LA BIRRA..

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    Birra

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    La birra è una bevanda antichissima ricavata dai cereali. La storia documenta la prima comparsa della birra in Mesopotamia, attorno al 4500 a. C. Fra i sumeri era talmente diffusa che la legge fissava le varie quantità cui avevano diritto le varie fasce sociali (da due litri al giorno agli operai, ai cinque litri per governatori e sacerdoti). Anche i babilonesi la conoscevano bene; nel codice di Hammurabi (1700 a. C. circa) sono infatti previste pene severissime per chi produceva o vendeva birra annacquata. La birra passò poi in Egitto e da lì in Grecia. Viene anche citata nei libri sacri del popolo ebraico ed è la regina della festività del Purim. I celti la consumavano abitualmente e la portavano con sé per berla prima e dopo le battaglie. Nel nostro Paese la birra venne utilizzata prima dagli etruschi, quindi dai romani. Giulio Cesare ebbe modo di apprezzarla nel corso delle sue campagne di conquista intraprese contro i galli; Augusto esentò dalle tasse la classe medica perché era guarito dal mal di fegato proprio bevendo cervisia; Agricola portò tre mastri birrai da Glacum (Gloucester) e avviò così un'attività di produzione e vendita al dettaglio presso la sua villa. In seguito la birra in Italia cadde in disuso a causa delle invasioni barbariche, ma all'inizio del sesto secolo veniva prodotta presso l'abbazia di Montecassino. Attorno all'anno Mille si assiste all'inizio della produzione industriale nell'Europa settentrionale; nel 1516 compare l'editto sulla purezza della birra, in cui si specifica che la bevanda può essere prodotta solo con malto d'orzo, luppolo e acqua. Tra il 1700 e la metà del 1800 vennero messe a punto diverse tecnologie e condotte ricerche scientifiche che influenzarono fortemente la produzione di birra, fino ad arrivare alla situazione odierna.
    La produzione - La birra si produce facendo germogliare l'orzo (producendo il malto d'orzo), quindi macinandolo e spappolandolo nell'acqua a 60 °C. In questa fase l'amido si trasforma in maltosio. A questa soluzione si aggiunge il luppolo e si procede alla fermentazione con lieviti. Il maltosio si trasforma in glucosio e poi in alcol e anidride carbonica. Infine si procede alla chiarificazione. Il colore della bevanda dipende soprattutto dalla temperatura di torrefazione del malto d'orzo; temperature elevate danno birre più scure, temperature più basse danno birre più chiare.
    In Italia il consumo di birra nel 1999 è salito a circa 15,6 milioni di ettolitri e la produzione interna ha superato i 12 milioni di ettolitri. Il consumo pro capite annuale è di circa 27 litri.
    Gradazione e classificazione – Esistono diversi sistemi di misurazione del grado alcolico della birra. Negli Stati Uniti si impiega il sistema dell'alcol in peso che dà un valore più basso del sistema dell'alcol in volume (usato comunemente in molte nazioni, è lo stesso impiegato per il vino) perché l'alcol è più leggero dell'acqua. In Gran Bretagna si considera il peso specifico della birra; in Germania (sistema Plato) si dividono le ultime due cifre del peso specifico e si divide il risultato per 4 (per esempio 1036 dà 9); una versione perfezionata del sistema Plato (sistema Balling) fu creata nell'ex Cecoslovacchia.
    In Italia la legge n. 1354 del 16 agosto 1962, modificata dalla legge legge 16 luglio 1974, n. 329, suddivide le birre in gradi saccarometrici, anche se in etichetta viene espresso il contenuto di alcol in volume. Praticamente (anche se non teoricamente) 3 gradi saccarometrici corrispondono a 1 grado alcolico.
    Birra analcolica - Grado saccarometrico in volume non inferiore a 3 e non superiore a 8
    Birra leggera o light - Grado saccarometrico in volume non inferiore a 5 e non superiore a 11
    Birra o birra normale - Grado saccarometrico in volume non inferiore a 11
    Birra speciale - Grado saccarometrico in volume non inferiore a 13
    Birra doppio malto - Grado saccarometrico in volume non inferiore a 15.
    La birra è una bevanda alcolica, con percentuali basse di alcol (birre normali a 4,5% vol.). D'altra parte si tende a bere quantità maggiori di birra rispetto, per esempio, al vino. Perciò, anche se l'apporto calorico della birra è modesto (34 calorie per 100 g per una birra normale; le calorie derivano in parte dagli zuccheri e in parte dall'alcol. Nella birra analcolica si risparmiano 15 kcal circa per la minor gradazione alcolica), una lattina da 33 cl darà un apporto di circa 100 calorie. Chi segue diete dimagranti deve perciò tenerne conto con attenzione, oppure può ripiegare su bevande analcoliche dal sapore simile a quello della birra e con meno calorie.
    La birra analcolica - La birra analcolica in Italia (negli USA e in GB la gradazione è ancora inferiore) ha un grado saccarometrico in volume non inferiore a 3 e non superiore a 8, il che equivale a dire che al massimo si ha 1,2% di gradazione alcolica. L'importante è capire che per legge in Italia non è detto che sia a gradazione zero.
    Dal punto di vista salutistico non c'è differenza fra le varie marche, la cui scelta diventa una questione di prezzo e di gusto. La birra contiene circa un 3% di maltodestrine, ma la quantità è irrilevante (come pure quella di altre sostanze).
    Quanta birra si può bere? - Riferendoci alla definizione di soglia etanolica e a quanto detto nell'articolo sul vino, possiamo concludere che la quantità massima di una birra alcolica che salutisticamente si può bere è di 600 cc al giorno (il doppio circa del vino). Ovviamente tale quantità sale se si considerano birre a bassa gradazione o analcoliche e scende se si considerano birre ad alta gradazione alcolica.


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  2. ZIALAILA
     
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    LA BIRRA NEL MEDIOEVO






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    Mentre il vino era la più comune bevanda da pasto nella maggior parte d'Europa, questo non succedeva nelle regioni del nord dove la vite non veniva coltivata. Chi poteva permetterselo beveva vino d'importazione, ma in queste zone anche i nobili d'abitudine bevevano birra, chiara o scura, in particolare verso la fine del Medioevo.
    In Inghilterra, nei Paesi Bassi , nel nord della Germania, in Polonia e in Scandinavia la birra veniva consumata quotidianamente dalle persone di tutte le classi sociali e di tutte le età.
    Tuttavia la forte influenza delle culture arabe e mediterranea sulla scienza medica del tempo fece sì che la birra godesse però di cattiva reputazione .
    Per la maggior parte degli europei medievali si trattava quindi di un liquido piuttosto umile al confronto con quelli tipici del sud come vino, succo di limone ed olio d'oliva. Anche prodotti di origine esotica come il latte di cammello o la carne di gazzella generalmente venivano giudicati di maggior valore nei testi medici dell'epoca. La birra era considerata solo come una passabile alternativa e le venivano attribuite qualità negative. Nel 1256 il medico senese Aldobrandino da Siena descrisse la birra in questo modo:

    « Di qualsiasi cosa sia fatta, d'avena, d'orzo o di grano, nuoce alla testa e allo stomaco, provoca un alito puzzolente e rovina i denti, colma lo stomaco di umori cattivi e chiunque la beva insieme al vino finisce per ubriacarsi in fretta: tuttavia ha la proprietà di facilitare la minzione e rende le carni bianche e lisce »

    Anche se in minore misura rispetto ai paesi del nord, la birra veniva consumata anche nel nord della Francia e nell'Italia continentale. Forse in conseguenza della conquista normanna dell'Inghilterra e dei frequenti viaggi dei nobili tra la Francia e l'Inghilterra una birra francese descritta nel ricettario del XIV secolo Le Menagier de Paris veniva chiamata godale (evidentemente una diretta derivazione dell'inglese "good ale" - che vuol dire in italiano "Birra chiara buona") ed era fatta con orzo e farro ma senza luppolo. In Inghilterra esistevano anche le varianti poset ale un miscuglio di latte caldo e birra fredda e brakot o braggot una birra speziata
    L'uso del luppolo per dare sapore alla birra era conosciuto almeno dall'epoca carolingia, ma si diffuse lentamente per le difficoltà di riuscire a fissare le giuste proporzioni. Prima della scoperta del luppolo si usava il gruit, una mistura di varie erbe diverse. Il gruit non possedeva le stesse proprietà conservanti del luppolo e di conseguenza la birra prodotta in quel modo doveva essere consumata velocemente per evitare che andasse a male. Un altro modo di insaporire il preparato era di aumentarne il contenuto alcolico, ma era più costoso e dava alla birra l'indesiderata capacità di dare ubriacature più veloci e pesanti.
    Durante l'Alto Medioevo la birra veniva prodotta principalmente nei monasteri oppure su scala più ridotta nella abitazioni private. La più antica "birreria" monastica è quella della abbazia di Weihehstephan, nei pressi di Monaco di Baviera, costruita nel 724.
    Nel Basso Medioevo invece iniziarono a diffondersi nel nord della Germania delle birrerie cittadine a cui veniva delegata la produzione.

    Anche se la maggior parte delle birrerie erano piccole imprese familiari che davano lavoro al massimo a otto o dieci persone, la regolarità della produzione permise di investire in attrezzature migliori e di sperimentare nuove ricette e tecniche di preparazione della birra. Questi tipi di lavorazione in seguito si diffusero anche in Olanda, nelle Fiandre e nel Brabante, raggiungendo anche l'Inghilterra nel XV secolo. La birra aromatizzata con il luppolo diventò molto popolare negli ultimi decenni del tardo Medioevo. In Inghilterra e nei Paesi Bassi il consumo annuale pro capite raggiunse i 275-300 litri e veniva consumata praticamente ad ogni pasto: a colazione si beveva una birra a bassa gradazione alcolica, mentre nel corso della giornata si passava a birre più forti.
    Una volta che il suo impiego venne perfezionato il luppolo permise alla birra di conservarsi anche per sei mesi o più e ne facilitò l'esportazione su larga scala .

     
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  3. ZIALAILA
     
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    ......lo sapevate che


    La birra si presta a tantissime preparazioni in cucina soprattutto per quanto riguarda i piatti salati.
    Di solito si adoperano le birre chiare per l'esecuzione di piatti di cottura veloce e per rendere le pastelle dei fritti leggere e croccanti.
    Con le birre scure si eseguono invece piatti a base di carne che richiedono una lenta e lunga cottura.



    .....Il bicchiere ideale per la birra è in vetro, ben pulito, senza tracce di detergente e brillantante. Prima dell’uso è consigliabile bagnarlo con acqua fredda, per due motivi: abbassarne la temperatura, in modo da impedire uno shock termico che incida sulla tenuta della schiuma e sulla fragranza del prodotto ed eliminare eventuali tracce di polvere



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    ....La birra va spillata rispettando due velocità:prima lentamente, tenendo il bicchiere leggermente inclinato fino a riempirlo per tre quarti; poi, dopo averlo raddrizzato, più velocemente, in modo da far sviluppare la
    giusta quantità di schiuma. Per una spillatura perfetta, alla fine dell’operazione, l’ideale sarebbe lasciare riposare il bicchiere per uno
    o due minuti, per poi aggiungere gli ultimi fiotti di birra: la schiuma salirà oltre il bordo del bicchiere, sfidando le leggi della fisica.


    ....La schiuma può essere considerata una delle parti più importanti della birra. Già alla vista deve soddisfare certe caratteristiche: deve essere alta due dita e ben compatta. A livello gustativo poi, non possiamo non pensare all’importanza della schiuma: è il filtro naturale della birra, attraverso cui vengono dosati, con eleganza e gradualità, gli aromi del luppolo e del malto. Il gusto, più amaro di quello della birra stessa, esalta il suo caratteristico sapore, amplificandone la piacevolezza. Infine la schiuma svolge anche un’azione protettiva. La difende dall’ossidazione, mantenendone integri aromi e fragranze e rendendola più buona e digeribile.


    ....Ciascuno stile di birra ha il bicchiere più appropriato che permette di esaltarne il gusto e l’aroma, aiutando la formazione della giusta schiuma. Forse anche più del vino, la birra richiede un bicchiere appropriato per non rischiare di perdere le sue caratteristiche fondamentali. La forma è molto importante per riuscire a creare la giusta schiuma. Per le birre più schiumose sarà opportuno un bicchiere a tulipano, che va a chiudersi, per compattare e rendere alta la schiuma. Viceversa i bicchieri più svasati nella parte alta saranno perfetti per birre meno ricche di anidride carbonica. Ricordiamo che servire la birra con la giusta schiuma è il primo passo per poterla apprezzare al meglio.



    ....Ogni stile ha la sua corretta temperatura di servizio. La regola è che più una birra è corposa ed alcolica, più sale la temperatura a cui berla. Una classica Lager, ad esempio, va bevuta tra i 4 e i 6° C, quindi una temperatura simile a quella dei nostri frigoriferi domestici. Cambia tutto per una birra a alta fermentazione, corposa e dal grado alcolico intorno a 10° come la birra d’Abbazia, giusto per fare un esempio. Qui la bassa temperatura del frigo rischia di farci perdere tutte le sfumature organolettiche che queste birre riescono a dare. Dobbiamo salire a quella che è chiamata temperatura ambiente, considerando che per ambiente si intende quello delle cantine. Perciò 14°, 16° saranno ideali. Se non disponiamo di una cantina niente paura. L’immersione in ghiaccio per alcuni minuti prima del consumo porterà la birra alla temperatura perfetta.


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    dal web : Mangiarebene
     
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  4. ZIALAILA
     
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    BIRRE DELLA BAVIERA




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    AUGUSTINER

    Di colore chiaro, questa birra di Monaco ha una schiuma non molto persistente; i profumi sono dominati dal luppolo e dall'intensità del malto che ricorda lo zucchero caramellato.



    PAULANER HEFE WEISSBIER
    La Paulaner è stata fondata nel 1634 dai monaci dell'ordine di S. Francesco da Paola. Oggi è la più grande fabbrica di birre di Monaco e produce 6 o 7 specialità. Ha una schiuma compatta e fine, profumi freschi e floreali con note di lievito; in bocca è fragrante, morbida e fruttata.



    LÖWENBRÄU ORIGINAL

    Anche questa fabbricata a Monaco, con spuma abbondante, mediamente persistente. Aroma di erba fresca,non intenso e poco persistente. In bocca è frizzante, di media corposità, con luppolo che compare discreto, ben equilibrato con il malto.



    AYINGER WEISSE
    Ayinger è un villaggio ai piedi delle Alpi poco distante da Monaco. Questa weisse è di colore paglierino e la schiuma è compatta e persistente mentre l'olfatto è caratterizzato da fiori e frutta matura con toni di affumicato. In bocca è fresca, fruttata e con una buona struttura. (ndr: è la mia preferita!)



    ERDINGER WEISSBIER

    La Erdinger è la più importante fabbrica di birre di frumento in tutta la Germania. Ha una schiuma aderente e persistente;il colore è paglierino spento mentre l'olfatto offre profumi fruttati con note floreali e un tocco speziato. In bocca è morbida e fresca.



    FRANZISKANER
    La Spaten di Monaco è molto famosa; al naso si apre con profumi intensi di frutta acidula, fiori freschi, ma anche sentori di cereale, non è molto frizzante.



    PAULANER SALVATOR
    E' una doppelbock di colore bruno rossastro, con poca schiuma, esprime una gamma di profumi intensi: si avvertono caramello, malto tostato, miele di castagno, cioccolato, note speziate. L'impatto in bocca è quasi violento, avvolgente, con un netto sentore di liquirizia.

    dal web : tuttobaviera
     
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  5. gheagabry
     
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    Martin Lutero e la birra


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    I protestanti sono passati alla storia perché contestavano la vita dispendiosa che si conduceva a Roma, ma Lutero quando si sedeva a tavola non era molto diverso dai suoi avversari.
    Forse perché aveva trascorso l’infanzia tra i digiuni impostigli dai teutonici genitori, e la giovinezza tra quelli previsti nel convento Agostiniano di Erfurt.
    L’ultima dieta che il tedesco dovette affrontare fu quella di Worms, indetta nel 1521 da Carlo V per tentare di ricucire lo strappo protestante, dove fu scomunicato dal papa e messo al bando dall'imperatore.
    Quando Lutero uscì dall’ordine Agostiniano poté dare libero sfogo alla sua ghiottoneria, che pagò con i calcoli renali, la colite e l’ulcera.
    Al cibo, ma soprattutto alla birra non sapeva resistere. Si scolava parecchie pinte della bionda bevanda mentre tuonava contro il vizio nazionale dei tedeschi, e a chi gli faceva notare l’incoerenza rispondeva: “Se il buon Dio mi perdona per averlo tradito per vent’anni come monaco cattolico, può perdonarmi anche un bicchierozzo trangugiato alla sua salute”.


    “Vinum est donazio dei, cervetia traditio umana”

    Martin Lutero





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  6. gheagabry
     
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    Questa meraviglia belga, curiosamente, è considerata tale soprattutto in Italia, paese importatore privilegiato. La Abbaye de Bonne Esperance è senza dubbio una tra le più bevibili birre d’abbazia. Come le migliori abbazie, è disponibile anche nella classica bottiglia da un litro: attenzione, perché la tentazione di bersela tutta di filata è forte. La vista è colpita da un insolito colore ambrato con sfumature dorate, intenso ma non molto scuro. La schiuma è densa, persistente e cremosa, color vaniglia e profumo di fiori. L’aroma è speziato, fiorito e fruttato allo stesso tempo, caratteristico ma discreto, con note di scorza d’arancia e di lievito di ale. Il corpo, morbido e soddisfacente, non è mai tuttavia pesante, conservando una sostanziale leggerezza ed effervescenza. Il gusto è di malto e frutta candita, inizia sul dolce, ma diventa secco con il passare dei secondi, evolvendo verso un finale vinoso e amarognolo. Il retrogusto è leggero ma persistente, di lievito, davvero rinfrescante.

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    La Abbaye de Bonne Esperance è una grande birra, complessa ma bevibile, e quindi estremamente versatile, splendidamente bilanciata in tutte le sue componenti. Un vero gioiello di arte birraia.


    Gradazione Alcolica: 8%


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  7. ZIALAILA
     
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    La birra trappista



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    Che cosa si intende per birra trappista?
    Prima di tutto si deve precisare che non è corretto parlare di uno stile ma, più propriamente, di un disciplinare. In sintesi sono tre i requisiti che una birreria deve avere per potersi fregiare del titolo di "Trappista", e dunque del noto logo esagonale "Authentic Trappist Product":

    1. la birra deve essere prodotta all’interno di un’Abbazia trappista
    2. l’intero processo produttivo deve svolgersi sotto il controllo diretto della comunità monastica
    3. i ricavi delle vendite devono essere utilizzati dall’Ordine per perseguire atti caritatevoli


    Con il termine trappisti si intendono i monaci affiliati all’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza, una costola nata dall’Ordine Cistercense. Dal nome dell’Abbazia da cui la riforma prese piede, La Trappe in Normandia , deriva poi quello con cui sono oggi noti gli apparteneti all’Ordine, i frati Trappisti.

    L ’esagono rosso che individua oggi gli autentici prodotti trappisti vide luce nel 1997, quando otto Abbazie trappiste (sei belghe, Chimay, Orval, Rochefort, Westmalle, Westvleteren e Achel, una tedesca, Mariawald, e una olandese, Koningshoeven) decisero di fondare l’ITA, Associazione Trappista Internazionale, con il compito di tutelare gli autentici prodotti trappisti (non solo birra ma anche formaggi, distillati, ecc..).
    Proprio per contrastare l’utilizzo improprio del marchio da parte delle grandi aziende venne definito una sorta di disciplinare di produzione, che permetteva ai monasteri cistercensi che ne avessero rispettato i dettami di apporre il bollino rosso.




    Ad oggi solo sette birrifici sono autorizzati ad etichettare le proprie birre con il marchio "Authentic Trappist Product": Bières de Chimay, Brasserie d’Orval, Brouwerij Westmalle, Brasserie de Rochefort, Westvleteren, Brouwerij de Achelse Kluis in Belgio e la Brouwerij De Koningshoeven (La Trappe) in Olanda


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    dal web : fermentobirra
     
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  8. ZIALAILA
     
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    tipi di birre



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    La principale suddivisione stilistica è fra birre ad alta e bassa fermentazione ( in base al lievito utilizzato) , cioè fra Ale e Lager:
    birre ad alta fermentazione: il lievito predilige temperature elevate e durante il processo sale in superficie del tino di fermentazione.

    birre a bassa fermentazione: il lievito predilige temperature più basse e durante il processo si deposita sul fondo del tino.
    Esiste poi una terza categoria di birre ottenute da fermentazione spontanea chiamate Lambic.

    ALE
    Vasta gamma di tipi di birra, che hanno in comune l'essere ottenuti da malto d'orzo e l'utilizzo di lieviti ad alta fermentazione, i quali (terminando rapidamente il processo) permettono di ottenere come risultato un sapore dolce, dal corpo pieno e fruttato. La stragrande maggioranza delle birre Ale contiene poi erbe o spezie, solitamente luppolo, che conferisce un aroma amaro, erbaceo e bilancia la dolcezza del malto. Le Ale si possono suddividere in tre grandi sottostili in base alla provenienza geografica: le Ale belghe, le Britanniche e le Tedesche.


    LAGER
    Birra di colore oro pallido leggermente velato, ha un sapore mediamente amaro, gradazione alcolica standard che si attesta attorno ai 5% vol e una buona luppolatura (sebbene meno decisa rispetto ad altri stili) che lascia però spazio anche a toni maltati. In termini estensivi con la parola Lager si indicano genericamente le birre chiare a bassa fermentazione di ogni parte del mondo. “Lager” in tedesco vuol dire “deposito” e indica i magazzini a bassa temperatura dove la birra è messa a maturare.



    LAMBIC
    Il Lambic è una peculiarità belga. Le birre appartenenti a questo stile sono prodotte a fermentazione spontanea, sfruttando i lieviti ed i batteri volatili presenti nell'ambiente, e con una buona percentuale di frumento non germinato (di solito attorno al 35%). Anche il luppolo impiegato subisce, prima dell’utilizzo, uno strano processo: viene infatti lasciato invecchiare per qualche anno (due o tre), durante i quali perde parte della sua amarezza, assumendo allo stesso tempo caratteristici aromi non sempre piacevoli. Il risultato è una birra sgasata dalla ricchezza aromatica inconfondibile ma dal sapore molto acidulo, dovuto alla proliferazione dei batteri lattici ed acetici nelle botti in cui avvengono fermentazione e stagionatura, le quali in precedenza hanno ospitato vino e sherry.


    dal web : Birredelmondo
     
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  9. ZIALAILA
     
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    CURIOSITA'




    La birra più costosa del mondo è una bottiglia di Lowerbrau, quotata attorno ai 16.000 dollari. La particolarità è che questa bottiglia si è salvata dal famoso incidente del dirigibile Hindenburg, avvenuto nel 1937 a New York, e recuperata da un pompiere intervenuto sul luogo dell’incidente. In ogni caso, la birra non dovrebbe essere più bevibile, perche' rovinata dagli sbalzi termici durante l’incendio.

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    La birra (ancora bevibile) più antica è invece una serie di bottiglie recuperate da un naufragio al largo delle isole Aland, in Finlandia, che avrebbero circa 200 anni, essendo il naufragio avvenuto tra il 1800 e il 1830. Le condizioni di temperatura e protezione dalla luce del fondo del mare, a 50 metri di profondità, hanno creato un ambiente ideale per la conservazione della birra.


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    Il record per il maggior numero di boccali trasportati contemporaneamente è dell’australiano Reinhard Wurtz, nato comunque in Bavaria. L’uomo, che gestisce un locale a Sidney, ha trasportato 20 boccali da litro (per un totale di 50Kg circa di peso trasportato) per più di 20 metri. Wurtz ha spiegato che per raggiungere il record è sicuramente indispensabile la forza di braccia, mani e dita, ma che il suo segreto è la birra bianca che “con 14 amminoacidi aiuta i muscoli a crescere”, ha spiegato.




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  10. gheagabry
     
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    Birra e storia: siamo tutti figli del contadino sumero?


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    Di: Vittoria F.

    Se come sosteneva Benjamin Franklin "La birra è la prova che Dio ci ama e vuole che siamo felici", come può essere possibile che un prodotto dalle note così elevate, abbia origini tanto umili? Eppure pare sia andata proprio così: il delizioso nettare è veramente parente (anche se molto lontano) dell’intruglio che un contadino sumero aveva dimenticato sotto la pioggia per diversi giorni, che era andato incontro a fermentazione e che lo stesso contadino aveva bevuto, avvertendo uno stato di ebrezza mai provato prima.

    L’effetto della strana bevanda era piaciuto tuttavia al creativo agricoltore, tanto da indurlo a riprovare e perfezionare l’esperimento. Allora è proprio quel contadino che inconsapevolemente ha iniziato la lunga e affascinante storia di una bevanda che, gustata oggi, dà luogo a quello che per gli antropologi è un "atto sociale".



    Effettivamente già nell’antichità i nostri antenati non bevevano soltanto insieme, ma prelevavano la birra dagli stessi recipienti; alcune raffigurazioni dei Sumeri, ad esempio, li mostrano mentre consumavano la birra collettivamente con sorta di cannucce da particolari vasi.

    Cosa dire allora oggi dell’offerta del "giro di birra" quale forma di scambio reciproco che cementa i rapporti sociali o si propone come concreto pretesto per crearne degli altri, meglio se con il sesso opposto? Tutto ruota attorno a regole non scritte per cui chi non ricambia una bevuta rende le cose difficili, mentre chi ha iniziato un giro non può ritirarsi a suo piacimento.

    A guardarla oggi, sempre più apprezzata, bevuta, prodotta da esperti o da appassionati amatori, sembra davvero che il suo destino sia roseo, che goda di grande fortuna, tuttavia non è stato sempre così nelle varie civiltà.



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    I sumeri, gli Assiri, gli Egiziani millantavano il prestigio della birra, la consideravano addirittura sacra e ne controllavano la produzione tramite lo Stato. I romani e i Greci la ritenevano invece una bevanda poco nobile, adatta ai barbari, assolutamente non paragonabile al vino di cui erano superbi consumatori. Venti tipologie diverse del gustoso nettare le avevano già inventate i Babilonesi, preparate allora dai primi mastrobirrai della storia, veri e propri tecnici che operavano nelle cantine reali.

    E quanta importanza doveva avere la birra presso gli Egiziani, se sono giunti fino a noi numerosi papiri riportanti nel dettaglio i metodi di lavorazione, precisi quanto il manuale di un birraio? Papiri, ma anche tanti preziosi pezzi rimasti della loro arte (la famosissima statuetta della donna inginocchiata ad impastare pani e birra ne è un esempio) evidenziano quale grande valore questa grandiosa civiltà, intrisa in ogni suo aspetto di credi religiosi, magia e significati simbolici, attribuisse alla birra, la cui invenzione si doveva, secondo il sapere religioso del tempo, addirittura al potente dio Osiride, che ne aveva fatto splendido dono agli uomini.



    Queste antiche civiltà si fabbricavano dunque una birra vagamente somigliante alla nostra? Difficile stabilire con certezza l’esatta formulazione anche se è certo che la birra egiziana doveva risultare sicuramente abbastanza differente dalla sumera o dalla babilonese: si ricorreva infatti, frequentemente, all’uso di miele di datteri, di cannella, di salvia e rosmarino, impiegati per l’aromatizzazione di birra chiara, scura e ad alta concentrazione.

    Gli Egiziani avevano però imparato ad autolimitarsi nei consumi (forse meglio di noi!) in quanto, dopo uno svezzamento a base di birra diluita con acqua, i bambini venivano inziati ad un moderato utilizzo della bevanda tramite una specifica cerimonia, durante la quale veniva affidata loro un’anfora, che doveva costituire la dose massima quotidiana permessa e che li seguiva fin dentro il sarcofago. Se a ricchi e faraoni veniva offerta in coppe riccamente decorate, riempite in rivoli, continuamente alimentate da coppieri o facenti capo a complessi sistemi idraulici, gli operai dell’epoca ricevevano la birra come complemento alla retribuzione. Onorare il defunto con grandi bevute di birra era altrettanto usuale, quanto utilizzare la birra a scopi farmacologici (malattie di origine intestinale in particolare) e come antidoto per i morsi di scorpioni.


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    Crediamo davvero di aver inventato i bagni a base di birra nella cosmesi moderna? I geniali popoli dell’Egitto, a scopi conservativi, nonché purificativi, praticavano un’immersione completa nella birra dei corpi destinati alla mummificazione.

    Agli Egiziani dunque la birra doveva piacere molto dolce e variamente aromatizzata... salvia, rosmarino... E il luppolo? Fondamentale oggi per riconoscere una birra come tale: furono i monaci del Medioevo a introdurre l’uso del luppolo nella formulazione e ad avere il monopolio produttivo per molti decenni, nonché la libertà di sperimentare le ricette più varie e fantasiose, fino al 1516 con l’editto Reinhetsgebot, che stabiliva in Bavaria l’obbligo di utilizzare nella formulazione, soltanto malto d’orzo, luppolo e acqua.


    Nei secoli la birra è stata spesso cantata, decantata, dipinta e raccontata

    Inventata, apprezzata e prodotta dalle grandi civiltà del passato, ha trovato anche in grandi letterati degli estimatori di rielievo. Celebri le parole di Shakespeare che mette in bocca ad un paffuto paggio nell’Enrico V, la sua altissima opinione del prodotto, da gran estimatore e consumatore qual’era: “Ah come vorrei trovarmi a Londra, in una birreria! Sarei disposto a baratare tutta la mia gloria per un gotto di birra”. Più triste e amara è la birra dei poeti come Saba che mentre aspetta una donna esclama:“E della birra mi godo l’amaro, seduto del ritorno a mezza via, in faccia ai monti minacciosi e al faro”.

    Più vicini a noi gli eredi della Beat generation, dedicano poesie intere alla birra, cercando di trovar sostegno alle miserie umane e all’incomprensione: “non so quante bottiglie di birra ho bevuto aspettando che le cose migliorassero... birra, fiumi e mari di birra, la radio suona canzoni d’amore ela birra è tutto quello che c’è”.

    La sua intrigante storia ci può forse insegnare ad apprezzarla di più, in un mondo moderno dove siamo tempestati da infinite proposte di consumo, di buono e cattivo gusto, poi, come ci insegna Philippe Delerm in “La prima sorsata, comincia ben prima di averla inghiottita... oro spumeggiante sulle labbra, frescura amplificata dalla schiuma, piacere immediato che sboccia all’infinito”.


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    La birra nel mondo antico (il caso egiziano)




    Importantissima era la produzione di birra anche nell'antico Egitto che, nei consumi popolari, veniva subito dopo l'acqua del Nilo. Scarsa la presenza del vino d'uva, più diffuso invece il vino di datteri. Le prime notizie certe risalgono al 3100 avanti Cristo e narrano della ostessa Azag-Bau la quale preparava e vendeva nella sua cantina una birra di cereali, che nella lingua egiziana più arcaica veniva chiamata "henqet". Nasce probabilmente parallelamente alla se-bar-bi- sag sumera, e non si hanno documentazioni sufficientemente comprovanti la priorità dell'una sull'altra. Gli egiziani facevano risalire l'invenzione della birra al dio Rie, il quale ne aveva fatto splendido dono agli uomini. Dai testi sacri del tempio di Uruk si deduce che dovevano essere almeno quattro i tipi di birra prodotti, birra che veniva offerta annualmente in diciotto vasi d'oro al dio Anu. Se ne ha però notizia certa di solo tre tipi: la "zythum", birra chiara, la "curmy" che doveva essere di colorazione più scura, e la "sà", birra ad alta concentrazione, riservata all'esclusivo consumo del Faraone e per le cerimonie religiose. La lavorazione era molto simile a quella sumerica, a parte la maltizzazione che venne scoperta ed impiegata solo in epoche successive, probabilmente quando si volle imitare la più raffinata lavorazione della prestigiosa birra Babilonese. Per l'aromatizzazione si ricorreva con maggiore frequenza al miele di datteri ed alla cannella, non disdegnando però salvia e rosmarino. La birra é presente lungo tutto l'arco della vita degli antichi egiziani: dalla nascita alla morte. Lattanti, venivano svezzati con una miscela a base di zythum, acqua, miele e farina di orzo; più grandicelli, venivano iniziati ad un moderato consumo della bionda bevanda regalando loro, con una apposita cerimonia di iniziazione, una piccola anfora che doveva costituire la dose massima quotidiana di birra permessa, anfora che li seguiva fin dopo morti e che veniva posta nel sarcofago - ovviamente quei defunti che avevano diritto di aspirare all'immortalità. Il processo di mummificazione, che durava mesi, veniva preceduto da un lavacro a base di birra, evidente simbolo di purificazione per il carattere sacrale e per l'origine divina della bevanda. Occorre dire che nel Libro dei Morti nel capitolo che tratta della imbalsamazione nella Casa dei Morti, solo i Faraoni, i dignitari, i sacerdoti e le personalità più importanti del regno avevano diritto a questo trattamento che, conservando il corpo, assicurava l'immortalità dell'anima. Soltanto questi personaggi erano depositari, per volere divino, di un'anima che entrava a far parte dell'aldilà, in amena compagnia delle altre numerose divinità. Solo i Faraoni, dopo morti, divenivano essi stessi divinità, andando ad occupare un preciso posto nel complicato ordinamento divino. Il popolo, purtroppo per loro, non disponeva di nessun tipo di anima, nonostante le abluzioni interne ed esterne di birra, in vita e da morti. Nel testo del Regno Antico, conservato nelle piramidi di Sakkara, alla descrizione di quanto era necessario al defunto per il lungo viaggio dell'oltre tomba, figura sempre il geroglifico di zythum e curmy. Durante le interminabili estenuanti cerimonie funebri, tutti i presenti per onorare il defunto facevano abbondanti libagioni di birra, così come si legge sul papiro di Prisse trovato nella necropoli di Abido e che consigliava: "....non ti lascerai prendere dal dolore sino a stordirti, ma troverai conforto bevendo zythum e curmy...." (da papiri conservati nel museo egiziano di Torino) I Sacerdoti completavano la funzione funebre bevendo sà mentre intonavano il lamento funebre che all'incirca recitava: "....é triste salire sulla barca di Rie senza speranza di trovare zythum e curmy in abbondanza come vorrebbe l'anima tua...." (ibidem) Ramsete III° (1300 a.C.) si vantava di aver donato durante tutta la sua vita ben 463.000 vasi di birra alla potentissima divinità Isthar, la dea della fertilità, dell'amore, ma anche protettrice dei naviganti e degli eserciti, come recita la sua litania: ....astro del mattino stella del mare regina della terra patrona dei naviganti guida degli eserciti..... Isthar veniva identificata nel pianeta Venere, il primo e più luminoso astro a comparire nel cielo notturno. In suo onore era stato eretto il tempio di Medinet-Habu dove, con puntigliosa pignoleria, nelle tavolette contabili si annotavano i generi alimentari introitati, ed il consumo giornaliero di bevande: ben 144 otri di birra, ed alcuni di vino e vino di datteri. Ciò comprova, se ancora ve ne sia bisogno, oltre la sacralità di questa bevanda, anche le sue proporzioni di consumo rispetto le altre. Certamente la birra era anche di uso popolare, ma il popolo non ne poteva disporre a volontà secondo i propri desideri, come traspare da un canto contadino che recitava con una vena di rimpianto: "....trebbia la paglia dall'orzo, per i signori che vogliono zythum..." (ibidem), mentre una dolcissima canzone d'amore inneggia all'amato bene: "....quando ti bacio sulle lebbra dischiuse, sono felice anche senza zythum..." (ibidem) Nelle tavole raccolte nella biblioteca di Tutmosi III° (1480 a.C.) é scritto come il dio Osiride, divinità notturna patrono del regno dei morti, ricevesse due volte l'anno dal faraone Sotis I° ben 1200 otri di birra che veniva impiegata per le libagioni sacre e per essere distribuita al popolo in occasione delle festività religiose. Narrano inoltre di Zhutu, generale di Tutmosi III°, il quale non riuscendo a conquistare dopo un estenuante assedio la fortezza di Yoppo, pensò bene di far ubriacare la guarnigione fenicia abbandonando fuori dalle mure un abbondante quantitativo di otri di birra, riuscendo così nell'intento. Amenophis IV, figlio di Amenophis III°, sale al trono alla morte naturale - evento raro - del padre nel 1362 a.C. Uomo di grande apertura mentale, si rende subito conto che l'effettivo potere é da tempo radicalmente in mano alla potente classe sacerdotale. Non sarà dunque lui a regnare sull'Egitto, ma il Grande Sacerdote, così come era sempre stato sin dai tempi dei suoi avi. Uomo intelligente, ma anche ambizioso, decide che d'ora in poi il governo dello Stato dovrà passare nelle sue mani. Per far ciò ha un solo mezzo: destituire la divinità imperante, il dio Ammone, ottenendo così il declassamento di tutta la casta sacerdotale. Crea quindi una nuova divinità capostipite, unica e sola abitatrice dell'olimpo celeste: il dio Athon, rappresentato nel disco solare, dispensatore di luce in terra, origine di ogni specie vivente e, come tale, padre celeste dello stesso Faraone. Cambia quindi il suo nome in Ekenathon, letteralmente figlio di Athon, ed inizia il processo di restaurazione facendo distruggere tutte le statue del regno del vecchio dio Ammone, a partire dalla capitale, la città di Tebe. In un eccesso di moralismo ed ascetismo, ordina che sia proibita ogni produzione di birra, che siano chiusi tutti gli spacci e fa distruggere tutte le riserve di questo prodotto, sia nelle cantine reali che in quelle di tutti i dignitari, sino ai più umili osti. Siamo propensi a credere che più da un eccesso morale, fu spinto dalla necessità di precludere ogni passata formalità religiosa che vedeva quale principale attore la birra. Dunque il dio Athon non beve birra, e nemmeno Ekenathon! Ma i sacerdoti sono in grande numero, troppo forti, ed il loro potere sul popolo ancora intatto. Ekenathon non si attenta a scatenare una guerra civile di religione, dalla quale avrebbe ben poche prospettive di uscirne vincitore - aveva certamente tutto il popolo contro, se non altro per aver proibito la birra (terribile errore politico!) - decide allora di abbandonare Tebe al suo apostata destino e di costruire una nuova città: Amarna. In tre anni di ininterrotto lavoro di schiavi pagati a suon di frusta, costruisce in pieno deserto la nuova capitale del regno, ricca di nuove costruzioni, cinta da imprendibili mura e con una sola porta di accesso. In questa fa costruire il suo nuovo palazzo ed uno splendido santuario dedicato al suo padre spirituale, il dio Athon. Nella città fortezza, a Tell-el-Amarna, vivrà monasticamente con la sua bellissima moglie Nefertiti, sicuramente la più bella donna mai esistita nell'antico Egitto, come si può ancora vedere dagli splendidi busti in calcare, di cui uno, scoperto nel 1912, perfettamente conservato ed ancora fresco di vividi colori, esposto nel museo del Cairo. Lo segue la sua numerosa corte, i dignitari della nuova classe sacerdotale di cui egli é il capo incontrastato, ed una vasta schiera di artigiani, servitori e schiavi. E' una città assolutamente autonoma, provvista di tutto ma, hai loro! non si produce una sola goccia di birra, bevanda che il Faraone aborrisce. Pullulano però, fuori dalle mura, i venditori di zythum e curmy che fanno affari d'oro con tutti i cittadini meno asceti di Ekenathon. Modesto comunque fu il governo di questo Faraone che, governando sulla sua città, si illuse di governare l'Egitto, saldamente in mano alla vecchia classe sacerdotale. Alla sua morte naturale - ma ci sia concesso più di qualche dubbio - avvenuta nel 1345 a.C., sale al trono, ancora bambino, il nipote Tutankathon al quale aveva destinato in moglie la propria figlia, da lui stesso sposata alla morte di Nefertiti, per farla assurgere al rango di Regina ed assicurare così al prediletto nipote il legittimo titolo di Faraone. Dopo soli tre anni Tutankathon abbandonava la città fortezza, che nel breve volgere di pochi anni si riduceva in polvere insieme ai sogni di gloria e di un dio unico di Ekenathon. Tornava a Tebe ed abiurando il dio solare Athon, riabbracciava la vecchia fede del dio Ammone e, con sommo gaudio dei sacerdoti i quali in tutto ciò dovevano avare messo più di uno zampino, cambiava il suo nome in Tutankamon. Chi non conosce oggi questo nome di Faraone, illustre sconosciuto per il suo brevissimo regno, ma tramandato in eterno ai posteri per la ricchezza del ritrovamento della sua tomba. Quando nel 1922 Lord Carnarvon e l'archeologo inglese Howard Carter stavano compiendo scavi nella Valle dei Re, in Egitto, si imbatterono casualmente in un sigillo che riportava il cartiglio di un fantomatico faraone, Tutankamon, del quale nessuna traccia figurava nella sia pur lunga e minuziosa genealogia delle stirpi faraoniche. Con la pazienza del certosino ed animati dalla speranza di trovare una nuova tomba, cominciarono gli scavi. La loro costanza fu premiata quando, dopo un considerevole numero di insuccessi, poiché la vera tomba era protetta da una sequela di finte porte, finti corridoi e finte camere mortuarie, si imbatterono nell'anticamera della vera camera mortuaria. Il sogno segreto di tutti gli archeologi si era avverato! la più grande scoperta archeologica del mondo! la prima ed unica tomba di faraone assolutamente intatta ed inviolata. Nell'anticamera giacevano alla rinfusa centinaia di oggetti - ciascuno dei quali avrebbe fatto la fortuna di un archeologo - dal più semplice utensile di uso comune, al più raffinato oggetto regale: il carro da battaglia, sedili e divani di fattezza squisita intarsiati d'avorio ed oro, animali fantastici scolpiti in legni pregiati ed il pezzo più importante della collezione: il trono del re con effigiato sulla spalliera il ritratto del re e della sua consorte. Carnarvon e Carter pensavano di aver trovato tutto il trovabile, ma erano appena all'inizio. Scavando ancora per scoprire la cella mortuaria, si imbatterono in una seconda stanza ancora più ricca di reperti, molti dei quali erano oggetti preziosi di raffinata fattura. Un tesoro di immenso valore! Ma le sorprese non erano ancora finite. Ancora una porta sigillata ed una terza stanza, aperta la quale si trovarono di fronte ad un muro d'oro, ma che si rivelò essere la parete di una enorme cassa dorata, all'interno della quale vi era una seconda cassa anche questa dorata, quindi una terza ed ancora una quarta, come in un gioco di matrioske russe. All'interno di questa ultima cassa si trovava un sarcofago di quarzite gialla, lungo circa tre metri ed alto uno e mezzo, sul quale spiccava il ritratto in legno di Tutankamon. Convinti di essere finalmente arrivati alla mummia del faraone, sollevarono la pesante lastra di marmo che ricopriva la cassa e trovarono una prima bara avvolta in bende di lino che sostenevano la prima delle maschere d'oro tempestata di gemme che rappresentava il volto del Faraone. All'interno di questa ancora un'altra cassa con ancora una maschera funeraria d'oro massiccio, coloratissimi smalti e pietre preziose. E per finire, ancora un'altra cassa, la terza ed ultima, tutta in oro massiccio, dal peso di svariati quintali, nella quale finalmente fu raggiunta la mummia del Faraone sulla quale troneggiava la terza ed ultima maschera funeraria, la più bella, la più nota al grande pubblico. A conti fatti, il corpo del faraone riposava in una sequela di otto casse, e tornava alla luce dopo 3270 anni! Come ebbe a dire Carter, l'unico merito ed aspetto importante della vita di Tutankamon fu "perché morì e fu sepolto" con fasti e ricchezze di tesori d'arte e di preziosi mai eguagliati da nessun altro faraone nella storia d'Egitto. Ma torniamo alla nostra più semplice e genuina birra. Memorabili devono essere stati i banchetti in tutte le dinastie dei Faraoni; fiumi di birra, non metaforici ma autentici fiumi di birra, attraversavano le mense regali riccamente imbandite, lungo le quali scorrevano rivoli di birra continuamente alimentati da capaci otri di zythum. I commensali non dovevano fare altro che immergere le coppe e brindare, brindare, trascorrendo le lunghe giornate delle innumerevoli festività religiose fra montagne di cibo e torrenti di birra, fra canti sacri e danze un pò meno sacre, sino a quando tutti cadevano esausti dalle pantagrueliche mangiate e bevute. Non per nulla si sta parlando di banchetti faraonici! Quando nel 1934 un gruppo di archeologi francesi cominciò a scavare nella zona di Tell-Hariri, erano ben lungi dall'idea di scoprire l'antichissima, famosissima ma altrettanto fantomatica città di Mari, città che, sorta nel III° millennio avanti Cristo, assurse al massimo fasto sotto il regno del suo ultimo re Zimrilim e fu distrutta, rasa al suolo e bruciata dagli eserciti di Hammurabi di Babilonia nel 1739 a.C. Da allora era rimasta sepolta per quattromila anni, sino a quando, appunto nel 1934 se ne intraprese lo scavo. Il palazzo reale, che ricopriva l'astronomica superficie di 30.000 mq., era dotato di ben trecento stanze di cui due, evidentemente quelle dell'appartamento personale del re, corredate di tutti i servizi igienici e da due vasche da bagno collegate a grandi caldaie di terracotta per scaldare l'acqua. E ancora stanze destinate ad aule scolastiche, con file di panche e scrittoi e con stili e le tavolette di terracotta come se fossero appena state usate dagli scrivani. Ma la grande sorpresa fu la biblioteca, una immensa stanza rettangolare letteralmente piena di tavolette che il fuoco anziché distruggere, aveva consolidato rendendole leggibili. Parte erano ancora ordinatamente alloggiate sugli scaffali, altre erano cadute e ricoprivano il pavimento sino a due metri e mezzo di altezza. Lettere, rendiconti, atti di governo, intrighi politici, resoconti di viaggi, di battaglie, storie di uomini e di divinità; scorci di vita quotidiana che doveva essere scorsa intensa e ricca di eventi scrupolosamente annotati e codificati. Più di ventimila tavolette, solo in minima parte tradotte, fra queste, la contabilità della produzione, della vendita e delle donazioni di birra, di orzo per birra e per la panificazione. Ma il ritrovamento, per noi birrofili, più interessante fu quello della Dea zampillante, una statua di donna, di normale altezza, con in mano un vaso recanti i sigilli dell'orzo e della birra. Attraverso una canalizzazione interna alla statua, collegata con una grande anfora esterna, scorreva la zythum che fuoriusciva dal vaso. Ingegnoso sistema per alimentare i già noti fiumi di birra che attraversavano le mense dei Faraoni. Non possiamo certo chiudere questo capitolo sull'Egitto senza accennare all'ultima regina della sua storia, la più nota la più chiacchierata: Cleopatra. Tutti ne conoscono la storia, più o meno veritiera, narrata, romanzata, cinematografata, ed é a tutti noto come, sentendosi vecchia, non più desiderata, sentendo di aver perso il suo ben noto fascino femminile, e timorosa di essere trascinata a Roma quale trofeo di guerra, decise di por fine ai suoi giorni facendosi mordere il seno da un aspide. Ebbene, prima di compiere questo ultimo definitivo gesto, si fece mescere dalle ancelle due coppe di sà, la forte birra degli dei, che offrì una a se stessa, prossima dea sorgente dall'imminente morte, ed una alla dea Anubi che l'avrebbe accompagnata nel lungo viaggio d'oltretomba. L'olimpo egiziano è costellato da numerose divinità, in un complicato gioco di personificazioni e metamorfosi. Fra queste la potentissima Hothor, figlia di Rie, una delle maggiori dee del pantheon egiziano, divinità solare femminile impersonata nel sicomoro. Nella rappresentazione del sole era impersonata dalla vacca Hanub, con l'emblema del disco solare fra le corna e con le mammelle che spargevano latte e birra. Il popolo egiziano usava portare al collo una sua effigie sia come talismano contro le malattie, sia come portafortuna per assicurarsi, siamo convinti, ampia disponibilità di birra per tutto l'anno. Anche in medicina e nelle formule magiche la birra rivestiva carattere di grande importanza; come balsamo contro le malattie con particolare riferimento a quelle di origine intestinale, per curare le ferite, come antidoto al velenoso morso degli scorpioni. Si racconta che il mago Dodi, con ripetuti impacchi di birra, riuscì addirittura a resuscitare un toro ed un'oca riattaccandone la testa mozzata. La birra era inoltre comunemente impiegata quale complemento agli emolumenti degli operai. Infatti, durante i lavori della grandi costruzioni, nelle miniere o nei semplici lavori dei campi, oltre al salario, agli uomini liberi veniva distribuita una misura di birra ogni tre ore, agli schiavi due misure al giorno mentre ai prigionieri di guerra - meschini! - quando andava bene, una misura al dì. Vastissima la raccolta di reperti archeologici che ci raccontano di birra e dei costumi birrari egiziani. In centinaia di rotoli di papiro viene menzionata la birra nei suoi momenti di consumo abituale e quotidiano; vasi e vassoi istoriati con scene di raccolta dell'orzo, della sua produzione, di cerimonie religiose; bassorilievi con spighe di orzo, vasi da birra, geni seduti sotto l'albero della birra, rappresentazione figurata dell'albero della vita. Famosa la statuetta conservata nel museo di Firenze e che rappresenta una donna inginocchiata, intenta ad impastare pani per birra. Formidabile lo stendardo murale dipinto all'interno della tomba di Ti, dignitario di corte preposto alla fabbricazione della birra riservata alla corte del Faraone, nel quale, in una lunga sequela di scenette, vengono istoriate le varie fasi della lavorazione della bevanda. Al Louvre, un plastico a tutto rilievo, ritrovato nella tomba del cancelliere Nakhti-Assiout, mostra, a cielo aperto, l'interno di una fabbrica di birra, con personaggi intenti alle varie fasi della lavorazione. Bellissima la tomba di Ounson e di sua moglie Imenhetep, contabile dei sacri granai di Ammone nella città di Tebe nella XVIII dinastia, interamente trasferita e ricostruita in una sala del Louvre. Gli stendardi dipinti lungo le pareti rappresentano tutte le fasi inerenti la semina ed il raccolto dell'orzo. Nella parte riguardante la mietitura, fra le alte spighe, frammiste alle figure degli schiavi intenti al lavoro, circolano portatrici di anfore da birra intente ad offrire la ristoratrice bevanda. Sempre al Louvre, scolpita su di una lastra di marmo, la Tavola dei conti, il menu dei morti, con il lungo e dettagliato elenco di tutte le cibarie e le bevande da porre nella tomba a ristoro del defunto, e fra queste: "due misure di birra - una misura di birra al miele di datteri - una misura di vino di datteri - ...."


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    La birra è la prova che Dio ci ama e vuole che siamo felici.
    (Benjamin Franklin)




    Origine della birra



    Le origini della birra: Sumeri e Babilonesi


    Le origini della birra sono antiche e risalgono a circa 13.000 anni fa, quando l’uomo cessò di condurre una vita da nomade e si stabilì in maniera fissa sul territorio, cominciando a coltivare cereali come il frumento.
    Le prime testimonianze nella storia della preparazione di una bevanda simile alla birra da parte dei Sumeri, gli abitanti della fertile fascia di terra tra il Tigri e l’Eufrate, sono datate all’incirca a 6.000 anni fa.
    Si narra che il processo di fermentazione fu scoperto per puro caso; sebbene nessuno sappia con precisione come accadde, si suppone del pane o del grano macinato fu lasciato per sbaglio ad inumidire. Successivamente il pane cominciò a fermentare trasformando la mollica in una pasta inebriante.
    Un bassorilievo sumero riporta la descrizione del processo di creazione della birra; si può notare dell’orzo, del pane cotto e successivamente inumidito nell’acqua per formare una poltiglia ed infine una bevanda con la proprietà di “fare stare bene chi la beveva”. Può darsi che il pane fosse cotto per favorirne la conservazione ed il trasporto.


    La birra babilonese : il sikaru


    In Science illustrée N°11 - novembre 1992


    A quel tempo la birra era torbida e non filtrata, perciò la birra veniva bevuta con la cannuccia, per evitare che i residui molto amari si depositassero sulle labbra.

    La birra fu persino esportata in Egitto, ad oltre 1000 km di distanza, e tale fu la sua importanza nella società babilonese che il re Hmmurabi inserì una legge nel suo famoso codice che stabiliva la quota massima di birra concessa giornalmente agli abitanti, che variava, a seconda della classe sociale, dai 2 ai 5 litri.

    Nella storia la birra divenne anche merce di scambio; veniva infatti barattata con orzo ed altri cereali. Tuttavia non poteva essere venduta; si narra che Hammurabi condannò all’annegamento una donna per aver venduto la propria birra in cambio d’argento. La pena dell’annegamento era destinata anche a chi servisse della birra non buona.

    Poiché quasi tutti i cereali che contengono certi zuccheri possono andare incontro ad una fermentazione spontanea dovuta a lieviti nell’aria, è possibile che bevande simili alla birra siano state sviluppate indipendentemente in tutto il mondo poco dopo che una tribù o una cultura presero dimestichezza con i cereali. Test chimici condotti su brocche antiche in ceramica hanno rivelato che la birra è stata prodotta per la prima volta circa 7.000 anni fa sul territorio dell’attuale Iran, e che ciò è stata una delle prime opere note di ingegneria biologica in cui è stato impiegato il processo della fermentazione. Si pensa che in Mesopotamia la traccia più antica di birra sia una tavoletta sumera di 6.000 anni fa che ritrae persone intente a bere una bevanda con cannucce di paglia da un recipiente comune. Una poesia sumera[3 risalente a 3900 anni fa che onora Ninkasi, la divinità patrona della produzione della birra, contiene la più antica ricetta esistente di birra, descrivendo la produzione di birra a partire dall’orzo per mezzo del pane. Le origini della birra sono antiche e risalgono a circa 13.000 anni fa, quando l’uomo cessò di condurre una vita da nomade e si stabilì in maniera fissa sul territorio, cominciando a coltivare cereali come il frumento. Le prime testimonianze nella storia della preparazione di una bevanda simile alla birra da parte dei Sumeri, gli abitanti della fertile fascia di terra tra il Tigri e l’Eufrate, sono datate all’incirca a 6.000 anni fa. Si narra che il processo di fermentazione fu scoperto per puro caso; sebbene nessuno sappia con precisione come accadde, si suppone del pane o del grano macinato fu lasciato per sbaglio ad inumidire; successivamente il pane cominciò a fermentare trasformando la mollica in una pasta inebriante. A quel tempo la birra era torbida e non filtrata, perciò la birra veniva bevuta con la cannuccia, per evitare che i residui molto amari si depositassero sulle labbra. Nella storia la birra divenne anche merce di scambio; veniva infatti barattata con orzo ed altri cereali. Tuttavia non poteva essere venduta; si narra che Hammurabi condannò all’annegamento una donna per aver venduto la propria birra in cambio d’argento. La pena dell’annegamento era destinata anche a chi servisse della birra non buona. (Pena da riproporre di sicuro, non si scherza mai con la Birra ).

    Anche l’antica mitologia ci nomina questa antica bevanda; in dodici libri si racconta di Gilgamesch, re di Uruk, vissuto in Mesopotamia , e che si diceva essere figlio di una dea e di un demone. Egli governava con estrema durezza, tiranneggiando il popolo ed abusando delle donne a suo piacere, compiendo le peggiori efferatezze con brutale perfidia. Gli dei decisero allora che era tempo di por freno alla scelleratezza di quel re e crearono dall’argilla un essere umano che sarebbe dovuto diventare il complemento positivo di Gilgamesch, contrastando e correggendo il tiranno. Lo inviarono sulla Terra ove crebbe in libertà nella foresta, al solo contatto della natura. Uomo primitivo e selvaggio, era ancora incapace di parlare e di ragionare; doveva quindi acquisire coscienza, sapere e saggezza, ed allora…

    Egli bevve della se-bar-bi-sag
    ne bevve sette volte
    il suo spirito si sciolse
    egli parlò ad alta voce
    il suo corpo si riempì di benessere
    il suo volto si illuminò……



    La storia della birra in Egitto



    Gli Egizi proseguirono nella tradizione birraria, migliorandone la tecnica ed affinando il gusto del prodotto. Certe popolazioni del Nilo, chiamate Fellahs, producono tutt’oggi la birra secondo la tradizione. L’importanza della birra nell’antico Egitto fu tale che spinse gli scriba a coniare un nuovo geroglifico che indicava il “mastro birraio”. Ramsete III° (1300 a.C.) si vantava di aver donato durante tutta la sua vita ben 463.000 vasi di birra alla potentissima divinità Isthar, la dea della fertilità, dell’amore, ma anche protettrice dei naviganti e degli eserciti, come recita la sua litania:

    ….astro del mattino
    stella del mare
    regina della terra
    patrona dei naviganti
    guida degli eserciti….




    Sebbene la birra, così come la conosciamo, abbia visto le proprie origini in Mesopotamia, altre bevande fermentate furono prodotte in tutto il mondo. Ad esempio la Chicha è una birra di granturco ed il kumiss è un drink prodotto con il latte di cammello fermentato.

    La parola birra deriva dal latino bibere (bere), e la radice della parola spagnola cerveza deriva da Ceres, la dea greca dell’agricoltura.

    Greci e Romani


    La birra continuò ad esser prodotta anche da Greci e Romani. Plinio parla della popolarità della birra nel bacino del Mediterraneo ancor prima del vino e della vite. Ad ogni modo, sebbene a Roma la birra fu considerata una bevanda barbara e soppiantata dal nettare degli dei, il vino (e dal suo dio, Bacco), questa continuò ad esser prodotta negli altri territori dell’Impero dove risultava difficile coltivare le viti ed ottenere vino.
    La birra al tempo non era conservabile, era scura e non produceva schiuma.
    La più antica testimonianza della produzione di birra sul suolo germanico risale all’800 A.C. ed è costituita da un’anfora da birra rinvenuta vicino a Kulmbach. E’ invece risaputo che qualche centinaia di anni dopo la nascita di Cristo, la birra costituiva un comune articolo commerciale.
    Lo stato d’alterazione creato dalla birra fu considerato divino, al punto che si pensava fosse la rappresentazione della Dea Birra che si impossessava del corpo del bevitore.
    La produzione di birra assunse un ruolo fondamentale nella quotidianità; la birra non fu più considerata esclusivamente bevanda da offrire in sacrificio agli dei, bensì trovò spazio su gran parte delle tavole degli antichi Germanici.
    La non-deperibilità della birra, data dalla presenza di alcool, contribuì all’innalzamento dell’età media ed al miglioramento della salute della popolazione, mentre le sue capacità automedicali alleviarono i disagi di una vita in un mondo ostile.




    Birra e birrificazione nel Medioevo



    Fino al Medioevo, il processo di birrificazione era appannaggio delle sole donne. Lentamente questa prerogativa svanì man mano che la birra cominciò ad esser prodotta nei monasteri; questa arte fu adottata dai monaci (belgi e olandesi in primis) per mantenere vivo il legame tra la birra e la religione. Le prime donne babilonesi che produssero birra erano infatti sacerdotesse del tempio.
    Veniva prodotta la birra “leggera”, adatta ad esser consumata quotidianamente, e la birra ad alto contenuto alcolico, destinata alle occasioni speciali. Durante i matrimoni in Gran Bretagna, un tempo veniva prodotta la “birra della sposa” (bride ale). Pian piano la birrificazione divenne un’attività prettamente maschile; i monaci migliorarono il gusto ed i valori nutritivi delle loro birre, che affiancavano a pasti frugali, essendo permessi fino a 5 litri giornalieri a testa.
    In poco tempo i monaci cominciarono a produrre molto più del necessario, e cominciarono perciò a vendere la propria eccedenza; con l’indebolimento della chiesa la birrificazione fu eseguita da coloro che prima si limitavano a commerciare. Talune birre si guadagnarono il marchio reale e l’approvazione delle classi dominanti.

    Alchimia





    aria + acqua = germinazione
    acqua + calore = saccarificazione
    calore + aria = fermentazione




    Purtroppo i regnanti del tempo intuirono i possibili guadagni che si potevan fare sul commercio della birra, e spinsero per impedire ai monaci, che non pagavano tasse, di operare in un campo talmente redditizio.
    La birra era consigliata perché considerata più salutare dell’acqua che, al tempo, era spesso contaminata; col passare del tempo il luppolo cominciò ad essere utilizzato nella birrificazione, contribuendo nella conservazione della birra ed aggiungendo freschezza al gusto.
    Il luppolo sostutuì una mistura di erbe chiamata “Grut”, composta tra l’altro da bacche di ginepro, prugnolo, corteccia di quercia, assenzio, seme di cumino selvatico, anice, genziana, rosmarino, che giocò un ruolo nefasto nella storia della birra.
    Spesso le erbe utilizzate per il Grut erano velenose, allucinogene o mortali; gli inspiegabili decessi fondarono la credenza che esistessero delle Streghe della birra, che cominciarono ad esser perseguite durante l’Inquisizione; si narra che l’ultima strega sia stata arsa al rogo nel 1591.
    Con l’uso del luppolo la birra rivelò il suo aspetto benigno ed assunse un aspetto ed un gusto simile alla birra dei giorni nostri. Nel 1516 Guglielmo IV duca di Bavaria promulgò la Legge Germanica di Purezza della Birra, stabilendo che per la produzione della stessa fossero impiegati esclusivamente orzo (successivamente anche malto d’orzo), luppolo ed acqua pura.
    Al tempo, l’uso del lievito era sconosciuto; la fermentazione era ancora un processo casuale.
    Si può affermare che la legge di Guglielmo IV sia la più antica regolamentazione in materia culinaria, ed i mastri birrai tedeschi ancora si attengono a tale dettame.
    Con il tempo si sviluppò l’esportazione della birra; nel XVI sec. la società HANSA creò centri di produzione, stoccaggio e smistamento a Brema - principale fornitore di Olanda, Inghilterra e Paesi Nordici ed India - Amburgo ed Einbeck dove si produsse la birra Bock .
    Anche Berlino possiede una viva tradizione birrariaed un ruolo prominente nella storia della birra, dove sotto il regno di Federico Guglielmo I la birra divenne bevanda socialmente accettata e servibile a corte.




    Lo sviluppo industriale provocò agli inizi del XIX sec. un enorme miglioramento nella birrificazione; due invenzioni rivoluzionarono particolarmente il processo. La prima è il motore a vapore di James Watt e la seconda è la refrigerazione artificiale di Carl von Linde, che permise di produrre birra eccezionale anche in estate.


    La Birra ai giorni nostri

    L’invenzione di Watt applicata al processo di birrificazione creò un nuovo tipo di Birrifici, che si autodefinirono Birrifici a vapore, mentre la refrigerazione di Linde permise di mantenere i 4 – 10 gradi centigradi necessari per produrre una buona lager, cosa prima attuabile solamente con l’impiego di grossi blocchi di ghiaccio o disponendo di celle fredde e profonde.
    L’impianto di raffreddamento di Linde fu adottato per la prima volta in un birrificio di Monaco.
    Importanti scoperte scientifiche furono inoltre fatte da Louis Pasteur, che pubblicò nel 1876 un trattato sulla birra cdal titolo “Etudes sur la Bière”
    Un’ulteriore scoperta va attribuita allo studioso danese Christian Hansen, che isolò una singola particella di lievito, riuscendo successivamente a riprodurne i microrganismi in una coltura artificiale, aumentandone la purezza e perfezionando il gusto della birra.
    Sul piano economico va citato il forte impatto che il prezzo della birra e gli effetti di una sua seppur minima variazione; ad esempio, nel 1888 i cittadini di Monaco insorsero quando questo aumentò.
    Nel 1964 in Germania i barili in legno furono sostituiti da taniche in metallo, più funzionali dal punto di vista tecnico in quanto più semplici da pulire, riempire, tappare, chiudere e trasportare.







    La birra nel mondo antico
    I Romani, i Greci, i Cretesi


    Art. tratto da "A tutta birra"


    Partiamo da una considerazione: se Cleopatra seppe conquistare prima Cesare e poi Antonio avvalendosi delle sue raffinate seduzioni di amante - che dovevano essere varie e spettacolari - e della sua ben nota arte culinaria, non può non aver iniziato questi illustri personaggi alle delizie della birra. Sembra quindi probabile e credibile che al loro rientro in patria abbiano conservato questa abitudine, se non altro in ricordo dei trascorsi amorosi.
    Non sembra inoltre azzardata l'ipotesi che anche Trimalcione, il ricchissimo quanto buzzurro anfitrione descritto da Petronio nel suo Satiricon, bevesse birra egiziana, per sfoggiare un prodotto esotico con i suoi commensali. Al termine del pranzo, raccontato con arguta dovizia da Petronio, sorprese i suoi ospiti facendo girare fra i triclini un sarcofago con dentro uno scheletro, tipica usanza di ogni fine pranzo dei Faraoni i quali volevano così ricordare ai commensali la caducità della vita, richiamandoli verso pensieri meno prosaici del mangiare e bere. Se Trimalcione conosceva così bene questa usanza, doveva conoscere altrettanto bene la birra egiziana, e non è improbabile che in qualche pranzo successivo abbia offerto zythum e curmy, anche per risparmiare una volta tanto il suo preziosissimo Falernum Optimianum annorum centum !
    Si sa di certo come Nerone facesse largo uso di birra. Ne riceveva spesso in dono da Silvio Ottone, l'infelice marito di Poppea che aveva opportunamente spedito in Portogallo per potersi incontrare liberamente con la di lui moglie. Era ovviamente birra della penisola iberica, la cerevisia, e l'Imperatore la gradì tanto che volle presso di se uno schiavo lusitano, abile mastro birraio, addetto alla quotidiana preparazione della bionda bevanda.
    Tacito ci da una vivace testimonianza della birra nel mondo germanico, descrivendola però in termini tutt'altro che lusinghieri, come un vino d'orzo, grossolano, dal sapore sgradevole. Probabilmente non era lontano dal vero, poiché in quei tempi quel popolo doveva essere ancora ben lontano dalle raffinatezze di una zythum o di una se-bar-bi-sag. Ma Tacito era anche un grande estimatore di vino, che consumava in ragguardevoli proporzioni, dal ché il suo giudizio sulla birra ci lascia alquanto perplessi.


    Più scientifico invece il commento di C.Plinio Secondo, autore di quella formidabile enciclopedia che é la "Naturalis Historia". Nel suo XXXVII libro ci fa sapere che la birra a Roma era conosciuta ma poco consumata, per lo più impiegata nella cosmesi femminile per la pulizia del viso e quale nutrimento per la pelle. Nelle Province invece era molto apprezzata e largamente diffusa, dalla penisola iberica alla Francia all'Egitto, e nella sua Historia ce ne descrive minuziosamente due tipi: la zythum egiziana e la cerevisia della Gallia.
    Il mondo romano conosce bene la birra anche se ne fa un uso sporadico e limitato, e non poteva essere diversamente visto che in tutte le terre conquistate, divenute poi Province romane, questa bevanda aveva larghissima diffusione e godeva di grande prestigio. Probabilmente i conquistatori la consumavano abitualmente quando si trovavano nelle Province, ob torto collo, non trovando nulla di meglio in loco, per il loro gusto. Non la apprezzavano particolarmente, ma nemmeno la disprezzavano, usando nei confronti di questa bevanda la classica tolleranza romanica.
    Contrariamente i Greci, o meglio, alcuni Greci, avevano una decisa antipatia nei confronti della birra che chiamavano anche loro con il termine spregiativo di vino d'orzo. Eschilo nelle "Supplici" formalizza il pensiero dei suoi concittadini poiché, parlando con tono di scherno degli Egiziani, dice: "....gli abitanti non sono uomini veri, ma uomini che bevono vino d'orzo...". Che tipo di vino bevessero poi i "veri uomini" ce lo racconta Omero. Una coppa di vino schietto allungato con due coppe di acqua di fonte, aromatizzato con miele e resine varie. Così mesce il vino Patroclo ad Achille sotto le mura di Troia; una bevanda - o un intruglio? - che almeno per il grado alcolico doveva essere, se non inferiore, pari alla birra; in quanto al sapore, sfidiamo il lettore a farne la prova! Comunque abitualmente in Grecia il vino si beveva schietto solo in alcune occasioni, mentre nell'uso comune veniva preparato come ce lo descrive Omero.
    Ben presente invece era la birra nei rituali sacri nel culto della dea Demetra, divinità femminile dei campi, delle messi, Gran Madre della Terra alla quale aveva fatto il dono della fertilità. Ogni anno, in primavera, le donne greche si riunivano per compiere una cerimonia tanto mistica quanto misteriosa, legata al culto della fertilità femminile ed alla iniziazione delle vergini, cerimonia dalla quale era tassativamente esclusa ogni presenza maschile. Offrivano a Demetra "succo d'orzo e di grano" ed in suo onore si abbandonavano a sostanziose libagioni di "birra di cereali" lasciandosi andare a riti che avevano più del profano che del sacro. Meglio non indagare oltre!
    Probabilmente questo é il vero motivo che fa dire a Plinio che la birra é bevanda da donne.
    I Cretesi erano invece ottimi preparatori di birra, che chiamavano "bruton" e che consumavano in proporzioni pari se non maggiori del vino che sapevano produrre, anche questo, di ottima qualità. La birra veniva preparata artigianalmente in proprio, sia nelle case dei contadini che in quelle patrizie - in queste ultime veniva lasciata alle solerti cure delle gentili matrone - a testimonianza della larga diffusione in tutti gli strati sociali.
    Sugli stupendi vasi ritrovati a Cnosso, frequenti sono le decorazioni con spighe di orzo e sovente appare il simbolo della bruton sulle altrettanto stupende coppe d'argento finemente cesellate, adibite allo specifico consumo di questa bevanda.
    Nella reggia di Minosse si mesceva bruton in eguale misura del vino; bruton si offriva al Sacro Toro e bruton bevevano in abbondanza le danzatrici sacre prima di compiere le loro spettacolari acrobazie, nelle arene, sulla groppa di scalpitanti tori selvaggi, spericolato e quasi sempre cruento esercizio di alta tauromachia.
    Duemila anni di civiltà raffinata, elegante, colta e progredita che si esprime in diversificate attività creative, fanno di Creta la perla del mar Egeo. Grandioso il palazzo reale di Cnosso, ricchissimo di affreschi che ci fanno rivivere momenti di vita dell'epoca, e fra questi il "Corridoio delle Processioni" ove figurano, fra l'altro, coppieri recanti anfore di diverse forme che dovevano contenere vino e bruton. L'immancabile vastissimo magazzino reale traboccante di "pithoi", giare gigantesche, ciascuna con il suo bravo simbolo per distinguerne il contenuto: vino, olio, grano, orzo da birra e bruton. In una di queste, narra la leggenda, annegò Glauco, figlio di Minosse, forse nel tentativo di bere fino a scoppiare di quella bionda deliziosa bevanda.
    Più piccolo, ma estremamente più raffinato, il palazzo reale di Festo, dotato di una fornitissima biblioteca, di un teatro, di sala da scrittura e di una stupenda sala da bagno corredata da un efficace sistema di condutture per l'acqua calda e l'acqua fredda, interamente rivestita di alabastro, da far invidia ai moderni sceicchi.
    Elegantissima la sala del trono e gli appartamenti reali, tutti finemente decorati con affreschi raffinati di squisita fattura di sapore moderno: non dimentichiamo che siamo nel 1700 avanti Cristo, quando, ripetiamo, in Italia settentrionale era appena iniziata l'era del Bronzo Antico!
    Anche qui i ben forniti magazzini con le loro brave giare per la bruton, ed una ricca collezione di vasi decorati con i motivi che ne richiamavano il contenuto: la palma per il vino di datteri, l'orzo per la bruton, la foglia di vite per il vino di uva.
    Dai magazzini di questo palazzo, in ancora oggi efficienti condotte di ceramica, scorreva vino e bruton sino alle mense reali, offerte ai commensali da nobili coppieri che versano il vino in larghe coppe d'oro e di argento e la birra in lunghi calici affusolati per meglio far risaltare la spuma, come si può vedere da una delicata statuetta di maiolica, raffigurante una non identificata dea, elegantemente vestita ed adora di ricchi gioielli, con in mano l'affusolata coppa RHYTON.



    La canzone da pub britannica “Beer, Beer, Beer” che attribuisce l’invenzione della birra al fantomatico Charlie Mopps, ma la storia ci racconta che solo molto avanti nella storia britannica della birra, questa conteneva luppolo:



    « A long time ago, way back in history
    When all there was to drink was nothin’ but cups of tea,
    Along came a man by the name of Charlie Mopps
    And he invented the wonderful drink, and he made it out of hops…. »


    « Molto tempo fa, indietro nella storia
    Quando tutto quello che c’era da bere erano solo tazze di tè,
    Arrivò un uomo chiamato Charlie Mopps
    Ed egli inventò la meravigliosa bevanda, e la fece con il luppolo."




    dal web
     
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  13. gheagabry
     
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    A Bruxelles la birra è già nell'aria. Nella capitale del Belgio, questa frase perde la retorica da cartolina e assume l'effervescenza e le bollicine della Lambic, la rinomata birra che si fabbrica solo qui grazie alla particolare atmosfera. Ma nel cuore d'Europa, la birra non è solo una bevanda o un modo per passare il tempo. È cultura, tradizione, natura, è il tempo stesso. Si può dire che i bruxelloises guardino il mondo attraverso un boccale. Seduti ad un tavolo, basta guardare al bicchiere di birra che gli sta di fronte per capire il periodo dell'anno o della giornata: corposa e scura d'inverno, leggera e aromatizzata ai frutti o ai fiori d'estate; accompagnata da crostini al formaggio e di media gradazione all'ora dell'aperitivo oppure sopra gli otto gradi e senza niente per il dopo cena.

    A partire da questa prima tappa si può muovere alla scoperta di indirizzi magari meno ricchi di storia, ma con altrettante bollicine. Si va dai negozi iper-specializzati dove sugli scaffali troneggiano più di 400 etichette nazionali insieme ai relativi bicchieri e accessori, ai ristoranti dove la birra diventa protagonista anche nei piatti, passando per le brasserie storiche dove ogni settimana vengono proposti palets de degustation (una tavoletta con cui si servono quattro o cinque boccali di birre diverse da degustare in un certo ordine) di produzioni nazionali particolari.

    Il Belgio chiamato anche "paradiso della birra" per la tradizione che vanta più di 450 etichette e l'arte dell'affinage - certi tipi di birra come le rifermentate invecchiano fino a 20 anni come i grandi vini - e degli abbinamenti (numerosi sono i corsi per diventare sommelier di birra), ha nella capitale una summa dei saperi e sapori del luppolo.
    Chiunque passi per Bruxelles non può resistere alla tentazione di bere un bicchiere di Lambic o Gueuze, ma la visita può essere un¹occasione per scoprire l'arte del brassage. La prima testimonianza di questa "scienza" si trova al Musée de la Bière (vedi pag. 17) installato proprio nel cuore della città: sulla Grand Place in un antico edificio che dal XVII secolo ospita la Corporazione dei birrai.

    A partire da questa prima tappa si può muovere alla scoperta di indirizzi magari meno ricchi di storia, ma con altrettante bollicine. Si va dai negozi iper-specializzati dove sugli scaffali troneggiano più di 400 etichette nazionali insieme ai relativi bicchieri e accessori, ai ristoranti dove la birra diventa protagonista anche nei piatti, passando per le brasserie storiche dove ogni settimana vengono proposti palets de degustation (una tavoletta con cui si servono quattro o cinque boccali di birre diverse da degustare in un certo ordine) di produzioni nazionali particolari.

    Gli amidi del grano si trasformano in zuccheri e il liquido ottenuto - mosto -viene filtrato e messo in vasche per portarlo ad ebollizione. A questo punto si aggiunge del luppolo invecchiato di più di un anno (è meno amaro) che serve alla conservazione. Il mosto è in seguito raffreddato nella soffitta della brasserie in una vasca in rame bassa e larga e che permette una maggiore aerazione. È in questa fase, infatti che si verifica la fermentazione spontanea grazie e dei microrganismi naturali (i Brettanomyces Lambicus e i Brettanomyces Bruxelliensis) presenti unicamente nella regione di Bruxelles che permettono la trasformazione dello zucchero in alcool. Una volta raffreddato il mosto è travasato in fusti o botti di quercia dove matura almeno due estati. La Lambic si può bere così, ma serve soprattutto come base per la fabbricazione di gueuzes, e birre fruttate come la Kriek.

    Gueuze
    La Gueuze è il risultato di un mélange tra differenti birre di Lambic di annate precedenti. Il brasseur fa passare le Lambic di fusto in fusto finché è soddisfatto della combinazione e poi la birra viene imbottigliata per rifermentare di nuovo.
    I percorsi della birra qui non si limitano al centro, ma attraversano tutta la città e le sue culture. Che si chiami bière o bier, la birra è patrimonio comune dei due gruppi linguistici: i valloni di lingua francese e fiamminghi che parlano il nederlandese. Ai locali storici, intorno alla Grand Place dove i pensionati si ritrovano da sempre per giocare a "421" (un antico gioco con le carte), si aggiungono ritrovi di tendenza nei nuovi quartieri pensati per una clientela giovane, ma altrettanto appassionata. Anche nella zona dove hanno sede le Istituzioni comunitarie (intorno al Rond-point-Schuman), i pub con nomi irlandesi o scozzesi offrono birre locali ai funzionari stranieri di stanza qui che la sera si allontanano un po' dall'Europa per avvicinarsi alla passione del Paese che li ospita.

    Con questa vocazione cosmopolita, sostenuta dal suo passato che le ha lasciato una ricca eredità di monumenti e tradizioni, Bruxelles non è solo la capitale dell¹Europa e della birra, ma anche dei gourmet.

    I percorsi della birra qui non si limitano al centro, ma attraversano tutta la città e le sue culture. Che si chiami bière o bier, la birra è patrimonio comune dei due gruppi linguistici: i valloni di lingua francese e fiamminghi che parlano il nederlandese. Ai locali storici, intorno alla Grand Place dove i pensionati si ritrovano da sempre per giocare a "421" (un antico gioco con le carte), si aggiungono ritrovi di tendenza nei nuovi quartieri pensati per una clientela giovane, ma altrettanto appassionata. Anche nella zona dove hanno sede le Istituzioni comunitarie (intorno al Rond-point-Schuman), i pub con nomi irlandesi o scozzesi offrono birre locali ai funzionari stranieri di stanza qui che la sera si allontanano un po' dall'Europa per avvicinarsi alla passione del Paese che li ospita. Con questa vocazione cosmopolita, sostenuta dal suo passato che le ha lasciato una ricca eredità di monumenti e tradizioni, Bruxelles non è solo la capitale dell'Europa e della birra, ma anche dei gourmet.

    Con 1800 ristoranti, negozi di delicatessen e oltre un centinaio di vie dedicate alle delizie della tavola, la capitale belga è un paradiso dei buongustai che qui possono coltivare tutte le loro passioni e approfondire le proprie conoscenze in musei specializzati come quello dedicato alla cioccolata o all'indivia.
    La cucina belga è, infatti, varia quasi quanto le sue birre e il soprannome di kiekefretter (mangiapolli) va oramai troppo stretto ai bruxelloises. Tra i vapori della Rue des Bouchers, dove ristoranti per tutti i palati e tasche si susseguono, si può sentire il mare di Knokke guardando i cesti di pesce esposti o sentire i rumori della foresta di Soignes poco fuori città, spalmando il saporito burro sui crostini di pane.

    bruxel2

    Qui nessuno vi guarderà male se decideste di accompagnare, la sogliola di Ostenda o il foie gras con un bicchiere di birra. Anzi, il maître vi aiuterà a scegliere quella che si accorda meglio con il piatto ordinato. Oppure si può optare per una pietanza cucinata con la birra preferita come il waterzoi (pollo bollito con uno spesso passato di patate e verdura), la carbonade (carni miste stufate con verdura) o le moules (i mitili).
    In alcuni locali, addirittura, la birra troneggia nell'intero menù accompagnando il viaggiatore dall'antipasto al dolce in un'escalation che culmina nel matrimonio tra i due cibi simbolo di Bruxelles: cioccolata e birra.

    Tutti i segreti della Birra
    Fermentazione naturale per birre speciali
    Da secoli, la particolare aria di Bruxelles rende possibile la produzione di una birra speciale, la Lambic, che può essere bevuta direttamente o servire di base per numerose altre specialità in bottiglia.
    Lambic
    Ma nel cuore d'Europa, la birra non è solo una bevanda o un modo per passare il tempo. È cultura, tradizione, natura, è il tempo stesso. Si può dire che i bruxelloises guardino il mondo attraverso un boccale. Seduti ad un tavolo, basta guardare al bicchiere di birra che gli sta di fronte per capire il periodo dell'anno o della giornata: corposa e scura d'inverno, leggera e aromatizzata ai frutti o ai fiori d¹estate; accompagnata da crostini al formaggio e di media gradazione all'ora dell'aperitivo oppure sopra gli otto gradi e senza niente per il dopo cena.

    Il Belgio chiamato anche "paradiso della birra" per la tradizione che vanta più di 450 etichette e l'arte dell'affinage - certi tipi di birra come le rifermentate invecchiano fino a 20 anni come i grandi vini - e degli abbinamenti (numerosi sono i corsi per diventare sommelier di birra), ha nella capitale una summa dei saperi e sapori del luppolo.
    Chiunque passi per Bruxelles non può resistere alla tentazione di bere un bicchiere di Lambic o Gueuze, ma la visita può essere un'occasione per scoprire l'arte del brassage.

    La prima testimonianza di questa "scienza" si trova al Musée de la Bière (vedi pag. 17) installato proprio nel cuore della città: sulla Grand Place in un antico edificio che dal XVII secolo ospita la Corporazione dei birrai.
    Con 1800 ristoranti, negozi di delicatessen e oltre un centinaio di vie dedicate alle delizie della tavola, la capitale belga è un paradiso dei buongustai che qui possono coltivare tutte le loro passioni e approfondire le proprie conoscenze in musei specializzati come quello dedicato alla cioccolata o all'indivia.

    L'equilibrio tra le diverse annate è un passaggio molto delicato perché se prevale la Lambic giovane durante la rifermentazione in bottiglia possono saltare i tappi, se invece sono troppo invecchiate il prodotto finale perderà in bollicine. Ha un colore biondo dorato e un gusto acido e fruttato. Si beve fresca, tra i 5° e i 6°.

    Kriek
    La Kriek è una birra di alta fermentazione. Per ottenerla si fanno macerare delle ciliegie nel lambic (circa 150 kg per 650 lt). La birra ha un colore rosso, un gusto molto acido e dissetante con un tasso alcolico di 5°.

    Iris
    È una birra di fermentazione spontanea creata dalla Maison Cantillon nel 1998.
    L'Iris è l'emblema della regione Bruxelles-capitale. La ricetta per la birra varia parecchio a seconda dei lambic e, soprattutto, nelle dosi dei cereali e del luppolo.
    L'Iris ha un colore ambrato e un gusto piuttosto amaro e caramellato. La particolarità è che viene fatta una sola volta all¹anno.

    (Da "I Viaggi di Repubblica", numero 312 - 11 marzo)





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  14. giuvi43
     
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    DAL VINITALY LE BIRRE DI FARCHIONI


    “Qualità per tutti” potrebbe essere il motto della famiglia Farchioni, come per l’olio prima, per il vino poi, adesso è l’ora della birra!


    Sempre intuitivo e lungimirante Pompeo Farchioni aggiunge nuova linfa alla gamma dei prodotti di qualità che segue con passione assieme ai figli Gian Paolo e Marco, oltre ovviamente al suo staff. E come a volte capita per dei progetti ambiziosi, il birrificio artigianale "Mastri Birrai Umbri” nasce così per caso una sera a cena.


    Mister Farchioni si trova in un ristorante a Bologna con la moglie e sta per ordinare una bottiglia di vino con un solo calice perchè lei è astemia, destino curioso questo per un produttore di vino, quando riflette e pensa “sono stanco, se ordino una bottiglia finisco per bermela tutta ed è meglio di no, guarda un po’ cosa c’è in carta e pensa, quasi quasi ordino una birra, poco alcol….!”
    Non è un bevitore di birra, non se ne è mai occupato, ordina una Baladin, dunque una birra artigianale. Rimane affascinato tanto che dopo un po’ di insistenza convince la dolce metà ad assaggiarla, in breve lei ne beve due bicchieri. Incredibile successo! Tra l’incredulo e lo sbalordito decide di volerne sapere di più, nei mesi seguenti osserva, analizza gli scaffali dei GDO, confronta, degusta e scopre un mondo interessantissimo ma con delle lacune.
    Il mondo dei consumatori di birre artigianali è privo di un prodotto di alta qualità, a un costo contenuto e a bassa alcolicità. Un giorno raduna la famiglia, chiama il suo direttore alimentare Andrea Violetti e comunica loro che si farà birra! Shock generale, ma è proprio questo quello che amano di Pompeo. Sarà una birra di alta qualità, di facile beva, rappresentativa del loro territorio perché fatta con materie prime umbre, che piacerà a tutti.
    Assume un giovane dottorando in agraria che sta per specializzarsi proprio in questo settore, Michele Sensidoni e decolla il “Progetto Birre”. Il progetto segue la filosofia personale di Pompeo: utilizzare materie prime del Territorio, prevede quindi l’impiego di malti speciali, frumenti e legumi accuratamente selezionati della regione Umbria. Le birre sono create attraverso il processo artigianale dell’alta fermentazione e della rifermentazione in bottiglia per esaltarne aromi e gusto.
    Le birre sono “Crude”, non pastorizzate e non filtrate, hanno caratteristiche organolettiche eleganti e originali, con un “corpo” morbido e persistente, fresco e piacevole, di alta bevibilità. Il ridotto contenuto in alcool compreso tra il 5% e il 6% determinano la possibilità di bere con meno problemi e l’utilizzo d’ingredienti per la birra innovativi come farro, cicerchia e lenticchia, rigorosamente umbri quindi un forte legame con il territorio. “Per piacere a tutti la birra deve entrare in bocca dolce e…. finire con l’amaro”. Questa è una delle caratteristiche che contraddistingue le birre Mastri Birrai Umbri. Un panel di degustazione composto dalla famiglia Farchioni e dai collaboratori, valuta per mesi le diverse prove e seleziona tre ricette.
    La sala cottura è il cuore della birreria ed il luogo dove si effettua la cotta, le diverse vengono numerate e alla fine la scelta cade su: cotta numero …21, 37, e 74. L'associazione del nome Cotta ad un numero differente, identifica la ricetta, il prodotto e sottolinea l'esclusività.
    Due linee sono in arrivo: una per la GDO e l’altra per il canale Horeca.
    Sono nate così:
    COTTA 21 La birra bionda artigianale al farro
    COTTA 37 La birra rossa artigianale alla cicerchia
    COTTA 74 la birra scura artigianale alla lenticchia, doppio malto



    Farchioni dal 1780 coltiva, trasforma e vende i prodotti della terra
    “Vogliamo realizzare birre artigianali uniche e ricercate, integrate in una logica di filiera agricola nel territorio Umbro. Di alta bevibilità e dall’inconfondibile originalità che contraddistingue tutti i nostri prodotti.”
    Pompeo Farchioni

     
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    Suor Hildegarda e il luppolo


    ... Il lato femminile della birra affonda le sue radici nella storia ..



    61.Luppolo



    La storia della birra si perde nella notte dei tempi, fra le bevande più antiche e leggendarie sembra essere forse la più conosciuta e diffusa nel mondo. Non è facile dire dove sia nata, dal momento che ne parlano sia i bassorilievi sumeri, sia i papiri egizi, e addirittura c’è chi rammenta un’antica tradizione azteca di produzione di birra ed una cinese.

    Le notizie più precise si trovano dopo il 1000 d.C. In questo periodo la birra, già largamente diffusa in tutta Europa, viene prodotta artigianalmente in casa o nei conventi dall’operatività saggia e lungimirante dei monaci che, tra tutte le loro attività, non disdegnavano di mettere a punto e perfezionare tecniche e ricette per la produzione di birra. Ma non erano soltanto i monaci a produrre e testare il risultato del loro prodotto.

    Anche le monache vi si dedicarono, in particolare Suor Hildegarda Bingen, geniale studiosa e botanica, appartenente al convento di S. Rupert, in Germania, che intorno al 1100 d.C. intuì le qualità del luppolo come antibatterico particolarmente adatto alla conservazione della birra. I benefici apportati dell’aggiunta di questo ingrediente nella ricetta per la preparazione della birra sono molteplici e spesso la birra veniva usata anche in campo curativo contro svariate patologie.


    birra-e-luppolo luppolo



    Oggi l’aromatizzazione della birra è affidata essenzialmente al luppolo. Pianta perenne, erbacea e rampicante che cresce principalmente in zona temperate. L’utilizzo del luppolo è strettamente legato alla ricetta del mastro birraio, solitamente per la produzione della birra vengono utilizzate solo le inflorescenze femminili non fecondate contenenti luppolina, tannino e oli eterei importanti per dare stabilità alla schiuma.

    Questo viaggio attraverso la storia della birra mette in evidenza come uno degli ingredienti essenziali, senza il quale la birra non sarebbe ciò che è, sia stato introdotto da una figura femminile, rimarcando con forza che anche la birra ha un suo lato femminile.


    Fonte:ilovebeer.it,web
     
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