Marche ... Parte 2^

ANCONA..UNA ROTONDA SUL MARE..JESI E SUOI CASTELLI…LE GROTTE DI FRASSASI …E INFINE MACERATA

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. tomiva57
     
    .

    User deleted


    MACERATA



    image




    Il nome
    Si sono fatte molte ipotesi sulla questione dell'origine del nome della città di Macerata. Sappiamo che il toponimo terra de Maceriatinis compare nel 967 e che, più tardi, nei documenti si cita il Castrum Maceratae ed infine che, successivamente, la città veniva identificata con il nome di civitatis Maceratae.

    Una delle prime ipotesi espresse sull'origine del nome si rifà alla cultura epico-romantica: ad esempio Pompeo Compagnoni, riportando l'opinione corrente del suo tempo, imputava le origini del nome e della città ad un tale Maccio Macro, annoverato nientemeno tra i nipoti di Noè, ovvero ad un immaginario Macareo. Sempre nella stessa ottica, si avanzò l'idea che il nome derivasse dal fatto che, per elevare le prime costruzioni della nuova città, fossero state utilizzate le macerie della vicina città romana di Helvia Ricina.
    Altre ipotesi più pragmatiste farebbero derivare il toponimo Macerata dal sostantivo «macèra»: tale termine poteva identificare un luogo caratterizzato dall'esistenza di maceratoi dove veniva posta a macerare la canapa. Infatti in quel tempo la coltivazione della canapa era molto diffusa. Lo stesso sostantivo «macèra» poteva significare anche l'esistenza di muri a secco utilizzati per la delimitazione delle terre. Secondo quest'ultima ipotesi (quella che attualmente è più accreditata), il nome Macerata deriverebbe dal fatto che nel luogo esistevano maceriae - pietre e mattoni di costruzioni precedenti -, utilizzate per l'edificazione di rudimentali fortificazioni. Gli abitanti avrebbero così assunto il nome di maceratinis, equivalente a "popolazione che è cinta da muri". La zona che anticamente si identificava come terra de maceriatinis, secondo studi recenti di L.Paci, era ubicata nell'attuale colle di Santa Croce.
    Comunque tali asserzioni non possono che restare solamente delle ipotesi, pur credibili, in quanto esse non ci danno le necessarie certezze sulle origini del nome della città di Macerata, stante la carenza di documenti.

    image



    Le origini
    Gli storici maceratesi del passato amarono credere che Macerata fosse "figlia" della città romana di Helvia Ricina, sorta in pianura, sulle sponde del fiume Potenza, lungo l'arteria stradale romana Noceriae - Septempeda - Trea - Ricina - Auximum - Ancona.
    Viceversa Macerata sorse nel Medioevo, infatti nei secoli XI e XII cominciarono a insediarsi nel territorio maceratese aggregazioni abitative, definite nei documenti come terre, castra, podia, montes. Si nominò per la prima volta la terra de Maceriatinis, nel 967, in un diploma di Ottone I, il quale riconfermava il possesso di tale territorio ai benedettini di Santa Vittoria in Matenano (dipendente dall'Abbazia di Farfa). Attorno al secolo XI i benedettini persero il potere sui territori maceratesi che passarono ai vescovi di Fermo.
    I primi nuclei abitativi della futura città si insediarono nel Podium Sancti Juliani (oggi area del Duomo) e nel Castrum Maceratae (nell'area delle attuali poste centrali). Gli abitanti di quest'ultimo per tentare di limitare la potenza del vescovo-Signore di Fermo, entro la cui giurisdizione cadeva il territorio di Macerata, si allearono con gli abitanti del Podium.
    Nel 1116 il vescovo di Fermo, Azzone, concesse al Podium Sancti Juliani le libertà comunali, ma non passò molto tempo che le stesse libertà furono riconosciute, dal vescovo Liberto, anche al Castrum Maceratae. Il 29 agosto 1138, infatti, davanti alla Pieve di San Giuliano, lo stesso vescovo ufficializzò tale decisione con la stipula di un atto solenne e l'unione dei due borghi in un unico Comune. Il castello Castrum Maceratae dava il suo nome al nuovo Comune, mentre il Podium Sancti Juliani portava la tradizione religiosa ed il suo protettore:San Giuliano. Nasceva così il Comune di Macerata ed il regime comunale sostituiva quello feudale.
    Nel secolo XIII si svilupparono progetti espansionistici del Comune, i cui amministratori con abile politica sfruttarono la conflittualità dell'epoca, per ampliare il territorio comunale con l'assoggettamento dei castelli vicini (S. Pellegrino, Casale, Noncastro, Lornano, Morico, Montanello, Corneto, Lotenere, ecc.) ed il trasferimento forzoso dei loro abitanti in città, la quale iniziava a fortificarsi con la costruzione della prima cinta muraria. Il Comune si dotò di statuti comunali, con i quali regolamentare la vita politico-amministrativa della città ed inoltre fece compilare il primo catasto, sviluppò iniziative a carattere commerciale, come l'indizione di lunghe fiere, e a carattere culturale con la fondazione, nel 1290, dello studium in legge.
    Verso la fine del secolo, nel 1286-1288, venne chiamato l'architetto Bartolomeo di Bonfiglio da Forlì per la costruzione del Palazzo della Ragione (di cui oggi rimane una traccia nella facciata del Palazzo della Prefettura) e di quello dei Priori. I due palazzi furono costruiti a metà della strada che collegava il Podium al Castrum, proprio sul vecchio confine dei due antichi borghi. Il Comune con ciò dava residenza ai priori ed acquisiva una nuova immagine, più confacente al ruolo che Macerata, città emergente, si stava conquistando tra le città dell'antica Marchia.


    Lo stemma
    Nello stemma che rappresenta la città di Macerata, fin dai tempi della sua fondazione (1138), fu raffigurato il simbolo della mola o macina su scudo rosso sormontato da una corona regia radiata, la quale si giustificava con il fatto che nella stessa città risiedeva la Curia generale con il Rettore della Marca anconitana sin dal 1249.
    P. Compagnoni, storico maceratese del sec. XVII, afferma che il simbolo della mola era stato mutuato dall'antica città di Ricina, dato che era riportato su alcune medaglie dell'epoca. Comunque, al di là delle origini romane o meno, lo stemma fu riprodotto nei documenti, nelle insegne, nei dipinti, nelle monete e nei monumenti, come ad esempio nella Fonte Maggiore.
    La macina vuol rappresentare il carattere operoso dei maceratesi ed anche una peculiarità del territorio. Lo stesso, infatti, è ricco di acque (sia per la presenza dei fiumi Chienti e Potenza, sia per i più modesti torrenti, nonché per le numerose sorgenti), che erano utilizzate per l'alimentazione di molti mulini: nel catasto del 1286 se ne censirono ben 35, dislocati nel territorio comunale. Se poi a quanto sopra si unisce la proverbiale fertilità delle campagne maceratesi, si intuisce il perché gli amministratori abbiano scelto la mola come simbolo nello stemma della città.
    Fin dall'antichità i mulini hanno rappresentato una risorsa strategica per le comunità locali, tanto che, frequentemente, i Comuni ricorrevano alle requisizioni o alle espropriazioni di essi, poiché ritenuti un'importante fonte di reddito e un servizio primario per la collettività. Proprio per questi motivi, durante i numerosi conflitti comunali, i mulini erano un obiettivo da distruggere. Conseguentemente i Comuni provvedevano a munirli di torri difensive dato che erano costruiti fuori delle città.
    Il Comune di Macerata eresse più volte una torre difensiva nell'attuale Villa Potenza (l'ultima volta nel 1417), per evitare la distruzione dei suoi più importanti mulini alimentanti da un canale artificiale, che era fonte di energia anche per la gualcheria (locale in cui una macchina azionata ad acqua, toglieva alla lana le impurità e le conferiva la consistenza del feltro) e le segherie ad acqua.
    Nel 1570 lo stemma comunale fu arricchito (forse perché troppo povero e "laico"), con l'aggiunta di una croce greca rossa in campo bianco, per concessione di papa Pio V, il quale era grato a Macerata per la partecipazione dei suoi uomini (circa 250) alla lotta contro i Turchi e per ricordare il concorso dei maceratesi alle crociate a partire dal 1188.
    In epoca barocca compare nella Reggia Picena, opera di P. Compagnoni, uno stemma modificato in cui furono duplicate sia la macina sia la croce greca, alle quali si aggiunsero una cornucopia profondente monete e un'altra che rovescia della frutta (entrambi simboli di ricchezza ed abbondanza) e una ruota di carro (evidente allusione al Tribunale della Rota); poi sotto, un ramo di alloro e un mazzo di spighe, una palma, una spada reggente un serto, quindi un elmo e libri (simboli riferiti all'Università e all'Accademia dei Catenati).
    Ma tale raddoppio e l'arricchimento simbolico non piacquero, infatti fu utilizzato prevalentemente l'antico stemma della città con la tradizionale macina per tutto il Settecento e parte del secolo successivo. Dopo l'unità d'Italia, probabilmente per meglio rappresentare il cambiamento politico in atto, fu adottato lo stemma seicentesco, che non aveva avuto fortuna, e si raggiunse così la forma dello stemma attuale che ancora oggi rappresenta ufficialmente la comunità maceratese.
    Con lo sviluppo delle tecniche di stampa e della grafica, lo stemma della città subì inevitabilmente le influenze degli stili grafici correnti, specchio delle culture che si affermavano. Ciò dimostra che i simboli apparentemente freddi, sono realtà vive e dinamiche.


    Il Trecento
    L'inizio del secolo vide l'inasprirsi del conflitto tra papato ed impero, tra Comuni guelfi e di parte ghibellina. Macerata, che in precedenza aveva assunto un atteggiamento "ondivago", alla fine del secolo XIII divenne "quasi" stabilmente di parte Guelfa. Per tale motivo, nel 1316, la città venne attaccata da un esercito capeggiato da Federico da Montefeltro, il quale, però, fu respinto.
    Papa Giovanni XXII, nel 1320, punì le città di Fermo e Recanati che avevano partecipato alla lega ghibellina, togliendo, alla prima, parte del territorio e, alla seconda, la sede vescovile, che passarono a Macerata come premio per la fedeltà dimostrata alla Chiesa. Così, dopo tre secoli dalla sua fondazione, Macerata conseguì il titolo di Città e l'inserimento tra le civitatis maiores, ottenne la sede vescovile e raggiunse l'obiettivo dell'espansione del territorio comunale (ovviamente a scapito degli altri Comuni) e l'aumento della propria influenza politica. Infatti, pur essendo Macerata ancora una piccola città di circa 1.800 famiglie (contro le 3.500 di San Severino, le 3.600 di Fabriano, le 6.000 di Ascoli Piceno e le 10.000 di Fermo), stava assumendo grande importanza dovuta si al suo esser stata filii et fideles della Chiesa, ma soprattutto perché era stata scelta, di fatto, come residenza dei rettori e dei vicari della Marca anconitana (data anche la collocazione centrale di Macerata rispetto al territorio della stessa Marca).
    Nel Trecento si evidenziò la crisi del giovane regime comunale e si aprì la stagione delle Signorie che si attestarono in tutte le Marche. A Macerata furono i Mulucci, di fede guelfa, ad imporre la loro Signoria, all'incirca nel 1321, che con qualche discontinuità governarono la città stessa fino alla metà del secolo. Periodo nel quale il papa, dalla sua sede in Avignone, data la situazione di confusione che regnava nel territorio dello Stato, dette mandato al cardinale Egidio Albornoz di riprendere con la forza il potere nella Marca anconitana. Il cardinale riportò l'ordine e promulgò le Costituzioni che in suo onore furono chiamate egidiane, con le quali ordinò l'amministrazione e la giustizia in tutto il territorio delle Marche.
    Durante la presenza del cardinale a Macerata, fu decisa la costruzione di una nuova cinta muraria, in sostituzione della precedente costruita un secolo prima, più adeguata allo sviluppo della città e all'importanza raggiunta.
    Macerata passò poi alla Signoria dei Varano, la cui spregiudicatezza nelle alleanze procurò molti guai alla città, tant'è che la stessa dovette subire un assedio, nel 1377, delle truppe del conte Lucio di Landau e di Rinalduccio da Monteverde, i quali però dovettero desistere dal loro proposito. Questo epidodio rappresentò l'impresa militare più importante dei maceratesi ed uno dei momenti di gloria della storia di Macerata: anche questa volta gli amministratori tentarono di trarre un beneficio dalla dolorosa vicenda chiedendo di ampliare il territorio della diocesi ed altri vantaggi ancora, però senza riuscirci.
    Tra la fine del secolo XIII e l'inizio del secolo XIV fu sopraelevata la chiesa di S. Maria della Porta (la cui parte più antica risaliva al secolo XI), probabilmente ad opera della confraternita dei Flagellanti. Questi vollero abbellire la nuova chiesa con uno splendido portale gotico in cotto, il quale, pur essendo di materiale poco nobile - come la maggior parte delle costruzioni maceratesi - è ornato da animali fantastici, da fregi e disegni geometrici, con bifore e gallerie romaniche, ed infine da colonnine tortili con effetto notevole.
    Inoltre, nel Trecento, furono ricostruite la chiesa di S. Francesco (1316) e la Fonte Maggiore (1326) ad opera dei maestri Marabeo e Domenico, mentre furono costruite le chiese di Santa Maria alla Pace (1323) - per celebrare la pace tra guelfi e ghibellini - e la cosiddetta «Casa del Podestà», costruita nel 1373 all'estremo Ovest della Piazza del Mercato.


    Il Quattrocento
    Dopo un periodo di relativa pace e benessere la Marca anconitana venne invasa, nel 1433, da Francesco Sforza il quale occupò Macerata imponendole la sua Signora, alla stregua delle altre città marchigiane. Ma, nel 1445, una "lega santa", costituitasi tra il papa Eugenio IV, il duca di Milano e il re di Napoli, si oppose allo Sforza il quale venne sconfitto militarmente a più riprese, così tali avvenimenti segnarono la fine della sua Signoria.
    In questa occasione, come in precedenza, la capacità degli amministratori maceratesi di utilizzare gli avvenimenti a vantaggio della città, toccò il massimo livello, infatti dopo un primo periodo in cui essi furono favorevoli allo Sforza, si accordarono e si sottomisero di nuovo allo Stato della Chiesa, ottenendo però in cambio l'istituzione permanente a Macerata della Corte Generale de lo Rectore de Sancta Chiesa. Con ciò Macerata divenne ufficialmente capoluogo della Marca anconitana, dando il via alla sua trasformazione da centro prevalentemente agricolo a centro politico-burocratico della regione, con la conseguente forte immigrazione di impiegati, notai, magistrati, soldati, spie ed ecclesiastici.
    Tale avvenimento provocò un forte impulso anche a livello economico ed urbanistico: l'immigrazione di maestranze lombarde avvenuta nei primi anni del secolo trovò così l'ambiente giusto per uno stabile insediamento e per l'avvio di nuove opere pubbliche e private. Infatti già sotto il dominio sforzesco, come conseguenza dell'utilizzo delle nuove armi da fuoco che da poco erano entrate in uso (in particolare le bombarde), fu ripensato l'assetto difensivo della città, con modifiche delle mura cittadine, le quali per le nuove esigenze dovevano essere a "scarpa" (cioè inclinate verso l'esterno), con l'erezione di nuovi torrioni e l'ampliamento del territorio da inserire all'interno delle nuova cinta muraria. Furono incluse infatti le zone di porta Montana e tutta l'area della piazza Mercato.
    La città trovò un nuovo assetto: venne ricostruita la Cattedrale (1459-1464) e successivamente fu eretto il campanile (1467-1478), furono poi ristrutturati il palazzo dei Priori e della Ragione per adibirli a sede del Cardinale Legato.
    Tutto il secolo, comunque, registrò delle terribili pestilenze (che tra i secoli XIV e XVII tormentarono la città a più riprese e ne frenarono lo sviluppo): per scongiurare la pestilenza il 15 agosto 1447 si costruì in un solo giorno, vicino al Duomo, la chiesetta dedicata a S. Maria della Misericordia, definita "ciucarella". Si costruì anche la chiesa di S. Maria alla Fonte del Sabato, in seguito al racconto dell'apparizione della Madonna ad una donna albanese e di altri fatti miracolosi; insieme alla chiesa furono eretti anche un ospedale e delle "casette" per ospitare i malati e i sospetti di peste, espulsi dalla città.
    Verso la fine del secolo fu dato un nuovo assetto alla piazza del Duomo, prima con la trasposizione della chiesetta "ciucarella" verso porta Montana, e poi, a lavori conclusi, nel 1497, con la ricostruzione della chiesetta della Madonna della Misericordia dove ancora oggi si trova.

    Per quanto attiene alle nuove costruzioni si devono segnalare anche l'inizio della costruzione della torre comunale (1483-1492), poi sospesa, l'edificazione di varie case private e del chiostro di S. Francesco.


    Il Cinquecento
    Questo secolo è considerato, unanimemente, il secolo d'oro della città di Macerata, la quale raggiunse il massimo potere politico della sua storia. Infatti, tra le altre cose, Macerata, nel 1540, ottenne l'istituzione della tanto sospirata sede universitaria da parte di papa Paolo III, già Legato della Marca d'Ancona e, nel 1588, l'insediamento del tribunale della Rota, per far fronte alle disfunzioni della giustizia nella Marca. La città ebbe un discreto sviluppo economico, nonostante le ricorrenti terribili epidemie che imperversarono durante tutto il secolo e le scorrerie dei soldati dei Dalla Rovere, dei lanzichenecchi e delle truppe francesi. L'urbanistica della città vide notevoli trasformazioni con la costruzione di numerose abitazioni nobili, con grandi opere pubbliche: come l'apertura di nuove vie e la correzione di altre, nonché delle piazze ed il completamento della cinta muraria.
    Infatti, data la situazione di allarme per il continuo passaggio di truppe straniere e per i conflitti in atto, nel 1521, fu affidato il completamento della cinta muraria della città all'architetto militare, Cristoforo Resse di Imola (allievo del famoso Sangallo), «ingegnere di S. Casa», che in quel periodo lavorava a Loreto. Egli progettò l'ultimo tratto di mura, splendido esempio di sistema bastionato sangallese, che doveva cingere sia il Borgo Nuovo (oggi via Garibaldi) che il Borgo Vecchio (oggi via Mozzi) tra Porta Romana e porta Montana, con la costruzione (a Porta Romana e a Porta Mercato) di alcuni fortini penetrativi verso l'esterno, i quali permettevano una migliore difesa-offesa.
    Tra le opere pubbliche più importanti è da annoverare la completa ristrutturazione della piazza centrale, per volontà dei Legati. Infatti all'inizio del secolo si costruì la rinascimentale Loggia dei Mercanti (1504-1505), opera di Cassiano da Fabriano e Matteo Sabatini, mentre durante tutto il secolo fu edificato il Palazzo legatizio risultante dalla fusione in un'unica costruzione dei duecenteschi Palazzi dei Priori e della Ragione. Nel 1581, l'architetto della Santa Casa di Loreto, Lattanzio Ventura, fu incaricato di ridisegnare una piazza adeguata alla sede Legatizia e alla città, in cui, a seguito dell'istituzione dell'università, era stato costruito il «Palazzo dello Studio» (oggi sede del Comune). Il Ventura fece abbattere le chiese di S. Antonio e di S. Pietro, allora al centro della piazza, insieme ad altre abitazioni, per ottenere una piazza trapeziodale completamente rinnovata. Nello stesso anno, sempre su progetto del Ventura, si iniziò la costruzione del Palazzo della Rota che completava il lato Ovest della piazza la quale così vantava tre loggiati contigui e poi, nel 1584, progettò la costruzione del Palazzo comunale, di fronte al Palazzo legatizio (tali lavori vennero eseguiti dal maceratese Grandi). Anche la costruzione della torre, i cui lavori erano stati sospesi nel secolo precedente, fu ripresa su disegno dell'architetto militare, Galasso Alghieri da Carpi.
    Verso la fine del secolo (1587), il maceratese Floriani disegnò la Porta Boncompagna (dov'è oggi Porta Romana) e la nuova strada di San Salvatore. Si riassettò la Strada Grande (oggi via Matteotti) su progetto di Galasso Alghisi e, data la mancanza di spazio dentro la città, si permise la costruzione di abitazioni «fuori le mura» a Borgo San Giuliano, a Borgo San Giovanni Battista (oggi Corso Cairoli) e fuori Porta Boncompagna (oggi Corso Cavour).
    L'edilizia privata vide una stagione di grande fermento, infatti si edificarono i Palazzi Floriani (1531-1541) e Ciccolini (1546-1550), il cosiddetto Palazzo dei diamanti (1535) per la famiglia di Bartolomeo Mozzi, e il Palazzetto degli Aurispa. Il famoso architetto Tibaldi, seguì la costruzione dei Palazzi Marchetti (1560) e di Pompeo Mozzi (1570), mentre il maceratese Floriani progettò il Palazzo Ciccotto Mozzi (1566).
    Durante questo secolo vennero anche edificate la chiesa di S. Maria delle Vergini (1550-1557), opera di Galasso Alghisi da Carpi (considerato il migliore edificio religioso dell'epoca), la chiesa e il monastero di S. Croce (1503), la chiesa di S. Liberato e di S. Rocco, queste ultime per opera di maestranze lombarde. Il secolo si chiudeva così su una città completamente trasformata, più ordinata urbanisticamente e in netta espansione.


    Il Seicento
    Il secolo XVII vide un drastico ridimensionamento politico della città, infatti papa Clemente VIII (1592), con la promulgazione della bolla «De bono regimine», accentrava a Roma la direzione politica e amministrativa di tutte le comunità locali dello Stato pontificio. Anche il territorio, sotto la giurisdizione dei Legati della Marca venne ridotto con la concessione di governi propri o «governi di Consulta» a San Severino, Iesi, Fabriano e Loreto. La perdita di importanza politica della città, l'allontanarsi da Macerata dei Legati, sempre meno interessati al governo della Marca, ebbero influenza negativa anche a livello economico e demografico, e Macerata, che era stata tra le più prestigiose ed emergenti città dello Stato pontificio, cadde in un clima di torpore e di depressione.
    Le attività produttive e commerciali entrarono in crisi, come pure una "crisi morale" si evidenziò sia a livello della classe politica che del clero. Mentre il territorio della Marca subì frequentemente il passaggio di eserciti che invadevano l'Italia centrale o erano di passaggio con tutti i guasti che ciò comportava, oltre ai soprusi e alle tassazioni cui le comunità venivano sottoposte da parte dello Stato.L'edilizia pubblica fu completamente bloccata, salvo la realizzazione del riassetto della «strada nuova» (1606-1607), che in precedenza era piuttosto stretta e tortuosa e che collegava la piazza Maggiore con piazza S. Giovanni. Tale intervento fu dovuto all'opera dell'architetto della Santa Casa lauretana, Gian Battista Gavagna, il quale così completò il riassetto viario ed urbanistico della città, che per gran parte era stato eseguito nei secoli precedenti. Attenzione ebbe anche il nuovo quartiere fuori Porta Boncompagna (oggi Corso Cavour), nel quale alla fine dello «stradone di porton Pio» fu eretto un arco trionfale a «tre fornici» (1623), detto comunemente Porton Pio o le «tre porte», in onore del Legato, Carlo Emanuele Pio Savoia, che fece allargare anche lo «stradone» che portava alla chiesa di S. Croce.
    Il secolo XVII vide, però, una notevole attività nel campo dell'architettura religiosa, legata al sorgere dei grandi ordini fondati nel periodo della Controriforma. Infatti i gesuiti costruirono il loro Collegio (1681) nell'attuale palazzo della biblioteca Mozzi Borgetti, i barnabiti edificarono la chiesa di S. Paolo (1623-1655), opera di Giovanni Ambrogio Mazenta, ed insieme a questa eressero il loro Collegio (struttura che oggi ospita la sede centrale dell'Università). Mentre i Cappuccini, nel 1603, prima residenti fuori le mura, costruirono il loro convento dove oggi si trova l'ospedale civile. All'inizio del secolo, dato che la precedente chiesa era piccola ed insufficiente, i gesuiti vollero metter la prima pietra per la costruzione della nuova chiesa di S. Giovanni (1600-1655). La costruzione di tale edificio, su disegni del maceratese Rosato Rosati, fu poi ripresa: essa presenta oggi l'unica facciata compiuta tra le chiese del centro storico. La stessa facciata, a due piani, in cotto e travertino, è sormontata da un'alta cupola che irradia luminosità all'interno. Sempre in questo periodo venne costruita la chiesa rurale di S. Stefano.

    L'edilizia privata nel Seicento segnò una brusca frenata, infatti è da segnalare solamente la costruzione del Palazzo Ossucci (1612), lungo l'attuale Corso della Repubblica, e poi la scomparsa casa Galeotti (1639) e il Palazzetto Mornatti (1675).


    Il Settecento
    L'accentramento del potere a Roma, lo svuotamento delle istituzioni locali, l'ostilità dello Stato alla cosiddetta "modernità" provocarono critiche crescenti al Governo pontificio, in particolare da parte del ceto borghese, ma che, in misura minore, coinvolsero anche i ceti più popolari, colpiti dalla crisi economica.
    L'attrazione verso le idee illuministiche fu inevitabile per gli spiriti più liberi che si erano associati nella cinquecentesca Accademia dei Catenati, attrazione che coinvolse anche alcuni ecclesiastici che non nascosero le loro simpatie per le idee "moderne". Tra questi vi furono Pompeo Compagnoni (vescovo di Osimo), Giuseppe Dionisi, Tommaso Aurispa, Giuseppe e Bartolomeo Mozzi.
    La soppressione dei Gesuiti, nel 1773, decisa da papa Clemente XIV, era stata appoggiata da quest'ambiente, il quale chiese al papa di destinare il Collegio dei gesuiti e la loro ricca biblioteca all'università. A seguito dell'approvazione della proposta nasceva il primo nucleo della biblioteca comunale che fu, poi, arricchita dalle donazioni Mozzi, nel 1786, e da Borgetti all'inizio del secolo successivo.
    Il secolo XVIII vide le famiglie nobili, frustrate per l'esclusione dalla vita politica ed amministrativa, investire in "immagine" attraverso la costruzione delle loro lussuose residenze. La migliore e la più imponente è senza dubbio quella dei conti Bonaccorsi, iniziata nel 1707 e terminata nell'arco di vent'anni. Il progetto venne affidato al romano Contini, il quale creò l'edificio a tre piani, con una grande corte, una volta con giardino, che si apre, con un ampio terrazzo, sulla splendida vista delle vallate circostanti e sul mare. Famosa fu la galleria artistica della famiglia e noti sono il salone dell'Olimpo, la sala di Ercole, nonché le sale minori tutte dipinte con motivi mitologici.
    Si costruirono il baroccheggiante Palazzo Asclepi-Salimbeni (1725), quello dei Compagnoni (1736) e il palazzo Pellicani (1736). Si attribuisce al Vanvitelli la costruzione di Palazzo Torri (1738-1785), il quale, come il coevo Palazzo Bonaccorsi, ha un cortile aperto da un lato che sfocia in un terrazzo, il quale è sorretto da una loggia che è installata sulle mura e che domina il paesaggio maceratese verso il mare. Architettonicamente è considerato il più originale edificio di questo periodo, anche per l'emiciclo antistante l'ingresso.
    L'elenco degli edifici privati più importanti, eretti in quest'epoca, continua con l'atipico Palazzo Costa (1756), la cui scala interna era considerata la più bella della città, con il Palazzo Lauri (1770), mentre si attribuiscono al Vanvitelli i disegni per la ricostruzione del Palazzo Marefoschi. Vennero edificati anche i Palazzi Ricci-Petrocchini, Compagnoni-Floriani, l'originale Palazzo de Vico e l'imponente Palazzo Ugolini (1793), quest'ultimi su disegni del Valadier, primo esempio di costruzione neoclassica a Macerata.
    L'edilizia religiosa registrò il sorgere del convento dei Filippini e della chiesa di S. Filippo (1705-1730). Quest'ultima, completamente barocca, venne commissionata all'architetto romano Giovan Battista Contini, di cui è considerata un capolavoro. Il Contini utilizzò la contingenza urbanistica, realizzando una chiesa a pianta ovale ed esaltando l'edificio in altezza con la costruzione di due torri, tra le quali emerge la cupola, che attraverso sei aperture inonda di fasci di luce l'interno.
    In questo secolo si tornò a ricostruire la chiesa della Madonna della Misericordia (1735), su disegni del Valadier. I francescani Osservanti riedificarono la chiesa di S. Croce (1740), mentre l'architetto Morelli costruì la chiesa di S. Giorgio (1792-1798). Allo stesso architetto si deve, poi, la ristrutturazione del duomo (1771-1790) che si caratterizza per le grandi colonne binate, le quali suddividono le tre navate e la crociera a cupola, le cui dimensioni vogliono imprimere un sentimento di "grandezza" verso il divino.
    È da segnalare, in questo secolo, la progettazione del nuovo ospedale di piazza Mazzini (1790), opera dell'architetto comunale, Mattei, il quale, molto probabilmente, disegnò anche porta Arrigonia (oggi coperta dall'edificio silos per le auto). Ma l'iniziativa pubblica più interessante è dovuta al Comune, il quale, già dal 1663, aveva realizzato dentro il palazzo comunale, una «Sala delle commedie». Data la sua insufficienza si decise di costruire un nuovo teatro (1765) affidandone lo studio e il disegno al famoso Antonio Galli, detto il Bibbiena. Negli anni 1769-1772, Cosimo Morelli, vi operò delle trasformazioni creando anche il loggione. Il risultato è un piccolo capolavoro del barocco: è il teatro Lauro Rossi oggi restaurato.
    Il secolo si chiuse con l'arrivo dell'esercito napoleonico che era sceso in Italia ed aveva occupato parte dello stato pontificio, in un clima di speranza e di desiderio di veder concretizzate le idee di libertà e di giustizia. Nel 1798 Macerata fu aggregata alla Repubblica romana e fu designata come capoluogo del Dipartimento del Musone. Ma la simpatia iniziale mutò a seguito dei soprusi, della soppressione degli ordini religiosi e del forte prelievo fiscale, così un forte sentimento di reazione si sviluppò nella popolazione e sfociò nei moti antifrancesi. Le truppe napoleoniche, nel giugno 1799, dovettero lasciare Macerata, ma ritornarono in città con molti rinforzi e dopo aver cannoneggiato la città per più giorni, il 5 luglio aprirono una breccia ed entrarono abbandonandosi al saccheggio, alla profanazione della chiesa di S. Maria della Misericordia, all'incendio delle case e all'uccisione di oltre 360 persone.

    Con questo gravissimo episodio si chiudeva tragicamente il secolo XVIII.


    L'Ottocento
    L'Ottocento iniziò con la prima restaurazione del Governo pontificio (1800-1808), ma anche con un clima di enorme incertezza dato che il controllo del territorio della Marca era in mano alle truppe francesi di stanza in Ancona. Il due aprile 1808 Macerata venne annessa da Napoleone, nel "Regno italico" ed il vescovo di Macerata, Vincenzo Maria Strambi, fu trasferito coattivamente a Milano e poi a Novara per non aver voluto giurare sulla costituzione francese. Nel 1813 il Governo di Gioacchino Murat sostituì quello napoleonico, nel tentativo di voler sopravvivere dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo, ma a maggio del 1815 a seguito della sconfitta del Murat nella "battaglia della Rancia", fu ripristinato di nuovo il Governo pontificio. Terminata l'esperienza francese, si svilupparono i moti risorgimentali che nel 1817 si concretizzarono in un modesto, quanto maldestro, tentativo di "insorgenza": il primo in Italia di questa nuova e fondamentale stagione storica. Al di là dei limiti di questo primo fatto, esso era comunque una dimostrazione che l'aspirazione alla libertà stava entrando pian piano nella coscienza comune.
    Nel 1820-21 si ebbero nuovi moti e nel 1831 gli insorgenti maceratesi, con l'aiuto dei romagnoli, conquistarono pacificamente la città. Ma la fragilità degli stessi insorgenti, lo scarso radicamento nel territorio portarono ad una reazione popolare favorevole alla restaurazione del Governo pontificio (fatto favorito anche dall'avvicinarsi minaccioso dell'esercito austriaco). Le speranze riposte nell'elezione di un marchigiano a papa, cioè di Pio IX, avvenuto nel 1846, vennero deluse. Nella città presero consistenza le aggregazione "politiche popolari": in particolare quella filo repubblicano del Circolo popolare e quella moderata del Circolo maceratese.
    L'arrivo di Garibaldi a Macerata, nel 1849, portò nuova linfa all'ideale libertario, anche se la presenza dei suoi soldati, che «non godevano di ottima fama», allarmava i maceratesi. Lo stesso Garibaldi venne eletto a Macerata quale deputato alla costituente della Repubblica romana, ma risultò solo tredicesimo su diciannove candidati. Ma anche questa volta il tentativo si spense nel nulla, lo stesso anno 1849, infatti erano accorse in aiuto dello Stato pontificio le truppe austriache e ancora una volta il morente Governo pontificio fu restaurato. Ed inevitabilmente ad ogni passaggio di regime seguivano le epurazioni con arresti, destituzioni e condanne, così come succedeva ad ogni tentativo di organizzare moti insurrezionali, come nel 1853.
    Ma la battaglia di Castefidardo, del 1860, dove venne sconfitto l'esercito pontificio, si compì l'ultimo atto del risorgimento nelle Marche e con il Plebiscito del quattro novembre dello stesso anno, la volontà popolare espresse la decisione di far parte del neo stato italiano. Macerata, forse per esser stata fedele nel tempo al Governo pontificio o per il fatto che aveva avuto tutti i centri amministrativi e politici regionali, venne punita. Infatti l'università perse tre facoltà le quali furono trasferite ad Ancona insieme alla Corte d'Appello del Tribunale, mentre venne soppresso il Comando militare e ridotto il territorio di sua influenza. La città ne risultò enormemente ridimensionata: infatti perso l'antico prestigio esercitato in un piccolo Stato, si trovò ad essere una piccola città in un grande Stato.
    Cominciò a svilupparsi la vita sociale e politica: nascevano i partiti (repubblicano, liberale, clericale e socialista) con le lotte politiche per la conquista del potere locale e nazionale. Le nuove aggregazioni, compresa la massoneria che cominciava a svilupparsi notevolmente, fecero nascere i loro giornali a cui affidavano la diffusione delle loro idee. Nasceva una dialettica politica che dava spazi di partecipazione alla vita cittadina: circoli, società di mutuo soccorso, banche, associazioni di diversi tipo. Nel 1882 si ampliò la base elettorale con la concessione del voto agli uomini che sapevano leggere e scrivere.
    Dal punto di vista dell'assetto urbano nei primi anni dell'Ottocento furono atterrati gran parte dei bastioni delle mura della città e i fortini prospicenti le porte, tra le isolate proteste del medico Michele Santarelli il quale in Consiglio comunale affermava che «i bastioni formavano il migliore ornamento delle nostre mura che atterrati uno alla volta, le mura della Città diventeranno le mura di un orto». Ma l'esigenza di creare strade di collegamento esterne alle mura per collegare i nuovi borghi sorti fuori la città antica, la necessità di passaggio per le sempre più numerose carrozze, ebbero la meglio.
    Abbattute le antiche strutture difensive si costruirono, in stile neoclassico, la nuova Porta Mercato (1822), su disegno dell'architetto Nicolò Lavagnola, e Porta Romana (1861) distrutta dal cannoneggiamento francese nel 1799, opera dell'ingegner Benedettelli che completò i due edifici della Porta con una cancellata in ghisa.

    Si ricostruì la facciata del palazzo comunale (1820) su disegni dell'ingegner Salvatore Innocenzi, ma l'edificio più importante del secolo è senza dubbio lo Sferisterio (1823-1829). Un centinaio di consorti vollero dotare Macerata di una struttura permanente deputata al gioco del bracciale e per altri spettacoli. L'architetto sanseverinate, Ireneo Aleandri, scelto per le soluzioni originali che presentò che permettevano il migliore utilizzo dell'area sia in senso longitudinale che nell'ellisse, dette vita all'imponente manufatto neoclassico con influenze palladiane.
    Altre opere che completano il quadro dello sviluppo del patrimonio edilizio della città durante questo secolo così travagliato, sono il Foro annonario o "Loggia del grano" (1841), opera del già citato Benedettelli e la costruzione del manicomio di S. Croce. Precedentemente i malati di mente venivano ricoverati nello «Stabilimento de Mentecatti» situato alla "Cocolla", che da tempo era sovraffollato ed insufficiente ai bisogni della provincia. Si pensò di costruirlo fuori Porton Pio, ma dopo l'unità d'Italia si cambiò destinazione e la costruzione sorse sul colle di S. Croce nei locali del monastero degli osservanti soppressi. Nel 1871 fu inaugurata la nuova struttura, la quale era stata progettata dall'ing. Prosperi, sempre in stile neoclassico ed in cotto, materiale universalmente usato dato il suo relativo basso costo. Abbatutta la facciata della chiesa di S. Croce nel 1884 venne ricostruita su disegni dell'ing. Tombolini.
    Il secolo più travagliato della sua storia si chiudeva con la realizzazione della ferrovia che collegava la città alle grandi vie di comunicazione e con l'erogazione dell'energia elettrica che apriva la strada dello sviluppo industriale.


    Il Novecento

    Il secolo si apre con l'elezione alla Camera dei Deputati (1900) del noto economista maceratese, Maffeo Pantaleoni, ma anche con scioperi, tumulti e contrasti che minacciavano la giovane vita politica e la non facile unità dello Stato italiano.

    L'infelice "guerra libica" (1911-1912) rinfocolò gli attriti tra i partiti che si trovavano alle prese con la grave crisi internazionale: anche a Macerata vi furono contrasti tra gli interventisti (operava a Macerata il partito nazionalista e interventista, capeggiato da Serafino Mazzatini) e i neutralisti. Come, ad esempio, successe al termine di una conferenza pro intervento, di Cesare Battisti, quando alcuni neutralisti aggredirono i partecipanti alla manifestazione.

    La "grande guerra" del 1915-1918 mise temporaneamente da parte le lotte politiche interne, che però ripresero con più violenza al termine della stessa guerra, dato anche il peggiorare della situazione economica.
    Con il sorgere del fascismo si intensificarono gli scontri tra i suoi fautori e i membri dei partiti democratici. Nel 1919 si costituì a Camerino il fascio primigenio, ad opera di studenti ed ex combattenti. Ma solamente nel 1920 si organizzò a Senigallia quello che sarebbe stato il primo fascio marchigiano, mentre in Ancona nel giugno dello stesso anno ci fu l'ammutinamento nella Caserma "Villary", a cui fecero seguito tumulti nella regione.

    Il 10 aprile 1921 si svolse, a Macerata, il primo Congresso interregionale fascista marchigiano-abruzzese, autentico atto di nascita politico del movimento. Dopo la marcia su Roma (1922) e l'attestarsi del regime, non pochi furono gli atti di violenza. Nel 1922 non potè essere celebrato, a Tolentino, il Congresso Provinciale del Partito Socialista, perché ci fu un vero e proprio assalto alla città, da parte di squadre fasciste provenienti anche dall'Umbria, con l'occupazione del Palazzo comunale, la demolizione di una lapide antimilitarista, l'incendio della Casa del popolo e della Camera del lavoro. Nel 1926, al Congresso nazionale della FUCI, svoltosi a Macerata, con la partecipazione di mons. Montini, si verificarono forti contestazioni dei fascisti e pestaggi, preludio della soppressione dei circoli di Azione Cattolica (1931).

    Due podestà "moderati", però, tra il 1927 e il 1940 (l'Ing. Benignetti, prima, e l'Avv. Magnalbò, dopo), evitarono gravi intolleranze in città e promossero lo sviluppo di numerose opere pubbliche. Ma l'inizio della seconda guerra mondiale (1939) e la decisione di Mussolini (1940) di far entrare in guerra l'Italia accanto alla hitleriana Germania, oltre che bloccare tutte le iniziative locali, portarono ai cinque anni più tragici della storia europea.

    In questa prima metà del secolo notevole fu lo sviluppo edilizio nella città. Per primo si affermò lo stile "liberty", anche per la spinta impressa dall'Esposizione marchigiana del 1905, con l'edificazione del discusso "Auto Palace", della ditta Perogio (1911), su disegni dell'ascolano Ugo Cantalamessa, e di alcune ville costruite nel territorio comunale.

    Tornò poi a prevalere la corrente storicistica con i progetti dell'architetto fermano, Giuseppe Rossi, il quale edificò le neorinascimentali chiese dell'Immacolata (1893-1917) e del Sacro Cuore (1909-1913). Della stessa corrente era l'architetto Cesare Bazzani che disegnò i progetti per la costruzione del Palazzo delle Poste (1922-1930) e del Palazzo degli Studi (1931). Il Bazzani sarà l'artefice anche delle maggiori realizzazioni architettoniche del Regime, infatti venne incaricato del riassetto urbanistico dell'ingresso a Nord della città, con l'edificazione del Monumento ai caduti (1928-1932), a fronte del Campo sportivo dei Pini. Dopo la demolizione delle "Tre porte" e delle costruzioni adiacenti, il Bazzani creò la scenografica Piazza della Vittoria (sicuramente una delle più belle delle Marche), felice soluzione anche per l'assetto viario che dalla piazza si irradiava per le sette strade ad essa collegate. Tale riassetto segnò anche l'interesse dell'Amministrazione comunale per le nuove aree urbane che sempre più si stavano sviluppando.

    Negli anni seguenti lo stile "littorio", ormai architettura di Stato, si espresse particolarmente nel Palazzo del Mutilato (1938), nella ristrutturazione dell'ex ospedale civile, destinato a sede della Federazione fascista (oggi sede dell'Intendenza di Finanza) e nell'edificio (1940) ad est della monumentale Piazza della Vittoria (1940). In questo periodo vennero anche edificati il Dispensario profilattico antitubercolare "Sagrini", il mattatoio, il mercato coperto, il nuovo Ospedale civile, la sede della Congregazione di carità, per citare le costruzioni più importanti.

    La caduta del fascismo, nel 1943, e la seguente occupazione della città da parte delle truppe tedesche, dette origine alla Resistenza e alla "guerra partigiana". Infatti operavano nelle montagne maceratesi diverse bande partigiane, le quali dettero un notevole contributo all'accreditamento dello sforzo bellico dei partigiani presso gli alleati, diffidenti nei loro confronti. Il 30 giugno 1944 i partigiani e le truppe alleate entrarono in Macerata; con questo episodio si chiudeva il periodo tragico della guerra e cominciava quello del ripristino delle libertà.

    Dopo la parentesi del prof. Ferdinando Lori (il quale guidò una Giunta non eletta, nominata dal Comitato di Liberazione), con le prime elezioni democratiche (1946), venne eletto sindaco, Otello Perugini, la cui amministrazione aveva il compito della ricostruzione della città. Nel 1946, allorché fu eletto Sindaco, Perugini così ricordava i momenti successivi alla liberazione: «Tutto era distrutto, saltate le varie centrali elettriche, fermi anche i molini nei fabbricati e nelle cabine devastati e incendiati; fermi anche i pochi opifici con le macchine distrutte, silenziose le radio e al buio dall'imbrunire all'alba. Con la genialità e la silenziosità che sbalordì i Comandanti alleati, 24 ore dopo la partenza dei tedeschi, avevamo un servizio embrionale di illuminazione elettrica che ci ricollegò alla vita».

    Per correggere un certo disordine edilizio, nel 1956, venne progettato il primo piano regolatore, da parte dell'architetto Luigi Piccinato. Il cosiddetto "miracolo economico", avvenuto negli anni 60, provocò una notevole crescita economica, produttiva ed abitativa. Il nuovo piano regolatore prevedeva perciò nuove aree commerciali, che furono individuate nei seguenti borghi periferici della città: Piediripa, Sforzacosta e Villa Potenza. Nascevano, inoltre, anche gli insediamenti "satelliti" di Collevario e Colleverde.

    Prendeva gradualmente forma la Macerata attuale, caratterizzata da una certa qualità della vita che ancor oggi la rende come una delle città più "vivibili".





    Piazza della Libertà

    image



    Centro della città è la piazza della Libertà, sulla quale prospettano edifici pubblici e monumentali: il Palazzo del Comune, la loggia dei Mercanti, il Palazzo della Prefettura, la Chiesa di San Paolo, la Torre dell'Orologio e il Teatro Lauro Rossi.

    Nel lato settentrionale della piazza domina il Palazzo della Prefettura, grande e austero edificio in cotto, antica residenzadei legati pontifici. Ha un portale marmoreo del 1509 dalle ricche candelabre e a destra di esso tracce di archi ogivali del sec. XIII, della prima costruzione.

    Nel lato orientale della piazza, prospetta la chiesa di San Paolo, costruita tra il1623 e il 1655 dal milanese Padre Ambrogio Mazenta, la facciata è grezza, in cotto. La chiesa venne officiata fino al 1810 dai Barnabiti. Nel 1830 il governo pontificio cedette la chiesa al Comune, adibita a magazzino durante le guerre mondiali, è stata poi restaurata e attualmente accoglie mostre d'arte.

    A destra della chiesa, sotto un voltone, si trova l'ingresso al Palazzo dell'Università, edificio seicentesco che un tempo ospitava il collegio Barnabiti.



    Arena Sferisterio

    image



    Lo Sferisterio fu costruito grazie alla "generosità di 100 consorti" maceratesi per il gioco della palla (sphaera) col bracciale, disciplina sportiva in voga nelle marche dal secolo XV sino alla metà dell'800. I lavori, iniziati il 2 ottobre 1820, si protassero sino al 1829 quando finalmente il 5 settembre, in un eccezionale clima di festa popolare, lo Sferisterio venne augurato. Nel 1921, per la prima volta, si allestì un'opera lirica: una memorabile edizione di "Aida", voluta dal maceratese conte Pier Alberto Conti, richiamò spettatori da ogni parte d'Italia. L'anno successivo si tenne un'applaudita edizione de "La Gioconda". Dal 1967, ogni estate, le Stagioni Liriche dello Sferisterio richiamano il pubblico più esigente ad applaudire originali proposte e cast prestigiosi in una struttura felicissima, monumentale ma intima, che garantisce una perfetta visibilità ed una eccellente acustica.



    Loggia dei Mercanti



    image



    Piace attribuire la Loggia dei Mercanti per la sua ariosa leggerezza toscana a Giuliano da Maiano, che lavorava in quegli anni nella Marca, ma sono Cassiano da Fabriano e matteo Sabbatini gli architetti che la costruirono nei primi anni del XVI secolo per incarico del legato pontificio Alessandro Farnese, il futuro papa Paolo III.


    Palazzo dei Diamanti


    image



    Durante il secolo XVI una nuova classe attiva e intraprendente si affermò anche a Macerata.
    Due ricchi mercanti, il Mozzi e il Marchetti, commissionarono all'archietto Giuliano Torelli la costruzione in stile rinascimentale del palazzo dei Diamanti, così chiamato per il taglio delle pietre della facciata che riprende quella ideata da Biagio Rossetti per l'omonimo palazzo di Ferrara. Alla fine del XVII secolo un uovo prorpietario, il Ferri, disegnò e realizzò l'elegante scalone interno. Lo possiede oggi la Banca d'Italia.


    Teatro Lauro Rossi



    image



    Fu realizzato nel XVIII secolo su disegno di Antonio Bibbiena. L'elegante sala a tre ordini di palchi è stata riportata da un recente restauro alle originarie fattezze settecentesche. Stucchi, finti marmi policromi nei toni argento-azzurro, verde e oro fanno del "Lauro Rossi" un gioiello dell'arte del '700, unico in Italia.



    Palazzo Buonaccorsi



    image
    cortile di palazzo Buonaccorsi



    Polo museale

    La decorazione della Sala dell'Eneide nel Palazzo Buonaccorsi fu affidata ad artisti napoletani, bolognesi e veneti, tra i più importanti dei primi del XVIII secolo.

    image


    Simone Buonaccorsi, già nobile di provincia, quando ebbe il titolo di conte da Clemente XI fece costruire in pochi anni dall'architetto Giovanni Battista Contini questo splendido palazzo, con grande cortile interno, una controfacciata volta al mare, logge vetrate al primo piano e un giardino pensile.

    Dopo i lavori di restauro, l'8 dicembre 2009, lo storico edificio maceratese, uno dei più belli delle Marche, è di nuovo fruibile al pubblico quale sede dei musei cittadini.

    I lavori, iniziati nel marzo del 2002, per quanto riguarda la parte edile si sono conclusi nel 2006, anno in cui sono stati avviati i restauri delle statue, dell'apparato decorativo e dei soffitti lignei. Successivamente si è provveduto alla realizzazione della prima fase degli allestimenti, dando vita al Museo della carrozza e sono stati attrezzati dei depositi per le opere d'arte a suo tempo trasferite a palazzo, che ospitano anche quelle in attesa di essere nuovamente esposte. La prima fase dei lavori ha interessato anche il piano terra (Biglietteria, guardaroba, sale mostre e spazi per laboratori educativi). Il costo dei lavori è di 9 milioni e 393 mila euro (restauro apparati decorativi, allestimento museo della carrozza, progettazione e forniture museo).

    Con la riapertura di palazzo Buonaccorsi, l'opportunità di rilancio e di riqualificazione per i musei comunali è diventata realtà ed è stata restituita alla città un'importante porzione del suo patrimonio monumentale che vuole essere una nuova opportunità di sviluppo per la città e in particolare per il centro storico.


    Per il momento, dopo la cerimonia di inaugurazione, è visitabile il Museo della carrozza il cui allestimento è stato studiato da Luca Schiavoni dello studio Museum Engineering con il personale tecnico del museo. Insieme hanno cercato di coniugare l'esigenza di una nuova valorizzazione della collezione con le difficili caratteristiche degli spazi a disposizione.

    image


    image




    Dallo studio ha preso forma un percorso circolare da destra a sinistra per tutta l'area del piano in cui le carrozze, ben ventidue, sono visibili secondo un ordinamento cronologico e al contempo rispettoso delle tipologie.

    Oltre ai nuovi apparati informativi, in una parte del percorso vi è una sala con alcune installazioni multimediali che fanno parte del progetto "In carrozza. Invito al viaggio nel territorio maceratese" realizzato dallo studio Ennezerotre. L'allestimento si pone virtualmente al centro di una fitta rete di percorsi che attraversano il territorio maceratese e vuole fornire ai visitatori l'esperienza di un viaggio in carrozza durante il quale godere del patrimonio culturale e paesaggistico della provincia. La carrozza diventa dunque il medium per diffondere la conoscenza del territorio e dei comuni circostanti sulla base di una progettazione a suo tempo inserita, dalla Regione Marche, nei finanziamenti previsti nell'accordo di programma quadro per i beni culturali.

    Visitabili anche la Galleria dell'Eneide e il piano nobile, che ospiterà la collezione antica della Pinacoteca così come il piano superiore dove invece saranno collocate le opere del Novecento. Il Museo diffuso inizia dunque a prendere forma. Si tratta del progetto che si svilupperà lungo un percorso interconnesso fra la sede museale e gli altri luoghi monumentali della città tra cui la biblioteca Mozzi Borgetti, lo Sferisterio, la Torre civica e il teatro Lauro Rossi finalizzato a migliorare l'offerta complessiva della città sotto il profilo del turismo culturale, di creare motivi di richiamo in centro storico e per consentire una più larga fruizione dei beni culturali da parte della cittadinanza.




    Pinacoteca comunale


    image
    Madonna col bambino di Crivelli



    La Pinacoteca comunale di Macerata contiene una ricca collezione d'arte antica e moderna. Si trova nel centro storico, a due passi dalla piazza centrale di Macerata.

    Approfondimenti
    La donazione di Tommaso Maria Borgetti, risalente al 1835, costituisce il primo nucleo di quadri della Pinacoteca. Successivamente, nel 1860, il pittore Antonio Bonfigli donò 26 dipinti per la costituzione di una "Pinacoteca patria" che, dal 1937, insieme ad altri quadri preesistenti, ha trovato sistemazione nella sede attuale. Fra le opere figurano dipinti di Carlo Crivelli, Giovanbattista Salvi, Carlo Dolci, Michele Rocca detto il Parmigiano, Domenico Corvi, Carlo Maratta, Giacomo da Recanati, Alessandro Turchi l'Orbetto, Federico Barocci e numerosi altri. Dipinti d'arte fiamminga, italiana, napoletana e veneta, insieme a ritratti di illustri maceratesi, completano l'interessante e pregevole raccolta.
    La Pinacoteca, oltre alla collezione d'arte antica, conserva importanti testimonianze dell'attività artistica nel nostro secolo, quali l'Anticamera di Casa Zampini dell'architetto maceratese Ivo Pannaggi, progettata nel 1925 e la sala del Secondo futurismo a Macerata.
    La raccolta è costituita da opere provenienti da tre premi nazionali di pittura contemporanea "Scipione", da acquisti effettuati dall'Amministrazione comunale e da donazioni di artisti italiani e stranieri, in occasione di loro mostre personali. È allestita in una sala che ospita una scelta di 66 opere, fra le quali ricordiamo quelle dei pittori Luigi Spazzapan, Emilio Vedova, Bruno Cassinari, Zaran Music, Osvaldo Licini, Corrado Cagli, Giacomo Soffiantino, Giuseppe Zigaina, Domenico Cantatore, Adriana Pincherle, Antonio Calderata, Luigi Bartolini, Aligi Sassu, Alik Cavaliere, Giulio Turcato. Esposte anche numerose opere di qualificati artisti maceratesi.
    La Pinacoteca fa parte dell' Istituzione Macerata Cultura Biblioteca e Musei



    Museo della Carrozza


    image
    foto carrozze



    Il Museo fu istituito nel 1962 in seguito alla donazione di un gruppo di carrozze e dei relativi equipaggiamenti da parte del Conte Pier Alberto Conti di Civitanova Marche. Il suo nucleo originario è costituito da sette carrozze del primo '900, di cui sei sportive e una di utilità: le prime venivano utilizzate in brevi viaggi in città o campagna mentre la seconda addestrava esclusivamente i giovani cavalli al tiro della carrozza.

    I modelli erano tra i più in voga all'epoca: Spider Phaeton, Mail Phaeton, Jardinière, Gran Break de Chasse, Stanhope-Gig, Break e la vettura utilitaria Skeleton Break, che disponeva di posti, molto ben protetti, solo per i cocchieri ed era imbottita in alcune parti per evitare danni ai cavalli. E' inclusa nella donazione una ricca serie di selle, tra cui anche una da amazzone, morsi, frustini, briglie, e ferri da cavallo, finimenti per attacchi a pariglia, a quattro o a sei cavalli nonchè libri, manuali di ippica, stampe e fotografie d'epoca.

    Nel ballatoio sono esposte due carrozzine per bambini (di inizio '900 ) e una lettiga della Croce Verde (della I Guerra Mondiale). Nel piano inferiore della struttura sono collocate carrozze provenienti da donazioni successive al 1962, di tipo sportivo, di servizio e di utilità: una Berlina ed una Berlina Trasformabile che sono carrozze adatte ai lunghi viaggi, molto ben conservate, con molle a " C " e cassa sospesa su cinghie, ruote molto larghe e scaletta interna; tra quelle di servizio due modelli di Coupè, una Landau con tettino apribile, molto raffinate e dotate all'interno di ogni comodità, una Mylord e una Wourche ; ancora la Louisiana Rockaway sia per uso sportivo che utilitario e la Tonneau destinata inoltre al passeggio dei bambini.

    Tra i modelli sportivi sono incluse la Break-Wagonette, Spindle-Back-Phaeton, Military e Military per pony; sono esposti anche un Carrozzino da bambino, che poteva essere attaccato a una capretta, un Calessino, una Domatrice (carrozza di utilità), una portantina (XVIII secolo) e il noto carro Biroccio, tipico della campagna maceratese, decorato in colori vivaci. Alle pareti vetrinette contenenti vari oggetti da viaggio.

    image

    image








    Museo Palazzo Ricci



    image
    una sala di palazzo ricci



    Palazzo Ricci Petrocchini

    Il Palazzo Ricci Petrocchini, uno dei più importanti di Macerata, oggi riportato all'antico splendore, è sede della Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata e ospita una notevole raccolta di dipinti e sculture dei più importanti artisti italiani del '900.
    Negli splendidi sotterranei, periodicamente, si tengono mostre di elevato livello culturale.


    image









    Il Museo di storia naturale


    image
    laghetto



    Ricostruzione Flora e Fauna lacustre delle Marche
    Situato nella centralissima via Santa Maria della Porta n.65, il Museo di Storia Naturale è ospitato, dal giugno del 1993, presso i sotterranei del Palazzo Rossini Lucangeli, un edificio storico la cui costruzione fu iniziata nel 1570 per volere del Capitano Felice Rossini. L'attività dell'istituto risale al 1973 anno in cui Romano Dezi, curatore del museo, univa la sua appassionata attività di ricerca paleontologica ad una serie di mostre e di interventi presso le scuole del capoluogo. Dal 1993 i reperti raccolti, acquistati o ricevuti in dono durante i 35 anni d'attività del curatore, vengono presentati nei 200mq. di esposizione, ad un pubblico di 6000 persone che ogni anno visita il museo. Da sempre si svolgono incontri con gli alunni delle scuole di Macerata che prevedono proiezioni audiovisive e percorsi naturalistici. Il piano di sviluppo del museo prevede inoltre l'apertura ai piani superiori, di nuovi spazi dedicati all'esposizione dei numerosi esemplari faunistici.

    image
    modellino di Styracosaurus

    image
    modellino di T-rex





    Torre civica


    image



    La Torre Civica, iniziata intorno al 1492, da Matteo d'Ancona, venne continuata nella metà del '500, sui disegni di Galasso Alghisi da Carpi, architetto militare, e fu ultimata sui modelli dell'artista, nel 1653. E' alta 64 metri, ed è uno dei migliori edifici del genere nella regione. Sul basamento vi è una lapide che ricorda Vittorio Emanuele II, per sistemare questa lapide fu sacrificato purtroppo, l'artistico orologio ad automi, simile a quello di Venezia, costruito nel 1569 dai fratelli Ranieri di Reggio Emilia, famosi orologiai, con le statue lignee della Madonna col Bambino, cui le figure dei Re Magi al suono delle ore, rendevano omaggio.
    Dalla terrazza del coronamento, facilmente accessibile, si domina un panorama unico che spazia dai monti Sibillini al mare. Lo sguardo scorre sulle numerosissime cittadine intorno, tutte su sommità collinari, intervallate da una campagna coltivata come un giardino.

    image






    Palazzo del Comune



    image
    cortile palazzo municipale




    Il Palazzo del Comune venne eretto nel sec. XVII, la facciata subì rifacimenti nel 1820.

    Costruito in cotto è aperto da un porticato e corso in alto da una lunga balconata.

    Nell'androne e nel cortile è sistemata una raccolta archeologica comprendente materiale proveniente da Helvia Recina e da Urbisaglia.

    Vi sono varie epigrafi etrusche, romane ed ebraiche, insieme ad urne e steli funerarie, due statue romane, una muliebre e una virile, una notevole statua di esculapio e un sarcofago paleocristiano.



    Porta Montana



    image
    foto Porta Montata




    Le mura che circondano la città, dopo la prima e più ristretta cinta muraria, risalgono al XIV secolo quando il cardinale Egidio d'Albornoz fu mandato a Macerata dal papa Innocenzo VI per preparare il rientro dall'esilio di Avignone.

    Nel secolo successivo le mura furono fortificate da maestranze lombarde, ma ci volle un architetto militare, Cristoforo Resse, per costruire i 32 bastioni quadrangolari e poligonali necessari per difendersi dalle nuove armi da fuoco. Le porte d'accesso avevano una struttura possente come è visibile dalla merlata Porta Montana.

    image







    Palazzo Compagnoni Marefoschi


    image
    facciata del palazzo



    Luigi Vanvitelli ha lasciato una impronta molto personale nel Palazzo Compagnoni-Marefoschi ristrutturato nella seconda metà del XVIII secolo riorganizzando abitazioni precedenti. Suo il disegno della facciata con il grande portone affiancato da due coppie di colonne e sormontato da un balcone curvilineo, sua la piccola cappella gentilizia con una decorazione di grande stile.

    Nello scalone interno, alla quarta rampa ci sono dei piccoli bassorilievi e iscrizioni romane provenienti da Villa Adriana a Tivoli, l'ultimo piano conserva intatto l'aspetto settecentesco anche negli arredi.

    Tra i componenti della famiglia Marefoschi famoso il cardinale Mario, il promotore della soppressione dell'Ordine dei Gesuiti. In questo palazzo nel 1772 si unirono in matrimonio Carlo III Stuart, il pretendente al trono inglese in esilio in esilio in Italia e Luisa Stolberg, la contessa d'Albany amata da Alfieri.


    image




    Fontemaggiore



    image
    foto Fontemaggiore



    La seconda città muraria aveva contenuto al suo interno il quartiere San Giuliano e la Fonte Maggiore, il più importante serbatoio d'acqua della città, intorno alla quale ferveva un incessante andirivieni.
    Gli spazi ben distribuiti in canali, vasche e fontane servivano da abbeveratoio per gli animali, da lavatoio e da rifornimento di acqua. Francesco Sforza, per privare i cittadini di una necessaria risorsa nel corso di eventuali assedi, ridisegnò un tratto di mura escludendola.


    image



    image






    I cancelli



    image
    un particolare dei cancelli




    Una grande cancellata in ghisa fu realizzata nel 1881 da Rodolfo Buccolini, di Ancona al posto della vecchia Porta Romana che era stata demolita nel 1857 per un piano di rinnovo urbano in occasione dell'attesa visita del papa Pio IX.

    I Cancelli, nome con il quale i maceratesi indicano questa zona della città, scorrevano su dei binari.
    L'adiacente piazza Garibaldi è area di svincolo del traffico e il monumento all'ero dei due mondi un tempo al centro è stato spostato ad un lato.

    image






    Cattedrale



    image
    facciata della Cattedrale



    La Cattedrale venne costruita nel 1459-1464 su progetto di Cosimo Morelli, il campanile fu eretto nel 1467-1478.

    La zona absidale esterna, è in laterizio, soluzione architettonica di adattamento alla pendenza del terreno.

    L'interno si caratterizza per le grandi colonne binate, le quali suddividono le tre navate e la crociera a cupola, le cui dimensioni vogliono imprimere un sentimento di "grandezza" verso il divino.
    Importanti le opere che vi sono conservate.




    Basilica Santa Maria della Misericordia



    image
    basilica santa maria della misericordia



    La basilica Santa Maria della Misericordia ha origini da un'antica cappella votiva eretta nel 1447, in un solo giorno, per allontanare il pericolo della peste.
    Fu innalzata attorno all'affresco rappresentante la Madonna della Misericordia, che era sul muro dell'orto del Vescovo, in piazza del Duomo.
    Nel 1734 è stata ricostruita su disegno dell'architetto Luigi Vanvitelli, e decorata da Francesco Mancini e Sebastiano Conca, con storie della vita di Maria in un misurato stile settecentesco ricco di colore.
    Il Vanvitelli compie la grande impresa di racchiudere in poco spazio, un santuario dalle splendide forme, ricco di luce, affreschi, marmi e stucchi.

    image




    Chiesa Santa Maria della Porta



    image
    foto del portale della chiesa



    Il nome della Chiesa di Santa Maria della Porta indica che lì arrivava una volta la città. Costruita su un terreno in forte pendenza in tempi diversi ha la caratteristica asimmetrica delle chiese romaniche.

    L'elegante portale gotico della facciata, con gli archi acuti l'accentuata strombatura, si apre sul lato sinistro della navata. Della parte più antica resta la cripta che era sede della confraternita dei Flagellati, i cui emblemi sono scolpiti nelle chiavi di volta.



    Chiesa di San Giovanni


    image
    interno altare maggiore



    La chiesa di San Giovanni, iniziò nel XVII secolo, è nello stile delle chiese dell'Ordine dei Gesuiti: una sola navata spaziosissima, cappelle laterali profonde, una cupola imponente con una lanterna molto alta e un campanile a piani variamente articolati, segni di riferimento inconfondibili della bellezza della città. L'architetto, il canonico Rosato Rosati, la volle simile allo schema da lui ideato per San Carlo Catinari a Roma.

    La decorazione dell'interno con marmi policromi e ornamenti che creano spazi illusori è caratteristica dell'arte barocca. All'ordine dei Gesuiti appartiene Matteo Ricci, nato a Macerata e sepolto a Pechino, che primo fece conoscere la Cina all'Occidente e l'Occidente alla Cina.
    Successivamente viene costruito l'ambulacro, dove Biagio Biagietti nel 1921, uno dei migliori affreschisti della prima metà del novecento, ha rappresentato la vita di Gesù con moderne intrusioni in stile liberty.
    Più tardi vengono aggiunti i portichetti esterni e le cancellate in ferro battuto.
    Recenti 1952, le porte in bronzo del Cantalamessa.
    Il 16 novembre 1952 Macerata fu proclamata Civitas Mariae, città di Maria.

    image





    Chiesa Santa Maria delle Vergini


    image
    chiesa santa maria delle vergini



    Era dedicata ai vergini l'antica chiesa sulle rovine della quale, con cambiamento di nome, fu eretto l'attuale monumentale tempio nella seconda metà del XVI secolo. Il costruttore, Galasso da Carpi, si servì di un disegno di Donato Bramante, che lavorava in quegli anni alla fortificazione dell'abside di Loreto. Lo stile bramantesco si mostra nella scelta della pianta centrale e nell'altissimo tamburo su cui poggia la cupola.

    Nelle cappelle dell'interno la tela più preziosa è quella firmata Tintoretto e datata 1587, un'Adorazione dei Magi scenografica, con una visione di scorcio che mette sulla scena cielo e terra. Elemento curioso un Coccodrillo imbalsamato appeso, forse un dono di maceratesi tornati dalle Crociate.

    image





    Chiesa di Santo Stefano


    image
    chiesa di santo Stefano


    Si può arrivare a piedi alla Chiesa di Santo Stefano o dei Cappuccini vecchi seguendo la "Mattonata", uno stradone selciato, che scende da Porta San Giorgio.

    La facciata rinascimentale e l'interno con tre cappelle per lato e una ampia abside sorprendono per l'eleganza del disegno, dovuto a un domenicano, in un'area tipicamente rurale.
    Di varie epoche, fino ai nostri giorni, i dipinti tra cui di grande effetto la tela di Carlo Maratta, o di scuola, con la morte di Giuseppe.



    Festa di San Giuliano


    image
    statua di san giuliano



    31 agosto - Festa del patrono
    Il protettore di Macerata è San Giuliano l'ospitaliere, onorato anche a Parigi nella chiesa di Saint Jiulien le Pauvre. Nella cattedrale a lui dedicata, in un'urna d'argento, è conservato il braccio miracolosamente ritrovato di questo personaggio drammatico che passò alla santità dopo un orrendo delitto e sulla cui vera identità si discute ancora, a Macerata e a Parigi.

    La leggenda. Un giorno, si narra, un giovane nobile stava cacciando un cervo. Ad un tratto l'animale che fuggiva fece dietrofront e gli andò in contro dicendo "come osi inseguirmi tu che ucciderai il padre e la madre?" a quelle parole Giuliano non soltanto abbandonò la caccia ma, atterrito dalla profezia, decise di allontanarsi dal suo paese senza avvertire i suoi genitori.
    Dopo un lungo peregrinare arrivò in un luogo lontanissimo, dove entrò al servizio di un principe che aveva intuito di avere a che fare con un nobile. si comportò così bene in pace e in guerra da diventare presto capo della milizia e da sposare una nobile che aveva in dote un castello.
    Nel frattempo i suoi genitori, disperati per la inspiegabile scomparsa, si aggiravano per il mondo alla sua ricerca; finchè un giorno arrivarono per caso nel castello abitato da Giuliano furono ricevuti dalla sposa perché il marito era in viaggio quando i due vecchi ebbero narrato la loro storia, la donna immaginò che fossero i suoceri perche questi gliene aveva parlato a lungo ma non disse loro nulla per prudenza si limitò ad ospitarli affettuosamente, cedendo la camera da letto e andando a dormire altrove.
    All'aurora lei si recò in chiesa per assistere alla messa, mentre Giuliano rientrò dal viaggio recandosi subito nella camera da letto per svegliare la moglie, ma quando nella penombra intravide due persone che dormivano nel letto matrimoniale, credendo che fossero la moglie e un amante, si precipitò su di loro uccidendoli in un impeto d'ira.
    Quando Giuliano, uscendo di casa, incontrò la moglie che stava tornando dalla chiesa, le domandò meravigliato e preoccupato chi fossero quelle due persone che aveva trovato sul letto "sono i vostri genitori che tanto vi hanno cercato" rispose lei "e che io stessa ho invitato nella vostra stanza".
    Giuliano preso dallo sconforto e dal dolore scoppiò a piangere mormorando: "misero me, che cosa ho mai fatto! Ho ucciso i miei amatissimi genitori, la profezia di quel cervo si è avverata, e io che volevo evitare il misfatto fuggendo, l'ho compiuto con queste mie mani addio, sorella mia dolcissima, me ne andrò per il mondo e non avrò pace fino a quando il signore non si degnerà di manifestarmi il suo perdono per il mio pentimento."
    "Mio dolcissimo fratello," rispose la donna "non ti permetterò di partire senza di me: ho condiviso la tua gioia, ora voglio condividere il dolore", dopo un lungo peregrinare giunsero sulla riva di un grande fiume la cui traversata presentava molti pericoli, dove si trovasse quel luogo è controverso.

    La tradizione vuole che Giuliano e sua moglie fondarono un ospizio sulle rive del fiume Potenza, tanti anni trascorsero quando una notte, mentre Giuliano stava riposando intirizzito dal freddo, udì una voce lamentosa che invocava il suo aiuto per attraversare il fiume, si alzò subito andando incontro a quell'uomo che stava per morire assiderato: lo invitò in casa sistemandolo davanti al camino, ma nemmeno il fuoco era sufficiente a riscaldarlo. Allora lo portò sul suo letto coprendolo accuratamente, ad un tratto quell'uomo che sembrava malato di lebbra divenne splendente di luce e, levandosi in aria, disse: "Giuliano, Dio mi ha mandato per annunciarti che ha accettato la tua penitenza: presto tu e la tua sposa riposerete nel Signore" poi l'angelo scomparve e dopo pochi giorni Giuliano e la moglie morirono santamente.
     
    Top
    .
15 replies since 11/10/2010, 10:40   7663 views
  Share  
.