Marche ... Parte 1^

IL MONTE TITANO..SAN MARINO..URBINO..PESARO E INFINE..GIUNGIAMO A FANO ...

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    BUONGIORNO ISOLA FELICE ... BUON RISVEGLIO A TUTTI


    “... Sabato ... inizia il un nuovo fine settimana a bordo della mongolfiera dell’Isola Felice ... e già trascorre il tempo e ricordo i tanti attimi felici trascorsi tutti insieme ... quante parole meravigliose sono volate nella nostra vita sull’Isola ... quante immagini, quante caldissime emozioni hanno colorato le nostre giornate, le nostre nottate intrise di gioia e battiti fortissimi del nostro cuore ... Oggi voliamo verso est, verso le Marche ... e un dolce pensiero oggi sfiora la mia anima ... Buon risveglio amici miei ... la nostra mongolfiera è pronta a portarci verso luoghi incantati ...”

    (Claudio)



    LE MARCHE..IL MONTE TITANO..SAN MARINO..URBINO..PESARO E INFINE..GIUNGIAMO A FANO ...

    “Il Montefeltro attraverso l’antica diocesi, le sue scuole, la conservazione delle proprie caratteristiche socio-geografiche, ha lottato per rimanere se stessa e distinguersi tra Marche, Romagna, Toscana e anche uno stato che geograficamente è Montefeltro: San Marino. Difficile attraversare secoli di storia e rimanere se stessi, bersagliati prima dalle lotte feudali , poi da quelle signorili tra i Malatesta, e i Montefeltro (famiglia, non territorio), l’indipendenza di S. Marino, poi dalle rivendicazioni dello Stato della Chiesa, del Granducato di Toscana, le decisioni all’inizio dell’ unita Italia, e infine la deleteria divisione amministrativa con l’ istituzione, da parte della Regione, di due comunità montane una a Nova feltria e l’altra a Carpegna….non solo castelli e musei di eccellenza, centri carichi di storia e arte, ma anche quello del Premio letterario a Frontino.. questa “strana regione geo-storica” non appartiene né alla Romagna del mito popolare, né al cinquecentesco stato di Urbino, ma riceve forza e dà lustro a tre regioni, a cinque province e costituisce il fondamento storico della Repubblica di San Marino, uno stato piccolo ma conosciuto in tutto il mondo.”

    “Le prime notizie dell' esistenza di una comunità civile organizzata sul monte Titano risalgono al medioevo. E' su questo monte e sul territorio collinare circostante che un gruppo di uomini fondò, quella che si sarebbe chiamata "Comunità di San Marino" fino ad arrivare alla denominazione che oggi tutti noi conosciamo: "Repubblica di San Marino"….La leggenda vuole che "Marino", un lavoratore della pietra proveniente dalle coste della Dalmazia, avesse trovato rifugio sul monte Titano con un gruppo di confratelli per sfuggire alle persecuzioni religiose e poter finalmente generare una comunità cristiana basata su ideali di pace e condivisione….Già nella prima metà del XI secolo la piccola comunità mostrava di sapersi autogovernate democraticamente, eleggendo i capi-famiglia come membri di un' Assemblea con potere costituente, chiamata Arengo. Compito dell' Assemblea era quello di redigere un primo ordine statutario, ovvero leggi, attraverso le quali regolamentare i rapporti tra i membri della Comunità….Principio accomunante per tutti i sammarinesi e sempre stato il "Nemini teneri", ovvero il "non dipendere da nessuno", il preservare a tutti i costi quella libertà e indipendenza conquistata con tanta fatica. Fu proprio grazie a questo principio che la Comunità riuscì a difendersi dalle costanti minacce che ne misero a dura prova la solidità durante tutto il periodo Medioevale….Questo attaccamento alla propria autonomia, che nel 1797 oppose un rifiuto persino alle offerte napoleoniche di ampliamento del territorio..San Marino si è sempre contraddistinta per il carattere estremamente ospitale che il governo presieduto dai "Capitani Reggenti", ha saputo mostrare nei confronti delle vittime delle persecuzioni politiche, garantendo loro, in ogni epoca, asilo politico.”

    “Città di San Marino…Il suo borgo resta arroccato in cima al Monte Titano e supera tutti gli altri in altezza sulla superficie del mare (più di 700 metri). E' il nucleo residenziale più antico..accessibile da quattro "porte", racchiude i monumenti e i luoghi di interesse più importanti del Titano: le tre "penne", ovvero le torri medievali, simbolo di San Marino, la Basilica del Santo che conserva le reliquie di colui che ha fondato il Paese, il Monastero di Santa Chiara, la Porta e la Chiesa di San Francesco, la contrada Ombrelli e la piazzetta del Titano. Infine spicca Piazza della Libertà, dove si trova Palazzo Pubblico ”

    “Le origini di Urbino sono antichissime. Il nome Urvinum deriva probabilmente dal termine latino urvus (urvum è il manico ricurvo dell'aratro)….Nel 1375 circa, Antonio da Montefeltro, una delle maggiori figure di soldato e di politico della seconda metà del XIV secolo, seppe inserirsi nel gioco politico italiano del tempo, alleandosi nel 1376 con Firenze e Milano, legandosi quindi con Gian Galeazzo Visconti. …portò conseguenze benefiche anche sulla città che poté risollevarsi dallo stato di confusione in cui versava per le continue lotte, e poté vedere quel risveglio culturale ed edilizio.. la costruzione del palazzo della casata, oggi sede dell'Università. Gli successe Guidantonio ..durante il suo dominio, nel 1416, i fratelli Lorenzo e Iacopo Salimbeni affrescarono l'oratorio di San Giovanni, portando nella città le esperienze più raffinate del gotico cortese….”

    “Inferno Canto XXVII .. Il Poeta parla di Urbino e di Guido da Montefeltro..< Se tu pur mo in questo mondo cieco…caduto se’ di quella dolce terra latina ond’io mia colpa tutta reco, dimmi se Romagnuoli han pace o guerra..ch’io fui d’i monti là intra Orbino.. e ’l giogo di che Tever si diserra".

    “Immerse nella natura, a poca distanza da Urbino e dalla costa marchigiana, sorgono le Terme di Raffaello della città di Petriano.. Le cronache riportano che il pittore Raffaello Sanzio, tra XV e XVI secolo, ricorresse alle proprietà curative dell’acqua Agrestiniana della fonte La Valle…Dalla sorgente sgorgano acque con concentrazioni minerali elevatissime tali da renderle uniche per le proprietà terapeutiche…in particolare, sono tra quelle con la percentuale sulfurea più alta d’Italia…Le Terme di Raffaello sono dislocate in un territorio ricco di risorse paesaggistiche. La città di Petriano sorge su un colle, sul versante destro del fiume torrente Apsa, in prossimità della strada che da Pesaro, risalendo la sponda del fiume Foglia, si spinge verso Urbino…Molte le principali risorse storico artistiche legate al Palazzo Ducale di Urbino e Urbania, alla Corte del Montefeltro a Fossombrone, al Teatro Rossini di Pesaro.”

    “La Rocca di Gradara , di origine duecentesca e ingrandita e compiuta dai Malatesta, subì un definitivo restauro nel 1923… è arredata con mobili e oggetti d'arte e di uso domestico di varie epoche che restituiscono l'atmosfera di storie e leggende del passato, tra le quali la tragedia di Paolo e Francesca, cantata da Dante…. una maiolica invetriata con la Madonna col Bambino e Santi attribuita ad Andrea della Robbia … il fregio con scene della Passione di Cristo attribuito ad Amico Aspertini e le pitture della Sala dei Putti eseguite da Francesco Zaganelli…Le mura di Gradara che circondano la cittadella dal 1363… si sviluppa per circa 550 metri ed è stato edificato in mattoni con base di pietriccio. E’ intercalato da 14 torri sporgenti a gola interna, tutte munite di merlature ghibelline e di feritoie ed alcune leggermente scarpate…..Porta Nova..così detta perchè aperta molto tempo dopo la costruzione delle mura per dare più accessibilità al centro storico….I due piccoli cardini che si vedono all'interno sono un reperto di "archeologia cinematografica": li lasciò il regista Roberto Rossellini dopo le riprese del film "Vanina Vanini" nell'anno 1961….”

    “Pesaro…E’ quasi impossibile riassumere in due o tre elementi una storia e una identità che sono il prodotto di una stratificazione che ha oltre 2500 anni. I romani che la fondarono come accampamento in posizione strategica verso la fine della strada consolare Flaminia ne hanno definito la trama urbanistica di base e hanno lasciato memorie archeologiche di pregio.. nel rinascimento, la storia l’hanno fatta soprattutto gli Sforza, i Della Rovere e i Montefeltro. E poi i Legati pontifici, le famiglie nobiliari che erano soggetti economici ma anche intellettuali e mecenati tanto che Pesaro nel ‘700 era definita “l’Atene dell’Adriatico”…. città natale e destinataria della eredità di Gioachino Rossini..”

    “Fano è una città di mare, è una città d’arte, è una città a dimensione umana…La storia millenaria di Fano, nata come Fanum Fortunae e citata da Giulio Cesare…Poche città possono vantare un passato tanto prestigioso ….Punto di riferimento marittimo assieme ad Ancona in epoca romana, residenza della dinastia dei Malatesta nel medioevo. Una città che può ostentare un immenso patrimonio storico-artistico; tante piccole tracce, dunque, di incontri, scontri, vittorie e alleanze. Ogni singolo monumento, se solo potesse, potrebbe narrare di avvenimenti secolari compiuti da grandi uomini….Il tutto dispiegato agli occhi dei visitatori già alle porte della città, dove si eleva il grande Arco di Augusto, punto d’accesso essenziale per gli spostamenti sulla costa adriatica della penisola, sulla cui pietra furono incise nel IX secolo d.C. le gesta dell’Imperatore Ottaviano a futura memoria di un’immortale grandezza….Paradossalmente, a pochi metri di distanza, entrando in piazza XX settembre, si attraversano altri secoli di storia. Al centro vi è edificato il medievale Palazzo della Regione, sotto i cui portici gotici si alternano ancora oggi sommessamente o appassionatamente le tante discussioni politiche. A pochi passi è possibile ascoltare gli altri echi del passato fanese provenienti dal vicino Museo Civico. Un piccolo mondo nel quale rivivono ancora le vestigia della dinastia dei Malatesta, nobili e autorevoli nei loro stemmi o nelle immagini delle antiche e preziose monete. Echi, questi, che valicano i corridoi delle prestigiose gallerie e scendono lungo le strade a sfilare con mille colori e mille maschere per il noto e antichissimo Carnevale di Fano….quello che è notoriamente considerato il Carnevale della città è una vera e propria enciclopedia a cielo aperto. E’ la festa in maschera più antica d’Italia, tra gli eventi turistico-artistici più importanti delle Marche. Le sue radici risalgono al lontano 1347, quando gli abitanti della cittadina, appoggiati dai Malatesta, come attestano numerosi documenti ufficiali, davano libero sfogo alla propria fantasia e creatività, vestendo abiti bizzarri e preparando a festa case e carri.”

    V.Cavaliere









    Torre della Cesta a San Marino







    BUONGIORNO AUGUSTO E BUON FINE SETTIMANA ANCHE A TE



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    Edited by tomiva57 - 8/7/2014, 14:35
     
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    GRAZIE




    Marche



    « ... così benedetta da Dio di bellezza di varietà di ubertà, tra questo digradare di monti che difendono, tra questo distendersi di mari che abbracciano, tra questo sorgere di colli che salutano, tra questa apertura di valli che arridono... »

    (dal discorso tenuto da Giosuè Carducci a Recanati il 29 giugno 1898 in occasione del 1° centenario della nascita di Giacomo Leopardi)

    sono una regione dell'Italia centrale di 1.552.968 abitanti con capoluogo Ancona. Confinano con l'Emilia-Romagna (provincia di Rimini), la Repubblica di San Marino, la Toscana (provincia di Arezzo), l'Umbria (provincia di Perugia), l'Abruzzo (provincia di Teramo), il Lazio (provincia di Rieti) e il Mar Adriatico.





    Montefeltro

    è una regione storica dell'Italia centrosettentrionale a cavallo fra le Marche (a nord della provincia di Pesaro e Urbino), l'Emilia-Romagna (a ovest della provincia di Rimini), la Toscana (a est della provincia di Arezzo) e la Repubblica di San Marino.

    Il territorio del Montefeltro si caratterizza per la presenza di rocche e castelli, alcuni dei quali fra i più interessanti d'Italia.

    San Leo

    Città d'arte, capitale storica del Montefeltro (dopo Carpegna e prima di Urbino), luogo di passaggio di San Francesco e Dante, prigione di Felice Orsini e di Cagliostro, San Leo ha avuto anche l'onore di essere capitale d'Italia o, meglio, del Regno Italico di Berengario II, il quale fu sconfitto a Pavia nel 961 d.C. da Ottone I di Sassonia e che poi si rifugiò a San Leo, dove resse l'assedio per due anni prima di cedere all'avversario. Nell'Italia unita il comune di San Leo è appartenuto alle Marche (provincia di Pesaro e Urbino) fino al 15 agosto 2009, quando ne è stato distaccato congiuntamente ad altri sei comuni dell'Alta Valmarecchia in attuazione dell'esito di un referendum svolto il 17 e 18 dicembre 2006. Su questa variazione territoriale, pur pienamente in vigore, incombe il ricorso della Regione Marche alla Corte costituzionale.

    La rocca di San Leo


    Duomo di San Leo

    La cella di Cagliostro

    Veduta del paese

    Piazza



    La Rocca con i tre cannoni







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    Edited by tomiva57 - 8/7/2014, 15:07
     
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    bellissimo claudio..








    Belforte all'Isauro

    Nei pressi del confine con la Toscana incontriamo Belforte all'Isauro (344 metri s.l.m.) il cui primo insediamento, di popolazioni umbre, si fa risalire al IV secolo a.C.. Dopo la battaglia di Sentinum, i romani si stabilirono nella zona costruendo case, tuguria e villae, come dimostra il materiale edilizio rinvenuto in diversi luoghi del paese. Il castello di Belforte, arroccato tra le rive del Fiume Isauro e del torrente Fossato fu edificato nel medio evo su un precedente insediamento longobardo del VI sec., e costituì un importante baluardo a difesa della Massa Trabaria e delle terre del Foglia e dell'alto Metauro.Come gran parte dei paesi del Montefeltro, Belforte all'Isauro subì le vicende storiche dei Malatesta e dei Montefeltro. Sotto il dominio di Federico formò un anello di congiunzione tra Sassocorvaro e i paesi della valle del Candigliano fino a Gubbio. Federico da Montefeltro fece ristrutturare il Castello da Francesco di Giorgio Martini, e durante la lunga guerra con i Malatesta si servì di questo avamposto come luogo di concentramento delle truppe. La struttura è divisa in due corpi collegati tra loro: una parte nobile, dimora dei Signori e una parte riservata ai sudditi, cioè di servizio. Ai due estremi della fortezza furono poste due grandi torri di guardia. A difesa del castello - ancor oggi integro, nonostante le numerose trasformazioni subite - ci furono le Torri di Campo e Torriola. Proprio nei pressi della Torre di Campo, militando per Niccolò Piccinini nel 1439, il conte Federico venne ferito gravemente a soli 17 anni. A NordEst del paese, nei pressi dell'attuale Cimitero, è situata l'antica pieve di S. Lorenzo, di cui si ha notizia sin dal VII secolo. Al suo interno è possibile ammirare opere pittoriche di soggetto religioso databili tra il XVI e il IX secolo, di scuola Marchigiana di ispirazione baroccesca: "L'Immacolata", "S. Lorenzo", le "Stimmate di S. Francesco", un "Salvatur Mundi" e una "Madonna in gloria fra i SS. Lorenzo e Sebastiano". Anche la chiesa di Campo, conserva parte dell'arredo antico, in particolare tre tele del 1600: "Morte di San Giuseppe" e due dipinti raffiguranti "Madonna con bambino e Santi"



    Università di Urbino

    Fondata nel 1506 la sua cinquecentenaria storia la rende una delle università più antiche d'Europa.



    La sua nascita è strettamente correlata al Ducato di Urbino retto da Guidobaldo da Montefeltro che istituì il "Collegio dei dottori", e alla volontà del roveresco Papa Giulio II che con la bolla pontificia Ad Sanctam Beati Petri Sedem Divina Dispositione Sublimati del 18 febbraio 1507 che permise alla costituenda "magistratura urbinate" di creare dei dottori. Dal 1566 ebbe da Papa Pio V la facoltà di laureare poeti, creare dottori in diritto canonico e civile e di nominare notai. Il collegio divenne "Pubblico studio" nel 1576 e "Università" nel 1671 per opera di Papa Clemente IX. Il 23 ottobre 1862, per effetto del Regio Decreto n. 912, venne proclamata "Libera Università".



    Nel 2003 l'università è stata intitolata al Senatore a vita Carlo Bo che ne è stato il magnifico rettore per cinquantaquattro anni, dal 1947 al 2001, e che ha fortemente influenzato la storia dell'ateneo dandogli prestigio e nuovo impulso allo sviluppo.

    L'università si struttura in 11 facoltà, 52 istituti, 46 corsi di primo livello, 20 corsi di laurea specialistica di cui 2 a percorso unico.

    Con Decreto del Ministero dell'Università e della Ricerca del 22 dicembre 2006, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - Serie generale - n. 143 del 22 giugno 2007, la libera università è divenuta Statale proprio in corrispondenza con il suo cinquecentenario di fondazione.




    Fortezza Albornoz - Urbino



    La Rocca si trova all'interno del parco della Resistenza.
    Il parco nel 1975 è stato aperto al pubblico in occasione del trentesimo anniversario della liberazione, dedicato alla resistenza.



    ".....imminente al piano del Mercatale e alla contrada di Valbona"(Bernardino Baldi) la rocca, in base alla tradizione orale, sarebbe stata edificata per ordine del Cardinale Egidio Alvarez Carillo de Albornoz nel XIV sec.(1353-1367)durante la sua legazione nel nostro paese.Alcuni studiosi affermano invece che la fortezza sia stata costruita dal successore di Questi,Anglico Grimoard(1367-1371),poichè la rocca esistente"Cassero vecchio" non era più adatta a difendere Urbino, per la sua piccolezza.In seguito, quando vennero edificate le mura roveresche(1507-1511),la rocca fu inclusa nella cinta muraria.Pochi anni dopo il papa LeoneX fece abbattere le mura affinchè la città,in caso di sollevazione, non avesse difesa.Dopo la morte di Leone X (1522),tornato Francesco Maria della Rovere,il Comandino venne incaricato di ricostruire la rocca danneggiata.



    Nel 1573,sotto Guidubaldo II,la rocca fu di nuovo danneggiata durante una ribellione dei cittadini.
    Nel 1673 rocca e campo vennero cedute ai padri Carmelitani Scalzi. Dopo l'invasione francese(1799),in epoca napoleonica,la costruzione della rocca fu ripresa per essere poi usata a scopi militari. Nel 1805 ritornò in possesso dei Carmelitani. In seguito, nel 1860 la Fortezza ospitò un orfanotrofio femminile.Nel 1967 furono iniziati i lavori di restauro e consolidamento.



    La costruzione ha forma rettangolare ed è munita nel lato interno di due torri semicircolari.Il portone d'ingresso è situato nel lato nord; di qui, attraverso una rampa, si accede alla terrazza che,per la sua posizione( quota 474 m.)domina la città ed il paesaggio a trecentosessanta gradi.
    E' un'opera di grande interesse storico e panoramico.

    Edited by tomiva57 - 8/7/2014, 14:45
     
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  4. tomiva57
     
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    Carpegna

    è un comune italiano di 1.673 abitanti della provincia di Pesaro e Urbino nelle Marche. Il toponimo deriva dal latino Carpineam, ovvero "foresta di carpini". Il Carpino è infatti un albero molto diffuso nei boschi di Carpegna. Carpegna è il nome anche di una montagna (il Monte Carpegna), di un territorio (la Carpegna) e di un’antica dinastia (i conti, dal 1685 principi di Carpegna), che condivide la stessa origine dei conti di Montefeltro e dei duchi di Urbino. La località è famosa anche per il suo tipico prosciutto di Carpegna.

    Una leggenda riportata dal Valli racconta che un Armileone Carpegna nel 466 riceve in dono, per i servigi prestati ad Odoacre, il dominio sul monte che prenderà il suo nome. Nel 962 un conte Ulderico di Carpegna, suo presunto discendente, riceve dall'imperatore Ottone la conferma sulle terre di dominio e di altri feudi in Montefeltro e Romagna che ne legittima il titolo di feudo imperiale (documento poi rivelatosi falso). Le giurisdizioni dei conti di Carpegna, situate tra il Montefeltro, la Massa Trabaria e l'alta Valtiberina, a cavallo della dorsale appenninica tra Umbria, Toscana, Marche e Romagna, arrivarono nel medioevo a comprendere alcune decine di castelli. In età moderna erano costituite da otto castelli, di cui quattro erano compresi nella contea di Carpegna e altri quattro nel principato di Scavolino. Si trattava di Feudi Imperiali, cioè di territori praticamente indipendenti, autonomi dagli stati confinanti (lo Stato Pontificio, il Ducato di Urbino - a vantaggio del quale erano andati diversi castelli prima dipendenti dai Carpegna e in cui i suoi Signori, i Montefeltro, rivendicheranno sempre anche il feudo di Carpegna come proprio - e il Granducato di Toscana). Questi feudi imperiali di Carpegna rimasero in vita fino al 1819, quando furono devoluti al Papa. Nel 1463 alla morte del conte Francesco, gli eredi si dividono i possessi della contea, originando le due linee dei conti di Carpegna di Castellaccia e di Carpegna di Scavolino Gattara. Nel 1670 il cardinale Gaspare (-1714), divenuto molto influente nella corte romana, riesce a vedersi riconoscere per la contea avìta notevole autonomia. Erige come sua sede oltre il palazzo a Roma, una imponente residenza nel paese. La contea ha così un mulino per la produzione di polvere da sparo che le incrementa notevoli entrate, riceve il privilegio papale di commerciare il sale acquistato a Rimini allo stesso prezzo di ogni altro stato sovrano, incrementando così il commercio del sale e di altre mercanzie tra la costa riminese e la Toscana. I conti si accordano con la vicina Repubblica di San Marino che, a grazie ai loro privilegi presso la corte papale, riesce a mantenere una propria effettiva indipendenza anche se mai rivendicata espressamente. Il nipote Francesco X Maria è tuttavia, privo di discendenza maschile e nomina suo erede il nipote Antonio, nato dal matrimonio della figlia Maria Laura con il marchese Mario Gabrielli. Ma l'imperatore Francesco I di Lorena, indispettito in qualità di granduca di Toscana, vuole far rispettare l'accordo del 1490 con Firenze, ove si sanciva il trasferimento della sovranità sulla contea alla Repubblica fiorentina in caso di estinzione maschile della famiglia. Così il 10 giugno 1749 108 soldati toscani invadono Carpegna. Ma presto la Francia prende le parti della Chiesa che protesta contro l'aggressione verso i territori da lei rivendicati a cui si affiancano anche il regno di Sardegna e la Spagna per sostenere l'autonomia del feudo. L'imperatore, trovatosi diplomaticamente isolato, dopo qualche anno di incertezze, ritira le sue truppe nel 1754 e il conte Antonio di Carpegna Gabrielli diviene l'effettivo possessore della contea fino all'espropriazione napoleonica del 1807. Temporaneamente riacquistata nel 1814, la contea è definitivamente ceduta alla Chiesa dopo notevoli pressioni e minacce da parte della corte pontificia.

    Il mistero delle campane di San Nicolò

    Carpegna ebbe un suo momento di celebrità nel 1970 per il misterioso fenomeno delle campane della chiesa di San Nicolò (XVII secolo) che inspiegabilmente suonavano pur rimanendo immobili. Lo strano fenomeno, che attirò curiosi e studiosi, cessò nel 1971 e non si ripeté più. Il suono delle campane è rimasto piuttosto oscuro nel suo svolgersi poiché ogni testimone riferiva il fenomeno in maniera differente, impedendo di chiarire lo svolgimento dei fatti. La Chiesa ha da subito rifiutato il riconoscimento di "miracolo" nel fenomeno, visto che non ha prodotto guarigioni inspiegabili o episodi simili. La scienza, d'altra parte, non ha fornito alcuna spiegazione plausibile, né che si trattasse di uno scherzo, né che fosse un fenomeno acustico altrimenti spiegabile, visto che la possibile polarizzazione del suono è una scoperta recentissima.





    Palazzo Ducale (Urbino)





    <b>Il Palazzo Ducale di Urbino, situato al fianco della Cattedrale, è uno dei più interessanti esempi architettonici ed artistici dell'intero Rinascimento italiano ed è sede della Galleria Nazionale delle Marche.


    La prima fase: Maso di Banco

    Nel 1445 circa Federico fece innanzitutto congiungere i due edifici ducali antichi, chiamando architetti fiorentini (capeggiati da Maso di Banco) che edificassero un palazzo intermedio. Il risultato fu il palazzetto della Jole, a tre piani, in stile auestro semplice e tipicamente toscano. L'interno venne decorato con alcuni sobri accenti antichizzanti negli arredi, come nei fregi e nei camini, incentrati sulla celebrazione di Ercole e delle virtù belliche.


    Urbino - Palazzo Ducale - Il Cortile

    La seconda fase: Luciano Laurana


    Dopo il 1462, la sconfitta di Sigismondo Malatesta nella battaglia di Cesano e l'acquisizione di Fano e Senigallia (1463), aumentarono le entrate di Federico, che divenne anche capitano generale e arbiter della lega italiana.

    In quel periodo il progetto del palazzo venne mutato, "con l'intenzione di si superare tutte le residenze principesche d'Italia"[1], e farne anche sede amministrativa e luogo dove ospitare personaggi illustri. Dal 1466 circa i lavori passarono infatti a un nuovo architetto, il dalmata Luciano Laurana, del quale resta una Patente rilasciata dal Duca il 10 giugno 1468 con una dichiarazione d'intenti programmatica. L'architetto, che nel 1465 si trovava a Pesaro, venne forse suggerito da Leon Battista Alberti, che l'aveva conosciuto a Mantova.


    Urbino - Palazzo Ducale - Facciata dei Torricini

    Fulcro del nuovo assetto fu il vasto cortile porticato, che raccordava gli edifici precedenti. Il cortile ha forme armoniose e classiche, con un portico con archi a tutto sesto, oculi e colonne corinzie al pian terreno, mentre il piano nobile è scandito da lesene e finestre architravate. Lungo i primi due marcapiano corrono iscrizioni in capitali romane, il carattere epigrafico classico, così come classici, per la precisione copiati da esemplari flavi, sono i capitelli. Inoltre Laurana fortificò il palazzo e la città, usando mura oblique, in modo che i cannoni non le potessero abbattere, e altri stratagemmi militari.


    Urbino - Palazzo Ducale - Cortile


    Da questo nucleo il palazzo venne poi dilatato verso la città e in direzione opposta. La facciata verso la città ebbe una forma "a libro aperto" (a "L") su piazzale Duca Federico, che venne appositamente sistemato da Francesco di Giorgio Martini e in seguito chiuso sul lato nord dalla fiancata del duomo. Il palazzo diventava così il fulcro del tessuto urbano senza operare strappi e sottomettendo, con la sua presenza, anche la vicina autorità religiosa.

    Il fronte a strapiombo su Valbona venne invece completato con la cosiddetta "facciata dei Torricini", leggermente ruotata verso ovest rispetto agli assi ortogonali del palazzo. Deve il suo nome alle due torri che affiancano la facciata alta e stretta, ma ingentilita al centro dal ritmo ascensionale di tre logge sovrapposte, che ripetono ciascuna lo schema dell'arco di trionfo, ispirato probabilmente all'arco di Castel Nuovo a Napoli di Don Ferrante d'Aragona, del quale Federico era comandante generale. La facciata dei Torricini non guarda verso l'abitato ma verso l'esterno, per questo fu possibile una maggiore libertà stilistica, senza doversi curare dell'integrazione con edifici antecedenti, inoltre la sua presenza imponente è ben visibile anche da lontano, come simbolo del prestigio ducale.


    La terza fase: Francesco di Giorgio Martini


    Nel 1472 subentrò nella direzione dei lavori Francesco di Giorgio, che iniziò un nuovo sviluppo anche in seguito alla nomina di Federico come duca e confaloniere della Chiesa da parte di Sisto IV. Francesco completò la facciata a "L" su piazza Rinascimento, curò gli spazi privati, le logge, il giardino pensile e forse il secondo piano del cortile, oltre al raccordo con le strutture sottostanti fuori le mura. Ai piedi del dirupo si trovava infatti un ampio spiazzo, detto "Mercatale" poiché sede di mercato, dove Francesco di Giorgio creò la rampa elicoidale, che permetteva a carrie cavalli di raggiungere il palazzo e la "Data", ovvero le grandi scuderie poste a metà altezza.


    <i>Urbino - Palazzo Ducale - Rampa Elicoidale


    Negli spazi interni curati da Francesco di Giorgio, sotto la cui direzione operò lo scultore milanese Ambrogio Barocci, si nota un cambiamento di gusto, improntato a una decorazione più sontuosa e più astratta. All'interno l'arredo era curatissimo e fastoso, con cuoi dorati e arazzi alla pareti che ofggi sono completamente dispersi nei musei del mondo. Un'eccezione è lo Studiolo, giunto quasi intatto. A questo periodo risale la presenza delle sigle F D o FE DUX ("Federico Duca"), che in alcuni casi sostituirono con opportune stuccature le precedenti F C ("Federico Conte"). L'intrevento dell'artista senese si caratterizzò soprattutto per lo spiccato senso pittorico e scultoreo delle decorazioni, unitoi a una forte capacità di sintesi e di adattamento pratico, come dimostra il riutilizzo degli ordini classici e delle forme all'antica nelle nuove parti in maniera abbreviata.



    Nonostente le differenze il palazzo riuscì nell'intento quasi miracoloso di coniugare con equilibrio le varie parti in un complesso asimmetrico, impostato dalle irregolarità del terreno e degli edifici preesistenti, dove però il rigore delle singole parti bilancia la mancanza di un progetto unitario.


    Fonte: Wikipedia

    Buon lavoro Claudio

    Raffaello Sanzio - Deposizione (1507) olio su tavola cm. 184x176


    Il trasporto di Cristo, più noto con il nome della Deposizione di Raffaello fu dipinto per Atalanta Baglioni in memoria del figlio Grifonetto, ucciso nelle lotte per la signoria di Perugia e collocato nella chiesa di San Francesco della stessa città nel 1507. Nella città rimase per 101 anni, finché nottetempo, con la complicità del clero, il dipinto fu prelevato e inviato a Paolo V che lo donò al nipote per la collezione, ed entrò così a far parte del patrimonio privato dei Borghese. In seguito al trattato di Tolentino il dipinto fu trasferito nel 1797 a Parigi. Dopo il ritorno a Roma nel 1816, soltanto la scena centrale fu restituita alla collezione Borghese, mentre le tre Virtù teologali, Fede, Speranza e Carità della predella rimasero ai Musei Vaticani (la cimasa di Tiberio Alfani, finì nella Galleria Nazionale dell'Umbria).



    La grande pala offre la scena a modo di un rilievo romano e s'ispira ai rilievi presenti su sarcofagi romani raffiguranti il trasporto di Meleagro. Interessante è notare che nel disegno preparatorio l'autore aveva previsto il Cristo giacente per terra come nel Perugino, ma nella realizzazione intervenne l'idea del trasporto alla maniera antica di un rilievo, studiato a Firenze probabilmente con l'esempio del sarcofago Montalvo (oggi Milano, coll. Torno). Ma anche un tributo a Michelangelo è percepibile nella composizione di Cristo (cfr. Pietà, San Pietro) e nella figura che si gira di profilo per sorreggere la madonna ripetendo un movimento simile a quello raffigurato nel Tondo Doni (Uffizi, compiuto un anno prima della Deposizione).


    Edited by tomiva57 - 8/7/2014, 14:50
     
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    GRADARA



    La roccaforte di Gradara si erge su un colle (142 m sul livello del mare) al confine tra Marche e Romagna in posizione strategica e dominante. Dista 25 Km da Rimini, 13 da Pesaro, 3 dalla strada Adriatica.

    A tutti quelli che la raggiungono piace rievocare il tempo antico mentre si compie il giro sulle merlate mura e si supera il ponte levatoio e si incontra l’elegante cortile. Le sale interne ricordano gli splendori delle potenti famiglie che qui hanno governato: Malatesta, Sforza e Della Rovere.




    La costruzione ebbe inizio attorno all’XII secolo per volontà di Pietro e Ridolfo De Grifo che usurparono la zona al comune di Pesaro. Nella prima metà del XIII secolo, Malatesta da Verucchio detto il Centenario, aiutato dal papato, si impossessò della torre dei De Grifo e ne fece il mastio della attuale Rocca.

    Non è noto il nome del geniale architetto che ne diresse i lavori ma si notano interessantissimi particolari (le tre torri poligonali coperte ed abbassate al livello dei cammini di ronda) che avranno larga attuazione solo nella seconda metà del XV secolo. Ricordiamo inoltre la doppia cinta muraria ed i tre ponti levatoi che resero pressoché inespugnabile la possente Rocca malatestiana.







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    TODI..CHIESA DI S,MARIA DELLA CONSOLAZIONE...

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    TODI....



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    todisquare





    Gradara .....
    camminamento sulle mura



    Il piccolo paese di Gradara è raccolto fra prima e la seconda cinta di mura.



    Dopo il potere dei Malatesta e la tragedia di Paolo e Francesca che qui si consumò nel settembre 1289, arrivarono gli Sforza.

    Nel 1494, appena quattordicenne, arriva Lucrezia Borgia, seconda moglie di Giovanni Sforza. La giovinetta, che ci viene sempre descritta come perversa e corrotta era in realtà una gaia fanciulla dai capelli d’oro e dagli occhi azzurri che subiva l’influenza del padre: il terribile Papa, Alessandro VI Borgia.





    Il genitore obbligava la giovane figlia a lasciare il precedente marito ed a sposarne di nuovi per i suoi loschi intrighi.

    Gli sposi che non volevano lasciare Lucrezia finivano, come sappiamo, per essere avvelenati.Infatti nel 1497, per volere del Papa, fu sciolto il matrimonio con Giovanni Sforza e quest’ultimo ebbe salva la vita perché accetto di firmare un documento in cui ammetteva (falsamente) di essere impotente. Dopo un breve periodo di dominazione del fratello di Lucrezia, Cesare Borgia detto il Valentino, arrivarono i della Rovere.

    Era salito al soglio pontificio Giulio II e questi mise a governare Gradara il nipote Francesco Maria II.




    Dopo la morte di Livia Farnese, vedova del Della Rovere, la Rocca venne amministrata dal papato che la concesse in enfiteusi al conte Santinelli, poi agli Omodei di Pesaro, quindi agli Albani ed infine, nella seconda metà del 1700 al marchese Mosca di Pesaro. Egli si occupò amorevolmente della costruzione ed alla sua morte volle essere sepolto nella chiesa parrocchiale di S.Giovanni Battista situata entro la seconda cita di mura.

    La Rocca divenne proprietà comunale e questi nel 1877 la cedette al conte Morandi Bonacossi di Lugo.







    SAN LEO




    Nella media Valle del Marecchia, al centro della Regione storica del Montefeltro, su un masso imponente di forma romboidale con pareti strapiombanti al suolo, sorge San Leo. La placca rocciosa, di formazione calcareo-arenacea, è il risultato della tormentata genesi che ha portato alla formazione del paesaggio della Val Marecchia, nota ai geologi come Coltre o Colata della Val Marecchia. I limiti della placca, nel caso di San Leo, sono interamente identificabili e coincidenti con i dirupi e gli strapiombi; il contatto con le argille sottostanti è sempre evidente. Questa situazione rende San Leo un paradigmatico esempio ai fini della interpretazione della geologia locale e riassume, inoltre, notevoli, fenomeni geomorfologici, caratteristici della Val Marecchia. La straordinaria conformazione naturale del luogo ne ha determinato, dall’epoca preistorica, la doppia realtà di fortezza munita per natura e di altura inaccessibile e perciò sacra alla divinità.
    L’antico nome Mons Feretrius è tradizionalmente legato ad un importante insediamento romano, sorto intorno ad un tempio consacrato a Giove Feretrio. Pur non essendo in possesso di fonti in grado di attestare l’anno in cui i romani giunsero in questo luogo, possiamo affermare che, fin dal III secolo, essi costruirono una fortificazione sul punto più elevato del monte, ma non monirono l’abitato di cinta murarie poiché la rupe è di per sé inaccessibile da qualunque lato. Sul finire del III secolo, giunsero nel Montefeltro, dalla Dalmazia, Leone e il compagno Marino, ai quali si deve la diffusione del cristianesimo che si propagò rapidamente in tutta la regione circostante, fino alla nascita della Diocesi di Montefeltro. Leone è considerato, per tradizione, il primo Vescovo di Montefeltro, anche se l’istituzione della Diocesi risale, probabilmente, al periodo fra VI e VII secolo, quando San Leo venne eretta a città (il primo vescovo è documentato soltanto nell’826). La circoscrizione ecclesiastica facente capo a Montefeltro comprendeva un territorio prevalentemente collinare e montuoso, distribuito tra le Valli del Savio, Marecchia, Conca e Foglia (a parte alcune mutazioni, l’antica Diocesi sopravvive oggi con l’intitolazione di San Marino-Montefeltro).






    Sull’originario sacrario edificato dallo stesso Leone che la tradizione vuole abile tagliatore di pietre, sorse la Pieve, dedicata al culto orientale della Dormitio Virginis. L’edificio, costruito in epoca carolingia e rimodernato in età romanica, raccoglie intorno a sé il nucleo della città medievale. Dopo il VII secolo, accanto alla Pieve, fu innalzata la Cattedrale, consacrata al culto del Santo Leone. Nel 1173 essa venne completamente rinnovata, nelle forme romanico-lombarde, e unita alla possente torre campanaria di probabile origine bizantina. Il nucleo della città sacra, composto dal Palazzo Vescovile e dalla residenza dei Canonici, veniva così a costituire un vero e proprio agglomerato urbano, la civitas Sanctis Leonis, arricchita di altri edifici dalla dinastia dei Montefeltro stabilitasi a San Leo a metà del 1100. Non a caso essi, discendenti della progenie dei Conti di Carpegna, assunsero il titolo ed il nome proprio dall’antica città-fortezza di Montefeltro-San Leo. Il centro medievale conserva gli edifici romanici, Pieve, Cattedrale e Torre Campanaria, mentre i palazzi residenziali hanno subito numerose trasformazioni principalmente durante il periodo rinascimentale. L’abitato storico si estende intorno alle chiese che affacciano sulla piazza centrale, intitolata a Dante Alighieri, ed è composto da numerosi edifici: il Palazzo Mediceo (1517-23), la residenza dei Conti Severini-Nardini (XIII-XVI sec.), il Palazzo Della Rovere (XVI-XVII sec.), la Chiesa della Madonna di Loreto e abitazioni costruite fra il XIV e il XIX secolo.

    Distanziata dall’agglomerato urbano, per evidenti ragioni difensive, è la Fortezza di Francesco di Giorgio Martini. Il primitivo nucleo altomedioevale, in cui dal 961 al 963 era stato assediato Berengario Re d’Italia da Ottone I di Germania, venne ampliato tra XIII e XIV secolo, quando i Malatesta riuscirono a sottrarre San Leo ai Montefeltro. Il Mastio medievale, difeso dalle quadrangolari torri malatestiane, venne definitivamente ridisegnato dall’architetto senese Francesco di Giorgio Martini per volere di Federico da Montefeltro nel 1479. Egli escogitò la doppia cortina tesa in punta fra torrioni circolari forgiati di beccatelli, la munì del grande rivellino rivolto a sud, al di sotto del quale pose una caratteristica casamatta. La nuova forma prevedeva una risposta al fuoco secondo i canoni di una controffensiva dinamica che potesse garantire direzioni di tiri incrociati, da qualunque parte provenisse l’attacco. La fortezza fu protagonista di importanti vicende guerresche durante il periodo rinascimentale: fu sottratta per pochi mesi ai Montefeltro dal duca Valentino nel 1502 e ai Della Rovere delle truppe medicee nel 1517. Con la devoluzione del ducato urbinate al dominio diretto dello Stato Pontificio (1631), la rocca perse il suo carattere di arnese da guerra e fu adattata a carcere. Nel 1788, essendo le carceri della Fortezza di San Leo per la loro forma e situazione molto insalubri e minacciando uno di quei Baluardi imminente ruina, Giuseppe Valadier, nominato da Pio VII architetto dello Stato della Chiesa, fu incaricato di apportare all’intera struttura le necessarie migliorie. Dal 1791, fino alla morte avvenuta il 26 Agosto 1795, vi fu rinchiuso Giuseppe Balsamo, noto come Alessandro conte di Cagliostro, uno dei più enigmatici ed affascinanti avventurieri dell’età dei Lumi. Con l’avvento dell’Unità d’Italia, San Leo non fu oggetto di riadattamento urbanistici, mantenendo inalterato l’impianto urbano.






    FANO





    Fano è un comune italiano della provincia di Pesaro e Urbino nelle Marche. La cittadina, famosa per il suo carnevale, il più antico d'Italia, conta 63.766 abitanti, ed è quindi la terza città per popolazione nella regione Marche, dopo Ancona e Pesaro.



    Di antica origine umbra, divenne poi possedimento romano, conosciuta come Fanum Fortunae, nome che rimanda al "Tempio della Fortuna", probabilmente eretto a testimonianza della battaglia del Metauro: era l'anno 207 a.C. e le legioni romane sbaragliarono l'esercito del generale cartaginese Asdrubale, uccidendone il condottiero che, dopo aver varcato le Alpi con gli elefanti da guerra, intendeva ricongiungersi al fratello Annibale. La città di Fano conosce un notevole sviluppo durante il dominio romano grazie alla sua posizione strategica sulla via che congiungeva la valle del Tevere alla Gallia Cisalpina.
    Nel 49 a.C. Gaio Giulio Cesare la conquista assieme a Pesaro, dando così inizio alla Guerra Civile contro l'antagonista Pompeo. Solo successivamente Cesare Ottaviano Augusto dota l'insediamento di mura di cinta (ancora parzialmente visibili) elevando l'insediamento allo stato di colonia romana: Colonia Julia Fanestris. Alcuni secoli dopo, nel 271 d.C., si svolse nei suoi pressi la battaglia di Fano che segnò la fine del tentativo degli Alemanni di raggiungere Roma. A causa però alla sua posizione nei collegamenti tra nord e sud Italia venne distrutta dai Goti nel 538 e ricostruita dall'esercito bizantino di Belisario e Narsete. Successivamente entrò a far parte della Pentapoli marittima (Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona) di cui era a capo. Subì successivamente l'occupazione dei Longobardi e dei Franchi fino a quando Ottone III non la donò a papa Silvestro II. Nel XIII secolo Fano si costituì comune, nel secolo successivo fu per un breve periodo sotto il dominio estense dopo di che fu dilaniata dalla lotta intestina tra due famiglie: i del Cassero e i da Carignano. Alla fine del XII secolo la città passò sotto il dominio Malatesta di Rimini, grazie ad un complotto ordito da quest'ultimi contro le due famiglie rivali. La famiglia Malatesta rimase al potere nella città fino al 1463, quando Sigismondo Malatesta dovette lasciare Fano al duca di Urbino Federico da Montefeltro dopo un lungo assedio. La popolazione della città si rifiutò di entrare a far parte del ducato di Urbino e perciò divenne vicariato ecclesiastico. Durante l'occupazione napoleonica dello Stato Pontificio fu saccheggiata e gravemente bombardata dall'esercito del Bonaparte. Partecipò attivamente ai moti risorgimentali con la creazione di governi provvisori. Durante la prima guerra mondiale (1915-1918) subì numerosi bombardamenti navali austriaci ed anche nella seconda guerra mondiale (1940-1945) trovandosi sulla linea Gotica subì numerose incursioni aeree alleate miranti alla distruzione dei suoi ponti ferroviari e stradali e, da parte dell'esercito tedesco in ritirata, la distruzione di tutti i suoi campanili, della torre civica, del mastio della rocca malatestiana e del suo porto peschereccio, ritenuti dal nemico infrastrutture sensibili da non lasciare nelle mani degli alleati.






    Fano




    Fano...chiesa di San Francesco




    Edited by tomiva57 - 8/7/2014, 14:57
     
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  7. cristina vimis2
     
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    siiiiiiiiiiii gradara....smakkkkkkkkkkk grazieeeeeeee...tutto davvero bello.....
     
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  8. tomiva57
     
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    fossombrone


    FOSSOMBRONE


    La cittadina di Fossombrone è il maggior centro della media val Metauro ed è caratterizzato da un centro d'impronta medievale disteso sul pendio di un colle e dominato da una Cittadella e dai ruderi della Rocca malatestiana. La parte moderna del paese si estende sulla pianura su entrambi i lati del fiume Metauro mentre la zona industriale si trova lungo la via Flaminia, dopo la località San Martino del Piano in direzione di Fano.


    La frazione Calmazzo, che si trova sulla vecchia strada Flaminia poco prima della gola del Furlo, è sede di antichi ritrovamenti dell'epoca romana. Nel 1989 uno scavo effettuato nella zona dall'Università di Urbino ha portato alla luce il recinto sepolcrale della famiglia Cissonia.

    La Riserva Naturale Statale Gola del Furlo, istituita nel 2001, occupa una superficie di 3.600 ettari circa tra boschi, pascoli e cime incontaminate, e comprende la gola formata dal fiume Candigliano poco prima della confluenza nel Metauro.. Si trova in provincia di Pesaro-Urbino ed è compresa nei territori dei Comuni di Acqualagna, Cagli, Fermignano, Fossombrone, Urbino.

    Gola del Furlo Riserva Naturale Statale Gola del Furlo



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    foto:parks.it

    La Gola del Furlo è formata dalle pareti scoscese dei monti Paganuccio e Pietralata che stringono il corso del torrente Candigliano. In questo passaggio obbligato tra il versante tirrenico e la costa medioadriatica i romani, e prima di loro gli etruschi, realizzarono opere imponenti - sostegni, muraglioni, tagli di roccia e gallerie - in modo da farvi transitare la via Flaminia. Nel 76, sotto Vespasiano, fu realizzata la "galleria grande" (forulus, da cui "Furlo"), che ne sostituiva una più piccola, ancor oggi attraversata da chi prende la vecchia statale anzichè la variante a scorrimento veloce. Il paesaggio è grandioso: le pareti rocciose prodotte dall'erosione fluviale si innalzano per centinaia di metri, formando un canyon spettacolare.
    Nel periodo del fascismo, la località fu spesso meta del duce Benito Mussolini che fece anche realizzare il suo profilo sul Monte Pietralata successivamente parzialmente distrutto dai partigiani. Costituisce un prezioso serbatoio naturale da proteggere e valorizzare la cui gestione è stata affidata alla Provincia di Pesaro e Urbino e all’ufficio unico Sadaf (Servizio aree demaniali e aree forestali) creato dalle tre Comunità montane di Cagli, Fossombrone e Urbania e che ha sede a Cagli.

    Flora e fauna

    La vegetazione che ricopre le cime del massiccio è costituita in prevalenza da leccio. Nelle zone meno asciutte e con suolo più profondo, il leccio cede il posto a formazioni boschive caducifoglie formate in prevalenza da orniello, carpino nero, roverella, acero minore, sorbo, corbezzolo, bagolaro. Fra le specie erbacee si riconoscono piante rare come il miglio verdolino, la trabbia maggiore e la carice mediterranea m anche bucaneve, dentarie, viole e festuca altissima. Si può osservare l’aquila reale, il falco pellegrino, il gufo reale, il picchio muraiolo, la rondine montana, il rondone maggiore e il gracchio corallino e inoltre lupi, istrice, puzzola, caprioli, daini e cinghiali. Gli anfibi presenti sono tritone crestato, rana agile e ululone ventre giallo anche i rettili popolano l'area con numerose specie, tra cui il cervone, il saettone, la vipera comune, la natrice tessellata. Nelle acque del Candigliano troviamo diverse specie di ciprinidi, gobidi e la trota fario.


    Storia

    L'abitato di Forum Sempronii, a 164 miglia da Roma, era situato più ad est dell'attuale Fossombrone, in località San Martino del Piano, fu presto elevato al rango di municipio (I secolo a.C.) e conobbe un periodo di splendore in epoca imperiale. Plinio il Vecchio (II secolo d.C.) nella sua Naturalis historia chiama i suoi abitanti Forosempronienses. L'antica città fu devastata dai Goti guidati da Alarico, in transito verso Roma nel 409 d.C. Erano oltre centomila persone tra uomini, donne e bambini con le loro masserie, che depredavano e distruggevano quanto trovavano lungo il cammino. Durante la ventennale guerra gotica, ci fu un continuo passaggio di eserciti e dopo la vittoria dei bizantini di Narsete su Totila (552 d.C.), entrò a far parte dell'Esarcato di Ravenna, componendo la cosiddetta Pentapoli annonaria assieme ad Urbino, Cagli, Gubbio e Jesi.Dopo tante rovine gli abitanti costruirono il nuovo centro sul colle che sovrasta l'attuale città. In epoca longobarda il suo territorio fu teatro di una dura battaglia tra il re Liutprando e il ribelle duca di Spoleto Trasmondo che vinto, fu deposto e chiuso in un convento.

    Fossombrone come risulta dai documenti scritti, rimase fuori dal dominio della chiesa fino al 999, dopo di che passò sotto il potere di papa Silvestro II. Durante i primi decenni del XIII secolo sotto il pontificato di Innocenzo III la città fu feudo di Azzo VI d'Este, passando successivamente al figlio Aldobrandino e poi ad Azzo VII. Nel 1228 la famiglia Este per meglio tutelare il proprio dominio su Fossombrone dalle mire espansionistiche dei signorotti vicini subinfeudarono la città al vescovo Monaldo. Nei primi anni del XIV secolo lo Stato della Chiesa investì la famiglia Malatesta a signori della città, e nel loro duro governo provvidero alla costruzione di imponenti fortificazioni. Nel 1444 Galeazzo Malatesta, signore di Pesaro, vendette la città al conte Federico da Montefeltro, sotto la cui signoria, Fossombrone godette di un periodo di prosperità per il fiorire di produzioni di lana, carta, seta e per il rinnovamento edilizio. A Federico succedette il figlio Guidobaldo che vi dimorò quasi costantemente a causa dell'amenità del luogo e per il clima salubre, successe Francesco Maria I della Rovere nipote di Guidobaldo. Sotto i duchi Della Rovere la città fu notevolmente ampliata, Francesco Maria II nel 1616 fece espandere l'abitato nella zona pianeggiante al disotto del colle fino a toccare il fiume Metauro. Nel 1631 essendosi estinta la famiglia Della Rovere l'intero ducato d'Urbino, e quindi anche Fossombrone, passò sotto il diretto controllo della Chiesa, del cui stato fece parte sino al 1860 anno di annessione al Regno d'Italia di cui seguirà d'ora in poi le vicende storiche.

    Toponimo

    Il nome Fossombrone deriva certamente da Forum Sempronii nome dell'antico centro romano legato a sua volta alla figura del tribuno Gaio Sempronio Gracco capitato in queste zone nel 133 a.C. per l'applicazione della legge agraria.

    Monumenti


    Danno un certo rilievo a Fossombrone alcune vie e quartieri del centro storico nati intorno al XV e XVI secolo, nel periodo in cui la cittadina fu eletta residenza di campagna della famiglia Della Rovere. Grande rilievo assume corso Garibaldi per i suoi palazzi quattro-cinquecenteschi come palazzo Staurenghi, Cattabeni, comunale e vescovile anche se hanno perso molto del loro antico splendore eccezion fatta per la Corte alta. Tra gli edifici ecclesiastici sono degni di nota le chiese di San Filippo, San Francesco, Sant'Agostino, Sant'Aldebrando sulla cittadella e la Cattedrale. Degno di nota il monumento "il gemellaggio",fusione in bronzo dell'artista Andrea Corradi.

    Corso Garibaldi

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    All'ingresso della via si apre largo Sempronio Gracco con un cippo dedicato all'omonimo personaggio, proseguendo per l'arteria si trovano palazzi monumentali tra i quali quattro con facciata a bugnato mentre sulla destra si estende la parte più antica della città.

    Chiesa di San Filippo

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    L'edificio si trova sul lato sinistro del corso, fu edificato tra il 1608-13 dai forsempronesi per voto pubblico alla nascita del duca Federico Ubaldo figlio di Francesco Maria II Della Rovere. La facciata della chiesa è rimasta incompiuta mentre l'interno barocco ha stucchi attribuiti al plasticatore Tommaso Amantini. Questa chiesa barocca è utilizzata come ambiente per concerti e manifestazioni artistico-culturali promossi dal comune e dall' Associazione Vernarecci: che ne cura attualmente la gestione.


    Chiesa di Sant'Agostino


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    foto:lavalledelmetauro.org

    La chiesa si trova sempre sulla sinistra di corso Garibaldi, edificata nel XIV secolo mentre alla fine XVIII secolo fu ampliata e sopraelevata. La facciata a capanna è caratterizzata da un grande portale d'arenaria e di due finestre murate del Seicento, si trova anche lo stemma malatestiano e quello della corporazione Delli Spetiali (XIV secolo), il portone in legno possiede le statue di Sant'Agostino e Santa Monica risalenti al XVII secolo. L'interno ad una navata e movimentato da alte colonne, recentemente riportato alla sua originale colorazione, conserva l'altare principale del 1802, la tela della Natività opera di Federico Zuccari, sopra l'ingresso vi è la tela rappresentante Madonna e santi di scuola bolognese secolo XVIII. Nel primo altare a sinistra si trova la rappresentazione della Madonna della cintura coi Santi Monica e Agostino tela di Giovanni Francesco Guerrieri.



    Corte Bassa


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    foto:lavalledelmetauro.org

    Fu una delle residenze forsempronesi dei duchi di Urbino, situata quasi di fronte S.Agostino è una costruzione cinquecentesca con porticato, finestre scolpite in arenaria, portale a bugnato piatto che pur avendo perduto molto del suo antico splendore conserva ancora la pregevole cappella privata del cardinal Giuliano Della Rovere con all'interno stucchi attribuiti al Brandani.


    Palazzo Ducale (Corte Alta)


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    foto:federicoviaggia.it

    Questo edificio rinascimentale XVI secolo fu costruito con interventi di Francesco di Giorgio Martini e di Girolamo Genga per il cardinale Giuliano Della Rovere fratello del duca Guidobaldo II. Il palazzo possiede un cortile interno sopraelevato, con portali rinascimentali, un elegante ballatoio e un sottostante ninfeo opera di Ludovico Carducci; interessante è anche la cappellina del cardinal Giuliano. All'interno del palazzo le sale possiedono soffitti a cassettoni, vi è lo studio della duchessa Eleonora. Nel salone delle feste fu data la terza rappresentazione dell'Aminta del Tasso dopo quelle di Ferrara e Pesaro.

    Chiesa di San Francesco

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    foto:eliorossicittaeborghi.altervista.org


    La chiesa situata di fronte piazza Dante e al parco fu edificata nel XVIII secolo al posto di un'altra dedicata a Santa Francesca Romana. L'alta facciata incompiuta conserva nella lunetta del portale un bassorilievo in arenaria, opere di Domenico Rosseli (XV secolo) raffigurante la Madonna con Bambino e i Santi Francesco e Bernardino purtroppo gravemente danneggiato durante l'ultimo conflitto. L'interno della chiesa ad una navata è in stile neoclassico e conserva sull'altare maggiore la tela del Guerrieri raffigurante Gesù Crocifisso coi Santi Francesco e Girolamo e un crocifisso ligneo del XVII secolo.

    Palazzo Cattabeni


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    foto:mondimedievali.net

    Cinquecentesco palazzo lungo la sinistra di corso Garibaldi detto anche del Monte di Pietà, la sua facciata è a bugnato con un portico a tre arcate e con tre alte finestre in pietra liscia. La famiglia Cattabeni originari di Ferrara, si imparentò con i Seta-Rufo grazie al matrimonio del cavalier Flaminio ereditando così il sontuoso palazzo cinquecentesco. L'edificio fu interamente restaurato e consolidato dopo i danni subiti durante la guerra, racchiude una cappella decorata a raffaellesche e sale con soffitti lignei e cassettoni.

    Palazzo Dedi

    Si trova poco oltre palazzo Cattabeni, sulla destra di corso Garibaldi, edificato alla fine del XV secolo, la facciata è in bugnato piatto, con portico a tre arcate su robusti pilastri e finestre adornate da piccoli piastrini sormontate da trabeazione.

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    Palazzo comunale


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    Il palazzo fu opera di Filippo Terzi nel XVI secolo, la facciata a bugnato in arenaria e il portico a quattro arcate con alti pilastri, dopo un fregio in pietra liscia possiede un ordine di finestre a fronti triangolari.

    Palazzo vescovile

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    L'edificio è situato dopo il palazzo Comunale, fu eretto a partire dal 1479 per volere dell'allora vescovo di origine urbinate Gerolamo Cantucci che chiamo a lavorarvi maestranze già impegnate nella costruzione del Palazzo Ducale di Urbino tra i quali Domenico Rosselli. Il palazzo nel tempo ha subito notevoli rimaneggiamenti ma ancora oggi la facciata a bugnato conserva l'originario stile rinascimentale, questa un tempo provvista di portico è divisa da una cornice che funge da balconcino alle finestre del primo piano le quali sono sormontate da un fregio e da timpani triangolari e semicircolari in alternanza. L'interno è caratterizzato dal grande salone d'onore con fregio a ghirlande e stemmi di tutti i vescovi fossombronesi e dalla cappellina privata che conserva una Crocifissione, affresco attribuito a Bartolomeo di Gentile datato al 1493.

    Cattedrale

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    foto:fotoalbum.virgilio.it


    Costruita nella parte occidentale della città sul luogo di un precedente edificio romanico su disegno dell’imolese Cosimo Morelli, presenta un’ampia facciata tripartita, scandita da coppie di lesene, ed un interno a tre navate in stile neoclassico, ravvivato dalla policromia degli altari, opera degli scalpellini e marmisti di S. Ippolito. I disegni degli altari sono del forsempronese Nicola Vici. Il pavimento della navata destra è attraversato da una meridiana tracciata dal matematico Sempronio Pace (1780). Fra le opere d’arte si segnalano: Madonna col Bambino e i SS. Giuseppe e Francesco; S. Caterina da Siena entrambe opere di G. F. Guerrieri (terza cappella a destra); Madonna col Bambino, S. Anna e S. Aldebrando di C. Ridolfi e Madonna col Bambino e S. Anna di G.F. Guerrieri (quarta cappella a destra). Le formelle della Via Crucis sono del ceramista A. Biancini. Notevole nella sacrestia la grande ancona scolpita nel 1482 da Domenico Rosselli , concepita come un grande polittico scultoreo dalla rigorosa architettura rinascimentale. Nelle nicchie suddivise da eleganti lesene sono scolpite ad altorilievo le immagini della Vergine col Bambino e dei Santi Aldebrando, Pietro, Paolo e Biagio.


    Corte alta

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    La costruzione dell'edificio fu iniziata nel XIII secolo e rimaneggiata per volere del Duca Federico da Montefeltro con interventi di Luciano Laurana, Francesco di Giorgio Martini e Girolamo Genga. La parte centrale dell'edificio in principio gotica fu trasformata in stile rinascimentale con l'apertura di finestre e sedili su colonnine e stipiti in pietra, il soffitto di legno fu modificato a carena di nave e i pavimenti rifatti sul modello di quelli del Palazzo Ducale di Urbino. La loggia sul lato est offre una vista panoramica sulla città e gran parte della valle, pregevole è anche la sala del Trono detta anche Teatro Ducale. Nel 1508 vi morì il duca Guidobaldo che la elesse quasi a sua dimora abituale.

    Rocca Malatestiana

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    foto:culturaitalia.it/


    La rocca del XIII-XV secolo oggi mostra solo i suoi ruderi, ma si possono riconoscere i possenti torrioni angolari, il mastio e la caratteristica pianta pentagonale dovuta all'intervento del architetto senese Francesco di Giorgio Martini.

    San Aldebrando

    La chiesetta si trova nel cortile della vecchia rocca risale al XVIII secolo e nonostante le sue forme barocche conserva in una cappella, resto dell'antica omonima cattedrale, gli affreschi di Antonio Alberti da Ferrara narranti le storie del santo e databili alla prima metà del XV secolo; da questo punto si può ammirare il panorama di tutta la val Metauro dal Furlo al mare. In fondo alla navata destra si può trovare un bellissimo calendario solare dove, ogni giorno a mezzodì, un raggio di sole indica in quale segno zodiacale ci si trova e l'altitudine del sole stesso sull'orizzonte

    Musei


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    foto:zerodelta.net


    Museo archeologico e pinacoteca Augusto Vernarecci

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    Fossombrone
    foto:webalice.it

    La Corte alta attualmente sta ospitando il museo e la pinacoteca fondate dall'omonimo studioso forsempronese nel 1901, questa sede venne stabilita negli anni sessanta in seguito al danneggiamento della prima durante la guerra. Il museo negli ultimi decenni ha subito una grande espansione a causa dei ritrovamenti fortuiti e delle campagne di scavo a Forum Sempronii, ciò ha reso necessario nel 1997 il totale riallestimento delle sale del museo che mostrano il susseguirsi delle culture umane nella zona.

    La pinacoteca che si trova dal 1993 nella Corte alta è una prestigiosa collezione nata grazie ancora ad Augusto Vernerecci ed ampliata dalle donazioni di Gustava Augusta Von Stein Ribecchi e dal Conte Luigi Rocchi Camerata Passionei di Jesi erede della nobile famiglia fossombronese. Nella pinacoteca si possono ammirare opere che vanno dal XVI al XIX secolo, miniature (XVIII e XIX secolo) ed una collezione di ceramiche dal XV al XVIII secolo. L'Associazione Vernarecc] cura attualmente la gestione di entrambe le strutture museali.

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    Casa museo e quadreria Cesarini

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    La casa museo si trova nel cinquecentesco palazzo Pergamino un tempo appartenente all'omonimo letterato, riaperta al pubblico nel 1988 si articola in venti sale di cui solo una d'arte antica le restanti contengono opere d'arte contemporanea e moderna dei migliori artisti italiani. La quadreria fu lasciata in eredità al comune nel 1977 dal notaio Giuseppe Cesarini. L'Associazione Vernarecci ne cura attualmente la gestione.

    quadreria-cesarini-casa-museo


    Biblioteca civica Passionei

    Fondata nel 1784 dall'umanista e archeologo mons. Benedetto Passionei. La biblioteca si divide in sezione antica con i disegni di Giulio Romano e Ulisse Severino, le caricature di Pier Leone Ghezzi e alcuni atlanti del Coronelli; la sezione moderna comprende testi di storia, giurisprudenza, letteratura e arte per non parlare di una raccolta di 3000 foto ed un'altra di editoria marchigiana del XVI secolo.

    Area archeologica di Forum Sempronii

    scavi-forum-sempronii
    foto:.ilmetauro.it

    Gli scavi effettuati hanno portato alla luce parte della consolare Flaminia, numerosi edifici porticati, pochi resti della cinta muraria, un edificio parzialmente adibito a terme ed un tratto del basolato romano il tutto proprio intorno la chiesa di San Martino del Piano. Un secondo edificio termale di grosse dimensioni risalente al I secolo a.C. si trova nella parte sud degli scavi; le statue e gli altri resti mobili si trovano ora nel museo Vernerecci.


    Altri luoghi di interesse

    Chiesa di S. Antonio

    SAntonio2Fossombr17Ant

    Sorge nel quartiere omonimo, sull'altra sponda del Metauro ed è originaria del secolo XIV, ma fu completamente rifatta nel secolo XIX ed in quell'occasione le fu cambiato orientamento: l'attuale vestibolo all'ingresso era in realtà l'abside quadrangolare, tuttora coperta da una volta a crociera con costoloni. Negli ultimi anni ha subìto dei restauri che hanno evidenziato, specie all'esterno, i vari palinsesti architettonici che si sono succeduti dalle origini fino al secolo scorso.

    Ponte sul Metauro, detto "di Diocleziano"


    fossombrone2

    In realtà è originario della seconda metà del secolo XVIII, ha un'unica arcata a schiena d'asino sul modello dei "ponti del diavolo" di tradizione medievale, e collega l'abitato storico con il quartiere di S. Antonio. Venne iniziato nel 1776 su progetto dell'architetto romano Filippo Marchionni, dopo un'esitazione di ben undici anni, ritardo causato per le incertezze nella scelta dei progetti, dell'esitazione per l'identificazione del sito e della difficoltà per reperire fondi. Sostituiva un manufatto precedente a cinque archi costruito nel 1292 e travolto da una enorme piena nel luglio del 1765. Si disse che una volta ultimato il manufatto, le autorità del tempo esitarono a far rimuovere le armature a centine di legno per paura che crollasse. La rimozione venne effettuata da un falegname dell'epoca, dietro promessa della concessione di tutto il materiale. Che sia stato costruito bene lo dimostra il fatto che quando le truppe tedesche in fase di ritirata nel 1944 minarono il ponte per farlo saltare, vi riuscirono in pieno solo con la terza carica di esplosivo che provocò il crollo dell'arco, mentre le prime due abbatterono sono le spallette laterali. Come si presenta attualmente, venne ricostruito dov'era e com'era nell'immediato dopoguerra.

    Colle dei Cappuccini

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    Su un colle di 329 m s.l.m., sul lato opposto a Fossombrone, si trova la chiesa di San Giovanni Battista, ora santuario del Beato Benedetto Passionei, del XVI secolo, con annesso convento dei Padri Francescani Cappuccini, uno dei primissimi dell'ordine. Il luogo è chiamato anche Colle dei Santi, perché fu dimora di parecchi religiosi santi: Beato Benedetto, San Giuseppe da Copertino, San Serafino da Capradosso.

    Pineta delle Cesane

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    foto:gardensportingcenter.it/


    Proseguendo a nord della Cittadella si arriva alla pineta della Cesane, distesa su un altipiano ad un'altezza media di 580 m slm, creata dai prigionieri austro-ungarici nella prima guerra mondiale. La pineta incorpora anche il vivaio della guardia forestale ed è attraversata da una strada panoramica che da Fossombrone giunge fino a Urbino.




    Edited by tomiva57 - 8/7/2014, 19:52
     
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    Acqualagna



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    Da Wikipedia

    Acqualagna è un comune italiano di 4.429 abitanti della provincia di Pesaro e Urbino nelle Marche. Il paese dall'aspetto moderno è situato nella confluenza del torrente Burano nel Candigliano lungo la statale Flaminia oltrepassata la gola del Furlo a 41,3 km da Fano in direzione di Roma.


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    Toponimo

    L'origine del toponimo Acqualagna è sconosciuta. L'ipotesi che questo derivasse dalla battaglia combattuta nei dintorni fra i Goti di Totila e i Bizantini di Narsete, per cui Acqualagna da Acqua Lanea ossia "acqua macello", è caduta di fronte all'individuazione del vero luogo della battaglia presso Gualdo Tadino (così Thomas Hodgkin). Un'altra ipotesi vorrebbe che il nome della località (in antico Aquelame) derivasse da Acqua-lama, cioè acqua pantano, acqua melmosa, per via degli acquitrini presenti un tempo nell'area di confluenza del Burano nel Candigliano.

    Storia

    Nei pressi dell'attuale centro sorgeva una città romana, Pitinum Mergens, distrutta da Alarico; gli abitanti superstiti fondarono più tardi il castello di Montefalcone da cui, nel tardo medioevo, si venne a formare il borgo.

    Monumenti

    Nel paese si trova la chiesa parrocchiale, dedicata a Santa Lucia, di antica fondazione ma che nel corso del tempo ha subito numerose modifiche e restauri. L'interno è costituito da un'unica navata; nelle sei nicchie che costeggiano le pareti di essa si trovano resti di affreschi del XVI secolo. L'ultimo radicale restauro, risale alla fine del XIX secolo.


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    Il Santuario di S. Maria del Pelingo, a pochi chilometri dalla cittadina marchigiana di Acqualagna, rappresenta un gioiello di rara bellezza spirituale e naturalistica.
    E’ uno dei luoghi che da sempre suscita l’interesse di visitatori e fedeli, sia per la bellezza del luogo su cui sorge (alle pendici del M. Pietralata) sia per la fama dei prodigi e per le grazie che i devoti ne hanno riportato. A testimonianza delle miracolose guarigioni o dei prodigiosi eventi, all’interno del santuario è stata allestita una stanza con articoli di giornali, foto e oggetti di vario genere come ad esempio stampelle e bastoni.
    Il Santuario del Pelingo, oltre la Gola del Furlo, rappresenta una meta apprezzata soprattutto per chi desidera riposare la mente e il corpo e per chi è amante della natura e dell’aria aperta può fare splendide passeggiate alla Gola del Furlo o nei monti circostanti che vantano un’importante rete sentieristica.

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    Storia del Santuario di S. Maria del Pelingo
    La chiesa non mostra nell´aspetto la sua antica origine. Ebbe inizio nell´ultimo decennio del secolo XIV come Oratorio sacro al S.S.Sacramento e alla Madonna, per la fede e la generosità della famiglia "Pelingo". S.Maria del Pelingo prende il posto dell´antica pieve di S. Angelo di Gravoleto alla fine del 1500, chiamandosi S.Michele del Pelingo. Il 3 giugno 1781 con un terremoto la chiesa era totalmente lesionata da doversi demolire. Attorno al 1820 si erige l´attuale edificio con l´attigua casa canonica. 8 Maggio 1859 viene consacrata. E´ in stile moderno, ed è provvisto di accoglienti strutture per convegni e ritrovi.
    Il 14 dicembre 1433 una donna del posto lasciò un fiorino per la pittura di un’immagine della Vergine Maria che fu collocata nell’oratorio del Pelingo, fatto costruire alla fine del
    XIV sec. da Antonio e Pelingo di Ceccolo.
    Il disastroso terremoto del 3 giugno 1781 salvò l’immagine della Madonna alla quale si rivolse di lì a poco un benestante del luogo, Gentile Fantoni, che ottenne dopo fervide preghiere la guarigione della figlia malata di scabbia. In seguito al prodigio fu edificata una nuova cappella per custodire l’immagine della Vergine Santissima.
    Da allora si verificarono numerosi prodigi e iniziò una serie ininterrotta di pellegrinaggi, tanto che la chiesa fu ampliata e consacrata l’8 maggio 1859.
    Ancora oggi il Santuario, grazie anche all’adiacente Struttura Ricettiva, accoglie i tanti pellegrini che giungono qui in preghiera da ogni parte del Paese.
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    resti viadotto



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    San Vincenzo al Furlo è ciò che rimane di un'antica Abbazia del'VIII secolo in cui abitarono San Romualdo (1011) e San Pier Damiani (1042).

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    Il cenobio rimase indipendente fino al secolo XI quando entrò - con le abbazie e gli eremi alle sue dipendenze - nella diretta influenza della vicina Fonte Avellana. La chiesa attuale, in stile romanico, fu riedificata nel 1271 dall'abate Bonaventura. L'interno dell'edificio conserva una delle due primitive navate, possiede una cripta a tre navate con antichi capitelli e un altare del secolo IX, vi sono anche resti di affreschi medioevali nella navata destra e nel presbiterio, notevolmente rialzato rispetto al resto della chiesa. Nei pressi della chiesa si trova un piccolo ponte romano. Questa abbazia è solita accogliere, nel periodo estivo, mostre d'arte con tematiche differenti di anno in anno.


    Villa di Colombara nell'omonima località del comune di Acqualagna degli scavi archeologici nel 1995 e 1997, hanno portato alla luce i resti di un'antica fattoria romana del II secolo a.C. con un ampio cortile porticato dove erano disposti i locali adibiti ad abitazione e alla lavorazione dei prodotti agricoli. Dagli scavi è risultato che la fattoria venne ricostruita nella prima età imperiale parzialmente sovrapposta alla prima. I resti sono conservati ad Acqualagna nell'Antiquarium Pitinum Mergens.

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    Il museo é stato inaugurato nel febbraio 2002 e descrive il territorio in età romana e pone particolare attenzione al ruolo avuto dalla Flaminia; gli scavi effettuati hanno portato alla luce i resti di un'antica Villa Rustica in località Colombara, al margine dell'attuale abitato di Acqualagna.

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    Antiquarium Pitinum Acqualagna

    Di particolare interesse i materiali dell'età del ferro: vasellame d'impasto (olle, ollette, anforette e vasetti miniaturistici) del VI sec. a.C., un pendaglio Piceno (VII sec. a.C.); una testina fittile, una grande vasca termale rinvenuta nel sito archeologico di Pitinum Mergens, materiali costruttivi (coppi, tegole ecc.), ceramica fine da mensa dicui si segnalano esemplari a vernice nera, coppe e bicchieri a parete sottile, lucerne del tipo "biconico dell'Esquilino" lavorate al tornio, pesi da telaio, fusaiole, rocchetti e attrezzi agricoli in ferro (falci ecc.)

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    Il Castello di Pietralata si trova sul versante meridionale del Monte di Pietralata; si tratta di un'antica costruzione risalente all'XI secolo, composto dalle rovine piuttosto ben conservate del grande muro di cinta, una chiesa ancora consacrata, le rovine dell'insediamento centrale adiacente detto maschio e una Casa Canonica collegata alla chiesetta da un particolare passaggio sospeso.

    Economia


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    Acqualagna è uno dei maggiori centri d'Italia per il commercio dei tartufi: dal pregiato bianco di Acqualagna al nero di Norcia, al bianchetto e allo scorzone.

    Tipica è anche l'industria di lavorazione della pietra del Furlo.

    Nel comune si sta avendo un sensibile sviluppo industriale che però preoccupa parte degli abitanti per le conseguenze che potrebbero arrecare queste nuove attività all'ecosistema circostante e quindi alla ricca produzione del tartufo.

    Personalità illustri

    Enrico Mattei, (1906 - 1962), partigiano, uomo politico, imprenditore e dirigente statale

    Luigi Campanelli, (Acqualagna, 1943), pittore

    Antonio Conti, (1897 - 1969), avvocato, commediografo e uomo politico

    Egidio Conti (1858 - 1922), glottologo

    Aldo Gamba (1881 - 1944), scultore

    Antonio Porcelli (1949 - 1995), pittore
     
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    Piobbico_G


    PIOBBICO


    Situato nell'Appennino umbro-marchigiano, sorge su di una vallata chiusa tra due montagne, monte Nerone (1526 m) e monte Montiego (975 m), ed è bagnato dai fiumi Biscubio e Candigliano, che si uniscono proprio nel centro abitato. Il territorio presenta scorci paesaggistici e naturalistici affascinanti, inoltre son presenti importanti testimonianze storiche sia monumentali che naturali (geologiche, ipogee).

    Storia

    La presenza dei fiumi, delle cavità naturali hanno consentito l'insediamento di alcune popolazioni fin dalla preistoria su questi territori, come lo testimoniano alcuni ritrovamenti, frecce ed utensili vari. Si hanno poi testimonianze degli etruschi, romani, ma la vera storia del paese si identifica con la famiglia Brancaleoni. Attorno all'anno 1000 il territorio fu affidato come feudo a questa famiglia, e per quasi cinque secoli il paese si è sviluppato sotto il loro dominio. In questi anni sorge il castello, il borgo sottostante, le chiese, tutta la parte vecchia del paese, e le varie ville e villaggi attorno, che poi conseguentemente all'abolizione del feudalesimo si incorporano al villaggio di Piobbico. Dall'inizio del XII secolo Piobbico fu una signoria dei Brancaleoni che arrivò a dominare l'intera Massa Trabaria ma per essersi opposta prima al cardinale Albornoz, poi a papa Martino V perdette definitivamente i suoi possessi a vantaggio dei Feltreschi nella metà del XV secolo. Solo nel 21 dicembre 1827 per decreto di Leone XII Piobbico diviene comune autonomo, e suo stemma sarà un braccio nudo che tiene sollevata una rovere.

    Toponimo

    L'origine del nome Piobbico risale all'epoca romana: in seguito alla guerra sociale, tutti i territori non ribellatisi a Roma avrebbero dovuto ottenere il "diritto di cittadinanza". Al termine della guerra sociale i territori vennero centuriati, ma la parte a ridosso del monte Nerone rimase esclusa dalle assegnazioni ager publicum. Negli anni publicum evolve in plobicum, plobici fino all'attuale Piobbico.



    Luoghi di interesse

    La maggior parte dei monumenti presenti risalgono al periodo di insediamento della famiglia Brancaleoni.

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    Castello dei Brancaleoni;
    eretto nel XIII secolo, rimaneggiato in seguito e trasformato nel 1573-1587 in una splendida dimora rinascimentale, lasciato in grave abbandono e deturpato nel dopoguerra all’interno, è stato sottoposto negl’ultimi anni a radicali lavori di restauro. Si presenta oggi come un complesso di costruzioni aggiuntesi al nucleo primitivo e allungate sul crinale del roccione che domina il centro dell’ampio bacino dove si distende il paese. Entrati nella residenza spicca il cortile d’onore, ideato e fatto costruire dal Conte Guido Antonio I Brancaleoni, capitano del duca Federico da Montefeltro. La costruzione risale al decennio 1470-1480. Questo cortile rettangolare, circondato da un portico ad arcate sostenute da colonne doriche, richiama il più ampio e maestoso cortile del palazzo di Urbino. All’interno del palazzo è possibile ammirare la camera del conte Antonio II detta “Camera Greca”. La stanza è affrescata con episodi di storia e mitologia Greca realizzati nel 1585 da Giorgio Picchi, scultore durantino, mentre gli stucchi sono opera della scuola del Brandani, in quanto lo scultore morto nel 1575, non riuscì a terminare l’opera. Nelle sale del palazzo hanno sede oggi il Museo civico Brancaleoni e l’Esposizione permanente di abiti e gioielli della collezione Alessandro Righi Luperti.

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    piobbico


    Chiesa di San Pietro
    , è situata nel borgo medievale ai piedi del castello, fu sede della Compagnia del SS. Sacramento fondata nel 1562, mentre l’esistenza dell’edificio è documentata sin dal 1348. La chiesa venne ristrutturata nel XVII secolo, come attesta ancora l’iscrizione in una pietra angolare datata 1649.

    Chiesa di Sant Antonio, si trova ai piedi del borgo. Costruita nel 1375 a causa di un voto del conte Antonio Brancaleoni, fu riedificata a seguito del terribile terremoto del 1781.


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    Chiesa di Santo Stefano, riedificata dai Brancaleoni nel 1784 dopo il terremoto, è di stile barocco. La più importante opera all'interno è la pala "Riposo della Sacra Famiglia durante la fuga in Egitto" di Federico Barocci (1593-1680) e una serie di statue di profeti e personaggi biblici.

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    Santa Maria in Val d'Abisso, è il più antico edificio di culto del territorio piobbichese e risale almeno al XI secolo. Il santuario sorge proprio ai piedi del monte Nerone, ove secondo la tradizione sarebbe stata rinvenuta l’immagine della Madonna conservata al suo interno. L’impianto attuale, riferibile ai secoli XV e XVI, ospita una pala riconducibile a Raffaellino dal Colle e tele di scuola baroccesca, oltre ad affreschi di scula umbro-marchigiana. L’interno è a navata unica in stile romanico con il soffitto a capriate. Nel’abside a costoni si ammira un crocifisso di maiolica, a sinistra dell’altare maggiore è collocato un affresco cinquecentesco raffigurante la Vergine con il Bambino.



    Fornace, di età romana. Queste strutture antiche sono state ritrovate durante i lavori di restauro di una casa nel centro storico del paese. La fornace presenta due o forse tre camere di cottura distinte ed un complesso ed interessante sistema per il convogliamento dell’aria calda. Sono conservati gli archi in laterizio che sostenevano il piano di cottura e le due bocche di alimentazione, che si aprono in un muro a conci di pietra, che funge nello stesso tempo da contenimento e da facciata.

    I dintorni

    Il territorio comunale di Piobbico è disseminato di rocche e castelli parzialmente ridotti in ruderi sulle alture del paese, che fungevano da posti di guardia, eremi, o vecchie abitazioni dei Brancaleoni. I più importanti sono:


    eremo_morimondo

    Eremo di Morimondo. Immerso nel verde incontaminato, sono ancora visibili i ruderi dell’antico edificio. La sua esistenza è già attestata all’inizio del secolo XIII e sede di una cumunità ascetica che praticava la regola di San Pier Damiani. L’edificio sacro fu scelto come luogo di sepoltura da molti Brancaleoni, sorgeva a ridosso dell’torrente, ancor oggi detto Fosso dell’Eremo; decadde a partire dal secolo XVII e fu sconsacrato all’inizio del XIX secolo.


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    I Muracci ovvero Mon de la casa. Su un picco appartenente al massiccio del monte Nerone, a strapiombo sul paese di Piobbico, sorgeva la primitiva dimora dei Brancaleoni, il castelo di Mondellacasa, nome con il quale vennero sempre designati i signori di Piobbico. Nel corso del XIII e XIV secolo essi abbandonarono questo antico maniero per trasferirsi più a valle nel castrum di Piobbico, per cui la costruzione cominciò lentamente a decadere, tanto che oggi ne restano solo pochi ruderi, i Muracci.


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    Castello dei Pecorari. Costruito alla fine del XII secolo, domina il lato sinisto del corso superiore di fiume Candigliano: possesso originario dei Brancaleoni sin dal XIII secolo, nel 1446 passò di mano ai loro rivali Ubaldini, per volontà di Federico da Montefeltro, signore di Urbino. Resta ancora intatta la struttura del poderoso mastio.

    Inoltre sono presenti soprattutto nel monte Nerone importanti e numerosi siti naturalistici, forre, grotte. Su di una grotta sono stati ritrovati ossa di Ursus spelaeus risalenti a migliaia di anni fa. I resti sono conservati nel museo civico

    Economia

    L'economia si basa sul commercio, l'artigianato e il lavoro dipendente. Le aziende presenti sono a carattere artigianale, prevalentemente sul settore meccanico ed edile. Piobbico mantiene tutt’ora l’antica tradizione della produzione di tappeti realizzati sugl’antichi telai. Ultimamente un impulso notevole si è avuto nel turismo, col fiorire dei numerosi agriturismi sparsi sul territorio.


    Cultura


    Manifestazioni

    InRock Piobbico - Festa del 1º maggio;
    Fiera di S. Felice - Mostra mercato del fungo Spignolo - terza domenica di maggio;
    La Fiorita - domenica del Corpus Domini;
    Cantine Jazz - primo week end di luglio;
    Dilettanti allo sbaraglio - luglio;
    Fiera Natività di Maria Vergine, Sagra del polentone alla carbonara, Festa dei Brutti - prima domenica di settembre;
    Sfilata Rinascimentale - ultima domenica di agosto;
    La processione delle Rocche - 8 settembre;
    Fiera Agroalimentare, Mostra Mercato del fungo - terza domenica di ottobre;
    Premio Costanzo Felici - concorso biennale;
    Presepe vivente - domenica prima del Natale.

    Gastronomia


    Polentone alla carbonara: di cui si svolge la sagra a settembre.

    Passatelli: una pasta fresca con uova, formaggio, pane grattugiato.

    Crescia di Pasqua: con il formaggio o dolce.

    Bostrengo: tipico dolce invernale.

    Crostoli: una piadina sfogliata.

    * Pruspino: un liquore ottenuto con il frutto dello spino nero, le prugnole.



    Edited by tomiva57 - 8/7/2014, 15:14
     
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    sagra del polentone alla carbonara



    La polenta viene preparata nel "paiolo" di rame riscaldato con fuoco a legna, e tirata rigorosamente a mano con un bastone di legno, viene poi tagliata a fette, condita con un sugo particolare, detto con i "sufrangoli" e riscaldata nuovamente sul fuoco nello stesso, "paiolo" di rame.Oltre a qust'ottimo piatto anche l'elezione del Presidente del club dei brutti.

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    passatelli


    Ingredienti (per 4 persone)
    Per l’impasto:
    3 uova, 200gr. Parmigiano, 200gr. Pane grattato, la buccia di 1/2 limone grattugiata, 3 cucchiai di farina, noce moscata q.b.
    Per il brodo:
    In una pentola, in 4-5 litri di acqua fredda, mettere ¼ di gallina, un pezzo di manzo, un osso di bue, un pezzo di cipolla, un gambo di sedano, una carota, tre dadi, due pomodori. Far bollire per due ore. Togliere la carne e le verdure e passare il brodo con un colino in un altro recipiente un po’ largo.

    Preparazione
    Poni il pane grattato a fontana e riempi al centro della buca le uova; aggiungi il parmigiano, una grattata di noce moscata, la scorza del limone, un mestolino di brodo, sale e pepe dosati.
    Cerca di amalgamare con le mani gli ingredienti fino a far raggiungere all’impasto una certa compattezza; intanto porta ad ebollizione il brodo. Fai riposare l’impasto almeno cinque minuti.
    Passa l’impasto a tocchetti nello schiaccia patate e ricava i passatelli lasciandoli cadere direttamente nel brodo bollente. (se si ha il ferro dei passatelli usare quello) Bisogna farli cuocere fino a quando affioreranno in superficie.

    Servi la minestra ben calda, aggiungendo a piacere in ogni piatto un po’ di parmigiano grattugiato.


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    CRESCIA DI PASQUA



    INGREDIENTI
    3 uova
    farina: 300 gr + 50 gr per la lavorazione
    1/2 bicchiere di latte
    150 gr di burro
    1 cucchiaino di sale
    1 cucchiaino di zucchero
    35 gr di lievito di birra
    pepe q.b.
    150 gr di Parmigiano grattuggiato
    150 gr di pecorino romano grattuggiato
    200 gr di pecorino fresco a pezzi

    PREPARAZIONE
    Sciogliere il lievito nel latte tiepido con il cucchiaino di zucchero; mettere la farina in un recipiente, versare al centro il latte con il lievito, fare un piccolo impasto, spolverare con la farina e coprire con un tovagliolo.
    Far lievitare per 15 minuti.
    Poi unire le uova, il burro, il sale, il pepe ed i formaggi grattuggiati, lavorare bene e poi far ancora lievitare l'impasto ottenuto, coperto per 30 minuti.
    Poi riprendere la pasta, lavorarla un po' ed unire il formaggio a pezzi, porre in una o più teglie precedentemente unte bene.
    Far lievitare per 1 ora, sempre coperta.
    Cuocere a forno a 180 gradi per 30/40 minuti.
    Myalmanacco, mensile freepress di pubblicita nelle Marche




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    Il Bostrengo

    Tempo di preparazione e cottura: 3h.
    Difficoltà : media

    Ingredienti : (per sei persone)
    150 gr. farro
    150 gr. orzo perlato
    200 gr. riso integrale
    Latte
    300 gr. miele
    3 uova
    scorza di un arancio e di un limone
    300 gr. uva passa
    300 gr. pangrattato
    150 gr. Marsala Dolce
    6 tazzine di caffe
    150 gr. fichi secchi tritati
    200 gr. cacao amaro,in polvere
    150 gr. farina di polenta
    150 gr. di farina tipo 0
    3 cucchiai di olio
    1Kg. di mele e pere
    50 gr. di gherigli di noce
    50 gr. mandorle sbucciate e tritate
    50 gr. di pinoli Da Settemmiri ad Avustu,
    vini lu vinu vecchiu e lassa stari lu mustu.

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    Preparazione:
    Mettere a bagno il farro, l'orzo perlato e il riso integrale per almeno un'ora e poi cuocerli assieme al latte, per circa 45 minuti.
    Mettere a parte, in una grande casseruola, il miele, le uova intere, la scorza a pezzettini, l' uva passa , il pangrattato bagnato con poco latte, il marsala puro, quello dolce, il caffè, i fichi secchi tritati grossolanamente, la farina per polenta, la farina tipo 0 ed il cacao in polvere, l'olio, le mele e le pere i gherigli di noce , le mandorle sbucciate e tritate e i pinoli.
    TUTTO
    questo ben di Dio và mischiato e cotto a fuoco basso per alcuni minuti...circa 5 minuti, quindi viene aggiunto il composto di riso-farro-orzo perlato cotto, amalgamato ancora e messo in una teglia ben unta e cosparsa di pangrattato. Se il composto lo trovate troppo duro, aggiungete poco latte e poco marsala. Lo spessore che si ottiene non dovrebbe superare i 5 cm...
    Mettere in forno a 140-150 gradi per un'ora, lasciatelo riposare ancora un quarto d'ora circa a forno spento, rovesciatelo su un piatto di portata, cospargetelo di zucchero a velo e servitelo a cubettoni.....
    E' una vera e propria bomba di gusto e, se eccedete, di calorie.... Servitelo con marsala dolce,

    Credetemi, ci vuole di più a scriverlo che a farlo......
    Questo dolce, che un'antico proverbio locale cita:"Piov e neng, tutt l'vecchie fann el bostreng " ( Piove e fà la neve, tutte le vecchie fanno il bostrengo)
    stà a significare che si tratta di un dolce per le occasioni
    eccezionali, così come è eccezionale veder piovere e nevicare contemporaneamente.....
    (Ricetta gentilmente concessa da RoDante da Fano )


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    Il Pruspino è un liquore che si ottine dai "prugnoli", cioè le piccole prugne selvatiche che si trovano in campagna. Si prepara in estate ma va fatto macerare fino alle festività natalizie, momento solenne in cui, una volta, si apriva questo cordiale dalle proprietà digestive.

    Per preparare il pruspino occorrono due litri di alcool puro, due chili e mezzo di prugnoli, 1,25 kg di zucchero, 20 chiodi di garofano, un bacchetto di cannella. Dopo avere accuratamente lavato ed asciugato i prugnoli, vanno messi a macerare assieme agli altri ingredienti in un grande vaso di vetro posto al sole, rimescolando il tutto una volta al giorno finchè lo zucchero non si sarà completamente sciolto. a questo punto occorre mettere il vaso al buio per sei settimane. Il liquido ottenuto è pronto ora per essere filtrato ed imbottigliato. Come si diceva, non va aperto fino alle festività e deve poi essere consumato entro la successiva estate.
     
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    CB302_apecchio

    APECCHIO

    Geografia

    Il comune è situato sull'Appennino umbro-marchigiano, al confine con l'Umbria, ed è attraversato dal fiume Biscubio. Il rilievo dominante è quello di Monte Nerone, ove sono situate pure molte frazioni del comune stesso, il territorio è caratterizzato da ampi prati, boschi, acque correnti e di tipo sulfureo. I ruderi sparsi nel territorio testimoniano segni di civiltà negli anni passati.



    Il ponte medioevale costruito a schiena d'asino nel XIV secolo, è situato nella parte bassa del paese, sovrasta il fiume Biscubio ed anticamente era l'unica via d'accesso.

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    Storia

    I segni lasciati dal passato fanno ipotizzare la presenza di insediamenti celtici, etruschi, umbri, romani, ma sicuramente le testimonianze più evidenti provengono dal medioevo. Il primo documento scritto riguardo ad Apecchio risale al 1077 e testimonia il dominio su di essa del Vescovo-conte di Città di Castello. Il controllo da parte della città umbra perdurò fino al secolo XIII, quando dopo lunghe lotte prevalse sulla cittadina la famiglia degli Ubaldini della Carda, proveniente dal vicino castello di Carda, alle pendici del monte Nerone e imparenti con gli Ubaldini della Pila signori del Mugello. Questa nobile casata fece entrare la cittadina nel ducato di Urbino mantenendo per se il diretto controllo su di essa. Nel 1514 il territorio di Apecchio fu elevato al titolo di contea e retto con leggi proprie fino al 1752 quando il ramo maschile degl'Ubaldini si estinse. La Santa Sede riprese il diretto controllo sul territorio, fatta eccezione durante l'occupazione francese in età napoleonica, fino all'unità d'Italia.
    Palazzo Ubaldini, gravemente danneggiato da un terremoto nel 1781 e dalla costante usura del tempo, grazie ai recenti restauri ha recuperato parte del suo antico splendore. Di notevole pregio è il cortile quadrato del 1515 circondato da un portico su otto alte colonne dai capitelli ionici. All'interno del palazzo è allestito il museo " dei fossili e minerali del Nerone" e la sede del "Centro internazionale di studi geocartografici storici" - laboratorio di ricerca dell'Editore Ernesto Paleani.


    Toponimo

    L'attuale nome di Apecchio ha un'origine piuttosto dibattuta. Molti lo fanno risalire al primo medioevo e sembra derivare da apiculum (piccolo apice), apicula (piccola ape), o da ager pecoris (campo di bestiame). Certi altri invece affermano che il nome del paese derivi dall'antico idioma urbinate apecchio (catapecchia).

    apecchio-palazzo-ubaldini

    Palazzo Ubaldini, gravemente danneggiato da un terremoto nel 1781 e dalla costante usura del tempo, grazie ai recenti restauri ha recuperato parte del suo antico splendore. Di notevole pregio è il cortile quadrato del 1515 circondato da un portico su otto alte colonne dai capitelli ionici. All'interno del palazzo è allestito il museo " dei fossili e minerali del Nerone" e la sede del "Centro internazionale di studi geocartografici storici" - laboratorio di ricerca dell'Editore Ernesto Paleani.

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    cascata della gorgaccia


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    Il mappamondo della pace, costruito da un artigiano locale (ORFEO) nella frazione di Colombara, è un globo capace d'imitare la rotazione terrestre realizzato in legno suddiviso su tre piani. Per le sue eccezionali dimensioni (può contenere fino a 600 persone) è entrato nel Guinness dei primati.



    Edited by tomiva57 - 8/7/2014, 15:09
     
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    ll campanone,
    una torre campanaria con orologio risalente al XV secolo che con la sua imponenza costituisce tutt'oggi l'ingresso principale al castello, sopra l'arco si nota lo stemma della famiglia ubaldini.

    Chiesa-S.-Martino-archivio-apecchionet
    foto: apecchio.net

    La chiesa di San Martino, l'interno della chiesa è ad un'unica navata, in una nicchia dietro il battistero si trova un affresco settecentesco raffigurante il Battesimo di Gesù. Ai lati dell'altare sinistro, ove sono, unitamente a quello destro, i sepolcri della famiglia Ubaldini, si trovano due leoni di pietra in stile romanico che una lapide ricorda provenire da Santa Maria Maggiore in Roma, donati da papa Clemente IX al conte Paolo Ubaldini.



    Il quartiere ebraico. La presenza di una popolazione giudaica in Apecchio è documentata dalla fine del XV secolo. Negli statuti che il conte Ottaviano Ubaldini della Carda dette al castello di Apecchio nel 1492, sono riportati alcuni capitoli che disciplinano le attività svolte dalla piccola comunità ebraica apecchiese formata da una trentina di persone. La comunità ebraica visse ed operò in questo paese per oltre cento trenta anni, fino al 1631 quando, a seguito della devoluzione del ducato di Urbino alla Santa Sede, gli ebrei vennero trasferiti nei ghetti di Pesaro, Senigallia e Ancona. Il vicoletto degli ebrei, lungo 28 metri e largo da un minimo di 37 a un massimo di 42 centimetri, è considerato uno dei più stetti tra quelli esistenti in Italia. Il “giro d'Italia”, come veniva anche definito, delimita l'intero caseggiato di destra formato dalle abitazioni degli ebrei, dove troviamo anche il piccolo cortile dove veniva celebrata la festa delle Capanne (Sukkòt), la sinagoga e il forno.



    image

    La presenza in Apecchio di un quartiere ebraico, è stata rivenuta grazie ad un vicolo non percorribile, stretto poco più di trenta centimetri e lungo 28 metri, (uno dei più stretti d’Italia), quanto basta perché l’aria circoli attorno separando la sinagoga e le case degli ebrei, da quelle dei cristiani, questo per non incorrere nel pagamento di una tassa imposta dal Papa.

    L’esistenza di un quartiere ebraico, è documentata dalla fine del XV secolo in certuni statuti che il conte Ubaldini dette al Castello di Apecchio nel 1492.
    In essi vi è traccia di una piccola comunità ebraica, che visse ed operò in Apecchio dalla seconda metà del 1400 fino al 1631, data in cui gli ebrei vennero trasferiti nei ghetti di Pesaro, Senigallia e Ancona, dopo che il ducato di Urbino fu devoluto alla Santa Sede.
    La comunità ebraica apecchiese viveva in piccole e basse casette in cui abitavano circa una ventina di famiglie che si riunivano nella sinagoga per la preghiera, commerciavano stoffe, pellami e generi vari, praticavano l’usura che diveniva altra fonte di reddito.

    Della presenza di tale comunità restano ad oggi diversi simboli: il forno a volta bassa per la cottura del pane azzimo sul fianco dell’edificio che si affaccia su contrada Porta Nuova, il lato ovest della sinagoga , dove l’amministrazione comunale ha recentemente posto una lapide per ricordare l’antica presenza della comunità ebraica, il cortile interno per la celebrazione della festa delle Capanne (Sukkòt) e il vicolo degli ebrei, mentre le finestre,
    un tempo altissime, sono state parzialmente tamponate.

    Il forno e il pozzo erano due elementi sempre presenti in una sinagoga.
    Il pane azzimo doveva essere cotto nel forno della sinagoga, sotto lo sguardo attento e il controllo del rabbino per assicurare che non venissero impiegati cibi lievitati).
    Il forno degli Ebrei era uguale a quello egizio, di piccole dimensioni perché la legge ne imponeva la distruzione nel caso vi cadesse sopra qualcosa di impuro. Il pane era sacro per gli Ebrei ed aveva un valore trascendente. Il pozzo invece forniva l’acqua impiegata per lavare le mani e per impastare il pane azzimo che la stessa comunità mangiava nei giorni della Pesach (Pasqua ebraica).

    fonte:panenostro.com


    MadonnaVita
    foto:lavalledelmetauro.org


    La chiesa della Madonna della vita, a mezza croce greca, è interessante per conservare al suo interno un crocefisso ligneo del Quattrocento di autore ignoto oltre a dipinti del Seicento.


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    foto:cucinareperpassione.it


    Il santuario del Santissimo Crocifisso, un tempo Pieve di San Martino, all'interno contiene opere di rilievo, come il simulacro del seicento scolpito in legno ed un dipinto del 1607 raffigurante la Madonna del Carmelo tra i duchi Della Rovere e i conti Ubaldini oltre ad altri dipinti del seicento.


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    foto:ilmeteo.it


    Il teatro comunale, costruito nel 1876, è stato completamente rimodernato e riaperto al pubblico nel 1981.

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    foto: .lavalledelmetauro.org


    GROTTA DI SANT'UBALDO

    Superato il centro abitato di Piobbico e proseguendo in direzione di Apecchio, ci si inoltra nella valle del Torrente Biscubio che si restringe tra rocce calcaree grigie e rosse, in una suggestiva gola lunga circa 5 km caratterizzata da fitti boschi di carpino e quercia che si alternano ad anguste valli e ad alti speroni di roccia. Poco prima di raggiungere Sant'Andrea, un gruppetto di case che sorge sull'alto di una rupe al termine della gola, proprio di fronte all'antica Chiesa di Sant'Andrea di Pian di Molino, si nota nell'alta parete rocciosa sulla destra l'apertura della Grotta di Sant'Ubaldo, abitata dal Santo nel 1125 dopo la sua precipitosa fuga da Gubbio, i cui abitanti lo volevano eleggere Vescovo della città.



    Edited by tomiva57 - 8/7/2014, 19:23
     
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    SantAngeloinVado2

    S.ANGELO IN VADO




    Cenni storici

    Sant'Angelo in Vado sorge sulle rovine della antica Tiphernum Mataurense denominazione che deriva da tipher o tifia, pianta acquatica che si sviluppa nelle zone paludose. Lo studio della pianta della Tiphernum, ricostruita in base alle informazioni ottenute con le operazioni di scavo e con le recenti interpretazioni aerofotografie, porta alla constatazione che la città aveva forma quadrata, con i classici cardo e decumano che si incrociavano nella via principale. L'esistenza dell'antico municipio romano è attestata dai molti reperti archeologici ritrovati e oggi conservati nell'Antiquarium della città. Si ritiene che questa, dopo l'avvento del cristianesimo, fosse sede vescovile.
    La lunga guerra tra Bizantini ed Ostrogoti (VI secolo) interessò anche il territorio della Tiphernum Mataurense che subì la totale distruzione. I Longobardi ricostruirono il nuovo abitato sulle rovine della città romana quasi completamente ricoperte dai terreni alluvionali, e lo dedicarono all'arcangelo Michele, di qui


    urbania

    il nome di Sant'Angelo. La seconda parte del nome "in Vado" fu aggiunta successivamente e sarebbe da attribuire al fatto che per raggiungere i due tronconi della città adagiata sulle rive del fiume, si dovesse "guadare" il Metauro. Secondo un'altra interpretazione invece la parola è collegata al "guado" una pianta che cresce piuttosto abbondante lungo le rive del fiume e dalla quale, attraverso un opportuno procedimento, si estraeva un inchiostro scuro utilizzato per stampe e la tintura dei tessuti.

    Sullo scorcio del Medio Evo Sant'Angelo in Vado fu capitale della "Massa Trabaria", Provincia forestale dello Stato della Chiesa. Qui si radunava il Parlamento della Provincia di Massa Trabaria che comprendeva il territorio incluso tra Cagli - Urbino e l'Appennino.
    Nel 1636 Papa Urbano VIII elevò Sant'Angelo al rango di "Città" e la promosse a Diocesi.
    Nel luglio del 1849 di qui passò Giuseppe Garibaldi in fuga dopo la caduta della Repubblica Romana.

    Nel 1860-61 viene a far parte del Regno d'Italia.

    Personalità legate a Sant'Angelo in Vado

    Francesco Mancini (1679-1758), pittore barocco e rococò nativo di Sant'Angelo in Vado.

    Ottaviano Volpelli (XVI secolo) giureconsulto del Ducato di Urbino e scrittore italiano rinascimentale, nativo di Sant'Angelo in Vado.

    Taddeo Zuccari e Federico Zuccari, una coppia di fratelli pittori originari di Sant'Angelo in Vado.

    Luca Dini, giornalista

    Mario Spezi, giornalista e scrittore

    Antonio Podrini, orologiaio

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    cattedrale

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    domus4

    A 25 km da Urbino, più precisamente a Sant’angelo in Vado è venuta alla luce la famosa “Domus del Mito”, il più importante ritrovamento archeologico degli ultimi 50 anni.Ampia circa 1.000 metri quadrati, la Domus è ricca di mosaici figurati bicromi e policromi. I pavimenti conservati con ottima cura, esibiscono vari soggetti che mostrano l’inserimento dell’antica città di Tifernum Mataurense (Campo della Pieve) nel circuito di cartoni e maestranze specializzate e la presenza in essa di una committenza colta e raffinata.

    Fra i temi raffigurati, tutti legati alla mitologia classica, ci sono: Nettuno ed Anfitrite sul Carro del Trionfo condotto da cavalli marini che accolgono i visitatori, Dioniso che li inebria e la bella Medusa che li pietrifica.Poi ne seguono tanti altri ancora, il riquadro con Scena di Caccia, la Lotta Marina dove è raffigurata la murena che morde il polipo che, a sua volta, agguanta l’aragosta e tutt’attorno quaranta medaglioni figurati in uno sfondo di motivi geometrici in bianco e nero. Concludiamo dicendo che aldi là del valore artistico-culturale, la “Domus del Mito” rappresenta per Sant’Angelo in Vado una notevole valenza turistica e didattica.


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    Sant’Angelo in Vado è così chiamata in onore di San Michele Arcangelo. Il nome dell’antico municipio romano, Tifernum Mataurense, distrutto nel VI secolo dai Goti poi fu ricostruito dai cittadini superstiti che cinsero cinsero di mura mura la città e imposero la denominazione attuale.

    Sant’Angelo in Vado fu capoluogo della Massa Trabaria, antica regione appenninica composta da paesi di Umbria, Marche, Toscana e Romagna, ad est fino al Monte Carpegna, a nord e a sud era formata dalle valli del Marecchia ad ovest comprendeva il rilievo dell’Alpe della Luna fino a Sansepolcro e a sud raggiungeva il massiccio del Monte Catria.

    Sant’Angelo in Vado divenne feudo dei Brancaleoni dalla metà del XIV secolo, i quali rimasero fino al 1497 dopo che il paese passo sotto il ducato di Urbino a causa del matrimonio fra Gentile Brancaleoni e Federico da Montefeltro.

    I Montefeltro dominaronoSant’Angelo in Vado fono 1631, anno della Morte di Francesco Maria II della Rovere, ultimo duca di Urbino.

    Poi Sant’Angelo in Vado entra a far parte dello stato pontificio che lo incluse nella legazione di Pesaro e Urbino. La sovranità papale si concluse nel 1861, alle soglie dell’Unità di’Italia.

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    Sant’Angelo in Vado: area archeologica di Tifernum Mataurense.



    ha dato i natali a figure di prestigio quali i pittori Taddeo e Federico Zuccari (1529-66; 1542-1609), Francesco Mancini (1679-1750) e i fratelli Dionisio, Giacomo e Girolamo Nardini (secolo XVI); l’intagliatore Giampietro Zuccari, cugino dei pittori citati; gli architetti Bartolomeo Breccioli (attivo 1627-34) e Giuseppe Sardi (1680-1753); il musicista Agostino Mercuri (1839-92); il giurista Prospero Fagnani (1598-1678)Sant’Angelo in Vado


    Piena

    4 Novembre 1980 ore 22 (Località S. Angelo in Vado)

    La piena aveva superato le arcate del ponte (foto ripresa il mattino del giorno seguente ore 10). Verso le 21 della sera precedente, dopo le piogge, il fiume comincia a gonfiare; verso le 22 il fiume raggiunge la portata massima con danni gravi ed impensabili. Dalla riproduzione è facile notare il livello raggiunto dalla piena; sulla destra ancora muri bagnati, l'acqua entrava dalle porte delle cantine. Le fogne rigurgitavano le acque del fiume e sono stati presi pesci vivi passati attraverso "i cisternini" sulla via che fiancheggia questo lato del fiume.


    Fiume1

    11 Gennaio 1981 (Località S. Angelo in Vado)

    Gelata del fiume Metauro. Foto 1 (ore 11), dopo il gelo prima giornata di sole ma temperatura di circa -7 °C. Foto 2, vista integrale della "Balza", cascata di circa 11 metri, una gelata simile si ricorda nel 1929. Foto 3, particolare della cascata, solo in questo punto l'acqua riesce a scorrere. Nel maggio dello stesso anno la cascata è stata livellata ed ora l'acua può scorrere su quasi tutta la larghezza del fiume; ottima soluzione per riportare il fiume nel suo alveo naturale.


    Dolcetti

    Nel centro storico di Sant’Angelo in Vado, in provincia di Pesaro-Urbino, si svolge “Dolcie20“, un gustosissimo evento per conoscere le proprietà organolettiche del cioccolato puro e dei suoi più originali abbinamenti.

    Tra i numerosi stand che allieteranno il paese, i visitatori potranno gustare il cioccolato artigianale realizzato, con ingredienti genuini e di altissima qualità, da importanti maestri cioccolatieri italiani. Per l’occasione sarà proposto anche un abbinamento Arte e cioccolato con la presentazione del cioccolatino “Il Tartufo Dolce di Sant’Angelo in Vado” realizzato con il vino passito vadese e dedicato alla Dinastia degli Zuccari. La Manifestazione sarà animata da concerti musicali per adulti e bambini e a sorpresa porterà in piazza una dolcissima e famosissima ospite. Maestri artigiani provenienti da diverse parti d’Italia proporranno le loro dolci creazioni in cioccolato purissimo e con gli abbinamenti più arditi tanto da accontentare davvero tutti!






    Il tartufo bianco
    (Tuber magnatum) è presente in tutte le province del territorio marchigiano, ma i tuberi più pregiati provengono da Acqualagna e Sant’Angelo in Vado, nel Pesarese. Li si può trovare da ottobre a dicembre e, solo ad Acqualagna e tra dicembre e febbraio, si possono trovare anche i tartufi neri. Presenta all’esterno colore chiaro, con sfumature tendenti al giallo, al nocciola pallido o al grigio. Anche il suo interno è chiaro e ha tonalità rosa, beige o marrone con venature chiare e sottili. L’odore è intenso, forte, gradevole, vagamente agliaceo; il suo sapore è al contempo intenso e delicato. Il tartufo bianco può arrivare a pesare fino a 400 grammi, ma generalmente è di dimensioni piuttosto piccole. Prima dell’utilizzo, i tartufi vanno puliti con una spazzolina e un panno di cotone. Se conservati erroneamente si disidratano e perdono le loro caratteristiche aromatiche.


    In cucina

    In cottura perde parte del suo gusto e aroma; va dunque servito crudo, affettato a lamelle sottili con il tagliatartufi direttamente sui piatti da condire: uova al burro, risotti e tagliatelle, oltre che insalate, per esempio di porcini crudi.


    foto: borghiautenticiditalia.it



    Edited by tomiva57 - 8/7/2014, 19:12
     
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