Marche ... Parte 1^

IL MONTE TITANO..SAN MARINO..URBINO..PESARO E INFINE..GIUNGIAMO A FANO ...

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  1. tomiva57
     
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    Fermignano

    È il primo centro abitato che si incontra risalendo la valle dell’alto Metauro, dopo aver superato il bivio stradale per Urbino. Si trova sulla sponda sinistra del fiume, circondato da un sinuoso paesaggio di colli e piccole valli. Le origini dell’abitato sono romane, dovute alla sua stessa posizione strategica. Qui si congiungevano infatti già nell’antichità la strada che attraverso i monti raggiungeva Pitinum Mergens (Acqualagna) e, oltrepassato il Metauro, saliva ad Urvinum Mataurense (Urbino). È una delle località dove si vuole si sia svolta la storica battaglia del Metauro (anno 207 a.C.) che vide la sconfitta e la
    morte del cartaginese Asdrubale ad opera dei consoli romani Gaio Claudio Nerone e Marco Livio Salinatore. Attraverso i secoli fu sempre sotto la giurisdizione di Urbino di cui seguì le sorti, pur avendo dal 1607 un consiglio amministrativo proprio.
    Monumento caratteristico del paese è la cosiddetta Torre delle Milizie, massiccio fortilizio quadrato coronato da beccatelli, posto a difesa dell’antico ponte a tre arcate che attraversa il Metauro. Meritano di essere ricordati, all’interno del nucleo storico, alcuni portaletti medievali e rinascimentali, compreso quello ad arco acuto di Palazzo Calistri, oltre la chiesa di S.Veneranda. Fuori dell’abitato è invece la piccola chiesa trecentesca di S.Giacomo in Campostella con affreschi del XIV e XV secolo. In una casa di campagna nei pressi di Fermignano nacque nel 1444 il celebre architetto Donato Bramante, e sempre nei pressi di Fermignano sorge la Villa Isola che nel 1575 ospitò Torquato Tasso che vi compose la famosa ’Canzone al Metauro’. Già in epoca medievale Fermignano fu caratterizzato dalla presenza di cartiere, sostituite nel nostro secolo da pastifici e lanifici. Manifestazione annuale caratteristica è il ’palio della rana’, disputato la prima domenica dopo Pasqua dalle sette contrade fermignanesi a rievocazione dell’affrancamento dal ducato di Urbino: palio preceduto da uno sfarzoso corteo storico in costume.


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    l Complesso Monumentale Torre Medioevale e Ponte Romano

    La tradizione locale considera di epoca romana il ponte che attraversa il Metauro a Fermignano. Si tratta di una monumentale struttura a tre archi, costruita in blocchetti di pietra disposti in bassi filari e con tratti di restauro a mattoni. La tecnica di costruzione è simile a quella con cui è stata edificata la attigua Torre, che si pone a difesa del significativo luogo di transito. Infatti ebbe probabilmente il ruolo di controllo dell’importante guado sul Metauro, di stazione di pedaggio, nonché di difesa cittadina. La Torre pare essere una tipica fabbrica medioevale, forse poggiante su fondazioni presumibilmente romane.

    Ponte e Torre sono strettamente collegati e sembrano costituire un unico complesso monumentale, di fondamentale importanza strategica nel contesto della viabilità medioevale

    Ai piedi della Torre è posta la fontana pubblica detta “Mascherone” costruita nel 1886.

    A metà del Ponte è da segnalare un’edicola eretta, pare, in occasione di un intervento effettuato sul ponte stesso nella seconda metà del 400 per volere di Federico da Montefeltro e sotto la direzione di Francesco di Giorgio. Al suo interno si può ammirare una Madonna col Bambino di fattura tardo-quattrocentesca.

    Non è al momento visitabile l’interno della Torre, in quanto in fase di ristrutturazione (12/2004).

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    La torre medievale e la ciminiera dell'ex cartiera


    Con la pubblicazione del volume "Castrum Firmignani" Castello del Ducato di Urbino edito dal Comune di Fermignano nel 1993 e con le ultime ricerche storiche di Monsignor Franco Negroni pubblicate nel volume "Fermignano e le sue confraternite" (1998), si hanno origini certe del "Castello di Fermignano".
    In alcuni documenti, agli inizi del 1300 si cita il "piano di Fermignano" con la "Pieve" di San Giovanni Battista che estendeva il suo ambito parrocchiale fino all'antico ponte sul fiume Metauro.
    In un documento del 1338 si legge delle elezioni dei sindaci della "Villa di Fermignano" costituita da casali, oratori ed edifici isolati.
    II Conte Guido Antonio Montefeltro, iniziatore della Signoria Feltresca fece sorgere il castello presso il ponte sul Metauro.
    L'esistenza del castello è documentata in una vendita del 27 novembre 1388 fatta alle monache di S. Silvestro da Giovanni di Pino "del castello di Fermignano".
    Il 19 dicembre 1407 presso la chiesa di San Pietro, sita in cima alla via Maggiore, si adunò l'Arengo del nuovo paese, in numero di 45 membri, sotto la presidenza di Giovanni Pini del "castello di Fermignano".
    L' 11 novembre 1418 il consiglio del castello di Fermignano e delle ville circostanti è convocato nel piano più alto della torre per portare a conoscenza della vendita di un terreno con la realizzazione di 22 ducati d'oro serviti per pagare Mastro Paolo da Sant' Angelo in Vado, ingegnere mandato dal Conte Guido Antonio a disegnare i fossati fatti e da farsi, per saldare Ser Deddo da Forlì inviato a Fermignano per far lavorare ai detti fossati ed a Mastro Antonio di Curzio e tre manovali che continuavano la scarpata fatta al ponte.
    Il castello - con la strada maggiore, sette vicoli e tre piazzette - prende forma. II paese è fornito di mura nelle quali si aprono due porte: una presso il ponte sul fiume Metauro e la torre detta Porta Romana, demolita nel 1870, l'altra di fianco alla Chiesa di S.Pietro in cima alla via Maggiore, che uscendo dal castello porta a Urbino, demolita alla fine dell’800.
    Nei pressi della torre entra in funzione, tra il 1407 e il 1408, la cartiera e più tardi un mulino a grano. Proprietà della famiglia Montefeltro, la cartiera viene donata nel 1507 da Guidubaldo I alla cappella del SS.Sacramento di Urbino, che la possedette fino a1 1870.
    Visitata nel 1703 da Mons. Curzio Origo, fu definita una delle più grandi delle Stato della Chiesa.
    Nel 1563 nella Via Maggiore viene costruito il Palazzo Calistri, residenza della nobile famiglia di ecclesiastici e nel 1564 viene posta la prima pietra della Chiesa di Santa Veneranda.
    Al di fuori del castello nei pressi della porta romana esisteva già dalla seconda metà del 1200 la piccola chiesa di Santa Maria Maddalena e più avanti la villa Isola dei Conti Bonaventura, dove nel 1578 trovò ospitalità Torquato Tasso. Al di là del fiume Metauro l'ospizio di S.Lazzaro per lebbrosi e in località "Ca' Melle" la casa dove nel 1444 nacque Donato Bramante. Nei pressi della porta verso Urbino, gli edifici di una locanda della quale rimangono due bei portali gotici e l'ospeda1e di S.Antonio ospizio per pellegrini; nelle vicinanze della "Pieve" di San Giovanni Battista, l'oratorio di San Giacomo con un bell'affresco del XV secolo, attualmente collocato nell'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Urbino.
    A cinque chilometri dal castello, nella Piana di San Silvestro, dove nel 207 a.C. si è conclusa la battaglia del Metauro fra Romani e Cartaginesi, sorge l'Abbazia benedettina (Una bolla di Urbano III ne attesta l'esistenza nel 1185); oggi ne rimane solo la cripta.
    Nell'edicola del ponte suI fiume Metauro, vi e un affresco di fine '400 raffigurante la Madonna con bambino ricoperta da un paliotto ligneo.
    All'inizio del ponte, nel 1870, è stato costruito l'edificio del mattatoio e più tardi i lavatoi pubblici. La torre in pietra fu proprietà dei Montefeltro e con tutta probabilità, sotto la Signoria di Federico "il Grande", subì modifiche nella parte alta con beccatelli a mattoni.
    Sotto i Montefeltro vi dimorava il capitano del castello, ma il 13 novembre 1507 la duchessa Elisabetta Gonzaga, in un momento di strettezze economiche per la corte, la vendeva per 50 fiorini al dottor in legge Piermatteo Pini, appartenente ad una famiglia di giuristi e letterati che ha dato il nome al rione "Cal Pini", dove aveva possidenze.
    II 22 dicembre 1520 Battista Pini cedette la torre per 60 fiorini al Sig. Girolamo Virgili di Urbino.
    Dai Virgili la torre passò ai Battiferri, dei quali Giovanni Battista ne farà donazione al patrizio urbinate Bernardino Maschi, suo parente. Questi il 20 dicembre 1681, al prezzo di 350 scudi di moneta ducale, vendeva la torre di considerevole grandezza, con palombara ed altri beni e terra ortiva al nobile Federico Bonaventura di Urbino.
    Nell'ottobre del 1703 vi alloggiarono, dietro indicazione di Papa Clemente XI (Giovan Francesco Albani di Urbino), due gentiluomini romani, i monsignori Curzio Origo e Giovanni Maria Lancisi in viaggio a Urbino per assistere all'addottoramento del nipote Annibale Albani.
    Mons. Curzio Origo nel diario cosi descrive "indi salissimo nella torre dei signori Bonaventura, che per verità merita di essere veduta, essendo tre stanze una sopra l'altra fatte con ottima architettura, in ognuna di esse vi è un buon letto, una bellissima vista, dominandosi il ponte ed il fiume e tutte quelle colline. Vi trovassimo molte galanterie che sarebbero ottime per il museo del Signor Cavalierino (*), perché sono veramente belle e molto compatisco chi nella sua gioventù metteva da parte denari per comprarle, essendo cose di tutto mio genio. Finito il pranzo mentre si aspettavano i cavalli per andare alla casa di Bramante, si viddero li telai ed i lavori della tela e trovatele assai belle e ben fatte, Mons. Origo spese scudi 13 in un paio de lenzuoli e 24 salviette che ogni Signore se ne puol servire e per l'avvenire non vuol comprare altra tela che in Fermignano" .
    Nel 1835 la torre fu acquistata dalla cappella dal SS. Sacramento per togliere agli inquilini ed agli abitanti del paese l'uso di vaschette per lavare o per prendere acqua con danno alla cartiera. II 20 maggio 1871 la torre unitamente alla cartiera ed al molino fu venduta alla nobile famiglia Albani di Pesaro per un importo di 22 mila lire da pagarsi in moneta d'oro e argento. Nel 1915 gli immobili furono acquistati dalla famiglia Carotti che installò negli edifici della cartiera un setificio e lanificio.
    Dal 7 novembre 1995 la torre è proprietà del comune di Fermignano.

    (*) Alessandro Albani, nipote di Clemente XI, archeologo e cardinale, nato a Urbino il 15 ottobre 1692 e morto a Roma nel dicembre 1778.

    Giulio Finocchi





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    Il lavatoio del sec.XIX

    I lavatoi risultano coevi al mattatoio e vengono poi inglobati in un edificio risalente alla prima metà del XX sec.

    Portale di Palazzo Calistri

    Il portale è in arenaria contiene motivi vegetali a foglie, mentre sull’architrave si legge la scritta “Soli Deo honor e glo.a” con stemma al centro recante i simboli di una torre bugnata con porta e tre ordini di merli, due stelle a otto punte, banda trasversale con motivi a onde d’acqua. Alle finestre della facciata di Palazzo Calistri e sul vicolo laterale si notano belle cornici in arenaria.
    All’interno di Palazzo Calistri (probabilmente di epoca rinascimentale) vi sono ben conservati alcuni interessanti affreschi che decorano la Cappella Gentilizia.

    Il palazzo, di proprietà privata, non è visitabile

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    foto:.weagoo.com


    Ex pieve di San Giovanni Battista

    Attorno alla Pieve di San Giovanni Battista (di origine romanica) probabilmente sorse il primo insediamento di Fermignano. Assolveva al compito di Fonte Battesimale. Fu successivamente inglobata nella casa colonica di origine seicentesca.
    All’interno si può ancor oggi ammirare il bellissimo portale realizzato con pietra locale della Cesana a sesto acuto abbellito con capitelli a punta di diamante.

    Al momento non visitabile in quanto in fase di ristrutturazione (12/2004)

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    foto:wikimapia.org


    Chiesa di Santa Veneranda

    Eretta nel sedicesimo secolo, dentro le mura, grazie alla Confraternita del Gonfalone, e dedicata alla Santa scelta come protettrice del Paese. Completamente distrutta dal terremoto del 1781, fu poi riedificata su progetto dell’architetto urbinate Tosi.

    Al suo interno conserva il dipinto del Rondelli dedicato a S. Francesco di Paola. Allo stesso Rondelli, plastico e decoratore urbinate attivo nella seconda metà del 700, pare possano attribuirsi gli stucchi che decorano l’arco trionfale, l’abside, gli altari ed il fonte battesimale

    La chiesa è visitabile gratuitamente.


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    foto:guidamarche.it



    Gola del Furlo, sito archeologico strada consolare Flaminia, galleria del Furlo, Chiesa di S. Maria delle Grazie




    Sull'antica strada consolare Flaminia si apre, all'altezza della Gola del Furlo, la galleria del Furlo, cioè il Forulus, il forellino nel sasso della montagna.
    Dapprima un forellino angusto, preistorico, aperto scheggia a scheggia, fatta aprire dal console Flaminio nel 217 a.c. o forse scavata in precedenza.
    Poi dall'anno 76 D.c., a lato di questo forulus, la galleria romana, lunga quasi quaranta metri, scavata nel cuore della roccia per volere dell'Imperatore Vespasiano nel punto più stretto della gola.
    Adiacente alla Galleria del Furlo sorge la piccola chiesa di S. Maria delle Grazie, eretta alla fine del '400.

    La chiesa è visitabile nel periodo di luglio / agosto (L'ingresso è gratuito)


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    Compie 44 anni lo storico e singolare "Palio della Rana" di Fermignano, ridente cittadina marchigiana a pochi passi da Urbino, celebre per aver dato i natali al sommo architetto Donato Bramante e per i suoi monumenti: il ponte e l'imponente torre romana.

    "Il Palio della Rana" è un vero e proprio torneo storico (riconosciuto anche dalla Federazione Italiana Giochi Storici e quella delle Rievocazioni Storiche) che si disputa per le vie della cittadina pesarese la domenica dopo Pasqua, detta "Domenica in Albis".

    Le origini di questa singolare manifestazione sono da ricondursi al lontano 1607, data in cui Francesco Maria II della Rovere, 15° Conte di Montefeltro e Duca di Urbino, istituisce il primo "Consiglio Municipale" di Fermignano composto da 24 consiglieri dei quali 10 scelti nel "Castello" e gli altri nelle "Ville" circostanti.

    Di fatto il "Castello" di Fermignano, sin dalle sue origini era stato sempre alle dipendenze del municipio di Urbino. Tale vassallaggio doleva troppo ai suoi abitanti, i quali, cresciuti in popolazione sentivano sempre più il bisogno di governarsi da sé come altre città del Ducato. Così ripetute istante venivano presentate al serenissimo Duca che, finalmente, il 28 settembre 1607 decise di istituire il primo consiglio. Per celebrare l'evento la domenica dopo Pasqua l'intera popolazione si abbandonò spontaneamente a festeggiamenti consistenti in corse coi sacchi, rottura delle pignatte, l'albero della cuccagna e la corsa delle rane in carriola.

    A contendersi l'ambito trofeo del Palio sono le sette contrade: Cà L'Agostina, Calpino, La Pieve, La Torre, San Lazzaro, San Silvestro, Santa Barbara. A rappresentarle i rispettivi scariolanti contraddistinti dalle casacche raffiguranti lo stemma di ogni contrada e colori.

    Sulla gara vige un rigido e severo regolamento. Il percorso del Palio è di 170 metri, fa percorrere in corsa libera con una carriola da spingere e con una imprevedibile rana a bordo. Partecipano alla gara quattro concorrenti per contrada.
    I vincitori delle sette batterie, più il sorteggiato tra i secondi arrivati, parteciperanno alle semifinali. I primi e i secondi arrivati delle semifinali daranno vita alla finalissima per l'aggiudicazione del Palio.

    Per questa importante edizione la locale Pro Loco, supportata dal comune, ha predisposto un ricco programma che prevede, oltre al Palio della Rana: il Palio dei Putti, esibizioni di artisti di strada e gruppi storici, raduni camper, spettacoli pirotecnici, mercatini e botteghe, mostre, taverne e stand con degustazioni di prodotti tipici.

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    La cartiera di Fermignano
    occupa un posto di particolare interesse nel panorama storico delle antiche cartiere italiane per essere stata in funzione ininterrottamente per cinque secoli e per non aver mutato proprietà per quasi quattrocento anni.
    Pur non essendo stata tra le prime, in quanto a data di impianto, tuttavia la sua nascita risale al primo secolo dell’attività cartaria nel nostro paese, allorquando le cartiere si contavano facilmente e costituivano il vanto dei Comuni o dei Signori che le avevano fatte sorgere sia per ricavarne un discreto utile sia per motivo di prestigio, così come accadrà – pochi decenni più tardi – con le prime officine tipografiche.
    Lo storico fabrianese Zonghi dava per esistente questo opificio nella seconda metà del 1300, ma senza fornire un sostegno documentario a tale ipotesi, che pertanto non può essere assunta come storicamente certa anche se potrebbe avere qualche fondamento. Infatti da tener presente che Fabriano, culla dell’industria cartaria italiana, dista da Fermignano circa sessanta chilometri e che i Chiavelli, signori di Fabriano nel tre – quattrocento , e proprietari di cartiere, facevano parte di una ristretta cerchia di “fideles” della casata urbinate dei Montefeltro e che uno di loro aveva sposato nel 1350 una Montefeltro, Margherita figlia del conte Galasso.
    Non sarebbe quindi molto strano se fossero stati proprio i Chiavelli (che certo ben conoscevano la situazione del Metauro a Fermignano ) a suggerire l’impianto di una cartiera ai Montefeltro, o se a questi sia venuta l’idea durante una delle frequenti visite a Fabriano, o se sia stato un suggerimento di Margherita ai suoi congiunti.
    Ma per avvalorare queste ipotesi non esistono certezze documentarie, mentre nella Sezione dell’Archivio di Stato di Urbino è conservato un documento notarile del 1411 con il quale si pone fine ad una controversia sorta tra il conte Guidantonio e due fabrianesi, affittuari della cartiera a Fermignano; il notaio si fa scrupolo di rammendare di aver lui stesso rogato l’atto di affitto della cartiera nel 1407 “allora ancora in costruzione”; di quest’ultimo atto non esiste traccia negli archivi urbinati, essendo lì raccolti gli atti a partire dall’anno 1408, ma nulla impedisce di accettare il 1407 come data certa di impianto della cartiera.
    Situato sulla sponda sinistra del Metauro, che a Fermignano trova un salto naturale – poi meglio adattato artificialmente – l’opificio produsse carta “ad usum fabrianensem” (quindi di buona qualità) per i Montefeltro fino al 1507, anno nel quale il duca Guidobaldo I deciderà di cedere la cartiera alla Cappella del SS. Sacramento del Duomo di Urbino per assicurarle le entrate necessarie all’espletamento delle proprie attività (studio ed istruzione musicale e funzioni religiose ); l’occhio attento dei Duchi seguirà l’andamento della cartiera che godeva del monopolio della vendita della carta nell’intero ducato e del privilegio di esclusiva per la raccolta degli stracci (materia prima per fabbricare la carta) fino al 1631,quando il ducato di Urbino fu ceduto alla Santa Sede per estinzione della casata urbinate.
    Seppure soggetta alle leggi dello Stato Pontificio, alla cartiera di Fermignano vennero mantenuti i privilegi ducali, ma ciò non bastò ad evitare un lentissimo procedimento di decadimento, dovuto a vari fattori: il monopolio, che, contestato e messo continuamente in discussione dalle cartiere pontificie vicine (Fabriano, Pioraco, Foligno; Faenza), non riusciva a garantire le entrate necessarie: il contrabbando degli stracci (a volte incentivato dagli stessi affittuari), che privava la cartiera dei cenci di migliore qualità per destinarli a cartiere in regime di libera concorrenza e quindi disposte a pagare meglio la preziosa merce; la qualità, che, non più oggetto di attenzioni come al tempo dei Duchi e inficiata dal contrabbando, veniva contestata di continuo contribuendo ad un’inesorabile diminuzione dei ricavi; da ultima , la scarsa attenzione che la Cappella del SS. Sacramento riservava alla manutenzione dell’edificio ed alla revisione e sostituzione delle macchine, che, riparate spesso e mai sostituite (per una cieca logica del risparmio), causavano frequenti fermi di produzione con conseguente perdita economica. Del resto la Cappella era molto più abituata a gestire beni immobili e terreni che con insediamenti industriali, e va comunque detto che molte cartiere dello Stato Pontificio seguirono più o meno lo stesso destino, messe in difficoltà da quelle di stati “liberali”, primo fra tutti la vicina Toscana che incentivava le industrie con una miriade di provvedimenti a loro difesa e sviluppo.
    Pochi anni dopo l’Unità d’Italia, nel 1870, la Cappella del SS. Sacramento di Urbino deciderà di vendere la cartiera e di acquistare con il ricavato alcuni terreni; l’opificio venne acquistato dalla famiglia Albani di Pesaro che continuò a gestirlo come cartiera ancora per alcuni anni per poi trasformarlo in setificio; questo opificio, in tempi relativamente recenti, ha lasciato il posto ad un lanificio che ancora oggi, stretto tra il Metauro, la torre e la cascata, ingloba alcuni ambienti dell’antico edificio cartario.

    Franco Mariani

    Edited by tomiva57 - 8/7/2014, 15:40
     
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    URBANIA



    Urbania è un comune italiano di 7.069 abitanti della provincia di Pesaro e Urbino nelle Marche. Conosciuta, fino al 1636 con il nome di Casteldurante, cambiò con l'attuale denominazione in onore di papa Urbano VIII

    Urbania è una cittadina con la curiosa caratteristica di aver cambiato, nel corso della sua storia, per ben tre volte il nome. Nell’alto medioevo si chiamava Castel delle Ripe e sorgeva sui colli della riva sinistra del Metauro. Fu distrutta nel 1277 dai Montefeltro, per la sua fedeltà al giglio guelfo. Nel 1284 circa Urbania fu ricostruita dal provenzale Guglielmo Durante governatore della Romagna e della Marca d’Ancona, il quale trasferì l’abitato dalle colline alla pianura affidando la difesa del nuovo castello a potenti mura e alle acque del fiume Metauro.

    Da questa data si chiamò Casteldurante, dal 1424 fece parte del dominio della Signoria dei Montefeltro. Dopo la devoluzione del Ducato di Urbino allo Stato della Chiesa (1631), papa Urbano VIII elevò Casteldurante al grado di Diocesi e di Città (1636) mutando il suo nome in quello di Urbania.

    L’impianto urbanistico del centro storico di Urbania alla fine del ‘200, fu pianificato da Guglielmo Durante, contiguo all’antica abbazia benedettina di San Cristoforo del Ponte.

    Rilevanti elementi dell’urbanistica sono le vie cittadine con le caratteristiche logge o portici e la grande ansa tortuosa del Metauro che avvolge l’abitato.

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    Ad Urbania il Palazzo Ducale dei Montefeltro-Della Rovere, già castello dei Brancaleoni, ristrutturato da Francesco di Giorgio Martini e Gerolamo Genga, è sede della biblioteca comunale, dei musei civici e degli istituti culturali cittadini. Nell’antica abbazia benedettina risalente al IX sec., poi palazzo del vescovo, è oggi istituito un Museo Diocesano con una vasta raccolta di ceramiche.

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    La piccola città di Urbania esprime nel suo insieme una discreta cifra scenografica: nei loggiati trecenteschi, nell’assetto geometrico delle vie, nelle corrispondenze dei vicoli, nelle linee di fuga che a volte incontrano decorosi portali. Urbania ha una serie di forti punti paesaggistici: sui ponti, nella cinta muraria che permette la classica e marchigiana passeggiata sulle mura, con la vista sul Metauro, con gli orti sporgenti sui moderati abissi, e i grandi massi fluviali d’arenaria che sembrano sculture.



    Storia

    Chiamata, in origine altomedioevale, Castel delle Ripe, fu libero Comune di parte guelfa, ragion per cui, nel 1277, fu distrutta dai ghibellini della vicina Urbino. La popolazione superstite trovò rifugio più a valle, tra le mura della potente abbazia benedettina di San Cristoforo attorno alla quale, intorno al 1284, fu fatta ricostruire la nuova città dal prelato provenzale Guillaume Durand, governatore della Romagna e della Marca di Ancona. In suo onore la città prese il nome di Casteldurante. Successivamente cadde sotto la signoria di Brancaleone, cui successero, congiuntamente, i figli Nicola Filippo, Pierfancesco e Gentile. A Pierfrancesco, rimasto unico "signore" dopo la morte dei fratelli, successero i nipoti Galeotto e Alberico (figli di Nicola Filippo) e Bartolomeo (figlio di Gentile), essendogli premorto l'unico figlio Lamberto. I tre cugini non vollero governare insieme e divisero pacificamente la signoria: ai fratelli Galeotto e Alberico, che rimasero insieme, andò la parte maggiore, compresa la città di Urbania, mentre Bartolomeo ottenne Mercatello sul Metauro e la Massa Trabaria. La signoria dei fratelli, divenuti tiranni, fu breve, perché furono massacrati dalla popolazione, che, tuttavia, non pensò a ripristinare l'antica libertà comunale, ma si offrì al duca di Urbino. Il ramo di Mercatello sul Metauro, invece, si estinse con Gentile, prima moglie di Federico da Montefeltro, duca di Urbino, cui portò in dote le terre della sua famiglia, che rimasero ai Montefeltro anche se da questo matrimonio non nacquero figli. Sotto i Della Rovere, successori dei Montefeltro nel ducato di Urbino, l'antico signorile "palazzo dei Brancaleoni" fu restaurato e ristrutturato da un gruppo di architetti, comprendente Francesco di Giorgio Martini, Annibale della Genga e Paolo Scirri, quest'ultimo congiunto di Scirro Scirri, che era stato il primo maestro di architettura del Bramante. I duchi di Urbino usarono il palazzo come soggiorno estivo e il Barco ducale come residenza di caccia. Solo l'ultimo duca di Urbino, Francesco Maria II Della Rovere, visse in permanenza a Casteldurante trasferendovi la corte ducale, vi morì e fu sepolto nella chiesa del Santissimo Crocefisso. Alla sua morte, nel 1631, l'intero ducato di Urbino tornò sotto il dominio diretto dello Stato Pontificio. Il 18 febbraio 1636, papa Urbano VIII elevò Casteldurante al rango di città e di diocesi, cambiando, per la terza volta, il suo nome, che divenne Urbania.


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    foto:.panoramio.com

    XX secolo

    Urbania è tra le Città decorate al valor militare per la guerra di liberazione ed è stata insignita della Medaglia di Bronzo al Valor Militare per il contributo dato alla Resistenza (in particolare all'attività della Brigata Garibaldi Romagnola)ed il tragico bombardamento subito il 23 gennaio 1944 da parte delle forze alleate, che provocò devastazioni e 248 vittime civili. Per tale motivo Urbania è stata riconosciuta Città martire della Provincia di Pesaro e Urbino. Ogni anno la ricorrenza è celebrata solennemente.

    Al giorno d'oggi la città, pur molto piccola, è un centro turistico, visitata per il Palazzo Ducale (ora sede di un museo e di una biblioteca, che conserva mappe del Mercatore), per le numerose chiese (fra cui la chiesa dei Morti, che conserva numerose mummie naturali di persone morte nel Medio Evo e nel Rinascimento), per le antiche mura (dotate di una passeggiata da cui si può vedere il fiume Metauro, che circonda la città in una sua ansa), per le stradine medievali, per la produzione di ceramiche (le famose ceramiche di Casteldurante).

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    Oggi, l'antica diocesi di Urbania-Sant'Angelo in Vado sopravvive unita alla tradizionale arcidiocesi di Urbino, alla quale venne accorpata nel 1986, per formare una nuova unità amministrativa e territoriale: l'arcidiocesi di Urbino-Urbania-Sant'Angelo in Vado, che non è più metropolitana e che ha la sua sede a Urbino. La cattedrale di San Cristoforo Martire, diventata ufficialmente concattedrale, è ora una delle tre cattedrali dell'arcidiocesi .



    Luoghi d'interesse


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    Di particolare interesse storico-artistico è il Duomo di Urbania (IX-XVIII secolo), dedicato a San Cristoforo martire ed edificato sulle fondamenta dell'antica Abbazia di San Cristoforo del Ponte risalente all'VIII secolo.


    Si viene in Urbania per le maioliche durantine, per i pittori come Giuliano o Pietro da Rimini che rappresentano la curiosa variante di una scuola di Giotto arrivata nei centri appenninici dal mare Adriatico. Chi ama la pittura dice che la Maddalena Penitente di Guido Cagnacci vale un viaggio ad Urbania, e può vedere il quadro ancora nello stesso altare di quattro secoli addietro. C’è chi viene per la Madonna delle nuvole di Federico Barocci che Francesco Maria II Della Rovere “teneva al suo letto nell’attuale ornato” e che ora è posta affettuosamente sul sepolcro dell’ultimo Duca di Urbino. L’Oratorio del Corpus Domini è un’altra meta consueta con gli affreschi di Raffaellin del Colle Le Sibille e i Profeti collegati ai temi messianici e dell’attesa, così pertinenti ai climi e alle atmosfere di provincia.



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    foto:turismo.pesarourbino.it

    Chiesa dei Morti: La Chiesa dei Morti, già Cappella Cola fino al 1836, ornata da un bel portale gotico, conserva al suo interno il Cimitero delle Mummie, noto per il curioso fenomeno della mummificazione naturale, dovuto ad una particolare muffa che ha essiccato i cadaveri succhiandone gli umori. Nel 1833 furono esposti dietro l’altare 18 corpi già mummificati estratti dai sepolcri vicini, in seguito all’istituzione dei cimiteri extraurbani per effetto dell’editto napoleonico di Saint Cloud del 1804. Alla sistemazione dei corpi provvide la Confraternita della Buona Morte, fondata a Casteldurante nel 1567, sotto la protezione di San Giovanni Decollato. I suoi compiti erano di provvedere al trasporto gratuito e alla sepoltura dei morti, specie degli indigenti, all’assistenza dei moribondi, oltre alla registrazione dei defunti in uno speciale libro, fino alla distribuzione delle elemosine ai poveri. Durante la cerimonia funebre i “Fratelli” indossavano una veste bianca con cappuccio nero sul capo (come si vede all’interno della chiesa nel personaggio al centro, il Priore Vincenzo Piccini, ideatore della necropoli). Le mummie di Urbania attendono il visitatore ognuna con la sua storia da raccontare: una giovane donna deceduta di parto cesareo, un giovane accoltellato in una veglia danzante, oppure la mummia dello sventurato che, si racconta, fu sepolto vivo in uno stato di morte apparente. Il custode svelerà le nascoste vicende di tutti i personaggi.

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    La Biblioteca Ducale di Urbania è uno dei capolavori voluti dal Duca di Urbino Federico II da Montefeltro. L’edificio ospita il Museo Civico, la Biblioteca, la Pinacoteca e l’Archivio Storico con pregevoli raccolte di disegni, manoscritti, incisioni (tra gli autori Barocci, Zuccari, Carracci) e i 2 rari globi geografici (la sfera terrestre del 1541 e la sfera celeste del 1551) di Gerardo Mercatore, il più grande geografo del Rinascimento. Il Palazzo Ducale fu progettato dagli architetti Francesco di Giorgio Martini e Gerolamo Genga. Si accede al Palazzo Ducale attraverso lo splendido Cortile d’onore rinascimentale, della seconda metà del ’400, con un loggiato che si apre tra ventidue colonne di travertino che ricorda quello del Palazzo Ducale di Urbino. Salita la scalinata si giunge al piano nobile e qui si entra immediatamente nella Sala Maggiore, grande opera di Gerolamo Genga con splendido soffitto dalle volte a vela, sala destinata alle festività e solennità cortigiane.


    E ve ne era ben donde: Francesco Maria II della Rovere costituì una raccolta di libri che poteva dirsi una meraviglia delle collezioni roveresche. Suoi agenti compravano libri per lui in Italia e in Europa e intenditori di prim’ordine come il cardinale Del Monte, il mecenate di Caravaggio, si occupava di prendergli quanto di meglio uscito dai torchi delle tipografie. La corte dei Della Rovere era un ambiente internazionale, ed essi attribuivano importanza alle comunicazioni. La biblioteca di Urbania era ricca di 14.000 volumi, quando agli inizi del ‘600 si calcola che circolassero non più di 250.000 libri in tutta l’Europa. I duchi vi soggiornavano spesso: Elisabetta Gonzaga si rallegrava del comodo Sito pianeggiante, Francesco Maria I Della Rovere diceva di avere la corte a Pesaro, il palazzo a Urbino, la casa a Casteldurante, alludendo alla domestica libertà durantina, alle battute di caccia al Barco o sull’Appennino, ai salutari bagni nelle gorghe del Metauro.

    Mezzo secolo fa a Urbania, si poteva ancora ammirare il tempietto ottagonale, oggi irriconoscibile per le storpiature belliche, fondato su una roccia a picco sul Metauro, opera di Donato Bramante.

    Secondo quanto scritto da Vasari e da Serlio, l’architetto sarebbe nato a Casteldurante nel 1444. Ma i suoi natali sono oggetto di una annosa guerra culturale con la limitrofa Fermignano

    Molti vengono a Urbania per studiare la lingua italiana nelle scuole di lingua per stranieri.


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    Barco Ducale –

    A un chilometro da Urbania, in direzione Sant’Angelo in Vado, si impone il “Barco”, residenza di caccia dei duchi di Urbino, che domina un’area naturale con alberi e prati. Il luogo fu sede di villeggiatura per celebri umanisti e poeti del Rinascimento, tra i quali il Tasso che ne cantò le lodi. Il Barco di Casteldurante è collegato al Palazzo Ducale da un miglio di fiume che cavalieri e dame risalivano in barca. Originariamente costruito in forma quadrilatera con un cortile interno, fu rimaneggiato da Girolamo Genga nei primi decenni del XVI secolo e, verso la metà del ‘700, diventato convento, venne modificato internamente con l’inserzione della chiesa di San Giovanni Battista, su progetto di derivazione vanvitelliana. Durante i recenti lavori di restauro sono stati riportati alla luce nella stanza del refettorio dei frati francescani, affreschi risalenti al ‘700, tra cui una “Ultima cena” del pergolese Gianfrancesco Ferri.

    Il Barco ospiterà i laboratori del Museo Civico, attrezzati per corsi di artigianato artistico e di ceramica con sezioni di foggiatura, decorazione e restauro. Saranno esposti frammenti di maiolica, pezzi del revival durantino, ceramiche popolari, opere di Federico Melis e manufatti in raku. Si prevede di destinare una parte del complesso ad usi ed eventi culturali di alto livello. I laboratori del Museo al Barco Ducale fanno parte del circuito “Museo del Metauro” della Comunità Montana Alto e Medio Metauro, assieme al Museo della Città di Urbino e al Museo di San Francesco di Mercatello sul Metauro.

    Storia


    L’esistenza del Barco è legata ai duchi di Urbino, che scelsero Casteldurante come residenza alternativa a quella urbinate e che, unitamente al Palazzo Ducale, privilegiarono questo luogo ameno per lo svago di corte. Qui soggiornarono celebri umanisti e poeti della Rinascenza, come Torquato Tasso, che proprio in questa cornice trovò ispirazione per comporre la “Canzone al Metauro”, che il poeta scrisse per celebrare l’ospitalità dei Della Rovere. Sulla base di questa memoria è stato istituito nel 1994 ad Urbania l’annuale Premio letterario Metauro. Il Barco e il Palazzo Ducale si configurano come i due fulcri ducali, uniti anche da un tratto del fiume Metauro che permetteva il collegamento fluviale tra le due residenze.

    Le origini del Barco risalgono al 1465, quando il duca Federico da Montefeltro decise di trasformare un largo appezzamento di terreno in una riserva di caccia. Entro l’area prescelta si trovavano già dalla fine del 1200 un convento ed una chiesa, non più esistenti, dedicati a San Giovanni Battista, edificati dai francescani minori nelle vicinanze della riva del fiume. Nel corso degli anni, queste originarie strutture subirono modifiche ed ampliamenti, soprattutto all’epoca dell’ultimo duca di Urbino, Francesco Maria II Della Rovere. Egli elesse infatti come sua dimora stabile il Palazzo di Casteldurante e, a differenza dei suoi predecessori che vi scendevano solo nei mesi più caldi dell’anno, vi dimorava per intere stagioni. Se in precedenza soggiornava nelle stanze del convento, alcune delle quali costruite per suo padre Guidubaldo II, dal 1594 cominciò a far edificare una casa, in più fece apportare modifiche al convento e realizzare un giardino privato indipendente il brolo. La residenza, inserita nel più ampio e selvaggio parco di caccia, offriva le attrazioni di una campagna incolta, ma al tempo stesso addomesticata dall’uomo, che poteva coniugare scopi religiosi e intellettuali altrimenti impraticabili in una tradizionale riserva di caccia.

    Quando, nel 1631, l’ultimo duca di Urbino morì, tutto passò nelle mani dei francescani, pur rimanendo incerto il possesso dell’intera area del Barco, rivendicata dai frati ma posseduta dai duchi di Urbino da generazioni. A metà del 1700 si decise di sostituire le strutture del vecchio convento, ormai fatiscenti, con un edificio costruito su un terreno più sicuro, ad una certa distanza dagli argini del fiume, realizzazione sollecitata anche dai gravi danni arrecati dal terremoto del 1741. Il nuovo complesso, dove ha sede il Museo, è un ex convento edificato nella seconda metà del ‘700 nell’ampia area del Barco Ducale, che fu progettato dal bresciano fra’ Giuseppe Antonio Soratini, monaco camaldolese e abile architetto, unitamente alla chiesa, iniziata nel 1759 e consacrata nel 1771. Rimane come preziosa testimonianza del lavoro progettuale svolto in quest’epoca un modello ligneo conservato presso il Museo Civico di Urbania.

    Con la demanializzazione del 1866 il convento passò al Comune di Urbania che lo trasformò prima in ospizio per invalidi, poi dopo la seconda guerra mondiale fino al 1990, venne utilizzato come casa di riposo per anziani, infine, con il recente restauro, è stato adibito a sede di laboratori artigianali, parte integrante ed attiva del Museo del Barco Ducale. Il Museo è in fase avanzata di allestimento come centro di pratica dell’artigianato artistico in memoria del durantino Cipriano Piccolpasso, maestro dei segreti della ceramica del Rinascimento e autore del fondamentale trattato didascalico “Li tre libri dell’arte del vasaio”, opera in cui si occupa della pratica della ceramica in Casteldurante. E’ anche grazie a questo illustre precedente che la tradizione ceramica durantina si è mantenuta nei secoli e ancora oggi sono attive numerose botteghe artigianali che si dedicano a quest’arte. Sono inoltre in corso studi sugli affascinanti affreschi rinvenuti nel refettorio durante il restauro del 2008.





    Economia

    L'industria della maiolica divenne intorno ai primi decenni del XVI secolo una delle più significative, assieme a quella di Faenza, tra quelle dell'epoca, grazie all'impulso conferito dai maestri Giovanni Maria e Nicola Pellipario.
    Il primo pezzo documentato di Maria risalì al 1510 e fu un piatto raffigurante lo stemma di papa Giulio II, ma ben presto la sua decorazione di piatti, vasi ed altra oggettistica si staccò dai modelli faentini per personalizzarsi con decorazione a "candelabra" ricca di elementi fantasiosi, animali e vegetali. In una ulteriore fase le bordure inclusero maschere grottesche o arabeschi.
    Pellipario, invece, introdusse la decorazione a "istoriato", ossia un tema figurativo che occupò tutto la pianta ceramica. Tra i servizi firmati da lui si annoverarono quello Correr e l'Este Gonzaga.
    Verso la fine del XVII secolo la produzione di maiolica incominciò la sua parabola discendente.


    È il comune capoluogo della Comunità Montana Alto e Medio Metauro.

    Personalità legate a Urbania

    Urbano VIII, 235º papa della Chiesa cattolica.
    Donato Bramante, pittore e architetto.
    Francesco Luci, umanista e letterato.
    Cipriano Piccolpasso, architetto, storico, ceramista, pittore, e trattatista.


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    Onorificenze

    Medaglia di bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria

    Medaglia di bronzo al valor militare
    «Durante la lotta contro l’oppressione nazi-fascista, la popolazione di Urbania, coraggiosamente, a costo di dure rappresaglie, sosteneva le proprie formazioni partigiane dando cospicuo contributo di combattenti, sangue generoso, distruzioni e sofferenze subite, alla causa della libertà della Patria.»
    — Zona di Urbania, gennaio-luglio 1944


    Curiosità

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    Eventi: Dal 2 al 6 gennaio la Grande Festa della Befana, con giochi, il volo della vecchina e lo spettacolo pirotecnico.

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    A Pasqua sfida a colpi di “punta e cul”: chi ha l’uovo sodo intatto si aggiudica le uova sconfitte e ammaccate.

    A fine aprile Un Fiore di Città.
    urbania bar A giugno la Festa della ceramica.

    Il 25 luglio la Festa di San Cristoforo Patrono, con l’usanza di benedire le auto.
    Il ricco cartellone musicale estivo culmina nel Concerto Lirico di Ferragosto.

    A settembre la Rassegna Internazionale Cori Polifonici.
    A ottobre l’Antica Fiera di S. Luca e delle Donne con la Mostra Micologica.

    A novembre il prestigioso Premio Poesia Metauro.

    Per i buongustai: ottimi ristoranti e trattorie in cui mangiare la coratella di agnello a colazione.



    Nel menu tipico: porchettina di lumache, “crostoli” (simili alla piadina), arrosti misti e piccione con riempitura. Tartufo, nero o bianco, a volontà (S. Angelo in Vado e Acqualagna sono a due passi)!
    Tra i primi le “lumachelle della Duchessa”.
    urbania gastronomia Dolci: il “bostrengo”, il “miaggio”, i “bastoncelli”.

    Curiosità: La casa della Befana casella postale aperta 61049 Urbania (Pu) Italy, per scrivere alla Befana!

    Concittadino illustre fu anche il Bramante.
    A lui è dedicato il Teatro, bomboniera ottocentesca.



    Torquato Tasso

    “Canzone al Metauro” – XVI sec.



    Il Tasso iniziò a scrivere la Canzone al Metauro nell'agosto del 1578 a Villa Isola nei pressi di Fermignano, a pochi chilometri da Urbino, dove il poeta era stato «amorevolissimamente» accolto, dopo la fuga da Ferrara, dall'antico compagno di studi Francesco Maria II della Rovere.


    O del grand'Apennino
    figlio picciolo sì, ma glorioso
    e di nome più chiaro assai che d'onde,
    fugace peregrino
    a queste tue cortesi amiche sponde
    per sicurezza vengo e per riposo.
    L'alta Quercia che tu bagni e feconde
    con dolcissimi humori, ond'ella spiega
    i rami sì ch'i monti e i mari ingombra,
    mi ricopra con l'ombra.
    L'ombra sacra, hospital, ch'altrui non niega
    al suo fresco gentil riposo e sede,
    entro al piú denso mi raccoglia e chiuda,
    sì ch'io celato sia da quella cruda
    e cieca Dea, ch'è cieca e pur mi vede,
    bench'io da lei m'appiatti in monte o'n valle
    e per solingo calle
    notturno io mova e sconosciuto il piede,
    e mi saetta sì che ne'miei mali
    mostra tanti occhi haver quanti ella ha strali.
    Ohimè! dal dì che pria
    trassi l'aure vitali e i lumi apersi
    in questa luce a me non mai serena,
    fui de l'ingiusta e ria
    trastullo e segno, e di sua man soffersi
    piaghe che lunga età risalda a pena.
    Sàssel la gloriosa alma Sirena,
    appresso il cui sepolcro ebbi la cuna:
    così havuto n'avessi o tomba o fossa
    a la prima percossa!
    Me dal sen de la madre empia fortuna
    pargoletto divelse, e da que' baci,
    ch'ella bagnò di lagrime dolenti,
    con sospir mi rimembra, e da gli ardenti
    preghi che se'n portar l'aure fugaci:
    ch'io non dovea giunger più volto a volto
    fra quelle braccia accolto
    con nodi così stretti e sì tenaci,
    lasso, e seguii con mal sicure piante,
    quale Ascanio o Camilla, il padre errante.
    In aspro essiglio e'n dura
    povertà crebbi in quei sì mesti errori;
    intempestivo senso hebbi a gli affanni,
    ch'anzi stagion, matura
    l'acerbità de'casi e de'dolori
    in me rendé l'acerbità de gli anni.
    L'egra spogliata sua vecchiezza e i danni
    narrerò tutti: hor che non sono io tanto
    ricco de' propri guai che basti solo
    per materia di duolo?
    Dunque altri ch'io da me dev'esser pianto?
    Già scarsi al mio voler sono i sospiri,
    e queste due d'humor sì larghe vene
    non agguaglian le lagrime a le pene.
    Padre, o buono padre, che dal ciel rimiri,
    egro e morto ti piansi, e ben tu il sai,
    e gemendo scaldai
    la tomba e il letto: hor che ne gli alti giri
    tu godi, a te si deve honor, non lutto;
    a me versato il mio dolor sia tutto..
    .




    Edited by tomiva57 - 8/7/2014, 23:02
     
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    Fano, piccola citta' dalla grande storia
    Incastonata fra le colline marchigiane e l’Adriatico, è una gradevole sorpresa




    (Di Eugenia Romanelli)
    da:ansa.it


    Non tutti la conoscono. Fano, incastonata fra le colline marchigiane e l’Adriatico, è una gradevole sorpresa nelle sue molteplici sfaccettature di città d’arte, di mare e di terra. Città di mare, soprattutto, e con una lunga storia: abitata per secoli da pescatori e marinai, continua oggi la sua tradizione di accoglienza e ospitalità offrendo numerose strutture ricettive di alto standard nel rispetto della quiete e della natura. Infatti, attenta alla conservazione e alla tutela ecologica dell’ambiente, è stata più volte premiata per la qualità della vita e dell’ecosistema - la purezza dell’acqua, la pulizia delle coste, il livello dei servizi urbani, la sensibilità e il rispetto per il paesaggio e i beni naturali – dalla Bandiera Blu d’Europa alla segnalazione nella Guida Blu di Legambiente. Le spiagge intorno alla città si dispiegano per un lungo litorale protetto da colline ricoperte dalla macchia mediterranea che colorano di verde il mare sottostante. Sabbia fine e dorata o ciottoli tondi e levigati offrono ai visitatori ambienti accoglienti e protetti. Dall’azzurro del mare, spostandosi nell’entroterra, si colgono le varie gradazioni cromatiche dei diversi paesaggi, coltivati o più selvaggi del vicino Appennino. Il territorio è ricco di castelli e rocche difensive, chiese, conventi, città medievali rimaste intatte che si inseriscono armoniosamente nel contesto naturale.

    Anche se la sua origine risale probabilmente a popolazioni preromane, la denominazione più antica della città, Fanum Fortunae, rimanda al Tempio della Fortuna, forse inizialmente solo un piccolo sacello a ricordo della famosa battaglia del Metauro che nell’anno 207 a.C. vide sbaragliato dalle legioni romane l’esercito del cartaginese Asdrubale, intorno al quale si sarebbe poi sviluppato il centro abitato. Dal periodo di Roma antica e dell’imperatore Augusto Fano eredita la struttura urbana e imponenti vestigia come le mura e l’arco di Augusto (9 d.c.), antica porta di accesso alla città dalla via Flaminia proveniente da Roma.

    Secoli di vicende alterne di guerre e di pace portano la città ad arricchirsi di un gran numero di chiese, conventi e importanti palazzi. Dell’epoca medievale il monumento più significativo è la cattedrale dell’Assunta, precedente al Mille e rimaneggiata nelle epoche successive, di cui si possono ammirare il bel portale romanico e sedici splendidi affreschi del Domenichino (all’interno della Cappella Nolfi). Nel periodo rinascimentale sorgono opere d’arte di grande bellezza, soprattutto grazie al benessere e alla prosperità legati alla signoria malatestiana dei secoli XIV e XV, come le tombe di Paola Bianca Malatesta e suo marito Pandolfo III. Di grande impatto è anche la Rocca Malatestiana, costruita su una struttura difensiva di epoca romana, per volontà di Sigismondo Pandolfo Malatesta fra il 1438 e il 1452, esempio di fortificazione atta a resistere ai colpi delle prime armi da fuoco. Il Seicento e il periodo barocco donano alla città altre opere d’arte di grande valore come gli stucchi dorati e gli affreschi di Antonio Viviani nella Chiesa di San Pietro in Valle.

    All’eleganza del periodo neoclassico si deve il Teatro della Fortuna, originariamente ospitato all’interno della sala maggiore del trecentesco Palazzo del Podestà (come “Sala della Commedia”), poi trasformato in teatro vero e proprio ad opera del celebre scenotecnico fanese Giacomo Torelli (1677) e ricostruito, fra il 1845 e il 1863, dall’architetto modenese Luigi Poletti. Dopo lunghe e travagliate fasi di restauro per i danni subiti nel periodo della seconda guerra mondiale, oggi il monumentale teatro rivive nel suo splendore. A pochi passi, nella piazza centrale, si può ammirare la bella Fontana della Fortuna, della fine del Seicento, che celebra la dea bendata e che aveva dato alla città il suo nome.
     
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    mondolfo


    Mondolfo


    Mondolfo è un comune marchigiano che si colloca tra la provincia di Ancona e quella di Pesaro e Urbino, nella quale si inserisce. Situato su una superficie leggermente rialzata sul livello del mare, la cittadina è costituita da un centro storico e da cinque frazioni, che accolgono un totale di quasi dodicimila abitanti. Sul versante anconetano confina con Castelcolonna, Monterado e Senigallia, mentre su quello pesarese e urbinate con Fano e San Costanzo.

    Il nome

    L’ipotesi più accreditata è che Mondolfo derivi da Montoffus, cioè Monte di Offo, il capostipite della famiglia feudale che ebbe la signoria sul castello fino all'avvento dei Malatesta. Più fantasiosa la congettura di Mons-Ophis, monte del serpente (dal greco ofis), perché la selva su cui sorgeva il borgo era piena di rettili.

    Cenni storici:

    Dai resti di antiche strutture architettoniche è stata appurata la presenza di popolazioni in epoca assai remota. Dopo i Bulgari, gli Sclavini e i Romani, furono i Bizantini del ravennate ad occuparsi di questa zona. Nell’età medievale, invece, il governo della cittadina fu retto inizialmente dai Montefeltro e poi dai Malatesta, che rimasero al potere fino alla seconda metà del Quattrocento, quando i primi si impadronirono nuovamente del territorio. Dal 1474 lo Stato Pontificio pose fine alla contesa tra le due casate, affidando la zona di Mondolfo a Giovanni Della Rovere. La nuova stabilità che si impose diede impulso a uno sviluppo urbanistico, architettonico e culturale, che ebbe fine solo con l’ascesa al trono pontificio di Leone X de’ Medici. La sua dinastia, rivale dei Della Rovere, scacciò i discendenti della famiglia, alla quale la comunità di Mondolfo rimase fedele. Per questo motivo, nel 1517, i Medici rasero al suolo il territorio, distruggendo numerose opere di inestimabile valore.

    Cosa c’è da vedere a Mondolfo:


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    • Convento e Chiesa di Sant’Agostino


    • Convento e Chiesa di San Sebastiano



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    Chiesa di Santa Giustina



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    Chiesa di San Giovanni


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    • Chiesa di San Gervasio



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    • Santuario della Madonna delle Grotte



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    Valle dei Tufi



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    Cinte murarie


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    Palazzo Giraldi-Della Rovere

    Palazzo Peruzzi


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    Sferisterio



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    Parco della Rimembranza


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    Fonte Grande


    Sorgente d'acqua naturale presso la quale sono stati trovati reperti archeologici del periodo eneolitico ed utilizzata dalla comunità di Mondolfo sino a tempi recenti per l'approvvigionamento idrico.
    Posta a breve distanza dal castello che si può raggiungere per una scorciatoia detta Via Cupetta, la Fonte - con le tre cannelle, l'abbeveratoio ed il grande lavatoio si presenta nella sua costruzione Settecentesca rimaneggiata nella seconda metà dell' '800. E' parte del percorso La Valle dei Tufi". La Fonte è stata adottata - nell'ambito del progetto "La scuola adotta un monumento" dall'Istituto Comprensivo Statale "Fermi" di Mondolfo.

    Eventi…


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    Sagra dei Garagoj, aprile

    La sagra nasce nel secondo dopoguerra ad opera di un piccolo gruppo di pescatori e conta ogni anno di far rivivere la semplicità del mangiare bene ed in maniera sana. I marottesi sono veramente esperti non solo nel pescare questo piccolo mollusco, che viene recuperato in mare grazie all’aiuto di reti da pesca come la Tartara o della Sfogliara, ma anche nel cucinarli. Esiste una ricetta semplicissima a base di olio, pomodoro, vino ed erbe profumate che è poi la base della sagra, oltre ad un’autentica passione e dedizione per la tradizione dei garagoi.

    Per cucinarli, infatti, occorre prima un lungo ed impegnativo processo di pulizia che però ripaga con un autentico sapore di mare che da sempre incanta anche i turisti. La sagra nasce infatti come evento di apertura della bella stagione, un po’ perché la primavera è la stagione più adatta per pescare i garagoi, che in questo periodo escono dai depositi fangosi che si riproducono sul fondo per la riproduzione, e un po’ per richiamare a casa tutti i marottesi e per invogliare i turisti a visitare la città ed eventualmente prenotare una vacanza.



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    Mondolfo divino

    Le cantine vi aspettano tra le suggestive mura del centro storico con tanti gustosi piatti, fiumi di buon vino e tanta bella musica dal vivo, Mercatini etnici ed artigianato locale.


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    Fiabe al Bastione, luglio/agosto



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    Notte Bianca, agosto


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    Festa di Santa Giustina, settembre

    fonte: fullholidays.it


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    Il piatto

    Gli spaghetti al sugo rosso di tonno e alici sono l’interpretazione locale del piatto tipico italiano. Da non perdere le pietanze a base di farina di fava come i “tajolini sa la fava”.




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    Marotta


    La storia di Marotta appare strettamente legata al suo Comune di appartenenza, quello di Modolfo che è divenuto nel corso del tempo il quarto centro della provincia di Pesaro e Urbino.

    Negli anni in cui faceva parte del Ducato di Urbino, il Comune conobbe grande prosperità e benessere che influirono nell'edificazione di palazzi nobiliari e di Chiese. Grazie alla costruzione della linea ferroviaria sul litorale, Marotta ebbe la possibilità concreta di sviluppare la propria economia in forma autonoma, grazie allo sfruttamento delle spiaggie che l'hanno resa una ricercata meta balneare.

    Le prime notizie relative a Marotta risalgono al Cinquecento quando nacque una stazione di posta per il il cambio dei cavalli, la Vecchia Osteria, che costituiva anche un ottimo alloggio per tutti i viaggiatori e pellegrini; venne demolita agli inizi del Novecento e oggi ne rimane la cantina.

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    Ma la testimonianza più antica di questa località è la lapide posta nelle vicinanze dell'antica osteria, voluta da Papa Paolo III per porre fine alle dispute tra Fano e Mondolfo.

    Grazie all'intervento di Papa Pio IX, il quale nel 1846 ordinò la costruzione della stazione ferroviaria, Marotta si fece conoscere come importante meta meta balneare, che, offrendo alloggi di ogni tipo, consentiva il pernottamento per intere giornate; quando pochi anni dopo venne realizzata la tratta Mondolfo-Marotta, quest'ultima potè finalmente consolidare l'importanza dapprima acquisita.


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    fonte: marotta.it

     
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    FANO





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    Rocca Malatestiana di Fano


    Situata all’estremità nord-orientale dell’antica cinta muraria, aveva al suo vertice angolare un’imponente torre di vedetta, il Mastio, vittima della barbarie degli uomini in guerra (1944). Alle massicce fondamenta della superstite base scarpata si riallaccia oggi quanto resta dell’antico camminamento merlato che corrisponde verso l’interno all’area occupata dalla cosiddetta Rocchetta. Certamente, questa, è la parte più antica del fortilizio, sorta sui resti di opere di difesa romane e medioevali e risalente all’intervento edificatorio iniziato per ordine di Sigismondo Malatesta in concomitanza con il sopralluogo di Filippo Brunelleschi alle fortificazioni dello stato malatestiano: sopralluogo effettuato tra l’agosto e l’ottobre del 1438. I documenti noti testimoniano comunque che ad occuparsi dei lavori fu l’architetto Matteo Nuti con il fratello Giovanni e con Cristoforo Foschi e che detti lavori si conclusero nel 1452 con l’erezione del ricordato Mastio. La costruzione subì poi, in relazione al mutare delle esigenze difensive, adattamenti e modificazioni, mantenendo peraltro nel suo complesso la fisionomia originaria di ampio quadrilatero fortificato, delimitato da cortine scarpate e robusti torrioni angolari. Un doppio ponte levatoio munito di rivellino permetteva di superare il fossato e di accedere al vasto cortile, delimitato dai muri di sostegno dei camminamenti e dal basso fabbricato che sul lato orientale ospitava le celle e la piccola cappella. Più tardi venne sopraelevato e coperto a tetto, attualmente utilizzato per mostre ed esposizioni varie.

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    ARCO DI AUGUSTO


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    L'Arco d'Augusto di Fano (PU) è la porta romana di accesso alla città nel punto in cui l'antica via Flaminia, in corrispondenza delle mura cittadine, s'innestava nel decumano massimo della città, segnandone così l'inizio. È da sempre uno dei simboli della città.

    Storia e descrizione

    Fu in epoca romana la principale porta d'accesso alla Colonia Julia Fanestris, colonia dedotta successivamente in Fanum Fortunae (tempio dedicato alla dea Fortuna) per il monumento erettovi dall'architetto romano Marco Vitruvio Pollione su incarico dell'Imperatore Augusto, in memoria dell'importantissima vittoria di Roma sul generale cartaginese Asdrubale Barca, nella battaglia del Metauro (seconda guerra punica).

    Si presume che nella Fanum Fortunae esistessero almeno altre due porte, oggi scomparse, poste una a sud e l'altra, prossima al mare.

    Costruito sul punto in cui la via Flaminia s'innesta nel decumano massimo della città, il monumento può essere datato attorno al 9 d.C. tramite l'iscrizione del fregio ricavata a grandi caratteri scolpiti nella pietra, (un tempo a bronzee lettere dorate) che riporta:
    (LA)
    « Imp. cesar divi f. Augustus pontifex maximus cos. XIII tribunicia potestate XXXII imp. XXVI pater patriae merum dedit »
    (IT)
    « L'imperatore Cesare Augusto figlio del Divo Giulio Cesare, Pontefice massimo, Console XIII volte, Tribuno XXXII volte, Imperatore XXVI volte, Padre della Patria edificò le mura »

    Realizzata esternamente in blocchi squadrati di pietra d'Istria, la Porta d'Augusto si articola in due fornici laterali minori e un fornice centrale maggiore: la chiave di volta di quest'ultimo è decorata con una rappresentazione d'animale oggi non piu riconoscibile ma molto probabilmente raffigurante un elefante.


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    foto:cattolica.info

    Il corpo base, ancora ben conservato, sosteneva un grande attico a pseudoportico corinzio in cui si aprivano sette finestre arcuate separate da otto semicolonne (ma diroccato nel 1463 dalle artiglierie di Federico da Montefeltro durante lo storico assedio della città per la cacciata di Sigismondo Pandolfo Malatesta allora signore di Fano), le pietre cadute furono riutilizzate nella costruzione delle adiacenti chiesa e loggia di San Michele il suo aspetto originario resta comunque ben rappresentato nell'altorilievo rinascimentale scolpito su un lato della facciata di questa chiesa.

    L'intero monumento ha molte affinità stilistiche con le porte augustee di Spello, di Aosta e soprattutto con quella di Authon in Provenza.








    LE TOMBE DEI MALATESTA


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    Le tombe furono trasferite dall’interno della ex Chiesa di S. Francesco, ora rudere monumentale privo di copertura, nel sottoportico e li ricomposte nel 1659. Così come appare oggi, il portico è però il risultato di una ricostruzione neogotica, portata a termine nel 1850 dall’ingegner Filippo Bandini. La Tomba di Paola Bianca Malatesti che fu la prima moglie di Pandolfo III è ornata da statuette, mensole, archetti pensili e colonnette tortili a coronamento della immagine della defunta, giacente sul coperchio dell’elaboratissimo sarcofago. Si tratta di un autentico capolavoro della scultura tardogotica d’importazione veneziana, del Maestro Filippo di Domenico. Più modesta la Tomba di Bonetto da Castelfranco, voluta da Sigismondo Malatesti per ospitare le spoglie del suo fedelissimo medico. Sul lato opposto del portale domina la rinascimentale Tomba di Pandolfo III Malatesti voluta dal figlio Sigismondo che affidò con ogni probabilità il disegno a Leon Battista Alberti. Nel corso dei recenti restauri a cui è stato sottoposto l’intero complesso monumentale inaspettatamente ritrovato il corpo mummificato di Pandolfo III.


    CORTE MALATESTIANA

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    Cornice ideale per spettacoli musicali e teatrali, è dal 1954 che la Corte Malatestiana è sede durante l’estate di rappresentazioni liriche e di prosa, di concerti e ballett, opere classiche e moderne sulla base di cartelloni ricchi e variati. Dal punto di vista architettonico, malatestiana è solo la parte di sinistra, con l’ampio portico dalle snelle colonne in pietra (i capitelli hanno la caratteristica rosa malatestiana a quattro petali) e le quattro bellissime bifore archiacute in cotto.





    CHIESA E LOGGIA SAN MICHELE


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    La chiesa (oggi sconsacrata) fu iniziata nel 1494 ad opera di maestranze comacine. Lo stupendo portale a candeliere, scolpito da Bernardino di Pietro da Corona, è più tardo, realizzato infatti nel biennio 1511-1512. I due medaglioni dell'estradosso raffigurano l'Imperatore Massimiliano I d'Asburgo e Papa Giulio II.Il blocco di pietra in cui risulta scolpita l’immagine di S. Michele presenta sul fianco sinistro non visibile un’iscrizione romana dedicata al procuratore Sextus Truttedius Clemens: ciò che ne denuncia la provenienza da un antico monumento romano.Sul lato opposto è invece la riproduzione ad altorilievo, della porta augustea: testimonianza oltremodo significativa del culto umanistico per la romanità, voluta dalla Congregazione di S. Michele. Anteriore di un ventennio circa alla costruzione della chiesa è quella dell’edificio della Schola o Congregazione di S. Michele, eretto per ospitare il conservatorio degli esposti, iniziato nel 1469 e ultimato intorno al 1490. Per la bella loggia rinascimentale che, al di là dell’arco, ne caratterizza l’ingresso è documentato che nel 1475 fu richiesta e concessa l’autorizzazione ad utilizzare le pietre dell’attico romano abbattuto durante l’assedio del 1463; ma le attuali colonne in pietra che sostengono le arcate del piano inferiore sembra siano il frutto di un più tardo rifacimento, opera dello scalpellino Giovanni Bosso che nel 1543 provvide anche a fornire le otto colonne di ordine ionico del piccolo chiostrino interno. Oggi è allo studio un nuovo recupero del fabbricato (chiesa compresa) per farne la sede dell’Antiquarium comunale e di altre raccolte museali cittadine e per restituire l’ormai tradizionale funzione di ambiente destinato alle attività culturali alla bella Sala S. Michele

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    CHIESA SAN PATERNIANO

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    È dedicata al patrono della città, la Chiesa fu consacrata nel 1558. L'esterno, mai ultimato, è arricchito dal Portale di derivazione michelangiolesca dello scalpellino veneziano Jacopo Bambagiani. Nell'interno a tre navate si possono ammirare dipinti di Alessandro Tiarini, Carlo Bonone, Giambattista Ragazzini, Claudio Ridolfi, il Cavalier d'Arpino, Gian Giacomo Pandolfi e Bartolomeo Giangolini. La Cappella sulla destra del presbiterio, dove si custodiscono le ossa del Santo e l'antico sarcofago tardo-romano in cui sono state racchiuse per secoli, è affrescata da Antonio Viviani; nella cupoletta dell'anticappella un ulteriore affresco di Sebastiano Ceccarini. Giovanni Battista Ragazzini eseguì nel 1556 l'affresco della cupola e del catino absidale. È addossato al lato sinistro della Chiesa un Chiostro con ventiquattro colonne corinzie eseguite dal milanese Giovanni Bosso. Il puteale al centro è opera del veneziano Jacopo Bambagiani.



    EREMO DI MONTE GIOVE


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    Il nome Monte Giove ha fatto pensare che in antico vi sorgesse un tempio dedicato a quella divinità, ma nessun resto archeologico è però finora affiorato per poterlo documentare. Recenti scavi hanno invece portato in luce tracce di un insediamento neo-eneolitico su cui si sono sovrapposti nel tempo ulteriori insediamenti fino al secolo VI a.C. La cima del colle divenne proprietà dei monaci Camaldolesi della congregazione di Monte Corona quando vi costruirono il loro convento, iniziato nel 1609 e portato a termine nel 1623. L’attuale chiesa fu però ricostruita in arretramento a partire dal 1741 (disegno dell’architetto Gianfrancesco Buonamici) a causa di cedimenti della precedente chiesa dovuti ad instabilità del terreno. Nell’interno, che presenta una pianta ottagonale inscritta in un rettangolo, si conservano quattro belle statue in stucco Dal terrazzo-belvedere del fabbricato conventuale la vista spazia su Fano, sul mare e lungo la valle del Metauro e relativi sistemi collinari. Oggi l’eremo, per le sue caratteristiche di luogo tranquillo e appartato, viene spesso utilizzato per incontri di studio e ritiri spirituali.


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    CHIESA DI SAN PIETRO IN VALLE


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    Splendido esempio in stile Barocco, la chiesa è così chiamata perchè costruita presso l’antico dislivello (ad vallum) fra la città romana e il litorale adriatico, sull’area di una chiesa medioevale dedicata allo stesso santo. L’attuale struttura fu voluta dai Padri Filippini della Congregazione dell’Oratorio, su disegno dell’architetto Giovanni Battista Cavagna (dopo il 1608). La nuda facciata, rimasta priva del previsto rivestimento, fa contrasto con l’interno (a navata unica con volta a botte e sei cappelle laterali internate), ricchissimo di ori, stucchi, marmi e pitture: certamente uno degli esempi più cospicui di arte barocca in terra marchigiana. Nel 1619 venne realizzata da Pietro Solari la decorazione in stucco e tra 1618 e 1620 vennero eseguiti gli affreschi da Antonio Viviani da Urbino. La cupola,costruttivamente ha un’ aspetto severo con il suo alto tiburio ottagonale, costruita solo nel 1696 ad opera dell’architetto Girolamo Caccia, all’interno è fastosamente decorata dal pittore e plasticatore bolognese Lauro Buonaguardia nel biennio 1699-1700. Una ricca collezione di tele, oggi conservate presso la Pinacoteca Civica, impreziosiva l'intero complesso: sono dipinti di Antonio Viviani, Guido Reni, Alessandro Vitali, Giovan Giacomo Pandolfi, Simone Cantarini, Matteo Loves, Luigi Garzi, Lorenzo Garbieri, Giovanni Francesco Guerrieri, Sebastiano Ceccarini e Carlo Magini.


    Palazzo del Podestà

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    foto:fano.it

    Palazzo del Podestà In Piazza XX Settembre. Esempio di stile romanico-gotico (sec. XIV). Ora sede del Teatro della Fortuna

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    Palazzo del Podestà. Dopo il 1299. Quadrifora rifatta nel sec. XIX su disegno di Luigi Poletti.




    Arbitrariamente ribattezzato nelle guide ottocentesche e in quelle del nostro secolo come Palazzo della Ragione, si presentava in origine isolato su tutti e quattro i lati con un triplice loggiato che ne occupava l’intero piano terra e un grande salone con pareti affrescate che si estendeva al piano superiore.

    Direttamente imparentato con i palazzi gotici lombardi ed emiliani, non cede però al fascino dell’arco acuto.

    Inferiormente è tutto in pietra viva, con accurate modanature nelle basi e nelle cornici d’imposta dei pilastri e degli archi; superiormente è invece tutto in laterizi con la sola eccezione delle colonnette in pietra delle quadrifore (rifatte però nel secolo scorso) e degli antichi stemmi podestarili quasi tutti oggi abrasi.Un’arbitraria aggiunta ottocentesca è la classicheggiante merlatura del ricco elaborato cornicione.

    Un’epigrafe, ben visibile sul pilastro angolare di destra, riporta nomi e date: quello di Papa Bonifacio VIII e quello del piacentino Bernabò di Lando che fu 'primus capitaneus gubernator et defensor et reformator populi comunis civitatis Fani', l'anno 1299 ed il giorno 2 di maggio in cui ‘inceptum fuit hoc opus'.

    Sul bordo della cornice è inoltre indicato il nome dell’architetto: 'Magister Paulutius me fecit'.



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    foto:algirasolefano.wordpress.com


    Il periodo, quindi, più aspro e difficile delle libertà comunali, minato dalle faziose competizioni interne delle famiglie Del Cassero e Da Carignano ed insidiato dalle aspirazioni esterne di Malatestino Malatesti, il dantesco ‘traditor che vede pur con l'uno'. Fra quelle antiche mura dovette quindi spesso adunarsi il Gran Consiglio dei capi famiglia per discutere, decidere e deliberare sulle sorti delle alleanze, della pace e della guerra. E sempre qui vuole la tradizione che il cardinal Egidio d’Albornoz abbia convocato quel Parlamento della Marca (aprile 1357) da cui uscirono promulgate le famose 'Constitutiones Aegidianae'.Sull'arcata centrale del prospetto è posto il Trittico dei Protettori che risale a due epoche distinte. La nicchia centrale (con la statuetta in pietra di S. Paterniano, la cattedra ed il ricco tortiglione) è infatti dei primi anni del secolo XIV, mentre le nicchie laterali (con le statuette in cotto diS. Fortunato e S. Eusebio) e la classica incorniciatura in pietra sono opera del sec. XVI.

    La moderna, brutta Torre Civica (1950) è stata discutibilmente eretta in sostituzione del settecentesco ‘campanile di piazza', diroccato a mine dalle truppe tedesche in ritirata (insieme con tutti gli altri campanili delle maggiori chiese fanesi) nell'agosto del 1944.




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    foto:lafanodioggi.it

    Fontana della Fortuna

    Fontana della Fortuna a FanoPiazza XX settembre é l'antica platea magna del basso medioevo su cui si affaccia imponente il trecentesco Palazzo del Podestà (ora nel mutato ruolo di facciata del Teatro della Fortuna) con la ricostruita Torre Civica. Le sue funzioni sono sempre state quelle di spazio destinato alle cerimonie civili e al mercato: ciò di cui sono testimonianza i numerosi esercizi commerciali che sostituiscono oggi le botteghe degli antichi merciai. Sul lato occidentale, quello che fiancheggia il corso Matteotti, sta la Fontana della Fortuna dall'ampio caratteristico bacino mistilineo a marmi colorati, interamente rinnovato (coppa centrale e leoni compresi) nel 1697-99 dal veneziano Ludovico Torresini. La graziosa statuetta bronzea della Dea Fortuna è una copia fedele dell'originale (oggi presso il Museo Civico) modellato e fuso nel 1593 dall'urbinate Donnino Ambrosi per abbellire il primitivo bacino ottagonale della vecchia fontana realizzata nel 1576. È considerata simbolo civico e richiama nella sua manieristica eleganza modelli scultorei giambologneschi.





    Palazzo Montevecchio

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    foto:.turismofano.com


    Palazzo Montevecchio aFanoPer dimensioni e imponenza è il maggiore dei palazzi patrizi fanesi, appartenuto fino alla prima metà del nostro secolo alla famiglia dei conti di Montevecchio che ne avevano curato l'erezione a partire dal 1740. Rimasto incompiuto lungo il fianco orientale, oggi discutibilmente integrato, il suo disegno è stato attribuito senza prova alcuna a Luigi Vanvitelli. In fase di realizzazione è invece documentata la partecipazione del bolognese Alfonso Torreggiani come quella del marchigiano Arcangelo Vici: ciò che risulta stilisticamente evidente anche dal prevalere di una forte componente scenografica, quasi trasposizione in pietra di fantasie bibienesche. Al Torreggiani è da attribuirsi soprattutto la soluzione della parte centrale della facciata con il grande portale barocco in pietra, fiancheggiato dalle robuste colonne tuscaniche che, obliquamente disposte, reggono la bella balaustra arcuata del balcone a cui si raccorda il motivo ascendente che dal finestrone mediano raggiunge le mensole del raffinato balconcino al centro del piano superiore. Degno di nota è anche il grande atrio a colonne, aperto sullo sfondo monumentale della fontana parietale con statua di Nettuno, incombente all'interno dell'elegante vano ellittico che integra e conclude l'area del severo cortile centrale. L'ambiente più spettacolare resta peraltro il grande scalone con quel suo ascendere scenografico a larghi gradini, tutto scorci e prospettive, nicchie, colonne e pilastri nella prima parte; aperto e disteso nel luminoso vano a volta della seconda parte, arricchita dalla schiera ascendente delle otto statue marmoree che pausano e impreziosiscono l'elegante balaustra a pilastrini. In altri tempi un capace salone con balconata perimetrale accoglieva gli ospiti intimiditi e affascinati, facendo da anticamera alle varie sale e salotti del pianonobile. Suddiviso in più stanze per ospitare l'Ufficio Distrettuale delle Imposte, tale salone è oggi del tutto irriconoscibile; né in condizioni migliori sono le altre stanze affacciate verso il giardinetto di Piazzale Leopardi. Meglio conservato è invece l'appartamento del lato occidentale che presenta alcune sale con volte dipinte a grottesche.


    Duomo

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    foto:wikipedia.org


    Duomo di Fano

    Ubicata lungo Via Arco d'Augusto, la Chiesa cattedrale dedicata all'Assunta, ricostruita nel 1140 dopo che un incendio aveva distrutto la precedente costruzione, ha una facciata tipicamente romanica tripartita a struttura mista di laterizi e arenaria arricchita da un portale strombato.
    Il campanile sul lato sinistro fu costruito in luogo dell'originale torre campanaria cilindrica.
    Nell'interno, a tre navate con l'aggiunta di cappelle laterali realizzate a partire dal XIV secolo, sono degni di menzione: un pulpito realizzato con sculture appartenute all'antica Chiesa, tra cui rilievi romanici rappresentanti episodi dell'infanzia di Cristo, e la seicentesca Cappella Nolfi a cui collaborò l'architetto Girolamo Rainaldi a che fu affrescata con "Le Storie della Vergine" da Domenico Zampieri detto il Domenichino tra 1618 e 1619.
    Nella Cappella dei Santi Protettori e sull'Altare Maggiore si possono rispettivamente ammirare due tele: "La Vergine con i Santi Orso ed Eusebio" di Ludovico Carracci e "La Vergine Assunta" di Sebastiano Ceccarini.




    MUSEO CIVICO

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    Nel museo troviamo la sezione archeologica che raccoglie reperti archeologici preistorici e romani (selci, fibule, bronzi, ceramiche, lucerne, epigrafi, sculture e mosaici). Salendo la rampa, si raggiungono gli ambienti del mezzanino sulle cui pareti è un'interessante raccolta di dipinti moderni (secoli XIX e XX). A metà della scala domina sul fondo il portale a paraste scanalate che fu già della demolita chiesetta di S. Maria dei Piattelletti (1480). Sulla destra è l'accesso ad un ambiente che ha al centro l 'originale bronzeo della Statua della Fortuna realizzata dall'urbinate Donnini Ambrosi nel 1593 per la fontana di piazza. Alle pareti sono esposti dodici pregevoli quadretti ad olio ed una bella serie di incisioni che documentano l'attività del grande scenografo e scenotecnico fanese Giacomo Torelli (1604-1678) per i teatri veneziani e parigini. Alle pareti sono numerosi monetieri in cui figura esposta la parte più significativa della collezione numismatica che riunisce monete romane medioevali e moderne, comprese quelle della zecca fanese (secoli XV-XVIII), la serie delle stupende medaglie malatestiane realizzate da Matteo de Pasti (1446) e quelle di Paolo Sanquirico a ricordo dello scavo del porto Borghese (1613). da turismofano.com Al piano superiore è possibile visitare la vasta sala malatestiana e la pinacoteca, che raccoglie dipinti del cinquecento.


    SEZIONE DELLE MONETE

    In un ambiente attiguo alla Sala delle ceramiche è esposta una campionatura della collezione numismatica costituita da monete romane, medioevali e moderne di varie zecche italiane, comprese quelle battute dalla zecca operante a Fano dal 1414 al 1796 e da alcune medaglie tra le quali è da ricordare la bellissima serie di "Medaglie Malatestiane" realizzate da Matteo dé Pasti per Sigismondo Malatesta nel 1446.

    SEZIONE ARCHEOLOGICA DI FANO
    E' sistemata in sei sale e nel portico adiacente, al piano terra del Palazzo Malatestiano. La sua peculiarità è quella di contenere ed esporre quasi esclusivamente reperti di provenienza locale. Testimonia lo svolgersi dell'attività umana nel territorio che si estende intorno alla città di Fano da Fosso Seiore a nord sino al fiume Cesano a sud, per tutto l'arco temporale che dalla preistoria giunge all'età romana. La raccolta fu ordinata nella sede attuale a partire dal 1898 quando vi fu trasferito tutto il materiale archeologico dalla residenza municipale e si è venuta arricchendo nel tempo di depositi, donazioni nonché di reperti provenienti da recenti campagne di scavo.


    INGRESSO
    Sono esposti frammenti di trabeazioni e cornici marmoree, rocchi di colonna, resti pavimentali in terracotta, un mosaico a tessere bianche e nere raffigurante Nettuno col tridente e la quadriga di cavalli marini.

    SALA DELLA PREISTORIA E DELLA PROTOSTORIA
    In questa sala la Preistoria e la Protostoria sono rappresentate nelle manifestazioni più antiche: manufatti in pietra del Paleolitico inferiore, sino alle fasi più recenti testimoniate da materiali che vanno dal Neolitico all'età del Bronzo e del Ferro. Ricordiamo i reperti provenienti da un insediamento a nord, presso la foce del torrente Arzilla e da un altro a sud in località Chiaruccia. Sono esposti, inoltre, frammenti in ceramica di ciotole e strumenti in osso e in bronzo. Nelle vetrine è un corredo tombale dell'età del Ferro (civiltà Picena) proveniente da Monte Giove, una spada in bronzo da Fosso Sejore, e poi fibule, pendagli, ciotole ecc.

    SALA DEGLI OGGETTI DI USO DOMESTICO E DEGLI ARREDI FUNERARI
    Qui sono raccolti oggetti d' uso domestico di epoca romana come recipienti in vetro, vasellame da mensa in terracotta, ecc.. Si tratta di reperti provenienti da vecchi ritrovamento di cui non fu redatta a suo tempo alcuna nota e di cui non si hanno quindi informazioni sui luoghi di ritrovamento. Una vetrina è dedicata alla esposizione di lucerne in terracotta, databili dal I sec. a.C. al IV sec. d.C., alcune delle quali recano il sigillo del fabbricante e tre in particolare recano al rovescio la raffigurazione di un tempio che qualche studioso ha identificato col tempio di Fortuna. Sono poi esposte alcune urne cinerarie, tegole funerarie e il famoso cippo 'graccano' rinvenuto nel 1735 in località Beverano di S. Cesareo, nei pressi di Monte Giove.

    SALA DELLE ISCRIZIONI E DELLA STATUARIA ROMANA
    L'ultima sala della sezione archeologica, che ospita pregevoli sculture ed iscrizioni, si apre al visitatore con la monumentale statua dell'Imperatore Claudio ritrovata, come il piccolo Britannico e i ritratti di Domiziano e Vespasiano, nello scavo di Piazza Amiani; proviene invece dall'antico acquedotto un torso di statua virile in nudità eroica che si considera una rielaborazione di II secolo di un originale greco. Spicca tra i ritratti femminili quello di una giovane donna dall'elaborata acconciatura attribuito ad Ottavia, la sorella di Augusto. Comletano la rassegna l'erma bifronte di giovane satiro e vecchio sileno, di provenienza sconosciuta, la testina di Dioniso Imberbe e l'erma di Dioniso Barbato. La raccolta epigrafica, che ricorda personaggi, collegi sacerdotali, magistrature e corporazioni dell'antica Colonia Julia Fanestris, comprende prevalentemente lapidi funerarie mentre tra le iscrizioni relative ad opere di pubblica utilità, una si riferisce alle terme restaurate ed ampliate a proprie spese da T. Varius. Rufinus, un cavaliere e magistrato municipale.

    SALETTA DELLE ANFORE
    In questo piccolo ambiente di passaggio sono state collocate le anfore in terracotta di diversa provenienza. Due di esse ancora mostrano sulla superficie le incrostazioni dovute al loro rinvenimento in mare. Nella piccola vetrina sono esposti tappi di anfore.

    SOTTO PORTICO
    Il materiale fu riordinato nel 1949 sotto la direzione del Soprintendente delle Antichità delle Marche, dott. Giovanni Annibaldi. Dal 1953 vi è ospitato il famoso mosaico della pantera (metà li sec. d.C.), rinvenuto in via Montevecchio durante lavori di sterro per la costruzione di un edificio. Segnaliamo inoltre un grande dolio in terracotta, due sarcofagi paleocristiani (V - VI sec. d.C.) ed alcuni cippi miliari.



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    foto:lafanodioggi.it

    PINACOTECA

    La Pinacoteca è distribuita su tre piani del Palazzo Malatestiano. Fu istituita insieme al Museo Archeologico nel 1898 e rappresenta una delle più pregevoli raccolte di dipinti esistenti nelle Marche. Espone opere di scuola locale ma anche di scuola veneta, bolognese, romana e testimonia l'excursus della pittura a Fano e nelle Marche dal XIV secolo ai giorni nostri. Il percorso di visita inizia dalla Sala del Caminetto al primo piano e termina con la sala del XIX e XX secolo.

    SALA DEL CAMINETTO

    E' situata al piano nobile. Qui si possono ammirare i dipinti più antichi (secc. XIV - XV), tra cui meritano menzione il Polittico con "Madonna e Santi" attribuito al pittore veneziano Michele Giambono e la tela di Giovanni Santi con "Madonna e Bambino in trono e Santi".

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    SALA GRANDE

    E' disposta sul medesimo piano, adiacente alla precedente. Vi sono esposti quadri che appartengono al XVI e XVII secolo. Si tratta dei dipinti realizzati nel XVI e XVII secolo provenienti per lo più da edifici religiosi. Si distinguono "L'Angelo Custode" del Guercino, "San Nicola di Bari in Gloria" di Mattia Preti detto il Cavalier Calabrese e i pregevoli dipinti provenienti dalla Chiesa barocca di San Pietro in Valle: tra questi una splendida "Annunciazione" di Guido Reni, "San Pietro che resuscita Tabita" di Matteo Loves e "San Pietro che guarisce lo storpio" di Simone Cantarini. tSi prosegue nella visita entrando in fondo in due salette una delle quali è denominata Saletta del Lavabo per la presenza di un lavabo rinascimentale proveniente dall'abbazia di San Paterniano.

    SALA MORGANTI

    La sala prende questo nome in quanto vi era conservata l'imponente pala di S. Michele dei Morganti. Qui sono esposti in prevalenza i dipinti del Settecento. Sono presenti opere di pittori locali come il vadese Francesco Mancini, Sebastiano e il figlio Giuseppe Ceccarini, Carlo Magini, Paterniano Fanelli, cui si aggiungono tele di artisti di diversa provenienza come Corrado Giaquinto e il napoletano Alessio de Marchis.



    SALA DEL XIX E XX SECOLO

    La visita si conclude, con la sala contenente le opere del XIX e dei XX secolo. Qui sono esposti ritratti, paesaggi e quadretti di genere di autori quali il riminese Clemente Alberi, Giovanni Pierpaoli, il più autorevole pittore fanese della seconda metà del XIX secolo e l'anconetano Francesco Podesti.

    SEZIONE DELLE CERAMICHE

    Si trova al piano mezzano. Vi è stata sistemata una selezione della raccolta di ceramiche del Museo di Fano realizzate tra XIV e XVIII secolo. Accanto ad esempi della produzione locale sono conservati pezzi provenienti da Urbania o dall'area padana. Si possono ammirare albarelli e pillolieri facenti parte della serie di vasi da farmacia provenienti da quella dell'antico ospedale, decorati con la caratteristica "rosa pesarese", realizzati nel 1803 dalla manifattura Casari e Callegari e alcuni pezzi del servizio da tavola in porcellana del 1782 eseguito per il Comune di Fano dalla manifattura Veneziana di Geminiano Cozzi.



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    MUSEO DI BIOLOGIA MARINA

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    Laboratorio di Biologia Marina Università degli studi Bologna 1/A. Laboratorio fondato nel 1939, ha operato nell'ambito dell'Università di Bologna, nel settore delle ricerche marine con particolare riguardo ai problemi inerenti la pesca e l'ambiente marino.
    Il laboratorio dispone di biblioteca, museo ed acquario, sala riunione per circa 1500 m², di un natante di 14 metri per attività nella fascia costiera, di una zona di mare di 100 Ha per sperimentazioni e delle strumentazioni necessarie per lo svolgimento delle attività sia in mare che in Laboratorio.
    Il Museo di Biologia Marina è stato aperto nella sua sede attuale nel 1991.
    Nella sede del Laboratorio vi sono degli spazi con funzione divulgativa e didattico-scientifica a completamento della biblioteca. Si tratta del Museo e dell’Acquario, realizzati con finalità scientifiche e divulgative.
    Sin dall’inizio della sua attività, nel 1939, il Laboratorio di Biologia Marina e Pesca dell’Università degli Studi di Bologna iniziò la raccolta di materiali a scopo scientifico e didattico.
    Tali materiali, conservati in contenitori, hanno in parte arricchito la collezione del Museo dell’Istituto di Zoologia dell’Università di Bologna o sono stati utilizzati per la formazione scientifica degli studenti.
    La raccolta dei vari organismi si arricchì nel tempo, in relazione alle campagne di ricerca svolte e, dal 1966, trovò sistemazione in apposite bacheche nell’atrio del vecchio Laboratorio destinato a spazio espositivo. L’incremento di attività del Laboratorio, con campagne di ricerca anche all’estero, portò ad un continuo ed intenso arricchimento della collezione.


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    La visita al Museo segue un percorso che prende in esame organismi marini iniziando dai Poriferi (Spugne), Celenterati (Meduse, Coralli ecc…), Crostacei, Molluschi, Echinodermi, Pesci (Cartilaginei ed Ossei) e Rettili.
    Accanto ai singoli organismi, conservati con varie tecniche, vi sono schemi illustrativi della morfologia e delle modalità di vita.
    Vi sono attualmente 21 bacheche che coprono una lunghezza totale di circa 45 metri e 24 metri di pannelli per esposizione che attualmente illustrano le tecniche di pesca di ieri e di oggi e le attività di ricerca del laboratorio tra cui quelle sulle risorse demersali, pelagiche, la maricoltura (allevamento di mitili, allevamento in gabbie di tonni e ricciole), l’eutrofizzazione con particolare riguardo ai problemi ambientali più attuali come ad esempio mucillagini, maree colorate, macroalghe. E’ inoltre presente un modello della zona sperimentale del Laboratorio di Biologia Marina e Pesca rappresentante alcune tecniche di allevamento. Sullo stesso piano del Museo è presente una bacheca in cui sono raccolte varie conchiglie di Bivalvi e Gasteropodi; vi sono inoltre delle vetrine contenenti attrezzature oceanografiche e di laboratorio utilizzate diversi decenni or sono.


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    BIBLIOTECA FEDERICIANA


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    È così denominata dal suo fondatore, l'abate Domenico Federici (1633-1720), che dopo un'intensa vita di diplomatico al servizio della corte di Vienna, di panegirista, poeta cesareo e bibliofilo, la costituì presso la Casa dei preti dell'Oratorio di S.Filippo Neri, dietro la chiesa di San Pietro in Valle, splendido esempio di architettura religiosa barocca.
    L'edificio, in parte ricostruito e interamente ristrutturato, è stato quindi in passato la residenza dei Filippini, allontanati dopo l'unificazione italiana, quando la biblioteca fu ceduta al Comune che ha continuato a tenerla aperta al pubblico.
    Quando nel 1678, l'abate Federici manifestò l'intenzione di ritirarsi a Fano presso i Filippini, sorse la necessità di sistemare anche i preziosi volumi che avrebbe portato con sé. Iniziarono così i lavori per quella famosa Sala dei Globi, fatta sistemare dal Federici nel 1678-80 e così denominata per la presenza di una coppia di globi (quello "terreste" e quello "celeste"), realizzati nel 1688 dal celebre cosmografo veneziano P. Vincenzo Coronelli.
    Alle pareti della sala sono tuttora addossate le belle scaffalature in noce, appositamente eseguite dal noto intagliatore bolognese Francesco Grimaldi: scaffalature che ancora custodiscono i volumi appartenuti all'abate Federici, tutti con pregevoli legature alla francese.
    Nella sala è custodita anche una preziosa carta da navigare, disegnata dal celebre cartografo genovese Visconte Maggiolo nel 1504: carta che raffigura tutte le terre fino ad allora conosciute ed esplorate (dalle Antille alle coste del Brasile, dalle coste dell'Africa a quelle della penisola Indiana). La biblioteca è dotata di oltre duecentomila opere a stampa di cui fa parte un cospicuo fondo antico costituito da incunaboli, alcune migliaia di cinquecentine (fra cui diverse edizioni sonciniane), atlanti e volumi rari dei secoli XVII e XVIII, anche in edizioni straniere.
    Notevole pure il fondo manoscritti, comprendente alcuni codici del XV secolo (uno dei quali miniato) e svariate opere dei secoli successivi, oltre a lettere e autografi di personaggi illustri (da Leopardi al Pellico, da Verga a Capuana, da Garibaldi a D'Annunzio ad Eleonora Duse), nonché centinaia di copioni teatrali e composizioni musicali.


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    ABBAZIA DI SANTA CROCE A SANT’ AVELLANA


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    Il Monastero di Santa Croce di Fonte Avellana situato ai piedi del Monte Catria, fu fondato nel 979 d.C, ma divenne abbazia solo nel 1325.
    Il monastero si offre al visitatore in splendide condizioni nonostante le alterne fortune nei secoli. Questo grande complesso molto articolato mostra tutt’ora le varie strutture susseguitesi nel tempo, sottolineandone i diversi periodi di realizzazione e mostrando la bellezza virtuosa delle sue strutture architettoniche mirabilmente restaurate. Tornato dopo lungo tempo ai frati camaldolesi, il monastero è di nuovo culla di quella fede e di quella cultura che l’hanno contraddistinto fin dalle sue origini, quando figure fondamentali come San Pier Damiani, che qui divenne monaco e Priore dal 1043, furono guida spirituale e culturale e fecero dell'eremo un punto riferimento religioso e sociale e che contribuirono notevolmente all'ampliamento delle costruzioni originarie.
    Il monastero è oggi diviso in due parti un‘area visitabile e un’area di clausura, alla prima appartiene la Chiesa, risalente al XII-XIII secolo, a cui si arriva attraverso un ampio piazzale, da qui si accede alla cripta.
    La biblioteca è famosa per la rarità di molti libri che vi si conservano, per lo splendore dei codici e delle miniature. Nel XVII secolo iI teologo e matematico Abate Don Gregorio Vitali, fondò un’ Accademia scientifica, aperta ai giovani e alle persone colte che vi volevano partecipare segno di grande apertura del monastero al mondo esterno e alla conoscenza. La sala dell’Accademia è ora sede della pinacoteca del monastero. Lo studio e la coltivazione delle erbe erano attività tradizionali nei monasteri medievali, tuttoggi è presente a Fonte Avellana la farmacia, dove si possono ancora ritrovare molti dei medicamenti e degli alimenti che derivano da questa antica sapienza.




    ABBAZIA DI SAN LORENZO IN CAMPO

    Ordine Monaci Benedettini

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    L’ Abbazia di San Lorenzo in Campo situata nella media valle del Cesano fu costruita prima dell'anno Mille dai monaci Benedettini, con materiale di riuso della città di Suasa.
    I benedettini trovarono qui una comunità cristiana in cui diffusero il culto di S. Lorenzo, l'Abbazia fu a lui dedicata "in silvis" per la presenza di boschi e poi "in campo" forse in seguito alla bonifica del territorio attuata dai benedettini che avevano come attività principale il lavoro dei campi.
    E' una maestosa costruzione romanico-gotica a tre navate con la tribuna sopraelevata a cui si accede da una scalinata centrale, ha delle arcate a tutto sesto in muratura, sorrette da colonne di granito, la copertura è a capriate; la parte centrale, costituita da tre absidi, è quella più antica: risale infatti al periodo che va dal VII al IX secolo. Di notevole importanza è l'Altare Maggiore per i suoi rari e pregievoli marmi. Sotto l'Altare Maggiore è presente una cripta che purtroppo fu rifatta nel 1936.




    ITINERARI: ENOGASTRONOMIA

    Pesce

    Fano, Torrette, Marotta: questi luoghi racchiudono in circa venti chilometri di costa i segreti e i profumi del mare e hanno sviluppato nel tempo una ricca cultura culinaria fatta di prodotti ittici trasformati, dalle mani sapienti di cuochi e semplici buongustai, in veri capolavori dell'arte della buona tavola.
    Il mare Adriatico è uno dei più ricchi di pesce, di storia e di cultura e i marinai che ne hanno solcato le acque hanno saputo far tesoro delle opportunità nascoste nei suoi fondali. Non è un caso che il pesce sia l'elemento dominante nelle tradizioni gastronomiche della provincia e che centinaia di ristoranti ne ripropongano le infinite possibilità di degustazione.

    Brodetto

    Brodetti alla marinara, frutti di mare succulenti (vongole e mitili soprattutto, ma anche lumachine e 'garagoi'), seppie e trufelli, merluzzi e sgombri, sogliole adriatiche e cannocchie, pesce in padella, alla griglia, al cartoccio, in crosta e persino al sale: sono tante le specialità marinare, tutte da accompagnare con il gentile ma deciso vino Bianchello del Metauro.
    Se il pesce è la vostra passione, Fano e la riviera Adriatica sapranno come accontentarvi, se non vi siete ancora abbandonati ai piaceri del mare, preparatevi ad un emozionante incontro con la massima esaltazione del gusto.

    Moretta

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    Un caffè speciale come quello che si beve a Fano è difficile gustarlo altrove. Non si tratta della semplice bravura nel saper usare la macchina da caffè, e anche la miscelatura e la tostatura dei chicchi sono elementi insufficienti a ricreare quell'aroma deciso e inconfondibile della moretta. Il segreto sta negli ingredienti aggiunti, nella loro corretta dosatura e miscelatura.
    Se poi, anche seguendo l'apposita ricetta, vi sembrerà che il vostro caffè sia ancora diverso dalla moretta fanese, allora lasciate che i marinai del posto possano ancora vantarsi di possedere tra le loro tante tradizioni quella di una bevanda unica e inimitabile.

    Vino


    I vini delle colline di Fano e della provincia di Pesaro e Urbino sono apprezzati e corteggiati da gourmet di tutto il mondo: le dolci colline che dominano la piana del Metauro sono, infatti, un terreno fertile per la coltivazione di uve pregiate e la gente del posto da secoli ne ricava prodotti di grande qualità.
    Le origini della coltura vinicola risalgono al decimo/ottavo secolo avanti Cristo, furono gli Etruschi a dare l'impulso decisivo alla coltivazione della vite, valorizzando con sapienza la potenzialità dei terreni, la mitezza del clima e la varietà di microclimi favoriti dalla ricchezza orografica.
    Una passione cresciuta col tempo e capace oggi di dare numerosi e apprezzati vini rientranti nella Denominazione di Origine Controllata. La provincia di Pesaro e Urbino, in particolare, vanta le seguenti DOC: "Bianchello del Metauro", "Colli Pesaresi Rosso" con sottodenominazione DOC "Focara", "Colli Pesaresi Bianco" con sottodenominazione DOC "Roncaglia" e "Novello dei Colli Pesaresi".
    La produzione vinicola non solo della provincia, ma dell'intera regione, negli ultimi anni si è fatta sempre più consapevole del valore e delle possibilità delle proprie uve. Oggi le Marche sono in grado di offrire vini competitivi a livello internazionale, capaci con la loro straordinaria genuinità, di soddisfare i palati più esigenti e raffinati.

    Tartufo


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    foto:sirihotelfano.it

    Spostatevi pochi chilometri da Fano, sulla Via Flaminia, e troverete Acqualagna, capitale del tartufo, insieme con S. Angelo in Vado e S. Agata Feltria.
    Profumo magico, quello del tartufo, perfino afrodisiaco, in ogni caso pieno di virtù culinarie e ben lo sanno i migliori gourmet che sono disposti a tutto per impossessarsi di quel divino profumo.
    Nel nostro territorio sono presenti tutte e nove le specie di tartufo commercializzabili, così che in ogni mese dell'anno si può trovare il prezioso tubero sulla tavola.
    Il buongustaio non mancherà, dunque, di segnare sul suo calendario che il tartufo bianco pregiato, che predilige ambienti freschi ed umidi, si raccoglie da ottobre a fine dicembre; il tartufo nero pregiato da dicembre a metà marzo; il tartufo nero d'estate o scorzone da maggio ad agosto; il tartufo nero uncinato, o scorzone invernale, da ottobre a dicembre; il bianchetto o marzuolo presente nei terreni calcarei ed argillosi, ma anche in quelli sabbiosi e salmastri, da gennaio ad aprile. Ogni tipo di tartufo ha la sua tipica espressione culinaria: su crostini, a scaglie su minestre in brodo o asciutte, sciolto su vitello, manzo o suino, grattato e sciolto in creme, il suo inconfondibile sapore ricopre un ruolo unico. Le ricette che vi suggeriamo ve ne forniranno una prova.

    Olio DOP di Cartoceto


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    foto:oltrefano.it


    Con il passare degli anni, il tempo e la storia hanno confermato la particolare predisposizione delle colline dell'immediato entroterra fanese alla coltura degli olivi. L'elevato numero dei frantoi ancora presenti nella zona, richiama tradizioni d'antico sapore. Le prime testimonianze ufficiali della produzione di olio in queste zone, risalgono all'epoca dello Stato Pontificio, quando le colline dell'entroterra erano tra le più conosciute anche dal Clero. Allora il possesso degli uliveti era indice della gerarchia di potere tra le famiglie: l'olio era la misura del benessere e il prodotto di riferimento per l'economia del borgo. E il frantoio era non solo il luogo in cui le olive si trasformavano in olio, ma un vero e proprio luogo di incontro per lo svolgersi della vita sociale: qui si scambiavano opinioni, si parlava di potere, si concludevano affari.
    A Cartoceto l'olivo è sempre stato l'elemento caratterizzante di tutto il paesaggio e i frantoi ancora attivi, hanno fatto della produzione di eccellente olio extra vergine d'oliva, motivo di vanto a livello internazionale.
    Le qualità di un buon olio d'oliva sono ben note: protegge neutralizzando i radicali liberi, bilancia i valori da un punto di vista nutrizionale, resiste più di altri oli alla temperatura di frittura, aiuta la digestione, promuove l'assorbimento del calcio e molte altre ancora. L'olio di Cartoceto ha dimostrato di possedere tutte le qualità solitamente riconosciute all'olio extra vergine, il suo sapore inconfondibile rende irresistibilmente appetitosa anche una semplice fetta di pane tostato.

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    foto:ollybarlafortezza.com



    Formaggio


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    Un soggiorno a Fano permette non solo di scoprire le preziose qualità della cucina marinara, ma anche di avventurarsi in piacevoli escursioni nell'immediato entroterra, per scoprire i migliori prodotti della gastronomia rurale. Fra le molte specialità, un posto di rilievo lo meritano certo i formaggi, e fra questi non c'è dubbio che la palma spetti al celebre Formaggio di fossa, dal colore dorato, capace di inebriare l'aria di profumi forti e duraturi, concepiti segretamente in suggestivi sotterranei di tufo. Lo si trova a Talamello, in Val Marecchia, ma anche a Cartoceto, a pochi chilometri da Fano. Le famose "fosse" tufacee sono foderate di paglia e chiuse da un coperchio di legno sigillato con pasta di gesso. Accolgono nella loro oscurità il formaggio che stagiona per mesi avvolto in sacchi di canapa. Al suo "risveglio" -e l'apertura delle fosse è un rito cui vale davvero la pena assistere- come per un meraviglioso incantesimo culinario, il formaggio regala autentiche emozioni abbinato a diverse pietanze, dalle minestre ai dessert.

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    Da citare anche la Casciotta di Urbino, prodotta dal 1500 (ne era goloso perfino Michelangelo) e fatta con latte ovino e vaccino munto da razze sarde e appenniniche. Dal 1996 ha ottenuto il marchio D.O.P. dell'Unione Europea.

    Il pecorino è formaggio di grande "adattabilità" e si conserva in cento modi diversi. Nelle campagne il turista troverà il prelibato Pecorino con le vinacce (avanzi del mosto d'uva) che ha origini davvero curiose: è nato per caso intorno alla metà del secolo scorso, "grazie" a un colpo messo a segno dalla famigerata banda di briganti di Terenzio Grossi che nascose un carico di pecorini rubati in mezzo alle vinacce.
    Il Pecorino di botte è tipico di Fano: la sua maturazione avviene in botti e tini, rigorosamente di rovere, che devono avere contenuto vino e conservarne ancora il profumo. Ricoperte di particolari tipi di foglie, il pecorino di botte ha un sapore inconfondibile, delicato e gradevole.






    ...spero che chi andrà a Fano troverà questi consigli utili..

    Edited by tomiva57 - 8/7/2014, 23:16
     
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  6. tomiva57
     
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    pergola


    Pergola

    Pergola è un comune italiano di 6.667 abitanti della provincia di Pesaro e Urbino nelle Marche.


    Il territorio di Pergola risulta abitato fin dalla preistoria, come testimoniano reperti dell'età neolitica, del bronzo e del ferro. Diverse, inoltre, sono le tracce lasciate da successive popolazioni: umbre, etrusche e celtiche. L'epoca romana è invece ben documentata: il ritrovamento di tombe, vasi e suppellettili varie, sia in città (stazione ferroviaria) sia in diverse località quali Grifoleto, Ferbole, Valrea, Monte Santa Croce, Monterolo, Montesecco e Cartoceto, testimoniano una romanizzazione assai diffusa (nel suo territorio fu rinvenuto, nel 1946, il famoso gruppo archeologico dei bronzi dorati da Cartoceto di Pergola).

    Pergola

    Pergola nasce come libero comune nel 1234 per creare posti di lavoro e commercio alle popolazioni dei vicini castelli e di Gubbio, la città che aveva giurisdizione sul territorio, estremo lembo del confine nord orientale dell'Umbria e che lo aveva assorbito dall'antica Luceoli. Ecclesiasticamente invece, il fiume Cesano, fin da epoca longobarda, divideva la diocesi di Nocera posta nell'estremo nord del Ducato di Spoleto, da quella di Gubbio che era nell'esarcato di Ravenna. Il Gastaldato di Nocera nella sua parte estrema comprendeva Leccia, Morello,Percozzone, Serralta, S. Onofrio, il colle di Ferbole o degli Zoccolanti, Mezzanotte e Valrea; infatti la chiesa delle Tinte sarà costruita vicina al ponte, ma in diocesi di Nocera come gli Zoccolanti e Santa Maria del Ponte, vicina alla parrocchia di San Biagio. Dentro le mura della nuova città si determinò una singolare situazione ecclesiastica, perché la parrocchia di Santa Maria della piazza dipendeva dall'abate di Sitria, quella di San Marco dall'abate di Nonantola, quella di Sant'Andrea dall'Eremo di Fonte Avellana e quella di San Biagio dal vescovo di Cagli: la giurisdizione del vescovo di Gubbio era pertanto solo nominale. Nel quadro espansionistico del comune di Gubbio (compresso dalla presenza della potente città di Perugia) si inserisce la fondazione di Pergola ai danni in particolare della città di Cagli i cui territori già si estendevano proprio lungo la fertile vallata del Cesano. L'azione eugubina trova perfetta rispondenza anche nell'ottenuta concessione imperiale degli importanti castelli di Cantiano e Colmatrano la cui ubicazione (lungo la stretta vallata del Burano) a sbarramento della via Flaminia, era strategica per assicurare a Gubbio i necessari collegamenti. In pochi decenni il centro urbano si accresce di laboratori artigianali e diviene un importante luogo commerciale, a lungo conteso dalle signoria degli Sforza, Malatesta, da Montefeltro e Della Rovere. Con la conquista dei territori di Gubbio da parte dei Montefeltro, Pergola registra un fortunato periodo di espansione che, dopo la parentesi di Cesare Borgia, prosegue con i Della Rovere, dai quali Pergola ottiene statuti che le assicurano una più ampia libertà e un nuovo sviluppo sociale ed economico.

    Nel 1631, con il passaggio allo Stato Pontificio, il centro conosce un lungo periodo di decremento demografico e di difficoltà economiche, compensate solo in parte dal ciclico rifiorire dell'industria tessile e conciaria. È nei secoli XVII e XVIII che Pergola raggiunge la sua massima espansione economica tanto che papa Benedetto XIV con la Bolla "Romanum decet Pontificem" del 18 marzo 1752, la eleva al grado di Città e le concede la nomina di un laureato ecclesiastico a Vicario generale vescovile. A conferma dell'importanza raggiunta, nel 1796 viene istituita la Zecca, che batterà moneta fino al 1799. Nel 1797 Pergola viene occupata dalle truppe francesi e diviene parte del Regno Italico. In questo periodo è spogliata di preziose opere d'arte custodite nelle chiese, nei monasteri, nei palazzi pubblici e privati. L'Ottocento si apre con la restaurazione pontificia, un breve rifiorire dell'economia ma anche nuovi fermenti politici e civili. Nel 1819 il papa Pio VII elevò Pergola a diocesi autonoma, unita solo nella persona del vescovo a Cagli, con episcopio, uffici di cancelleria e seminario propri. Il vescovo doveva risiedere sei mesi a Pergola, sei mesi a Cagli.

    Il 14 marzo del 1831, durante le sollevazioni dei comitati rivoluzionari di Bologna e delle Romagne, fu il primo delle Marche e uno dei primissimi comuni italiani a innalzare nel palazzo municipale il tricolore

    L'8 settembre 1860 Pergola è la prima città delle Marche ad insorgere contro il Regno Pontificio, favorendo l'annessione della regione al Regno d'Italia e guadagnandosi la Medaglia d'Oro per "benemerenze acquisite durante il periodo del Risorgimento Nazionale". La raggiunta unità si accompagna però a nuove difficoltà sociali ed economiche, fugate dall'apertura della ferrovia Fabriano-Pergola-Urbino (distrutta nell'ultimo tratto dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale), la scoperta delle miniere di zolfo di Percozzone e Cabernardi (1877-1886), la realizzazione della raffineria del minerale a Bellisio Solfare, che sosterranno l'economia pergolese fino alla metà del Novecento. Oggi Pergola è famosa soprattutto per la produzione vitivinicola e per ospitare i Bronzi dorati da Cartoceto di Pergola, un gruppo statuario di origine romana, unico al mondo, probabilmente risalente al 50 a.C.


    Museo dei Bronzi Dorati e della Città di Pergola


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    I bronzi dorati da Cartoceto di Pergola

    Inaugurata nel 1999, la struttura è ospitata nel quattrocentesco ex convento di San Giacomo. Attrattiva principale è sicuramente il gruppo statuario di origine romana dei Bronzi dorati da Cartoceto di Pergola, più volte salito alla cronaca, anche nazionale, per la contesa fra la cittadina pesarese e il Museo archeologico nazionale delle Marche di Ancona.

    Oggi il gruppo, di origine romana, probabilmente risalente al 50 a.C., fa bella mostra di sé nella sala realizzata con soluzioni tecnologiche all'avanguardia, dove una "tenda d'aria" garantisce il microclima ideale per la conservazione di queste statue uniche al mondo.

    La struttura museale ospita inoltre una pinacoteca con quadri e opere lignee, una sezione numismatica, una sezione romana ed una sezione di arte contemporanea con opere grafiche del maestro e concittadino Walter Valentini.



    Cappella del Palazzolo

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    Situato lungo viale Dante, all'imbocco della città venendo da Fabriano, il piccolo edificio sacro custodisce una serie di affreschi riconosciuti dalla critica come "uno dei momenti più alti della pittura a fresco del Quattrocento marchigiano" tanto che fino alla fine dell'Ottocento si riteneva che l'opera fosse di Raffaello. La parete di fondo è dominata dall’"Ascensione di Cristo tra i Santi Secondo e Sebastiano", opera di Lorenzo D’Alessandro, dove la figura di Cristo si eleva in un’affollata scena tra la Madonna, gli apostoli e due giovani santi: Secondo (patrono della città di cui tiene in mano il modello) e Sebastiano. Sulle vele, purtroppo in parte rovinate, è possibile leggere solo due dei quattro evangelisti. Il dipinto, in basso a destra, è datato 148., con l’ultima cifra quasi scomparsa che potrebbe essere un 3 o un 9. Sulla parete destra sono visibili altri affreschi con l’"Annunciazione, la Trinità e la Madonna con il bambino in trono", sicuramente di un altro pittore, in passato attribuiti a Bernardino di Mariotto, considerato l’erede di Lorenzo, oggi più cautamente al "Maestro del Palazzolo".


    Chiesa di Santa Maria delle tinte

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    Realizzata in mattoni con cupola ottagonale, si trova nell'antico quartiere dove operavano i tintori e i lanaioli della città. Fu proprio la loro corporazione, nel 1700, a commissionare la realizzazione. L'interno è ricco di fregi e statue in stucco bianco. Custodisce tele del pittore senigalliese Giovanni Anastasi, di Giovanni Francesco Ferri e altre opere di Scuola Veneta e Baroccesca.


    Chiesa di Sant'Andrea

    Fortemente danneggiata dal terremoto del 1997, la chiesa è stata riaperta alla fine del 2008 dopo i lavori di consolidamento. Appartenuto in origine ai monaci di Fonte Avellana, l'edificio si trova lungo Corso Matteotti ed è fiancheggiato dalla torre civica, un'alta torre che si rifà alla precedente di epoca medievale. L'interno, ad una facciata, è caratterizzato dagli altari barocchi dorati. Fra i dipinti di rilievo Sant'Andrea, la Madonna col Bambino e Santo Vescovo opera di Palma il Giovane e lo Sposalizio di Santa Caterina di Claudio Ridolfi.



    Chiesa di San Francesco

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    Situata nell'omonima via, fu eretta in stile gotico nel XIII secolo, dalla facciata asimmetrica in conci, sopraelevata in epoca successiva, possiede ancora un notevole portale trecentesco. L'interno ad un'unica navata, sovrastato da una cupola, ha un aspetto cinquecentesco. Notevole il patrimonio artistico conservato. Nel primo altare sinistro si trova il dipinto, "Riposo dalla fuga in Egitto", firmato da Giovanni Antonio Scaramuccia. L'ultimo altare di destra l'"Annunciazione" della bolognese Lavinia Fontana, sull'altare di fronte la "Madonna in gloria e Santi" di Antonio Viviani (fra i più apprezzati allievi di Federico Barocci). Nella parte sinistra del presbiterio si trova un Crocifisso del 1300 attribuito al pittore Mello da Gubbio. Custodisce inoltre importanti statue lignee fra cui l'icona del "Cristo Morto", particolarmente venerata dai pergolesi, il "San Nicola da Tolentino" del 1685, Del 1692 la statua dell'"Immacolata", scolpita da Giacomo Piazzetta e decorata dal pittore pergolese Giovan Francesco Ferri. Fra gli ultimi quadri restaurati da citare, infine, la settecentesca tela raffigurante l'evangelista San Marco, opera del viterbese Domenico Corvi. Da questa chiesa proviene l'Immacolata Concezione di Carlo Crivelli (National Gallery, Londra).


    Chiesa di San Giacomo

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    Risalente al XII secolo, sulla strada verso Sassoferrato, fu rimaneggiata nel XIV ed infine nel XVIII venne trasformata al suo interno; della prima costruzione restano il portale e una finestra murata nella facciata, un altro portale, finestre e due monofore, tutti murati, sul fianco destro. L'interno è costituito da un'unica navata, di forme barocche. Notevoli sono il Crocifisso medievale e il fastoso altare maggiore in legno dorato adorno di un polittico le cui lunette appartengono ad un altro polittico di arte marchigiana del 1400; in una nicchia sulla sinistra si trova parte di un affresco raffigurante la Crocifissione forse di Lorenzo D'Alessandro da San Severino. Nell'annesso convento delle agostiniane ha sede il museo dei bronzi dorati e della città di Pergola.



    Chiesa di Santa Maria di Piazza


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    La chiesa sorge in prossimità del Municipio ed è la più antica di Pergola. La tradizione vuole la chiesa anteriore alla nascita della stessa città a cui, si suppone, diede anche il nome (in origine il tempio era chiamato Santa Maria della pergola). Si narra che fu fondata da San Romualdo nel primo decennio del secolo XI e dipendeva dall'Abbazia di Sitria che era poco lontana dal Catria e da Isola Fossara. Nel tempo l'edificio ha subito molteplici modifiche tanto che della primitiva struttura romanico-gotica ne sono rimaste poche tracce. Nel corso dei restauri per i danni causati dal terremoto del 1997 sono emersi alcuni frammenti di pitture dietro l'altare maggiore. Sgomberata la parete dall'altare, è emerso un affresco di grandi dimensioni. La pittura, presentata nel 2004 in occasione della mostra "Tardogotico e Rinascimento a Pergola", fu allora ascritta a Giovanni Antonio da Pesaro operante nella Bottega dei Bellinzoni di Parma. Dopo i lavori di restauro del marzo 2007, il restauratore Andrea Fedeli propende per una diversa attribuzione. La parte sinistra del dipinto sarebbe di Scuola Giottesca, risalente alla fine del Trecento; la sezione destra, posteriore di alcuni decenni, di Scuola Veneta, pur mantenendo tutti gli stilemi della cultura trecentesca. È molto probabile che i lavori furono iniziati da un primo pittore a cui è subentrato un secondo artista dando all'opera la visione attuale, inserendo le decorazioni e completando la parte destra. Nel progetto iniziale vi dovevano essere l'Albero della vita e la Crocifissione. Sul lato sinistro del dipinto sono raffigurate le pie donne, la Maddalena, la Madonna e l'apostolo San Giovanni, al centro il Cristo crocifisso fra i due ladroni, a destra San Giovanni Battista e Sant'Atanasio. Il dipinto è avvolto da una decorazione di medaglioni, attorniati da fronde arboree, contenenti le sibille ed i profeti. La decorazione ha forma di arco delimitando, probabilmente, la parete dove in origine doveva arrivare la chiesa. Il segmento centrale è andato quasi completamente perduto quando, con il cambiamento della liturgia, l'affresco è stato in parte distrutto per far posto alla nicchia dell'altare. Di questa sezione ne è rimasto il volto del Cristo, ritrovato alcuni anni fa e, dopo i lavori di restauro, riposizionato al centro dell'affresco.

    Duomo

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    Intitolata a Sant'Andrea apostolo è la con-cattedrale della diocesi di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola. Costruita nel 1819 e completata nel 1841, ha un campanile in stile romanico sino alla cella campanaria. L'interno è a tre navate suddivise da pilastri con un profondo presbiterio e la presenza di diversi altari lignei dorati.

    - See more at: http://www.movingitalia.it/pergola/turismo...h.dc48HDsS.dpuf


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    Chiesa dei Re Magi


    È posta di fronte al duomo della città. Risale al 1600 ed è quello che rimane di un'altra chiesa anticamente molto più grande. È un piccolo gioiello artistico. Sull'altare in marmo spicca la tela dell'"Adorazione dei magi", opera del pisano Aurelio Lomi, mentre lo stupendo apparato decorativo, in stile barocco, è stato realizzato da Tommaso Amantini, originario di Urbania. Fra i pezzi pregiati una Vesperbild (pietà) del primo decennio del Quattrocento, in gesso duro interamente policromato, che sembra legarsi ai modelli praghesi e viennesi. Come molte altre opere è oggi custodito nel museo cittadino.


    Chiesa di San Marco

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    Di stile romanico, era un Priorato dell'Abbazia di Nonantola; fu costruita con il primo nucleo storico della città per poi essere completamente rifatta nel 1776. L'altare maggiore custodisce la tela "Madonna del Carmelo e Santi" di Giovanni Francesco Guerrieri.


    Chiesa di San Rocco


    Posta esattamente di fronte alla Chiesa di San Marco è da tempo sconsacrata ed adibita a magazzino comunale. Fu costruita nel 1528 in seguito ad un voto sciolto per la scampata peste. È sormontata da uno stupendo soffitto ligneo a cassettoni, opera di artigiani locali. Custodiva una statua in legno policromo di San Rocco (datata 1528) proveniente dalla bottega del Maestro di Magione, oggi esposta al Museo dei Bronzi Dorati e della Città di Pergola.


    Episcopio

    L'edificio si trova proprio accanto al Duomo, in via Don Minzoni, ed è di rilevante interesse perché custodisce le opere d'arte provenienti dalle chiese soppresse.



    Porta del Morto

    La struttura urbanistica medievale di Pergola, oltre ai numerosi luoghi di culto ed a torri o resti di torri, conserva numerosi esempi di "Porta del Morto"; la cosiddetta Porta del Morto è una stretta apertura ad arco acuto, ricavata a fianco dell'ingresso principale dell'abitazione; si presenta con la soglia sopraelevata dal livello stradale di circa 80-90 centimetri. Durante l'epoca medioevale la Porta del Morto restava murata ed era aperta e riaperta solo per far passare la salma del familiare. Era diffusa nel Centro Italia ed attualmente se ne trovano testimonianze, oltre che a Pergola, a Gubbio, Fabriano, Cortona, Assisi e Città di Castello.

    La rocca

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    Imponente manufatto di particolare interesse, che ha visto l'intervento del celebre architetto senese Francesco di Giorgio Martini.


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    Municipio

    Sempre nel corso, si erge il grandioso edificio del XVIII secolo, aperto da un alto porticato. Entrando, sul primo ballatoio dello scalone, in una nicchia era murata la statua di San Secondo (oggi conservata al Museo dei Bronzi Dorati e della Città di Pergola) di scuola Umbra del 1400. Nella sala consiliare si trovano una pala d'altare robbiana risalente al 1500, una Madonna col Bambino e i Santi Francesco e Ubaldo, tela di maniera del Barocci, oltre a numerosi quadri che ritraggono personalità locali. Da segnalare inoltre una tela dipinta dal pittore bolognese Giulio Cesare Procaccini raffigurante Bestabea al bagno.

    Teatro

    L'edificio si trova in via Angel dal Fuoco, soprannome di Angelo da Pergola, condottiero del 1400, cui è anche intitolato il teatro, del 1696, dopo un lungo lavoro di restauro, è stato riaperto al pubblico nel 2002 con uno spettacolo di Valeria Moriconi.


    teatro_pergola

    Il teatro è contenuto all’interno del vecchio fabbricato che nel secolo XVII ospitava i magazzini del Monte di Pietà, detti anche dell’Abbondanza.
    Lo fece erigere l’Accademia degli Immaturi, ritendo ormai insufficiente lo spazio del salone del Palazzo Comunale dove già dalla metà del ‘500 venivano allestite recite di commedie.
    Tale teatro, inaugurato nel 1696, fu originariamente denominato ‘Teatro della Luna’ e nel 1723 vide rinnovata la propria dotazione scenica ad opera di Francesco e Ferdinando Bibiena.
    Quando nel 1752 Papa Benedetto XIV elevò Pergola al grado di "città", si giudicò opportuno ricostruire il teatro: ciò che avvenne fra il 1754 e il 1758 ad opera dell’architetto bolognese Raimondo Compagnini che si avvalse di Giuseppe Torreggiani e del pergolese Giovan Francesco Ferri per il nuovo corredo scenico.

    La sala ebbe certamente a subire in seguito più di una modifica, ma nel complesso presenta ancora l’originaria fisionomia datale dal Compagnini: pianta ad U circondata da tre ordini di palchi (44 in totale) e sovrastante loggione a balconata aperta con soffitto impostato sulle murature perimetrali.
    I parapetti sono a fascia continua, interrotti da paraste solo ai lati del proscenio che presenta un architrave piano, sorretto ai lati da quattro mensoloni.
    L’intera struttura è a mattoni, comprese le pareti divisorie dei palchi, e alquanto modesti sono gli elementi decorativi, palese frutto di un rinnovamento effettuato forse all'inizio del nostro secolo.

    Manomesso dagli sfollati nel corso del secondo conflitto mondiale e spogliato di tutti i suoi arredi e scenari, compreso il sipario (raffigurante una veduta di Pergola), dipinto dal pergolese Beniamino Barbanti nel 1860 quando il teatro fu dedicato al capitano di ventura Angelo Dal Foco o Angelo da Pergola, lo stesso è stato lasciato per più decenni in stato di completo abbandono e solo dopo un crollo parziale del tetto registrato nel 1981 è iniziata la progressiva opera di recupero. Il Teatro è stato riaperto nel dicembre 2002 ed è oggi tornato alla sua attività.
    fonte:provincia.pu.it




    fonte: wikipedia.org.
    - agriturismiurbino.com.
    - .le-marche.com.
    - comuniverso.it/
    - lavalledelmetauro.org
    - valcesano.com




     
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