Stagioni (2000) è il diciannovesimo album di Francesco Guccini.
Il disco
Questo è un disco sul passato o, se si vuole, sul tempo che passa, sul susseguirsi delle stagioni. Tra le quattro stagioni manca però l'estate. Guccini in un'intervista dice di aver tentato di scriverne una, ma non ne veniva fuori niente e allora ha lasciato perdere. Come ha detto nella stessa intervista: «L'estate è il tempo della spensieratezza, della dimenticanza. [...] "Stagioni" è un disco poco spensierato. Tristezza? C'è sempre stata, in ogni mio disco. Però, [...] non è mai resa. Può essere amarezza, delusione, sdegno ma non rinuncia. Il crepuscolarismo c'è in "Autunno", ma non c'è assolutamente in "Addio", che è una risposta a secco, decisa, chiara, anche violenta». Non è quindi un caso che Addio sembri quasi una prosecuzione ideale de L'avvelenata. Cambia il tono, meno personale (anche se è sempre il cantante a parlare in prima persona), cambia il testo, decisamente più fluido e maturo, ma resta una coerenza di fondo tra questi due momenti così distanti.
Le canzoni sono di Guccini ad eccezione di: Ho ancora la forza (testo di Luciano Ligabue e Francesco Guccini - musica di Luciano Ligabue), Don Chisciotte (testo di Giuseppe Dati e Francesco Guccini - musica di Giuseppe Dati e Goffredo Orlandi) e Primavera '59 (testo di Francesco Guccini - musica di Juan Carlos Biondini).
Le canzoni
Stagioni
Parla di Ernesto "Che" Guevara ed ha avuto una genesi abbastanza singolare. Guccini dice di aver scritto una strofa nel 1967 dopo aver saputo della morte del rivoluzionario argentino. Una sera, sul finire degli anni novanta, la canta - assieme ad altre canzoni mai incise - a casa di amici. E piace, molto. Poi, ad un suo concerto, vedendo dei ragazzi con la maglietta del Che decide di dedicare loro quella strofa: «è 'venuto giù' il Palasport. Tutti mi hanno detto che non sarebbe stato male finire la canzone. È stata dura: sono dovuto tornare indietro con un lungo flash-back, creando un parallelo tra quella generazione e questa (..) ho scritto questa canzone Perché sentivo il forte bisogno, in un momento in cui la sinistra è contestata e - soprattutto - contrastata, di riaffermare il mio credo (...) io sono di sinistra, non sono un reazionario, non mi sono arreso. Devo però ammettere che, se non fossi stato spinto, non avrei mai concluso Stagioni».[senza fonte] La canzone viene anche cantata nel film indiano Un'altra volta nella foresta (Abar Aranye, 2003) del regista Goutam Ghose.
E un giorno...
È una sorta di lettera per la figlia Teresa a cui, bambina, aveva dedicato la canzone Culodritto pubblicata in Signora Bovary. È un testo molto dolce, che parla della crescita della figlia, che oggi vede il mondo con gli occhi di un adulto, che vede il padre invecchiare...sino a quando, crescendo anche lei capirà che i sogni dei bambini, il loro modo di vedere il mondo, sono destinati ad essere travolti "dal molto d'amaro", e che il padre è sempre lo stesso, un po' folle ed un po' saggio, sconsideratamente ottimista.
Don Chisciotte
Don Chisciotte è la settima canzone del disco Stagioni di Francesco Guccini, uscito nel 2000.
Come risulta dal sito SIAE, è stata scritta con il titolo originale Don Chisciotte e Sancho Panza da Beppe Dati per il testo e da Goffredo Orlandi in collaborazione con Dati per la musica; con alcune piccole modifiche al testo effettuate da Guccini ai tempi di Cirano (nell'album D'amore di morte e di altre sciocchezze del 1996), il titolo è stato abbreviato in Don Chisciotte, ridepositato con l'aggiunta della firma del cantautore pavanate per il testo e con le edizioni musicali L'Alternativa/Uva Fragola.
Vuole essere una lettura dei tempi presenti sfruttando un personaggio del passato.
Il testo della canzone è un dialogo tra i due personaggi, in cui Don Chisciotte è cantato dallo stesso Guccini mentre Sancho Panza da Juan Carlos Biondini. Come il noto personaggio Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes Saavedra crede di poter cambiare il mondo e di mettere fine alle ingiustizie ed è seguito da Sancho Panza, molto più materialista.
recensioni: di avatar Fiz Fiz 16/04/2000
E lo capisci già dall'Intro che il Guccio è tornato, ed è uguale ma sempre diverso, come i giorni. Sai che è tornato il "frate", quello che non sai bene se ha davvero capito la vita oppure no, ma che è così dolce stare ad ascoltare mentre te la racconta. Davanti a quanti bicchieri di vino? Ognuno risponda per se.
E lo capisci già dall'Intro, e poi da lì strofa dopo strofa seguendo le altre 8 tracce, che il Guccio ha fatto uno dei suoi dischi. E ti viene da dirlo con gioia, uno dei suoi soliti dischi. Niente è cambiato e tiri un sospiro di sollievo, e ti si allarga il cuore, e ti si allenta anche se per pochi istanti quella tensione che ti sta stracciando le viscere. Perché allora qualcosa che dura, che non marcisce nel vortice impietoso del tempo, c'è. E non ti viene altro da fare che mettere quel dischetto rosso (che sublime scelta semantica) e lasciarti sprofondare nei tuoi paesaggi mentali di anni e stagioni passate, di "io sarò" diventati "io ero", di "storie credute importanti (che) si sbriciolano in pochi istanti".
E lo capisci già dall'Intro quindi, che ancora una volta troverai parole da mandare a memoria, lampi di verità, o piccole incrinature di un senso che non ne vuole sapere di farsi acciuffare. Già perché in fondo Guccini è questo: una certezza. E' il sapere di trovare quello che ti aspetti, sempre. Negli anni. Con una coerenza e una forza di volontà o un'ostinazione di carattere che ha del sovraumano. Con onestà.
E allora ce lo vai a cercare dentro a ogni disco quello che vuoi, come chi torna in un posto che ha lasciato, per andarsene un po' in giro a vedere com'è il mondo, che ritorna e va subito a controllare se tutto è ancora com'era.
E' ancora così.
C'è la famosa canzone su Ernesto Guevara. Che fa quasi tenerezza tanto è romantica e sentita. Messa nel mezzo alla barbara commercializzazione dell'icona "Che", questa Stagioni suona ancora più fresca e distante, quasi ingenua. Canzone scritta a furor di popolo ha detto il Guccio in un'intervista, scritta un tempo e poi tenuta lì. Aspettando il momento giusto? Chissà. "I compagni di un giorno o partiti o venduti". La mente torna alla figura di Janhus di quella drammatica Primavera di Praga o all' Eskimo che conoscevi tu. Lo stesso indomito mix di dolcezza e ribellione.
Autunno . C'è da aggiungere altro? Qualsiasi estimatore del Guccio conosce la precisa "sensazione" che impregna qualsiasi suo disco. La malinconia accompagnata a uno sguardo sfuocato ai tempi andati, come una tintura dell'anima, un velo leggero che ci accompagna. "ignorando quel rodere sordo che cambia "io faccio" in io "ricordo" ". Siamo dalle sommesse e crepuscolari parti di Canzone quasi d'amore o Non bisognerebbe per intenderci.
E un giorno, il tanto atteso e sperato seguito di Culodritto, dedicato alla figlia Teresa, ormai diventata grande, "sospesa tra voglia alternate di andare e restare" . Ora in grado forse di capire, o perlomeno non più accusare un padre che con orgoglio dichiara: "io ho sempre tentato". Ed è questa una delle canzoni più belle del disco, di una intensità e sincerità e lucidità che disarma. Giocata sul rapporto padre/figlia con tocco partecipe e delicato. Divento sdolcinato e retorico se dico che qualsiasi figlia vorrebbe sentirsi dire queste parole dal proprio padre? Lo dico: qualsiasi figlia vorrebbe sentirsi dire queste esatte parole dal proprio padre. Per una volta magari non steso davanti a qualche canale. (Una bella frecciatina velenosa alla di lei madre e un tempo moglie completa il tutto: "e tua madre lontana presente, sui tuoi sogni ha da fare e da dire").
Ho ancora la forza "che ti serve quando si dice "si comicia"". Perché se qualcosa finisce c'è sempre qualcos'altro pronto a dare il la per qualcosa di nuovo. Comunque sia, e comunque vada e comunque. E' sempre la stessa storia d'altronde, ma ripeterla (e sentirsela ripetere) non fa mai male, anzi. Alla fine "il resistere" è proprio quello. Avere ancora la forza. Già. Molto in stile Vedi cara.
Inverno '60. Notti perse tra le ballerine e il fumo di localacci squallidi di periferia. La domenica sera d'inverno. Molto swingata. In perfetto stile Le ragazze della notte . C'è il Guccio frequentatore di balere quasi cinico: "bisogna divertirsi (è domenica sera), c'è da dimenticare la noia pesa e nera".
Eroica, resistente, folle e giocosa. Da cantare a squarciagola è DonChisciotte . Poetica e picaresca come il romanzo di Cervantes a cui si ispira. Cantata a 2 voci dal DonChisciotte/Guccini e dal suo fedele scudiero Sancho Panza/Flaco. Le confessioni di "un testardo, un idealista, (che) troppi sogni ha nel cervello", che non si vergogna di confessare "c'è bisogno soprattutto di uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto". E allora via! Contro mulini a vento e pecore scambiate per Mori! Via all'azione! All'utopia! Forse è una bestemmia, ma a me ricorda per idealismo e ritmo e tensione La locomotiva .
Primavera '59. Te li vedi quasi, teneri e impacciati, indefiniti e sbilenchi, incerti nei gesti e nei meccanismi. E hanno la faccia di Andrea e Samantha, oppure di quei 2 di Lui e lei o i centomila tanti altri ragazzi innamorati che da decenni colorano le banchine delle stazioni coi loro baci e promesse e abbracci e saluti laceranti, lì a un passo dal partire per non tornare più. "Ma è bella l'illusione di un momento solo, quella luce che ti abbaglia, anche se si spegnerà".
Si chiude con Addio, e un po' fa senso sentirsi lasciarsi così. Si sa. Però lo si capisce che niente è finito davvero. Che c'è ancora tutta la rabbia e la forza per non starci, per non farsi annientare dalla mediocrità e dalla banalità dilagante. Dal vuoto scintillante di televisioni e calciatori, "riflettori e pailettes". Si riprende il filo bollente iniziato con la fu Avvelenata e poi a continuare, sempre con parole taglienti e refrattarie ad ogni concessione, in Nostra signora dell'ipocrisia e Cirano . C'è ancora tanto su cui sputare e indignarsi. Per fortuna.
E poi Chiudere gli occhi e tornare a bere in un'osteria di fuori porta con la ragazza ora in Pennsylvania mentre l'ubriaco canta e il gatto dorme sulla panca. Ti ricordi quei giorni ?
Si adonteranno, lo sappiamo, i seguaci del Santo Cantautore. Ma non saranno certo le brutte parole di un recensore cattivo (e certamente in malafede) a scalfire la luminosa figura di Padre Guccino. Facciano come niente fosse, come è giusto che sia: ognuno si infligge il male che preferisce. Certo il Santo ha ormai scelto di mettere il meglio di sé nei libri gialli o nella redazione di cronache epafaniche. Agli acquirenti dei suoi dischi, che chiedono soprattutto “tristezza che li avvolga come miele” - ovvero piagnistei in cui specchiare la propria autocommiserazione - solo questi riserva, corredati dell’immancabile, compiaciuto riferimento letterario (Cervantes), e della canzone didattica per i figli in kefiah degli adepti (persino Raf, in “Jamas”, era stato meno banale su Che Guevara). Il disco, appena uscito, è andato al n.1 in classifica. Quindi, come si diceva per Elvis, milioni di fans non possono sbagliare. E allora, sia: contenti i devoti, contenti tutti. Ma in attesa delle stimmate sulla Santa Barba e della proposta di Nobel per la Letteratura - avanzata da Veltroni - ci permettiamo di girare al largo con le gambe in spalla, e consigliare lo stesso ai non praticanti della Chiesa di Culodritto. Sempre che l’Inquisizione, che attende i vigliacchi che osano avanzare perplessità sull’Arte e Poesia del Sommo (chi dissente finisce nell’”Avvelenata”), ce lo consenta.
Postilla Ci conforta il pensiero che Padre Guccino in “Addio” confessi che “qualche volta si vergogna di fare il suo mestiere”. Sempre “per colpa di altri”, resta inteso - ma comunque è già qualcosina. Siamo commossi.
Recensione di: alex , (il 10 giugno 2005 )
"Io, Francesco Guccini, eterno studente, perché la materia di studio sarebbe infinita e soprattutto perché so di non sapere niente".
L'essenza del poeta in poche parole. Parole che sanno di umile consapevolezza della forza della propria semplicità. Trame di frasi immaginifiche al servizio di ricordi tanto forti quanto fragili. L'impegno coniugato all'amore per la propria terra, per i propri ideali. La rabbia che assurge al ruolo di diretto autore di testi quando sono proprio quegli stessi ricordi a prendere il sopravvento. Il coraggio di insistere proprio quando sembra che sia troppo.Conviene veramente fingere che si é fatto giorno quando del sole, invece, non ce n'é traccia? La sbuffante ripetitività di chi fa della verità il proprio credo e con esso il proprio motivo per tingere fogli bianchi di testi sognanti su strade di coscienze ipocrite non sempre all'altezza di ricevere l'allarme di una deriva dietro l'angolo. L'importanza di pensieri scoloriti dal tempo, stropicciati dal passaggio di così tante battaglie vinte e perse. Difficile credere alla sbalorditiva coerenza di parole pesanti come macigni scagliate su teste poco inclini alla comprensione. Un giorno questo sole tramonterà e non rimarrà altro che la polverosa ed ingiallita eredità, pervasa da sapiente silenzio, di un uomo capace di urlare senza fare il minimo rumore.
Stagioni
Quanto tempo è passato da quel giorno d'autunno di un ottobre avanzato, con il cielo già bruno, fra sessioni di esami, giorni persi in pigrizia, giovanili ciarpami, arrivò la notizia... Ci prese come un pugno, ci gelò di sconforto, sapere a brutto grugno che Guevara era morto: in quel giorno d'ottobre, in terra boliviana era tradito e perso Ernesto "Che" Guevara... Si offuscarono i libri, si rabbuiò la stanza, perché con lui era morta una nostra speranza: erano gli anni fatati di miti cantati e di contestazioni, erano i giorni passati a discutere e a tessere le belle illusioni... "Che" Guevara era morto, ma ognuno lo credeva che con noi il suo pensiero nel mondo rimaneva... "Che" Guevara era morto, ma ognuno lo credeva che con noi il suo pensiero nel mondo rimaneva... Passarono stagioni, ma continuammo ancora a mangiare illusioni e verità a ogni ora, anni di ogni scoperta, anni senza rimpianti: " Forza Compagni, all'erta, si deve andare avanti! " E avanti andammo sempre con le nostre bandiere e intonandole tutte quelle nostre chimere... In un giorno d'ottobre, in terra boliviana, con cento colpi è morto Ernesto "Che" Guevara... Il terzo mondo piange, ognuno adesso sa che "Che" Guevara è morto, mai più ritornerà, ma qualcosa cambiava, finirono i giorni di quelle emozioni e rialzaron la testa i nemici di sempre contro le ribellioni... "Che" Guevara era morto e ognuno lo capiva che un eroe si perdeva, che qualcosa finiva... "Che" Guevara era morto e ognuno lo capiva che un eroe si perdeva, che qualcosa finiva... E qualcosa negli anni terminò per davvero cozzando contro gli inganni del vivere giornaliero: i Compagni di un giorno o partiti o venduti, sembra si giri attorno a pochi sopravvissuti... Proprio per questo ora io vorrei ascoltare una voce che ancora incominci a cantare: In un giorno d'ottobre, in terra boliviana, con cento colpi è morto Ernesto "Che" Guevara... Il terzo mondo piange, ognuno adesso sa che "Che" Guevara è morto, forse non tornerà, ma voi reazionari tremate, non sono finite le rivoluzioni e voi, a decine, che usate parole diverse, le stesse prigioni, da qualche parte un giorno, dove non si saprà, dove non l'aspettate, il "Che" ritornerà, da qualche parte un giorno, dove non si saprà, dove non l'aspettate, il "Che" ritornerà !
Autunno
Un'oca che guazza nel fango, un cane che abbaia a comando, la pioggia che cade e non cade le nebbie striscianti che svelano e velano strade... Profilo degli alberi secchi, spezzarsi scrosciante di stecchi, sul monte, ogni tanto, gli spari e cadono urlando di morte gli animali ignari... L'autunno ti fa sonnolento, la luce del giorno è un momento che irrompe e veloce è svanita: metafora lucida di quello che è la nostra vita... L'autunno che sfuma i contorni consuma in un giorno più giorni, ti sembra sia un gioco indolente, ma rapido brucia giornate che appaiono lente... Odori di fumo e foschia, fanghiglia di periferia, distese di foglia marcita che cade in silenzio lasciando per sempre la vita... Rinchiudersi in casa a aspettare qualcuno o qualcosa da fare, qualcosa che mai si farà, qualcuno che sai non esiste e che non suonerà... Rinchiudersi in casa a contare le ore che fai scivolare pensando confuso al mistero dei tanti "io sarò" diventati per dempre "io ero"... Rinchiudersi in casa a guardare un libro, una foto, un giornale e ignorando quel rodere sordo che cambia "io faccio" e lo fa diventare "io ricordo"... La notte è di colpo calata, c'è un'oscurità perforata da un'auto che passa veloce lasciando soltanto al silenzio la buia sua voce... Rumore che appare e scompare, immagine crepuscolare del correre tuo senza scopo, del tempo che gioca con te come il gatto col topo... Le storie credute importanti si sbriciolano in pochi istanti: figure e impressioni passate si fanno lontane e lontana così è la tua estate... E vesti la notte incombente lasciando vagare la mente al niente temuto e aspettato sapendo che questo è il tuo autunno... che adesso è arrivato...
E un giorno...
E un giorno ti svegli stupita e di colpo ti accorgi che non sono più quei fantastici giorni all'asilo di giochi, di amici e se ti guardi attorno non scorgi le cose consuete, ma un vago e indistinto profilo... E un giorno cammini per strada e ad un tratto comprendi che non sei la stessa che andava al mattino alla scuola, che il mondo là fuori t'aspetta e tu quasi ti arrendi capendo che a battito a battito è l'età che s'invola... E tuo padre ti sembra più vecchio e ogni giorno si fa più lontano, non racconta più favole e ormai non ti prende per mano, sembra che non capisca i tuoi sogni sempre tesi fra realtà e sperare e sospesi fra voglie alternate di andare e restare... di andare e restare... E un giorno ripensi alla casa e non è più la stessa in cui lento il tempo sciupavi quand'eri bambina, in cui ogni oggetto era un simbolo ed una promessa di cose incredibili e di caffellatte in cucina... E la stanza coi poster sul muro ed i dischi graffiati persi in mezzo ai tuoi libri e regali che neanche ricordi, sembra quasi il racconto di tanti momenti passati come il piano studiato e lasciato anni fa su due accordi... E tuo padre ti sembra annoiato e ogni volta si fa più distratto, non inventa più giochi e con te sta perdendo il contatto... E tua madre lontana e presente sui tuoi sogni ha da fare e da dire, ma può darsi non riesca a sapere che sogni gestire... che sogni gestire... Poi un giorno in un libro o in un bar si farà tutto chiaro, capirai che altra gente si è fatta le stesse domande, che non c'è solo il dolce ad attenderti, ma molto d'amaro e non è senza un prezzo salato diventare grande... I tuoi dischi, i tuoi poster saranno per sempre scordati, lascerai sorridendo svanire i tuoi miti felici come oggetti di bimba, lontani ed impolverati, troverai nuove strade, altri scopi ed avrai nuovi amici... Sentirai che tuo padre ti è uguale, lo vedrai un po' folle, un po' saggio nello spendere sempre ugualmente paura e coraggio, la paura e il coraggio di vivere come un peso che ognuno ha portato, la paura e il coraggio di dire: " io ho sempre tentato, io ho sempre tentato... "
Ho ancora la forza
Ho ancora la forza che serve a camminare, picchiare ancora contro per non lasciarmi stare ho ancora quella forza che ti serve quando dici: "Si comincia !" E ho ancora la forza di guardarmi attorno mischiando le parole con due pacchetti al giorno, di farmi trovar lì da chi mi vuole sempre nella mia camicia... Abito sempre qui da me, in questa stessa strada che non sai mai se c'è e al mondo sono andato, dal mondo son tornato sempre vivo... Ho ancora la forza di starvi a raccontare le mie storie di sempre, di come posso amare, di tutti quegli sbagli che per un motivo o l'altro so rifare... E ho ancora la forza di chiedere anche scusa o di incazzarmi ancora con la coscienza offesa, di dirvi che comunque la mia parte ve la posso garantire... Abito sempre qui da me, in questa stessa strada che non sai mai se c'è nel mondo sono andato, dal mondo son tornato sempre vivo... Ho ancora la forza di non tirarmi indietro, di scegliermi la vita masticando ogni metro, di far la conta degli amici andati e dire: " Ci vediam più tardi ..." E ho ancora la forza di scegliere parole per gioco, per il gusto di potermi sfogare perché, che piaccia o no, è capitato che sia quello che so fare... Abito sempre qui da me, in questa stessa strada che non sai mai se c'è col mondo sono andato e col mondo son tornato sempre vivo...
Le nove di sera, domenica sera d'inverno, fa freddo, c'è nebbia, in fondo alla strada s'è accesa l'insegna "Blue Garden: si balla ". Qualcuno ha già aperto le grandi vetrate d'ingresso, canterà Baby Silver, qualcuno giù in sala accenna sul piano un motivo di blues... Si veste un cameriere, è domenica sera, si annoda un orchestrale la cravatta in seta nera, e indossa il capo orchestra la giacca in lamè blu... Nel bar di luci e specchi col ghiaccio dentro ai secchi c' è un giovane invecchiato che non sorride più.... Le dieci di sera, domenica sera d'inverno che gocciola fumo, ma dentro alla sala il caldo dimentica il resto del mondo... L'orchestra ha finito un brano dal ritmo latino, " Cuban cha-cha-cha " singhiozza il clarino seguendo il ricamo di note in " Stardust "... Bisogna divertirsi, è domenica sera, c'è da dimenticare la noia pesa e nera, c'è da dimenticare la favola che fu... Potere dire " vivo ! " sull'onda d'un motivo stringendosi una donna che non si vedrà più... E' l'una passata, domenica sera d'inverno, ormai lunedì, persone che sciamano macchiano il buio di risa e rimpianti, l'insegna violenta i visi che mordono freddo di atroce blu-neon, poi a un tratto si spegne e non resta che il suono dell'oscurità... C'è da ricominciare un'altra settimana strascinando nei giorni l'attesa quotidiana, scordando e stemperando la tua precarietà... La notte sale adagio, la strada è di un randagio che annusa i suoi fantasmi e abbaia alla città...
Don Chisciotte
[ Don Chisciotte ]
Ho letto millanta storie di cavalieri erranti, di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza. Nel mondo oggi più di ieri domina l'ingiustizia, ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia; proprio per questo, Sancho, c'è bisogno soprattutto d'uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto: vammi a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso l'ho promesso alla mia bella, Dulcinea del Toboso, e a te Sancho io prometto che guadagnerai un castello, ma un rifiuto non l'accetto, forza sellami il cavallo ! Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante, colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte, com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte...
[ Sancho Panza ]
Questo folle non sta bene, ha bisogno di un dottore, contraddirlo non conviene, non è mai di buon umore... E' la più triste figura che sia apparsa sulla Terra, cavalier senza paura di una solitaria guerra cominciata per amore di una donna conosciuta dentro a una locanda a ore dove fa la prostituta, ma credendo di aver visto una vera principessa, lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa. E così da giorni abbiamo solo calci nel sedere, non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere e questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini... E' un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello: io che sono più realista mi accontento di un castello. Mi farà Governatore e avrò terre in abbondanza, quant'è vero che anch'io ho un cuore e che mi chiamo Sancho Panza...
[ Don Chisciotte ]
Salta in piedi, Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora, solo i cinici e i codardi non si svegliano all'aurora: per i primi è indifferenza e disprezzo dei valori e per gli altri è riluttanza nei confronti dei doveri ! L'ingiustizia non è il solo male che divora il mondo, anche l'anima dell'uomo ha toccato spesso il fondo, ma dobbiamo fare presto perché più che il tempo passa il nemico si fà d'ombra e s'ingarbuglia la matassa...
[ Sancho Panza ]
A proposito di questo farsi d'ombra delle cose, l'altro giorno quando ha visto quelle pecore indifese le ha attaccate come fossero un esercito di Mori, ma che alla fine ci mordessero oltre i cani anche i pastori era chiaro come il giorno, non è vero, mio Signore ? Io sarò un codardo e dormo, ma non sono un traditore, credo solo in quel che vedo e la realtà per me rimane il solo metro che possiedo, com'è vero... che ora ho fame !
[ Don Chisciotte ]
Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch'io un realista, ma ormai oggi me ne frego e, anche se ho una buona vista, l'apparenza delle cose come vedi non m'inganna, preferisco le sorprese di quest'anima tiranna che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti, ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti. Prima d'oggi mi annoiavo e volevo anche morire, ma ora sono un uomo nuovo che non teme di soffrire...
[ Sancho Panza ]
Mio Signore, io purtoppo sono un povero ignorante e del suo discorso astratto ci ho capito poco o niente, ma anche ammesso che il coraggio mi cancelli la pigrizia, riusciremo noi da soli a riportare la giustizia ? In un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre, dove regna il "capitale", oggi più spietatamente, riuscirà con questo brocco e questo inutile scudiero al "potere" dare scacco e salvare il mondo intero ?
[ Don Chisciotte ]
Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro perchè il "male" ed il "potere" hanno un aspetto così tetro ? Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità, farmi umile e accettare che sia questa la realtà ?
[ Insieme ]
Il "potere" è l'immondizia della storia degli umani e, anche se siamo soltanto due romantici rottami, sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte: siamo i "Grandi della Mancha", Sancho Panza... e Don Chisciotte !
Primavera
La giapponese rise con i semi in mano poi, con un gesto lieve, in aria li gettò, al volo di piccioni che, planando piano, con remiganti aperte al suolo si allargò... La piazza di San Marco si fermò un istante, Firenze, in primavera, quasi scomparì e rimanesti solo, là, nell'inquietante primavera dei vent'anni che nell'anima fiorì... E andasti ad aspettarla con il cuore in gola e dentro un'emozione antica ti bruciò... Sciamavano ragazze fuori dalla scuola riempiendo quella strada che s'illuminò di voci, risa, grida, gioventù e richiami, ma la sua voce chiara il nome tuo chiamò: ti corse incontro accesa, ti afferrò le mani, vi guardaste silenziosi e poi forte ti abbracciò... E credevate che sarebbe stato eterno quell'amore, quel fiore non avrebbe mai visto l'inverno, quel giorno non sarebbe mai mutato in sera, per voi sarebbe stata sempre, sempre primavera... Adesso dove sei, bimba d'allora, con i tuoi sedici anni e il tuo sorriso ? Chissà se senti che ti pensa in questo autunno, che consuma ora piano anche il ricordo del tuo viso ? Ma i giovani s'illudono d'essere immortali e che ogni storia duri per l'eternità; non sanno quanti fili, trame occasionali, si tessono o svaniscono in casualità... Una stagione muore, un'altra prende il volo, sai quando inizia, non se e quando finirà, ma è bella l'illusione di un momento solo, quella luce che ti abbaglia, anche se si spegnerà... Ma allora, a pranzo in una trattoria, scrutando ansiosi il tempo che passava, poi un cinemino, persi in galleria, per qualche bacio che però bastava... Di corsa al treno per il tuo ritorno, l'ultimo bacio lungo il marciapiede: tanto veloce volò via quel giorno, poco quel tempo da passare assieme... Di ritornare forse le giurasti mentre era ferma, immobile nel pianto: parole perse, so che non tornasti da quella donna allora amata tanto... E tutto è solo un episodio, un giorno, un uscio chiuso che non si aprirà, una partenza che non ha ritorno come il tempo in questo autunno, che la nebbia scioglierà... ... ed io rimasi solo, là, nell'inquietante atmosfera dell'autunno, che quest'anima ferì....
Addio
Nell'anno '99 di nostra vita io, Francesco Guccini, eterno studente perché la materia di studio sarebbe infinita e soprattutto perché so di non sapere niente, io, chierico vagante, bandito di strada, io, non artista, solo piccolo baccelliere, perché, per colpa d'altri, vada come vada, a volte mi vergogno di fare il mio mestiere, io dico addio a tutte le vostre cazzate infinite, riflettori e paillettes delle televisioni, alle urla scomposte di politicanti professionisti, a quelle vostre glorie vuote da coglioni... E dico addio al mondo inventato del villaggio globale, alle diete per mantenersi in forma smagliante a chi parla sempre di un futuro trionfale e ad ogni impresa di questo secolo trionfante, alle magie di moda delle religioni orientali che da noi nascondono soltanto vuoti di pensiero, ai personaggi cicaleggianti dei talk-show che squittiscono ad ogni ora un nuovo "vero" alle futilità pettegole sui calciatori miliardari, alle loro modelle senza umanità alle sempiterne belle in gara sui calendari, a chi dimentica o ignora l'umiltà... Io, figlio d'una casalinga e di un impiegato, cresciuto fra i saggi ignoranti di montagna che sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia, io, tirato su a castagne ed ad erba spagna, io, sempre un momento fa campagnolo inurbato, due soldi d'elementari ed uno d'università, ma sempre il pensiero a quel paese mai scordato dove ritrovo anche oggi quattro soldi di civiltà... Io dico addio a chi si nasconde con protervia dietro a un dito, a chi non sceglie, non prende parte, non si sbilancia o sceglie a caso per i tiramenti del momento curando però sempre di riempirsi la pancia e dico addio alle commedie tragiche dei sepolcri imbiancati, ai ceroni ed ai parrucchini per signore, alle lampade e tinture degli eterni non invecchiati, al mondo fatto di ruffiani e di puttane a ore, a chi si dichiara di sinistra e democratico però è amico di tutti perché non si sa mai, e poi anche chi è di destra ha i suoi pregi e gli è simpatico ed è anche fondamentalista per evitare guai a questo orizzonte di affaristi e d'imbroglioni fatto di nebbia, pieno di sembrare, ricolmo di nani, ballerine e canzoni, di lotterie, l'unica fede il cui sperare... Nell'anno '99 di nostra vita io, giullare da niente, ma indignato, anch'io qui canto con parola sfinita, con un ruggito che diventa belato, ma a te dedico queste parole da poco che sottendono solo un vizio antico sperando però che tu non le prenda come un gioco, tu, ipocrita uditore, mio simile... mio amico...
Francesco Guccini Live @ RTSI è un disco live registrato il 20 gennaio 1982 durante l'omonima trasmissione della televisione svizzera RTSI che, negli anni '80, realizzò una serie di puntate dedicate ai maggiori cantautori italiani.
Guccini per l'occasione riprende i suoi pezzi storici tra cui La locomotiva, Dio è morto e Auschwitz, ma non rinuncia a proporre pezzi raramente eseguiti dal vivo (Canzone dei 12 mesi) e brani nuovi per l'epoca tratti da Metropolis. Il concerto è particolare proprio per la scelta delle canzoni e il luogo della performance.
Di questo concerto esiste anche un dvd che risulta più completo del cd per acustica e perché contiene gli immancabili intermezzi di monologhi e battute che caratterizzano da sempre i concerti di Guccini.
Lunga e diritta correva la strada l'auto veloce correva la dolce estate era già cominciata vicino lui sorrideva. Forte la mano teneva il volante forte il motore cantava non lo sapevi che c'era la morte quel giorno che ti aspettava. Non lo sapevi che c'era la morte quando si e' giovani e' strano poter pensare che la nostra sorte venga e ci prenda per mano. Non lo sapevi ma cosa hai pensato quando la strada e' impazzita quando la macchina e' uscita di lato e sopra a un'altra e' finita. Non lo sapevi ma cosa hai sentito quando lo schianto ti ha uccisa quando anche il cielo di sopra e' crollato quando la vita e' fuggita. Dopo il silenzio soltanto e' regnato tra le lamiere contorte sull'autostrada cercavi la vita ma ti ha incontrato la morte. Vorrei sapere a che cosa e' servito vivere amare e soffrire spendere tutti i tuoi giorni passati se presto hai dovuto partire. Voglio però ricordarti com'eri pensare che ancora vivi voglio pensare che ancora mi ascolti e che come allora sorridi.
Canzone del bambino nel vento
Son morto con altri cento Son morto ch'ero bambino Passato per il camino E adesso sono nel vento, E adesso sono nel vento. Ad Auschwitz c'era la neve Il fumo saliva lento Nel freddo giorno d'inverno E adesso sono nel vento, E adesso sono nel vento. Ad Auschwitz tante persone Ma un solo grande silenzio È strano, non riesco ancora A sorridere qui nel vento, A sorridere qui nel vento Io chiedo, come può un uomo Uccidere un suo fratello Eppure siamo a milioni In polvere qui nel vento, In polvere qui nel vento. Ancora tuona il cannone, Ancora non è contenta Di sangue la belva umana E ancora ci porta il vento, E ancora ci porta il vento. Io chiedo quando sarà Che l'uomo potrà imparare A vivere senza ammazzare E il vento si poserà, E il vento si poserà. Io chiedo quando sarà Che l'uomo potrà imparare A vivere senza ammazzare E il vento si poserà, E il vento si poserà.
Dio è morto
Ho visto la gente della mia età andare via lungo le strade che non portano mai a niente cercare il sogno che conduce alla pazzia nella ricerca di qualcosa che non trovano nel mondo che hanno già dentro le notti che dal vino son bagnate dentro le stanze da pastiglie trasformate dentro le nuvole di fumo nel mondo fatto di città essendo contro ed ingoiare la nostra stanca civiltà. È un Dio che è morto ai bordi delle strade, Dio è morto nelle auto prese a rate, Dio è morto nei miti dell'estate, Dio è morto. M'han detto che questa mia generazione ormai non crede in ciò che spesso han mascherato con la fede nei miti eterni della patria e dell'eroe perché è venuto ormai il momento di negare tutto ciò che è falsità le fedi fatti di abitudini e paura una politica che è solo far carriera il perbenismo interessato la dignità fatta di vuoto l'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto. È un Dio che è morto nei campi di sterminio, Dio è morto coi miti della razza, Dio è morto con gli odi di partito, Dio è morto. Io penso che questa mia generazione è preparata a un mondo nuovo e a una speranza appena nata ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge. In ciò che noi crediamo Dio è risorto, in ciò che noi vogliamo Dio è risorto, nel mondo che faremo Dio è risorto!
Venezia
Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare, la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia, la vende ai turisti, che cercano in mezzo alla gente l' Europa o l' Oriente, che guardano alzarsi alla sera il fumo - o la rabbia - di Porto Marghera... Stefania era bella, Stefania non stava mai male, è morta di parto gridando in un letto sudato d' un grande ospedale; aveva vent' anni, un marito, e l' anello nel dito: mi han detto confusi i parenti che quasi il respiro inciampava nei denti... Venezia è un' albergo, San Marco è senz' altro anche il nome di una pizzeria, la gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra. Stefania d' estate giocava con me nelle vuote domeniche d' ozio. Mia madre parlava, sua madre vendeva Venezia in negozio. Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare, però non ti puoi risvegliare con l' acqua alla gola, e un dolore a livello del mare: il Doge ha cambiato di casa e per mille finestre c'è solo il vagito di un bimbo che è nato, c'è solo la sirena di Mestre... Stefania affondando, Stefania ha lasciato qualcosa: Novella Duemila e una rosa sul suo comodino, Stefania ha lasciato un bambino. Non so se ai parenti gli ha fatto davvero del male vederla morire ammazzata, morire da sola, in un grande ospedale... Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità: del resto del mondo non sai più una sega, Venezia è la gente che se ne frega! Stefania è un bambino, comprare o smerciare Venezia sarà il suo destino: può darsi che un giorno saremo contenti di esserne solo lontani parenti...
Il vecchio e il bambino
Un vecchio e un bambino si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera; la polvere rossa si alzava lontano e il sole brillava di luce non vera... L' immensa pianura sembrava arrivare fin dove l'occhio di un uomo poteva guardare e tutto d' intorno non c'era nessuno: solo il tetro contorno di torri di fumo... I due camminavano, il giorno cadeva, il vecchio parlava e piano piangeva: con l' anima assente, con gli occhi bagnati, seguiva il ricordo di miti passati... I vecchi subiscon le ingiurie degli anni, non sanno distinguere il vero dai sogni, i vecchi non sanno, nel loro pensiero, distinguer nei sogni il falso dal vero... E il vecchio diceva, guardando lontano: "Immagina questo coperto di grano, immagina i frutti e immagina i fiori e pensa alle voci e pensa ai colori e in questa pianura, fin dove si perde, crescevano gli alberi e tutto era verde, cadeva la pioggia, segnavano i soli il ritmo dell' uomo e delle stagioni..." Il bimbo ristette, lo sguardo era triste, e gli occhi guardavano cose mai viste e poi disse al vecchio con voce sognante: "Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!"
Canzone dei dodici mesi
Viene Gennaio silenzioso e lieve, un fiume addormentato fra le cui rive giace come neve il mio corpo malato, il mio corpo malato... Sono distese lungo la pianura bianche file di campi, son come amanti dopo l'avventura neri alberi stanchi, neri alberi stanchi... Viene Febbraio, e il mondo è a capo chino, ma nei convitti e in piazza lascia i dolori e vesti da Arlecchino, il carnevale impazza, il carnevale impazza... L'inverno è lungo ancora, ma nel cuore appare la speranza nei primi giorni di malato sole la primavera danza, la primavera danza.. Cantando Marzo porta le sue piogge, la nebbia squarcia il velo, porta la neve sciolta nelle rogge il riso del disgelo, il riso del disgelo... Riempi il bicchiere, e con l'inverno butta la penitenza vana, l'ala del tempo batte troppo in fretta, la guardi, è già lontana, la guardi, è già lontana... O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia. Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale, la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare. Con giorni lunghi al sonno dedicati il dolce Aprile viene, quali segreti scoprì in te il poeta che ti chiamò crudele, che ti chiamò crudele... Ma nei tuoi giorni è bello addormentarsi dopo fatto l'amore, come la terra dorme nella notte dopo un giorno di sole, dopo un giorno di sole... Ben venga Maggio e il gonfalone amico, ben venga primavera, il nuovo amore getti via l'antico nell' ombra della sera, nell' ombra della sera... Ben venga Maggio, ben venga la rosa che è dei poeti il fiore, mentre la canto con la mia chitarra brindo a Cenne e a Folgore, brindo a Cenne e a Folgore... Giugno, che sei maturità dell'anno, di te ringrazio Dio: in un tuo giorno, sotto al sole caldo, ci sono nato io, ci sono nato io... E con le messi che hai fra le tue mani ci porti il tuo tesoro, con le tue spighe doni all' uomo il pane, alle femmine l' oro, alle femmine l' oro... O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia. Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale, la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare... Con giorni lunghi di colori chiari ecco Luglio, il leone, riposa, bevi e il mondo attorno appare come in una visione, come in una visione... Non si lavora Agosto, nelle stanche tue lunghe oziose ore mai come adesso è bello inebriarsi di vino e di calore, di vino e di calore... Settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull' età, dopo l' estate porta il dono usato della perplessità, della perplessità... Ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità, come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità, le possibilità... Non so se tutti hanno capito Ottobre la tua grande bellezza: nei tini grassi come pance piene prepari mosto e ebbrezza, prepari mosto e ebbrezza... Lungo i miei monti, come uccelli tristi fuggono nubi pazze, lungo i miei monti colorati in rame fumano nubi basse, fumano nubi basse... O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia. Diverso tutti gli anni, e tutti gli anni uguale, la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare... Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti, lungo i giardini consacrati al pianto si festeggiano i morti, si festeggiano i morti... Cade la pioggia ed il tuo viso bagna di gocce di rugiada te pure, un giorno, cambierà la sorte in fango della strada, in fango della strada... E mi addormento come in un letargo, Dicembre, alle tue porte, lungo i tuoi giorni con la mente spargo tristi semi di morte, tristi semi di morte... Uomini e cose lasciano per terra esili ombre pigre, ma nei tuoi giorni dai profeti detti nasce Cristo la tigre, nasce Cristo la tigre... O giorni, o mesi che andate sempre via, sempre simile a voi è questa vita mia. Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale, la mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare che non sai mai giocare, che non sai mai giocare che non sai mai giocare, che non sai mai giocare...
Bisanzio
Anche questa sera la luna è sorta affogata in un colore troppo rosso e vago, Vespero non si vede, si è offuscata, la punta dello stilo si è spezzata. Che oroscopo puoi trarre questa sera, Mago? Io Filemazio, protomedico, matematico, astronomo, forse saggio, ridotto come un cieco a brancicare attorno, non ho la conoscenza od il coraggio per fare quest' oroscopo, per divinar responso, e resto qui a aspettare che ritorni giorno e devo dire, devo dire, che sono forse troppo vecchio per capire, che ho perso la mia mente in chissà quale abuso, od ozio, ma stan mutando gli astri nelle notti d' equinozio. O forse io, forse io, ho sottovalutato questo nuovo dio. Lo leggo in me e nei segni che qualcosa sta cambiando, ma è un debole presagio che non dice come e quando... Me ne andavo l' altra sera, quasi inconsciamente, giù al porto a Bosphoreion là dove si perde la terra dentro al mare fino quasi al niente e poi ritorna terra e non è più occidente: che importa a questo mare essere azzurro o verde? Sentivo i canti osceni degli avvinazzati, di gente dallo sguardo pitturato e vuoto... ippodromo, bordello e nordici soldati, Romani e Greci urlate dove siete andati... Sentivo bestemmiare in Alamanno e in Goto... Città assurda, città strana di questo imperatore sposo di puttana, di plebi smisurate, labirinti ed empietà, di barbari che forse sanno già la verità, di filosofi e di eteree, sospesa tra due mondi, e tra due ere... Fortuna e età han deciso per un giorno non lontano, o il fato chiederebbe che scegliesse la mia mano, ma... Bisanzio è forse solo un simbolo insondabile, segreto e ambiguo come questa vita, Bisanzio è un mito che non mi è consueto, Bisanzio è un sogno che si fa incompleto, Bisanzio forse non è mai esistita e ancora ignoro e un' altra notte è andata, Lucifero è già sorto, e si alza un po' di vento, c'è freddo sulla torre o è l' età mia malata, confondo vita e morte e non so chi è passata... mi copro col mantello il capo e più non sento, e mi addormento, mi addormento, mi addormento...
Bologna
Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po' molli col seno sul piano padano ed il culo sui colli, Bologna arrogante e papale, Bologna la rossa e fetale, Bologna la grassa e l' umana già un poco Romagna e in odor di Toscana... Bologna per me provinciale Parigi minore: mercati all' aperto, bistrots, della "rive gauche" l' odore con Sartre che pontificava, Baudelaire fra l' assenzio cantava ed io, modenese volgare, a sudarmi un amore, fosse pure ancillare. Però che Bohéme confortevole giocata fra casa e osterie quando a ogni bicchiere rimbalzano le filosofie... Oh quanto eravamo poetici, ma senza pudore e paura e i vecchi "imberiaghi" sembravano la letteratura... Oh quanto eravam tutti artistici, ma senza pudore o vergogna cullati fra i portici cosce di mamma Bologna... Bologna è una donna emiliana di zigomo forte, Bologna capace d' amore, capace di morte, che sa quel che conta e che vale, che sa dov' è il sugo del sale, che calcola il giusto la vita e che sa stare in piedi per quanto colpita... Bologna è una ricca signora che fu contadina: benessere, ville, gioielli... e salami in vetrina, che sa che l' odor di miseria da mandare giù è cosa seria e vuole sentirsi sicura con quello che ha addosso, perchè sa la paura. Lo sprechi il tuo odor di benessere però con lo strano binomio dei morti per sogni davanti al tuo Santo Petronio e i tuoi bolognesi, se esistono, ci sono od ormai si son persi confusi e legati a migliaia di mondi diversi? Oh quante parole ti cantano, cullando i cliché della gente, cantando canzoni che è come cantare di niente... Bologna è una strana signora, volgare matrona, Bologna bambina per bene, Bologna "busona", Bologna ombelico di tutto, mi spingi a un singhiozzo e ad un rutto, rimorso per quel che m' hai dato, che è quasi ricordo, e in odor di passato...
Canzone di notte n.2
E un' altra volta è notte e suono, non so nemmeno io per che motivo, forse perchè son vivo e voglio in questo modo dire "sono" o forse perchè è un modo pure questo per non andare a letto o forse perchè ancora c'è da bere e mi riempio il bicchiere.. E l' eco si è smorzato appena delle risate fatte con gli amici, dei brindisi felici in cui ciascuno chiude la sua pena, in cui ciascuno non è come adesso da solo con sé stesso a dir "Dove ho mancato, dov'è stato?", a dir "Dove ho sbagliato?" Eppure fa piacere a sera andarsene per strade ed osterie, vino e malinconie, e due canzoni fatte alla leggera in cui gridando celi il desiderio che sian presi sul serio il fatto che sei triste o che t'annoi e tutti i dubbi tuoi... Ma i moralisti han chiuso i bar e le morali han chiuso i vostri cuori e spento i vostri ardori: è bello ritornar "normalità", è facile tornare con le tante stanche pecore bianche! Scusate, non mi lego a questa schiera: morrò pecora nera! Saranno cose già sentite o scritte sopra un metro un po' stantìo, ma intanto questo è mio e poi, voi queste cose non le dite, poi certo per chi non è abituato pensare è sconsigliato, poi è bene essere un poco diffidente per chi è un po' differente... Ma adesso avete voi il potere, adesso avete voi supremazia, diritto e Polizia, gli dei, i comandamenti ed il dovere, purtroppo, non so come, siete in tanti e molti qui davanti ignorano quel tarlo mai sincero che chiamano "Pensiero"... Però non siate preoccupati, noi siamo gente che finisce male: galera od ospedale! Gli anarchici li han sempre bastonati e il libertario è sempre controllato dal clero, dallo Stato: non scampa, fra chi veste da parata, chi veste una risata... O forse non è qui il problema e ognuno vive dentro ai suoi egoismi vestiti di sofismi e ognuno costruisce il suo sistema di piccoli rancori irrazionali, di cosmi personali, scordando che poi infine tutti avremo due metri di terreno... E un' altra volta è notte e suono, non so nemmeno io per che motivo, forse perchè son vivo o forse per sentirmi meno solo o forse perchè a notte vivon strani fantasmi e sogni vani che danno quell' ipocondria ben nota, poi... la bottiglia è vuota...
Un altro giorno è andato
E un altro giorno è andato, la sua musica ha finito, quanto tempo è ormai passato e passerà? Le orchestre di motori ne accompagnano i sospiri: l' oggi dove è andato l' ieri se ne andrà. Se guardi nelle tasche della sera ritrovi le ore che conosci già, ma il riso dei minuti cambia in pianto ormai e il tempo andato non ritroverai... Giornate senza senso, come un mare senza vento, come perle di collane di tristezza... Le porte dell'estate dall' inverno son bagnate: fugge un cane come la tua giovinezza. Negli angoli di casa cerchi il mondo, nei libri e nei poeti cerchi te, ma il tuo poeta muore e l' alba non vedrà e dove corra il tempo chi lo sa? Nel sole dei cortili i tuoi fantasmi giovanili corron dietro a delle Silvie beffeggianti, si è spenta la fontana, si è ossidata la campana: perchè adesso ridi al gioco degli amanti? Sei pronto per gettarti sulle strade, l' inutile bagaglio hai dentro in te, ma temi il sole e l' acqua prima o poi cadrà e il tempo andato non ritornerà... Professionisti acuti, fra i sorrisi ed i saluti, ironizzano i tuoi dubbi sulla vita, le madri dei tuoi amori sognan trepide dottori, ti rinfacciano una crisi non chiarita: la sfera di cristallo si è offuscata e l' aquilone tuo non vola più, nemmeno il dubbio resta nei pensieri tuoi e il tempo passa e fermalo se puoi... Se i giorni ti han chiamato tu hai risposto da svogliato, il sorriso degli specchi è già finito, nei vicoli e sui muri quel buffone che tu eri è rimasto solo a pianger divertito. Nel seme al vento afferri la fortuna, al rosso saggio chiedi i tuoi perchè, vorresti alzarti in cielo a urlare chi sei tu, ma il tempo passa e non ritorna più... E un altro giorno è andato, la sua musica ha finito, quanto tempo è ormai passato e passerà! Tu canti nella strada frasi a cui nessuno bada, il domani come tutto se ne andrà: ti guardi nelle mani e stringi il vuoto, se guardi nelle tasche troverai gli spiccioli che ieri non avevi, ma il tempo andato non ritornerà, il tempo andato non ritornerà, il tempo andato non ritornerà...
La locomotiva
Non so che viso avesse, neppure come si chiamava, con che voce parlasse, con quale voce poi cantava, quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli, ma nella fantasia ho l'immagine sua: gli eroi son tutti giovani e belli, gli eroi son tutti giovani e belli, gli eroi son tutti giovani e belli... Conosco invece l'epoca dei fatti, qual' era il suo mestiere: i primi anni del secolo, macchinista, ferroviere, i tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti sembrava il treno anch' esso un mito di progresso lanciato sopra i continenti, lanciato sopra i continenti, lanciato sopra i continenti... E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano che l'uomo dominava con il pensiero e con la mano: ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite, sembrava avesse dentro un potere tremendo, la stessa forza della dinamite, la stessa forza della dinamite, la stessa forza della dinamite.. Ma un' altra grande forza spiegava allora le sue ali, parole che dicevano "gli uomini son tutti uguali" e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via la bomba proletaria e illuminava l' aria la fiaccola dell' anarchia, la fiaccola dell' anarchia, la fiaccola dell' anarchia... Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione, un treno di lusso, lontana destinazione: vedeva gente riverita, pensava a quei velluti, agli ori, pensava al magro giorno della sua gente attorno, pensava un treno pieno di signori, pensava un treno pieno di signori, pensava un treno pieno di signori... Non so che cosa accadde, perchè prese la decisione, forse una rabbia antica, generazioni senza nome che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore: dimenticò pietà, scordò la sua bontà, la bomba sua la macchina a vapore, la bomba sua la macchina a vapore, la bomba sua la macchina a vapore... E sul binario stava la locomotiva, la macchina pulsante sembrava fosse cosa viva, sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno mordesse la rotaia con muscoli d' acciaio, con forza cieca di baleno, con forza cieca di baleno, con forza cieca di baleno... E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo pensò che aveva il modo di riparare a qualche torto. Salì sul mostro che dormiva, cercò di mandar via la sua paura e prima di pensare a quel che stava a fare, il mostro divorava la pianura, il mostro divorava la pianura, il mostro divorava la pianura... Correva l' altro treno ignaro e quasi senza fretta, nessuno immaginava di andare verso la vendetta, ma alla stazione di Bologna arrivò la notizia in un baleno: "notizia di emergenza, agite con urgenza, un pazzo si è lanciato contro al treno, un pazzo si è lanciato contro al treno, un pazzo si è lanciato contro al treno..." Ma intanto corre, corre, corre la locomotiva e sibila il vapore e sembra quasi cosa viva e sembra dire ai contadini curvi il fischio che si spande in aria: "Fratello, non temere, che corro al mio dovere! Trionfi la giustizia proletaria! Trionfi la giustizia proletaria! Trionfi la giustizia proletaria!" E intanto corre corre corre sempre più forte e corre corre corre corre verso la morte e niente ormai può trattenere l' immensa forza distruttrice, aspetta sol lo schianto e poi che giunga il manto della grande consolatrice, della grande consolatrice, della grande consolatrice... La storia ci racconta come finì la corsa la macchina deviata lungo una linea morta... con l' ultimo suo grido d' animale la macchina eruttò lapilli e lava, esplose contro il cielo, poi il fumo sparse il velo: lo raccolsero che ancora respirava, lo raccolsero che ancora respirava, lo raccolsero che ancora respirava... Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore mentre fa correr via la macchina a vapore e che ci giunga un giorno ancora la notizia di una locomotiva, come una cosa viva, lanciata a bomba contro l' ingiustizia, lanciata a bomba contro l' ingiustizia, lanciata a bomba contro l' ingiustizia!
Ritratti (2004) è il ventesimo album del cantautore italiano Francesco Guccini.
Tracce
Odysseus - 4:29 Una canzone - 4:39 Canzone per il Che - 5:14 Piazza Alimonda - 5:53 Vite - 5:38 Cristoforo Colombo - 5:50 Certo non sai - 4:28 La żiatta (La tieta) - 5:48 La tua libertà - 4:37
Tutte le canzoni sono di Guccini ad eccezione di: Canzone per il Che (testo di Manuel Vázquez Montalbán e Francesco Guccini - musica di Juan Carlos Biondini), Cristoforo Colombo (testo di Francesco Guccini e Giuseppe Dati - musica di Giuseppe Dati e Marco Fontana), Certo non sai (testo di Francesco Guccini - musica di Antonio Marangolo), La żiatta (musica e testo originali di Joan Manuel Serrat - testo modenese di Francesco Guccini).
Odysseus
Il brano in questione è un pregevole gioco di citazioni letterarie, da Omero (Odissea) a Dante (Inferno, XXVI canto), passando per Foscolo ("L'isola Petrosa", da A Zacinto) ed altri meno noti.
La capacità gucciniana sta nel restituire, tramite l'uso di questi materiali "scolastici" (ovvero studiati anche nelle scuole "dell'obbligo"), una figura viva, reale ed antieroica dello stesso paladino omerico, senza rinunciare a dipingerlo come un forzato amante di avventure.
L'Ulisse di Guccini, inizialmente, si differenzia da quello dantesco per la mancanza di stimoli a cercare le avventure. Ma sono le avventure a cercar lui, sin dall'inizio ("Bisogna che lo affermi fortemente / che certo non appartenevo al mare / Anche se Dei d'Olimpo e umana gente / Mi sospinsero un giorno a navigare [...]"). In questo, ricorda un po' il Gulliver dei primi due libri dei Gulliver's Travels di Swift. Un uomo spinto a viaggiare, non viaggiatore nato. Allo stesso tempo, però, teso all'avventura come mezzo per scoprire una verità soprannaturale.
Musicalmente la canzone riecheggia temi tipicamente mediterranei. Più importante è il testo della stessa. Oltre le citazioni, abbondano metafore e similitudini di rara eleganza e potenza. ("[...] Il sudore e la terra erano argenti, / il vino e l'olio erano i miei ori [...]" è un'ipotiposi di rara efficacia). Guccini ne fa, come lui, un montanaro, un contadino, ma che è spinto all'avventura, e – come uno scienziato – a "cercare" qualcosa ad ogni costo, fino all'estremo limite dello spazio conosciuto, ma anche del tempo, proprio grazie all'uomo cieco ("[...] Leggende perse nella notte / perenne di chi un giorno mi ha cantato [...]") che ne cantò le gesta, dandogli la possibilità di viaggiare oltre ogni luogo, sul volo "mistico" dei versi dell'Odissea.
Piazza Alimonda
Racconta il giorno del G8 di Genova, soffermandosi sulla morte del giovane manifestante Carlo Giuliani.
Cristoforo Colombo
Ritratto del navigatore genovese, delle sue speranza e del suo viaggio, fino alla scoperta dell'America. All'arrivo, però, ha come una visione profetica nella sua mente, e al posto di una "fiaccola di libertà" vede "torri di cristallo", tacchini nel Giorno del Ringraziamento, condannati a morte e aerei di guerra, e vorrebbe fuggire via. La delusione "americana" del Colombo gucciniano è quella provata dall'autore stesso, che cercava l'America della libertà e trovò la prigione federale di Canzone per Silvia.
Mi affascina il mistero delle vite che si dipanano lungo la scacchiera di giorni e strade, foto scolorite memoria di vent’anni o di una sera. E mi coinvolge l’eterno gocciolare e il tempo sopra il viso di un passante e il chiedermi se nei suoi occhi appare l’insulto di una morte o di un’amante, la rete misteriosa dei rapporti che lega coi suoi fili evanescenti la giostra eterna di ragioni o torti il rintocco scaglioso dei momenti, il mondo visto con gli occhi asfaltati rincorrendo il balletto delle ore noi che sappiamo dove siamo nati ma non sapremo mai dove si muore.
Mi piace rovistare nei ricordi di altre persone, inverni o primavere per perdere o trovare dei raccordi nell’apparente caos di un rigattiere: quadri per cui qualcuno è stato in posa, un cannocchiale che ha guardato un punto, un mappamondo, due bijou, una rosa, ciarpame un tempo bello e ora consunto, pensare chi può averli adoperati, cercare una risposta alla sciarada del perché sono stati abbandonati come un cane lasciato sulla strada. Oggetti che qualcuno ha forse amato ora giacciono lì, senza un padrone, senza funzione, senza storia o stato, nell’intreccio di caso o di ragione.
E la mia vita cade in altra vita ed io mi sento solamente un punto lungo la retta lucida e infinita di un meccanismo immobile e presunto. Tu sei quelli che son venuti prima che in parte hai conosciuto, e quelli dopo che non conoscerai, come una rima vibrante e bella, però senza scopo. E’ inutile cercare una risposta, sai che non ce ne sono e allora tenti un bussare distratto a quella porta che si chiuse soltanto ai sentimenti. Non saprai e non sai. Questo dolore che vagli fra le magli di un tuo cribro svanisce un po’ nel contemplare un fiore si scorda fra le pagine di un libro.
Perché non si fa a meno di altre vite anche rubate a pagine che sfogli oziosamente, e ambiguo le hai assorbite da fantasmi inventati che tu spogli rivestendoti in loro piano piano come se ti scoprissi in uno specchio L’Uomo a Dublino, o l?ultimo Mohicano che ai 25 si sentiva vecchio. E percorriamo strade non più usate figurando chi un giorno ci passava e scrutiamo le case abbandonate chiedendoci che vite le abitava, perché la nostra è sufficiente appena ne mescoliamo inconsciamente il senso; siamo gli attori ingenui di un palcoscenico misterioso e immenso
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Cristoforo Colombo
E’ gia stanco di vagabondare sotto un cielo sfibrato per quel regno affacciato sul mare che dai Mori è insidiato e di terra ne ha avuta abbastanza, non di vele e di prua, perché ha trovato una strada di stelle nel cielo dell’anima sua. Se lo sente, non può più fallire, scoprirà un nuovo mondo; quell’attesa lo lascia impaurito di toccare già il fondo. Non gli manca il coraggio o la forza per vivere quella follia e anche senza equipaggio, anche fosse un miraggio ormai salperà via.
E la Spagna di spada e di croce riconquista Granata, con chitarre gitane e flamenco fa suonare ogni strada; Isabella è la grande regina del Guadalquivir ma come lui è una donna convinta che il mondo non pùo finir lì,. Ha la mente già tesa all’impresa sull’oceano profondo, caravelle e una ciurma ha concesso, per quel viaggio tremendo, per cercare di un mondo lontano ed incerto che non sa se ci sia ma è già l’alba e sul molo l’abbraccia una raffica di nostalgia. E naviga, naviga via verso un mondo impensabile ancora da ogni teoria e naviga, naviga via, nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria.
E’ da un mese che naviga a vuoto quell’Atlantico amaro, ma continua a puntare l’ignoto con lo sguardo corsaro; sarà forse un’assurda battaglia ma ignorare non puoi che l’Assurdo ci sfida per spingerci ad essere fieri di noi. Quante volte ha sfidato il destino aggrappato ad un legno, senza patria bestemmi in latino prendi il bere d'impegno, per fortuna che il vino non manca e trasforma la vigliaccheria di una ciurma ribelle e già stanca, in un’isola di compagnia.
E naviga, naviga via, sulla prua che s’impenna violenta lasciando una scia, naviga, naviga via nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria.
Non si era sentito mai solo come in quel momento ma ha imparato dal vivere in mare a non darsi per vinto; andrà a sbattere in quell’orizzonte, se una terra non c’è, grida: “Fuori sul ponte compagni dovete fidarvi di me!” Anche se non accenna a spezzarsi quel tramonto di vetro, ma li aspettano fame e rimorso se tornassero indietro, proprio adesso che manca un respiro per giungere alla verità, a quel mondo che ha forse per faro una fiaccola di libertà.
E naviga, naviga là come prima di nascere l’anima naviga già, naviga, naviga ma quell’oceano è di sogni e di sabbia poi si alza un sipario di nebbia e come un circo illusorio s’illumina l’America.
Dove il sogno dell’oro ha creato mendicanti di un senso che galleggiano vacui nel vuoto affamati d’immenso. Là babeliche torri di cristallo già più alte del cielo fan subire al tuo cuore uno stallo come a un Icaro in volo Dove da una prigione a una luna d’amianto “l’uomo morto cammina” dove il Giorno del Ringraziamento il tacchino in cucina e mentre sciami assordanti d’aerei circondano di ragnatele quell’inutile America amara leva l’ancora e alza le vele.
E naviga, naviga via più lontano possibile da quell’assordante bugia naviga, naviga via nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria
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Certo non sai
Certo non sai quanto sei dolce e bela quando dormi coi tuoi capelli sparsi e abbandonati sul cuscino neri e lucenti, come degli stormi di corvi in volo chiaro del mattino. Certo non so che cosa puoi sognare quando sogni e appare solo appena un lieve affanno nel respiro che ti esce piano e si mescola coi suoni di questa notte che si consuma in giro. E sulla tua fronte gocce di sudore; io vorrei asciugarle, io vorrei parlarti, dirti cose vane ma c’è in me il timore di spezzarti il sonno, forse di svegliarti. Forse non sai quando sia felice nel vederti addormentata e persa accanto a me, stesa vicino; quanto sia bello il gioco dell’averti in sogno verso chissà quale destino.
Certo non sai quanto mi commuovi quando dici parole strane e quasi senza senso a mezza voce, forse ricordi di attimi felici persi in un atomo onirico veloce. Certo non so con cosa o chi sorride quel sorriso; dicon con gli angeli ma il nostro cielo è quello umano, un lampo breve che dà luce al viso accarezzato da questa mia mano. Questa breve notte lenta si frantuma ed il nuovo giorno piano sta arrivando, già sull’est albeggia, non c’è più la luna; sveglia ti alzi e chiedi: “Cosa stai guardando?” Forse non sai quando di sonno e di notte sei bagnata quanto ti ami e quanto siano vuote le parole; chiedo: “Che sogni ti hanno accompagnata?” e fuori il giorno esplode al nuovo sole
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La Ziatta
A la desterà al veint con un colp al persian l’è acsè lèrgh al sòo let e i linzòo fradd e grand tòt dò i oc’ mez e srèe zercherà n’ètra man sèinza catèr nisun come aièr, come edman Al so stèr da per lèe l’è un sò amigh da tant’an ch’a l’ ch’gnass tòtt i sòo quèl fin al pighi dla man; la scultarà al gnulèr d’un gat vec’ e castrèe ch’a gh’ dòrm inzèmma a i znoc d’invèren tòtt al dè. Un breviari apugièe in vatta a la tulatta e un gaz d’acqua trincèe quand a s’lèva la żiatta
Un spec’ vec’ e incrinèe a gh’arcurdarà pian come al tiemp l’è pasèe come in vulèe via i an, e gl’insaggni dl’etèe per al stridi i s’ sèn pèrs, quanti rughi ch’a gh’è e i oc’ come i èn divèrs. L’a gh’ butarà un suris la purtinèra ed ca’ per l’urgói cg’ a gh’la lèe perché a gh’ fa bèin i fat; tòtt i dè fèr l’istass ciapèr al filibùs per badèr ai tragatt d’un avuchèe nèe stóff, cun al quèl an andrèe l’aviva fat la “stratta” ma tant tèimp l’è pasèe ch’a n s’arcorda la żiatta.
Lèe ch’l’ha sèimpr in piò un piat quand ariva Nadèl, lèe ch’la ‘n vòl mai nisun se un dè, a chès, l’a s’ sèint mèl, lèe ch’l’a ‘n gh’ha gnanca un fióo sol quall ed sóo fradel, lèe ch’l dis: “L’a ‘n va mel!” Ch’l’a dis: “A fagh tant bè!” E la dmanga del Pèlmi la cumprarà a sòo anvod un bel ram longh d’uliv e un pèr ed calzatt nóv e po’ in cesa tótt dóo i faran come al pret e i pregherai Gesó ch’a l’va a Gerusalem; po’ a gh’ darà soquant franch de mattr’ind ‘na casatta perché a s’ dèv risparmièr com la fa lèe, żiatta.
E un dè a s’gh’ha da murir com’ piò o meno i fan tótt, cun ‘na frèva da gnint l’andrà in cal póst tant brótt; l’avrà bele paghe un prèt ch’a s’sèint a póst, la casa, al funerèl e la Massa di mort, E i fior ch’i andrai andrèe al sóo trèst suplimèint i èn cal cosi che pass a l’ se scorda la zèint; a gh’ resterà po’ i fior e i drap negher e zal e dedrèe un vec’ amigh scuvèrt un mumèint fa e un santèin a l’ dirà ch’l’è morta n’ètra sciatta; ch’l’arpóunsa in pès, amen, e scurdaramm la żiatta
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La tua libertà
Oltre le mura della città un orizzonte insegue un orizzonte; a un’autostrada, un’altra seguirà, gli spazi sono fatti per andare; la tua libertà, se vuoi, la puoi trovare. E un uomo saggio regole farà, una prigione fatta di parole; i carcerieri di una società ti impediranno di cercare il sole; la tua libertà, se vuoi, la puoi avere.
Fossi un uccello alto nel cielo potrei volare senza aver padroni; se fossi un fiume potrei andare rompendo gli argini nelle mie alluvioni
E boschi e boschi cerco attorno a me dov’è la terra che non ha barriere? dov’è quel vento che ci spingerà come le vele o le bandiere; la tua libertà se vuoi la puoi avere. Fossi un uccello alto nel cielo potrei volare senza aver padroni; se fossi un fiume potrei andare rompendo gli argini nelle mie alluvioni
Ma sono un uomo uno fra milioni e come gli altri ho il peso della vita e la mia strada lungo le stagioni può essere breve, ma può essere infinita; la tua libertà cercala, che si è smarrita. cercala, che si è smarrita
Anfiteatro Live è un doppio album dal vivo e il primo DVD del cantautore italiano Francesco Guccini, pubblicato il 30 settembre 2005 dall'etichetta discografica EMI.
Il DVD contiene la registrazione dell'intero concerto tenuto dal cantautore all'Anfiteatro romano di Cagliari il 4 settembre 2004. Sono inoltre presenti, come contenuti speciali, il backstage girato durante le prove del concerto e quattro video di altrettante canzoni: Dio è morto, Quello che non..., Canzone delle domande consuete e Lettera.
Tracce
CD 1
Canzone per un'amica Una canzone Odysseus Cristoforo Colombo Farewell Scirocco La żiatta Autogrill Certo non sai
CD 2
Shomèr, ma mi-llailah? Il vecchio e il bambino Cirano Auschwitz Canzone per il Che Piazza Alimonda Dio è morto La locomotiva
Francesco Guccini Anfiteatro live recensione
07/11/2005 | di Luca Meneghel
Nella sua lunga carriera Francesco Guccini ci ha abituati a diversi dischi live: lo storico “Album Concerto” con i Nomadi del 1979, “Fra la via Emilia e il West” del 1984 (che cattura un grandissimo concerto bolognese) e “Guccini live Collection” del 1998 (una sorta di the best of con pezzi live presi qua e là), dischi ai quali possiamo aggiungere il concerto tenuto per la tv svizzera pubblicato recentemente in dvd e cd audio (“Live @ RTSI”, esibizione risalente al Gennaio 1982). Giunto al termine il lungo tour promozionale dell’ultimo bel disco in studio, “Ritratti” (2004), Francesco decide ora di immortalare l’ultima serie di concerti con “Anfiteatro Live”, doppio cd e dvd registrati il 4 settembre 2004 a Cagliari, nella prima parte della tournèe di “Ritratti”. Partiamo dalla musica, rimandando a più tardi le considerazioni. I due cd non lesinano i grandi classici, immancabili in ogni data di Guccini, come “Autogrill” (un po’ sottotono), “Canzone per un’Amica”, “Farewell”, “Scirocco” (una bella sorpresa) e giù fino alla fine con gli evergreen “Il Vecchio e il Bambino”, “Cirano” (si impapina, ma è il bello della diretta), “Auschwitz” (grandissima resa sonora ed emozionale) per poi chiudere con le immancabili “Dio è Morto” e “La Locomotiva”. Questi pezzi, questi classici non solo del repertorio gucciniano ma anche della storia della canzone italiana, sono suonati ormai a memoria, come se cantarli fosse naturale come mangiare e dormire: l’effetto, mentre passano i decenni, è sempre lo stesso, anche se tecnicamente le stesse canzoni su “Live Collection” suonavano più forti ed intense. Di fianco alle pietre miliari ci stanno poi le canzoni di “Ritratti, senza dubbio la questione più interessante per i fans di vecchia data: la linea seguita da Guccini è quella di rispettare al massimo le versioni presenti su disco, impegnandosi a rendere al meglio anche dal vivo canzoni come “Certo non Sai”, “Cristoforo Colombo”, “La Ziatta”, “Odysseus”, “Una Canzone” (grande “meta-canzone”, come disse il 2 aprile 2004 al Filaforum di Milano), “Canzone per il Che” e “Piazza Alimonda”, unico caso in cui la versione live perde molto rispetto al disco (è suonata più lenta e a risentirne è la verve che la contraddistingue nella sua veste originaria); menzione a parte merita la bella “Shomer Ma Mi-Llailah?”, interpretata live per tutto il tour e sempre capace di rapire il pubblico con il suo ritmo trascinante. Un altro disco live, insomma, con i suoi pro e i suoi contro. Appena vidi sul “Corriere della Sera” la pubblicità di “Anfiteatro Live”, la prima cosa che ho pensato è stata: “Perché??”. Ora, a freddo, posso dire di aver avuto ragione. Gli scopi dell’operazione sono senza dubbio molteplici, i due principali la testimonianza dei pezzi di “Ritratti” in una dimensione concertistica (ma in questo caso, vista la fedeltà alla versioni su disco, non vale la pena investire altri 22 € dopo aver comprato l’album in studio nel 2004) e la testimonianza dell’ultimo tour di Francesco Guccini (e in questo caso ho da ridire sulla scelta della data: ho sentito Guccini live due volte e in entrambe le occasioni i concerti mi sono sembrati molto più sentiti e di maggior qualità rispetto alla data di Cagliari ora immortalata su cd, chissà perché, al posto di altre senza dubbio di maggior spessore), ma non bastano a spiegare la pubblicazione di questo doppio live che, detto sinceramente, lascia ben poco e aggiunge ancora meno alla carriera del nostro. Altra pecca, di non poco conto, è la scelta di tagliare ogni intervento parlato di Francesco tra una canzone e l’altra (fatta eccezione per la fine di “Auschwitz”): a parte il fatto che, come ogni fan di Guccini sa bene, le parole di Francesco sono una parte imprescindibile dello show, interessante sarebbe stato salvare almeno qualche introduzione alle nuove canzoni per sentire come sono nate, dove, quando e perché. L’operazione “Anfiteatro Live”, dopo le necessarie riflessioni, sa dunque di operazione tendenzialmente commerciale, inutile per gli appassionati e conoscitori, ancora più inutile per i neofiti a caccia di the best of che meglio farebbero a buttarsi su “Guccini Live Collection” o sull’insuperabile “Fra la Via Emilia e il West”.
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Una canzone per un'amica
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Una canzone
La canzone è una penna e un foglio così fragili fra queste dita, è quel che non è, è l'erba voglio ma può essere complessa come la vita. La canzone è una vaga farfalla che vola via nell'aria leggera, una macchia azzurra, una rosa gialla, un respiro di vento la sera, una lucciola accesa in un prato, un sospiro fatto di niente ma qualche volta se ti ha afferrato ti rimane per sempre in mente e la scrive gente quasi normale ma con l'anima come un bambino che ogni tanto si mette le ali e con le parole gioca a rimpiattino.
La canzone è una stella filante che qualche volta diventa cometa una meteora di fuoco bruciante però impalpabile come la seta. La canzone può aprirti il cuore con la ragione o col sentimento fatta di pane, vino, sudore lunga una vita, lunga un momento. Si può cantare a voce sguaiata quando sei in branco, per allegria o la sussurri appena accennata se ti circonda la malinconia e ti ricorda quel canto muto la donna che ha fatto innamorare le vite che tu non hai vissuto e quella che tu vuoi dimenticare.
La canzone è una scatola magica spesso riempita di cose futili ma se la intessi d'ironia tragica ti spazza via i ritornelli inutili; è un manifesto che puoi riempire con cose e facce da raccontare esili vite da rivestire e storie minime da ripagare fatta con sette note essenziali e quattro accordi cuciti in croce sopra chitarre più che normali ed una voce che non è voce ma con carambola lessicale può essere un prisma di rifrazione cristallo e pietra filosofale svettante in aria come un falcone.
Perché può nascere da un male oscuro che è difficile diagnosticare fra il passato appesa e il futuro, lì presente e pronta a scappare e la canzone diventa un sasso lama, martello, una polveriera che a volte morde e colpisce basso e a volte sventola come bandiera. La urli allora un giorno di rabbia la getti in faccia a chi non ti piace un grimaldello che apre ogni gabbia pronta ad irridere chi canta e tace. Però alla fine è fatta di fumo veste la stoffa delle illusioni, nebbie, ricordi, pena, profumo: son tutto questo le mie canzoni
"Bisogni che lo affermi fortemente che, certo, non appartenevo al mare anche se Dei d’Olimpo e umana gente mi sospinsero un giorno a navigare, e se guardavo l'isola petrosa, sopra ogni collina c'erano lì idealmente il mio cuore al sommo d'ogni cosa, c'era l'anima mia che è contadina un'isola d'aratro e di frumento senza le vele senza pescatori il sudore e la terra erano argento il vino e l'olio erano i miei ori
Ma se tu guardi un monte che è di faccia, senti che ti sospinge un altro monte un'isola col mare che l'abbraccia ti chiama un'altra isola di fronte e diedi un volto a quelle mie chimere le navi costruii di forma ardita, concavi navi dalle vele nere e nel mare cambiò quella mia vita e il mare trascurato mi travolse: seppi che il mio futuro era sul mare con un dubbio però che non si sciolse senza futuro era il mio navigare
Ma nel futuro trame di passato si uniscono a brandelli di presente, ti esalta l’acqua e al gusto del salato brucia la mente e ad ogni viaggio reinventarsi un mito a ogni incontro ridisegnare il mondo e perdersi nel gusto del proibito sempre più in fondo
E andare in giorni bianchi come arsura, soffio di vento e forza delle braccia, mano al timone e sguardo nella pura schiuma che lascia effimera una traccia; andare nella notte che ti avvolge scrutando delle stelle il tremolare in alto l’Orsa e un segno che ti volge diritta verso il nord della Polare. E andare come spinto dal destino verso una guerra, verso l’avventura e tornare contro ogni vaticino contro gli Dei e contro la paura.
E andare verso isole incantate, verso altri amori, verso forze arcane, compagni persi e navi naufragate; per mesi, anni, o soltanto settimane La memoria confonde e dà l’oblio, chi era Nausicaa, e dove le sirene Circe e Calypso perse nel brusio di voci che non so legare assieme. Mi sfuggono il timone, velam remo, la frattura fra inizio ed il finire, l’urlo dell’accecato Polifemo ed il mio navigare per fuggire.
E fuggendo si muore e la mia morte sento vicina quando tutto tace sul mare, e maledico la mia sorte non trovo pace forse perché sono rimasto solo ma allora non tremava la mia mano e i remi mutai in ali al folle volo oltre l’umano.
La vita del mare segna false rotte, ingannevole in mare ogni tracciato, solo leggende perse nella notte perenne di chi un giorno mi ha cantato donandomi però un’eterna vita racchiusa in versi, in ritmi, in una rima, dandomi ancora la gioia infinita di entrare in porti sconosciuti prima "
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Cristoforo Colombo
E’ gia stanco di vagabondare sotto un cielo sfibrato per quel regno affacciato sul mare che dai Mori è insidiato e di terra ne ha avuta abbastanza, non di vele e di prua, perché ha trovato una strada di stelle nel cielo dell’anima sua. Se lo sente, non può più fallire, scoprirà un nuovo mondo; quell’attesa lo lascia impaurito di toccare già il fondo. Non gli manca il coraggio o la forza per vivere quella follia e anche senza equipaggio, anche fosse un miraggio ormai salperà via.
E la Spagna di spada e di croce riconquista Granata, con chitarre gitane e flamenco fa suonare ogni strada; Isabella è la grande regina del Guadalquivir ma come lui è una donna convinta che il mondo non pùo finir lì,. Ha la mente già tesa all’impresa sull’oceano profondo, caravelle e una ciurma ha concesso, per quel viaggio tremendo, per cercare di un mondo lontano ed incerto che non sa se ci sia ma è già l’alba e sul molo l’abbraccia una raffica di nostalgia. E naviga, naviga via verso un mondo impensabile ancora da ogni teoria e naviga, naviga via, nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria.
E’ da un mese che naviga a vuoto quell’Atlantico amaro, ma continua a puntare l’ignoto con lo sguardo corsaro; sarà forse un’assurda battaglia ma ignorare non puoi che l’Assurdo ci sfida per spingerci ad essere fieri di noi. Quante volte ha sfidato il destino aggrappato ad un legno, per fortuna che il vino non manca e trasforma la vigliaccheria di una ciurma ribelle e già stanca, in un’isola di compagnia.
E naviga, naviga via, sulla prua che s’impenna violenta lasciando una scia, naviga, naviga via nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria.
Non si era sentito mai solo come in quel momento ma ha imparato dal vivere in mare a non darsi per vinto; andrà a sbattere in quell’orizzonte, se una terra non c’è, grida: “Fuori sul ponte compagni dovete fidarvi di me!” Anche se non accenna a spezzarsi quel tramonto di vetro, ma li aspettano fame e rimorso se tornassero indietro, proprio adesso che manca un respiro per giungere alla verità, a quel mondo che ha forse per faro una fiaccola di libertà.
E naviga, naviga là come prima di nascere l’anima naviga già, naviga, naviga ma quell’oceano è di sogni e di sabbia poi si alza un sipario di nebbia e come un circo illusorio s’illumina l’America.
Dove il sogno dell’oro ha creato mendicanti di un senso che galleggiano vacui nel vuoto affamati d’immenso. Là babeliche torri di cristallo già più alte del cielo fan subire al tuo cuore uno stallo come a un Icaro in volo Dove da una prigione a una luna d’amianto “l’uomo morto cammina” dove il Giorno del Ringraziamento il tacchino in cucina e mentre sciami assordanti d’aerei circondano di ragnatele quell’inutile America amara leva l’ancora e alza le vele.
E naviga, naviga via più lontano possibile da quell’assordante bugia naviga, naviga via nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria
La despertarà el vent d'un cop als finestrons És tan llarg i ample el llit I són freds els llençols Amb els ulls mig tancats buscarà una altra mà sense trobar ningú com ahir com demà
La seva soledat és el fidel amant que coneix el seu cos plec a plec pam a pam Escoltarà el miol d'un gat castrat i vell que en els seus genolls dorm els llargs vespres d'hivern Hi ha un missal adormit damunt la tauleta i un got d'aigua mig buit quan es lleva la tieta
Un mirall esquerdat li dirà "Ja et fas gran Com ha passat el temps! Com han volat els anys! Com somnis de jovent pels carrers s'han perdut! Com s'arruga la pell com s'ensorren ells ulls!"
La portera, al seu pas dibuixarà un somrís És l'orgull de qui té algú per escalfar-li el llit Cada dia el mateix agafar l'autobús per treballar al despatx d'un advocat gandul amb qui en altre temps ella es feia l'estreta D'això fa tant de temps ni ho recorda la tieta
La que sempre té un plat quan arriba Nadal La que no vol ningú si un bon dia pren mal La que no té més fills que els fills dels seus germans La que diu: "Tot va bé" La que diu: "Tant se val"
I el Diumenge de Rams comprarà al seu fillol un palmó llarg i blanc i un parell de mitjons i a l'església tots dos faran com fa el mossèn i lloaran Jesús que entra a Jerusalem Li darà vint durets per obrir una llibreta cal estalviar els diners com sempre ha fet la tieta
I un dia s'ha de morir més o menys com tothom Se l'endurà una grip cap al forat profund Llavors ja haurà pagat el nínxol i el taüt els salms dels capellans les misses de difunts
I les flors que seguiran el seu enterrament són coses que sovint les oblida la gent I fan bonic les flors amb negres draps penjant I al darrera uns amics descoberts fa un instant
I una esquela que diu "Ha mort la senyoreta Descansi en pau Amén" I oblidarem la tieta
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Shomer ma mi llailah
La notte è quieta senza rumore, c'è solo il suono che fa il silenzio e l' aria calda porta il sapore di stelle e assenzio, le dita sfiorano le pietre calme calde d' un sole, memoria o mito, il buio ha preso con se le palme, sembra che il giorno non sia esistito...
Io, la vedetta, l' illuminato, guardiano eterno di non so cosa cerco, innocente o perchè ho peccato, la luna ombrosa e aspetto immobile che si spanda l' onda di tuono che seguirà al lampo secco di una domanda, la voce d' uomo che chiederà:
Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell...
Sono da secoli o da un momento fermo in un vuoto in cui tutto tace, non so più dire da quanto sento angoscia o pace, coi sensi tesi fuori dal tempo, fuori dal mondo sto ad aspettare che in un sussurro di voci o vento qualcuno venga per domandare...
e li avverto, radi come le dita, ma sento voci, sento un brusìo e sento d' essere l' infinita eco di Dio e dopo innumeri come sabbia, ansiosa e anonima oscurità, ma voce sola di fede o rabbia, notturno grido che chiederà:
Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell...
La notte, udite, sta per finire, ma il giorno ancora non è arrivato, sembra che il tempo nel suo fluire resti inchiodato... Ma io veglio sempre, perciò insistete, voi lo potete, ridomandate, tornate ancora se lo volete, non vi stancate...
Cadranno i secoli, gli dei e le dee, cadranno torri, cadranno regni e resteranno di uomini e di idee, polvere e segni, ma ora capisco il mio non capire, che una risposta non ci sarà, che la risposta sull' avvenire è in una voce che chiederà:
Shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell shomèr ma mi-llailah, shomèr ma mi-lell, shomèr ma mi-llailah, ma mi-lell...
The Platinum Collection è un album di Francesco Guccini pubblicato nel 2006. La raccolta è formata da tre CD contenenti una selezione di 47 canzoni inserite in ordine cronologico. Il triplo contiene anche un libretto la cui presentazione è firmata da Massimo Cotto. Alla conclusione del terzo CD è presente un brano, Le belle domeniche pubblicato nel 1975 nell'antologia collettiva Grande Italia.
Tracce
CD 1
Noi non ci saremo - 5:13 In morte di S.F. (Canzone per un'amica) - 3:37 Auschwitz - 4:37 Statale 17 - 3:08 Due anni dopo - 3:40 Vedi cara - 4:51 L'isola non trovata - 2:45 Un altro giorno è andato - 4:13 Asia - 5:10 La locomotiva - 8:16 Canzone dei dodici mesi - 7:01 Piccola città - 4:33 Incontro - 3:37 Il vecchio e il bambino - 4:19 Canzone della bambina portoghese - 5:30 Canzone delle osterie di fuori porta - 6:03
CD 2
L'avvelenata - 4:39 Canzone di notte n. 2 - 4:56 Via Paolo Fabbri 43 - 8:13 Amerigo - 6:57 Libera nos domine - 4:31 Le cinque anatre - 3:43 Eskimo - 8:15 Bisanzio - 5:10 Venezia - 4:02 Bologna - 4:40 Autogrill - 4:26 Gli amici - 4:42 Scirocco - 5:17 Signora Bovary - 4:06 Van Loon - 5:43
CD 3
Quello che non... - 4:25 Canzone delle domande consuete - 3:29 Farewell - 5:13 Samantha - 5:18 Lettera - 4:19 Vorrei - 5:18 Quattro stracci - 4:09 Cirano - 6:38 Addio - 4:07 Stagioni - 6:09 E un giorno... - 5:24 Don Chisciotte - 5:59 Una canzone - 4:35 Odysseus - 4:26 Piazza Alimonda - 5:51 Le belle domeniche - 3:08
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Le belle domeniche
Sono già sette giorni che aspetti la festa per stare più a letto al mattino Alla sera hai bevuto, hai male alla testa e in bocca sapore di vino Accendi una cicca, ti brucia la gola e lei non telefona: "cosa si fa?" Ti radi, ti lavi, ti cambi camicia, aspetti che chiami chi non chiamerà La, la, la... Poi quattro passi in centro, forse la incontro a messa Gli amici, il calcio: "si perde, vuoi fare una scommessa" Poi ritorni, è passata già mezza giornata e nessuno ha cercato di te La, la, la... La giornata ha già preso i colori serali e l'inverno ed il tempo è più breve Coppie passano strette lontano sui viali camminando sui mucchi di neve Fumi stanco e annoiato, aspettando qualcosa, ma ormai non telefona: "al diavolo lei!" Rifai la cravatta, ti metti la giacca, aspetti che chiami chi non chiamerà La, la, la... Poi un salto dagli amici, oggi si fa una festa La donna l'hai trovata, ma dopo cosa resta? Ritorni annoiato, il giorno è passato e nessuno ha cercato di te La, la, la... Dopo cena c'è un Cine italiano, il boccette, un ramino, un caffè: "tenga il resto!" Domattina ti devi svegliare alle 7 ed a letto bisogna andar presto Fumi l'ultima cicca sdraiato nel buio: "Quest' altra domenica la devo vedere!" E del giorno ti resta il vestito da festa e una noia che è amica con te E del giorno ti resta il vestito da festa e una noia che è amica con te La, la, la...
Storia di altre storie è una raccolta di Francesco Guccini composta da canzoni scelte dallo stesso cantautore, uscita nel 2010, anno della celebrazione dei 70 anni dello stesso.
Il brano "Nella giungla" qui nella versione italiana di Guccini, in precedenza era stato scritto da Renaud Sechan e musicato da da Jean-Pierre Bucolo nel 2005. La canzone è stata incisa per la prima volta in questo doppio CD, anche se, precedentemente, era già stata resa disponibile in download nel 2006 a sostegno della campagna internazionale a favore della liberazione di Ingrid Betancourt.
Tracce
CD 1
Nella giungla (Dans La Jungle) - Inedito su CD Una canzone Statale 17 Piccola città Via Paolo Fabbri 43 Odysseus Scirocco Autogrill Canzone per il Che L'avvelenata Un altro giorno è andato - Inedito su CD, versione 45 giri Canzone per un'amica Lettera Quello che non... Noi non ci saremo Canzone per Piero
CD 2
Il frate Ophelia Quattro stracci Farewell Vorrei Il pensionato Bisanzio Inutile Canzone dei dodici mesi Canzone di notte n. 2 Eskimo Cirano Dio è morto (Live) La locomotiva Incontro
FRANCESCO GUCCINI, “STORIA DI ALTRE STORIE” da:rockon.it
“Poeta conviviale del ventesimo secolo, forse il più colto dei cantautori in circolazione.” “E’ il solo cantautore italiano che si può ascoltare con l’orecchio del cuore.” “Nostalgie, amori, senso delle relazioni, il sentimento dello scorrere delle cose: tutto questo Francesco lo sa raccontare con una grazia speciale.”
Nell’anno delle celebrazioni per il 70° compleanno di Francesco Guccini, EMI Music Italy pubblica il 28 settembre “Storia Di Altre Storie”, un’antologia in doppio CD che raccoglie racconti e storie in musica scelti personalmente dallo stesso Guccini.
A completare l’opera, oltre ai brani che fanno ormai parte della storia della canzone d’autore italiana, le note interne del booklet firmate dal giornalista e critico musicale Riccardo Bertoncelli.
Francesco Guccini è attualmente impegnato con il suo tour ripartito l’11 settembre dal Palalsozaki di Torino e che proseguirà il 6 Novembre a Roma, il 20 a Pistoia e il 10 dicembre a Milano.
Ai brani che compongono la tracklist di questa raccolta (Quattro Stracci, Eskimo, Canzone per un’amica, Noi non ci saremo, Statale 17, Piccola Città, Dio è morto, Autogrill, Cirano, L’Avvelenata, La locomotiva solo per citarne alcune) si aggiungono due tracce mai pubblicate fino ad ora su cd, “Nella Giungla” e “Un Altro Giorno è Andato”.
Il brano “Nella giungla”, scritto originariamente nel 2005 da Renaud Sechan (testo) e da Jean-Pierre Bucolo (musica) e qui presente nell’edizione italiana firmata da Francesco Guccini, venne reso disponibile unicamente per il digital download nel 2006 in occasione della campagna internazionale per la liberazione di Ingrid Betancourt, l’esponente politica colombiana rapita durante la guerriglia delle Farc il 23 febbraio del 2002.
“Un Altro Giorno è Andato” fu pubblicato unicamente su 45 giri e ora, per la prima volta, su cd.
Video Un altro giorno è andato
E un altro giorno è andato, la sua musica ha finito, quanto tempo è ormai passato e passerà? Le orchestre di motori ne accompagnano i sospiri: l' oggi dove è andato l' ieri se ne andrà. Se guardi nelle tasche della sera ritrovi le ore che conosci già, ma il riso dei minuti cambia in pianto ormai e il tempo andato non ritroverai... Giornate senza senso, come un mare senza vento, come perle di collane di tristezza... Le porte dell'estate dall' inverno son bagnate: fugge un cane come la tua giovinezza. Negli angoli di casa cerchi il mondo, nei libri e nei poeti cerchi te, ma il tuo poeta muore e l' alba non vedrà e dove corra il tempo chi lo sa? Nel sole dei cortili i tuoi fantasmi giovanili corron dietro a delle Silvie beffeggianti, si è spenta la fontana, si è ossidata la campana: perchè adesso ridi al gioco degli amanti? Sei pronto per gettarti sulle strade, l' inutile bagaglio hai dentro in te, ma temi il sole e l' acqua prima o poi cadrà e il tempo andato non ritornerà... Professionisti acuti, fra i sorrisi ed i saluti, ironizzano i tuoi dubbi sulla vita, le madri dei tuoi amori sognan trepide dottori, ti rinfacciano una crisi non chiarita: la sfera di cristallo si è offuscata e l' aquilone tuo non vola più, nemmeno il dubbio resta nei pensieri tuoi e il tempo passa e fermalo se puoi... Se i giorni ti han chiamato tu hai risposto da svogliato, il sorriso degli specchi è già finito, nei vicoli e sui muri quel buffone che tu eri è rimasto solo a pianger divertito. Nel seme al vento afferri la fortuna, al rosso saggio chiedi i tuoi perchè, vorresti alzarti in cielo a urlare chi sei tu, ma il tempo passa e non ritorna più... E un altro giorno è andato, la sua musica ha finito, quanto tempo è ormai passato e passerà! Tu canti nella strada frasi a cui nessuno bada, il domani come tutto se ne andrà: ti guardi nelle mani e stringi il vuoto, se guardi nelle tasche troverai gli spiccioli che ieri non avevi, ma il tempo andato non ritornerà, il tempo andato non ritornerà, il tempo andato non ritornerà...
Guccini contro i manifesti di Salò "Offesa e tradita la mia 'Locomotiva'"
A Roma affissi poster per il 25 aprile inneggianti alla Repubblica Sociale con una citazione del brano scritto dal cantautore nel 1972: "Spesso la destra si appropria indebitamente delle mie canzoni, ma stavolta è troppo: i partigiani lottarono per la libertà, i fascisti stavano con i nazisti"
"Mi sento tirato verso una direzione che mai avrei voluto. Non solo la mia canzone La locomotiva non è stata compresa, direi che è stata davvero maltrattata". Francesco Guccini risponde così alla provocazione dei manifesti inneggianti alla Repubblica di Salò esposti nelle strade di Roma in vista della ricorrenza del 25 aprile, alcuni piazzati addirittura sugli spazi pubblicitari ufficiali del Comune di Roma. Rispondendo al telefono dalla sua casa di Pàvana, il cantautore modenese dice di non gradire affatto il riferimento alla canzone che scrisse nel 1972, una citazione contenuta nello slogan del manifesto fascista che recita: "25 aprile 1945-25 aprile 2012. Gli eroi son tutti giovani e belli. Ai ragazzi di Salò".
Guccini, cosa pensa di questa inedita interpretazione della sua Locomotiva? "La canzone è chiarissima, e quella frase aveva un'intenzione abbastanza ironica, da non prendersi in maniera letterale, un'intenzione che evidentemente non è stata compresa o che non s'è voluta comprendere: avrei infatti anche potuto scrivere "gli eroi son sempre giovani e forti", per dare un tono più distaccato alla materia. Non è comunque la prima volta che personaggi di destra prendono mie canzoni come materia loro, e d'altra parte non ci si può fare niente: le canzoni sono là e la gente le prende a suo uso e consumo. Questa volta, però, davvero non mi piace". Cosa rappresenta per lei il 25 aprile? "E' una data altamente simbolica perché indica l'inizio della nostra Repubblica, la libertà conquistata dopo 20 anni di fascismo e di violenze. E' anche una festa piena di significati concreti, che ricorda le lotte partigiane, le sofferenze di tanta gente e anche il ricordo di quanti hanno dato la vita per raggiungere la libertà. Per questo è giusto ancora chiamarla Festa della liberazione. Vede, io sono contrario a certi recenti revisionismi, a chi boicotta il 25 aprile anche tra chi si è trovato a rappresentare le istituzioni repubblicane nel nostro recente passato. La Resistenza è una cosa importante e va rispettata come tale. Tra l'altro una delle ultime canzoni che ho scritto parla della lotta partigiana, si intitola Su in collina, ci sono personaggi con i loro nomi di battaglia, Pedro, Cassio, il Brutto. Ho sentito la necessità di scriverla anche per reazione a questo periodo di revisionismo in cui qualcuno cerca di equiparare i combattenti della Repubblica di Salò ai partigiani. Lasciamo stare, lasciatemi stare la Resistenza".
Cos'è stata la Repubblica di Salò? "Tra quelli di Salò ci sarà stata anche gente in buona fede, ma sicuramente stava dalla parte sbagliata: nella Resistenza c'è chi ci ha lottato per la libertà a costo della vita, dall'altra parte si parteggiava con i nazisti e con la tortura. Salò è stato il colpo di coda disperato del regime fascista, di chi aveva ormai l'acqua alla gola e sapeva di averla".
Francesco Guccini: “L’Ultima Thule” e dice addio alla musica
by eleonora gentevip.it
Francesco Guccini dice addio al mondo della musica con il nuovo album “L’Ultima Thule” (video youtube). È proprio questo il titolo dell’ultimo lavoro pubblicato dal cantautore italiano e uscito lo scorso 27 novembre che rappresenta l’addio al mondo della musica di Guccini e quindi l’ultimo della sua carriera. Il nuovo album è stato registrato nel mulino dei bisnonni di Francesco Guccini, ubicato a Pavana. Otto brani compongono la tracklist e descrivono la storia di Guccini, la sua vita, le sue origini e anche il suo futuro.
Durante la presentazione dell’album avvenuta a Milano, il cantautore ha dichiarato che la sua carriera musicale è iniziata in maniera casuale e sogna di poter divenire uno scrittore come avrebbe sempre voluto essere fin da bambino. Sarà anche iniziata per caso la sua carriera, ma sicuramente è riuscita a incidere fortemente sulla storia della musica italiana.
Francesco Guccini: Sogna di fare lo scrittore Ha raccontato che quando si arriva a una certa età, si comincia a riflettere, soprattutto dopo aver visto compagni e amici morire: ha riflettuto così su quanto e quel che ha fatto nel corso della sua vita e si è reso conto che un tempo le canzoni erano molto facili da scrivere, mentre oggi riscontra delle difficoltà. È da considerare anche il cambiamento globale nei confronti della musica, il fatto che la tecnologia abbia fatto scomparire molti negozi di dischi. A volte gli parlano di pre-order, che poi scopre essere una preordinazione, a volte gli parlano di iTunes, nonostante lui ignori cosa sia. È ancora uno dei pochi che non ha il cellulare, perchè dichiara di esser rimasto alla tecnologia dei tempi in cui è nato. Un addio molto sofferto al mondo della musica, ma fatto in modo magistrale, regalando ai suoi fan l’ultimo disco intitolato “L’Ultima Thule”. Una speranza però permane in tutti noi ed è quella di poter tenere fra le mani un libro scritto dal cantautore.
GUCCINI, OLTRE AL NUOVO ROMANZO IN ARRIVO ANCHE UN BOX DA 4 E 10 CD
Si intitola “Se io avessi previsto tutto questo - gli amici, la strada, le canzoni" il box dedicato all'opera di Francesco Guccini, in uscita il prossimo 27 novembre - poco dopo la pubblicazione del nuovo romanzo del cantautore emiliano "Un matrimonio, un funerale, per non parlar del gatto".
Il libro sarà nelle librerie il 3 dello stesso mese (e non il 17, come originariamente comunicato dalla pagina Facebook dell'artista).
Il box esce in due versioni, una "Deluxe" da 4CD e una "SuperDeluxe" da 10, e conterrà anche un libro con foto e introduzioni ai brani scritte dallo stesso Guccini.
La versione da 10 CD comprenderà 5 dischi dedicati alle registrazioni di studio (e con l'inedito “Allora il mondo finirà”, dalle sessioni di "Folk Beat n.1" del 1967 e una versione inedita di “Eskimo” del 1978), 4 dedicati alla musica dal vivo, con registrazioni inedite di concerti tra il 1974 e il 2010 e un CD di rarità, duetti, collaborazioni e 2 brani strumentali.
La versione da 4CD dedicherà 2 dischi al meglio “in studio” (compresi i due inediti della versione SuperDeluxe), un disco alla musica dal vivo e il CD di rarità, duetti e collaborazioni.
fonte&foto:rockol.it
Il prossimo 27 novembre verrà consegnata al mercato un box di Francesco Guccini intitolato "Se io avessi previsto tutto questo. La strada, gli amici, le canzoni"; il cofanetto sarà disponibile in due differenti formati: una versione "deluxe" da 4 CD e una "super deluxe" da 10, e conterrà anche un libro con immagini e introduzioni alle canzoni scritte dallo stesso cantautore emiliano. Il contenuto di entrambe le edizioni del box, vale a dire la tracklist completa sia dei quattro dischi dell'edizione standard che dei dieci che figurano nell'edizione deluxe, è stato rivelato nelle ultime ore dal sito del magazzino IBS. Vi riportiamo di seguito le tracklist di entrambe le edizioni di "Se io avessi previsto tutto questo. La strada, gli amici, le canzoni":
La tracklist dell'edizione deluxe del box, in 4 CD:
foto:librimondadori.it
"Un matrimonio, un funerale, per non parlar del gatto"
Editore Mondadori (collana Scrittori italiani e stranieri)
Da dietro il crinale della collina si vede arrivare un piccolo corteo, preceduto dal suonatore di fisarmonica e dal mescitore di vino. Lo sposo e la sposa sono in cammino dall'alba, raggiungeranno la chiesa non proprio freschissimi e poi, dopo la cerimonia, riprenderanno la strada insieme agli altri, di nuovo per mulattiere, pronti a godersi un pranzo e una cena con l'appetito rinvigorito dalla scarpinata. Un matrimonio oggi inimmaginabile, che era perfettamente normale quando il piccolo Francesco Guccini vi prendeva parte, portando agli sposi un dono veramente prezioso...
E ancora: il funerale del mitico Gigi de l'Orbo, il sarto sempre ubriaco, il tenore lirico appassionato di ciclismo, la contadina poetessa, un indimenticabile compagno di scuola e tante altre "istantanee", colme di ironia e appena velate di malinconia, di un tempo andato che non ritornerà. Qualche volta, tra queste pagine, la pellicola della memoria dell'autore resta impressionata da figure sfuggenti, sornione come gatti, dolci come il ricordo di chi se n'è andato, o forse un po' beffarde come fantasmi...
Questi racconti sono un viaggio attraverso il tempo e i registri narrativi, e riportano in vita per noi esistenze minime, destinate a essere dimenticate se non giungessero le parole a rievocarle. Francesco Guccini si conferma ancora una volta come uno dei più grandi cantori della nostra provincia e del suo epos perduto, con la sapienza e l'infinita pazienza di chi sa esercitare ogni giorno il setaccio della memoria per far riaffiorare dettagli, immagini ed emozioni che sono nutrimento per il presente e il futuro.