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tomiva57.
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Edited by tomiva57 - 19/4/2014, 15:07. -
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Se non oggi
Chi vuol scrivere più parole d'amore
lui non fa un solo gesto per te
lentamente
anche le lacrime asciugano
almeno guardami
che sto parlando di te.
Se non oggi
decidi tu quando
solo un'altra notte sarai di nuovo mia
come una bestemmia nascosta in fondo a un messale
un uomo è feroce se vuole quello che non è suo.
Poi è la musica che rende incoscienti
la musica scioglie promesse per noi
solo Gesù saprà quello che abbiamo fatto
e come un respiro tranquillo la vita continuerà.
e come un respiro tranquillo la vita continuerà.
Tutto questo futuro
Il tempo cancella le intenzioni del cuore...
forse questo rimane per la gente come noi:
stare vicini, pensare più piano, capirsi con gli occhi e non perdersi.
Amore, mia speranza con gli occhi sinceri,
io non ho voluto perderti mai.
Eppure mi piace tutto questo futuro
e anche il tempo sprecato che non vedo già più.
Io e te, in mezzo al mondo,
siamo un pugno di fiori.
Ora passa la notte e, come senti, non piove più.. -
tomiva57.
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Ivano Fossati: "Ho lasciato la musica
e adesso rischio con un romanzo"
di DARIO OLIVERO
Il cantautore esordisce con 'Tretrecinque' e racconta la storia di un chitarrista di talento: "Ma giuro, non sono affatto io"
GENOVA - Se facciamo una classifica delle 50 canzoni più belle della musica italiana probabilmente 10 sono le sue, anche se Ivano Fossati non è d'accordo: "Non esageriamo ". Va bene, stiamo bassi, facciamo tre.
"Basterebbero"?.
"Basterebbero".
Allora perché scrivere un romanzo?
"Per divertimento. Mi divertiva vedere come andava a finire la storia che avevo immaginato".
Sarà giudicato in modo severo, lo sa?
"Sono abituato, sono stato giudicato per quarant'anni per quello che scrivevo ".
C'è qualcosa in lei che la obbliga a farsi giudicare? Altrimenti perché scegliere un mestiere come il suo prima e scrivere un romanzo poi?
"È una questione di ego, credo. Se uno sta per una vita su un palco qualche problema con il suo ego ce l'ha".
Racconta che da ragazzo era timidissimo.
"Di più. Camminavo rasente i muri. Per parlare con una ragazza mi preparavo per giorni".
Ma ha scelto di suonare. Perché?
"Il palco mi trasformava. Fin dai primi gruppi in cui ho suonato, anzi complessi, allora si chiamavano complessi, io ero il frontman, quello che faceva più casino".
Il suo ego nascosto ha trovato una strada per venire fuori.
"Se fosse rimasto nascosto sarebbe marcito e probabilmente adesso sarei una persona orrenda".
Come si immaginerebbe?
"Uno di quelli che critica tutto. Un elettricista incazzato".
Un elettricista?
"Mi mandarono a imparare il mestiere a 15 anni".
Provarono a farla lavorare?
"Sì ci provarono, ma non funzionò. Avevo scoperto la musica".
Che ha abbandonato per sempre più di due anni fa.
"Ho abbandonato dischi e concerti, non la musica. Continuo a comporla per altri. Ho tenuto la parte del mio lavoro che mi è sempre piaciuta di più".
E qui ci si ferma, perché la domanda che tutti vorrebbero fare a Ivano Fossati è meglio non farla. Perché la risposta la si conosce e in ogni caso non farebbe piacere sentirsela ripetere. Il suo addio alle scene è stato tanto clamoroso quanto irrevocabile, con tanto di feste d'addio e dischi tributo. Ma non sarebbe stato più furbo non annunciare il ritiro e tenersi aperta una porta laterale per rientrare, caso mai avesse cambiato idea? Solo in quel momento Fossati abbassa gli occhi che spesso guardano quasi preoccupati un cielo grigio che rende Genova lucida di pioggia. E, riaccostando la tendina della finestra del ristorante nel porto antico, molto seriamente risponde: "Ho dovuto farlo. Se non lo avessi fatto sarei finito in un limbo. Tutti mi avrebbero chiesto, mache fine hai fatto? Ma non suoni più? Ma quando farai il prossimo disco? Invece così è tutto chiaro".
Per questo motivo la domanda successiva scivola su quella di prima: perché Ivano Fossati, cantautore, musicista e compositore, ha scritto un romanzo dal titoloTretrecinque (Einaudi Stile libero), come il modello di una chitarra Gibson, che racconta la storia di un uomo giovane negli anni Cinquanta che gira il mondo suonando, affonda il suo matrimonio, è un padre assente, perde almeno tre donne importanti e sembra non fare altro che scappare? "La anticipo: quell'uomo non sono io. Non c'è un solo grammo di me in quel personaggio. Ogni volta che scrivendo mi accorgevo che usciva un particolare anche minimo che potesse richiamare la mia vita lo cancellavo.È pura fantasia".
Quindi il padre che abbandona il figlio non c'entra con suo padre che se ne andò quando aveva un anno?
"No, per niente".
E nemmeno che il suo personaggio scelga di fare il musicista per sfuggire a ogni responsabilità?
"Diciamo che a lui va peggio perché è un cialtrone, anche se alla fine è un uomo migliore di quanto lo sia all'inizio. Impara ad accettarsi. Accetta di essere il pagliaccio che è".
È nella natura di molti uomini sfuggire le responsabilità. Lo cantava anche lei: uomini sempre poco allineati, li puoi chiamare ai numeri di ieri se nella notte non li avranno cambiati.
"In effetti il libro assomiglia molto a quella canzone. Sono scappato per anni anch'io".
Da che cosa?
"Da tutto: sentimenti, responsabilità, amore".
Il lavoro, qualsiasi lavoro, può essere un alibi perfetto.
"Lo è. Ma solo fino a quando pensi di non avere abbastanza tempo per occuparti di entrambe le cose".
E lei lo pensava?
"L'ho pensato per vent'anni, poi ho iniziato a capire che abbiamo tempo, c'è tempo per tutto. Ma bisogna capirlo prima di diventare degli assenti perenni".
Assenti per chi?
"Per gli altri. Che cosa puoi raccontare agli altri se ti sei chiuso in un mondo in cui la vita vera non entra mai? Un mondo solo di ego e di gente che parla di se stessa? Ripeto, mi annoierebbe a morte parlare di me, il libro non parla di me".
La letteratura dovrebbe parlare in modo universale raccontando nel modo migliore possibile una questione evidente per tutti. È d'accordo?
"Sono più che d'accordo. Prendiamo ilmaestro della sintesi: Simenon. L'ho letto quasi tutto. Non c'è mai una parola in più del dovuto, eppure si ha l'impressione dopo aver letto 100 pagine di averne lette 300. È un condensato, è l'uomo più meravigliosamente sintetico e completo che io conosca".
Racchiudere un'idea in poche parole è una questione che lei dovrebbe conoscere bene.
"Ci ho combattuto una vita limando le strofe delle canzoni. Meno parole possibili per dire una cosa il più esattamente possibile. Il mio ideale sarebbe stato scrivere delle canzoni come degli haiku. Pensi che meraviglia: la sintesi assoluta più la sincerità assoluta degli intenti".
C'è riuscito spesso.
"Quello che faccio è cercare il tuo amore fino nel cuore delle montagne". Un haiku, quasi un salmo.
"Non lo avevo pensato in quei termini ma in effetti è un'interpretazione".
E in questo romanzo pensa di esserci riuscito?
"Spero di sì. Mentre lo scrivevo ho lettoUn cuore così bianco di Javier Marías. E devo dire che...".
Le è venuta l'ansia da prestazione?
"Diciamo così. Ci sono scrittori che sanno scrivere in modo naturale della profondità".
Chi?
"Adoro Welsh, per esempio. Come riesca a non vergognarsi di andare così in fondo, di descrivere l'assurdo attraverso quelle scene così forti".
Lei ha scoperto la letteratura e la musica quasi contemporaneamente.
"Pavese fu uno dei primi. L'ho amato molto. Mi ha insegnato chel'America poteva essere anche qua fuori. Nelle Langhe".
Perché il protagonista del suo libro è piemontese?
"Perché i piemontesi assomigliano ai liguri, siamo gente che si frequenta molto, con gli stessi silenzi, la stessa paura di esagerare".
Si dice che Genova è città della musica come le Langhe sono terre da letteratura.
"Probabilmente è così. È inspiegabile, però è vero. Anche Fenoglio era meraviglioso, ma gli preferivo Pavese. Il vantaggio è che dopo averlo letto quando scopri Conrad non ti fai male, sei preparato".
Il personaggio del suo libro stabilisce una distinzione importante tra invecchiare e crescere, dove le due cose appunto non sempre vanno di pari passo. Neanche questo la riguarda?
"È la mia paura più grande: invecchiare male. Il mio incubo è trovarmi a parlare con ragazzi giovani e dire molto lucidamente cose vecchie e banali e capire altrettanto lucidamente di non riuscire a seguire i loro discorsi. Insomma, far fatica, non essere all'altezza, correre in salita ".
Se le consiglio un libro, lo leggerà?
"Dipende, me lo consiglia per farmi preoccupare di quello che ho scritto?".
No, solo perché parla di invecchiare nel modo giusto.
"Andiamo a comprarlo".
E così, uscendo dal locale, avvolto in un soprabito chiaro e con un cappello che lo copre fino agli occhiali Fossati attraversa i vicoli di Genova. "I magrebini hanno rilevato molte attività del centro storico e l'hanno reso bellissimo. Lavorano e sono allegri. Questo è uno schiaffo per noi, una lezione". "Vede, qui c'era Borsa di Arlecchino, il teatrino dove ha cominciato a suonare De André. E per tutta via XX Settembre era pieno di cinema bellissimi. Uno si chiamava dei postelegrafonici, ho visto roba come Nostra signora dei Turchidi Carmelo Bene. Io e altri amici ci chiudevamo lì dentro a vedere pellicole difficilissime".
Entrando nella grande libreria megastore accadono due cose: la prima, Ivano Fossati attraversa l'intero reparto musica italiana senza neanche accorgersene, né gettare uno sguardo distratto che gli avrebbe permesso di vedere un suo disco esposto. La seconda, lo fermano due persone e gli fanno la domanda che non si può fare: ma davvero non ritornerà a fare dischi? "No, ora ho fatto un'altra cosa. Ho scritto un romanzo, anche se questo signore qui con me dice che sto rischiando molto". Uscendo verso il porto con due libri in mano con la pioggia che per un attimo dà tregua Ivano Fossati, ex cantante, si congeda: "Davvero rischio, lo so. Ma vede tutta questa gente di colore, che parla altre lingue e che si dà da fare? Significa che c'è un futuro. Per troppo tempo abbiamo avuto paura di tutto. Non bisogna aver paura di niente".
fonte: repubblica.it
foto: ondarock.it
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