FIORI di CAMPO..e di MONTAGNA

tutti i tipi di fiori..spontanei

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted



    La SASSIFRAGA


    Sassifraga deriva dal latino saxifraga, propriamente, (pianta) che rompe i sassi, perché si riteneva che spezzasse i calcoli renali. Saxifraga: genere di piante della famiglia Sassifragacee con circa 300/400 specie dell'emisfero settentrionale, in gran parte delle regioni montane. Le sassifraghe presentano caratteristiche abbastanza diverse, quindi sono state riunite in alcune famiglie, che riuniscono le piante con periodo di fioritura e necessità simili. Sono erbacee per lo più perenni, con foglie di varia grandezza, sparse o in rosetta, presenta germogli striscianti e foglie opposte, di colore verde bluastro scuro, cigliate alla base, con fiori regolari, bianchi, gialli o rosso-porpora, in infiorescenze a cima o a pannocchia più o meno fitte; il frutto è una bacca.
    Le sassifraghe posseggono notevoli capacità di adattamento e crescono in ambienti climatici anche molto diversi: alcune, come la Saxifraga aspera, la florulenta e la exarata, sono proprie dei luoghi silicei; altre, come la caesia e la aizoon, prediligono i terreni calcarei, formando densi cuscinetti a fiori bianchi nei pascoli alpini.
    In prossimità dei ruscelli vivono la Saxifraga aizoides, dai fiori giallo-aranciati, e la stellaris, a fiori bianchi; nei terreni granitici è frequente la Saxifraga cotyledon, una delle specie più spettacolari, con ampia rosetta di foglie basali ligulate, seghettate, e ricca pannocchia di fiori bianchi. Molte sassifraghe vengono spesso coltivate a scopo ornamentale soprattutto nei giardini rocciosi.






     
    Top
    .
  2. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .... è un fiore tanto diffuso da passare quasi inosservato. Fin dai primi cenni di primavera si vede crescere spontanea un po’ dappertutto, nei prati, nei pascoli, nelle aiuole, nei giardini, nei parchi e negli spazi verdi cittadini, perfino lungo il ciglio delle strade...



    LA MARGHERITA




    La Margherita è il fiore per eccellenza. Simbolo di semplicita, purezza, innocenza e freschezza, si dice che abbia proprietà profetiche, non per niente il classico "m'ama non, m'ama" si fà da sempre strappando i petali di questo delicato fiore...Il nome completo della Margherita comune è Leucanthemum vulgare, sin. Chrysanthemum leucanthemum, è un fiore comune e perenne che cresce spontaneamente nei prati. È una pianta che cresce a ciuffi, a stelo diritto, rugoso, con foglie basali peduncolate, e caulinari sessili e lanceolate. Le infiorescenze sono dei capolini tondi con fiori a ligula bianchi all'esterno e gialli al centro.

    Proprio per il suo colore giallo oro circondato dai fragili petali bianchi, per la sua forma rotonda la margherita rappresenta anche la primavera, mezza stagione che con ilo suo tiepido sole, sembra essere delicata ed effimera proprio come questo semplice ma perfetto fiore.





    .....nella storia... miti e leggende .....



    L’origine della margherita risale a più di quattromila anni fa. Sono stati ritrovati reperti di antiche ceramiche così decorate in Egitto e nel Medio Oriente, oltre a forcine d'oro per capelli con questi ornamenti negli scavi del palazzo minoico sull'isola di Creta. Nell'antica Roma, i chirurghi che accompagnavano le legioni romane in battaglia mandavano gli schiavi a riempire i sacchi di margherite fresche da spremere per impregnarne del succo le bende utilizzate per curare le ferite da taglio inflitte da spade e lance. Le foglie fresche triturate servivano per trattare esternamente ulcerazioni, contusioni, pelle screpolata, mentre la pianta, nel corso dei secoli, è stata più impiegata come rimedio popolare per alleviare la pertosse, l’asma, il nervosismo, la sudorazione notturna, l’ittero. Si narra anche che Enrico VIII (1491-1547), re d’Inghilterra e d’Irlanda, si cibasse di piatti a base di margherite per eliminare i dolori di stomaco causati dall’ulcera ma, nello stesso periodo, si credeva pure che si potesse curare la pazzia bevendo, in piccole dosi e per più di 15 giorni di seguito, il succo ottenuto dall’infusione di questi fiori nel vino. Pur avendo un sapore amarognolo, le foglie giovani di margherita vengono ancora servite in insalata in alcune parti d'Italia.
    Secondo la mitologia romana, una ninfa Belide fu trasformata nel piccolo fiore Bellis – nome scientifico della margheritina pratolina – per soddisfare la sua richiesta agli dei di aiutarla a sfuggire alle attenzioni non desiderate di Vertumno, dio dei boschi e delle stagioni, che la aveva adocchiata ballare con le compagne sul ciglio della foresta.
    In una leggenda celtica, gli dei avevano sparso a terra le margherite, simbolo di innocenza, per alleviare il dolore ai genitori dei bambini morti durante il parto. Erano anche diffuse numerose credenze popolari, a partire da quella per cui sognare margherite in primavera o in estate fosse di buon auspicio ma, se succedeva in autunno o in inverno, allora significava di sicuro un destino sfortunato. Nel Medio Evo, gli agricoltori inglesi sostenevano che la bella stagione non era ancora arrivata finché non era possibile posare il piede su sette (o nove o dodici) margherite fiorite in un colpo solo nel prato; che trapiantare quelle selvatiche in un giardino coltivato portasse sfortuna e che una ragazza avrebbe potuto sapere per quanti anni doveva ancora aspettare di sposarsi contando quanti di questi fiori erano rimasti in una manciata strappata ad occhi chiusi. I cavalieri innamorati partivano in battaglia con addosso una margherita e le loro amate li attendevano disegnando questo fiore. Dopo avere ricevuto una proposta d’amore, era tradizione che la fanciulla rispondeva in modo affermativo ponendo una ghirlanda di margherite sul capo. Secondo un racconto cristiano, invece, i Re Magi in viaggio capirono di aver trovato dove si trovava la Sacra Famiglia di Gesù neonato quando, dopo aver chiesto un segno in aiuto, notarono improvvisamente moltissime piccole margherite bianche nei pressi di una stalla e ne riconobbero la somiglianza con la stella luminosa a cometa che li aveva condotti a Betlemme.



    Fin dal Medioevo le sono state attribuite qualità profetiche in amore, sicchè è diventato un luogo comune sfogliarla per riceverne una risposta sull'argomento. Le dameconcedevano al cavaliere di ornare il proprio scudo con due margherite, quando dichiaravano il loro amore...Il suo significato medievale, era di attesa, si può tradurre in "ci devo pensare", anche se proprio a questo periodo della storia è sttribuita l'usanza di sfogliare il fiore per scoprire i sentimenti dell'amato. Le dame medievali, una volta dichiarato il prioprio amore al cavaliere, gli concedevano di ornare il proprio scudo con fiori di margherita.
    Molti pittori, dal Botticelli al Ghirlandaio la raffiguravano nei dipinti e negli affreschi che ricordavano la nascita del Cristo e l'adorazione dei Magi, dove si alludeva alla primavera della redenzione. Effettivamente il suo pistillo solare, di color giallo oro, ed i petali che trascolorano dal bianco al rosa alludono al nuovo sole primaverile. Nel linguaggio dei fiori evoca candore, innocenza, grazia, ma anche ci penserò.





    ...oltre ad essere un fiore.....



    Margherita, in astronomia, è un satellite naturale di Urano.... è una canzone del cantautore italiano Riccardo Cocciante..... è un tipo di torta.... è un cocktail a base di tequila...... è un tipo di nodo usato nella nautica....."La Margherita" era un partito politico italiano della coalizione di centro-sinistra dal 2002 al 2007...
    Margherita di Valois detta Regina Margot, figlia di Caterina de' Medici e personaggio del romanzo di Alexandre Dumas (padre): La regina Margot....Regina Margherita, Giovanna Margherita di Savoia (1851 – 1926)....la Pizza Margherita è il primo tipo di pizza con il pomodoro..La margherita è un elemento di scrittura presente in vari tipi di macchine per scrivere elettroniche.




    Un petalo d'umiltà tra i prati odorosi,
    un soffio di vento piega delicatamente il tuo esile stelo.
    L'aprirsi raro della tua corolla richiama insetti vivaci
    che attingono al tuo nettare con tocco sapiente
    Un attimo solo basta a renderti fiera
    del tuo semplice odore
    hai compiuto il miracolo
    hai donato amore
    (Nelida Ukmar)










    Quante volte, da piccoli ma anche da grandi, si gioca a “m’ama-non m’ama”! È così bello sfogliare, con pazienza, i candidi “petali”, e a volte barare strappandone due alla volta per propiziarsi la risposta desiderata… Perfino chi non ama il verde o ignora la vegetazione conosce questo piccolo fiore, replicato in natura con multiformi dimensioni e colori nelle diverse specie (Bellis perennis, Argyranthemum, Leucanthemum ecc.) di Asteracee, la sottofamiglia a cui la margherita appartiene: dall’azzurra felicia agli astri rosa, bianchi o blu, passando per la gerbera dalle tinte solari, le vistosissime echinacea e rudbeckia, l’appariscente girasole e il cugino topinambur, le appuntite gazanie, le elaborate dalie, le scompigliate cosmee, le semplici zinnie, i minuti tageti, i barocchi crisantemi, per citarne solo alcune...
    Tutte queste specie presentano lo stesso tipo di “fiore”, in genere ricondotto alla forma di un disco centrale con i petali tutt’intorno. Ebbene, i petali non sono petali, bensì anch’essi fiori, così come il disco a sua volta è in realtà composto da tantissimi, piccolissimi altri fiori. Questa architettura fa sì che il fiore non sia un fiore, bensì un’infiorescenza, in ragione del fatto che consta di due tipi diversi di fiori minutissimi. Fra questi i più importanti sono i fiori contenuti all’interno del disco. Si tratta di “fiori tubulosi”, così chiamati per via della forma a tubicino a cui danno origine i cinque minuscoli petali che li compongono, saldandosi fra loro per il lungo. La loro importanza è determinata dal fatto che contengono al proprio interno gli organi riproduttivi (stami e ovario) e i nettarii per richiamare gli insetti per l’impollinazione. Meno importanti sono invece i fiori della corona (i cosiddetti “petali”), che mancano della struttura riproduttiva ma svolgono l’importante funzione vessillifera, ovvero di richiamo per gli insetti impollinatori. Sono composti anch’essi da cinque petali saldati fra loro su un unico piano, a forma di piccole lingue e vengono per questa ragione chiamati “fiori ligulati”. Sterili nelle Asteracee, sono invece fertili nelle Cicoriacee, sottofamiglia che infatti non possiede i fiori tubulosi.

    Cui prodest, cioè perché la natura è dovuta ricorrere a questo inganno? Perché gli insetti impollinatori non sarebbero in grado di vedere un singolo fiore tubuloso, ma notano invece subito un insieme di corolle che simulano un grande fiore. Ma non chiamatelo fiore!

    Elena Tibiletti







    DA LUSSY

    margherita
    margherite

    La Margherita comune, (Leucanthemum vulgare, sin. Chrysanthemum leucanthemum) è una pianta erbacea perenne che appartiene alla famiglia delle asteracee.
    È una pianta a stelo diritto con foglie basali peduncolate, e caulinari sessili e lanceolate. Le infiorescenze sono dei capolini tondi con petali bianchi all'esterno e fiorellini gialli al centro.
    Le margherite crescono spontanee nei prati, ai bordi delle strade, nei boschi; è una pianta molto comune in tutta Europa fin nelle sue regioni più settentrionali.
    Le margherite sono molto usate anche nell'industria florovivaistica per il fiore reciso.
    Queste piante non temono il freddo e quindi si possono coltivare in giardino in qualsiasi periodo dell'anno e necessitano di almeno alcune ore al giorno di luce solare. Le piante perenni hanno uno sviluppo prevalentemente primaverile ed estivo. Durante i mesi più freddi dell'anno la parte aerea può disseccare completamente, per spuntare l'anno successivo.
    Lasciamo sempre che tra un'annaffiatura e l'altra il terreno rimanga asciutto per almeno un paio di giorni, quindi interveniamo bagnando il substrato in profondità ogni 1-2 settimane , con 2-3 bicchieri d'acqua. Queste piante manifestano un periodo abbastanza prolungato di riposo vegetativo. Durante questo periodo non è necessario annaffiare le piante.
    Con l'innalzarsi delle temperature diurne, all'inizio della primavera, è bene praticare un trattamento preventivo, con un insetticida ad ampio spettro, da praticarsi quando nel giardino non sono presenti fioriture. Prima che le gemme si sviluppino eccessivamente è consigliabile anche praticare un trattamento fungicida , per prevenire lo sviluppo di malattie fungine, il cui dilagare è favorito dall'elevata umidità ambientale.
    Nel linguaggio dei fiori si dice abbia facoltà profetiche. Gli innamorati la sfogliano per sapere se il loro amore è ricambiato.
    Nel Medioevo, le donne riconoscevano pubblicamente di essere amate e di riamare quando concedevano al loro cavaliere il permesso di ornare il proprio scudo con due margherite.
    Opposto è il messaggio che altri hanno assegnato al fiore: quando una donna non era sicura dell’affetto dell’amato si ornava la fronte con margherite. E’ il simbolo della semplicità, freschezza e purezza.

    Fai un omaggio semplice ed al tempo stesso bellissimo, dona un bel mazzo di margherite. Farlo è semplice, basta rivolgersi ai veri esperti del settore e farle consegnare dove e quando vuoi.
    margherite-e-papavero


     
    Top
    .
  3. ZIALAILA
     
    .

    User deleted


    Perchè si fà il ''m'ama non m'ama'' con le margherite?
    da cosa nasce questa ''usanza''?


    m'ama%20o%20non%20m'ama



    Si dice che la margherita abbia proprietà profetiche, forse perché gli innamorati usavano sfogliarla per sapere se il loro amore era ricambiato.

    Nel Medioevo, le donne riconoscevano pubblicamente di essere amate e di riamare quando concedevano al loro cavaliere il permesso di ornare il proprio scudo con due margherite.


    ...un'altra motivazione ....

    A Margherita di Provenza viene attribuita l'usanza di sfogliare in senso profetico la margherita.
    Desiderando sapere se il marito, il re Luigi IX, fatto prigioniero dai Saraceni nella sfortunata crociata del 1248, fosse ancora vivo e se sarebbe tornato usava margherite da che suo fratello gliene donò una : "Sfogliala , petalo dopo petalo, come fanno i contadini in Provenza.
    A ogni petalo recita una preghiera e arrivata all'ultimo, raccomandati a Dio per invocare il ritorno del sole dopo il solstizio d'inverno.
    Conserva i petali che hai sfogliato per donarli al tuo consorte quando lo vedrai tornare a te sano e salvo. Saranno questi petali a testimoniare la tua fedeltà e il tuo amore: diventeranno il simbolo dell'amore che ti lega a lui".
    Il re, liberato e tornato in Francia, volle aggiungere sullo stendardo del casato tre margherite d'argento.
    E' forse l'unico stemma araldico con un fiore così poco guerriero.
    Quando Margherita morì nel 1295 sulla sua tomba crebbero stupende pratoline.

    mama



    Fonti:
    http://samie.splinder.com/archive/2008
     
    Top
    .
  4. darkangel1962
     
    .

    User deleted


    Complimenti il vostro sito è splendido. Regala momenti di magia che solo madre natura può offrire! :36_1_9.gif: :23.gif:
     
    Top
    .
  5. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Trollius europaeus



    Il Botton d'oro (nome scientifico Trollius europaeus L.) è una pianta erbacea, eretta (20 – 50 cm di altezza; massimo 70 cm) e perenne appartenente alla famiglia delle Ranunculaceae.
    È una pianta velenosa in ogni sua parte, come gran parte delle Ranunculaceae, ma innocua se essiccata.
    Pianta erbacea perenne alta fino a 60 cm con fusto eretto striato e scanalato.



    Le foglie basali sono picciolate con lamina fogliare palmatopartita divisa in segmenti profondamente seghettati. La pagina superiore delle foglie è verde scura, quella inferiore appare più chiara. I fiori, di colore giallo dorato o giallo chiaro, in genere sono solitari (raramente 2 o 3) e presentano una caratteristica forma globosa con diametro sino a 3 cm; i petali contenuti in un globo sono circa 15. L’originale forma dei fiori ha portato in passato ad una raccolta indiscriminata degli stessi; dopo aver rischiato l’estinzione oggi la pianta è di nuovo presente grazie al fatto che in molte regioni è protetta.



    Presente sulle Alpi nei terreni prativi o fra i cespugli tra 500 e 2100 m; predilige le zone umide. E’ molto rara nell’Italia centrale e del tutto assente al meridione e sulle isole.

    Il nome del genere (Trollius) deriva dal tedesco antico “troll” che vuol dire globoso, in riferimento alla forma a palloncino del fiore. Tale denominazione veniva usata già nel XVI secolo. È il naturalista svizzero Conrad Gessner che ci parla nei sui scritti di questo fiore probabilmente conosciuto durante la sua ascensione al Monte Pilatus (nel 1555) nei pressi di Lucerna. Infatti da quelle parti il fiore era chiamato volgarmente “Troll Blume”. Ma un'altra fonte fa derivare il nome sempre dal vocabolo “troll” che è anche proprio della lingua svedese e indica una divinità nordica maligna alludendo probabilmente alla velenosità della pianta.
    Comunque la prima descrizione scientifica l'abbiano da Linneo che nel 1753 la inserì nei sui scritti.
    Il nome italiano di “botton d'oro” fa riferimento evidentemente alla caratteristica forma del fiore.




    LA LEGGENDA DEI BOTTON D’ORO

    Sopra Pieve di Cadore, sul monte Rico, dove ora ci sono i ruderi di un forte, sorgeva una volta un castello, era un castello con un grande parco e vi abitava un re. Questo re aveva naturalmente una moglie, la regina, ed un figlio, il principe.

    Il principe era scapolo e i suoi genitori desideravano disperatamente che si sposasse; gli avevano fatto conoscere tutte le principesse della zona, ma a lui nessuna andava bene.
    " Mi sposerò solo per amore, e quando troverò la ragazza giusta." Diceva.
    Vicino a Pieve c’è un altro paese, Tai, che ora si trova nella vecchia val del Boite, ma che a quei tempi era nella val del Boite, visto che il fiume non aveva ancora deviato il suo corso. Le ragazze si recavano ogni giorno in un posto chiamato "la Peschiera" dove l’acqua faceva un’ansa e scorreva un po’ meno rapida, a lavare i panni. Anche i giovanotti vi andavano per far la corte alle ragazze. Ce n’era una, Gemma dalle lunghe trecce bionde, che era la più bella. Sembrava davvero una regina quando, col cesto dei panni lavati posato sulla testa ,avanzava ancheggiando. Scendeva al fiume con la sorella Ughetta, carina anche lei, ma che non reggeva il paragone.



    Gemma era quasi fidanzata con Armando, un gran bel ragazzo che le altre le invidiavano, perché tutte erano segretamente un po’ innamorate di lui. Quando, dopo aver finito di lavare, si apprestava a tornarsene a casa, lui l’affiancava per tutta la strada e le cingeva la vita con il braccio.( Io trovo che avrebbe fatto meglio a portarle la cesta dei panni ) .

    Un giorno in carrozza passarono il re e la regina, seguiti dal principe a cavallo. Armando quella sera non c’era e Gemma e Ughetta avanzavano con la cesta sul capo. Come le vide il principe fermò il cavallo e, indicando Gemma, disse ai suoi genitori che, nel frattempo ,avevano fermato la carrozza: " Io sposerò quella ragazza."
    Detto fatto la fece salire sul cavallo e la portò a palazzo reale. La fanciulla fu rivestita di nuovo ed iniziò il periodo del fidanzamento.

    Non si può dire che alla reggia non si trovasse bene; bei vestiti, buoni cibi, e poi il principe era anche simpatico. La portava a spasso per il parco che arrivava fino al roccolo di sant’ Elpidio e da lì poteva ammirare il Piave, che scorreva in fondo alla valle, e, di lontano, le Marmarole. Di tanto in tanto scendevano a Pieve dove, alla locanda Tiziano, potevano bersi un succo di mirtilli.



    Ma Gemma non era del tutto felice, si rendeva conto dell’enorme fortuna che le era capitata ma, sotto sotto, le serpeggiava una certa inquietudine. Era stata prescelta e questo, sul principio, aveva stuzzicato il suo orgoglio, ma un po’ alla volta aveva cominciato a sentirsi un oggetto senza volontà. Il principe era gentile e simpatico, ma aveva detto subito:" Io sposerò quella ragazza." Dando per scontato che "quella ragazza" fosse d’accordo.

    Il giorno delle nozze Gemma fu rivestita di un abito bianco su cui spiccavano dei bottoni d’oro fatti a forma di fiore. Si guardò allo specchio e si vide bellissima, ma la gioia non c’era, si sentiva intrappolata in una gabbia d’oro. Le prese una gran nostalgia del suo mondo, di Armando, che certamente l’amava, delle amiche, della sorella Ughetta. "Chissà come sentiranno la mia mancanza!" pensò. Senza riflettere uscì dalla reggia, scese nelle scuderie, salì su un cavallo e via, al galoppo verso la Peschiera! Era l’ora in cui le ragazze, terminato il bucato, tornavano a casa. Gemma le vide che camminavano altere con la loro cesta sulla testa chiacchierando e ridendo, davanti a tutte c’era sua sorella Ughetta con al fianco Armando, che delicatamente, con un braccio le cingeva la vita.

    " Ho contato così poco per loro che mi hanno già dimenticata! –pensò con dolore Gemma –ed io che ho lasciato una reggia!"

    L’acqua del fiume scorreva rapida e tumultuosa " Vieni, - sembrava dire – io sono il rimedio per tutti i tuoi mali!"
    La ragazza salì sul muretto lì vicino e si gettò tra i flutti. Ma... non morì. Si trovò tutta sporca di fango, ma viva. Era successo che il Boite aveva scelto proprio quel momento per cambiare corso. In quel mentre sopraggiunse a cavallo il principe.

    "O mia bella Gemma non te la sentivi di sposarmi? Perdonami, mi rendo conto di aver sbagliato, ho deciso tutto io senza chiedere mai il tuo parere. Non ti ho nemmeno chiesto se mi volevi sposare.!"

    Lei scoppiò a piangere e le lacrime le lasciavano righe chiare sulla faccia nera di fango.
    Lui l’aveva capita e la trovava ancora bella, nonostante fosse sporca e infangata. Con un groppo alla gola gli chiese: "Vuoi sempre sposarmi, o mio principe?"
    "Certo – rispose – se tu mi vuoi, vedrai che saprò farmi amare da te."
    Ma lei già lo amava e non solo perché era il principe ,ma anche perché era un uomo che sapeva capirla.
    Tornarono alla reggia e celebrarono le nozze con grande pompa. Dopo la festa una cameriera prese il vestito infangato per ripulirlo e si accorse che mancavano i bottoni d’oro a forma di fiore. Si erano staccati quando Gemma si era buttata nel fango; ma per quanto li cercassero, nessuno riuscì a trovarli.



    Da allora, tutti gli anni a primavera ,alla Peschiera, che ora è una zona umida all’uscita dell’abitato di Tai verso Valle, fioriscono i Botton d’oro, i bei fiori gialli della famiglia delle ranuncolacee, per ricordare la storia della bella Gemma che sposò il principe. (Anna Balducci)

     
    Top
    .
  6. gheagabry
     
    .

    User deleted


    IL RAPONZOLO DI ROCCIA



    Il raponzolo di roccia (Physoplexis comosa) è una specie molto antica e rara, unica rappresentante del genere physoplexis. Diffuso solo sull'arco alpino nella zona compresa tra il lago di Como e la Carinzia. Considerata una delle più tipiche specie relitte del periodo Terziario preglaciale. Cresce fino a 2000 metri di quota. E' uno dei più caratteristici e rari fiori alpini, vegeta nelle zone di gran parte dell'arco alpino. Cresce sulle pareti rocciose e calcaree verticali ed in ombra al di sopra dei 1400 metri. Deve il suo nome alla forma della radice, simile ad una piccola rapa; spesso è chiamato in tedesco "artiglio del diavolo", a causa della sua forma ad artiglio.
    Il raponzolo di roccia è uno dei più belli e vistosi ornamenti delle rupi verticali. Le decorative ed inconfondibili infiorescenze sono formate da fiori di colore violetto bruscamente ristretti verso l'alto. Abita esclusivamente le fessure umide delle pareti rocciose calcaree sulle quali fiorisce tra luglio ed agosto. Appartiene alla famiglia delle Campanulaceae. Le delicate ed inconfondibili infiorescenze, passano dal lilla-pallido al bleu-violetto sono incurvate, assottigliate e inscurite verso l’apice dal quale emerge per circa 1 cm. lo stilo violetto.


    LA DAFNE ODOROSA


    La Daphne Cneorum fa parte di un’ampia famiglia che comprende almeno qualche centinaio di specie differenti, a crescita spontanea. Dal sostantivo greco Ddàphne, pianta di alloro, è un nome di etimologia classica, collegato al mito della ninfa che preferì tramutarsi in pianta piuttosto che cedere a un amore non desiderato. Il nome scientifico della Dafne Odorosa è Daphne cneorum, si tratta una piantina arbustiva sempreverde con rami di lunghezza massima fino a 30-40 cm. Le foglie sono lucide e coriacee sulla parte superiore e glabre sulla pagina inferiore. Nnel periodo da aprile a luglio produce profumatissimi fiori rosso-porporini, con tubo peloso di colore omogeneo, riuniti in fascetti di 8-12. Alla fine della fioritura producono bacche senza polpa, prima giallastre poi brune a maturità. Vive sui pascoli e sulle rocce calcaree aride,sulle pendici sassoso-franose, tra i 200 e i 2000 m di attitudine. Si tratta di una bella pianta della famiglia delle thymelaeaceae e, come tutte le specie delle Daphne, è velenosa, non solo i fiori, ma anche le bacche giallognole sono molto velenose.

    IL TUSSILAGO FARFARA


    Detta anche Tussilagine, Tossilaggine comune, Fàrfara o Fàrfaro, Farfallone, Farfugio, Paparacchio, Farfaraccio, Piè d'asino. In lingua tedesca questa pianta si chiama Hauflattich; in francese si chiama Tussilage farfara o anche Pas d'âne; in inglese si chiama Colt's-foot.
    Il nome generico (Tussilago) deriva dall'uso molto antico di questa pianta nel campo della medicina popolare: tussis ed agere (= “tosse” e “fare” o “togliere”), quindi traducendo liberamente “far togliere la tosse”. I primi riferimenti si trovano già negli scritti dello scrittore e naturalista latino Gaio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio (Como, 23 – Stabia, dopo l'8 settembre 79). Il nome specifico (farfara) è ripreso dal nome antico in latino che questa pianta aveva presso i romani: farfarum. Questo termine potrebbe derivare da farfer (= portatore di farina) e probabilmente si riferisce al tomento bianco della pianta. Il binomio scientifico attualmente accettato (Tussilago farfara), come anche il nome scientifico del genere (Tussilago), è di Carl von Linné, biologo e scrittore svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, nella pubblicazione Species Plantarum del 1753.
    E- una pianta erbacea perenne, dotata di un grosso rizoma carnoso coperto di scaglie che si sviluppa orizzontalmente nel terreno fino a raggiungere anche i due metri di lunghezza. Dai rizomi, a fine inverno-inizio primavera e ben prima della comparsa delle foglie, spuntano scapi fiorali squamosi alti 10-30 cm. La farfara si riproduce sia per seme, sia per via vegetativa per mezzo del rizoma.
    Le foglie basali spuntano direttamente dal rizoma dopo la fioritura. Le giovani foglie hanno mediamente un diametro di 5-6 cm, e crescono durante l'estate fino a superare il doppio di questa misura. Verdi nella pagina superiore, hanno pagina inferiore coperta da un tomento bianco che tende a staccarsi e a cadere col tempo. Ogni fusto porta un unico capolino composto da una quarantina di fiori centrali (fiori del disco) tubulosi, anatomicamente ermafroditi, ma funzionalmente maschili, e da circa 300 fiori periferici (fiori del raggio) femminili e ligulati, con ligule lunghe e strette; tutti i fiori sono gialli.
     
    Top
    .
  7. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Sono tornati i papaveri..Questa mattina li ho visti, erano milioni, lungo tutta la strada, ordinati in gruppetti, mi hanno messo dentro una gioia enorme, una grandissima voglia di vivere e mi sono sentita infinita! (dal web)

    (Gabry)

     
    Top
    .
  8. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Via con il vento



    Nel prato di un giardino pubblico,con il tiepido sole della primavera, in mezzo all’erba tenera, erano spuntate le foglie dentellate e robuste dei Denti di Leone. Uno di questi esibì un magnifico fiore giallo. Innocente, dorato e sereno come un tramonto di maggio. Dopo un po’ di tempo il fiore divenne un <soffione> : una sfera leggera , ricamata dalle coroncine di piumette attaccate ai semi che se ne stavano stretti stretti al centro del soffione. E quante congetture facevano i piccoli semi. Quanti sogni cullava la brezza alla sera, quando i primi timidi grilli intonavano la loro serenata. “Dove andremo a germogliare?”. “Chissà?” “Solo il vento lo sa”. Un mattino il soffione fu afferrato dalle dita invisibili e forti del vento. I semi partirono attaccati al loro piccolo paracadute e volarono via, ghermiti dalla corrente d’aria. “Addio… Addio…” si salutavano i piccoli semi. Mentre la maggioranza atterrava nella buona terra degli orti e dei prati, uno, il più piccolo di tutti, fece un volo molto breve e finì in una screpolatura di cemento di un marciapiede. C’era un pizzico di polvere depositato dal vento e dalla pioggia, così meschino in confronto alla buona terra grassa del prato. “Ma è tutta mia!” si disse il semino. Senza pensarci due volte, si rannicchiò ben bene e cominciò a lavorare di radici. Davanti alla screpolatura nel cemento c’era una panchina sbilenca e scarabocchiata. Proprio su quella panchina si sedeva spesso un giovane. Era un giovane dall’aria tormentata e lo sguardo inquieto. Nubi nere gli pesavano sul cuore e le sue meni erano sempre strette a pugno.Quando vide due foglioline dentate verde tenero che si aprivano la strada nel cemento. Rise amaramente: “Non ce la farai! Sei come me!”, e con un piede le calpestò. Ma il giorno dopo vede che le foglie si erano rialzate ed erano diventate quattro. Dal quale momento non riuscì più a distogliere gli occhi dalla testarda coraggiosa pianticella. Dopo qualche giorno spuntò il fiore, giallo brillante, come un grido di felicità. Per la prima volta, dopo tanto tempo il giovane avvilito sentì che il risentimento e l’amarezza che gli pesavano sul cuore cominciavano a sciogliersi. Rialzò la testa e respirò a pieni polmoni. Diede un gran pugno sullo schienale della panchina e gridò: “Ma certo! Ce la posso fare!” Aveva voglia di piangere e di ridere. Sfiorò con le dita la testolina gialla del fiore. Le piante sentono l’amore e la bontà degli esseri umani. Per il piccolo e coraggioso Dente di Leone la carezza del giovane fu la cosa più bella della vita.(Rino)

     
    Top
    .
  9. gheagabry
     
    .

    User deleted


    “I’ll seek a four leaved Clover.
    In all the Fairies dells
    And if I find the charmed leaf. Oh, how I’ll weave my spells!”
    (S. Lover)
    "Cercherò un quadrifoglio. In tutte le dimore delle Fate
    E se troverò la foglia incantata.
    Oh, come intesserò i miei incantesimi!"


    IL TRIFOGLIO


    3pyy9Gz
    Il trifoglio è un genere di piante erbacee appartenente alla famiglia delle Fabaceae (o leguminose) e comprendente circa 300 specie. È diffuso nelle regioni temperate dell'emisfero boreale e in quelle montuose dei tropici, e deve il suo nome alla caratteristica forma della foglia, divisa in 3 foglioline (alcune specie però possiedono 5 o 7 foglioline). L'altezza della pianta può arrivare a 30 cm, ha radice a fittone robusta ed allungata. Il fusto e ramificato e foglioso. I fiori, che possono essere raccolti da luglio a settembre, sono solitari capolini peduncolati di colore rosa o violetto nel trifoglio pratense, e bianchi nel Trifolium repens; e i frutti si presentano come piccoli baccelli con un unico seme di forma ovale.
    Come molte altre leguminose, il trifoglio ospita fra le sue radici dei batteri simbionti capaci di fissare l'azoto atmosferico; viene utilizzato di conseguenza nel sistema di rotazione delle colture per migliorare la fertilità del suolo. Molte specie di trifoglio sono notevolmente ricche di proteine e vengono coltivate come foraggio per il bestiame. Data la sua proprietà di antagonista dell'Ambrosia, pianta infestante della famiglia delle Compositae in rapida diffusione in molte zone del nord Italia, la semenza di trifoglio viene usata in aggiunta alle granaglie per il controllo della diffusione dell'Ambrosia nelle zone agricole.
    XCxrEfWl
    Questa piantina è diffusa in tutto il mondo e cresce soprattutto nei prati, nei pascoli, nei terreni incolti, ai margini dei sentieri di campagna e persino nei punti in cui l’asfalto delle città lascia spazio a piccole crepe e zone terrose, nelle quali il trifoglio cresce spontaneo ricordando la bellezza della natura selvatica laddove spesso se ne dimentica l’esistenza. Particolari caratteristiche del trifoglio sono la sua capacità di germogliare dopo essere rimasto allo stato dormiente per molti anni, e di crescere spontaneamente ovunque, anche in luoghi nei quali non ve ne sia mai stata traccia e senza bisogno della diffusione dei semi. I vecchi contadini la soprannominavano “erba da latte”, in quanto aumenta nelle mucche la produzione del latte.
    Sin dall’antichità, il trifoglio dei prati era abitualmente utilizzato come medicina naturale, specialmente contro le febbri, le infiammazioni, la tosse e la ritenzione idrica. Le sue proprietà lo rendevano ottimo anche come tonico. Molto apprezzato dai Romani, era usato ovunque nell’alimentazione degli animali, soprattutto dei bovini, e nei loro trattati di medicina Dioscoride e Galeno gli avevano attribuito anche la proprietà di guarire dal morso dei serpenti velenosi.
    In India, il trifoglio veniva aggiunto al foraggio delle puerpere per favorirne la lattazione e anche per ristabilire l’utero dopo le fatiche del parto, in quanto era considerato un ottimo tonico uterino. Nella medicina popolare si utilizzano ancora i fiori essiccati, preparati come infuso, per curare tosse e raffreddore. Queste caratteristiche sono riconosciute anche in erboristeria. Il trifoglio bianco, o Trifolium repens, l’intera pianta è stata usata per molti secoli nella medicina tradizionale dei Nativi d’America per curare febbre, tosse e raffreddore, ma nonostante ancora oggi sia indicato contro le disfunzioni e i disturbi legati alla digestione, per curare le infiammazioni delle vie respiratorie, i sintomi influenzali e i dolori reumatici, è stato riscontrato che le sue foglie contengono una particolare sostanza che, una volta ingerita, si trasforma in acido cianidrico e può causare un lieve avvelenamento. Pertanto è meglio evitarne l’utilizzo.

    Il suo sapore dolce, piacevole e rinfrescante, lo rende ottimo per essere raccolto ed utilizzato in cucina. I fiori e le foglioline più giovani e tenere possono infatti essere aggiunte alle insalate estive, mentre quelle più grandi e mature vengono aggiunte alle gustose minestre di erbe e verdure; con i fiori, inoltre, si può preparare un tè dolce e delicato.

    "Fra le sue tenere foglioline le gocce di rugiada si raccolgono in mille piccoli specchi, e la triplice mezzaluna rivela il candido tocco della dama del cielo. Il piccolo trifoglio dai fiori bianchi e rosa è la piantina dell’estate e delle tiepide notti di luna, quando le fate dei boschi danzano e cantano nelle loro gioiose e interminabili feste e i folletti suonano musiche allegre e dolcissime seduti ai piedi degli alberi. Anticamente si credeva infatti che questa piantina germogliasse solo nei luoghi abitati dalle entità fatate, e che fosse infuso e vibrante del loro benefico potere."


    ...storia, miti e leggende...


    qw9ghhUl
    La caratteristica forma della foglia del trifoglio ha da sempre rappresentato, nelle varie epoche ed in diverse culture, un simbolo distintivo e beneaugurante: infatti il numero tre è da sempre stato considerato denso di significati mistici e religiosi. Per i primi cristiani infatti il trifoglio rappresentava la Trinità e la salvezza dal peccato, in quanto gli venivano attribuite proprietà curative contro il morso di serpenti e di scorpioni, a quei tempi rappresentazioni del demonio. In seguito divenne in Europa simbolo di fortuna e prosperità.

    All'epoca della dominazione inglese, re Giorgio III°, cercando di assicurarsi i favori della nobiltà irlandese, istituì nel 1783 l'Ordine di San Patrizio, nel cui stemma faceva bella mostra il trifoglio. In questo modo, legato alla figura del santo patrono, il trifoglio s'impose come uno dei simboli dell'Irlanda, tanto che il 17 marzo, festa del santo e della nazione, ancora oggi si possono vedere alcuni irlandesi portare sul vestito, come vuole la tradizione, uno o più mazzetti di trifoglio.
    A volte (circa una volta su un milione) i trifogli possono avere foglie con 4 foglioline: questi sono comunemente chiamati quadrifogli e vengono considerati portafortuna.
    Benché in italiano (come in gaelico) non si faccia distinzione tra il trifoglio comune e il più nobile trifoglio simbolo d’Irlanda, della città di Boston e comunemente associato alla figura di San Patrizio, in inglese esiste una netta distinzione terminologica e iconografica. Se quello che si può trovare in abbondanza nei nostri prati si può tradurre come clover (four-leaf clover nel caso del quadrifoglio) o trefoil, il secondo è conosciuto iconograficamente come shamrock. Quest’ultimo è una pianta di trifoglio (trifolium dubium o trifolium repens) particolarmente giovane, il cui nome deriva dal gaelico irlandese seamróg, che significa appunto “giovane trifoglio” o “piccolo trifoglio”.

    5T2bCtXl
    In tutto il mondo si conosce la presunta origine del trifoglio come simbolo dell’isola d’Irlanda attribuita a San Patrizio che pare utilizzasse questa particolare pianta intorno al V Secolo per spiegare agli irlandesi il mistero cattolico della Trinità. Le prime documentazioni iconografiche che riconducano all’utilizzo del trifoglio da parte del santo risalgono solo al 1600. Per averne invece una conferma scritta bisogna fare riferimento a testi risalenti al 1700: ben 1300 anni dopo la morte del santo. Il botanico Caleb Threlkeld scriveva appunto nel 1726:

    “Questa pianta viene usata come decorazione per i capelli ogni anno nel giorno del 17 Marzo (conosciuto come St. Patrick’s Day). Ciò avviene in base alla crednza che questo vegetale sia stato usato dal santo per spiegare il mistero della Santissima Trinità. Comunque sia, quando gli irlandesi indossano il loro Seamar-Oge, sono soliti eccedere con il liquore, cosa che non si addice al giorno del Signore; questo errore generalmente porta infatti alla sregolatezza.”


    In conclusione della festa gli irlandesi erano soliti brindare con il rituale conosciuto come drowning the shamrock: il trifoglio, estratto da capelli o copricapi, veniva posto nel bicchiere con l’ultimo sorso di whiskey. Una volta brindato e bevuto, si diceva portasse fortuna estrarre il trifoglio dal bicchiere e gettarlo dietro la propria spalla sinistra.
    Ma esiste un’altra teoria. Nel 1571 Edmund Campion, celebre studioso inglese di epoca Elisabettiana, scriveva che il trifoglio in Irlanda era comunemente usato come alimento. In realtà gli irlandesi non si cibavano di trifogli ma di acetosella dei boschi, una pianta simile al trifoglio largamente utilizzata in farmacia e nella cucina del medioevo come condimento o per dare sapore a zuppe e minestre.
    Nella letteratura scientifica dei secoli successivi si possono trovare numerosi riferimenti alla presunta usanza degli irlandesi di nutrirsi di trifoglio. Molti studiosi britannici facevano infatti del loro peggio per ostentare la bestialità degli Irish contrapposta alla presunta civiltà inglese. Gli irlandesi, alla stregua dei neri africani, diventavano così selvaggi mangiatori di trifogli, stupidi, analfabeti e talvolta persino cannibali agli occhi dell’aristocrazia britannica, abituata a giustificare con questo genere di razzismo “scientifico” la propria politica di repressione coloniale.

    fjMdmgcl
    Il trifoglio fu adottato come simbolo della lotta per l’indipendenza irlandese a partire dal XVIII Secolo, alla stregua della rosa rossa inglese, del cardo scozzese e del porro gallese. Le prime bandiere sulle quali si vide comparire lo shamrock furono quelle degli Irish Volunteers, che iniziarono a portare con orgoglio sulle proprie divise i trifogli simbolo d’irlandesità. Si trattava di un gruppo armato di volontari che sfruttarono il momento vantaggioso della Guerra d’Indipendenza Americana per ergersi a difensori dell’isola d’Irlanda nei confronti della minaccia di un’invasione francese o spagnola (essendo l’isola priva di difese in seguito all’invio oltreoceano delle milizie inglesi), facendo al tempo stesso pressioni independentiste sul Parlamento britannico.

    La pianta sacra dell’Equinozio di Primavera è proprio il trifoglio. Si tratta di una tradizione tarda risalente al II secolo e il trifoglio non era altro che la triskele, la ruota solare a quattro bracci, mentre la varietà a quattro foglie rappresentava la croce celtica, la ruota solare, il cerchio magico delle quattro direzioni: tutti simboli molto più antichi del Cristianesimo.

    K6WI5T8
    La tradizione celtica tramanda che fosse particolarmente caro ai druidi, i quali lo consideravano una delle erbe più potenti perché nelle sue foglie è contenuta la magia del numero tre, simbolo dei tre regni della vita – la terra, il cielo e il mare – delle tre età della luna, dei tre volti della Grande Madre e di molte altre triplici dimensioni dell’esistenza. Nella mitologia gallese, questa piantina era associata alla bellissima Olwen, la fanciulla dai capelli più biondi del fior di ginestra, i seni più bianchi del petto di un cigno e le vesti scarlatte come le fiamme, della quale si diceva che nessuno potesse incontrare lo sguardo “senza essere profondamente penetrato d’amore per lei” . La sua storia, trascritta nella raccolta mitologica de I Mabinogion e intitolata “Culhwch e Olwen”, narra infatti che ovunque ella andasse, dentro e fuori le mura del suo castello, nei boschi e nei prati, nelle brughiere e lungo le spiagge selvagge, quattro trifogli dal bianco fiore nascevano sotto ai suoi passi, disegnando i sentieri incantati da lei percorsi. Nella sua storia, la bella Olwen rappresenta la Fanciulla d’Amore, e come lei anche il trifoglio era legato all’amore, poiché si diceva che attraesse amore puro e fanciullesco, che fosse messaggero d’amore e che facesse nascere un nuovo amore in coloro che erano protetti dai suoi benefici influssi. Inoltre, la piantina era ispiratrice d’armonia, di pace e, com’è risaputo in tutto il mondo, era considerata un potente simbolo di buona fortuna.
    RTStaJ4l
    Secondo le fiabe irlandesi, il trifoglio era il prediletto degli elfi boschivi, che si dilettavano a succhiarne i gambi e i dolci fiorellini, e che, se solo lo avessero voluto, avrebbero potuto regalare un pizzico di fortuna a chi ne avesse tenuto in mano un rametto. Tuttavia, ancor più del trifoglio a tre foglie, magico e oltremodo potente era ritenuto il raro quadrifoglio, che infondeva la preziosa fortuna dei regni fatati e proteggeva da qualsiasi influenza avversa.
    Secondo i racconti popolari di Inghilterra, Francia, Svizzera e Italia, trovare un quadrifoglio lungo il cammino, e coglierlo delicatamente, avrebbe portato un’ondata di irrefrenabile felicità ed anche un nuovo amore, specialmente se a trovarlo fosse stata una bella fanciulla. Si dice infatti che la giovane avrebbe incontrato un innamorato prima del calar del sole. Portare un quadrifoglio in una scarpa riconduceva il viandante fra le braccia del suo vero amore, mentre nel folklore inglese si credeva che nasconderne uno sotto al cuscino suscitasse sogni d’amore che, grazie alla sua magia, si sarebbero presto avverati.
    Una delle proprietà incantate del trifoglio – e in particolar modo del quadrifoglio – era, come accennato, quella di proteggere dalle influenze ostili. A tal proposito, si credeva che la piantina non fungesse solo da viva protezione contro le oscurità, ma che potesse prevenirne gli attacchi, ovvero che rendesse capaci di prevedere e di intuire la minaccia di inganni e fatture, o il pericolo di cattive intenzioni da parte di persone vicine o entità malvagie, permettendo così di prevenirle, di difendersi e di rendere vano qualsiasi tipo di offesa.
    Il dono di vedere e prevedere si estendeva tuttavia anche a ciò che di bello e armonioso proviene dal mondo invisibile. Era infatti credenza comune nei territori di origine celtica che portare indosso un quadrifoglio rendesse capaci di vedere le Fate e permettesse talvolta di accedere al loro reame di luce e armonia. Esiste una fiaba proveniente dalla Cornovaglia, in cui si racconta di una fanciulla, che una sera, com’era sua abitudine, si recò a mungere le mucche: “Le stelle cominciavano a brillare quando lei finì il lavoro con Daisy, la mucca fatata. Il secchio era così pieno che essa riusciva a stento a sollevarlo. Prima di sistemarselo sulla testa prese una manciata di erbe e trifogli che si pose sul capo come un cuscinetto per reggere più comodamente quel peso. Ma appena i trifogli ebbero toccato la testa, lei vide apparire migliaia di minuscole creature che si affaccendavano intorno alla mucca. L’erba e i fiori di trifoglio formavano un mucchio che saliva fino all’altezza del ventre dell’animale, dove centinaia di quelle piccole creature correvano tenendo in mano bottoni d’oro, vilucchi, fiori di digitale; e bevevano il latte che Daisy lasciava colare come una pioggia dalle sue quattro mammelle. C’era anche un folletto più grande degli altri, che per meglio bere si era sdraiato e, appoggiando i talloni sul ventre della mucca, teneva con le mani una mammella, succhiandola avidamente. Quando la fanciulla ebbe raccontato alla padrona ciò che aveva visto, la donna esclamò che doveva avere un quadrifoglio sul capo: così era, infatti. ”

    72sIotPl
    Oltre a ciò che si conosce del trifoglio e del raro quadrifoglio, è rimasta anche una breve tradizione popolare legata al trifoglio a sole due foglie. Del suo potere magico parla infatti questa vecchia filastrocca inglese:

    “A Clover, a Clover of two. Put it on your right shoe;
    The first young man (or woman) you meet. In field street or lane,
    You’ll have him (or her), or one of his (or her) name.”


    "Un Trifoglio, un Trifoglio di due. Mettilo nella tua scarpa destra;
    Il primo giovane uomo – o donna – che incontri. Per strada di campo o via
    Lo avrai – o la avrai –, oppure ne avrai uno – o una – che abbia il suo stesso nome."


    Il piccolo trifoglio può forse apparire umile e semplice, e spesso passa inosservato fra la ricca flora di boschi e prati, ma il suo spirito è potente e la sua magia proviene dai reami sottili. Le sue proprietà medicinali, legate in particolare alla lattazione degli animali e alla cura delle donne, lo rendono una piantina cara al mondo femminile e ad esso intimamente intrecciata. Poiché nasce dall’impronta delle fate, indica i sentieri fioriti che portano al loro regno, e il segno della bianca luna fra le sue foglie lo infonde della materna e amorosa benedizione della Signora d’argento. Come un triplice sigillo d’amore e fortuna che guida e protegge lungo la via della felicità.( tempiodellaninfa.net)
     
    Top
    .
  10. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Solo il fiore che lasci sulla pianta è tuo.
    (Aldo Capitini)


    IL FIORDALISO


    Il fiordaliso (Cyanus segetum Hill, 1769) è una pianta erbacea appartenente alla famiglia Asteraceae. E' un fiore di campo autoctono dell'Europa e dell'America Settentrionale.
    Può raggiungere dimensioni notevoli, fino agli 80 cm, e presenta un fusto rigido e ramificato dal quale si sviluppano le foglie ricoperte di lanuggine; Sono strette e appuntite, dentate o incise, finemente intagliate o lunghe e sottili; tomentose o ruvide, sono quasi sempre di color verde-grigio. Il fiore può assumere colorazione bianca o rosata, anche se il più diffuso è il fiordaliso blu, con cinque lobi per fiore riuniti in capolini, all'interno dei quali si sviluppano più piccoli fiorellini di colore rossastro

    Il nome del genere deriva da una antica parola greca ”kyanos” o ”κύανο” (= sostanza di colore blu scuro simile ai lapislazzuli) e si riferisce al colore prevalente dei fiori di questo genere. Il nome specifico (segetum) deriva da una parola latina ”ségetis” (= “dei campi di grano” o anche “il seminato”) con probabile riferimento al suo habitat più usuale: i campi di cereali. Il suo nome comune deriva invece dal francese "fleur de lys" (fior di giglio),popolarmente è detto anche bluet. In Spagna viene chiamato azulejo, aciano o aldina mentre in Germania è chiamato kornblume. È chiamato anche Cìano sebbene il termine sia in disuso o di impiego poetico.
    Il binomio scientifico di questa pianta (Centaurea cyanus) è stato proposto dal botanico inglese John Hill (c. 1716 – 1775) nella pubblicazione “Herb Brit 1: 82” del 1769 riferendosi a due episodi della mitologia romana: il primo narra della dea Flora, innamorata di un giovanotto di nome Cyanus, che ritrovò morto disteso in un campo di fiordalisi e diede a quei fiori il nome del suo amato, e il secondo invece (Centaurea) prende il nome da Chirone, un centauro. Secondo l’antica leggenda Chirone era il centauro a cui Zeus aveva donato l’immortalità, un giorno, però, venne colpito con una freccia avvelenata, ad una zampa, da Hercules. Chirone che non poteva morire, per via della sua immortalità, e non poteva più rimettersi in piedi, a causa del veleno che aveva in corpo, riuscì, dopo una lunghissima sofferenza grazie alle sue sconfinate conoscenze a guarire, sul finire della primavera, preparando un impacco di fiori di fiordaliso appena sbocciati.

    ...storia miti e leggende...



    Alcuni resti del fiore risalgono all'era neolitica, le sue origini sono antichissime. In Oriente, se gli innamorati regalano all'amata un fiordaliso, è perchè vogliono esprimerle la speranza di ottenere felicità da lei. Rappresenta infatti la felicità nel linguaggio dei fiori ed è probabile che un riferimento tanto ambito gli derivi dal soprannome, spesso usato nei secoli scorsi, di "erba degli incantesimi". C'è chi, ispirato dei petali leggeri, gli ha attribuito il significato di leggerezza.

    Una delle tante leggende narra che re di Germania Guglielmo I, costretto a fuggire con la sua famiglia, ancora bambino, durante la dominazione napoleonica, venne tranquillizzato insieme agli altri bambini dalla madre, che raccolse e intrecciò tra loro i piccoli fiori del fiordaliso. Tornato sul trono, non dimenticò l'importanza del gesto e il ruolo del fiore, che venne fatto inserire nel simbolo araldico della casata. Una leggenda dell'Alto Adige racconta invece di una principessa dagli occhi azzurri, che si innamorò di un cavaliere. I due vissero felici per un po', ma alle soglie dell'inverno, insofferente ed irrequieto, decise di ripartire all'avventura, promettendo di fare ritorno in primavera. La principessa Drusilla, per amore lo lasciò partire. Con l'arrivo della primavera fu tanto grande il suo dolore nel non vederlo tornare da desiderare la morte, mentre le sue ancelle si struggevano all'idea che questo potesse davvero accadere. Mossa a pietà, una fata trasformò le ancelle in cicoria e la principessa in un Fiordaliso, blu come i suoi occhi.

    In Alto Adige si racconta di una principessa molto buona e bella, con grandi occhi del colore del cielo, che si chiamava Drusilla e viveva serena in un castello. Un giorno, un cavaliere si smarrì nei boschi e chiese ospitalità alla principessa che nel vederlo se ne innamorò. Il suo amore fu subito ricambiato e presto il cavaliere la chiese in moglie. Per qualche tempo i due sposi vissero felici, ma con l'arrivo dell'inverno, il cavaliere si fece triste ed irrequieto. Stare sempre rinchiuso nel castello lo annoiava, perciò decise di partire, promettendo a Drusilla di ritornare nella bella stagione. Lei, che desiderava vederlo felice, lo lasciò andare e, allo sbocciare della primavera, cominciò ad aspettarlo. Ma arrivò anche l'estate e lui non tornò. La delusione fu così grande che Drusilla si ammalò e disse alle fide ancelle che avrebbe voluto morire per porre fine al suo dolore, ma anche vivere per vedere tornare il suo amore. Le ancelle piansero, dicendo che se lei fosse morta, sarebbero morte anche loro. Quei discorsi furono ascoltati dalla Fata dei Fiori che, mossa a pietà per tanta devozione, sia da parte della sposa per il marito, sia da parte delle ancelle per la principessa, fece morire ed insieme vivere Drusilla e le sue ancelle. Trasformò le ancelle in fiori di cicoria, azzurri come i loro occhi, e la principessa in Fiordaliso che da allora, ad ogni bella stagione, sbocciano insieme sul ciglio delle strade o nei campi, sempre sperando di veder comparire il lontananza il cavaliere.

    ..una favola..



    Vivevano felici nel loro castello un grande Re e una buona Regina. Avvenne che la Regina morì nel dare alla luce la sua bambina. Una dama di corte, donna bellissima, era invidiosa e rosa dal desiderio di poter, un giorno, esser regina. Aspettava il frutto di un amore clandestino ma era riuscita a tenerlo nascosto. Nacque la sua creatura lo stesso giorno della figlia de Re. Fu allora che questa donna vide la possibilità di realizzare il suo sogno. Morta la Regina ella avrebbe potuto prendere il suo posto. Ma la Principessina? Occorreva scambiare le neonate. Con l'aiuto di una serva a lei fedele riuscì a rapire la bimba del Re e porre nella culla reale la sua bambina. La Principessa, affidata ad uno scudiero, fu abbandonata in un campo di papaveri perché si addormentasse di un sonno eterno. Come d'incanto però i papaveri, a poco a poco, si afflosciarono tutti e sbocciarono invece dei bellissimi fiori azzurri, che avevano il colore degli occhi della Principessa. La bimba, risvegliata, emise un vagito che fu udito da una pastorella che poco lontano pascolava la sua capretta. Corse la fanciulla, vide i nuovissimi fiori e capì che la bambina doveva essere la figlia di un re. La prese tra le braccia, la ninnò, le diede un po' di latte della sua capretta poi corse al villaggio a dare la notizia. E la notizia si propagò prestissimo e per monti e per valli giunse fino al palazzo reale. Il Re intuì qualcosa: volle vedere la piccola e nei suoi occhietti ritrovò lo sguardo della moglie perduta. La dama di corte fu smascherata e cacciata e la Principessa divenne grande insieme al suo papà.
    Ed i fiordalisi? Da allora continuarono a fiorire.
     
    Top
    .
  11. gheagabry
     
    .

    User deleted


    FIORI AUSTRALIANI




    Thysanotus tuberosus


    E' un erba perenne endemica dell’Australia. Il nome della specie tuberosus si riferisce alla radice croccante e commestibile; le foglie della pianta sono di forma lineare ed essa può crescere fino a 60 cm di altezza.
    Cresce in una grande varietà di situazioni, dalle parti semi-aride del sud dell’Australia orientale alle zone costiere che ricevono più di 1300 mm di pioggia all’anno. Queste piante si trovano spesso in aperta campagna,nelle brughiere o in boschi di sclerofille. I fiori si formano da settembre ad aprile. I tre petali fiori sono viola e durano solo per un giorno. Sono tra i più rari e bei fiori di campo dell’Australia.


    Thysanotus tuberosus


    Conosciuto come il fiore flanella, è una specie comune di fioritura delle piante autoctone del bosco australiano. Nonostante il suo aspetto, non è un membro della famiglia delle margherite, ma piuttosto una specie della famiglia delle Apiaceae, la stessa famiglia della carota.
    Il fiore flanella è generalmente un pianta erbacea che cresce fino a 50 cm di altezza, anche se esemplari rari si trovano ad essere 1,5 m di altezza.
    Le staminali, i rami e le foglie della pianta sono di un pallido colore grigio e sono ricoperte di peluria. La fioritura avviene in primavera e può essere profusa dopo incendi. Fiori di flanella crescono nella brughiera delle coste Australiane.[/color]

    Chamelaucium uncinatum


    E' una pianta che cresce spontaneamente nei boschi e nelle brughiere sabbiose dell’Australia occidentale (dove è noto con il nome di Geraldton wax flore). È un cespuglio perenne sempreverde che può raggiungere un’altezza di 2,50 metri e una chioma di 2 metri di diametro, con piccole foglie aghiformi lunghe da 10 a 40 mm, di colore che varia dal verde chiaro al verde scuro. I fiori, prodotti dall’autunno fino alla primavera e di colore generalmente bianco o rosa e in lacune varietà anche porpora, sono formati da cinque minuscoli sepali, cinque grandi petali cerosi e 10 stami: sono prodotti su rami fioriferi, lunghi da 40 a 100 cm, ognuno dei quali può produrre dai 50 ai 500 boccioli.
     
    Top
    .
  12. gheagabry
     
    .

    User deleted


    "Stella pallido che dai laghi di Galloway,
    in luoghi verdi e umide 'twixt la profondità e l'altezza
    Dost mantenere la tua ora, mentre Autunno rifluisce distanza,
    quando ormai le brughiere hanno tolse la brillante erica,
    erba di Parnassus, fiore della mia gioia ... "
    (Andrew Lang)


    LA PARNASSIA



    La Parnassia palustris è un'erba perenne, che raggiunge un'altezza massima compresa tra 5 e 40 cm.
    Le foglie, all'incirca cuoriformi, dotate di un lungo picciolo, sono raccolte in una rosetta basale, che spunta da un rizoma a volte ramificato. Il margine è intero; la lunghezza varia da 1 a 4 cm. A volte sulle foglie si riscontrano macchioline purpuree.
    I fiori, isolati, regolari, di media grandezza (tipicamente 2-3 cm di diametro), hanno 5 petali staccati tra loro, di colore bianco, con evidenti strie più scure. L'interno del fiore è ricco di stami sterili (staminodi), oltre a 5 stami fertili; il fiore è perfetto, nel senso che è dotato sia di stami che di pistillo. La fioritura avviene d'estate.
    Il frutto è una capsula lunga circa 1 cm, che contiene numerosi semi.
    I fiori del genere Parnassia, oggi appartenente alla famiglia delle Saxifragaceae, fu da C. Linneo collocato nel 1737 nella classe V, ordine IV (Tetraginia - 4 pistilli), separato dalle sassifraghe, che erano state collocate nella classe Decandria; il nome era stato da lui coniato facendo riferimento al monte Parnaso in Grecia.L'epiteto specifico si riferisce a grandi foglie della pianta.

    Il nome di specie fa riferimento invece al suo habitat di crescita, cioè i prati ed i luoghi umidi e torbosi dei monti delle regioni fredde e temperate dell’emisfero boreale, comprese quindi le Alpi e gli Appennino fino alla Maiella.

    Parnassus è stata la mitica dimora delle Muse, ed è quindi la casa spirituale per i poeti, nell’antichità era sacro ad Apollo e considerato la sede delle nove Muse, protettrici dell’epica, della storia, del canto lirico, del canto sacro, della tragedia, della commedia, della lirica corale, dell’astronomia e della poesia amorosa), perché la pianta cresce prevalentemente in montagna fino ai 2000 metri.

    L'EUFRASIE di MARCHESETT



    E' una pianta endemica risalente all'ultima glaciazione (inizio del Pleistocene nota come Würm ca. 12mila anni fa), ha un aspetto gracile ma le sue ampie corolle bianche orlate di violetto di 8-12 mm sono molto visibili, può arrivare ad un altezza di 25 cm.
    fiorisce da agosto a ottobre inoltrato creando nelle torbiere alcaline o nei prati umidi dove vive, una bellissima coltre bianca che forma delle nuvole biancastre nelle parti più aperte e luminose delle torbiere. Ha un singolare ciclo riproduttivo annuale, infatti in poche settimane produce i semi che propagheranno la pianta l'anno successivo; preferisce solo i posti aperti e non cespugliosi o ombreggiati.
    Scoperta alla fine del 1800 nelle paludi costiere del Lisert, nei pressi di Monfalcone, è una specie endemica che presenta la maggior parte del proprio areale in Friuli Venezia Giulia e Veneto orientale. E’ stata descritta per la prima volta nel 1897 da von Wettstein. Per la sua vulnerabilità è inserita nella Lista rossa delle Piante d’Italia ed è specie di interesse prioritario per l’U.E. ai sensi della Direttiva 92/43/CEE, ossia la sola presenza di questa specie giustifica la tutela dell’ambiente che la ospita.
     
    Top
    .
  13. gheagabry
     
    .

    User deleted


    La terra vi concede generosamente i suoi frutti, e non saranno scarsi se solo saprete riempirvi le mani. E scambiandovi i doni della terra scoprirete l’abbondanza e sarete saziati. Ma se lo scambio non avverrà in amore e in generosa giustizia, renderà gli uni avidi e gli altri affamati.
    (Kahlil Gibran)

    ARNICA


    L'Arnica (Arnica montana L.) è un'erba medicinale della famiglia delle Asteraceae. Il nome del genere (Arnica) potrebbe derivare da una alterazione del tardo-latino ptàrmica, a sua volta derivato dal greco ptarmikos (starnutatorio) con allusione alle proprietà starnutatorie connesse con l’odore della pianta. Altri preferiscono associarla alla parola greca arnakis (pelle di agnello) facendo riferimento alla delicata tessitura delle sue foglie.
    In Francia è molto comune la denominazione di Tabac des Vosges in quanto gli abitanti delle regioni montane se ne servono come tabacco da fiuto; in Italia è chiamata volgarmente Tabacco di Montagna. La sua origine si fa risalire alle praterie acide dell’Europa centro settentrionale. La prima documentazione dell’Arnica montana risulta del 1731 in un manuale di giardinaggio.

    L’arnica cresce in montagna nei prati e nei pascoli, a partire dagli 800 metri d’altitudine fino ad oltre i 2000, da giugno fino ad agosto secondo l’altitudine, dell’esposizione e dell’andamento stagionale. Non ha grosse esigenze e si adatta con facilità ai terreni poveri dei prati-pascoli di montagna prediligendo i suoli calcarei. L’arnica è una pianta povera, di nessuna utilità pratica, di nessun pregio alimentare, di sapore così sgradevole che persino gli animali lasciati al pascolo la ignorano assicurandole in tal modo la sopravvivenza. Il sua diffusione è vastissima, interessando l’Europa centrale e meridionale, il Nord America e l’Asia centrale. L'arnica è piuttosto rara in Italia dove cresce bene sui terreni e sui pascoli delle Alpi e dell'Appennino settentrionale. E’ assente nelle isole britanniche. Questa pianta appartiene alla flora protetta, trattandosi di una tra le piante medicinali più utilizzate al mondo
    In molte parti d'Europa, ma anche in zone italiane come la Valsesia, l'arnica è considerata tra i “Fiori di San Giovanni”, insieme al ribes, all' artemisia, alla verbena e all'erica, tutte erbe benefiche per la cura e la protezione delle baite e degli animali in montagna. Queste piante, nella notte dei fuochi di San Giovanni, il 24 giugno, appena dopo il solstizio d'estate, venivano portate dai pastori per essere benedette in chiesa dopo l'accensione dei falò notturni, di buon auspicio per l'estate. In Italia è considerata specie protetta, secondo la direttiva 92/43/CEE del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.

    L’arnica è pianta erbacea perenne caratterizzata da un rizoma cilindrico di colore nocciola chiaro; ha portamento eretto, raggiunge i 50 centimetri e, nelle praterie miste molto rigogliose, li supera con facilità rimanendo di dimensioni più contenute nei prati in quota. Le foglie sono glabre nella parte inferiore, ma ricoperte di piccola peluria nella parte superiore; sono sessili con nervatura evidente di forma bislunga ed ellittica, più larghe nella rosetta basale su cui si innesta lo scapo e più lanceolate verso l’alto. Le foglie sullo scapo si presentano opposte. La consistenza è coriacea. Il fiore è una classica infiorescenza a capolino che ricorda la struttura della margherita. Il diametro dei grandi capolini solitari raggiunge i 5-6 centimetri, ma non è raro incontrare esemplari di ben 8 cm. di diametro. L’involucro del fiore è villoso. I fiori sono di colore giallo-aranciato: quelli periferici sono ligulati femminili o sterili, quelli interni sono tubolosi ed ermafroditi. I frutti sono acheni bruno-nerastri. L'arnica rilascia un leggero profumo, peraltro gradevole. Il raccolto avviene all'inizio della fioritura, ovvero tra maggio e giugno. L'essiccazione sopraggiunge velocemente. Il frutto vero e proprio è un achenio dotato di una struttura “volante” che facilita la dispersione.

    Le parti utilizzate in fitoterapia sono i fiori e il rizoma. I costituenti principali sono i flavonoidi, i triterpeni, i lattoni sesquiterpenici, un olio essenziale contenente anche timolo, le cumarine e i derivati dell’acido caffeico. La pianta possiede eccezionali qualità antisettiche, antinfiammatorie e analgesiche, e la sua principale proprietà è nel trattare i traumi e le contusioni. Nella medicina popolare è utilizzata soprattutto in caso di contusioni, slogature, ematomi, strappi e dolori muscolari, geloni, punture di insetti e cura dei capelli.

    È velenosa se ingerita. Per questo scopo l'arnica si utilizza anche sotto forma di pomata. In forma di crema o di tintura diluita, è utilizzata nei dolori reumatici e per l'alopecia. Tutta la pianta (fiori e rizoma) contiene un glucoside , l’arnicina che è simile, come azione, alla canfora. Produce due differenti olii essenziali, uno localizzato nei fiori e l’altro nei rizomi essiccati. Dalla pianta si può estrarre anche fitisterina, acido gallico e tannino. Se ingerita, la tintura non diluita può provocare tachicardia, enterite e persino un collasso cardiocircolatorio. Per queste proprietà, un tempo questa pianta era utilizzata come veleno. Non sono noti antidoti.


    “l’arnica montana, alle prime avvisaglie della cattiva stagione, sembra scomparire dai prati e dai pascoli, ma è soltanto il suo sistema di difesa perché, in realtà, sotto la coltre di neve, sotto il mantello protettivo dell’erba bruciata dal freddo, le radici riposano e si nutrono preparandosi alla ripresa primaverile. poi, a partire da maggio, in cima ai sottili steli dell’arnica appaiono le infiorescenze e si ripropone la piccola magia della “china dei poveri”: quella di saper rubare la luce del sole e poi rimandarla verso l’alto al tramonto, quando la prima ombra sembra invitare ogni creatura vivente al riposo.”


    ..storia, miti e leggende..


    L'arnica è una delle piante officinali più antiche citata da poeti e scrittori. Si trovano alcune descrizioni delle sue proprietà curative nei trattati di medicina dell'antica Grecia. Dioscoride Pedanio, medico, botanico e farmacista greco del I secolo, le conferisce il nome di "alcimos", che significa "salutare, benefica". È addirittura plausibile supporre che l'arnica fosse impiegata già nella preistoria. Questa popolarità tra i medici delle epoche passate ha fatto sì che l'arnica diventasse la pianta più comunemente utilizzata per la cura dei traumi fisici.
    L’arnica e’ stata descritta per la prima volta nel XVI secolo dal medico tedesco Theodorus Jacobus von Bergzabern, che diede alla pianta il nome attuale. E’ chiamata comunemente starnutina per la capacita’ che ha il suo odore d’ indurre starnuti. La grande fortuna dell’arnica come pianta medicamentosa arriva nel XIX secolo e fra le voci più importanti ricordiamo Antonio Campana nella sua “Farmacopea ferrarese” del 1821 e nel 1854 il farmacologo francese A. Bouchardat. Dato il suo impiego nelle febbri intermittenti e adinamiche era chiamato anche “china dei poveri”, perché la china vera e propria raggiungeva allora sul mercato erboristico quotazioni non a tutti accessibili.

    ..una leggenda..



    Una leggenda narra che in un villaggio montano il maligno rendeva impossibile festeggiare la Pasqua secondo i più sacri dettami, perché sottraeva tutti gli agnelli nati nell’anno prima della festa. I pastori erano terrorizzati, ma due giovani amici vollero per una volta sfidare il demonio vegliando giorno e notte sul gregge. Dopo essere stati beffati a più riprese i due si risolsero a tentare l’impossibile: attaccare loro stessi il nemico. Armatisi di forche lo attesero, ma non riuscirono nell’intento di sconfiggere un così navigato avversario, anzi, il diavolo, irato da tanto ardire, rapì agli inferi uno dei due affermando che lo avrebbe liberato solo quando l’altro sarebbe stato in grado di portare la luce nel regno oscuro. Dopo essersi disperato, l’unico guardiano rimasto chiese protezione agli angeli e da questi ebbe un segreto consiglio. Il giovane nascose nelle sue tasche i semi dell’arnica raccolti sul pascolo, bagnati con l’acqua del fonte battesimale e attese di nuovo la notte. Attaccò ancora il maligno così da indurlo a rapire pure lui verso la terra degli inferi. Una volta ricongiuntosi all’amico il giovane pastore sparse intorno a sé i semi dell’arnica che subito germogliarono anche in quel terreno povero e sassoso; la loro crescita, tanto erano amari, non interessò le creature della tenebra e quando le loro splendide corolle si aprirono all’improvviso, fu come se tante piccole luci come quelle delle stelle avessero osato sfidare la notte. Pur tuonando come nei migliori temporali che si ricordino il maligno dovette dichiararsi sconfitto e rilasciò i due amici sul pascolo insieme con una miriade di agnelli non più bianchi, ma neri come la pece.
     
    Top
    .
  14. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    «Coloro che hanno le stelle favorevoli
    si vantino pure di pubblici onori e di magnifici titoli,
    mentre io, cui la fortuna nega un simile trionfo,
    gioisco, non visto, di ciò che più onoro.
    I favoriti dei grandi principi schiudono i loro bei petali
    come la calendula sotto l'occhio del sole,
    e in loro stessi il loro orgoglio giace sepolto,
    poiché, a un cipiglio, essi nella loro gloria muoiono...."
    (Shakespeare, sonetto XXV)


    LA CALENDULA


    La Calendula appartiene al genere di piante della famiglia delle Asteraceae, originaria dell' Europa, Nord Africa e Medio oriente. Comprende 12 specie la più conosciuta delle quali è la Calendula officinalis.
    La Calendula è una pianta erbacea annuale, conosciuta con il nome “fiorrancio”, la si trova nei prati incolti, nei bordi delle strade e negli oliveti fino a 600 metri d'altitudine. Gli steli della calendula possono raggiungere l'altezza di circa 50- 70 cm e presentano diverse ramificazioni, al cui termine si sviluppano fiori ; la radice fittonante raggiunge una profondità di non più di 30 cm. Le foglie sono lanceolate, spesse e ricoperte da una densa peluria che le danno un aspetto vellutato, prive di picciolo, con i margini interi o lievemente ondulati e leggermente acuminate all'apice e di un colore verde chiaro. Le foglie inferiori sono più piccole e disposte a rosetta rispetto a quelle superiori che rimangono più slanciate e grandi. I fiori di colore giallo-arancio raccolti in capolini, sono molto simili alle margherite ma di dimensioni maggiori e con petali di colore giallo-arancio con il centro di color porpora. La fioritura avviene in estate e si prolunga fino ai primi freddi autunnali. Le brattee che circondano la corolla sono di colore verde chiaro di forma ovale e leggermente appuntite. I frutti sono degli acheni di forme diverse: quelli posti più esternamente sono arcuati e con il dorso dentato, quelli medi hanno delle ali laterali e con una forma che ricorda una barca, quelli più interni ricordano dei lombrichi in quanto stretti e lunghi.
    Nel’etimo-
    logia del nome calendula esistono pareri differenti, secondo alcuni il termine deriva dalla parola latina calendae che significa primo giorno del mese, questo significato potrebbe derivare da un’antica allusione allo scorrere del tempo, i semi della calendula, infatti, somigliano ai piccoli quarti di luna che compaiono una volta al mese. Secondo un’altra teoria il termine calendula deriva, invece, dalla parola greca kàlanthos che significa coppa o cesta, in questo caso il nome sarebbe riferito alla forma del fiore. Un'altra scuola di pensiero sostiene invece che derivi da calendario poichè segna il ritmo del giorno aprendosi al mattino e chiudendosi al calar del sole e per questo motivo nei testi medievali si chiamava solis sponsa «sposa del sole». Il termine "marigold" degli inglesi la accomuna alla Vergine Maria, cui erano dedicati nel Medioevo con il nome di "oro di Maria".

    Può essere considerata il barometro dei contadini: se i suoi capolini di primo mattino sono già aperti è sintomo di bel tempo, mentre se il bocciolo resta chiuso, è certo che nella giornata pioverà.

    Le parti utilizzate per la proprietà terapeutiche sono le sommità fiorite. Nel fiore si possono trovare, oltre all’olio essenziale, carotene e betacarotene, anche un principio amaro, saponina, alcol, acidi e tracce di acido salicilico. La mistica benedettina, conosciuta come Santa Ildegarda (anche se il processo di canonizzazione non è mai giunto a conclusione) studiosa di medicina e vissuta in Germania, rese famosa questa pianta come rimedio per tutta una serie di malattie.

    In cucina le foglie della calendula vengono usate nelle minestre e nelle insalate miste, i petali freschi aromatizzano invece pesce, risotti e formaggi. Con i fiori si possono creare anche infusi e decotti o essere utilizzati per la preparazione di aceto e miele, tutti ricchi di vitamine e sostanze naturali che stimolano il sistema immunitario. Dal sapore leggermente piccante e amarognolo, veniva adoperato in cucina dai Romani che la usavano soprattutto per insaporire le vivande come sostituto del più costoso zafferano.
    Nell’uso decorativo la calendula, adeguatamente essiccata, è uno dei pochi fiori che non subisce nessuna degradazione di colore rimanendo di un giallo intenso per molti anni. I capolini sono usati per tingere con varie sfumature di giallo tessuti delicati quali la seta e la lana.

    ..storia, miti e leggende..


    In Africa, Medio Oriente, Asia, Europa, la calendula fu una pianto tra le più usate fin dall’antichità, indistintamente per le sue proprietà e per la sua bellezza. Gialla come il sole al cui tramontare reclina il capo in segno di mestizia, con semi ricurvi e tondi come le lacrime di Venere che piange per il suo Adone, dal profumo intenso e particolare, tanto da poter essere fastidioso, il fiore di calendula, nell’ 800, divenne il simbolo di cortigiani ed adulatori, ma c'è anche una corrente di pensiero che lo vuole simbolo dell'amore puro e infinito.

    La più antica divinità legata alla Calendula è Cautha o Catha, la Dea etrusca del Sole, in seguito affiancata e poi sostituita da Usil/Apollo; a volte è ricordata come divinità maschile, forse a causa dell' influenza della cultura greca che vedeva il Sole strettamente maschile. Nella mitologia greca, I semi di questo fiore che colora i giardini in tutta l’area del Mediterraneo durante l’estate, l’autunno e gli inverni più miti, con la loro caratteristica forma di una mezzaluna per i Greci rappresentavano, secondo la leggenda, le lacrime della dea Afrodite disperata per la morte del suo amante, Adone che era stato trafitto da un cinghiale mandatogli contro da Ares, suo gelosissimo marito. In un’ altra leggenda, si narra che, Adone figlio di Mirra e Tia, venne cresciuto da Venere poiché la madre era stata trasformata, dagli Dei, in un albero, per punizione. Venere rimaneva sempre più incantata dalla sua bellezza, tanto da suscitare le ire del marito.
    La calendula è citata in moltissimi testi greci. Molti antichi scrittori, però, il più delle volte, la scambiavano con il chrysanthemum chiamandola pianta dai fiori d’oro. Sia per i greci che per i latini, il fatto che i fiori si aprissero al mattino per richiudersi al tramonto, era considerato un simbolo di sottomissione e di dolore per la scomparsa del sole, la calendula sia stata associata nel corso dei secoli ai sentimenti di dolore, noia e pena.
    Nonostante la distanza tra il continente europeo e quello americano, anche in America meridionale la calendula è da sempre stata considerata un simbolo di dolore, in particolare per i messicani è il fiore simbolo della morte, una leggenda narra che le calendule, portate dai conquistatori, si siano sviluppate e diffuse nel territorio messicano a causa del sangue versato dagli indigeni, vittime della corsa alla conquista dell’oro da parte dei bianchi. Per gli inglesi le calendule rappresentano il sentimento della gelosia, secondo le credenza popolari esse sono delle zitelle che, non essendo mai state amate da nessuno, alla loro morte si trasformano in calendule gialle dalla rabbia. In Germania viene chiamata kuhblume ed è tradizionalmente usata nel periodo della Pentecoste per adornare i bovini durante la Pfingst Procession.
    Nel medioevo, secondo una leggenda nordica, veniva seminata sulle orme lasciate dal proprio amato per il grande potere di rigenerare il sentimento tra due innamorati.
    La calendula era nota agli antichi anche per le sue proprietà terapeutiche, gli estratti di calendula venivano adoperati come emollienti e per lenire i fastidi di infiammazioni e irritazioni.
    A partire dal Medioevo cominciò ad essere apprezzata anche per le sue virtù salutari e ad essere utilizzata come antinfiammatorio e cicatrizzante. Carlo Magno la incluse tra le piante da coltivare presso i giardini officinali del suo vasto regno. L'emblema di Margherita d'Orléans era una calendula che girava attorno al sole con il motto: "Io non voglio seguire che il sole". Nei giochi di Tolosa, i celebri "jeux floraux", al poeta vincitore si offriva una calendula d'argento in onore del fondatore, secondo la tradizione Clemence Isaure, di cui era il preferito.

    Nel linguaggio dei fiori e delle piante, nonostante la bellezza dei suoi fiori, la calendula non ha mai perso il suo significato originale e simboleggia ancora oggi il dispiacere, il dolore, le pene d’amore e la gelosia. Simbolo di speranza e di rinnovo ciclico della vita, ma anche dell’amore puro che sfida l’ineluttabilità del tempo e la vince, l’infiorescenza giallo – arancio della calendula è un piccolo satellite di petali incantato dal sole, lo insegue dal suo sorgere e con mestizia si ripiega su di sé al tramonto.


    .
     
    Top
    .
  15. gheagabry
     
    .

    User deleted


    .

    L'ALCEA ROSEA


    L' Alcea rosea chiamata anche malvarosa o malvone è una pianta ornamentale della famiglia delle Malvacee.
    Ha grandi foglie alterne ovato-lobate, bollose. Il fusto ha un portamento eretto, e le foglie sono ricoperte da una fitta peluria che rende la pianta ispida al tatto. I fiori sono ascellari, con colori dal bianco al rosa al rosso, anche screziati. Esistono varietà viola, blu e quasi nere. È pianta rustica, infestante dal vigoroso sviluppo, capace di vegetare allo stato selvatico anche in condizioni estreme come sui bordi della strada e in terreni aridi.
    E' descritta variamente come pianta annuale o biennale e la ripresa vegetativa della pianta avviene per auto-semina. Se si lascia sviluppare il fittone radicale in modo naturale, la pianta è perenne.
    Ha accrescimento molto rapido in primavera-estate, dove dalla rosetta basale si slanciano uno o più fusti verticali che raggiungono rapidamente l'altezza di 1,5 - 2,5 m o più. La fioritura perdura fino ad inizio autunno. Ai primi freddi invernali i fusti si seccano e la pianta si riduce cespo globoso di 20-30 cm, forma sotto la quale la pianta sverna allo stato di sempreverde.
    La radice della pianta è un fittone carnoso bianco; si insinua facilmente a grandi profondità per circa 1, anche in terreni compatti e sassosi, ed ha numerose indicazioni farmacologiche. La raccolta della radice avviene in autunno da piante di due anni d'età: viene tagliata in bastoncini di max 20 cm, decorticata e seccata a 40 °C. Le radici vengono vendute anche sotto forma di estratti secchi, sciroppi e pastiglie. Gli zuccheri mucillaginosi di cui le radici sono ricche, composti principalmente da acido glucuronico, acido galatturonico, ramnosio e galattosio, a contatto con l'umidità si convertono in un soffice gel che viene utilizzato per proteggere la faringe dagli elementi irritanti e nel trattamento della tosse secca.

    ...storia, miti e leggende...


    In Giappone, durante il periodo Edo, la malvarosa era il simbolo dello shogunato Tokugawa, e chiunque portasse tale simbolo sul kimono era rappresentante dello shōgun sotto tutti gli aspetti. Chiunque arrecasse danno o si opponesse agli ordini del rappresentante dello shōgun veniva punito anche con la morte. Puntare un'arma nei confronti di tale simbolo era considerato una vera e propria aggressione nei confronti dello shōgun stesso.

    Il suo nome comune deriva da Hocys Bengaida, un nome dato in Galles alla Malva Benedictus, "malva santo" dalla letteratura medievale latina. Wedgewood, un botanico inglese, afferma che è stato chiamato "santo" perché la prima delle piante portata in Europa meridionale apparteneva alla Terra Santa, ma in realtà è originaria della Cina. La sua caratteristica di sopravvivenza in tutti i climi e terreni ha fatto si che fosse trapiantata in tutte le parti del mondo civile durante il Medioevo. In un trattato orticolo britannico, del 1548, è citato come "santo-Hoke", un adattamento del nome gallese.
    Per gli spagnoli, l'Alcea era conosciuta come Las Varas de San Jose ", "personale di San Giuseppe," per questo motivo la si vede raffigurata in molti dipinti di San Giuseppe, a sud dell'Europa; la sua qualità di resistere ad ogni sorta di circostanze in tutti i climi e terreni rappresenterebbe l'amore e la misericordia di Dio per l'umanità.
    I fiori di Alcea hanno una lunga storia, resti di questo fiore sono stati trovati in una tomba dell'età della pietra a Shanidar in Iraq. Gli antichi Egizi facevano corone di Malvone che deponevano nelle tombe vicino alle mummie, indicando che la pianta aveva connotazioni con il cerchio della vita, accompagnava i morti nelle loro nuove vite. Oltre ai riti funerari, gli Egizi, così come Romani mangiavano la radice, perchè ricca di zuccheri, bollita o fritta. L'Alcea probabilmente giunse in Europa dal Medio Oriente dai crociati di ritorno dalle guerre sante, intorno al 1500, e divenne ben presto un punto fermo di giardini medievali. Durante l'epoca Tudor, la Malvarosa fu usata per prevenire aborti spontanei, dalla macerazione delle fioriture nel vino. Veniva data ai bambini da masticare, per lenire il processo di dentizione. La versione nera, simile se non identici a quelli cresciuti da Thomas Jefferson a Monticello erano conosciuti in Europa nel 1629; Frank Lloyd Wright chiamò il suo primo progetto di Los Angeles, "Hollyhock House" (nome inglese), dato che era ilfiore preferito di Aline Barnsdall.
    I fiori possono essere utilizzati per creare un colorante rosso ruggine, usato in molte opere d'arte. Tre sono gli esempi più noti: Georgia O'Keeffe in "Malvarosa nera, speronella blu", "rosa con Pedernal," e il realistico "Vaso con Malvarosa" di Vincent Van Gogh.

    I fiori freschi erano considerati una prelibatezza culinaria nella vecchia Cina. I fiori secchi erano molto usati come un tè dalle donne in Inghilterra e New England. Ogni famiglia aveva delle piante di Malvone. Nel 1800, la linfa di Malvarosa unita allo zucchero venita versata in stampi e venduta come caramelle. Vi è una ricetta che risale al 1660 che raccomanda la combinazione Malvone, calendule, Wild Thyme e boccioli di Hazel per consentire mortali di vedere il popolo delle fate.

    La Malvarosa divenne "un fiore all'occhiello" per i giardini dei cottage inglesi, data la loro travolgente altezza insieme con le loro fioriture espansiva. Nei circoli pagani e wiccan, Malvone è associata a Lammas causa della sua tendenza a riprodurre in abbondanza. In realtà, si dice che uno dei motivi per cui è usato così vicino ai cottage inglesi, era quello di promuovere l'abbondanza in casa, sia in potere e ricchezza, ma anche nella fertilità.

    .
     
    Top
    .
59 replies since 28/9/2010, 15:16   80069 views
  Share  
.