LA BIRRA..

storia tipologia..usi in cucina..

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    Le birre azteche e inca


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    ...Bevande mesoamericane ...


    gato



    Quante volte diciamo scherzando che la birra è sacra, e non può mancare in una vera festa? Niente era più vero per i popoli precolombiani del Mesoamerica, per i quali la birra era un ingrediente irrinunciabile della tavola e delle festività religiose e politiche. Questi popoli ottenevano la loro birra dal mais, elemento fondamentale della loro dieta e della loro concezione cosmogonica (nonché della loro medicina). Il mais era associato al sole e al benessere della comunità, e il re doveva garantire questi elementi alla sua società attraverso dei sacrifici che regolavano lo scambio fra divintà e uomini. Gli dei mandavano sulla terra la pioggia, il sole e il mais, permettendo la vita della comunità, e in cambio gli uomini offrivano mais e bevande derivate, oltre al proprio sangue.


    Il tepache



    Il tepache è la birra di cui si hanno meno notizie in epoca preispanica, ma il suo nome in nahuatl, “tepiatl”, significa proprio “bevanda del mais”.


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    Oggi tuttavia il tepache non viene preparato col mais, ma con l’ananas, principalmente, o con altri frutti come mela, arancia, susine, timbiriche (Bromelia karatas): questi vengono messi a fermentare con acqua e zucchero di canna nelle “tepacheras”, botti coperte da un telo, per due o tre giorni; la bevanda che se ne ottiene è dolce e rinfrescante, ed è diffusa soprattutto nel Messico centrale. Si beve ai pasti e durante alcune festività religiose. Se la fermentazione dura più di tre giorni, si ricava un aceto che viene usato per insaporire i piatti.



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    tepache



    Il tesgüino



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    Il tesgüino è un’altra birra ottenuta dal mais, tipica del popolo tarahumara del Chihuahua (Messico settentrionale) ma bevuta anche dagli yaquis del Sonora e dagli huicholes del Nayarit e del Jalisco, i quali lo bevono quotidianamente oltre che durante la settimana santa e il 24 giugno (S. Giovanni), dagli zapotechi dell’Oaxaca, dai Pimas del Sonora, i quali celebrano il raccolto dei campi bevendo tesgüino nella festa dello “yumari”, dai tepehuanos del Durango e dai meticci, che lo bevono leggermente modificato (tejuino).

    Tarahumara e tepehuanos prendono le decisioni politiche ed economiche più importanti durante feste chiamate “tesgüinadas”: come lascia intendere il nome, in queste occasioni è previsto un largo consumo di tesgüino, ma esso viene bevuto anche durante feste familiari, celebrazioni religiose e sportive. Sembra che, per via del suo alto contenuto proteico, questi popoli somministrino tesgüino diluito in acqua anche ai bimbi di pochi giorni!

    Il nome tesgüino deriva dal nahuatl tecuin, che indica il palpitare del cuore.

    Si prendono i grani del mais e si mettono a germogliare in cavità procurate nel terreno, in condizioni di oscurità; usciti i germogli, si aggiunge dell’acqua e si porta a ebollizione; si lascia raffreddare e si aggiungono erbe o parti di diverse piante (le radici, la corteccia, le foglie, il succo), oppure il peyote. Si lascia fermentare il tutto e dopo uno o più giorni (anche dieci giorni, dipende dai gusti) il tesgüino è pronto.


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    I meticci preparano diversamente il loro tejuin: non utilizzano nessun catalizzatore della fermentazione, ma alla fine della preparazione aggiungono zucchero di canna, grezzo (piloncillo) o raffinato, e succo di limone o ghiaccio. Il tejuin è una bevanda rinfrescante che viene consumata quotidianamente.



    La chicha



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    La chicha, infine, è una bevanda fatta di mais e acqua (a volte acqua d’orzo; alcuni aggiungono l’ananas o altri frutti e semi locali), centrale nell’antica società inca e consumata ancor oggi nei paesi andini. La particolarità di questa bevanda è che viene preparata masticando parte del mais necessario, che viene poi sputato e unito al resto dei grani fungendo così da lievito. La poltiglia viene fatta bollire, a volte con del lime, e fatta fermentare per tre o quattro giorni. La gradazione è bassa e il sapore di questa bevanda ricorda quello di un forte sidro di mele. Il nome stesso, chica, significherebbe “diventare aspro, amaro”, e si riferirebbe all’azione dovuta alla masticazione del mais.

    Gli usi di questa bevanda erano molti e fondamentali nella vita politica e religiosa inca. Innanzitutto era un gesto di ospitalità: quando un nobile visitava un suo pari, portava un vaso di chica, che doveva dividere in due coppe e bere con lui. Lo stesso doveva fare poi chi riceveva la visita: prendeva un suo vaso di chica e riempiva due coppe, una per sé e una per chi lo visitava. Era il più grande onore che un nobile potesse dare e ricevere. Se questo non avveniva, il nobile si considerava insultato, e i rapporti potevano incrinarsi pesantemente.


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    C’erano tuttavia dei riferimenti alle gerarchie di potere di cui bisognava tener conto quando si offriva una coppa di chica: se la si offriva con la mano sinistra, chi la riceveva aveva uno status inferiore; se la si porgeva con la destra, chi la riceveva godeva dello stesso status o superiore. Questo era importante soprattutto nelle interazioni sociali e di scambio con nuovi partner.La chicha inoltre era legata alla fertilità: durante la semina, alcune ragazze la spargevano sulla terra assieme ai grani; se accidentalmente si spandeva qualche goccia di questa birra, si diceva che “la terra aveva sete”. Una festività particolare infine prevedeva l’impiego della chicha: il “Capac Hucha”, il sacrificio di prigionieri di guerra o di bambini (maschi o femmine) promessi in tributo al re inca dalle comunità alleate. I corpi delle vittime venivano sfregati dei fondi di chicha e, divinizzati, venivano portati con grandi cerimonie in luoghi particolari, huacas (luoghi sacri, dove avveniva lo scambio fra uomini e divinità), delle cave situate ai quattro angoli del territorio circostante. Si riteneva che solo i re inca potessero “far parlare gli huacas”. Qui le vittime venivano sepolte, e a volte venivano sotterrate vive e intossicate attraverso la somministrazione di chicha tramite un tubo per cinque giorni. Con questo rituale, gli Inca si dimostravano in grado di trasferire la spiritualità alle comunità loro sottoposte, e aumentavano in questo modo il proprio prestigio; allo stesso tempo mantenevano l’armonia nell’impero e naturalmente con le divinità.


    gato


    Fonte:Antea Paviotti,frontierenews.it,web
     
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    La «super-birra» conquista gli Usa


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    ...Fermentata con cioccolato, ostriche, zucche

    di Halloween e cicoria ...


    Negli Stati Uniti hanno trovato un modo per fermentare la birra
    con ingredienti inusuali, come cioccolato, le zucche, e persino le ostriche. I ragazzi statunitensi la
    chiamano la super birra e ne vanno così matti che la produzione è coperta da 1500 stabilimenti. Il
    padre incontestato del trend è l’italo-americano Sam Calagione: ne vende 25 milioni di bottiglie
    all'anno.



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    NEW YORK – Ha un contenuto alcolico superiore al vino, è ricavata fermentando ingredienti bizzarri quali il cioccolato, le ostriche, le zucche di Halloween, la cicoria e sta conquistando milioni di giovani americani da una costa all’altra degli States. E’ la super-birra, o meglio «la Birra estrema», come l’ha ribattezzata il New Yorker in un lungo articolo di ben 12 pagine dedicato all’ultimo trend enogastronomico.


    BOOM - «Oggi esistono circa 1500 fabbriche di birra negli Stati Uniti dedite a questo tipo di prodotto», scrive il settimanale dell’intellighenzia newyorchese, spiegando che «nei negozi di alcolici e nei supermercati di lusso quali Whole Foods, le birre alla pesca e al lampone artico fanno a gara con i più esclusivi Cru francesi, californiani ed italiani». Il padre incontestato del trend è l’italo-americano Sam Calagione, fondatore della Dogfish Head Craft Brewery, una fabbrica di birra del Delaware, considerato il pioniere del movimento da quando aprì i battenti nel lontano 1995. Oggi Calagione è una sorta di super star, come dimostra l’annuale Great American Beer Festival dove viene puntualmente riverito come un Dio. E anche gli affari gli vanno a gonfie vele. La Dogfish da sola vende oltre 25 milioni di bottiglie l’anno ed è distribuita su scala nazionale al non proprio modico prezzo di 16-18 dollari al litro.


    SUPERALCOLICA - A dargli filo da torcere sono concorrenti quali Pyramid, Magic Hat Brewing Company e Brooklyn Brewery Anche i loro prodotti hanno un contenuto alcolico che oscilla dai 10 ai 18 gradi. L’interesse suscitato da queste birre è tale che sono sorti diversi siti web per fornire agli appassionati la ricetta per fabbricarsi la super-birra a casa da soli: «La procedura è molto simile a quella delle marche tradizionali», assicurano, «cambiano solo gli ingredienti». In realtà i fautori del movimento si rifanno ad una pratica antichissima. «Si sono ispirati alle leggendarie bevande inebrianti usate dai Maya e dagli Aztechi durante i loro cerimoniali sacri», scrive il New Yorker, ricordando come «Gli stessi Stati Uniti d’America furono per decenni la culla delle birre più insolite e creative».


    ALIMENTO E ANTIDEPRESSIVO - Nel 1873 le circa 4 mila fabbriche di birra del Paese sfornavano una varietà enorme di birre cosiddette «etniche». E durante la Guerra Civile l’apposita commissione sanitaria nominata dal governo Usa definii ufficialmente la birra «un alimento e un valido sostituto alla verdura». In tempi di crisi economica galoppante c’è già chi considera la super-birra l’antidoto ideale per aiutare il paese ad uscire dall’Angst collettivo.



    birra


    Fonte:Alessandra Farkas,www.corriere.it,buttalapasta.it,web
     
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    Le birre trappiste


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    ...La storia, le origini ..


    Si definisce birra trappista una birra fabbricata da monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo. Dei 171 monasteri trappisti nel mondo (dati aprile 2005), solo sette producono birra (sei in Belgio e uno in Olanda). Solo queste sette birrerie sono autorizzate a etichettare le loro birre con il logo Authentic trappist product ("Autentico Prodotto Trappista") che indica l'osservanza di una serie di regole stabilite dall'Associazione Internazionale dei Trappisti.

    STORIA - L'ordine dei Trappisti ha avuto origine nel monastero cistercense di La Trappe, in Francia. Nel 1664 l'abate di La Trappe, reputando troppo liberali i comportamenti dei monaci cistercensi, decise di introdurre una serie di nuove regole più severe da adottare all'interno dell'abbazia (fra le quali l'obbligo di bere solo acqua) facendo così nascere il nuovo ordine (detto della "stretta osservanza"). Col passare del tempo però le regole sono andate rilassandosi e nel diciannovesimo secolo in numerosi monasteri francesi che seguivano la "stretta osservanza" veniva prodotta birra. I trappisti erano solo uno fra i tanti ordini monastici a produrre birra per finanziare il proprio sostentamento, ma erano sicuramente fra i più attivi: c'erano almeno sei birrerie trappiste in Francia, sei in Belgio, due in Olanda, una in Germania, una in Austria e probabilmente anche in altri paesi. In seguito alla rivoluzione francese e alle guerre mondiali però la maggior parte di questi monasteri andò distrutta. Nonostante ciò la popolarità delle birre Trappiste continuò a crescere, tanto che numerose birrerie non autorizzate cercarono di sfruttare commercialmente il logo, obbligando i monaci a prendere provvedimenti e a far nascere l'Associazione Trappista Internazionale.

    Associazione Trappista Internazionale (ITA) - Nel 1997, otto abbazie trappiste - sei del Belgio (Orval, Chimay, Westvleteren, Rochefort, Westmalle e Achel), una olandese (Koningshoeven) e una tedesca (Mariawald) - fondarono l'Associazione Trappista Internazionale (ITA) per prevenire l'uso improprio del marchio trappista da parte di compagnie commerciali non autorizzate. Quest'associazione creò un logo che può essere assegnato a vari prodotti (formaggio, birra, vino, etc.) che rispettino precisi criteri di produzione. Per le birre i criteri sono i seguenti:
    La birra deve essere prodotta all'interno delle mura di un'abbazia trappista, da parte di monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo.
    La produzione, la scelta dei processi produttivi e l'orientamento commerciale devono ovviamente dipendere dalla comunità monastica.
    Lo scopo economico della produzione di birra deve essere diretto al sostentamento dei monaci e alla beneficenza e non al profitto finanziario.
    L'associazione ha valore legale e il logo serve a dare precise garanzie al consumatore sul prodotto offerto e sulla sua fabbricazione.



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    Solo sette birrerie sono attualmente autorizzate a etichettare le proprie birre con il logo Authentic Trappist Product:

    Bières de Chimay
    Brasserie d'Orval
    Brasserie de Rochefort
    Brouwerij Westmalle
    Brouwerij Westvleteren
    Brouwerij de Achelse Kluis (produce la birra Achel)
    Brouwerij De Koningshoeven (produce la birra La Trappe)

    La Roquefort è prodotta dai monaci cistercensi (di stretta osservanza) all'interno dell'Abbazia di Nostra Signora di Saint Remy, motivo per il quale la brasserie non può essere visitata. Un'ottima birra, non serve essere intenditori per apprezzarne il gusto ed il corpo.


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    Un classico dall'abbazia trappista belga di Westmalle, a Malle, nella regione della Fiandre; tracce dell'esistenza del monastero risalgono al 1794, mentre l'inizio della produzione della birra avviene nel 1836 quando il convento viene elevato al rango di "abbazia". Questa dubbel é di colore marrone scuro, con sfumatore rossastre molto belle; schiuma ocra, cremosa, con buona persistenza. Naso molto ricco e complesso con frutta (prugne, uvetta), caramello, malto tostato, frutta secca e spezie. Il corpo è medio, bassa carbonatazione. In bocca è molto morbida, liquorosa, con note di frutta sotto spirito, malto tostato, mandorle, caffè, zucchero di canna; riesce a sorprendere quasi ad ogni sorso con sapori diversi, man mano che la sua temperatura si alza. Dolce ma assolutamente equilibrata, termina secca (con una leggerissima astringenza) con un retrogusto amaro di malto tostato, luppolo e frutta secca. Birra sontuosa, di carattere, ricchissima. Forse "la" dubbel per eccellenza, o poco ci manca.


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    Questa birra proviene dal Belgio, precisamente dall'abbazia di Notre Dame d'Orval, nella regione della Vallonia che rappresenta la più antica comunità cistercense del Belgio. La Orval è l'unica tipologia di birra trappista prodotta dal monastero interessato a differenza di altri birre trappiste che presentano diverse tipologie. E' una birra speciale con una gradazione alcolica di 6,2 (14,5 ° saccarometrici), che può essere degustata anche da sola in funzione dell'estrema complessità del gusto e degli aromi, nonché di una struttura poliedrica e stupefacente.
    Presenta un colore ambrato scuro, torbido, un odore molto corposo quasi vinoso. Sarebbe da bere nel bicchiere denominato "baloon" che ne esalta gli odori e la schiuma che appare molto persistente e cremosa. La Orval si può abbinare a piatti con sapori decisi quali carni alla brace e formaggi stagionati e speziati. Differentemente dalla maggior parte delle birre questa birra va bevuta ad una temperatura non molto bassa, quindi sarebbe opportuno non tenerla molto a lungo in frigo, oppure consumarla dopo averla tolta molto tempo prima della degustazione.

    La birreria olandese De Koningshoeven produce l'unica autentica birra trappista dell'Olanda. Tuttavia fra il 1999 e ottobre 2005 le fu revocata l'autorizzazione all'utilizzo del logo, a causa di un accordo commerciale con un grande gruppo industriale (Bavaria).


    Fonte:wikipedia,unabirralgiorno.blogspot.it,birraiciociari.it,ienasottoimulini.blogspot.it,web
     
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    Dal Belgio il “made in trappist”


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    ...Sei francobolli per le birre dei monaci.

    Con sorpresa per accentuarne il realismo: una vernice speciale ..




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    GEN 14 2012 ... Mentre l'Italia attende i quindici francobolli enologici annunciati per il 24 marzo, il Belgio arriva con le birre dei monaci trappisti. Sei gli esemplari di classe “1” per l'Europa raccolti come foglietto e in vendita complessivamente a 5,94 euro con il 16 gennaio. Anche se già oggi a Tongeren verrà effettuata la prevendita.
    Ogni carta valore offre bottiglia, tappo e bicchiere pieno del liquido di una pregiata marca, nella confezione postale citate rigorosamente in ordine alfabetico. Cominciando quindi dalla Achel e proseguendo con Chimay, Orval, Rochefort, Westmalle e Westvleteren.
    E c'è pure la sorpresa, perché una vernice speciale è stata applicata sulle vignette, così da accentuarne il realismo.
    Dietro all'iniziativa, l'Associazione internazionale trappista, che coinvolge sedici abbazie e conventi in Austria, Belgio, Francia, Germania e Paesi Bassi. Per questa realtà, sono solo sei i centri locali che possono utilizzare la denominazione “Authentic trappist product”, proprio quelli citati con l'emissione. Cambiano i gusti ed i colori, ma tutte sono birre d'eccellenza. E non è un caso se il Paese è reputato nel mondo anche per tale bevanda.


    Fonte:vaccarinews.it
     
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    La lavorazione della birra






    ...Come si fa la birra ..



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    ...Il malto ..



    La produzione della birra ha una lunga tradizione, forse perché le basi, come il maltaggio di grani di cereali e la fermentazione, si trovano anche nei processi naturali. Nonostante i progressi tecnici compiuti nella fabbricazione della birra, il maltaggio dell'orzo non è che una copia del processo di trasformazione che subiscono i grani d'orzo quando cadono nel terreno e si inzuppano di piovana. Nel momento in cui iniziano a sbocciare, i granelli attingono alle proprie riserve di amidi per sviluppare radichette che poi affondano nel terreno, come a creare una nuova pianta. Imitando e controllando attentamente questo processo, il maltatore favorisce la germinazione, fermandola quando sono stati prodotti enzimi sufficienti e alcuni amidi complessi sono stati trasformati in zuccheri semplici. Dopo aver rimosso delicatamente i piccoli germogli, il malto verde viene essiccato in forno e curato, per poi essere inviato al birrificio. Qui viene macinato delicatamente e mescolato immediatamente ad acqua calda o a quello che il birraio chiama "liquore della birra". Questo processo detto "infusione" attiva gli enzimi presenti nel malto, che trasformano gli amidi complessi in zuccheri semplici, i quali saranno poi consumati più rapidamente dal lievito durante la fermentazione.


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    ...Il luppolo ..



    La prima testimonianza di coltivazione del luppolo in Europa risale al 768 ed è riportata dai monaci cristiani. I documenti si trovano oggi nella famosa accademia della birra di Weihenstephan, in Baviera. Non si hanno notizie circa l'utilizzo del luppolo nella fabbricazione della birra, ma è certo che i monaci lo sperimentarono poiché per produrre la bevanda venivano impiegate quasi tutte le erbe amare. I birrai fiamminghi iniziarono a usare il luppolo intorno al 1500, espandendo poi questa pratica in tutto il continente. Per molti anni gli Inglesi considerarono l'uso di questa erba straniera come un'adulterazione della buona birra chiara, nonostante gli immigrati dall'Olanda la impiegassero già per fare la birra. Enrico VIII ne proibì l'utilizzo in qualsiasi birra chiara, o ale, non specificatamente definita "birra" dagli osti, in modo che i consumatori sapessero esattamente cosa stavano bevendo. A quel tempo i produttori inglesi di ale impiegavano erbe come il marrubio, il mirto di palude, l'edera terrestre, il trifoglio acquatico e la corteccia di vari alberi, per bilanciare l'eccessiva dolcezza del malto d'orzo. I fiori di luppolo crescono in strutture a forma di cono, dette "strobili", sulla pianta femmina. Questi coni contengono le ghiandole luppoline, le quali forniscono una polvere giallastra aromatica e amara, detta luppolino, che attenua la dolcezza del malto, conferendo gusto e aroma e agendo da conservante e schiarente naturale. Mentre il sapore e l'aroma provengono da olii essenziali presenti nella pianta, l'amarezza del luppolo deriva dagli alfa acidi contenuti nelle resine delle ghiandole luppoline. Questi acidi forniscono anche i conservanti che ritardano il deterioramento. La percentuale di alfa acidi, misurata in base a quella del peso del fiore composta dalla resina di alfa acidi, viene utilizzata per calcolare il potenziale di amarezza e il potere conservante. Il luppolo viene impiegato in diverse forme, per fare la birra: fiori interi, compresse di fiori interi, polvere granulare ed estratti. Nell'ambito di fabbricazione della bevanda, il luppolo viene invece classificato in due varietà principali: quella che contiene alte percentuali di alfa acidi, usata per infondere un gusto amaro, e quella con percentuali inferiori, preferita per conferire un aroma e un gusto più raffinati. Si tratta di una classificazione alquanto semplificata, perché molti tipi di luppolo servono a entrambi gli scopi, se usati in quantità adeguate o se correttamente miscelati con altre varietà.


    ...Il lievito ..



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    Lieviti di birra sono miceti unicellulari che trasformano lo zucchero di malto in alcol, anidride carbonica e altri sottoprodotti in grado di conferire alla birra il suo sapore unico. Nel corso dei secoli, l'importanza del lievito non è mai stata compresa appieno. I monaci si riferivano a esso con l'eufemismo "Dio è buono", perché ritenevano che la sua azione fosse un miracolo. Oggi, grazie alla ricerca compiuta da L. Pasteur sulle sue proprietà e al lavoro svolto da E. Hansen al birrificio Carlsberg per isolarne le singole varietà, il lievito viene trattato come oggetto di studio della microbiologia ad alto contenuto tecnologico e non più come una sostanza divina. Ne esistono due specie principali: il Saccharomyces cerevisiae e il Saccharomyces uva rum. Il primo, impiegato nella fabbricazione della birra ale, predilige le temperature elevate e, al termine della fermentazione, si deposita in superficie. Il secondo, usato per produrre la lager (birra chiara tedesca), preferisce temperature più basse e cola sul fondo del recipiente durante la fermentazione. Tuttavia, nella birra nessun lievito fermenta solo in superficie o sul fondo. Sia il luppolo delle ale sia quello delle lager sono caratterizzati da un grande varietà di specie, che danno a ogni birra un carattere unico in fatto di gusto, corpo e aroma.



    ...L'acqua ..



    L'acqua impiegata per fare la birra, detta "liquore" dai birrai professionisti, rappresenta il 95% del prodotto finale e influisce sia sul gusto della bevanda che sul processo di fabbricazione. Il birraio bilancia accuratamente i sei principali Sali presenti nell'acqua (bicarbonato, sodio, cloruro, solfato calcio e magnesio) per raggiungere la qualità e il gusto desiderati. Il bicarbonato ha un valore decisivo nella fabbricazione della birra: i suoi bassi livelli risultano in un'elevata acidità dell'infuso, soprattutto quando sono usati tipi di malto scuro, e gli alti livelli in una scarsa riuscita del malto. Il conseguente pH elevato compromette l'efficacia degli enzimi che scindono l'amido in zuccheri. Il sodio e il cloruro contribuiscono al corpo, al gusto pieno e al carattere della birra; il secondo, in particolare, fa spiccare la dolcezza del malto. Il solfato è l'elemento che influenza maggiormente i tassi di luppolo, facendo risaltare l'aroma amaricato deciso e asciutto presente quando le IBU (International Bittering Units, cioè "unita di amarezza") sono troppo alte. Il calcio favorisce la precipitazione delle proteine ("scissione") durante l'ebollizione. Il magnesio è considerato un nutriente del lievito.


    ...Il processo di fabbricazione ..



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    Il malto d'orzo viene macinato nel mulino a cilindri, mescolato ad acqua bollente e ammostato in un grande recipiente di rame, legno o acciaio inossidabile. L'ammostatura avviene nella caldaia di miscela e saccarificazione per infusione o per decozione. Con il primo processo l'infuso di malto, una mistura simile a farina d'avena, produce un liquido dorato dolce, il mosto di malto. Durante il processo di decozione, invece, una parte dell'infuso di malto viene dapprima fatta bollire in una caldaia per facilitare la disgregazione delle proteine e poi pompata di nuovo nel tino originario, dove la temperatura viene lentamente alzata nel corso di diverse ore. Si utilizza questo metodo soprattutto per la produzione delle weissbier (birre chiare tedesche) e delle bock (birre tedesche forti e scure), per conferire un più intenso gusto maltato. Raggiungendo un compromesso tra i due metodi tradizionali, molti birrifici usano un infuso di malto a temperatura controllata, alzata gradatamente nel corso di più ore, in un unico recipiente. Decantato e filtrato il primo mosto, si innaffia quello residuo, detto trebbie, con acqua molto calda (circa 70°) per asportarne tutto il maltosio. I grani sfruttati vengono poi scartati o usati come cibo per il bestiame. Segue la bollitura e aromatizzazione del mosto col luppolo, che avviene nella caldaia di luppolamento e in genere dura da un'ora e mezzo a tre ore. Successivamente il mosto viene privato delle particelle di luppolo nel separatore del luppolo, centrifugato per rimuovere le proteine coagulate, raffreddato in refrigeratori e rinfrescatoi e travasato nel tino di fermentazione, nel quale viene versata una nuova dose di lievito. Di solito la fermentazione dura da cinque a dieci giorni, passati i quali la birra giovane, o "verde", viene pompata in una vasca di condizionamento, dove deposita per un periodo che va da una a due settimane, durante il quale diviene limpida e giunge a maturazione. Le birre chiare tedesche sono sottoposte a una fermentazione più lunga, che comprende due settimane nella prima vasca, due nella seconda e da uno a sei mesi in quella di condizionamento. Prima di uscire dalla fabbrica, la birra viene filtrata e imbottigliata. Esistono diversi metodi per rendere frizzante la bevanda: molti birrifici addizionano la birra liscia con anidride carbonica. Le fabbriche tedesche, a volte la "increspano" mescolando il mosto in fermentazione mediante insufflazione di anidride carbonica. Si può infine imbottigliare la birra prima del completamento della fermentazione, intrappolando così al suo interno la quantità di anidride carbonica necessaria. Nelle birre condizionate in bottiglia si aggiungono una nuova dose di lievito e zuccheri per ottenere un'effervescenza naturale o una nuova fermentazione in bottiglia.


    Fonte:pub38.it,web
     
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    ..Curiosità ...

    Un boccale di birra mododose tappato

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    ...Boccale monodose tappato, un progetto tutto italiano ..



    Un progetto italiano brevettato, prodotto e distribuito da SD Spazio Digitale S.r.l di Salerno che nasce nel Dicembre dal 2000, con il nuovissimo e innovativo sistema brevettato di somministrazione della birra.

    JUST BEER è un nuovo modo di bere birra, se in commercio è possibile attualmente comprare la birra preferita solo in lattina o bottiglia perché non aggiungere il nuovo formato IN BOCCALE MONODOSE IDONEAMENTE TAPPATO. Da questo punto è partita l’idea di due imprenditori salernitani capaci di grande ingegno, che hanno studiato un nuovo formato capace di soddisfare i clienti e che fosse igienico al primo uso. A chi non piace bere una birra fredda appena spillata; ora immaginate di poter comprare la birra imbicchierata in BOCCALE ermeticamente chiusa con tappo a vite appositamente studiato per la corretta conservazione della birra. Il cliente quindi sarà consumatore e al tempo stesso proprietario del nuovo formato da noi proposto.


    Un bicchiere al primo utilizzo perfettamente igienico

    Una vera e propria novità nel settore dei birrifici e di tutti i bevitori amanti della bionda, ognuno farà il possibile per accaparrarsi un bicchiere originale al primo utilizzo!

    Monodose & riutilizzabile

    JUST BEER il nuovo boccale è la giusta dose di birra da bere i boccali di varie misure da 33 cl a 1 litro passando per la classica Pinta...naturalmente riutilizzabile migliaia di volte grazie al tappo che conserva i valori organolettici della birra.

    Tappo salvafreschezza

    Grazie al tappo in dotazione ad ogni boccale Just Beer, è possibile riutilizzarlo e consumare il contenuto desiderato, oltre alla possibilità di reintegro con altro prodotto.

    Rispetto per l'ambiente con la soluzione Just beer più clienti e meno rifiuti!

    Un progetto italiano brevettato, prodotto e distribuito da SD Spazio Digitale S.r.l di Salerno che nasce nel Dicembre dal 2000 azienda leader nel settore delle telecomunicazioni. Oggi si è affacciata al mondo del Trading internazionale con il nuovissimo e innovativo sistema brevettato di somministrazione della birra.


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    ...Birra al tartufo nel cuore dell’Umbria ..



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    Nel cuore dell`Umbria, a Città della Pieve, in provincia di Perugia, c`è un piccolo birrificio che produce birra artigianale, rigorosamente non pastorizzata e non filtrata.
    Nel birrificio umbro nascono birre come la doppio malto al tartufo, al basilico, al malto di Vienna e zafferano o anche alla radice di liquirizia. Se quest’ultima riprende un poì lo stile inglese, desta curiosità la birra al tartufo. Una volta aperta la bottiglia si può sentire il sapore del pregiato fungo mentre, assaporandola, si può scorgere il suo gusto delicato.



    ...La birra al basilico di Busalla arriva a Tokyo ..



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    Nei ristoranti italiani di Tokyo si può degustare la birra al basilico prodotta nel birrificio di Busalla, in provincia di Genova. I maestri birrari dell’azienda La superba hanno infatti inviato in Giappone le prime casse con le bottiglie di questa bevanda. Andrea Mura, titolare del birrificio insieme a Luca Re, così presenta la nuova birra: “Siamo nati con la birra alla castagna e oggi presentiamo la birra al basilico. E’ una birra chiara con l’aggiunta di basilico tritato e mischiato in cottura con il malto. Il risultato è una birra leggermente ambrata dal profumo di basilico di Prà”

    Fonte:mondobirra.org,italgrob.it,paperblog.com,web
     
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    La birra in lattina






    ...77 anni fa, negli Usa vengono vendute le prime lattine di birra.

    Per aprirle serve un punteruolo ..



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    ...Lattine vintage ..



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    Se oggi Homer Simpson può scolarsi la sua Duff ghiacciata è tutto merito di un piccolo birrificio di Newark, nel New Jersey. Era il 24 gennaio 1935, quando la Gottfried Krueger Brewery (Gkb) mise in commercio le prime birre in lattina a Richmond, Virginia. Una novità contagiosa che nello spazio di pochi mesi conquista altri 37 produttori negli Stati Uniti. E pensare che l'era del proibizionismo era terminata appena due anni prima.

    I primi tentativi di costruire le lattine avevano avuto luogo nel lontano 1909, ma non avevano condotto da nessuna parte. La birra non si adattava particolarmente bene al nuovo involucro perché il contenuto eccessivo in anidride carbonica faceva letteralmente esplodere le sottili giunture di latta. La soluzione arrivò solo nel 1933, quando vennero realizzate nuove latte che non esplodevano né rilasciavano ioni metallici all'interno del liquido. Fu così che la Gkb scese a patti con la American Can per installare una linea di produzione sperimentale.

    L'accordo prevedeva di installare gratis un impianto per l'inscatolamento in lattine: il birrificio avrebbe ripagato le spese anticipate dalla American Can solo se il business delle nuove confezioni fosse stato un successo. Dopo tutto, la Gbk non aveva niente da perdere visto che il fondatore dello stabilimento Gottfried Krueger era morto nel 1926 lasciando la ditta con l'acqua alla gola nel bel mezzo del proibizionismo. Per giunta, quando le leggi anti-alcol vennero abolite, i lavoratori dello stabilimento entrarono in sciopero.

    Per risollevare la situazione ci voleva giusto la birra in lattina. Dopo che l'American Can ebbe sviluppato un processo di rivestimento che rinforzava l'interno della confezione, la Gkb produsse una prima partita di 2000 pezzi da far testare nel 1933 a un panel di buongustai. Il responso fu promettente: il 91% dei partecipanti aveva apprezzato il gusto della birra. Non a caso, la principale delle preoccupazioni era quella che i clienti percepissero i prodotti in lattina come di serie B rispetto al vetro.

    Finalmente, il 24 gennaio del 1935 le lattine della Gkb fanno il loro esordio sul mercato. Sarà un successo senza pari, sebbene già un anno prima i giornali avessero liquidato la storia delle nuove confezioni dicendo che non sarebbero mai riuscite a rimpiazzare le bottiglie. Eppure, i nuovi contenitori erano ideali per il trasporto, oltre a essere più economici e sicuri del vetro. Gli altri birrifici fiutarono subito l'affare e si misero sulla scia dei pionieri della latta. Così, entro la fine del 1935, negli Stati Uniti se ne erano già venduti 200 milioni di pezzi.

    Con il passare degli anni, le lattine hanno subito diverse modifiche, a partire dal sistema di apertura. In origine, la sommità delle latte era completamente ermetico e per aprirla c'era bisogno di praticare un buco servendosi di una sorta di punteruolo.

    Le cose cambiarono agli inizi degli anni '60, quando Ermal Fraze introdusse l'apertura a linguetta verso l'esterno (esatto, quella che procura un mucchio di tagli sulle dita). L'apertura a pressione verso l'interno – più sicura, anche se meno igienica – venne introdotta dalle bibite Pepsi solo negli anni '70.

    Nel 1958, inoltre, l'alluminio arriva a sostituire il metallo nel confezionamento delle lattine. Ecco perché oggi i contenitori di latta vengono ritenuti migliori delle bottiglie. I puristi della birra forse non la pensano così, ma di sicuro il vetro non può proteggere il prezioso liquido fermentato da uno dei suoi nemici naturali: la luce.





    ...Le prime lattine ..



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    La storia americana della lattina inizia proprio con il tipo a "flat-top" (coperchio piatto), ma senza alcun meccanismo di apertura, problema importante per un imballagggio da usarsi fuori casa. Fin dal 1909 una birreria del Montana aveva interpellato la American Can Company per lo studio di una lattina in grado di contenere birra. La risposta fu negativa ed il proibizionismo degli anni '20 mise fine anche ad ulteriori tentativi. Intanto procedeva bene la vendita di sciroppo di malto in lattina (probabilmente usato da chi produceva la birra in casa) e si faceva strada la vendita di prodotti alimentari in confezione singola (ricordiamo che la birra veniva venduta solo in cassette di legno pesanti, ingombranti e fragili, con la necessatà del reso, quindi ulteriore costo, spazio e scomodità).
    La American Can riprese gli studi sul problema, trovando tutta una serie di difficoltà: la birra (acida) reagiva con la stagnatura della lamiera, non esistevano prodotti vernicianti adatti per l'interno del barattolo, nè si poteva usare la pece per birra, usata per i grandi contenitori. Inoltre la "saldatura" spesso lasciava fessure dovute all'evaporazione dei gas, fessure che con l'alta pressione durante la pastorizzazione si aprivano, non garantendo così la perfetta tenuta all'aria. Si dovette usare lamiera più spessa, creare delle scanalature nella parte della lamiera da saldare, che insieme ad un nuovo materiale saldante ed a sistemi di ventilazione particolari consentirono buoni risultati, anche perché finalmente si trovò una resina vinilica che garantiva un buon isolamento birra-metallo. Nel contempo le concorrenti Continental Can Company e Crown Can Company erano alla ricerca di soluzioni analoghe, tentando la via di cere resistenti alle alte temperature di pastorizzazione, mentre la National Can Company e la Pacific Can Company seguivano la strada della doppia smaltatura. Rimaneva sempre il problema dell'apertura, per cui bisognava fornire un apposito attrezzo, costoso e di non facile distribuzione. Solo nel primo anno se ne dovettero produrre ca. 31 milioni di pezzi. Inoltre occorreva anche fornire le istruzioni per l'uso. La Continental Can pensò quindi di seguire una via differente costruendo un coperchio conico che permettesse l'applicazione dell'usuale tappo a corona, ciò che evitava alle birrerie di doversi anche attrezzare di costose linee apposite per il riempimento.


    Nasceva così il "cone-top", che presentava un ulteriore vantaggio: nella lattina "flat" la birreria doveva comunque applicare il coperchio o il fondo ed il punto di contatto con la lattina non poteva venire trattato, mentre con il sistema della Continental il secondo strato di vernice veniva applicato nella lattina "finita".
    Veniamo ora ad alcune date significative nella storia della lattina.
    Nel novembre 1933 la Krueger Brewing Co. accettò di provare su una apposita linea provvisoria 2000 lattine della American, distribuite agli usuali consumatori per un test, che diede buoni risultati: il 91% diede un giudizio positivo. Ma solo il 24 gennaio 1935 la Krueger era pronta con una linea industriale, e le lattine vennero distribuite a macchia d'olio, partendo da Richmond, tanto che già nell'agosto del '35 la American forniva ben 180.000 lattine al giorno. Alla fine del 1935 almeno 36 birrerie usavano lattine prodotte da tre ditte differenti.
    Nel settembre, sempre del 1935, la Continental forniva i suoi primi Cone-top a Schlitz e Heileman, e due mesi più tardi anche alle scozzesi Felinfoel e Tennents. Nel corso degli anni il Cone-top subiva varie evoluzioni e modifiche nella forma del cono. L'ultimo cono venne prodotto nel 1960. Nel gennaio '42 cessava la produzione di lattine di birra ad uso civile. Ricordiamo che le birrerie maggiori non usarono mai più coni, perché più cari e più ingombranti. Nel '58 nasceva la prima lattina flat in alluminio (per la Primo - Hawaii). Dopo una prova nel '62, i primi tappi con apertura a "bottoni" comparvero nel '63, prima del tappo ad anello a strappo (1965). Dobbiamo aspettare il 1975 per le prime linguette fisse, come le conosciamo oggi, mentre tre anni dopo (1978) venne introdotto l'UPC.


    Fonte:daily.wired.it,Ivo de Simoni,ilbarattolo.org,web
     
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    BIRRA E ARTE



    La birra è presente nelle arti figurative, soprattutto nella pittura fiamminga, solitamente come elemento di contorno e raramente come oggetto principale della raffigurazione. Non è un caso che tale pittura si sia diffusa nell’area in Belgio ed Olanda: due paesi rinomati per la qualità della birra. Nelle Fiandre infatti, sono prodotte più di 450 etichette e tra cui la Lambic, che si fabbrica solo qui grazie ai particolari microrganismi presenti nell’aria.
    Per gli artisti fiamminghi la birra è una bevanda molto comune tanto da venir abitualmente inserita in numerose opere della cosiddetta “pittura di genere”. Ad essere rappresentate erano soprattutto vivaci scene popolaresche e campagnole in cui la birra era sempre presente. Questa bevanda, infatti, bevuta soprattutto dalla gente comune, non mancava mai nei banchetti nuziali: le tele di Pieter Bruegel il Vecchio (1525 – 1569), David Teniers il Giovane (1610 – 1690), Adriaen Brouwer (1605 – 1638), Jan Steen (1626 – 1679) e Frans Van Mieris (1635-1681) ne sono dei chiari esempi.



    Anche all’interno della ritrattistica fiamminga, che conobbe una straordinaria fortuna tra il Cinquecento e il Seicento, la birra trova una sua collocazione precisa dove viene impiegata per caratterizzare la psicologia dei personaggi.
    Rembrandt (1606 – 1669), tra i più grandi ritrattisti fiamminghi, dipinge “Autoritratto con Saskia” dove si ritrae assieme alla sua compagna mentre brinda con un gigantesco bicchiere. In quest’opera, ricca di straordinari effetti di luce e chiaroscuro che comunicano spesso una nota di calma e staticità, la birra stretta tra le mani del pittore emerge dal fondo d’ombra per elevarsi al cielo in un brindisi ormai divenuto storico.
    Come Rembrandt anche Frans Hals (1580 – 1666), altro ritrattista fiammingo, dipinge dei boccali di birra in mano ad alcuni dei suoi personaggi usando però il colore in modo diverso, con pennellate vigorose e toni più brillanti. La birra anche in questo caso serve ad esplicare il carattere dei personaggi, come la strega di Haarlem, che sembrano felici di stringere un boccale di birra.
    La birra però acquista un ruolo di maggiore importanza nelle “nature morte”, genere che ha avuto notevole diffusione principalmente nei Paesi Bassi mentre era considerato meno importante nel resto d’Europa.
    In questa forma artistica che raffigura elementi naturali inanimati come frutti, fiori, pesci, selvaggina morta o oggetti, come libri e strumenti musicali generalmente disposti su una superficie piana, fa la sua comparsa anche la birra. Nei quadri del pittore barocco tedesco Jan Jansz Van de Velde (1620-1662), ad esempio, la vediamo assieme a brocche, uva, carte, piatti e fiori, dove è illuminata da una luce calda e soffusa.



    Più lugubri sono invece le nature morte di Vincent Van Gogh (1853 – 1890) che hanno per protagonista dei boccali di birra ed alcuni frutti. Il genio olandese però rappresenta la birra anche nel famoso “Agostina Segatori al caffè Tambourin” (cfr. foto in newsletter). In questa tela di ascendenze tipicamente impressioniste, dipinta a Parigi nel 1887 nel Caffè Tambourin gestito proprio dall’italiana ed ex modella di Degas, Agostina Segatori, il boccale di birra assieme alla sigaretta e all’uso di colori opachi comunica quel senso di tristezza e malinconia che pervade tutta l’opera. Tuttavia gli artisti fiamminghi non hanno rappresentato solo boccali, bottiglie o lattine, ma anche birrerie e fabbriche di birra, diffusissime nelle Fiandre e nei Paesi Bassi.
    Uno degli esempi di quest’ultimo caso risale al 1627 e si tratta di un delicato disegno a penna realizzato da un artista olandese, Jacob Matham (1589 – 1631), con una tecnica definita “di confine”. Il delicato disegno (c’è chi lo chiama “pittura a penna” o penschildereij) è stato eseguito su una tavola preparata per accogliere i tratti dell’artista che spesso sceglie questa tecnica anche per “documentare” quello che accade nel mondo. L’opera di Jacob Matham, si trova ad Haarlem, al museo che porta il nome del grande Frans Hals. Vi è ritratta la fabbrica di birra e la ricca casa di campagna di un tale Jan Claesz, un mercante di Haarlem.



    Anche in Germania, altro paese che vanta una tradizione birraria di tutto rispetto, ci sono stati artisti che hanno omaggiato la birra nelle loro opere, tra questi spiccano Peter Jakob Horemans (1700 – 1766) e Eduard Grutzner (1846 – 1925). Nei dipinti di Horemans, uno dei primi ad accostare la birra alle donne, questa bevanda è presentata in contesti domestici, caldi e familiari, accanto a delle casalinghe che si godono un attimo di riposo mentre nelle opere di Grutzner essa è raffigurata in ambiti più “religiosi”. Grutzner, infatti, grande appassionato di birra artigianale, visitò numerosi monasteri della Germania che producevano birra e lì dipinse una serie di quadri dove ritrae i monaci-birrai in momenti di lavoro, di svago e di riposo.



    informabirra.it
     
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    FORATTINI, ARBORE, la BIRRA

    e alcuni personaggi poco famosi.






















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    La birra? Falla da te


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    Uno dei kit per «home brewery», la creazione e l'imbottigliamento delle birre in casa.


    Si chiama «homebrewing», ovvero il preparare la birra a casa e ha contagiato sempre più italiani. Ecco una miniguida per imparare a fare la vostra. Dal kit per istantaneo ai procedimenti base per ottenere, in un mese, la vostra «bionda»


    di Sara Tieni


    Farsi la birra in casa? Il trend è sempre più forte e viene dagli Stati Uniti dove l' "homebrewing" è una tradizione consolidata dai tempi del proibizionismo.

    Il produttore di birra casalinga in Italia invece si chiama «domozimurgo» (da "domo" radice latina per "casa" e "zimurgia", ovvero la scienza dei processi di fermentazione).

    Gli ingredienti, al costo di 70/100 Euro, sono questi, per una produzione minima di base:
    -5 kg di malto di orzo
    -30 litri di acqua (che dopo la bollitura scenderanno a 23)
    -70 / 90 grammi di luppolo
    -lievito PREPARAZIONE BASE

    Per prima cosa dovete macinare l’orzo e farlo cuocere con l’acqua a 68 gradi per un ora, filtrate il composto che avete ottenuto e poi fate cuocere il composto filtrato, cioè il mosto, per un’altra ora con il luppolo.

    Dopo di che si aggiunge il lievito, che di solito viene scelto in base al tipo di birra che volete ottenere, poi fate riposare il composto per 1 settimana.

    Poi dovete procedere con l’imbottigliamento e dopo un mese potrete assaggiare la vostra birra fatta in casa.

    In alternativa su Birramia potete estrarre gli estratti di malto già luppolati grazie a cui potete fare la vostra birra in modo quasi istantaneo: in pratica vendono questi estratti come sciroppi a cui dovete solo aggiungere l’acqua calda, lo zucchero, se il malto che avete scelto lo richiede, e poi far bollire tutto solo per 5 minuti, poi si procede con il solito imbottigliamanto.

    I 3 MODI PER FARE LA BIRRA IN CASA

    LIVELLO BASE: si utilizza l'estratto di malto già preparato e disponibile sul mercato, si porta a ebollizione, si mescola e si fa fermentare.

    LIVELLO INTERMEDIO: E+G (da Estratto + Grani) si utilizzano sempre gli estratti di malto, magari non luppolati, ma ci si serve anche di luppoli scelti, oppure di piccole quantità di malto speciale, che si fanno bollire e si mescolano all'estratto per dare alla birra il tocco personale cercato. Fermentazione, come sopra.

    LIVELLO AVANZATO: AG (da All Grain) si parte dalle materie prime grezze (malto, luppolo, acqua, zucchero, lievito), si macina il grano, si fa bollire il mosto con il luppolo, si filtrano le trebbie, si fa fermentare, come sopra. Qui, però, si possono controllare tutte le fasi del processo ed è quindi più interessante, e complicato.

    Uno dei kit per «home brewery», la creazione e l'imbottigliamento delle birre in casa.

    Se invece volete scoprire tutte le chicche dei birrifici italiani sfogliate la Guida alle Birre d'Italia 2013 di Lorenzo Da Bove aka Kuaska, tra i maggiori esperti di birra che raccontano il fiorire dei birrifici in Italia che all'oggi sono 400 in tutto, con una crescita di quasi il doppio rispetto al 2008.

    Tra le 1191 birre descritte nel volume, inoltre, balza agli occhi l'incredibile sviluppo del Sud. Così se dalla fine degli anni '90 era stato il settentrione il primo a trainare il settore, adesso la stessa passione e competenza ha contagiato anche il Sud, tradizionalmente meno legato alla cultura birraria.

    Ma per che cosa è famosa la birra italiana nel mondo.
    Quattro le tendenze: -Le birre alle castagne, declinato poi nelle diverse tecniche personali dei mastri birrai, che le usano in diversi modi: essiccate, affumicate, arrostite, bollite ecc.

    - Quelle ai cereali particolari e rari: dal farro in Garfagnana, Lazio e Abruzzo, ai cereali arcaici come il kamut e l’enkir, sino a quelle ai vari tipi di grano duro come e tenero.

    - Le birre «local», legate alle eccellenze del territorio come la birra con le pesche di Volpedo, la ciliegia Bella di Garbagna e il durone di Vignola, le mele casolane, i limoni di Sorrento, le prugne ramassin del Piemonte.

    - Infine le birre legate al mondo del vino. create con acini d’uva,mosto fresco o cotto, e la tendenza recente ma in grande esplosione delle birre in barrique create sia dai grandi produttori che dalle maison artigianali.


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    Fonte:www.vanityfair.it,termedivenezia.files.wordpress.com
     
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    Birra: le 5 regole
    per la degustazione perfetta

    di Sara Tieni

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    Servire una buona birra ad hoc è un'arte: questione di temperatura e di schiuma, temperatura e bicchiere giusti. Per gustarla al meglio ci vogliono piccoli accorgimenti «rubati»alle birrerie artigianali. Ecco una mini guida per «bionde» & Co

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    1. Mai gustarla senza schiuma
    La schiuma ha un ruolo fondamentale perché permette alla birra di conservare aroma e fragranza, oltre a contribuire a mantenere la giusta temperatura. La schiuma della birra inoltre aiuta il degustatore ad assorbire meno anidride carbonica, attenuando la sensazione di gonfiore. Una curiosità? Contrariamente a quanto potrebbe suggerire la vista, c'è più birra in un boccale servito con la schiuma che in uno servito senza.

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    2. La temperatura
    La temperatura della birra è fondamentale per esaltarne appieno tutti i sentori. E’ importante rispettare le indicazioni sull’etichetta. Se la birra è troppo fredda si rischia quasi sempre di arrivare ad una grande perdita di profumi e sapori. Una classica birra bionda esprime al meglio il suo sapore fresco e lun po' amaro a 3-4 °C, birre più corpose andrebbero degustate a 6-7 °C. Un indicatore della temperatura può essere anche la schiuma: poca schiuma è indice di una temperatura troppo bassa e viceversa.

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    3. Ogni birra, il suo bicchiere
    Ogni tipologia di birra ha caratteristiche proprie e distintive di gusto, aroma, colore, ma per poterne apprezzare fino in fondo ogni peculiarità, occorre un “veicolo” ad hoc, il bicchiere. Se in casa non si hanno bicchieri specifici per ogni birra, è possibile semplicemente usare un calice a tulipano per le birre meno strutturate e un ballon per quelle più complesse.

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    4. In frigo, niente cattive compagnie
    La birra è un prodotto vivo, quindi va trattata con tutti i riguardi per ottenerne la resa qualitativamente migliore. Sarebbe opportuno posizionarla in frigo lontano da alimenti con odori troppo pungenti o fastidiosi, che potrebbero influire sul sapore.



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    5. La pulizia del bicchiere
    E’ importante non lavare i bicchieri con il brillantante e non vi devono essere residui di sapone. Un bicchiere, se non è stato perfettamente pulito e risciacquato, porta la schiuma a scendere velocemente verso il fondo, impedendo alla stessa di aderire alle pareti del bicchiere.

     
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    Gif e birra, quando l'etichetta si anima




    Il formato scelto per le immagini è il GIF (Graphics Interchange Format), che consente piccole animazioni ed è molto più leggero di un video. Le gif vengono postate regolarmente su Beer Labels in Motion, il blog di Trevor Carmick dedicato alle etichette di birre in movimento. Qui sopra la gif della Uinta Brewing Company Cahoots



    La gif della Dogfish Head 60 Minute IPA



    Le etichette del birrificio americano Flying Dog sono disegnate da Ralph Steadman, noto per aver illustrato i libri dello scrittore Hunter S. Thompson come Paura e Disgusto a Las Vegas



    La gif della 21st Amendment Brewery Bitter American



    La gif della The Alchemist Heady Topper



    La gif della Pretty Things Jack D’Or



    Un’altra gif della Pretty Things Jack D’Or


    L’esplosione della birra artigianale (oltre 500 birrifici in Italia in meno di venti anni) ha portato una ventata d’aria fresca non solo nella nostra gola ma anche nelle altre arti. I grafici tentano di interpretare lo spirito della birra e del suo produttore creando etichette paragonabili ad autentiche opere d’arte mentre il designer Trevor Carmick ha pensato di fare un passo avanti animando i diversi elementi che le compongono come scritte o personaggi. (testi a cura di Alessio Lana @alessiolana)

    Fonte:©www.corriere.it
     
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    TRISCA, “Birra dell’anno 2015″: la giuria sceglie una siciliana



    Profumata e dal sapore fresco, con le note aromatiche di limone, basilico, zenzero e coriandolo, ha conquistato i 42 giudici del Premio Birra dell'anno 2015, trionfando al Beer Attraction che si è tenuto alla Fiera di Rimini. Si chiama Trisca, è prodotta dal birrificio Tarì di Modica ed è fra le premiate della sezione "Spezie e cereali, alta e bassa fermentazione".

    Il concorso, voluto da Unionbirrai, è arrivato alla decima edizione e premia le migliori produzioni italiane artigianali. Per la prima volta la Sicilia ha guadagnato un importante riconoscimento in questo settore. La Trisca nasce dalla collaborazione tra il birrificio Tarì e Corrado Assenza, maestro pasticcere del Caffè Sicilia di Noto e si era già fatta notare, rientrando nella Guida alle Birre d'Italia 2015 Slow Food, nella categoria "Birra Quotidiana".

    Le birre in concorso erano circa 800, suddivise in 26 categorie: per ogni categoria, sono state scelte le migliori dell'anno.

    Birra profumata e dal sapore fresco, Trisca propone le note aromatiche del limone, del basilico, dello zenzero e del coriandolo. «I sacrifici dati dal duro lavoro, dalla perseveranza e dallo studio attento primo o poi vengono sempre ripagati – hanno spiegato Fabio e Luca, che dedicano da un po' di anni energia e passione nella loro attività al birrificio -. Siamo partiti con spirito pioneristico e tanta umiltà ma non avremmo mai immaginato che in così breve tempo avremmo potuto accedere a simili riconoscimenti nazionali ed internazionali provenienti da una giuria altamente qualificata».



    www.siciliafan.it
     
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    ARRIVA LA BIRRA FATTA CON L'ACQUA DI MARE. IL PREZZO SALE O SCENDE A SECONDA DELLA MAREA










    La birra all'acqua salata


    Lunedì 23 Maggio 2016, 18:21

    di Luisa Mosello
    Il mare in un boccale. Di birra, fatta proprio con l’acqua salata (anche se debitamente filtrata) . Accade in Spagna, esattamente in Galizia, nelle Rias Baixas zona famosa in tutto il mondo per i suoi pregiati frutti marini, ostriche in primis. L’ha ideata un geniale birraio, Oscar Cascellana.

    L’ha chiamata Mustache (Negra Marinera) con tanto di etichetta dai grandi baffi che, almeno quelli, rimandano subito al mondo della bionda, o rossa che sia (questa è artigianale e scura). Perché sì, è un po’ difficile associare quella che non si ha proprio voglia di ingoiare mentre si nuota con la bevanda sempre più amata. Eppure il gusto piace e affonda le sue origini nel passato, come spiega Cascellana al quaotidiano El Mundo: «E' un omaggio ai marinai. Secoli fa, nei borghi di pescatori si accompagnava la birra con le ostriche. Il miscuglio si combina bene, per il dolce e la salinità».

    Un esperimento che sembrerebbe alquanto azzardato e invece sta trovando parecchi estimatori, fra gli spagnoli e non solo. Infatti, la produzione ancora limitata, viene già esportata in America, nella Repubblica Dominicana, nella Svezia e pure nell’Olanda.che del settore se ne intende. Merito anche dell’originale pubblicità sul web che indica il costo ballerino della birra salata, che aumenta o diminuisce a seconda dell’alta o della bassa marea. “Il prezzo lo decide il mare” si può vedere sulla pagina elpreciolodictaelmar.com che grazie all'Instituto Hidrográfico de la Marina spagnolo monitora i movimenti del mare in tempo reale proprio sulla costa galiziana. Come funziona? Quando la marea sale Mustacha costa meno perche aumenta l’acqua a disposizione. E quindi quello è il momento giusto per risparmiare, cliccare e comprare la propria bottiglia dei altalenanti desideri.

    © RIPRODUZIONE RISERVATA


    www.leggo.it/societa/cucina/birra_acqua_salata-1753123.html

    FONTE:
    © www.leggo.it/societa/cucina/birra_acqua_salata-1753123.html
     
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    CURIOSITA'


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    Nei consumatori sta crescendo la conoscenza della birra e certi luoghi comuni sono meno diffusi di un tempo, ma ce ne sono parecchi che ancora resistono: il fatto che la birra sia una bevanda da consumare con piatti semplici come la pizza, per esempio, o che faccia ingrassare, o ancora che in qualche modo il colore della birra sia collegato al grado alcolico (più è scura, più è “forte”). Di seguito abbiamo messo insieme alcuni di questi luoghi comuni, partendo da una definizione che in Italia è molto diffusa ma che crea un po’ di confusione: la “doppio malto”.
    «Mi dai una chiara doppio malto?»
    Se entraste in un pub in Inghilterra e chiedeste una pinta “double malt”, probabilmente vi arriverebbe in risposta un’occhiata interrogativa. La definizione infatti è solamente italiana e non ha nessun legame con le materie prime utilizzate né con la lavorazione: non indica un tipo di birra particolare, ma è una definizione legislativa usata per classificare le birre e introdotta da una legge italiana del 1962, e che poi per qualche motivo è entrata nell’uso comune per definire – erroneamente – le birre più pregiate rispetto a quelle normali.
    Secondo la legge italiana si può definire una birra “doppio malto” quando il suo grado saccarometrico (o grado Plato) è superiore a 15: il grado saccarometrico misura la quantità di zuccheri della birra prima che venga fermentata (quindi quando ancora è mosto). Non essendoci una stretta relazione tra la quantità di zuccheri del mosto e il grado alcolico della birra, non si può neanche legare la definizione “doppio malto” a birre molto alcoliche o con aromi particolari. L’aumento degli zuccheri non ha a che fare nemmeno col colore della birra, che invece è determinato soprattutto dal cereale di partenza: persino chi la sa lunga farebbe fatica a distinguere una birra normale da una “doppio malto”, a occhi chiusi.
    Peraltro, “doppio malto” non è l’unica definizione di cui parla quella legge: c’è anche la birra “speciale” nel caso in cui il mosto da cui è ricavata abbia tra i 13 e i 15 gradi saccarometrici. Ma vi è mai capitato di ordinare una “birra speciale”?
    Se la birra è scura allora è più “forte”
    Spesso, sbagliando, associamo il colore della birra al fatto che sia più o meno “forte”, cioè più o meno alcolica. Questo luogo comune deriva dal fatto che tradizionalmente il tipo di birra più diffuso in Italia è la lager – cioè un tipo di bionda poco alcolica e dal sapore poco deciso – come la Peroni, la Moretti o l’Heineken. Il fatto che queste birre siano leggere, però, non ha niente a che vedere con il colore, che è un parametro che non dice molto delle caratteristiche della birra: il grado alcolico del prodotto finale dipende dalla quantità di zuccheri del mosto e dal tipo di lievito utilizzato, che è l’ingrediente della birra che trasforma gli zuccheri del cereale (di solito viene usato l’orzo) in alcol. Al limite, quello che ci può suggerire il colore sono i sapori: una birra molto scura come la stout o la porter ne avrà uno tostato, simile al caffè o alla liquirizia, mentre una birra ambrata come una pale ale può ricordare alla lontana il caramello. Ma è un discorso complesso e il sapore può variare molto anche tra birre dello stesso colore.
    La temperatura a cui va servita la birra varia a seconda delle sue caratteristiche: più è corposa e dal sapore multiforme, più viene esaltata a temperature sopra i 10 gradi, anche se mai superiori ai 16. Insomma, quasi tiepida. Viceversa, se la birra è meno impegnativa e più facile da bere, può essere servita a basse temperature, ma mai inferiori a 6 gradi.

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    Il pregiudizio nei confronti della lattina è dovuto al fatto che le peggiori birre vendute al discount sono spesso in lattina, perché costa meno del contenitore in vetro. In realtà la lattina conserva la birra molto bene: la pensano così molti birrifici artigianali che la scelgono come contenitore di alcuni loro prodotti, fra cui il Baladin – forse il più famoso birrificio artigianale in Italia – e il Brewdog, un birrificio scozzese le cui birre ultimamente si vendono anche nei supermercati italiani. Al contrario di quello che si pensa, infatti, l’alluminio delle lattine non intacca il sapore della birra e la protegge meglio dalla luce, che invece può rovinarla rapidamente (è il motivo per cui i vetri delle bottiglie di birra non sono trasparenti).

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    La schiuma nella birra è fondamentale: forma uno strato protettivo che ritarda l’ossidazione della birra, conservandone meglio il sapore, e soprattutto trattiene l’anidride carbonica del liquido, evitando che si liberi nel nostro stomaco dopo che l’abbiamo bevuta (dopo poco tempo, infatti, evapora). In un recente articolo del New York Times si racconta proprio la crescente attenzione delle birrerie e dei pub a servire le birre con la quantità necessaria di schiuma, spiegando che le bolle che salgono e che formano la schiuma “catturano” gli aromi che poi vengono rilasciati lentamente. Se invece una birra viene versata senza schiuma, gli aromi vengono rilasciati nell’aria molto più velocemente.


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    La “pancia da birra” è un modo di dire piuttosto diffuso che ha provocato l’idea che la birra faccia ingrassare. Innanzitutto bisogna specificare che nessun alimento o bevanda fa ingrassare di per sé, ma – come si sente ripetere spesso – mettere su peso dipende soprattutto da quanto spesso vengono consumati cibi e bevande molto caloriche, e in che quantità. Detto questo, c’è un dato oggettivo da considerare: essendo spesso poco alcoliche, le birre sono anche poco caloriche. Un’Heineken piccola ha circa 138 calorie, meno di una barretta di Snickers e meno di 100 grammi di Cipster. Questo non significa che si può bere birra a profusione, ma è comunque un luogo comune pensare che faccia ingrassare di per sé.
    Come spiega il sito del birrificio Baladin, comunque, bisogna fare attenzione al tipo di birra che stiamo consumando: una molto alcolica e più corposa avrà più calorie e quindi farà più ingrassare. Il Baladin consiglia quindi di non chiederci «quanto fa ingrassare la birra, bensì “quanto fa ingrassare quella birra”».

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    Gli stili delle birre sono tantissimi ed è difficile catalogarli, perché a volte differiscono solamente per poche sfumature o per i processi di lavorazione. Per esempio, non tutti sanno che la pilsner è sostanzialmente un tipo di lager leggera e luppolata – a cui cioè nella fase finale di lavorazione è stato aggiunto del luppolo – inventata a Plzen, in Repubblica Ceca, nel 1842. Ma il tipo-pilsner identifica soltanto un metodo di lavorazione, diciamo una ricetta, ed è per questo che si possono trovare pilsner più scure o di aromi diversi.
    Un altro metodo di fermentazione è quello delle birre ale, originarie e tipiche della Gran Bretagna dove ancora oggi sono maggiormente diffuse. La tradizione birraia britannica è talmente diversa da quella continentale che anche l’etimologia della parola è differente: mentre la parola birra proviene quasi sicuramente dal verbo latino bibere, “bere”, ale ha un’antica radice che potrebbe essere associata al sapore amaro, a testimonianza del fatto che gli antenati dei britannici la producevano senza luppolo, quindi più amarognola delle varianti europee.
    A differenza delle lager, che sono fermentate a basse temperature, le ale vengono fermentate a una temperatura compresa tra i 15 e i 24 gradi, ma al pari delle lager possono variare molto tra loro: ci sono infatti tantissime sottocategorie che hanno a che fare con aromi e stili particolari. Se siete curiosi potete dare un’occhiata al catalogo del sito italiano MicroBirrifici oppure a quello del sito americano CraftBeer.




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