Francesco Guccini

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  1. tomiva57
     
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    Stagioni (album)


    Da Wikipedia

    Francesco-Guccini-Stagioni-2000-Front-Cover-35216



    Stagioni (2000) è il diciannovesimo album di Francesco Guccini.

    Il disco

    Questo è un disco sul passato o, se si vuole, sul tempo che passa, sul susseguirsi delle stagioni. Tra le quattro stagioni manca però l'estate. Guccini in un'intervista dice di aver tentato di scriverne una, ma non ne veniva fuori niente e allora ha lasciato perdere. Come ha detto nella stessa intervista: «L'estate è il tempo della spensieratezza, della dimenticanza. [...] "Stagioni" è un disco poco spensierato. Tristezza? C'è sempre stata, in ogni mio disco. Però, [...] non è mai resa. Può essere amarezza, delusione, sdegno ma non rinuncia. Il crepuscolarismo c'è in "Autunno", ma non c'è assolutamente in "Addio", che è una risposta a secco, decisa, chiara, anche violenta». Non è quindi un caso che Addio sembri quasi una prosecuzione ideale de L'avvelenata. Cambia il tono, meno personale (anche se è sempre il cantante a parlare in prima persona), cambia il testo, decisamente più fluido e maturo, ma resta una coerenza di fondo tra questi due momenti così distanti.

    Tracce

    1. Addio (Intro) - 0:53
    2. Stagioni - 6:08
    3. Autunno - 4:55
    4. E un giorno... - 5:25
    5. Ho ancora la forza - 3:24
    6. Inverno '60 - 5:17
    7. Don Chisciotte - 6:00
    8. Primavera '59 - 5:59
    9. Addio - 4:10


    ...clikka sul titolo per evidenziare i video

    Le canzoni sono di Guccini ad eccezione di:
    Ho ancora la forza (testo di Luciano Ligabue e Francesco Guccini - musica di Luciano Ligabue),
    Don Chisciotte (testo di Giuseppe Dati e Francesco Guccini - musica di Giuseppe Dati e Goffredo Orlandi)
    e Primavera '59 (testo di Francesco Guccini - musica di Juan Carlos Biondini).


    Le canzoni

    Stagioni

    Parla di Ernesto "Che" Guevara ed ha avuto una genesi abbastanza singolare. Guccini dice di aver scritto una strofa nel 1967 dopo aver saputo della morte del rivoluzionario argentino. Una sera, sul finire degli anni novanta, la canta - assieme ad altre canzoni mai incise - a casa di amici. E piace, molto. Poi, ad un suo concerto, vedendo dei ragazzi con la maglietta del Che decide di dedicare loro quella strofa: «è 'venuto giù' il Palasport. Tutti mi hanno detto che non sarebbe stato male finire la canzone. È stata dura: sono dovuto tornare indietro con un lungo flash-back, creando un parallelo tra quella generazione e questa (..) ho scritto questa canzone Perché sentivo il forte bisogno, in un momento in cui la sinistra è contestata e - soprattutto - contrastata, di riaffermare il mio credo (...) io sono di sinistra, non sono un reazionario, non mi sono arreso. Devo però ammettere che, se non fossi stato spinto, non avrei mai concluso Stagioni».[senza fonte] La canzone viene anche cantata nel film indiano Un'altra volta nella foresta (Abar Aranye, 2003) del regista Goutam Ghose.

    E un giorno...

    È una sorta di lettera per la figlia Teresa a cui, bambina, aveva dedicato la canzone Culodritto pubblicata in Signora Bovary. È un testo molto dolce, che parla della crescita della figlia, che oggi vede il mondo con gli occhi di un adulto, che vede il padre invecchiare...sino a quando, crescendo anche lei capirà che i sogni dei bambini, il loro modo di vedere il mondo, sono destinati ad essere travolti "dal molto d'amaro", e che il padre è sempre lo stesso, un po' folle ed un po' saggio, sconsideratamente ottimista.

    Don Chisciotte

    Don Chisciotte è la settima canzone del disco Stagioni di Francesco Guccini, uscito nel 2000.

    Come risulta dal sito SIAE, è stata scritta con il titolo originale Don Chisciotte e Sancho Panza da Beppe Dati per il testo e da Goffredo Orlandi in collaborazione con Dati per la musica; con alcune piccole modifiche al testo effettuate da Guccini ai tempi di Cirano (nell'album D'amore di morte e di altre sciocchezze del 1996), il titolo è stato abbreviato in Don Chisciotte, ridepositato con l'aggiunta della firma del cantautore pavanate per il testo e con le edizioni musicali L'Alternativa/Uva Fragola.

    Vuole essere una lettura dei tempi presenti sfruttando un personaggio del passato.

    Il testo della canzone è un dialogo tra i due personaggi, in cui Don Chisciotte è cantato dallo stesso Guccini mentre Sancho Panza da Juan Carlos Biondini. Come il noto personaggio Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes Saavedra crede di poter cambiare il mondo e di mettere fine alle ingiustizie ed è seguito da Sancho Panza, molto più materialista.



    guccini




    recensioni:

    di avatar Fiz Fiz 16/04/2000


    E lo capisci già dall'Intro che il Guccio è tornato, ed è uguale ma sempre diverso, come i giorni. Sai che è tornato il "frate", quello che non sai bene se ha davvero capito la vita oppure no, ma che è così dolce stare ad ascoltare mentre te la racconta. Davanti a quanti bicchieri di vino? Ognuno risponda per se.

    E lo capisci già dall'Intro, e poi da lì strofa dopo strofa seguendo le altre 8 tracce, che il Guccio ha fatto uno dei suoi dischi. E ti viene da dirlo con gioia, uno dei suoi soliti dischi. Niente è cambiato e tiri un sospiro di sollievo, e ti si allarga il cuore, e ti si allenta anche se per pochi istanti quella tensione che ti sta stracciando le viscere. Perché allora qualcosa che dura, che non marcisce nel vortice impietoso del tempo, c'è. E non ti viene altro da fare che mettere quel dischetto rosso (che sublime scelta semantica) e lasciarti sprofondare nei tuoi paesaggi mentali di anni e stagioni passate, di "io sarò" diventati "io ero", di "storie credute importanti (che) si sbriciolano in pochi istanti".

    E lo capisci già dall'Intro quindi, che ancora una volta troverai parole da mandare a memoria, lampi di verità, o piccole incrinature di un senso che non ne vuole sapere di farsi acciuffare. Già perché in fondo Guccini è questo: una certezza. E' il sapere di trovare quello che ti aspetti, sempre. Negli anni. Con una coerenza e una forza di volontà o un'ostinazione di carattere che ha del sovraumano. Con onestà.

    E allora ce lo vai a cercare dentro a ogni disco quello che vuoi, come chi torna in un posto che ha lasciato, per andarsene un po' in giro a vedere com'è il mondo, che ritorna e va subito a controllare se tutto è ancora com'era.

    E' ancora così.

    C'è la famosa canzone su Ernesto Guevara. Che fa quasi tenerezza tanto è romantica e sentita. Messa nel mezzo alla barbara commercializzazione dell'icona "Che", questa Stagioni suona ancora più fresca e distante, quasi ingenua. Canzone scritta a furor di popolo ha detto il Guccio in un'intervista, scritta un tempo e poi tenuta lì. Aspettando il momento giusto? Chissà. "I compagni di un giorno o partiti o venduti". La mente torna alla figura di Janhus di quella drammatica Primavera di Praga o all' Eskimo che conoscevi tu. Lo stesso indomito mix di dolcezza e ribellione.

    Autunno . C'è da aggiungere altro? Qualsiasi estimatore del Guccio conosce la precisa "sensazione" che impregna qualsiasi suo disco. La malinconia accompagnata a uno sguardo sfuocato ai tempi andati, come una tintura dell'anima, un velo leggero che ci accompagna. "ignorando quel rodere sordo che cambia "io faccio" in io "ricordo" ". Siamo dalle sommesse e crepuscolari parti di Canzone quasi d'amore o Non bisognerebbe per intenderci.

    E un giorno, il tanto atteso e sperato seguito di Culodritto, dedicato alla figlia Teresa, ormai diventata grande, "sospesa tra voglia alternate di andare e restare" . Ora in grado forse di capire, o perlomeno non più accusare un padre che con orgoglio dichiara: "io ho sempre tentato". Ed è questa una delle canzoni più belle del disco, di una intensità e sincerità e lucidità che disarma. Giocata sul rapporto padre/figlia con tocco partecipe e delicato. Divento sdolcinato e retorico se dico che qualsiasi figlia vorrebbe sentirsi dire queste parole dal proprio padre? Lo dico: qualsiasi figlia vorrebbe sentirsi dire queste esatte parole dal proprio padre. Per una volta magari non steso davanti a qualche canale. (Una bella frecciatina velenosa alla di lei madre e un tempo moglie completa il tutto: "e tua madre lontana presente, sui tuoi sogni ha da fare e da dire").

    Ho ancora la forza "che ti serve quando si dice "si comicia"". Perché se qualcosa finisce c'è sempre qualcos'altro pronto a dare il la per qualcosa di nuovo. Comunque sia, e comunque vada e comunque. E' sempre la stessa storia d'altronde, ma ripeterla (e sentirsela ripetere) non fa mai male, anzi. Alla fine "il resistere" è proprio quello. Avere ancora la forza. Già. Molto in stile Vedi cara.

    Inverno '60. Notti perse tra le ballerine e il fumo di localacci squallidi di periferia. La domenica sera d'inverno. Molto swingata. In perfetto stile Le ragazze della notte . C'è il Guccio frequentatore di balere quasi cinico: "bisogna divertirsi (è domenica sera), c'è da dimenticare la noia pesa e nera".

    Eroica, resistente, folle e giocosa. Da cantare a squarciagola è DonChisciotte . Poetica e picaresca come il romanzo di Cervantes a cui si ispira. Cantata a 2 voci dal DonChisciotte/Guccini e dal suo fedele scudiero Sancho Panza/Flaco. Le confessioni di "un testardo, un idealista, (che) troppi sogni ha nel cervello", che non si vergogna di confessare "c'è bisogno soprattutto di uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto". E allora via! Contro mulini a vento e pecore scambiate per Mori! Via all'azione! All'utopia! Forse è una bestemmia, ma a me ricorda per idealismo e ritmo e tensione La locomotiva .

    Primavera '59. Te li vedi quasi, teneri e impacciati, indefiniti e sbilenchi, incerti nei gesti e nei meccanismi. E hanno la faccia di Andrea e Samantha, oppure di quei 2 di Lui e lei o i centomila tanti altri ragazzi innamorati che da decenni colorano le banchine delle stazioni coi loro baci e promesse e abbracci e saluti laceranti, lì a un passo dal partire per non tornare più. "Ma è bella l'illusione di un momento solo, quella luce che ti abbaglia, anche se si spegnerà".

    Si chiude con Addio, e un po' fa senso sentirsi lasciarsi così. Si sa. Però lo si capisce che niente è finito davvero. Che c'è ancora tutta la rabbia e la forza per non starci, per non farsi annientare dalla mediocrità e dalla banalità dilagante. Dal vuoto scintillante di televisioni e calciatori, "riflettori e pailettes". Si riprende il filo bollente iniziato con la fu Avvelenata e poi a continuare, sempre con parole taglienti e refrattarie ad ogni concessione, in Nostra signora dell'ipocrisia e Cirano . C'è ancora tanto su cui sputare e indignarsi. Per fortuna.

    E poi
    Chiudere gli occhi e tornare a bere in un'osteria di fuori porta con la ragazza ora in Pennsylvania mentre l'ubriaco canta e il gatto dorme sulla panca. Ti ricordi quei giorni ?








    rockol.it

    Imbarazzante. Pretesco. Noioso. Banale. Furbetto. Ripetitivo. Comodo. Soffocante. Svenduto. Predicatorio. Atroce. Saccente. Ampolloso. Insulso. Risaputo. Ovvio. Mellifluo. Imbarazzante. Consolatorio. Retorico. Ipocrita. Impacciato. Patetico. Tronfio. Micidiale. Ridondante. Tremendo. Irritante. Goffo. Penoso. Ammorbante. Presuntuoso. Tromboneggiante. Confuso. Allarmante. Stracotto. Riciclato. Intollerabile. Spuntato. Plateale. Colloso. Inutile. Lagnoso. Autoindulgente. Borbottante. Sconfortante. Penoso. Piagnone. Imbarazzante.

    Si adonteranno, lo sappiamo, i seguaci del Santo Cantautore. Ma non saranno certo le brutte parole di un recensore cattivo (e certamente in malafede) a scalfire la luminosa figura di Padre Guccino. Facciano come niente fosse, come è giusto che sia: ognuno si infligge il male che preferisce. Certo il Santo ha ormai scelto di mettere il meglio di sé nei libri gialli o nella redazione di cronache epafaniche. Agli acquirenti dei suoi dischi, che chiedono soprattutto “tristezza che li avvolga come miele” - ovvero piagnistei in cui specchiare la propria autocommiserazione - solo questi riserva, corredati dell’immancabile, compiaciuto riferimento letterario (Cervantes), e della canzone didattica per i figli in kefiah degli adepti (persino Raf, in “Jamas”, era stato meno banale su Che Guevara). Il disco, appena uscito, è andato al n.1 in classifica. Quindi, come si diceva per Elvis, milioni di fans non possono sbagliare. E allora, sia: contenti i devoti, contenti tutti.
    Ma in attesa delle stimmate sulla Santa Barba e della proposta di Nobel per la Letteratura - avanzata da Veltroni - ci permettiamo di girare al largo con le gambe in spalla, e consigliare lo stesso ai non praticanti della Chiesa di Culodritto. Sempre che l’Inquisizione, che attende i vigliacchi che osano avanzare perplessità sull’Arte e Poesia del Sommo (chi dissente finisce nell’”Avvelenata”), ce lo consenta.

    Postilla
    Ci conforta il pensiero che Padre Guccino in “Addio” confessi che “qualche volta si vergogna di fare il suo mestiere”. Sempre “per colpa di altri”, resta inteso - ma comunque è già qualcosina. Siamo commossi.




    Recensione di: alex , (il 10 giugno 2005 )


    "Io, Francesco Guccini, eterno studente, perché la materia di studio sarebbe infinita e soprattutto perché so di non sapere niente".

    L'essenza del poeta in poche parole. Parole che sanno di umile consapevolezza della forza della propria semplicità. Trame di frasi immaginifiche al servizio di ricordi tanto forti quanto fragili. L'impegno coniugato all'amore per la propria terra, per i propri ideali. La rabbia che assurge al ruolo di diretto autore di testi quando sono proprio quegli stessi ricordi a prendere il sopravvento. Il coraggio di insistere proprio quando sembra che sia troppo.Conviene veramente fingere che si é fatto giorno quando del sole, invece, non ce n'é traccia? La sbuffante ripetitività di chi fa della verità il proprio credo e con esso il proprio motivo per tingere fogli bianchi di testi sognanti su strade di coscienze ipocrite non sempre all'altezza di ricevere l'allarme di una deriva dietro l'angolo. L'importanza di pensieri scoloriti dal tempo, stropicciati dal passaggio di così tante battaglie vinte e perse. Difficile credere alla sbalorditiva coerenza di parole pesanti come macigni scagliate su teste poco inclini alla comprensione. Un giorno questo sole tramonterà e non rimarrà altro che la polverosa ed ingiallita eredità, pervasa da sapiente silenzio, di un uomo capace di urlare senza fare il minimo rumore.







    Stagioni


    Quanto tempo è passato da quel giorno d'autunno
    di un ottobre avanzato, con il cielo già bruno,
    fra sessioni di esami, giorni persi in pigrizia,
    giovanili ciarpami, arrivò la notizia...
    Ci prese come un pugno, ci gelò di sconforto,
    sapere a brutto grugno che Guevara era morto:
    in quel giorno d'ottobre, in terra boliviana
    era tradito e perso Ernesto "Che" Guevara...
    Si offuscarono i libri, si rabbuiò la stanza,
    perché con lui era morta una nostra speranza:
    erano gli anni fatati di miti cantati e di contestazioni,
    erano i giorni passati a discutere e a tessere le belle illusioni...
    "Che" Guevara era morto, ma ognuno lo credeva
    che con noi il suo pensiero nel mondo rimaneva...
    "Che" Guevara era morto, ma ognuno lo credeva
    che con noi il suo pensiero nel mondo rimaneva...
    Passarono stagioni, ma continuammo ancora
    a mangiare illusioni e verità a ogni ora,
    anni di ogni scoperta, anni senza rimpianti:
    " Forza Compagni, all'erta, si deve andare avanti! "
    E avanti andammo sempre con le nostre bandiere
    e intonandole tutte quelle nostre chimere...
    In un giorno d'ottobre, in terra boliviana,
    con cento colpi è morto Ernesto "Che" Guevara...
    Il terzo mondo piange, ognuno adesso sa
    che "Che" Guevara è morto, mai più ritornerà,
    ma qualcosa cambiava, finirono i giorni di quelle emozioni
    e rialzaron la testa i nemici di sempre contro le ribellioni...
    "Che" Guevara era morto e ognuno lo capiva
    che un eroe si perdeva, che qualcosa finiva...
    "Che" Guevara era morto e ognuno lo capiva
    che un eroe si perdeva, che qualcosa finiva...
    E qualcosa negli anni terminò per davvero
    cozzando contro gli inganni del vivere giornaliero:
    i Compagni di un giorno o partiti o venduti,
    sembra si giri attorno a pochi sopravvissuti...
    Proprio per questo ora io vorrei ascoltare
    una voce che ancora incominci a cantare:
    In un giorno d'ottobre, in terra boliviana,
    con cento colpi è morto Ernesto "Che" Guevara...
    Il terzo mondo piange, ognuno adesso sa
    che "Che" Guevara è morto, forse non tornerà,
    ma voi reazionari tremate, non sono finite le rivoluzioni
    e voi, a decine, che usate parole diverse, le stesse prigioni,
    da qualche parte un giorno, dove non si saprà,
    dove non l'aspettate, il "Che" ritornerà,
    da qualche parte un giorno, dove non si saprà,
    dove non l'aspettate, il "Che" ritornerà !






    Autunno

    Un'oca che guazza nel fango,
    un cane che abbaia a comando,
    la pioggia che cade e non cade
    le nebbie striscianti che svelano e velano strade...
    Profilo degli alberi secchi,
    spezzarsi scrosciante di stecchi,
    sul monte, ogni tanto, gli spari
    e cadono urlando di morte gli animali ignari...
    L'autunno ti fa sonnolento,
    la luce del giorno è un momento
    che irrompe e veloce è svanita:
    metafora lucida di quello che è la nostra vita...
    L'autunno che sfuma i contorni
    consuma in un giorno più giorni,
    ti sembra sia un gioco indolente,
    ma rapido brucia giornate che appaiono lente...
    Odori di fumo e foschia,
    fanghiglia di periferia,
    distese di foglia marcita
    che cade in silenzio lasciando per sempre la vita...
    Rinchiudersi in casa a aspettare
    qualcuno o qualcosa da fare,
    qualcosa che mai si farà,
    qualcuno che sai non esiste e che non suonerà...
    Rinchiudersi in casa a contare
    le ore che fai scivolare
    pensando confuso al mistero
    dei tanti "io sarò" diventati per dempre "io ero"...
    Rinchiudersi in casa a guardare
    un libro, una foto, un giornale
    e ignorando quel rodere sordo
    che cambia "io faccio" e lo fa diventare "io ricordo"...
    La notte è di colpo calata,
    c'è un'oscurità perforata
    da un'auto che passa veloce
    lasciando soltanto al silenzio la buia sua voce...
    Rumore che appare e scompare,
    immagine crepuscolare
    del correre tuo senza scopo,
    del tempo che gioca con te come il gatto col topo...
    Le storie credute importanti
    si sbriciolano in pochi istanti:
    figure e impressioni passate
    si fanno lontane e lontana così è la tua estate...
    E vesti la notte incombente
    lasciando vagare la mente
    al niente temuto e aspettato
    sapendo che questo è il tuo autunno...
    che adesso è arrivato...






    E un giorno...


    E un giorno ti svegli stupita e di colpo ti accorgi
    che non sono più quei fantastici giorni all'asilo
    di giochi, di amici e se ti guardi attorno non scorgi
    le cose consuete, ma un vago e indistinto profilo...
    E un giorno cammini per strada e ad un tratto comprendi
    che non sei la stessa che andava al mattino alla scuola,
    che il mondo là fuori t'aspetta e tu quasi ti arrendi
    capendo che a battito a battito è l'età che s'invola...
    E tuo padre ti sembra più vecchio e ogni giorno si fa più lontano,
    non racconta più favole e ormai non ti prende per mano,
    sembra che non capisca i tuoi sogni sempre tesi fra realtà e sperare
    e sospesi fra voglie alternate di andare e restare...
    di andare e restare...
    E un giorno ripensi alla casa e non è più la stessa
    in cui lento il tempo sciupavi quand'eri bambina,
    in cui ogni oggetto era un simbolo ed una promessa
    di cose incredibili e di caffellatte in cucina...
    E la stanza coi poster sul muro ed i dischi graffiati
    persi in mezzo ai tuoi libri e regali che neanche ricordi,
    sembra quasi il racconto di tanti momenti passati
    come il piano studiato e lasciato anni fa su due accordi...
    E tuo padre ti sembra annoiato e ogni volta si fa più distratto,
    non inventa più giochi e con te sta perdendo il contatto...
    E tua madre lontana e presente sui tuoi sogni ha da fare e da dire,
    ma può darsi non riesca a sapere che sogni gestire...
    che sogni gestire...
    Poi un giorno in un libro o in un bar si farà tutto chiaro,
    capirai che altra gente si è fatta le stesse domande,
    che non c'è solo il dolce ad attenderti, ma molto d'amaro
    e non è senza un prezzo salato diventare grande...
    I tuoi dischi, i tuoi poster saranno per sempre scordati,
    lascerai sorridendo svanire i tuoi miti felici
    come oggetti di bimba, lontani ed impolverati,
    troverai nuove strade, altri scopi ed avrai nuovi amici...
    Sentirai che tuo padre ti è uguale, lo vedrai un po' folle, un po' saggio
    nello spendere sempre ugualmente paura e coraggio,
    la paura e il coraggio di vivere come un peso che ognuno ha portato,
    la paura e il coraggio di dire: " io ho sempre tentato,
    io ho sempre tentato... "






    Ho ancora la forza


    Ho ancora la forza che serve a camminare,
    picchiare ancora contro per non lasciarmi stare
    ho ancora quella forza che ti serve
    quando dici: "Si comincia !"
    E ho ancora la forza di guardarmi attorno
    mischiando le parole con due pacchetti al giorno,
    di farmi trovar lì da chi mi vuole
    sempre nella mia camicia...
    Abito sempre qui da me,
    in questa stessa strada che non sai mai se c'è
    e al mondo sono andato,
    dal mondo son tornato sempre vivo...
    Ho ancora la forza di starvi a raccontare
    le mie storie di sempre, di come posso amare,
    di tutti quegli sbagli che per un
    motivo o l'altro so rifare...
    E ho ancora la forza di chiedere anche scusa
    o di incazzarmi ancora con la coscienza offesa,
    di dirvi che comunque la mia parte
    ve la posso garantire...
    Abito sempre qui da me,
    in questa stessa strada che non sai mai se c'è
    nel mondo sono andato,
    dal mondo son tornato sempre vivo...
    Ho ancora la forza di non tirarmi indietro,
    di scegliermi la vita masticando ogni metro,
    di far la conta degli amici andati e dire:
    " Ci vediam più tardi ..."
    E ho ancora la forza di scegliere parole
    per gioco, per il gusto di potermi sfogare
    perché, che piaccia o no, è capitato
    che sia quello che so fare...
    Abito sempre qui da me,
    in questa stessa strada che non sai mai se c'è
    col mondo sono andato
    e col mondo son tornato sempre vivo...



    Edited by tomiva57 - 29/4/2012, 21:00
     
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  2. tomiva57
     
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    Inverno

    Le nove di sera, domenica sera d'inverno,
    fa freddo, c'è nebbia,
    in fondo alla strada s'è accesa l'insegna
    "Blue Garden: si balla ".
    Qualcuno ha già aperto le grandi vetrate d'ingresso,
    canterà Baby Silver,
    qualcuno giù in sala accenna sul piano un motivo di blues...
    Si veste un cameriere, è domenica sera,
    si annoda un orchestrale la cravatta in seta nera,
    e indossa il capo orchestra la giacca in lamè blu...
    Nel bar di luci e specchi col ghiaccio dentro ai secchi
    c' è un giovane invecchiato che non sorride più....
    Le dieci di sera, domenica sera d'inverno
    che gocciola fumo,
    ma dentro alla sala il caldo dimentica
    il resto del mondo...
    L'orchestra ha finito un brano dal ritmo latino,
    " Cuban cha-cha-cha "
    singhiozza il clarino seguendo il ricamo di note in " Stardust "...
    Bisogna divertirsi, è domenica sera,
    c'è da dimenticare la noia pesa e nera,
    c'è da dimenticare la favola che fu...
    Potere dire " vivo ! " sull'onda d'un motivo
    stringendosi una donna che non si vedrà più...
    E' l'una passata, domenica sera d'inverno,
    ormai lunedì,
    persone che sciamano macchiano il buio di risa
    e rimpianti,
    l'insegna violenta i visi che mordono freddo
    di atroce blu-neon,
    poi a un tratto si spegne e non resta che il suono dell'oscurità...
    C'è da ricominciare un'altra settimana
    strascinando nei giorni l'attesa quotidiana,
    scordando e stemperando la tua precarietà...
    La notte sale adagio, la strada è di un randagio
    che annusa i suoi fantasmi e abbaia alla città...






    Don Chisciotte


    [ Don Chisciotte ]

    Ho letto millanta storie di cavalieri erranti,
    di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti
    per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza
    come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza.
    Nel mondo oggi più di ieri domina l'ingiustizia,
    ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia;
    proprio per questo, Sancho, c'è bisogno soprattutto
    d'uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto:
    vammi a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso
    l'ho promesso alla mia bella, Dulcinea del Toboso,
    e a te Sancho io prometto che guadagnerai un castello,
    ma un rifiuto non l'accetto, forza sellami il cavallo !
    Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante
    e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante,
    colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte,
    com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte...

    [ Sancho Panza ]

    Questo folle non sta bene, ha bisogno di un dottore,
    contraddirlo non conviene, non è mai di buon umore...
    E' la più triste figura che sia apparsa sulla Terra,
    cavalier senza paura di una solitaria guerra
    cominciata per amore di una donna conosciuta
    dentro a una locanda a ore dove fa la prostituta,
    ma credendo di aver visto una vera principessa,
    lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa.
    E così da giorni abbiamo solo calci nel sedere,
    non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere
    e questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini
    proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini...
    E' un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello:
    io che sono più realista mi accontento di un castello.
    Mi farà Governatore e avrò terre in abbondanza,
    quant'è vero che anch'io ho un cuore e che mi chiamo Sancho Panza...

    [ Don Chisciotte ]

    Salta in piedi, Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora,
    solo i cinici e i codardi non si svegliano all'aurora:
    per i primi è indifferenza e disprezzo dei valori
    e per gli altri è riluttanza nei confronti dei doveri !
    L'ingiustizia non è il solo male che divora il mondo,
    anche l'anima dell'uomo ha toccato spesso il fondo,
    ma dobbiamo fare presto perché più che il tempo passa
    il nemico si fà d'ombra e s'ingarbuglia la matassa...

    [ Sancho Panza ]

    A proposito di questo farsi d'ombra delle cose,
    l'altro giorno quando ha visto quelle pecore indifese
    le ha attaccate come fossero un esercito di Mori,
    ma che alla fine ci mordessero oltre i cani anche i pastori
    era chiaro come il giorno, non è vero, mio Signore ?
    Io sarò un codardo e dormo, ma non sono un traditore,
    credo solo in quel che vedo e la realtà per me rimane
    il solo metro che possiedo, com'è vero... che ora ho fame !

    [ Don Chisciotte ]

    Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch'io un realista,
    ma ormai oggi me ne frego e, anche se ho una buona vista,
    l'apparenza delle cose come vedi non m'inganna,
    preferisco le sorprese di quest'anima tiranna
    che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti,
    ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti.
    Prima d'oggi mi annoiavo e volevo anche morire,
    ma ora sono un uomo nuovo che non teme di soffrire...

    [ Sancho Panza ]

    Mio Signore, io purtoppo sono un povero ignorante
    e del suo discorso astratto ci ho capito poco o niente,
    ma anche ammesso che il coraggio mi cancelli la pigrizia,
    riusciremo noi da soli a riportare la giustizia ?
    In un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre,
    dove regna il "capitale", oggi più spietatamente,
    riuscirà con questo brocco e questo inutile scudiero
    al "potere" dare scacco e salvare il mondo intero ?

    [ Don Chisciotte ]

    Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
    perchè il "male" ed il "potere" hanno un aspetto così tetro ?
    Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità,
    farmi umile e accettare che sia questa la realtà ?

    [ Insieme ]

    Il "potere" è l'immondizia della storia degli umani
    e, anche se siamo soltanto due romantici rottami,
    sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte:
    siamo i "Grandi della Mancha",
    Sancho Panza... e Don Chisciotte !





    Primavera

    La giapponese rise con i semi in mano
    poi, con un gesto lieve, in aria li gettò,
    al volo di piccioni che, planando piano,
    con remiganti aperte al suolo si allargò...
    La piazza di San Marco si fermò un istante,
    Firenze, in primavera, quasi scomparì
    e rimanesti solo, là, nell'inquietante
    primavera dei vent'anni che nell'anima fiorì...
    E andasti ad aspettarla con il cuore in gola
    e dentro un'emozione antica ti bruciò...
    Sciamavano ragazze fuori dalla scuola
    riempiendo quella strada che s'illuminò
    di voci, risa, grida, gioventù e richiami,
    ma la sua voce chiara il nome tuo chiamò:
    ti corse incontro accesa, ti afferrò le mani,
    vi guardaste silenziosi e poi forte ti abbracciò...
    E credevate che
    sarebbe stato eterno quell'amore,
    quel fiore non avrebbe mai visto l'inverno,
    quel giorno non sarebbe mai mutato in sera,
    per voi sarebbe stata sempre, sempre primavera...
    Adesso dove sei, bimba d'allora,
    con i tuoi sedici anni e il tuo sorriso ?
    Chissà se senti che ti pensa in questo autunno,
    che consuma ora piano
    anche il ricordo del tuo viso ?
    Ma i giovani s'illudono d'essere immortali
    e che ogni storia duri per l'eternità;
    non sanno quanti fili, trame occasionali,
    si tessono o svaniscono in casualità...
    Una stagione muore, un'altra prende il volo,
    sai quando inizia, non se e quando finirà,
    ma è bella l'illusione di un momento solo,
    quella luce che ti abbaglia, anche se si spegnerà...
    Ma allora, a pranzo in una trattoria,
    scrutando ansiosi il tempo che passava,
    poi un cinemino, persi in galleria,
    per qualche bacio che però bastava...
    Di corsa al treno per il tuo ritorno,
    l'ultimo bacio lungo il marciapiede:
    tanto veloce volò via quel giorno,
    poco quel tempo da passare assieme...
    Di ritornare forse le giurasti
    mentre era ferma, immobile nel pianto:
    parole perse, so che non tornasti
    da quella donna allora amata tanto...
    E tutto è solo un episodio, un giorno,
    un uscio chiuso che non si aprirà,
    una partenza che non ha ritorno
    come il tempo in questo autunno,
    che la nebbia scioglierà...
    ... ed io rimasi solo, là, nell'inquietante
    atmosfera dell'autunno, che quest'anima ferì....






    Addio

    Nell'anno '99 di nostra vita
    io, Francesco Guccini, eterno studente
    perché la materia di studio sarebbe infinita
    e soprattutto perché so di non sapere niente,
    io, chierico vagante, bandito di strada,
    io, non artista, solo piccolo baccelliere,
    perché, per colpa d'altri, vada come vada,
    a volte mi vergogno di fare il mio mestiere,
    io dico addio a tutte le vostre cazzate infinite,
    riflettori e paillettes delle televisioni,
    alle urla scomposte di politicanti professionisti,
    a quelle vostre glorie vuote da coglioni...
    E dico addio al mondo inventato del villaggio globale,
    alle diete per mantenersi in forma smagliante
    a chi parla sempre di un futuro trionfale
    e ad ogni impresa di questo secolo trionfante,
    alle magie di moda delle religioni orientali
    che da noi nascondono soltanto vuoti di pensiero,
    ai personaggi cicaleggianti dei talk-show
    che squittiscono ad ogni ora un nuovo "vero"
    alle futilità pettegole sui calciatori miliardari,
    alle loro modelle senza umanità
    alle sempiterne belle in gara sui calendari,
    a chi dimentica o ignora l'umiltà...
    Io, figlio d'una casalinga e di un impiegato,
    cresciuto fra i saggi ignoranti di montagna
    che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia,
    io, tirato su a castagne ed ad erba spagna,
    io, sempre un momento fa campagnolo inurbato,
    due soldi d'elementari ed uno d'università,
    ma sempre il pensiero a quel paese mai scordato
    dove ritrovo anche oggi quattro soldi di civiltà...
    Io dico addio a chi si nasconde con protervia dietro a un dito,
    a chi non sceglie, non prende parte, non si sbilancia
    o sceglie a caso per i tiramenti del momento
    curando però sempre di riempirsi la pancia
    e dico addio alle commedie tragiche dei sepolcri imbiancati,
    ai ceroni ed ai parrucchini per signore,
    alle lampade e tinture degli eterni non invecchiati,
    al mondo fatto di ruffiani e di puttane a ore,
    a chi si dichiara di sinistra e democratico
    però è amico di tutti perché non si sa mai,
    e poi anche chi è di destra ha i suoi pregi e gli è simpatico
    ed è anche fondamentalista per evitare guai
    a questo orizzonte di affaristi e d'imbroglioni
    fatto di nebbia, pieno di sembrare,
    ricolmo di nani, ballerine e canzoni,
    di lotterie, l'unica fede il cui sperare...
    Nell'anno '99 di nostra vita
    io, giullare da niente, ma indignato,
    anch'io qui canto con parola sfinita,
    con un ruggito che diventa belato,
    ma a te dedico queste parole da poco
    che sottendono solo un vizio antico
    sperando però che tu non le prenda come un gioco,
    tu, ipocrita uditore, mio simile...
    mio amico...



    Edited by tomiva57 - 29/4/2012, 19:46
     
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    Francesco Guccini Live
    Da Wikipedia

    live

    Francesco Guccini Live @ RTSI è un disco live registrato il 20 gennaio 1982 durante l'omonima trasmissione della televisione svizzera RTSI che, negli anni '80, realizzò una serie di puntate dedicate ai maggiori cantautori italiani.

    Guccini per l'occasione riprende i suoi pezzi storici tra cui La locomotiva, Dio è morto e Auschwitz, ma non rinuncia a proporre pezzi raramente eseguiti dal vivo (Canzone dei 12 mesi) e brani nuovi per l'epoca tratti da Metropolis. Il concerto è particolare proprio per la scelta delle canzoni e il luogo della performance.

    Di questo concerto esiste anche un dvd che risulta più completo del cd per acustica e perché contiene gli immancabili intermezzi di monologhi e battute che caratterizzano da sempre i concerti di Guccini.

    Tracce

    Canzone per un'amica
    Bologna
    Il vecchio e il bambino
    Dio è morto
    Canzone di notte n. 2
    Canzone del bambino nel vento
    Bisanzio
    Canzone dei 12 mesi
    Un altro giorno è andato
    La locomotiva



    ..clikka sul titolo per evidenziare i video



    Canzone per un'amica


    Lunga e diritta correva la strada
    l'auto veloce correva
    la dolce estate era già cominciata
    vicino lui sorrideva.
    Forte la mano teneva il volante
    forte il motore cantava
    non lo sapevi che c'era la morte
    quel giorno che ti aspettava.
    Non lo sapevi che c'era la morte
    quando si e' giovani e' strano
    poter pensare che la nostra sorte
    venga e ci prenda per mano.
    Non lo sapevi ma cosa hai pensato
    quando la strada e' impazzita
    quando la macchina e' uscita di lato
    e sopra a un'altra e' finita.
    Non lo sapevi ma cosa hai sentito
    quando lo schianto ti ha uccisa
    quando anche il cielo di sopra e' crollato
    quando la vita e' fuggita.
    Dopo il silenzio soltanto e' regnato
    tra le lamiere contorte
    sull'autostrada cercavi la vita
    ma ti ha incontrato la morte.
    Vorrei sapere a che cosa e' servito
    vivere amare e soffrire
    spendere tutti i tuoi giorni passati
    se presto hai dovuto partire.
    Voglio però ricordarti com'eri
    pensare che ancora vivi
    voglio pensare che ancora mi ascolti
    e che come allora sorridi.






    Canzone del bambino nel vento


    Son morto con altri cento
    Son morto ch'ero bambino
    Passato per il camino
    E adesso sono nel vento,
    E adesso sono nel vento.
    Ad Auschwitz c'era la neve
    Il fumo saliva lento
    Nel freddo giorno d'inverno
    E adesso sono nel vento,
    E adesso sono nel vento.
    Ad Auschwitz tante persone
    Ma un solo grande silenzio
    È strano, non riesco ancora
    A sorridere qui nel vento,
    A sorridere qui nel vento
    Io chiedo, come può un uomo
    Uccidere un suo fratello
    Eppure siamo a milioni
    In polvere qui nel vento,
    In polvere qui nel vento.
    Ancora tuona il cannone,
    Ancora non è contenta
    Di sangue la belva umana
    E ancora ci porta il vento,
    E ancora ci porta il vento.
    Io chiedo quando sarà
    Che l'uomo potrà imparare
    A vivere senza ammazzare
    E il vento si poserà,
    E il vento si poserà.
    Io chiedo quando sarà
    Che l'uomo potrà imparare
    A vivere senza ammazzare
    E il vento si poserà,
    E il vento si poserà.






    Dio è morto


    Ho visto
    la gente della mia età andare via
    lungo le strade che non portano mai a niente
    cercare il sogno che conduce alla pazzia
    nella ricerca di qualcosa che non trovano
    nel mondo che hanno già
    dentro le notti che dal vino son bagnate
    dentro le stanze da pastiglie trasformate
    dentro le nuvole di fumo
    nel mondo fatto di città
    essendo contro ed ingoiare
    la nostra stanca civiltà.
    È un Dio che è morto
    ai bordi delle strade, Dio è morto
    nelle auto prese a rate, Dio è morto
    nei miti dell'estate, Dio è morto.
    M'han detto
    che questa mia generazione ormai non crede
    in ciò che spesso han mascherato con la fede
    nei miti eterni della patria e dell'eroe
    perché è venuto ormai il momento di negare
    tutto ciò che è falsità
    le fedi fatti di abitudini e paura
    una politica che è solo far carriera
    il perbenismo interessato
    la dignità fatta di vuoto
    l'ipocrisia di chi sta sempre
    con la ragione e mai col torto.
    È un Dio che è morto
    nei campi di sterminio, Dio è morto
    coi miti della razza, Dio è morto
    con gli odi di partito, Dio è morto.
    Io penso
    che questa mia generazione è preparata
    a un mondo nuovo e a una speranza appena nata
    ad un futuro che ha già in mano,
    a una rivolta senza armi
    perché noi tutti ormai sappiamo
    che se Dio muore è per tre giorni
    e poi risorge.
    In ciò che noi crediamo Dio è risorto,
    in ciò che noi vogliamo Dio è risorto,
    nel mondo che faremo Dio è risorto!








    Venezia


    Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare,
    la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia, la vende ai turisti,
    che cercano in mezzo alla gente l' Europa o l' Oriente,
    che guardano alzarsi alla sera il fumo - o la rabbia - di Porto Marghera...
    Stefania era bella, Stefania non stava mai male,
    è morta di parto gridando in un letto sudato d' un grande ospedale;
    aveva vent' anni, un marito, e l' anello nel dito:
    mi han detto confusi i parenti che quasi il respiro inciampava nei denti...
    Venezia è un' albergo, San Marco è senz' altro anche il nome di una pizzeria,
    la gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra.
    Stefania d' estate giocava con me nelle vuote domeniche d' ozio.
    Mia madre parlava, sua madre vendeva Venezia in negozio.
    Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare,
    però non ti puoi risvegliare con l' acqua alla gola, e un dolore a livello del mare:
    il Doge ha cambiato di casa e per mille finestre
    c'è solo il vagito di un bimbo che è nato, c'è solo la sirena di Mestre...
    Stefania affondando, Stefania ha lasciato qualcosa:
    Novella Duemila e una rosa sul suo comodino, Stefania ha lasciato un bambino.
    Non so se ai parenti gli ha fatto davvero del male
    vederla morire ammazzata, morire da sola, in un grande ospedale...
    Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità:
    del resto del mondo non sai più una sega, Venezia è la gente che se ne frega!
    Stefania è un bambino, comprare o smerciare Venezia sarà il suo destino:
    può darsi che un giorno saremo contenti di esserne solo lontani parenti...









    Il vecchio e il bambino


    Un vecchio e un bambino si preser per mano
    e andarono insieme incontro alla sera;
    la polvere rossa si alzava lontano
    e il sole brillava di luce non vera...
    L' immensa pianura sembrava arrivare
    fin dove l'occhio di un uomo poteva guardare
    e tutto d' intorno non c'era nessuno:
    solo il tetro contorno di torri di fumo...
    I due camminavano, il giorno cadeva,
    il vecchio parlava e piano piangeva:
    con l' anima assente, con gli occhi bagnati,
    seguiva il ricordo di miti passati...
    I vecchi subiscon le ingiurie degli anni,
    non sanno distinguere il vero dai sogni,
    i vecchi non sanno, nel loro pensiero,
    distinguer nei sogni il falso dal vero...
    E il vecchio diceva, guardando lontano:
    "Immagina questo coperto di grano,
    immagina i frutti e immagina i fiori
    e pensa alle voci e pensa ai colori
    e in questa pianura, fin dove si perde,
    crescevano gli alberi e tutto era verde,
    cadeva la pioggia, segnavano i soli
    il ritmo dell' uomo e delle stagioni..."
    Il bimbo ristette, lo sguardo era triste,
    e gli occhi guardavano cose mai viste
    e poi disse al vecchio con voce sognante:
    "Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!"






    Canzone dei dodici mesi


    Viene Gennaio silenzioso e lieve, un fiume addormentato
    fra le cui rive giace come neve il mio corpo malato, il mio corpo malato...
    Sono distese lungo la pianura bianche file di campi,
    son come amanti dopo l'avventura neri alberi stanchi, neri alberi stanchi...
    Viene Febbraio, e il mondo è a capo chino, ma nei convitti e in piazza
    lascia i dolori e vesti da Arlecchino, il carnevale impazza, il carnevale impazza...
    L'inverno è lungo ancora, ma nel cuore appare la speranza
    nei primi giorni di malato sole la primavera danza, la primavera danza..
    Cantando Marzo porta le sue piogge, la nebbia squarcia il velo,
    porta la neve sciolta nelle rogge il riso del disgelo, il riso del disgelo...
    Riempi il bicchiere, e con l'inverno butta la penitenza vana,
    l'ala del tempo batte troppo in fretta, la guardi, è già lontana, la guardi, è già lontana...
    O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia.
    Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale,
    la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare.
    Con giorni lunghi al sonno dedicati il dolce Aprile viene,
    quali segreti scoprì in te il poeta che ti chiamò crudele, che ti chiamò crudele...
    Ma nei tuoi giorni è bello addormentarsi dopo fatto l'amore,
    come la terra dorme nella notte dopo un giorno di sole, dopo un giorno di sole...
    Ben venga Maggio e il gonfalone amico, ben venga primavera,
    il nuovo amore getti via l'antico nell' ombra della sera, nell' ombra della sera...
    Ben venga Maggio, ben venga la rosa che è dei poeti il fiore,
    mentre la canto con la mia chitarra brindo a Cenne e a Folgore, brindo a Cenne e a Folgore...
    Giugno, che sei maturità dell'anno, di te ringrazio Dio:
    in un tuo giorno, sotto al sole caldo, ci sono nato io, ci sono nato io...
    E con le messi che hai fra le tue mani ci porti il tuo tesoro,
    con le tue spighe doni all' uomo il pane, alle femmine l' oro, alle femmine l' oro...
    O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia.
    Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale,
    la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare...
    Con giorni lunghi di colori chiari ecco Luglio, il leone,
    riposa, bevi e il mondo attorno appare come in una visione, come in una visione...
    Non si lavora Agosto, nelle stanche tue lunghe oziose ore
    mai come adesso è bello inebriarsi di vino e di calore, di vino e di calore...
    Settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull' età,
    dopo l' estate porta il dono usato della perplessità, della perplessità...
    Ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità,
    come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità, le possibilità...
    Non so se tutti hanno capito Ottobre la tua grande bellezza:
    nei tini grassi come pance piene prepari mosto e ebbrezza, prepari mosto e ebbrezza...
    Lungo i miei monti, come uccelli tristi fuggono nubi pazze,
    lungo i miei monti colorati in rame fumano nubi basse, fumano nubi basse...
    O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia.
    Diverso tutti gli anni, e tutti gli anni uguale,
    la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare...
    Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti,
    lungo i giardini consacrati al pianto si festeggiano i morti, si festeggiano i morti...
    Cade la pioggia ed il tuo viso bagna di gocce di rugiada
    te pure, un giorno, cambierà la sorte in fango della strada, in fango della strada...
    E mi addormento come in un letargo, Dicembre, alle tue porte,
    lungo i tuoi giorni con la mente spargo tristi semi di morte, tristi semi di morte...
    Uomini e cose lasciano per terra esili ombre pigre,
    ma nei tuoi giorni dai profeti detti nasce Cristo la tigre, nasce Cristo la tigre...
    O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia.
    Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale,
    la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare
    che non sai mai giocare, che non sai mai giocare
    che non sai mai giocare, che non sai mai giocare...





    Bisanzio

    Anche questa sera la luna è sorta
    affogata in un colore troppo rosso e vago,
    Vespero non si vede, si è offuscata,
    la punta dello stilo si è spezzata.
    Che oroscopo puoi trarre questa sera, Mago?
    Io Filemazio, protomedico, matematico, astronomo, forse saggio,
    ridotto come un cieco a brancicare attorno,
    non ho la conoscenza od il coraggio
    per fare quest' oroscopo, per divinar responso,
    e resto qui a aspettare che ritorni giorno
    e devo dire, devo dire, che sono forse troppo vecchio per capire,
    che ho perso la mia mente in chissà quale abuso, od ozio,
    ma stan mutando gli astri nelle notti d' equinozio.
    O forse io, forse io, ho sottovalutato questo nuovo dio.
    Lo leggo in me e nei segni che qualcosa sta cambiando,
    ma è un debole presagio che non dice come e quando...
    Me ne andavo l' altra sera, quasi inconsciamente,
    giù al porto a Bosphoreion là dove si perde
    la terra dentro al mare fino quasi al niente
    e poi ritorna terra e non è più occidente:
    che importa a questo mare essere azzurro o verde?
    Sentivo i canti osceni degli avvinazzati,
    di gente dallo sguardo pitturato e vuoto...
    ippodromo, bordello e nordici soldati,
    Romani e Greci urlate dove siete andati...
    Sentivo bestemmiare in Alamanno e in Goto...
    Città assurda, città strana di questo imperatore sposo di puttana,
    di plebi smisurate, labirinti ed empietà,
    di barbari che forse sanno già la verità,
    di filosofi e di eteree, sospesa tra due mondi, e tra due ere...
    Fortuna e età han deciso per un giorno non lontano,
    o il fato chiederebbe che scegliesse la mia mano, ma...
    Bisanzio è forse solo un simbolo insondabile,
    segreto e ambiguo come questa vita,
    Bisanzio è un mito che non mi è consueto,
    Bisanzio è un sogno che si fa incompleto,
    Bisanzio forse non è mai esistita
    e ancora ignoro e un' altra notte è andata,
    Lucifero è già sorto, e si alza un po' di vento,
    c'è freddo sulla torre o è l' età mia malata,
    confondo vita e morte e non so chi è passata...
    mi copro col mantello il capo e più non sento,
    e mi addormento, mi addormento, mi addormento...





    Bologna

    Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po' molli
    col seno sul piano padano ed il culo sui colli,
    Bologna arrogante e papale, Bologna la rossa e fetale,
    Bologna la grassa e l' umana già un poco Romagna e in odor di Toscana...
    Bologna per me provinciale Parigi minore:
    mercati all' aperto, bistrots, della "rive gauche" l' odore
    con Sartre che pontificava, Baudelaire fra l' assenzio cantava
    ed io, modenese volgare, a sudarmi un amore, fosse pure ancillare.
    Però che Bohéme confortevole giocata fra casa e osterie
    quando a ogni bicchiere rimbalzano le filosofie...
    Oh quanto eravamo poetici, ma senza pudore e paura
    e i vecchi "imberiaghi" sembravano la letteratura...
    Oh quanto eravam tutti artistici, ma senza pudore o vergogna
    cullati fra i portici cosce di mamma Bologna...
    Bologna è una donna emiliana di zigomo forte,
    Bologna capace d' amore, capace di morte,
    che sa quel che conta e che vale, che sa dov' è il sugo del sale,
    che calcola il giusto la vita e che sa stare in piedi per quanto colpita...
    Bologna è una ricca signora che fu contadina:
    benessere, ville, gioielli... e salami in vetrina,
    che sa che l' odor di miseria da mandare giù è cosa seria
    e vuole sentirsi sicura con quello che ha addosso, perchè sa la paura.
    Lo sprechi il tuo odor di benessere però con lo strano binomio
    dei morti per sogni davanti al tuo Santo Petronio
    e i tuoi bolognesi, se esistono, ci sono od ormai si son persi
    confusi e legati a migliaia di mondi diversi?
    Oh quante parole ti cantano, cullando i cliché della gente,
    cantando canzoni che è come cantare di niente...
    Bologna è una strana signora, volgare matrona,
    Bologna bambina per bene, Bologna "busona",
    Bologna ombelico di tutto, mi spingi a un singhiozzo e ad un rutto,
    rimorso per quel che m' hai dato, che è quasi ricordo, e in odor di passato...





    Canzone di notte n.2


    E un' altra volta è notte e suono,
    non so nemmeno io per che motivo, forse perchè son vivo
    e voglio in questo modo dire "sono"
    o forse perchè è un modo pure questo per non andare a letto
    o forse perchè ancora c'è da bere
    e mi riempio il bicchiere..
    E l' eco si è smorzato appena
    delle risate fatte con gli amici, dei brindisi felici
    in cui ciascuno chiude la sua pena,
    in cui ciascuno non è come adesso da solo con sé stesso
    a dir "Dove ho mancato, dov'è stato?",
    a dir "Dove ho sbagliato?"
    Eppure fa piacere a sera
    andarsene per strade ed osterie, vino e malinconie,
    e due canzoni fatte alla leggera
    in cui gridando celi il desiderio che sian presi sul serio
    il fatto che sei triste o che t'annoi
    e tutti i dubbi tuoi...
    Ma i moralisti han chiuso i bar
    e le morali han chiuso i vostri cuori e spento i vostri ardori:
    è bello ritornar "normalità",
    è facile tornare con le tante stanche pecore bianche!
    Scusate, non mi lego a questa schiera:
    morrò pecora nera!
    Saranno cose già sentite
    o scritte sopra un metro un po' stantìo, ma intanto questo è mio
    e poi, voi queste cose non le dite,
    poi certo per chi non è abituato pensare è sconsigliato,
    poi è bene essere un poco diffidente
    per chi è un po' differente...
    Ma adesso avete voi il potere,
    adesso avete voi supremazia, diritto e Polizia,
    gli dei, i comandamenti ed il dovere,
    purtroppo, non so come, siete in tanti e molti qui davanti
    ignorano quel tarlo mai sincero
    che chiamano "Pensiero"...
    Però non siate preoccupati,
    noi siamo gente che finisce male: galera od ospedale!
    Gli anarchici li han sempre bastonati
    e il libertario è sempre controllato dal clero, dallo Stato:
    non scampa, fra chi veste da parata,
    chi veste una risata...
    O forse non è qui il problema
    e ognuno vive dentro ai suoi egoismi vestiti di sofismi
    e ognuno costruisce il suo sistema
    di piccoli rancori irrazionali, di cosmi personali,
    scordando che poi infine tutti avremo
    due metri di terreno...
    E un' altra volta è notte e suono,
    non so nemmeno io per che motivo, forse perchè son vivo
    o forse per sentirmi meno solo
    o forse perchè a notte vivon strani fantasmi e sogni vani
    che danno quell' ipocondria ben nota,
    poi... la bottiglia è vuota...






    Un altro giorno è andato


    E un altro giorno è andato, la sua musica ha finito,
    quanto tempo è ormai passato e passerà?
    Le orchestre di motori ne accompagnano i sospiri:
    l' oggi dove è andato l' ieri se ne andrà.
    Se guardi nelle tasche della sera
    ritrovi le ore che conosci già,
    ma il riso dei minuti cambia in pianto ormai
    e il tempo andato non ritroverai...
    Giornate senza senso, come un mare senza vento,
    come perle di collane di tristezza...
    Le porte dell'estate dall' inverno son bagnate:
    fugge un cane come la tua giovinezza.
    Negli angoli di casa cerchi il mondo,
    nei libri e nei poeti cerchi te,
    ma il tuo poeta muore e l' alba non vedrà
    e dove corra il tempo chi lo sa?
    Nel sole dei cortili i tuoi fantasmi giovanili
    corron dietro a delle Silvie beffeggianti,
    si è spenta la fontana, si è ossidata la campana:
    perchè adesso ridi al gioco degli amanti?
    Sei pronto per gettarti sulle strade,
    l' inutile bagaglio hai dentro in te,
    ma temi il sole e l' acqua prima o poi cadrà
    e il tempo andato non ritornerà...
    Professionisti acuti, fra i sorrisi ed i saluti,
    ironizzano i tuoi dubbi sulla vita,
    le madri dei tuoi amori sognan trepide dottori,
    ti rinfacciano una crisi non chiarita:
    la sfera di cristallo si è offuscata
    e l' aquilone tuo non vola più,
    nemmeno il dubbio resta nei pensieri tuoi
    e il tempo passa e fermalo se puoi...
    Se i giorni ti han chiamato tu hai risposto da svogliato,
    il sorriso degli specchi è già finito,
    nei vicoli e sui muri quel buffone che tu eri
    è rimasto solo a pianger divertito.
    Nel seme al vento afferri la fortuna,
    al rosso saggio chiedi i tuoi perchè,
    vorresti alzarti in cielo a urlare chi sei tu,
    ma il tempo passa e non ritorna più...
    E un altro giorno è andato, la sua musica ha finito,
    quanto tempo è ormai passato e passerà!
    Tu canti nella strada frasi a cui nessuno bada,
    il domani come tutto se ne andrà:
    ti guardi nelle mani e stringi il vuoto,
    se guardi nelle tasche troverai
    gli spiccioli che ieri non avevi, ma
    il tempo andato non ritornerà,
    il tempo andato non ritornerà,
    il tempo andato non ritornerà...





    La locomotiva


    Non so che viso avesse, neppure come si chiamava,
    con che voce parlasse, con quale voce poi cantava,
    quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli,
    ma nella fantasia ho l'immagine sua:
    gli eroi son tutti giovani e belli,
    gli eroi son tutti giovani e belli,
    gli eroi son tutti giovani e belli...
    Conosco invece l'epoca dei fatti, qual' era il suo mestiere:
    i primi anni del secolo, macchinista, ferroviere,
    i tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti
    sembrava il treno anch' esso un mito di progresso
    lanciato sopra i continenti,
    lanciato sopra i continenti,
    lanciato sopra i continenti...
    E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano
    che l'uomo dominava con il pensiero e con la mano:
    ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite,
    sembrava avesse dentro un potere tremendo,
    la stessa forza della dinamite,
    la stessa forza della dinamite,
    la stessa forza della dinamite..
    Ma un' altra grande forza spiegava allora le sue ali,
    parole che dicevano "gli uomini son tutti uguali"
    e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via
    la bomba proletaria e illuminava l' aria
    la fiaccola dell' anarchia,
    la fiaccola dell' anarchia,
    la fiaccola dell' anarchia...
    Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione,
    un treno di lusso, lontana destinazione:
    vedeva gente riverita, pensava a quei velluti, agli ori,
    pensava al magro giorno della sua gente attorno,
    pensava un treno pieno di signori,
    pensava un treno pieno di signori,
    pensava un treno pieno di signori...
    Non so che cosa accadde, perchè prese la decisione,
    forse una rabbia antica, generazioni senza nome
    che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore:
    dimenticò pietà, scordò la sua bontà,
    la bomba sua la macchina a vapore,
    la bomba sua la macchina a vapore,
    la bomba sua la macchina a vapore...
    E sul binario stava la locomotiva,
    la macchina pulsante sembrava fosse cosa viva,
    sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno
    mordesse la rotaia con muscoli d' acciaio,
    con forza cieca di baleno,
    con forza cieca di baleno,
    con forza cieca di baleno...
    E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo
    pensò che aveva il modo di riparare a qualche torto.
    Salì sul mostro che dormiva, cercò di mandar via la sua paura
    e prima di pensare a quel che stava a fare,
    il mostro divorava la pianura,
    il mostro divorava la pianura,
    il mostro divorava la pianura...
    Correva l' altro treno ignaro e quasi senza fretta,
    nessuno immaginava di andare verso la vendetta,
    ma alla stazione di Bologna arrivò la notizia in un baleno:
    "notizia di emergenza, agite con urgenza,
    un pazzo si è lanciato contro al treno,
    un pazzo si è lanciato contro al treno,
    un pazzo si è lanciato contro al treno..."
    Ma intanto corre, corre, corre la locomotiva
    e sibila il vapore e sembra quasi cosa viva
    e sembra dire ai contadini curvi il fischio che si spande in aria:
    "Fratello, non temere, che corro al mio dovere!
    Trionfi la giustizia proletaria!
    Trionfi la giustizia proletaria!
    Trionfi la giustizia proletaria!"
    E intanto corre corre corre sempre più forte
    e corre corre corre corre verso la morte
    e niente ormai può trattenere l' immensa forza distruttrice,
    aspetta sol lo schianto e poi che giunga il manto
    della grande consolatrice,
    della grande consolatrice,
    della grande consolatrice...
    La storia ci racconta come finì la corsa
    la macchina deviata lungo una linea morta...
    con l' ultimo suo grido d' animale la macchina eruttò lapilli e lava,
    esplose contro il cielo, poi il fumo sparse il velo:
    lo raccolsero che ancora respirava,
    lo raccolsero che ancora respirava,
    lo raccolsero che ancora respirava...
    Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore
    mentre fa correr via la macchina a vapore
    e che ci giunga un giorno ancora la notizia
    di una locomotiva, come una cosa viva,
    lanciata a bomba contro l' ingiustizia,
    lanciata a bomba contro l' ingiustizia,
    lanciata a bomba contro l' ingiustizia!



    Edited by tomiva57 - 29/4/2012, 19:43
     
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  4. tomiva57
     
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    Ritratti (Francesco Guccini)
    Da Wikipedia


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    Ritratti (2004) è il ventesimo album del cantautore italiano Francesco Guccini.




    Tracce

    Odysseus - 4:29
    Una canzone - 4:39
    Canzone per il Che - 5:14
    Piazza Alimonda - 5:53
    Vite - 5:38
    Cristoforo Colombo - 5:50
    Certo non sai - 4:28
    La żiatta (La tieta) - 5:48
    La tua libertà - 4:37

    Tutte le canzoni sono di Guccini ad eccezione di: Canzone per il Che (testo di Manuel Vázquez Montalbán e Francesco Guccini - musica di Juan Carlos Biondini), Cristoforo Colombo (testo di Francesco Guccini e Giuseppe Dati - musica di Giuseppe Dati e Marco Fontana), Certo non sai (testo di Francesco Guccini - musica di Antonio Marangolo), La żiatta (musica e testo originali di Joan Manuel Serrat - testo modenese di Francesco Guccini).



    Odysseus

    Il brano in questione è un pregevole gioco di citazioni letterarie, da Omero (Odissea) a Dante (Inferno, XXVI canto), passando per Foscolo ("L'isola Petrosa", da A Zacinto) ed altri meno noti.

    La capacità gucciniana sta nel restituire, tramite l'uso di questi materiali "scolastici" (ovvero studiati anche nelle scuole "dell'obbligo"), una figura viva, reale ed antieroica dello stesso paladino omerico, senza rinunciare a dipingerlo come un forzato amante di avventure.

    L'Ulisse di Guccini, inizialmente, si differenzia da quello dantesco per la mancanza di stimoli a cercare le avventure. Ma sono le avventure a cercar lui, sin dall'inizio ("Bisogna che lo affermi fortemente / che certo non appartenevo al mare / Anche se Dei d'Olimpo e umana gente / Mi sospinsero un giorno a navigare [...]"). In questo, ricorda un po' il Gulliver dei primi due libri dei Gulliver's Travels di Swift. Un uomo spinto a viaggiare, non viaggiatore nato. Allo stesso tempo, però, teso all'avventura come mezzo per scoprire una verità soprannaturale.

    Musicalmente la canzone riecheggia temi tipicamente mediterranei. Più importante è il testo della stessa. Oltre le citazioni, abbondano metafore e similitudini di rara eleganza e potenza. ("[...] Il sudore e la terra erano argenti, / il vino e l'olio erano i miei ori [...]" è un'ipotiposi di rara efficacia). Guccini ne fa, come lui, un montanaro, un contadino, ma che è spinto all'avventura, e – come uno scienziato – a "cercare" qualcosa ad ogni costo, fino all'estremo limite dello spazio conosciuto, ma anche del tempo, proprio grazie all'uomo cieco ("[...] Leggende perse nella notte / perenne di chi un giorno mi ha cantato [...]") che ne cantò le gesta, dandogli la possibilità di viaggiare oltre ogni luogo, sul volo "mistico" dei versi dell'Odissea.

    Piazza Alimonda

    Racconta il giorno del G8 di Genova, soffermandosi sulla morte del giovane manifestante Carlo Giuliani.

    Cristoforo Colombo

    Ritratto del navigatore genovese, delle sue speranza e del suo viaggio, fino alla scoperta dell'America. All'arrivo, però, ha come una visione profetica nella sua mente, e al posto di una "fiaccola di libertà" vede "torri di cristallo", tacchini nel Giorno del Ringraziamento, condannati a morte e aerei di guerra, e vorrebbe fuggire via. La delusione "americana" del Colombo gucciniano è quella provata dall'autore stesso, che cercava l'America della libertà e trovò la prigione federale di Canzone per Silvia.