparono un posto di rilievo nel suo erbario fin dal 1551. Il pomodoro gli venne spedito dall’Orto botanico di Pisa, e figura come “Pomo d’oro, tumatli” nell’erbario, mentre nella raccolta iconografica viene indicato come “Pomum aureum vel amoris Solanum pomiferum aureum malum insanum... tumbal arabum” dove, curiosamente, la pianta venne rappresentata senza bacche. Il pomodoro fu oggetto di una corrispondenza tra Aldrovandi e un altro medico e naturalista, Costanzo Felici. Costanzo Felici scrive ad Aldrovandi, associando il pomodoro alle melanzane:

    “Pomo d’oro, così detto volgarmente dal suo intenso colore, overo pomo del Perù, quale o è giallo intenso, overo è rosso gagliardemente – e questo è o tondo equalmente overo è distinto in fette como il melone – ancora lui da ghiotti et avidi di cose nove è desiderato nel medesimo modo et ancora fritto nella padella como l’altro, accompagnato con succo de agresto, ma al mio gusto è più presto bello che buono. Vogliono alcuni che sia il Lycopersico di Galeno, ma se è frutto venuto dal Perù malamente vuol essere stato cognosciuto dagli antichi (...). Un altro vi ho visto a Pesaro di questi pomi d’oro con il frutto similissimo a quel di sopra, rosso distinto pure in fette, ma la pianta è simile al melanciano o solano e credo non si mangi como l’altro, quale secondo l’Aldrovandi chiamasi solano pomifero o egittio (...)”

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    Nelle americhe, da cui proveniva, l’affermazione del pomodoro come ortaggio commestibile trovò invece molte più difficoltà. Dopo la Dichiarazione d’Indipendenza il pomodoro non venne più menzionato, né tantomeno coltivato. Si sa però che Thomas Jefferson, il presidente amante delle verdure e della buona tavola, ne coltivò nel suo giardino dal 1781. A introdurlo stabilmente in terra d’America fu, così sembra, un rifugiato francese scappato da Santo Domingo nel 1789 e un pittore italiano emigrato a Salem, nel Massachusetts nel 1802. I pomodori ebbero subito gran successo a New Orleans ma ci vollero poi altri venticinque anni prima che fossero coltivati anche nel Nord-Est del paese. La gente era convinta che la pianta fosse velenosa al punto che a Salem esiste un monumento eretto a Michele Felice Corne, un italiano passato alla gloria per aver avuto per primo il coraggio di mangiare un pomodoro, sfidando la superstizione.

     
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    Il pomodoro seppe imporsi nei gusti della gente grazie ad alcune sue caratteristiche intrinseche, tra cui furono certamente fondamentali quella di abbinarsi a molti altri alimenti – così come avevano raccontato i grandi narratori degli Aztechi, Bernardino de Sahagun e José de Acosta – e anche quella di conservare dopo la cottura il suo sapore, a differenza di altri ingredienti che, in funzione di spezie, non possono essere cotti, perché in tal caso mutano di gusto. Fu inoltre importante il fatto che la bacca conservasse il suo colore durante la cottura, diffondendolo uniformemente sugli altri ingredienti. Da non trascurare poi che potesse essere mangiata cotta o cruda e che sia sempre stata un cibo a basso costo. Inoltre il pomodoro fu il primo, in tempi lontanissimi dai nostri, a vincere il problema della stagionalità. Ma forse altri due fattori furono ancora più importanti: l’abitudine di alcune popolazioni – in particolare di quella napoletana – di fare largo uso di vegetali in cucina – al contrario della popolazione nord-europea, che viveva soprattutto di carni e pesce – e la fame endemica di numerose zone d’Italia, per cui pane, cipolla e pomodori crudi furono a lungo cibo quotidiano.



    «Anche da noi a Trieste si mangiava l’estate, la pasta al pomodoro. Ma la salsa tingeva appena del suo bel colore le tagliatelle o gli spaghetti. Qui invece copriva fino agli orli il piatto, che un cameriere – anche lui celebre, si chiamava Rocco Pesce – recava, severo, in giro. Il piatto sembrava una rossa bandiera trionfale, e il sapore della minestra, così suntuosamente condita, era eccellente. Seppi poi che in tutto il meridione d’Italia la pasta al pomodoro si serviva in quel modo, e che il cuoco di Gabriele D’Annunzio, era, egli pure, un meridionale. A me parve, allora cosa nuova. Pensai ad un’invenzione dell’Immaginifico; rammento anche di aver fatto un’associazione mentale con una sua poesia.»

    (Umberto Saba)




    ..Conserva di pomodoro..

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    Si dice che fu Napoleone, nel 1800, incoraggiò la ricerca di nuovi metodi di conservazione dei cibi, per sostenere i suoi eserciti durante le marce di spostamento. In realtà, le sperimentazioni erano cominciate da tempo.

    I primi tentativi, per la conservazione di pomodoro, di mantenere il prodotto oltre la fase di stagionalità furono suggeriti dal caso o dalla natura. Il primo a parlare di salsa di pomodoro fu un marchigiano, Antonio Latini, cuoco nelle cucine vicereali, a Napoli. Nel libro “Lo scalco alla moderna”, pubblicato nel 1696 fornisce tre ricette a base di pomodoro e segna l’entrata di questo ingrediente nella gastronomia europea. Si possono individuare sia l’antenato della salsa per i maccheroni, sia quello del ragù napoletano. Nel Settecento si trovano nei ricettari sempre più tracce di pomodori, ma non senza polemiche. L’abate Pietro Chiari, gesuita e moralista cattolico, inserì i pomodori tra i cibi riprovevoli. “Non c’è niente di più malefico dell’abitudine (sempre crescente) di fare uso di cibi ricoperti di droghe provenienti dalle Americhe.”

    Ai primi dell’Ottocento, mentre il pomodoro entrava con grande successo in tutte le cucine europee, la sua “conserva” entrava nei ricettari delle famiglie borghesi, con tutti i crismi della tradizione. Il principio della conservazione corrispondeva anche a un’etica del risparmio, a un vantaggio per la cucina, e non soltanto a scelte di gusto, come dimostra questa ricetta maceratese:

    “Il pomo d’oro è un frutto assai vantaggioso per la cucina, e di buon gusto, o sia per salsa, o per minestre (...). Dunque prendete il pomo, fatelo cuocere in un cazzeruola a fuoco lento, solo che lo paccherete in mezzo, e lasciatelo andar così cocendo per fino che divenga tutto disfatto, dopo passatelo nello staccio con una cucchiaia di legno: passato che sia bene, tornate a farlo bollire a fuoco lento, fatelo stringere assai; questa conserva mettetela in un vaso di terra ben vetrato, e freddato che sarà, copritelo con una carta ben chiuso con spago, mettetelo in luogo asciutto, e l’estate in un luogo fresco, e che sia sciutto. Di questa conserva vi potete servire per zuppe e salse, quando non si trovano più freschi a suo tempo”.

    Nel 1762 Lazzaro Spallanzani definì le tecniche di conservazione notando, per primo, come gli estratti fatti bollire e posti in contenitori chiusi non si alterassino. Nel 1809, un cuoco parigino, Nicolas Appert, pubblicò l’opera "L’art de conserver les substances alimentaires d’origine animale et végétale pour pleusieurs années", dove fra gli altri alimenti citò anche il pomodoro .



    Vincenzo Agnoletti, famosissimo cuoco, che vantava il suo servizio nelle cucine di Maria Luigia di Parma, pubblicò nel 1814 una raccolta di ricette La nuovissima cucina economica, che inseriva quattro ricette per la conservazione del pomodoro, secondo la tradizione casalinga. Ma nel 1832 Agnoletti pubblicò un altro dei

    suoi libri, con al suo interno la ricetta per la “Conserva di pomidoro al fresco”: “Spremete leggermente dei pomidoro buoni, e colti al suo punto, e gettate la prima acqua acida; indi esprimete bene il sugo e passatelo per setaccio due volte, ponetelo dentro le bottiglie, con sopra un poco di olio, incatramate il turaccio e conservatele in cantina dentro la sabbia. Per conservarla meglio farete bollire le bottiglie otturate a bagno maria per sedici minuti, e poi le farete raffreddare nel bagno medesimo; indi conservatele in cantina coperte di sabbia”.

    Nel 1839, il napoletano don Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino, nella "Cucina casarinola co la lengua napoletana", in appendice alla seconda edizione della "Cucina teorico pratica", fornisce la ricetta per una salsa: “i pomodori bolliti, passati al setaccio, fatti restringere ulteriormente con sugna ed olio, sale e pepe, forniscono una salsa da mettere sopra il pesce, la carne, i polli, le uova e sopra ciò che si desidera.”



    L’industria di trasformazione e conservazione del pomodoro nacque a Parma, nelle cui campagne, dopo la metà dell’Ottocento, i contadini producevano pani di polpa che veniva essiccata al sole.
    Carlo Rognoni, professore di agronomia e contabilità rurale al Regio Istituto Tecnico di Parma, intuì che per dare un futuro alla coltivazione del pomodoro occorresse creare e sostenere l’attività di trasformazione in conserve. Nel 1874 nacque la Società anonima di coltivatori per le conserve di pomodoro. Si affacciarono alla storia i pionieri dell’industria nascente (Mutti, Pagani, Rodolfi, Pezziol e altri ancora) che diedero vita a delle vere e proprie dinastie di imprenditori.
    I laboratori che dichiararono la propria attività, a Parma, alla Camera di commercio, furono 4 nel 1893, 5 nel 1894, 11 nel 1896. L’industria parmense acquisì un primato europeo dopo l’importazione dalla Francia, nel 1905, delle apparecchiature per la condensazione del concentrato sottovuoto. Negli anni successivi furono attivate anche nel torinese; Francesco Cirio fondò la prima industria conserviera in Piemonte e ne aprì un’altra a Napoli nel 1875 che si specializzerà nei pelati, prodotti dal pomodoro campano, San Marzano.

     
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    …miti, credenze e leggende…

    Il pomodoro ha una sua antichissima parentesi storica, isolata e misteriosa: Galeno, medico greco vissuto dal 131 al 201 d.C., noto anche che i suoi accesi contrasti con Ippocrate, lo cita tra le erbe medicinali chiamandolo Lycopersicon, "cibo da lupi", perché dopo averlo studiato, lo ritiene velenoso, ma curativo. I semi glieli aveva regalati un soldato che li aveva portati dall'Egitto, dove si era curato le ferite con i frutti alla maniera locale. Ma la sua vera patria d'origine è in Messico e Perù. È, in effetti, in questi Paesi che cresce, sin dall'antichità, selvatico, con caratteristiche che lo accomunano alle piante velenose. I frutti sono molto piccoli, grandi come una ciliegia, o poco più, e assomigliano a quelli della Belladonna, della Dulcamara, del Giusquiamo, dell'Erba mora, delle Solanacee, come il pomodoro, e tutte appartenenti alla pericolosa "famiglia dei veleni".

    Quando arriva in Europa, il pomodoro suscita un po’ di curiosità e parecchia diffidenza. Non assomigliava a niente che esistesse già. A fine medioevo lo considerarono una rappresentazione dell’organo sessuale femminile, quindi un frutto peccaminoso. Come scrive Stuart Lee Allen nel suo libro “Nel giardino del diavolo. Storia lussuriosa dei cibi proibiti”, dev’essere proprio quello lo scandaloso pomo dell’amore profano, «morbido, delizioso, che invita il malcapitato ad affondare i denti nella sua pelle scarlatta e nella sua polpa sensuale, per farne uscire tutti gli umori. Immorale, lascivo e decisamente pagano.» Arrivato direttamente dall’eden, diventa il pomo d’amore profano o il pomo del paradiso. Non a caso ancor oggi il pomodoro si chiama paradicsom in ungherese, paradižnik in sloveno, paradajz in serbo. In tedesco pomodoro è die Tomate, ma nella variante austriaca diventa der Paradeiser.

    Costanzo Felici mette in campo numerose questioni, rilevanti ai fini degli studi e delle considerazioni sulla pianta: la presunta conoscenza da parte di Galeno; il suo consumo, limitato ai “ghiotti et avidi di cose nove”; il suo utilizzo attraverso la cottura, che da sempre, viene considerata un mezzo per eliminare i rischi dovuti all’uso di sostanze sospette o poco note; la sua associazione all’olio; il suo presentarsi in forme e in colori diversi, segno di una differenziazione originaria; la sua bellezza; la parentela con la melanzana, importata dagli Arabi, e considerata cibo poco sano e indigesto. Precursore nella descrizione, nei sospetti, il grande medico e naturalista Pier Andrea Mattioli, fu il primo a chiamarlo “pomo d’oro” aggiungendo: “Portansi à tempi nostri d’un’altra spetie in Italia schiacciate come le mela rosse, e fatte à spichi, di colore prima verdi, e come sono mature, di colore d’oro, iquali pur si mangiano nel medesimo modo” e ancora, in una successiva edizione della sua opera: “Portasene à tempi nostri un’altra spetie in Italia, le quali si chiamano Pomi d’oro. Sono questi schiacciati come le mele rosse e fatte à spichi, di colore prima verdi, e come sono mature, in alcune piante rosse come sangue, e in altre di color d’oro. Si mangiano pure anch’essi nel medesimo modo...”.

    Sospettoso nei confronti del pomodoro era anche un altro naturalista, Pier Antonio Michiel, prefetto dell’orto botanico di Padova, il quale scriveva:

    “Mangiasi di questi frutti tagliati in sonde nella paella con butiro over oglio ma son di dano e nocivi. Il suo odore di questa pianta caggionano male alli occhi e alla testa”. A opinione dei botanici, questa pianta, con la sua ”cattiva parentela “ con la melanzana, non ha alcun reale interesse alimentare, ma è portatrice di molte caratteristiche negative e addirittura pericolose per la salute.

    Il pomodoro doveva scontare le sua parentela, in primo luogo con le melanzane, poi alla comune appartenenza al gruppo delle solanacee; le venivano riconosciute solo qualità medicinali e psicotrope. Queste caratteristiche compaiono spesso nei verbali dei processi per stregoneria: il pomodoro, dunque, è parente dello stramonio, della belladonna, del giusquiamo e della pianta magica per eccellenza, la mandragora, alla quale si attribuivano proprietà afrodisiache. Tutte queste piante contengono alcaloidi, concentrati prevalentemente nelle parti verdi (la tomatidina del pomodoro scompare con il processo di maturazione). Il pomodoro acquisì fama di pianta medicinale e afrodisiaca, usata, come sembra, nei secreti medicinali del ’500 e del ’600 .

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    C’era poi un naturale rifiuto del nuovo, di ciò che non rientrava nelle categorie di un’alimentazione tradizionale, che passava anche attraverso i sensi: il colore della patata, cibo “sotterraneo”, l’odore aspro delle solanacee, ispiravano timore e diffidenza. Ma, nel caso specifico del pomodoro, c’erano anche molti reali e sostanziali motivi perché incontrasse tante resistenze: il pomodoro non è un alimento che possa da solo saziare la fame, il male endemico che affliggeva gli uomini dell’età moderna, soprattutto in periodi di guerra o carestie. In secondo luogo, nonostante sia un condimento che si accompagna ad altri cibi, non può essere assimilato alle spezie, cosa che garantì il successo del peperoncino e della vaniglia. Non ha, come i fagioli, somiglianza con cibi già noti, né si presta ad alcuna trasformazione che possa avvicinarsi al pane, cosa che successe al mais e alla patata. Non è neppure circondato dall’alone di meraviglia come il cacao, accolto come elemento di distinzione delle classi più elevate. Ma la ragione fondamentale del rifiuto delle piante americane consisteva nell’incapacità degli Europei a riconoscere l’utilità, rispetto a un sistema alimentare nel quale dovevano venire integrate, senza che il sistema di base venisse modificato, cosa che richiese secoli e secoli di progressivo adattamento.

    Se in verità queste piante ricevevano ostilità come alimenti, trovavano invece un grande favore per la loro bellezza. Nelle regioni del Nord Europa, dove la coltivazione risultava difficoltosa per ragioni climatiche, le piante venivano piantate nei giardini, adornavano spalliere, erano donate alle donne come pegno d’amore.

    Si dice che Sir Walter Raleigh ne avesse donato una piantina carica di frutti alla regina Elisabetta I, chiamandola apple of love; che la città di Tolone fece dono di quattro piantine in segno di omaggio al Cardinale di Richelieu, per il quale venivano imbanditi cibi sormontati da una bacca di pomodoro, simbolo della dignità cardinalizia; o che ancora i pomodori venissero serviti in coppia, per indicare il seno femminile. A Parigi, durante la Rivoluzione francese, sembra che le ragazze la usassero come ornamento sui corpetti, con valore simbolico.

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    ..una fiaba..


    Tanto tempo fa i pomodori, chiamati “pomobianchi”, erano diversi da adesso: erano poco saporiti e bianchi come la nebbia che li avvolgeva nella pianura del magico regno di Castellazzo Bormida.
    Il povero contadino Giacomino continuava a seminare la pianta di pomobianco con la speranza di un raccolto migliore ma i pomobianchi continuavano a essere poco saporiti e soprattutto poco nutrienti, così gli abitanti continuavano a mangiare cibi pesanti, grassi e con troppe calorie causando diversi malesseri.
    Giacomino stanco di questa situazione andò nel Regno della Buona Salute a chiedere aiuto al Mago Vitamina. Il Mago ascoltò con attenzione, poi gli disse che gli doveva procurare alcuni ingredienti sparsi tra i regni : l’arancio più arancio del mondo, per una carica di vitamina; lo spinacio più verde di Castellazzo Bormida, ricco di ferro, per combattere l’anemia; la banana più gialla del sole, che con il suo potassio allontana la stanchezza e la debolezza muscolare; frutta e verdura, gustosa e colorata, che custodiscono zinco, selenio, fosforo e calcio fondamentali per la salute di ossa, denti, pelle e corpo.
    Con questi ingredienti fece una pozione magica che, una notte, sparse su tutte le piante di pomobianchi dell’orto del contadino. Giacomino, al risveglio, andò nell’orto e i suoi pomobianchi spiccavano tra le foglie verdi perché erano di un rosso intenso e brillante.
    Incredulo, ma felice, prese tutto il suo raccolto e lo portò al mercato. Tutti gli abitanti vollero assaggiare lo strano pomobianco e acquistarlo in grande quantità perché non era solo bello ma anche buono, anzi buonissimo e ricco di sostanze nutritive.
    Mentre contava tutte le monete d’oro che aveva guadagnato, Giacomino decise di dare un nuovo nome al suo frutto e chiamarlo “ POMO D’ORO”, in ricordo di tutte le monete d’oro che aveva guadagnato.


    “…trovai, sulla tavola imbandita nel caldo accogliente della cucina la stessa purpurea meraviglia.”
    (Umberto Saba)



    ..ricette antiche..

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    Durante i due secoli di vita silenziosa, a dispetto della sua assenza dai grandi ricettari, entrò nell’uso della cucina povera meridionale e, quando per la prima volta comparve in una ricetta, era già stata largamente sperimentata. Antonio Latini, partito da una condizione di totale povertà, riescì a diventare “scalco”, ovvero “maestro dei conviti”, e inserì per ben due volte il pomodoro nella sua monumentale opera sulla cucina, lo Scalco alla moderna. La prima ricetta è una “Salsa alla Spagnola”, che il grande cuoco consigliò vivamente per accompagnare i bolliti: “Piglierai una mezza dozzena di Pomodoro, che sieno mature; le porrai sopra le brage, a brustolare, e dopo che saranno abbruscate, gli leverai la scorza diligentemente, e le triterai minutamente con il Coltello, e v’aggiungerai Cipolle tritate minute, a discrezione, Peparolo pure tritato minuto, Serpollo o Piperna in poca quantità, e mescolando ogni cosa insieme, l’accomoderai con un po’ di sale, Oglio, e Aceto, che sarà una Salsa molto gustosa, per bollito, o per altro”.

    Più raffinata la seconda ricetta, ricca ed elaborata, che ci riporta ai fasti di una cucina da re, la “Cassuola di pomodoro”: “Si formerà la suddetta Cassuola con pezzi di Piccioni, petto di Vitella, e colli di Polli ripieni; si faranno stufar bene, dentro un buon brodo, con sue erbette odorifere, e Spezierie confacevoli, insieme, con creste e granelli di Polli; quando sarà giunta alla debita cottura, si piglino le Pomodoro, e si mettano ad abbruscare, su le brage; dapoi si mondino, e se ne facciano quattro parti, mettendole dentro, con le sopradette robbe, con avvertenza, che non si facciano cuocere troppo, perché queste vogliono poca cottura; si piglino poi Ova fresche, con un poco di sugo di limone, e si facciano quagliare, coprendoli con un Testato, con fuoco sotto e sopra”.

    Anche Francesco Gaudentio, che lavorò a Roma come coadiutore di una mensa per Gesuiti, nel suo famoso libro di cucina, Il Panunto toscano, del 1705, inserì una ricetta al pomodoro che non fa che riproporre gli ingredienti che già avevamo notato nel quadro di Esteban Murillo, mezzo secolo prima, sentendo anche la necessità di descrivere la bacca, così come avevano fatto i botanici del ’500:”Modo di cuocere li pomi d’oro. Questi frutti sono quasi simili alle mele, si coltivano nei giardini e si cuociono nel modo seguente: piglia li detti pomi, tagliali in pezzetti, mettili in tegame con olio, pepe, sale, aglio trito e mentuccia di campagna. Li farai soffriggere col rivoltarli spesso e se ci vorrai aggiungere un poco di molignane tenere e cucuzze lunche ci faranno bene”.

    Vincenzo Corrado, quando, nel 1786, a Napoli, dà alle stampe la sua raccolta di ricette Il cuoco galante. Al Trattato IX, che egli intitola Del vitto pitagorico, tesse le lodi di questo alimento e insegna al lettore come prepararlo prima di cucinarlo; ma apre anche la ricetta con un invito alla gioia di gustarlo:

    “I pomidoro sono di piacere. Per servirli bisogna prima rotolarli su le braci, o per poco metterli nell’acqua bollente per toglierli la pelle. Se li tolgono i semi o dividendoli per metà, o pure facendoli una buca. Sbucati i pomidoro, e netti da semi, si riempiono...”. Quindi egli elenca ben dodici modi per presentarli: “Farsiti al vitello”, “farsiti al butirro”, “farsiti all’erbette”, e ancora ripieni di pesce, ai tartufi, in crocchette, in frittelle, in budino, alla Napoletana, ovvero ripieni di acciughe, prezzemolo, origano, aglio, coperti di pan grattato: Napoli si appresta a diventare lo sfondo naturale di ogni futuro sviluppo del pomodoro in cucina.

    Il consumo si allargò pian piano anche all’Italia centrale. Luigi Bicchierai, detto Pennino, titolare della locanda al Ponte, di Lastra a Signa, vicino a Firenze dal 1812 al 1873, ci ha lasciato un diario e molte ricette, fortunosamente ritrovati in una cassa abbandonata in una vecchia casa. Si tratta dell’unico documento del genere giunto fino a noi. La prima ricetta, datata marzo 1812, è quella del “sugo della miseria”, una sorta di ragù fatto con i pomodori e gli avanzi di carne lessa, senza indizio che venisse usato sui maccheroni: “Il sugo non è un santo, ma dove casca fa miracoli.» E sempre in Toscana, nel 1911, lo scrittore Vamba conferirà gloria imperitura alla pappa al pomodoro, simbolo della rivoluzione di Gian Burrasca.

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    Tomatillo

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    Il tomatillo (Physalis philadelphica) è una pianta appartenente alla famiglia delle Solanacee, originaria del Messico

    Il nome originale del tomatillo è "tomate", tomātl, che significa “acqua grassa” o “cosa grassa”. E’ anche conosciuto come "pomodoro con buccia" (husk tomato), "jamberry", "ciliegia con buccia" (husk cherry), o "pomodoro messicano". In spagnolo, si chiama tomate de cáscara, tomate de fresadilla, tomate milpero, tomate verde (pomodoro verde), tomatillo ("piccolo pomodoro"), miltomate (in Messico e Guatemala), o semplicemente tomate (in qual caso il pomodoro è chiamato jitomate).

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    E’ una pianta annuale eretta e cespugliosa che produce dei piccoli fiori gialli non profumati con una macchia scura centrale, che non sono in grado di autofecondarsi: la loro impollinazione è affidata agli insetti. I frutti sono piccoli, sferici; sono avvolti da una buccia simile alla carta formata dal calice. Quando raggiunge la maturazione riempie la buccia che al momento del raccolto può presentarsi aperta, di colore marrone mentre il frutto maturo presenta diverse colorazioni variabili dal giallo, al rosso, al verde o anche viola. Una caratteristica è che tendono, nel rivestimento esterno, ad avere un composto appiccicoso di grado variabile chiamata melata. Ha una polpa meno succosa del pomodoro, e di un colore bianco lattiginoso. La freschezza ed il colore verde della buccia sono criteri di qualità e sono le sue principali doti culinarie. Il frutto deve essere sodo e colore verde brillante; il gusto acido ed il colore verde I frutti viola e rosso hanno un sapore leggermente dolce.

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    In Messico, dove ha le sue origini, il tomatillo (Physalis philadelphica), noto anche come “pomodoro messicano”, è ingrediente principe di moltissime ricette. Ottimi da consumare bolliti, fritti o cotti al vapore e perfetti anche per la preparazione del Chilli e di altre salse.

    E’ un frutto povero di calorie ma più ricco di grassi e proteine, ha un alto contenuto di pectina. Differisce dal pomodoro per l'assenza di licopene e presenta altri tipi di metaboliti secondari, generalmente potenti antiossidanti come witanolidi.


    ...salsa di tomatillo...

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    Ingredienti: 1 kg di tomatillo, 4 spicchi d’glio sbucciati e tritati, 1 cipolla piccola tritata, 2 peperoncini Jalapenos o Serrano tritati coi loro semi, coriandolo fresco, olio d’liva, sale e zucchero.

    Una volta eliminata la pelle, si cuociono in quattro tazze d’cqua per 10 minuti; si scolano, e si mettono nel mixer insieme a una tazza d’acqua fredda, l’aglio, la cipolla, i peperoncini e il coriandolo. Si frulla il tutto, fino ad ottenere una consistenza quasi liquida e si pone il mix sul fuoco, in una padella scaldata contenete olio, condendolo con 2 cucchiaini di sale e 1 di zucchero. Si lascia sobbollire per 5 minuti, a fuoco basso A seconda dei gusti, si può evitare di frullare la salsa per avere una consistenza a pezzettoni oppure, per un sapore tostato, si possono scaldare i tomatillo su di una griglia rigirandoli di frequente, fino a quando le bucce saranno marroni e la polpa soffice.


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    Brassica rapa perviridis


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    Lo spinacio da senape giapponese (Brassica rapa var. perviridis L.H.Bailey) è una varietà di rapa a coltivazione biennale. È una pianta diffusa in Giappone dove è chiamata komatsuna (小松菜 コマツナ?).

    La pianta cresce molto velocemente fino a 50 centimetri, è ermafrodita, autofertile e normalmente fiorisce tra maggio e agosto. Raggiunge la maturazione tra i 55 e gli 80 giorni dalla semina. Le sue radici sono più lunghe di quelle di altre rape orientali. Cresce meglio in campi soleggiati ma anche parzialmente all'ombra, predilige i terreni umidi.
    Sono commestibili sia le lunghe foglie ricurve, di un delicato colore verde, che i fiori. Le foglie vengono consumate cotte o anche crude, ma cuocendole si riduce il tasso di diossina presente nella pianta. In piena maturazione diventano più piccanti. Il gusto è dolciastro, ricorda la leggerezza del cavolo e la piccantezza delle senapi orientali.
    É anche una buona fonte di calcio.

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    DURUKA

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    Nel mondo il duruka è conosciuto come asparago delle Fiji. Il nome scientifico è Saccharum edule, molto più simile alla canna da zucchero, ma viene mangiata proprio come un ortaggio. È anche conosciuto come terubuk in Indonesia, bunga tebu o tebu kerdil. Its Chinese name is 甘蔗花。 Il suo nome cinese è 甘蔗 花。 E’ una pianta perenne che cresce in ciuffi vigorosi che crescono fino a un'altezza da 1,5 a 4 metri; lo stelo è molto più stretto e le foglie più sottili e più flessibili. The large flower panicles do not open but remain inside their leaf sheaths forming a dense mass. Le grandi pannocchie di fiori non si aprono ma rimangono all'interno delle guaine delle foglie formando una massa densa. Si ritiene che i primi coloni portarono la pianta dalla Papua Nuova Guinea alla fine del 1800, ma è diffusa in tutte le aree costiere del sud-est asiatico e in altre isole del Pacifico dove è conosciuta come pit-po . Le Figi hanno due varietà verdi e rosse del vegetale; le rosse hanno un sapore più friabile e nocciolato rispetto a quelle bianche, più morbide. Entrambi i tipi hanno una consistenza fibrosa e carnosa.

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    Il duruka a una prima occhiata sembra una canna da zucchero, avvolta in strette foglie verdi, ma quando si sviluppa l’infiorescenza, oltre il verde spunta un fiore compatto, chiarissimo, che ricorda quello dell’asparago bianco.
    Il suo sapore è molto simile a quello del mais, ma un po’ più dolce. I locali lo consumano sia crudo che cotto, viene arrostito, per poi essere cucinato con il latte di cocco e curry.

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    CHAYOTE

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    Il chayote (Sechium edule) è una specie della famiglie delle Cucurbitacee, originaria del Sud America e coltivata nei paesi dell'area costiera del continente e nelle isole. Il maggior esportatore di Chayote è la Costa Rica. In Italia, dove è chiamato zucca centenaria, zucchina spinosa, patata spinosa, melanzana spinosa, melanzana americana, lingua di lupo, in realtà è corretto chiamarlo coll nome scientifico Sechium edule (quindi sechio) oppure col nome spagnolo chayote, di origine azteco (chayutli). A Rutigliano, in provincia di Bari, sono note come musc. In alcune zone della Calabria sono chiamate "Masciùsc"

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    Il chayote è il frutto di un ortaggio, ha forma ovoidale che può raggiungere i 15 cm di lunghezza; il colore superficiale può andare dal verde scuro (quando il Chayote è acerbo) fino al giallognolo (Chayote maturo e dunque commestibile). Nell’aspetto questo frutto può ricordare una mela verde o una zucchina.
    La parte più interna del frutto è l'embrione ed il seme (botanico) della pianta, mentre tutta la polpa circostante del frutto costituisce in buona parte sostanza di accumulo e riserva del seme stesso, il tutto, interno ed esterno, costituisce quindi il seme della pianta.
    Presenta alcune volte delle caratteristiche escrescenze aghiformi. Il Chayote è commestibile, come anche le sue foglie e le sue radici.

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    Una volta tolta la buccia spinosa la polpa risulta mediamente croccante e dal sapore gustoso, delicato e leggermente dolce, che ricorda quello delle zucche gialle e delle zucchine. Diffuso nella cucina sudamericana e asiatica, è particolarmente versatile, adatto a diversi tipi di cottura: crudo può essere grattugiato o fatto a fettine per insaporire insalate o contorni, se cotto si ammorbidisce sciogliendosi, senza perdere la sua croccantezza, e tende ad assorbire i sapori degli altri cibi a cui viene accostato. Può essere arrostito, stufato, fritto, grigliato e cotto ripieno al forno. Molti sono i piatti tradizionali sudamericani o asiatici a base di chayote nonché vegan, tra cui curry di verdure, stufati, minestre, chutney o gustosi burrito e tacos.
    Il chayote , grazie alle sue eccezionali proprietà nutritive, aiuta a regolare il colesterolo, a prevenire l’ipertensione, a ridurre la glicemia nel sangue e a migliorare la circolazione.

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