DINOSAURI...e ANIMALI PREISTORICI

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  1. gheagabry
     
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    Scoperti fossili di dinosauri con piume.
    Piume garantivano isolamento termico, ma anche colorata attrattiva sui partner. PECHINO - Tre resti fossili di una specie di dinosauro ancora sconosciuta sono stati ritrovati nella provincia del Liaoning nella Cina nordorientale da una équipe di ricercatori del Dipartimento di Paleontologia vertebrata dell'Accademia delle Scienze di Pechino. I fossili di quello che i ricercatori hanno definito Yutyrannus huali (tirannosauro dalle belle piume), sarebbero la prova dell'esistenza di "enormi dinosauri piumati" nel Cretaceo inferiore, periodo caratterizzato da una glaciazione. Le piume non solo avrebbero garantito ai grandi rettili un adeguato isolamento termico contro il clima glaciale, ma sarebbero state soprattutto un colorato strumento per attirare partner della stessa specie, hanno sostenuto i ricercatori cinesi in un articolo apparso sulla rivista scientifica britannica Nature. La scoperta dei tre fossili mette in discussione teorie sull'evoluzione dei grandi rettili preistorici considerate da molti paleontologi certe e "ci suggerisce quanto in realtà la conoscenza sui dinosauri sia ancora molto ristretta se non errata", ha ammesso uno degli autori della scoperta.[/color]
     
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  2. gheagabry
     
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    Così i dinosauri hanno riscaldato la Terra.
    La loro flatulenza ha fatto impennare il livello di metano. I giganteschi dinosauri potrebbero avere riscaldato la Terra con la loro flatulenza: un modello matematico ha calcolato che circa 150 milioni di anni fa questi enormi rettili potrebbero avere emesso una tale quantità di metano talmente grande da riscaldare il clima. E' quanto sostiene uno studio basato su un modello matematico pubblicato sulla rivista Current Biology, dai ricercatori britannici della Liverpool John Moores University, della universita' di St Andrews e dell'universita' di Londra. Lo studio si è concentrato sui giganteschi dinosauri sauropodi, caratteristici per le dimensioni enormi, tanto che potevano raggiungere anche 40 metri di lunghezza, e per l'insolito collo allungato. Come le mucche, questi giganteschi erbivori vissuti circa 150 milioni di anni fa ospitavano nel loro apparato digerente microrganismi che li aiutavano nella digestione, facendo fermentare le piante che mangiavano. L'effetto collaterale di questo processo e' stata la produzione di grandi quantità di metano. Per riuscire a calcolarla i ricercatori hanno elaborato un modello matematico dal quale risulta che ''i microrganismi che vivevano nell'organismo dei dinosauri sauropodi potrebbero avere prodotto abbastanza metano da avere un importante effetto sul clima del Mesozoico'', come ha osservato uno degli autori della ricerca, Dave Wilkinson della Liverpool John Moores University. I calcoli sulla flatulenza dei dinosauri ''suggeriscono - ha aggiunto - che questi dinosauri potrebbero aver prodotto piu' metano rispetto a tutte le moderne fonti sia naturali, sia industriali, messe insieme''. I ricercatori sono stati mossi da una domanda: se le mucche attuali producono abbastanza metano da interessare i climatologi, cosa possiamo dire dei sauropodi? Per cercare di scoprirlo i ricercatori hanno messo a punto delle equazioni che predicono la produzione di metano da animali di diverse dimensioni e per farlo hanno studiato la produzione di metano da una serie di animali moderni, come vacche, capre e giraffe. Ne è risultato che tali calcoli dipendono solo dalla massa totale degli animali in questione. Un sauropode di medie dimensioni pesava qualcosa come 20 tonnellate e, considerando che poche decine di individui occupavano circa un chilometro quadrato, i ricercatori hanno calcolato che le emissioni globali di metano dai sauropodi devono essere state circa 520 milioni di tonnellate per anno: una quantita' maggiore rispetto a quella delle moderne emissioni totali di metano, sia naturali, sia dalle attivita' industriali. In confronto i moderni ruminanti, come mucche, capre, giraffe, producono emissioni di metano comprese fra 50 e 100 milioni di tonnellate per anno.
     
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  3. gheagabry
     
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    L’affettuosa mamma plesiosauro

    La scoperta di un feto fossile fa pensare che questi antichi rettili marini fossero vivipari, come quasi tutti i mammiferi attuali. E che fossero anche genitori premurosi

    di Ker Than




    Una mamma plesiosauro dà alla luce il suo piccolo. Illustrazione per gentile concessione S. Abramowicz, Dinosaur Institute/NHM

    Anche i plesiosauri, grandi rettili preistorici dal lungo collo, proprio come i mammiferi partorivano i loro piccoli e non deponevano uova. Ma i paleontologi si pongono un’altra domanda: questi rettili marini vivevano in piccoli nuclei, madre-figlio, o si riunivano in gruppi più grandi come i delfini e le balene?

    Nel 1987 vennero scoperti dei resti fossilizzati di Polycotylus latippinus, un plesiosauro lungo quasi 5 metri che viveva 78 milioni di anni fa, durante il Cretaceo Superiore. In corrispondenza della sua cavità addominale furono ritrovate delle piccole ossa: erano i resti di un piccolo che non era ancora nato quando la madre morì.

    Pubblicato su Science, lo studio dei resti fossili della mamma plesiosauro e del suo cucciolo, documentano per la prima volta la viviparità in questo gruppo di rettili preistorici.

    La scoperta della viviparità, comunque, non è stata una sorpresa per i paleontologi. Si sapeva da tempo che i plesiosauri non erano adatti alla vita terrestre, e per loro sarebbe stato complicato risalire a riva e depositare le uova sulla terraferma, come invece facevano altri dinosauri. Inoltre, come spiega uno degli autori dello studio Robin O’Keefe, un esperto di plesiosauri presso la Marshall University del West Virginia, “questo feto fossile è molto grande, e non sembra plausibile, né dal punto di vista fisiologico né da quello meccanico, che possa essere esistito un guscio adatto a quelle dimensioni”.

    Madri mostruose?

    Un altro dato rende però questa scoperta ancora più interessante. I plesiosauri, unici nel loro genere, davano alla luce al massimo due o tre gemelli, come spiega Luis Chiappe, direttore del Dinosaur Institute presso il Natural History Museum di Los Angeles. Questa caratteristica rende i plesiosauri profondamente differenti da tutti gli antichi rettili marini, che, come gli ittiosauri, avevano invece parti multipli.

    Chiappe e O'Keefe, autori dello studio, stimano che il feto fossile fosse lungo circa un metro e mezzo, cioè quasi un terzo della lunghezza della madre. Oggi gli animali che danno alla luce dei cuccioli così grandi in proporzione sono in genere sociali e dedicano molto tempo alle cure dei piccoli. Proprio come i delfini e le balene, mammiferi marini che a quanto dimostra la ricerca sarebbero molto più simili ai plesiosauri di quanto non lo siano i rettili.

    Dare alla luce un solo piccolo, e così grande, impone di investire molte energie nel suo allevamento. “La madre deve dedicarsi a lungo alla cura del piccolo appena nato, se vuole assicurare un futuro ai suoi geni”, spiega Chiappe, che insieme a O'Keefe è stato in passato beneficiario di finanziamenti del Comitato Ricerca ed Esplorazione della National Geographic Society.

    I ricercatori ammettono però che è ancora presto per dare una conferma definitiva alla teoria che vede i plesiosauri come degli attenti genitori, al pari dei delfini. Sole se si troveranno i resti di altri cuccioli di plesiosauro accanto agli adulti, allora ci sarà una prova in più a sostegno di questa ipotesi.
    (national geographic)

     
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  4. gheagabry
     
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    INSETTI PREISTORICI




    di Ker Than

    300 milioni di anni fa, durante il Carbonifero, il cielo era dominato da libellule e altri insetti grandi come gabbiani. Il perchè delle loro dimensioni è rimasto per lungo tempo un mistero.

    Secondo la teoria più accreditata, questi antichi insetti diventarono dei giganti grazie ad un surplus di ossigeno nell’atmosfera terrestre. Una nuova ricerca sembra però confermare il detto che il troppo... stroppia! Secondo lo studio infatti gli insetti più giovani, allo stadio larvale, sarebbero stati costretti ad aumentare le loro dimensioni, e questo proprio per evitare un avvelenamento da ossigeno.

    “L’ossigeno ha degli effetti sugli insetti adulti, ma le sue ripercussioni sono molto più marcate sulle larve”, spiega Wilco Verberk, della Plymouth University e co-autore dello studio. “Ecco perchè puntare l’attenzione sulle larve ci potrebbe aiutare a capire prima di tutto perchè esistevano insetti così grandi, e poi perchè scomparvero”.

    Ossigeno tossico

    Le libellule e gli scarafaggi giganti sono molto diffusi tra fossili del Carbonifero, il periodo che va dai 359 ai 299 milioni di anni fa. In quel periodo, lo sviluppo in aree pianeggianti di vaste foreste paludose determinò un importante aumento dei livelli di ossigeno atmosferico, che raggiunse valori dal 30 al 50 per cento più elevati di quelli attuali.

    E proprio in questi ambienti ricchi di ossigeno, secondo le precedenti teorie sul gigantismo, gli insetti adulti raggiunsero dimensioni sempre maggiori e senza grandi dispendi di energia.

    Con il loro studio, Verberk e il collega David Bilton hanno invece puntato l’attenzione sugli effetti che le variazioni dei livelli di ossigeno hanno sulle larve dei plecotteri, l’ordine a cui appartengono anche le libellule. Durante il Carbonifero, le alte concentrazioni di ossigeno nell’aria si riflettevano in elevate concentrazioni anche nell’acqua, l’ambiente di crescita delle larve di libellula.

    I risultati della ricerca dimostrano che le larve dei plecotteri sono molto più sensibili alle fluttuazioni di ossigeno rispetto agli individui adulti. Questa diversa sensibilità potrebbe dipendere dal fatto che, in genere, le larve degli insetti assorbono l’ossigeno direttamente attraverso la pelle. In questo modo non riescono a esercitare un controllo efficace sulla quantità di gas che assorbono. Al contrario, gli insetti adulti riescono a regolare l’assorbimento dell’ossigeno grazie all’apertura o alla chiusura di valvole specifiche, gli spiracoli tracheali.

    L’ossigeno, elemento cruciale per la vita, se assunto in grandi quantità può però rivelarsi tossico: negli esseri umani un eccesso di ossigeno causa danni a livello cellulare, provocando nausea, danni alla vista, difficoltà respiratorie e convulsioni.



    Molto probabilmente anche le larve degli insetti preistorici assorbivano l’ossigeno dall’acqua, in maniera passiva e senza una buona capacità di regolazione. Una condizione potenzialmente pericolosa, come accadde appunto nel Carbonifero, quando le concentrazioni di ossigeno diventarono elevate.

    Una soluzione efficace nel diminuire il rischio di un’intossicazione da ossigeno potrebbe essere stata quello di aumentare le proprie dimensioni. Se mettiamo a confronto due larve, una grande e una piccola, la larva più grande assorbirà una percentuale minore di gas. Questo perchè, “se un organismo diventa più grande, la sua area superficiale diminuirà rispetto al suo volume”, spiega Verberk.

    Meno ossigeno, scarso rendimento?

    Questa nuova teoria potrebbe inoltre spiegare come gli insetti giganti siano riusciti a sopravvivere nonostante l’abbassamento della concentrazione di ossigeno nell’atmosfera terrestre.

    Secondo Verberk, anche se è stato l’ossigeno a spingere verso l’evoluzione di forme giganti di insetti, questo non significa che concentrazioni minori di ossigeno inducano una morte immediata. Piuttosto, questa diminuizione potrebbe aver compromesso le performance degli insetti più grandi, rendendoli più lenti nel volo. “Proprio queste prestazioni ridotte, potrebbero aver favorito altre specie di insetti nella competizione con questi giganti”, conclude Verberk.

    Se non fosse stato per gli uccelli,
    oggi avremmo insetti giganti




    Illustrazione di Walter Myers, Stocktrek Images/Alamy

    In passato la Terra era abitata da insetti molto grandi. Tra le cause della loro scomparsa l'arrivo degli uccelli, secondo una nuova ricerca

    di Ker Than


    Di sicuro i loro canti costituiscono la colonna sonora della primavera e spesso sono meravigliosi, ma oggi un nuovo studio ci rivela un’altra ragione per amare ancora di più gli uccelli: l’assenza di insetti giganteschi dalle nostre vite quotidiane.

    Oggi sono tra le più piccole creature sulla Terra, ma 300 milioni di anni fa, gli insetti giganti erano abbastanza comuni. Tra questi vi era una specie di libellula che aveva un’apertura alare di circa 70 centimetri.

    "Solo un po’ più piccola di quella di un corvo" , ha detto uno degli autori dello studio, Matthew Clapham, paleobiologo presso la University of California. Tra gli insetti moderni più grandi vi sono alcune specie di farfalle e falene che raggiungono al massimo i 30 centimetri di apertura.

    Secondo gli studiosi, le incredibili dimensioni degli insetti preistorici furono favorite dall’aumento dei livelli di ossigeno atmosferico che raggiunse valori molto elevati - fino al 30 per cento- rispetto all'attuale 21 per cento. L'ossigeno supplementare avrebbe fornito molta più energia nella respirazione, permettendo loro di sviluppare corpi più grandi.

    Nel nuovo studio, i ricercatori hanno creato un database che raccoglie i fossili di oltre 10.500 insetti vissuti negli ultimi 320 milioni di anni. "Quando l'ossigeno aumentò, gli insetti diventarono più grandi. Quando invece è diminuito le loro dimensioni si sono ridotte", ha spiegato Clapham . Ma circa 150 milioni di anni fa, durante il periodo Giurassico, le cose cambiarono quando accanto ai dinosauri comparvero anche i primi uccelli. Dopo la loro comparsa, infatti, anche se i livelli di ossigeno erano aumentati, gli insetti alati smisero di crescere. "Crediamo che l'ossigeno sia un fattore importante e limitante per la dimensione degli insetti", ha detto Clapham. "Ma una volta che gli uccelli si sono evoluti, essi sono diventati un fattore molto più vincolante per la dimensione massima degli insetti."

    La giusta dimensione

    Clapham ha una spiegazione sul perché gli insetti giganti sarebbero caduti preda degli uccelli: "la manovrabilità di qualsiasi oggetto volante dipende dalle sue dimensioni. Gli oggetti piccoli sono molto più maneggevoli di quelli grandi." In altre parole, gli insetti grandi sarebbero stati dei facili bersagli. Un'altra possibilità è che gli uccelli “rubassero” il pranzo ai grandi insetti. "Le libellule sono animali predatori e si nutrono di insetti più piccoli". Durante il Giurassico, "gli uccelli e le libellule giganti potrebbero essere state in competizione per lo stesso cibo."

    Curiosamente, i ricercatori hanno scoperto che gli pterosauri - i rettili volanti che precedono gli uccelli e che pare si nutrissero di insetti - non avrebbero avuto alcun effetto sulle dimensioni degli insetti. "In generale, la dimensione degli insetti che si vede dopo la comparsa degli pterosauri è più o meno quella che ci si aspettava tenendo conto dei livelli di ossigeno", ha detto Clapham. "Credo che gli pterosauri non fossero così agili nel volo come gli uccelli".

    Un’altra conclusione del nuovo studio è che, se non fosse per gli uccelli, gli insetti moderni probabilmente sarebbero molto più grandi. Sulla base dei livelli di ossigeno attuali, secondo Clapham, “Gli insetti moderni più grandi, oggi potrebbero essere anche tre volte più grandi di quanto non siano già. Questo non significa che oggi tutti gli insetti sarebbero dei giganti, ma aumentando le dimensioni limite alcuni potrebbero essere più grossi”.



    national geographic
     
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  5. gheagabry
     
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    Un enorme marabù del Pleistocene è stato scoperto nell'isola di Flores, l'isola indonesiana celebre per il rinvenimento del minuscolo Homo floresiensis, di elefanti nani e di ratti giganti.

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    È stato rinvenuto nella stessa grotta dove, nel 2004, venne scoperto il fossile dell'antenato umano soprannominato "l'hobbit di Flores" per le minuscole dimensioni. Ma rispetto al nostro lontano cugino Homo floresiensis, che non superava il metro di altezza, il gigantesco pennuto appena scoperto era decisamente fuori misura: alto circa 1,80, e pesante circa 16 chilogrammi, questo antico marabù era più grande di qualunque specie correlata esistente. E i ricercatori non escludono che potesse dare la caccia agli ominidi che vivevano sull'isola 12.000 anni fa, anche se forse soltanto agli individui più giovani.

    Lo studio dell'animale, battezzato Leptoptilos robustus, è riportato nel numero di dicembre della rivista Zoological Journal of the Linnean Society, e si pensa che possa gettare nuova luce sul fenomeno degli adattamenti insulari della vita selvatica preistorica.

    Infatti, il marabù gigante è l'ultimo animale di taglia "estrema” rinvenuto finora sull'isola di Flores, dove sono già stati trovati elefanti nani (Stedgodon florensis insularis), ratti giganti (Papagomys armandvillei) ed enormi lucertole, oltre naturalmente ai minuscoli rappresentanti del genere Homo.

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    Sono stati il paleontologo Hanneke Meijer del Museo Nazionale di Storia Naturale di Leida, in Olanda e il collega Rokus Due del Centro nazionale di Archeologia di Giacarta, in Indonesia, a effettuare la scoperta. I due hanno trovato frammenti fossili di quattro ossa delle zampe nella ormai nota grotta di Liang Bua, sull'isola di Flores, che già custodiva i resti di H. floresiensis.

    Le ossa fossili dell'uccello, quasi certamente appartenenti a un unico individuo, sono state rinvenute in una stratificazione datata tra i 20.000 e i 50.000 anni fa. Anche se non sono state rinvenute ossa degli arti superiori, a giudicare dalla mole dell'animale e dallo spessore delle ossa i due ricercatori tendono ad escludere che potesse volare in modo efficiente.

    Ma come è arrivato a Flores? Gli studiosi pensano che possa essersi evoluto da un marabù volatore arrivato sull'isola, il cui isolamento geografico ha giocato un ruolo chiave nello sviluppo della fauna locale. È il cosiddetto "effetto isola”, un fenomeno ancora non del tutto compreso dalla scienza.

    "I grandi mammiferi, come elefanti e primati, tendono a decrescere di dimensioni, mentre i mammiferi più piccoli, come i roditori e gli uccelli, aumentano di taglia”, spiega Meijer.

    La scoperta potrebbe anche aiutare a meglio comprendere Homo floresiensis, una specie che si ritiene possa discendere da un rappresentante del nostro genere ancora più antico - forse H. erectus - che avrebbe raggiunto il Sudest asiatico oltre un milione di anni fa. "Questa specie di ominide contemporaneo di H. sapiens è stata oggetto di un acceso dibattito sin dalla sua scoperta”, continua Meijer. "Ma a mio parere, la fauna associata a H. floresiensis è fondamentale per comprende appieno come si sia evoluto”.

    (Stefania Martorelli, national geographic)

     
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  6. gheagabry
     
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    Ecco il Titan Boa - Il più grande serpente mai esistito sulla Terra !



    Persino la terribile anaconda dell'omonimo film era piu' piccola del piu' grande serpente vissuto sulla Terra, i cui resti sono stati scoperti in una foresta pluviale colombiana.

    L'animale, battezzato Titanoboa cerrejonensis e parente del Boa constrictor, era lungo 13 metri, pesante 1.140 chilogrammi, e visse 60 milioni di anni fa. Il suo fossile, descritto su Nature, e' stato scoperto da un gruppo di paleontologi guidati dal canadese Jason Head dell'universita' di Toronto.

    Dalle dimensioni dei resti (circa dieci vertebre) i ricercatori hanno calcolato quelle che verosimilmente erano le dimensioni del serpente. Molto maggiori, spiegano gli scienziati, di quelle dei piu' gandi serpenti di oggi, come l'anaconda e il pitone reticolato, che non superano gli otto-nove metri.

    Inoltre, sottolineano, dalla taglia dell'animale, si deduce anche che le temperature tropicali 60 milioni di anni fa fossero molto piu' alte di oggi. La grandezza degli animali a sangue freddo, spiegano gli esperti, e' condizionata dal tasso del metabolismo e "questo animale avrebbe richiesto una temperatura annuale minima di 32-34 gradi centigradi per sopravvivere".

    Una temperatura cinque gradi piu' alta di quella media odierna della regione orientale colombiana dove e' stato trovato il fossile e piu' alta del limite di sopportazione immaginato per le foreste pluviali. "Un dato che sfida la nostra conoscenza del clima ottimale di queste foreste e che ha implicazioni sugli studi degli effetti del surriscaldamento globale sulle piante tropicali" ha osservato uno degli autori, Carols Jaramillo, dello Smithsonian Topical Research Institute.



    fonte ANSA
     
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  7. gheagabry
     
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    L'erbivoro dai denti a sciabola
    A cosa servivano gli enormi canini
    della nuova specie fossile Tiarajudens eccentricus?


    di Brian Handwerk

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    Una ricostruzione di Tiarajudens eccentricus. Illustrazione per gentile concessione di Juan Cisneros, Science/AAAS

    Più antico dei dinosauri, l'antenato dei mammiferi Tiarajudens eccentricus era armato di uno straordinario arsenale di denti che gli serviva a triturare, strappare ma forse anche a spaventare i nemici. Questa creatura dai denti a sciabola recentemente scoperta in Brasile però era vegetariana, rivela una ricerca pubblicata sulla rivista Science.

    Non solo quest'animale delle dimensioni di un grosso cane aveva dei canini imponenti, grandi come pennarelli, ma il palato sembra pieno di denti in modo da permettere - come negli squali - di rimpiazzare rapidamente quelli perduti.

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    Tiarajudens eccentricus. illustrazione per gentile concessione di Juan Cisneros, Science/AAAS

    Appartenente al sottordine Anomodontia dell'ordine Therapsida, anche detti rettili mammaliani, l'erbivoro vissuto 260 milioni di anni fa "sembra un mosaico di animali diversi”, dice il paleontologo Juan Carlos Cisneros, che ha scoperto il fossile. "Ha gli incisivi di un cavallo, molto utili per tagliare la vegetazione; il grandi molari di un capibara, per triturare; e i denti a sciabola di un antico felino”.

    È soprattutto quest'ultima caratteristica a sorprendere i ricercatori, conferma il paleontologo Jörg Fröbisch, visto che l'animale si nutriva di piante fibrose: "Ci si aspetterebbe di trovare denti del genere in un carnivoro”, dice Fröbisch, dell'Università Humboldt di Berlino, che non ha partecipato alla ricerca. "Gli animali più noti con questa caratteristica sono soprattutto felini, ma sono stati rilevati anche in specie estinte di marsupiali”.

    I ricercatori ipotizzano che i denti a sciabola di T. eccentricus potessero servire come deterrente nei confronti dei predatori o per intimidire rivali della stessa specie. "Ritenevamo che l'uso di questo tipo di denti a scopo intidimidatorio negli erbivori fosse un tratto comparso meno di 60 milioni di anni fa”, dice il responsabile della ricerca Cisneros, dell'Università Federale del Piauí, in Brasile. "Se anche Tiarajudens eccentricus [li utilizzava a questo scopo], allora vuol dire che è apparso in epoca molto più antica, quando il mondo degli animali terrestri era... dominato dagli erbivori".

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    mauricio anton


    Esperimenti evolutivi

    Perché l'erbivoro Tiarajudens eccentricus -"l'eccentrico dente della regione del Tiarajú" - aveva questa dentatura così bizzarra? La risposta potrebbe essere che si trattava di un "esperimento” dell'evoluzione.

    Per quanto inusuali, i denti così diversi di Tiarajudens eccentricus combaciavano perfettamente nel morso. Questo primo caso di morso combaciante in un terapside potrebbe offrire degli indizi sulla dentatura degli esseri umani e dei mammiferi moderni, visto che i mammiferi si sono evoluti dai terapsidi. "La cosa interessante è che questo animale era già in grado di mangiare come un moderno ruminante", sottolinea Cisneros.

    Questo particolare adattamento potrebbe anche servire a spiegare il grande successo degli anomodonti durante il Permiano medio, prima che i dinosauri dominassero la Terra.

    "Gli anomodonti erano il gruppo di vertebrati terrestri di maggior successo, con il maggior numero di specie, la morfologia più varia e i maggiori adattamenti ecologici del loro tempo”, dice Fröbisch. "E ciò non ha eguali nella linea evolutiva dei mammiferi. E sono convinto che parte del successo di questo gruppo sia dovuta proprio alla 'sperimentazione' messa in atto dall'evoluzione con la loro dentatura”.





    L'ILLUSTRATORE DELLA PREISTORIA

    MAURICIO ANTON


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  8. gheagabry
     
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    Scoperto in Cina un gigantesco dinosauro piumato

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    Lungo come un autobus ma soffice come un pulcino, Yutyrannus è il più grande animale piumato mai vissuto. E se anche T. rex fosse stato coperto di penne?

    di Ker Than

    Era grande e grosso - un lontano parente di Tyrannosaurus rex - ma in più, il nuovo dinosauro appena scoperto in Cina aveva una soffice livrea, il che lo rende il più grande animale piumato mai vissuto sulla Terra.

    I paleontologi già sapevano che alcuni esponenti del gruppo cui appartiene T. rex, ovvero i teropodi, erano dotati di piumaggio. Ma finora, le creature rinvenute con questa caratteristica erano relativamente piccole.

    "Il grande punto interrogativo riguardava proprio se anche parenti più grandi di questi piccoli teropodi fossero coperti di penne", dice il paleontologo Corwin Sullivan dell'Accademia Cinese delle Scienze di Pechino, uno degli autori della scoperta. "Ma non avevamo dati né in un senso né l'altro, poiché la conservazione dei tessuti molli è un evento estremamente raro".

    Ora però, il rinvenimento di ben tre esemplari fossili di questo tirannosauride, un adulto e due piccoli, dimostrano che anche i teropodi di grandi dimensioni erano dotati di piumaggio - un piumaggio primitivo, costituito da filamenti più simili alle piume di un moderno pulcino che da penne vere e proprie.

    La nuova specie di dinosauro, descritta sulla rivista Nature, è stata battezzata Yutyrannus huali, un misto di latino e mandarino che significa "tiranno dalle belle piume".

    Un enorme "pulcino"

    I tre esemplari fossili, risalenti a 125 milioni di anni fa, sono stati scoperti nella stessa cava di sedimenti cretacici nella provincia cinese nordorientale del Liaoning, che in passato ha già restituito i resti di altri celebri dinosauri piumati come Sinosauropteryx.

    Secondo le stime dei ricercatori, un esemplare adulto di Yutyrannus avrebbe raggiunto i 9 metri di lunghezza e una tonnellata e mezzo di peso. Poca cosa rispetto al peso 5-6 volte superiore del più celebre cugino Tyrannosaurus rex, ma comunque ben 40 volte più pesante del più grande dinosauro piumato precedentemente conosciuto.

    Le penne fossilizzate - lunghe dai 15 ai 20 centimetri - erano presenti in diverse parti del corpo dei tre esemplari fossili, il che porta gli studiosi a ritenere che probabilmente Yutyrannus avesse l'intero corpo ricoperto dal piumaggio.

    Le grandi dimensioni dell'animale e il livello primitivo del suo piumaggio fanno escludere che il dinosauro fosse in grado di volare, dice Sullivan; è più probabile invece che la copertura avesse lo scopo di tenere caldo Yutyrannus.

    "Le sue penne sono fra le più semplici mai scoperte, e sono state rinvenute su animali di piccola taglia per i quali l'isolamento termico era molto importante", dice il paleontologo Tom Holtz della University of Maryland, che non ha preso parte alla ricerca.

    A cosa servivano le piume di Yutyrannus?

    È piuttosto curioso però pensare che Yutyrannus potesse aver bisogno di un piumaggio che lo tenesse caldo, in quanto di solito gli animali di grandi dimensioni trattengono il calore corporeo abbastanza facilmente.

    Ma è pur vero che Yutyrannus visse intorno alla metà del Cretaceo Inferiore, quando su tutto il pianeta le temperature erano più basse rispetto all'epoca in cui visse T. rex, ossia il tardo Cretaceo.

    "Forse un tirannosauride di dimensioni simili a quelle di Yutyrannus non avrebbe avuto bisogno di piumaggio nel tardo Cretaceo, mentre questo animale si", dice Sullivan.

    Tuttavia, sottolinea Holtz, T. rex e i suoi parenti più stretti del Cretaceo superiore non vivevano esclusivamente in ambienti caldi.

    "T. rex aveva un areale molto vasto... e non c'è ragione di pensare che non arrivasse al Circolo Polare Artico", dice Holtz. "Molti di questi animali avevano areali estesi, che andavano dal nord al sud dell'America settentrionale, quindi avrebbero comunque potuto trarre benefici dall'avere un piumaggio che li isolasse termicamente".

    Per fare un esempio attuale, dice Holtz, pensiamo ad esempio alle tigri: "Questi felini vivono dalle foreste siberiane fino alle giungle del Sudest Asiatico. È vero che le tigri siberiane hanno un mantello più folto, ma le tigri più meridionali hanno comunque la pelliccia".

    È possibile però che le protopenne di Yutyrannus avessero anche un'altra funzione oltre a quella di tenerlo al caldo. Ad esempio, ipotizzano gli studiosi, il dinosauro potrebbe averle usate per tenere al caldo le uova; inoltre, potevano servirgli come richiamo sessuale o per mimetizzarsi.

    "Nessuna di queste ipotesi esclude l'altra", commenta Holtz.

    In un prossimo futuro i ricercatori potrebbero dedicarsi all'analisi degli eventuali melanosomi rimasti nelle protopenne - quelle minuscole strutture che contengono i pigmenti - per farsi un'idea dell'aspetto di Yutyrannus. Questa tecnica è già stata impiegata per scoprire di che colore fosse il piumaggio di alcuni dinosauri.

    Anche T. rex era soffice e feroce?

    La scoperta della nuova specie fossile sembra aumentare le probabilità che anche T. rex fosse un dinosauro piumato.

    Gli studiosi hanno già ipotizzato che gli esemplari più giovani fossero dotati di piumaggio, in quanto sarebbero stati abbastanza piccoli per aver bisogno di isolamento termico. Ma si pensava che questo eventuale piumaggio scomparisse in età adulta.

    "Qui invece siamo alle prese con un grande tirannosauride coperto di piume su gran parte del corpo, e questo fa aumentare di parecchio le probabilità che anche un dinosauro sei volte più grosso le avesse", spiega Holtz. Anche coperto da piume come quelle di un pulcino, dice lo studioso, il gigantesco T. rex sarebbe stato comunque "una creatura terrificante".



    national geographic
     
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    Fotografia per gentile concessione di Science/AAAS

    Sono rimaste nascoste nell'ambra per 85 milioni di anni: penne di uccello e molto probabilmente di dinosauro sono l'eccezionale tesoro ritrovato nell'Alberta, in Canada.

    Lo studio di questi reperti fa supporre agli studiosi che a quel tempo gli animali dotati di piumaggio fossero molti e le penne sfoggiate erano di tutti i tipi: da penne primordiali molto simili a dei filamenti fino a piumaggi, almeno apparentemente, molto moderni. Secondo gli autori della ricerca già all’epoca, nel Cretaceo superiore, esistevano penne molto specializzate, ad esempio, per nuotare sott’acqua.

    Ma la cosa che colpisce di più i ricercatori è come questi reperti stiano letteralmente riportando in vita il passato, dice la paleontologa Julia Clarke, che non ha partecipato alla ricerca. “Il tempo che ci separa da queste piume sembra sparire. È come toccare una cosa che è caduta solo ieri. Non sono quei blocchi rocciosi che di solito ti vengono in mente quando pensi a dei fossili”.




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    Fotografia per gentile concessione di Science/AAAS

    Le minute barbe a spirale, utili per assorbire l’acqua, scoperte su una penna incastonata nell’ambra sono molto simili a quelle che attualmente compongono le penne di uccelli acquatici moderni, come gli svassi. “Aver ritrovato di tutto, dalle penne più primitive fino a piumaggi più evoluti, adatti al volo, in un unico deposito che ha più o meno la stessa età, è veramente incredibile”, commenta il paleoecologo Alexander Wolfe dell’Università dell’Alberta, che ha condotto lo studio pubblicato su Science.
    La scoperta è avvenuta per puro caso: Ryan McKellar, uno studente di dottorato dell’Università dell’Alberta si è imbattuto nelle penne mentre conduceva i suoi studi sugli insetti - come quello che si vede nella fotografia - intrappolati in alcuni frammenti d’ambra custoditi al Royal Tirrel Museo di Alberta.



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    Fotografia per gentile concessione di Science/AAAS

    L’ambra e un’antica tela di ragno hanno intrappolato la barba di penna che si vede nella foto. Questo frammento proviene, come tutti quelli analizzati, da un unico deposito di ambra situato vicino alla cittadina canadese di Grassy Lake.

    Questa regione, ora piuttosto fredda, durante il Cretaceo superiore tra gli 80 e i 75 milioni di anni fa aveva un clima tropicale-subtropicale, e il deposito di ambra era situato sulle spiagge di un mare interno poco profondo. Wolfe spiega che il sito poteva assomigliare alla regione delle Everglades in Florida (una regione paludosa subtropicale), in cui erano diffusi degli alberi simili ai cipressi, la cui resina si sarebbe poi indurita in ambra.



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    Fotografia per gentile concessione di Science/AAAS

    Nelle barbe di queste sei penne i ricercatori hanno individuato dei pigmenti colorati, ancora conservati, che offrono indizi interessanti sui colori di queste penne preistoriche. Le penne degli uccelli più evoluti probabilmente possedevano un’ampia gamma di sfumature, compresi il bianco e nero, ma è difficile riuscire a provarlo visto che l’ambra ostacola l'uso di tecniche di analisi d’immagine.


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    Fotografia di O. Louis Mazzatenta, National Geographic Stock

    Le piume più primitive ritrovate nei frammenti d’ambra canadesi potrebbero appartenere a un dinosauro come quello trovato in Cina, il Sinosauropteryx prima, che vivea 125 milioni di anni fa. S. prima, il primo dinosauro scoperto con le sue piume ancora intatte,” possiede un piumaggio direttamente comparabile con quello delle protopiume ritrovate nell’ambra”, racconta uno degli autori, Ryan McKellar.

    “Questi dinosauri non sono mai stati ritrovati nel Nord America, ma si può pensare che molti terapodi, i dinosauri bipedi carnivori come il T.Rex, che invece sono molto comuni, portassero simili piumaggi”





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    Il celacanto "ribelle"
    di 250 milioni di anni fa


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    Illustrazione per gentile concessione Michael Skrepnick

    Rebellatrix, un nuova specie di celacanto del Triassico appena scoperta, caccia una preda.

    Il celacanto è un pesce primitivo spesso definito "fossile vivente", in quanto si ritiene che siano vissuti senza grandi cambiamenti da 320 milioni di anni a questa parte.

    Se ne conoscono circa 40 specie, delle quali solo 2 sopravvivono ancor oggi, e sono tutte caratterizzate da una coda larga e arrotondata con cui il pesce si sposta lentamente.

    Rebellatrix invece aveva una coda ampia e biforcuta e un un corpo affusolato che permetteva all'antica specie di attraversare lunghe distanze a grande velocità, spiega il responsabile della ricerca Andrew Wendruff della University of Alberta in Canada.

    Racconta Wendruff che la nuova specie fossile è stata chiamata Rebellatrix perché, proprio come un ribelle, "faceva tutto quello che un celacanto non dovrebbe fare".




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    Il crostaceo gigante? Un pappamolle

    Un modello computerizzato indica che Anomalocaris canadensis, ritenuto il primo grande predatore della Terra, fosse in grado di ingerire solo organismi piccoli e morbidi

    di Ker Than

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    Anomalocaris canadensis in un'illustrazione di Marvin Mattelson per National Geographic
    Anomalocaris canadensis scivolava sul fondo del mare nel Cambriano, circa 500 milioni di anni fa. Lungo quasi un metro, questo animale dotato di guscio e occhi sporgenti era un vero gigante in confronto agli altri organismi viventi dell'epoca.

    La sua insolita bocca a forma di O era composta da 32 placche sovrapposte e protetta da due punte accuminate, uno strumento che secondo gli studiosi era in grado di schiacciare e ingerire altri organismi dal guscio duro come i trilobiti, invertebrati segmentati che vivevano anch'essi sul fondo marino.

    Una teoria che potrebbe essere stata demolita per sempre dal paleontologo James "Whitey" Hagadorn del Denver Museum of Nature & Science e dalla sua équipe, che hanno realizzato un modello computerizzato della bocca dell'antica creatura.

    "In sostanza stiamo dicendo che forse Anomalocaris non era esattamente il re della foresta”, spiega Hagadorn. "Ciò non significa che non sia un fossile interessante... solo che forse vanno riconsiderati tutti i video e le animazioni che lo dipingono come un predatore feroce che si aggirava per gli oceani facendo a pezzi trilobiti inermi”.

    Con quelle mascelle non poteva nemmeno addentare un gambero

    Il modello computerizzato della bocca di Anomalocaris dimostra che non era in grado di spezzare nemmeno il guscio di un gambero odierno, e men che meno i gusci decisamente più duri di gran parte delle specie di trilobiti.

    Anzi, secondo la ricerca di Hagadorn il supposto predatore non era neanche in grado di chiudere interamente la bocca. Se Anomalocaris era in grado di "succhiare" trilobiti particolarmente piccoli o appena nati (e quindi morbidi), “non aveva alcuna speranza di addentare circa il 95 per cento dei gusci di trilobiti. La sua bocca si sarebbe rotta”, insiste Hagadorn.

    Lo studioso ha aggiunto che i fossili stessi sono una ulteriore prova dei risultati ottenuti con il suo modello computerizzato. L'équipe ha infatti studiato oltre 400 parti di bocca di Anomalocaris fossilizzate senza rilevare alcuna traccia di graffi o scheggiature, segni che sarebbero stati presenti se l'animale avesse l'abitudine di polverizzare gusci duri.

    Inoltre, anche i contenuti fossili degli stomaci o le feci fossilizzate di Anomalocaris sembrano indicare che la creatura mangiasse cose dure. Con ogni probabilità, sostiene Hagadorn, si nutriva di qualcosa di morbido, e non di trilobiti.

    "Una delle nostre ipotesi”, conclude lo scienziato, "è che mangiasse vermi morbidi, oppure addirittura plancton che filtrava dall'acqua”.




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    Qual è stato il primo animale a camminare?

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    Una ricostruzione 3D di un ittiostega. Illustrazione per gentile concessione Julia Molnar

    Il primo animale a camminare non è stato l'ittiostega che vedete nell'immagine, considerato uno dei primi tetrapodi apparsi sulla Terra (e che in realtà, secondo uno studio recente, si limitava a strisciare). Come ha dimostrato una ricerca di alcuni studiosi dell'Università di Chicago, il primo animale a camminare è stato un pesce.

    Per il loro studio, pubblicato nel 2011 sulla rivista PNAS, i ricercatori hanno filmato il pesce polmonato Protopterus annectens mentre si muove appoggiandosi con le pinne pelviche al suolo e avanzando a ogni passo. Una "passeggiata acquatica" che ha dimostrato come la deambulazione si sarebbe evoluta nei vertebrati ancor prima che questi sviluppassero delle appendici specializzate (i piedi) e conquistassero la terraferma.

    I pesci polmonati, o Dipnoi (come quello della foto a destra) sono così chiamati in quanto sono dotati, oltre che di branchie, di un polmone bilobato che consente loro di respirare in ambiente aereo in caso di necessità. Il primo a notare questa bizzarra caratteristica e le loro pinne simili ad arti fu il naturalista inglese Richard Owen, nel 1837, ma questo non bastò a convincerlo che fosse un antenato dei tetrapodi (un parentela dimostrata più tardi dalle analisi genetiche).

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    Un pesce polmonato della specie Protopterus aethiopicus.
    Nel 1860, un anno dopo la pubblicazione della teoria dell'evoluzione di Charles Darwin, l'anatomista irlandese Robert M’Donnel scoprì un collegamento tra il naso e la bocca del pesce polmonato, arrivando alla conclusione che si trattava di una creatura di transizione: “Non conosco alcun animale", scrisse, "che conduca in maniera più deliberata all'adozione della teoria di Darwin”.






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    Scoperti due roditori di 30 milioni di anni fa,
    pionieri delle praterie


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    Illustrazione per gentile concessione di V. Simeonovski e D.A. Croft

    Sono state scoperte in Cile due nuove specie fossili di roditori, che secondo i paleontologi potrebbero aver popolato le prime praterie del Sudamerica. Le due nuove specie fossili di roditore possedevano denti molto robusti e adatti a una dieta erbivora, il che suggerisce la presenza di praterie erbose, probabilmente le prime apparse sulla Terra.

    Andemys termasi, cioè il “topo delle Ande", assomigliava a un ratto ed è il più antico predecessore dell’agouti, un roditore tipico delle foreste pluviali del Centro e Sud America. La seconda specie, Eoviscaccia frassinettii, è invece parente di cincillà e viscachas, piccoli roditori tipici delle montagne e delle praterie sudamericane. Le due specie vivevano circa 32 milioni di anni fa e sono tra le più antiche mai ritrovate in Sud America, dopo i roditori fossili scoperti in Perù e datati 41 milioni di anni fa.
    I fossili sono stati ritrovati nella valle del fiume Tinguiririca, un’area vulcanica tra Cile e Argentina. I paleontologi avevano sempre ritenuto che questa zona non ospitasse fossili perchè le rocce vulcaniche difficilmente li preservano, ma in qualche modo qui le antiche eruzioni hanno ricoperto e conservato un vero e proprio tesoro paleontologico.
    "In questi terreni aspri, le rocce vulcaniche hanno preservato resti fossili che coprono una arco temporale di 30-40 milioni di anni”, ha detto il coautore dello studio John Flynn, curatore della sezione dei mammiferi fossili del Museo di Storia Naturale di New York. "È uno dei più importanti archivi sull’evoluzione dei mammiferi del Sud America."

    L'analisi dei denti delle nuove specie “suggerisce che le prime praterie sarebbero apparse almeno 15 milioni di anni prima di quanto si riteneva finora”. I due roditori fossili possedevano infatti denti posteriori alti e con corone molto sviluppate fin sotto le gengive, adatti a una dieta costituita da alimenti abrasivi come le piante erbacee. Questa caratteristica, nota come ipsodonte, è presente anche in altri mammiferi erbivori moderni, come cavalli, capre e mucche, e generalmente si interpreta come un adattamento evolutivo all’ambiente erboso.
    "C’è un po’ di discussione su questo argomento", ha detto Flynn, "alcuni studi infatti non indicano presenza evidente di erbacee nella regione a quel tempo. Ma oggi possiamo dire che esiste una correlazione molto stretta tra il numero di specie con ipsodonte e la presenza di praterie. Anche se è meglio essere cauti, crediamo che queste possano essere le praterie più antiche".
    Enrique Bostelmann, ricercatore del Museo nazionale di Storia Naturale dell'Uruguay, è concorde nel ritenere che i roditori siano "un importante sostegno indiretto della comparsa delle praterie; tuttavia dobbiamo essere prudenti, perché questo adattamento potrebbe anche avere altri significati".
    Infatti alcuni studi suggeriscono che “l’iposodonte forse serviva a proteggere i denti dall’usura casuata dall’ingestione e quindi dal masticamento accidentale di terreno sabbioso. Allo stesso modo, il vulcanismo che rende i terreni più duri e abrasivi, potrebbe aver innescato l’evoluzione dell’ipsodonte”, suggerisce Bostelmann. “E comunque per confermare definitivamente la presenza di queste antichissime praterie avremmo bisogno di polline fossile o di altri resti vegetali”.

    Il “boom”dei roditori. Entrambe le specie apparvero durante la rapida diffusione dei roditori in Sud America che si verificò circa 40 miloni di anni fa, quando alcune specie raggiunsero il continente sudamericano dall’Africa. Una volta giunti in Sud America, che allora era un’enorme isola, si evolvettero in un ampio numero di specie andando ad occupare numerose nicchie ecologiche. Si svilupparono quindi tutte le attuali specie viventi, come istrici, cavie e capibara.
    "Oggi in Sud America esistono la flora e la fauna più ricche del globo. E questo è legato alla complessa interazione intercorsa fra l'arrivo di specie provenienti da diversi luoghi del mondo, cominciata circa 40 milioni di anni fa, e la loro evoluzione attraverso complicati cambiamenti climatici, ambientali e tettonici”, ha detto Flynn.
    I primi roditori che arrivarono nel continente sudamericano erano degli arboricoli, più adatti alla vita nella foresta, ha spiegato Bostelmann, che nel 2008 descrisse il roditore fossile più grande del mondo scoperto in Uruguay. Ma i nuovi resti fossili dimostrano che i questi antichi roditori arboricoli ben presto “si adattarono ai nuovi ambienti erbosi, sviluppando i tipici denti dei roditori erbivori”.
    (Brian Handwerk, national geographic)

     
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    L'ELICOPRIONE

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    L’elicoprione (gen. Helicoprion) è un bizzarro pesce cartilagineo estinto, strettamente imparentato con gli squali. Visse nei mari del Carbonifero e del Permiano e sopravvisse all’estinzione della fine del periodo, per poi scomparire nel corso del Triassico, circa 225 milioni di anni fa.

    I soli fossili rinvenuti di questo “squalo” sono i denti, disposti in una strana “spirale” molto simile a una sega circolare. Per lungo tempo i paleontologi si chiesero quale potesse essere la disposizione in vita di una così bizzarra struttura; solo quando venne scoperto il cranio di una forma simile, Ornithoprion, si capì che la spirale di denti era posta sulla mandibola. Per questa sua caratteristica, l’elicoprione è soprannominato anche “squalo con la bocca a spirale”. La spirale conteneva tutti i denti prodotti in vita dall’individuo, in modo tale che al crescere dell’animale i denti più vecchi e piccoli venivano spostati verso il centro della spirale. In ogni caso, una ricostruzione vera e propria dell’elicoprione è da considerarsi ipotetica; si pensa comunque che l’animale potesse raggiungere una lunghezza di oltre tre metri.

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    I denti dell’elicoprione erano seghettati, a indicare una dieta carnivora; come quest’animale catturasse le sue prede, però, è ancora oggetto di dibattito tra gli scienziati. Un’ipotesi vede l’elicoprione come un predatore di ammoniti (molluschi cefalopodi dotati di conchiglia); i denti sarebbero stati utilizzati per frantumare i gusci dei molluschi. Un’altra ipotesi vedrebbe l’elicoprione come un predatore di pesci, che entrava nei banchi e falciava i singoli individui tramite la sua bocca spalancata, armata dei temibili denti. Recentemente si è notato come i denti dell'Helicoprion fossero poco consumati, rendendo ipotizzabile una dieta a base di cefalopodi privi di guscio, polipi e simili, oltre a pesci di piccola taglia.

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    dal web
     
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  15. gheagabry
     
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    IL CERVELLO PIU' VECCHIO DEL MONDO



    Il cervello più vecchio - Una struttura cerebrale di una certa complessità si è evoluta molto prima di 520 milioni di anni. Lo attesta il ritrovamento di parti del cervello ben conservati in esemplari di Fuxianhuia protensa (nel riquadro un esemplare in cui si vedono meglio le strutture scure del cervello), un artropode estinto ritrovato in Cina. F. protensa presenta un cervello complesso insieme a una struttura corporea primitiva (Xiaoya Ma/Nicholas Strausfeld)

     
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