LA BIRRA..

storia tipologia..usi in cucina..

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    "In balia delle onde, delle maree e dei molluschi
    che si attaccano alle bottiglie dando loro un’aria decisamente vissuta."


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    La birra dei pirati? Invecchia nelle profondità del mare del Nord



    di Lara De Luna

    Oliver Köhn, vigile del fuoco e birraio per passione, affina le bottiglie sott'acqua alla foce del fiume Elba.

    C'era una volta la limited edition, arrivò poi la Pirate Edition. E non si trattò nemmeno di Rum, ma di birra. E non veniva fatta ai Caraibi, ma affinata nelle fredde acque del Mare del Nord, grazie all'idea di un vigile del fuoco, che probabilmente poco si avvicina alla sregolatezza del bucaniere, assorbendone però la curiosità e il genio. Perché l'idea di far invecchiare per tre mesi la birra sotto il livello del mare, in modo da regalarle un aspetto inconfondibile - le bottiglie sembrano uscite dallo scrigno di Davy Jones in Pirati dei Caraibi - e un sapore decisamente diverso è sicuramente un piccolo grande momento di genio.

    Tutto è nato dai cirripedi, quella tipologia di crostacei che si attacca alla porzione immersa della barca, creando spesso fastidio al malcapitato pescatore o natane di turno. E lamentele, come quelle ascoltate più e più volte da Oliver Köhn, vigile del fuoco a tempo pieno a Cuxhaven, cittadina tedesca adagiata sulle rive del mare a non molti chilometri di distanza dal confine con la Danimarca. Appassionato di birra e gestore di un microbirrificio - il Cuxhavener Bierbrisen - insieme alla moglie e alla cognata, Köhn guida anche escursioni che partono dal loro piccolo ristorante, appassionato delle storie e delle tradizione di quei luoghi. Così, nel tempo, è arrivato a chiedersi se i cirripedi di sarebbero mai attaccati sulla superficie liscia e scivolosa delle bottiglie, così diversa dal legno poroso e accattivante delle barche. Cosa sarebbe successo, insomma, a provare a immergere una selezione delle sue birre per qualche tempo.

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    Il tempo sono diventate nello specifico dodici settimane, e "la selezione" si è assestata nel 2020 - per il terzo anno consecutivo - a circa 50 bottiglie. Una small batch particolarmente ricercata, che dà veramente l'impressione di essere sulla Perla Nera. Dopo il primo esperimento, infatti, le bottiglie ritirate fuori dal mare, dopo tutti quei giorni accarezzati tanto dall'acqua salmastra quanto da quella dell'Elba che li si immette nel mare, sono tornate in superficie ricolme di cirripedi, mentre le casse di legno dove erano state conservate, avevano fatto un buon raccolto di vongole. Prima di essere immesse sul mercato le bottiglie vengono pulite dal limo e rese appena più presentabili, e poi vendute insieme a dei guanti di cotone, in modo che chi versa la birra possa evitare di ferirsi le mani con i gusci dei molluschi. Al palato "la birra è più mite e un po 'più chiara, ma ancora naturalmente torbida", dice Köhn, descrivendo il risultato del costante movimento che le bottiglie hanno subito per tre mesi a causa delle onde e delle maree.


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    Quando gli uomini hanno cominciato ad assumere uno stile di vita sedentario e a coltivare il grano, circa 13 mila anni fa, probabilmente scoprirono la possibilità della fermentazione, trattandosi di un fenomeno naturale. Ma secondo alcune fonti solo a partire dal V secolo a.C. si sarebbe affermata la produzione deliberata di birra nell’antica Mesopotamia.

    La bevanda divenne così importante presso l’antica cultura mesopotamica che i sumeri ebbero anche una dea della birra, Ninkasi, e un anonimo poeta, colpito dal suo potere, le dedicò un inno nel 1800 a.C. Figlia del potente creatore Enki e di Ninti, «regina del lago sacro», Ninkasi era una dea potentissima. L’inno a Nikasi non fornisce solo un punto di vista sull’importanza della birra nella mitologia sumera, ma ci dà anche una ricetta per la preparazione dell’antica birra sumera, la più antica che abbiamo finora.

    "Tu sei colei che con ambo le mani regge il grande dolce mosto di malto,
    facendolo fermentare con miele e vino, Ninkasi.

    Il tino per il filtraggio, che produce un suono piacevole,
    tu lo sistemi in modo appropriato su una larga tinozza raccoglitrice.

    Quando versi la birra filtrata dalla tinozza raccoglitrice,
    è come l’avanzata impetuosa del Tigri e dell’Eufrate, Ninkasi."



    La prima testimonianza scritta la troviamo nel “Monumento Blu”, una tavoletta di argilla a caratteri cuneiformi di epoca predinastica sumerica, datata 3700 a.C. nella quale si menzionano doni a una dea, Ninkasi, consistenti in “miele, capretti e birra”.



    I “Codici hammurabici” illustrano puntigliosamente come deve essere preparato il “vino di datteri” e la se-bar-bi-sag. E’ sorprendente notare come tale procedimento, siano ancora oggi valido nella sua essenzialità: maltizzazione, macinatura, lievitazione, cottura, filtraggio, aromatizzazione. La fabbricazione era estremamente semplice ed efficace. Selezionavano dal raccolto annuale il migliore orzo, che veniva posto ad inumidire sino a quando principiava la germinazione, quindi veniva messo ad asciugare al sole e quando era ben secco, si macinava e si impastava con acqua formando dei pani. Quando questi erano spontaneamente lievitati, si ponevano a cuocere a forno molto caldo, in modo che si formasse rapidamente la crosta, mentre all’interno la pasta doveva rimanere molliccia. Per ottenere la birra, questi pani venivano frantumati e posti a cuocere con abbondante acqua in grandi recipienti di terracotta, quindi, al liquido filtrato, si aggiungevano erbe aromatiche, come la salvia ed il rosmarino. Tutto ciò avveniva sotto lo stretto controllo dello Stato, l’unico e solo ad avere diritto a tali produzioni, e la lavorazione ufficiale veniva fatta nei locali delle cantine reali, dai prestigiosi “gal-bi-sag”, i Mastribirrai dell’epoca, utilizzando apposite giare e vasi sui quali spiccavano, oltre ai simboli dell’orzo e della birra, i sigilli reali.
    La conservazione del frumento avveniva nelle anfore granarie. Prima di sigillarle ermeticamente con cera d’ape, ponevano all’interno alcune piccole tartarughe le quali, respirando, consumavano tutto l’ossigeno, assicurando così la migliore conservazione. Il più noto ed autorevole bevitore di birra del mondo antico, fu il mitico eroe babilonese Enkidu, così come viene narrato nella epopea di Gilgamesch.(https://edinterranunnaka.wordpress.com/)
     
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