FIORI di CAMPO..e di MONTAGNA

tutti i tipi di fiori..spontanei

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  1. gheagabry
     
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    L' ALTHEA



    L’altea, Althaea officinalis L., è una pianta erbacea perenne della famiglia delle Malvaceae, alta da 60 a 150 cm. É diffusa nell’Italia settentrionale e centrale, si trova nei luoghi umidi e freschi e lungo i corsi d’acqua fino ai 300m. Questa pianta erbacea è conosciuta anche come Malvavischio, Bismalva, Arteja, Vamarosa, Malva selvaja, Bonavisch, Altee di speziarìe, Narbonia, Pramariscu.
    Il fusto dell’altea è robusto, cilindrico, vellutato, poco ramificato; le foglie di questa pianta erbacea sono ovali-appuntite, spesse, di colore verde biancastro, picciolate, larghe, ed i fiori sono bianchi o rosa, disposti a tre all’ascella delle foglie sulla parte alta del fusto. Ha una radice a fittone lunga e carnosa. L’altea fiorisce da giugno a settembre: E’ incompatibile con l’alcool di forte gradazione, con il tannino e con il ferro.
    L’altea è arrivata in Europa dalle steppe asiatiche molto prima dell’era cristiana. Questa pianta erbacea è citata in uno dei Capitolari di Carlo Magno e fu largamente coltivata nel Medioevo, era una delle erbe più sfruttate nell’erboristeria praticata da i monaci e rientra nelle piante denominate “semplici” e coltivate nei monasteri. L’altea è sfuggita alle antiche coltivazioni e si è facilmente naturalizzata nelle campagne italiana ed europee.
    I Greci e i Latini ne conoscevano diversificati usi terapeutici, infatti, proprio queste proprietà gli hanno valso il nome antonomastico di althos che significa proprio (rimedio).



    La rosa altea o ibisco (Hibiscus syriacus), chiamata mugunghwa (무궁화 無窮花) in coreano, è il fiore nazionale della Corea. Non fu mai proclamata ufficialmente dalle autorità come fiore nazionale e nessuno insistette che fosse designata come tale, ma i coreani hanno considerato la rosa altea come loro fiore nazionale fin dalla fine del 19º secolo. Prova di ciò è nella frase dell'inno nazionale coreano che dice: “La rosa altea, gli splendidi fiumi e monti per tremila li” (무궁화 삼천리 화려강산).
    La coltivazione della rosa altea in Corea risale a più di duemila anni fa. Un passaggio nel Sanhaegyŏng (산해경 山海經), un testo di geografia pubblicato in Cina durante l'epoca degli Stati guerreggianti, riporta: “Nella terra dei gentiluomini vi sono rose altee che fioriscono di mattina e appassiscono alla sera”. Lo studioso Kang Hŭi-an (a cui si è accennato prima) nel suo libro Yanghwasorok notava che “i coreani coltivavano la rosa altea da quando Tan'gun (단군 檀君) fondò la nazione”. In effetti, la Cina e altre nazioni hanno per lungo tempo citato la Corea come “la terra delle rose altee”. Ma anche la stessa Corea a quel tempo definiva se stessa come “terra delle rose altee”.
    In un messaggio scritto all'imperatore della Cina Tang su ordine del re, Ch'oe Ch'i-wŏn di Silla avvertiva: “La terra delle rose altee (Kŭnhwahyang 근화향 槿花鄕, termine che qui indicava Silla) è modesta e prudente, ma Kosiguk (termine che indicava Parhae 발해 渤海, un regno vicino) sta diventando sempre più belligerante.” Questo riferimento alla Corea come la terra della rosa altea, stabilisce effettivamente tale fiore come fiore nazionale già nel nono secolo.
    La rosa altea veniva anche usata nella corona di fiori che il re conferiva allo studioso che otteneva il posto più alto negli esami statali per l'ufficio di livello superiore durante il periodo Chosŏn (조선 朝鮮 1392-1910). Gli invitati che prendevano parte ai banchetti che erano onorati dalla presenza del re decoravano il proprio cappello con la rosa altea. Mugung significa “immortalità” e hwa vuol dire “fiore”, per cui in coreano il nome significa “fiore dell'immortalità”. Si dice che rappresenti bene il carattere tenace del popolo della penisola coreana.

    In Giappone, durante il periodo Edo, l'altea era il simbolo dello shogunato Tokugawa, e chiunque portasse tale simbolo sul kimono era rappresentante dello shōgun sotto tutti gli aspetti. Chiunque arrecasse danno o si opponesse agli ordini del rappresentante dello shōgun veniva punito anche con la morte. Puntare un'arma nei confronti di tale simbolo era considerato una vera e propria aggressione nei confronti dello shōgun stesso.




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  3. gheagabry
     
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    Il GIGLIO MARINO



    Il Giglio marino, o Pancratium maritimum, è una pianta bulbosa della famiglia delle Amaryllidaceae che cresce spontaneamente sui litorali sabbiosi. Presenta foglie lineari piane e i fiori, che sbocciano in estate, sono bianchi e profumati, disposti ad ombrello lungo l’apice del peduncolo. Il fiore ha una doppia corolla con forma di ombrello. Il Giglio marino vive in riva al mare, dove cresce sulla sabbia delle dune litoranee.
    La pianta raggiunge un’altezza di 50-60 centimetri, presenta foglie di colore verde glauco, rivolte a spirale. I fiori sono grandi ed ermafroditi, i petali sono contenuti in un tubo fiorale stretto e di colore verde. All’estremità superiore,s i formano un imbuto con 6 lacinie bianche bordellate di verde.
    L’impollinazione avviene tramite gli insetti, mentre i frutti sono delle capsule grandi pochi centimetri che contengono i semi neri. I semi galleggiano in acqua, con questo si spiega la grande diffusione anche via mare. Contengono inoltre la licorina, sostanza velenosa.

    Pancracio viene del greco παν (pan, "tutto") e κρατυς (cratys, "potente") in allusione alle supposte virtù medicinali. Maritimum viene dal latino "mar", per via del suo habitat costiero.



    I NOMI COMUNI DEL PANCRATIUM MARITIMUM
    In Italia: giglio di mare, pancrazio, giglio pancrazio, emerocallide valentina, narciso marino.
    In Francia: scille blanche, narcisse de mer, lis de
    Mer, lis Mathiole, pancraïs.
    In Spagna: azucena marina, lliri de Mar, lliri blanc
    de marines, pancracio, lágrimas de la Virgen,
    nardo marino.
    In Portogallo: narciso das Areias.
    In Germania: meer-gilgen, trichternarzisse,
    dünen-Lilie, pankraz, pankrazlilie.
    Nei paesi anglosassoni: mediterranean lily, sea-daffodil, sea lily, sea-shore lily, sand lily, sand daffodil.




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  4. gheagabry
     
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    Non preoccupatevi per il vostro corpo, per come lo vestirete.
    Guardate i fiori di campo : non filano, non tessono.
    Eppure il grande Salomone, con tutte le sue ricchezze, non fu mai vestito come uno di questi fiori...
    (Luca 12; 22 - ss)


    Le CORYDALIS



    Chi vede per la prima volta un esemplare di Corydalis rimane sicuramente affascinato dalla delicatezza e dalla levità di queste pianticelle erbacee, così vaporose nel loro portamento da sembrare quasi fragili....L’impressione di grande leggerezza che caratterizza tutte le specie deriva in buona parte anche dal fogliame, molto spesso morbidamente intagliato in numerosi segmenti di un bellissimo verde, che in diversi casi assume sfumature glauche. Ma alla fine è l’infiorescenza (un racemo, provvisto di brattee che sottendono i singoli fiori) quella che, ancora una volta, la vince su tutto il resto, anche perché la struttura della corolla è davvero singolare. Essa è formata da due piccoli sepali e da quattro petali. Il petalo superiore è quello che vorrebbe imitare il capo crestato dell’allodola, mediante uno sperone, più o meno lungo, il quale sovrasta il petalo inferiore, che pare un labbro alla bocca della corolla. I due petali laterali, invece, sono quasi fagocitati dai primi due e appaiono alati in prossimità del loro apice. Non c’è dubbio che, a prescindere dalle fantasiose analogie con le allodole, lo sperone conferisce al fiore un’impressione di eleganza e d’irripetibilità.



    La Corydalis bulbosa, per gli antichi Greci, korydallìs era chiamata l’allodola, il grazioso uccello di campagna dotato di una cresta piumata sul capo, che vagamente può ricordare lo sperone caratteristico di questi fiori.

    Le C. sono tutte piante erbacee annuali o perenni, dotate di rizomi o tuberi, ma in qualche caso anche di radici fibrose. La loro taglia è in molti casi piuttosto bassa (10-50 cm), ma in altri è decisamente alta (anche fino a 1 m), mentre poche sono le rampicanti. La distribuzione geografica le vede prosperare in un fascia piuttosto ampia della Terra, fra le regioni temperate dell’emisfero settentrionale e quelle montuose dell’Africa tropicale. I loro habitat sono fra i più diversi. Le specie più diffuse in Europa preferiscono la boscaglia non troppo fitta (C. cava), le aree rocciose e le crepe ombreggiate (C. lutea), le zone montuose (C. ochroleuca), i pendii pietrosi ed erbosi (C. solida). Il gruppo più numeroso, quello delle specie asiatiche – fra la Turchia e la Mongolia, passando per Iran, Afghanistan, Pakistan, ex-URSS, Kashmir, Asia Centrale, Himalaya, Tibet, Nepal – gradisce le rupi granitiche (C. aitchinsonii), le aree rocciose (C. rutifolia), le boscaglie fino a 3.700 m (C. ledebouriana e C. glaucescens), le foreste (C. caucasica), le basse colline sabbiose (C. macrocentra), le creste calcaree aperte (C. firouzii), le vallate umide (C. ophiocarpa). Alcune preziosissime specie originarie dell’Estremo Oriente (Cina, Siberia) nascono in località rocciose (C. wilsonii), in posti umidi (C. tomentella), su versanti pietrosi e aperti (C. flexuosa).



    “Arriva un giorno, verso la fine di marzo, in cui soffia un lieve venticello, da ovest o da sud-ovest. Il sole si è irrobustito, così che è piacevole sedersi fuori, in giardino, o meglio ancora in qualche nicchia aprica della boscaglia. C’è un posto del genere fra le betulle dal tronco argenteo, circondate dalla splendida ricchezza di masse scure d’agrifoglio. Il restante sfondo, sopra il livello del nostro sguardo, è costituito dal caldo colore delle gemme degli alberi che emetteranno foglie in estate, mentre, più sotto, si stende l’evanescente ruggine del fogliame ormai appiattito delle felci dell’anno passato e gli ancor più pallidi mucchietti di foglie dei vicini castagni e querce. […] Scendendo verso il giardino per un’altra strada erbosa …ecco che una gradevole massa di colori si mette in evidenza ai margini del bosco: è un isolato gruppo di Daphne mezereum, con ciuffi di ellebori e, di fronte, qualche macchia sparsa di Erythronium. […] I colori sono tutti un po’ “tristi”, come dicono gli scrittori d’un tempo riguardo alle tinte dei fiori d’importanza secondaria. Ma è un quadro perfetto. Lo si ammira sempre più, così come avviene per un dipinto con cui è bello vivere. Inventare queste pitture viventi, utilizzando fiori umili e ben conosciuti, questa secondo me è la miglior cosa da farsi nel giardinaggio”.
    (Gertrude Jekyll)




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  5. gheagabry
     
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    La LOBELIA


    lobelia_techno_blue_lg[1]



    La lobelia è una pianta fiorita erbacea da esterni appartenente al genere delle campanulacee.
    Può essere annuale o sempreverde, è originaria dell'Asia, dell'Africa e dell'Europa.
    E’ adatta per aiole o in panieri appesi poiché tende a cascare verso il basso. E’ molto diffusa nei giardini.Ha sottili fusti flessibili, elastici, di colore verde e piccole foglioline; raggiunge i 10-15 cm di altezza.
    I fiori sono formati da una cascata di piccoli fiori tubolari, di colore viola intenso; ci sono varie specie con colori che vanno dal blu, all’azzurro, al bianco o nelle tonalità del rosa.

    lobelia

    Il nome scientifico Lobelia ricorda Matthias de l'Obel, detto Lobelius, botanico e medico fiammingo, vissuto nella seconda metà del Cinquecento. Importata in Europa nel Seicento, la lobelia si diffuse rapidamente come pianta ornamentale, mentre in America essa era nota soprattutto come specie medicinale. Infatti, veniva impiegata come emetico, espettorante, antiasmatico.
    I pellerossa ne fumavano le foglie essiccate a scopo disinfettante.
    A Giava si consumano le foglie della L. succulenta come contorno a un particolare piatto di riso.

    Il significato simbolico della lobelia è la "disperazione" e si ricollega forse alla tossicità di quasi tutte le specie di questo genere, che almeno nei secoli scorsi hanno trovato largo impiego come piante medicinali.

    lobelia0232lg



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  6. gheagabry
     
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    Le ORCHIDEE SPONTANEE





    La vesparia o fior di vespa (Ophrys apifera Huds., 1762)
    è una pianta appartenente alla famiglia delle Orchidaceae.
    È l'unica specie del genere Ophrys che pratica preferenzialmente l'autoimpollinazione: subito dopo la fioritura le caudicole dei pollinii si curvano in avanti favorendo la deposizione del polline sullo stigma sottostante..È una pianta euromediterranea delle regioni temperate, abbastanza diffusa dall'Atlantico sino al Caucaso. In Italia è abbastanza diffusa in tutte le regioni.
    Cresce in praterie, garighe, macchie e boschi luminosi, fino ad una altitudine di 1200-1400 m.
    Predilige i suoli calcarei e le esposizioni in piena luce o penombra.



    Ophrys fusca subsp. funerea è una pianta appartenente alla famiglia delle Orchidaceae, diffusa nel bacino del Mediterraneo.Ha un areale stenomediterraneo che si estende dalla penisola iberica e dal Nord Africa sino alla Grecia. In Italia è presente dall'Appennino alle regioni meridionali, in Sicilia, Sardegna e nelle isole dell'arcipelago toscano. Cresce in prati magri, garighe e radure boschive, con preferenza per i terreni calcarei, da 0 a 1000 m di altitudine.



    L'Ofride grigia-azzurra (nome scientifico Ophrys fusca subsp. caesiella) è una pianta erbacea spontanea in Italia, appartenente alla famiglia delle Orchidaceae. Il nome generico (Ophrys), secondo quanto scrive lo scrittore romano Plinio il Vecchio (23 – 79), deriva da un'antica parola greca “οφρύς” e significa “sopracciglio”. Gli antichi (scrive sempre il naturalista latino) usavano appunto questa pianta per produrre una tintura per colorare le sopracciglia. Il primo nome specifico (fusca) si riferisce al colore scuro del labello; il secondo nome specifico (caesiella) deriva dal latino e si riferisce al colore grigio-azzurro della macula al centro del labello.È un'orchidea terrestre in quanto contrariamente ad altre specie, non è “epifita”, ossia non vive a spese di altri vegetali di maggiori proporzioni.



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  7. gheagabry
     
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    La Cortusa matthioli



    La Cortusa di Matthioli (nome scientifico Cortusa matthioli, L., 1753) è un delicato e raro fiore delle zone alpine appartenente alla famiglia delle Primulaceae.La “Cortusa matthioli” possiede solo foglie basali; queste sono cordato - subrotonde o anche palmato-lombate con parecchi grossolani lobi (fino a 9 lobi per foglia – la profondità del lobo occupa circa ¼ della foglia), a sua volta ogni lobo può presentare fino a 3 - 9 dentelli ottusi. La superficie è dotata di minuti peli, ma a volte può essere quasi glabra. Le foglie sono sorrette da piccioli molto villosi e ghiandolosi. Lunghezza del picciolo: 6 - 13 cm; larghezza delle foglie: 3 – 8 cm.
    La Cortusa matthioli è di taglia grande , e può raggiungere i 20 cm di altezza; in estate assume una colorazione rosa . Queste piante non sono sempreverdi, quindi perdono le foglie per alcuni mesi all'anno. Queste piante crescono ricoprendo tutto il terreno che hanno a disposizione.


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  8. gheagabry
     
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    La TRICYRTIS Formasana





    Tipo di pianta: Erbacea perenne
    Famiglia: Convallariaceae (Liliaceae)
    Parenti stretti: Convallaria, Liriope, Ophiopogon, Polygonatum
    Dimensioni massime: 80-90 (altezza) x 60-90 cm
    Portamento: Steli eretti o talvolta arcuati
    Foglie: Alterne, ovate o lanceolate
    Colore foglie: Verde chiaro o medio, a volte maculato
    Fiori: Forma insolita, con sfondo bianco o giallo e macchie rosa-viola-porpora
    Profumo: Assente
    Fioritura: Molto prolungata, da agosto a ottobre



    Nel genere Tricyrtis l’attrattiva morfologica più valida risiede sicuramente nel disegno curioso e seducente dei fiori, così come avviene per le orchidee, che appartengono a tutt’altra famiglia, ma in qualche misura sono un po’ simili. In generale, essi hanno una forma di stella, ma anche di campanella o di piccolo imbuto e sono composti da 3 tepali interni e 3 esterni. I primi sono nastriformi e divergenti nella porzione superiore, mentre i secondi terminano in basso con una piccola sacca rigonfia. Non meno curiosi sono i 6 stami, che sono uniti alla base ma curvati all’infuori in cima....L’areale in cui vivono le T. è molto vasto, estendendosi dalla regione himalayana in direzione est, fino all’isola di Taiwan, ma concentrandosi soprattutto in Giappone (Hokkaido, Honshu, Shikoku). Gli habitat sono diversi secondo le specie, ma di norma sono costituiti da boschi e forre muscose, senza escludere i pendii rocciosi, quasi sempre in luoghi umidi e ben ombreggiati, in aree di montagna fino a 3000 m di quota.



    Certe piante hanno avuto in sorte un destino tanto bizzarro quanto difficile, a volte fin dal momento della loro scoperta in natura. Prendiamo come esempio le Tricyrtis, che oggi si vanno gradualmente rivalutando dopo ben centocinquanta anni dal loro arrivo nel mondo occidentale: una lunga parentesi durante la quale non hanno mai vissuto momenti di vera gloria, come invece meriterebbero. A studiarle per primo fu un botanico illustre, il medico danese Nathaniel Wallich, che ai primi dell’Ottocento, ricoprendo la carica di direttore del Giardino Botanico di Calcutta, si recò più volte sulle montagne himalayane alla ricerca di piante nuove. Nel corso delle sue esplorazioni botaniche, il Wallich era solito raccogliere semi di specie preziose per poi spedirli in Inghilterra con un sistema tutto suo, inserendoli cioè in barattoli di zucchero di canna per meglio proteggerli durante il viaggio per nave. Fu così che, fra una Gentiana ornata e un Cornus capitata, nel 1851 sbarcò in Europa anche Tricyrtis elegans, la prima rappresentante di questo genere ristretto.



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  9. gheagabry
     
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    Il BUCANEVE


    Il bucaneve (Galanthus nivalis, Linnaeus 1753) è una pianta perenne, erbacea ed eretta della famiglia delle Amaryllidaceae. A febbraio il bucaneve detto anche “campanella del lupo”, sboccia magicamente fra l’erba ancora prigioniera del gelo ad annunciare la primavera che incombe. E’ un fiore semplice: una campanella bianca con goccioline verdi all’apice di ogni petalo. Attraverso una piccola punta aguzza buca il terreno e passa attraverso il manto nevoso per poi sbocciare completamente.

    Impressionanti tappeti di delicati fiorellini bianchi, pendenti come goccioline, di bucaneve – dal nome scientifico ‘Galanthus nivalis’ (in greco ‘gala’=‘latte’ e ‘anthos’=‘fiore’, mentre l’aggettivo latino ‘nivalis’ si traduce in ‘come la neve’) – fioriti si possono ammirare, dalla fine di gennaio a metà marzo, in decine e decine di giardini nei quali crescono nativi o naturalizzati in Inghilterra, Scozia e Irlanda. Richiamano una folla di appassionati questi ‘Festival del Bucaneve’ nazionali durante i quali, in questi ultimi anni, vengono anche aperti anche i cancelli delle dimore storiche private. Ma i poeti inglesi a cavallo tra il ‘700 e l’800 furono i primi ad essere ispirati dalla raffinatezza composta dello ‘snowdrop’, a partire da Mary Robinson (1757-1800) dal 1791, a Samuel Taylor Coleridge nel 1797 fino a William Wordsworth (1770-1850) nel 1820; in Danimarca, invece, lo scrittore e poeta danese Hans Christian Andersen (1805-1875) compose la fiaba 'Il Bucaneve' (1863).

    ....storia, miti e leggende....



    Il fiore del bucaneve è detto anche “stella del mattino” perché è uno dei primi fiori a spuntare dalla terra dopo l’inverno.
    La tradizione cristiana associa il bucaneve alla candelora, il 2 febbraio, giorno della purificazione della Madonna. Inoltre una leggenda racconta che Eva e Adamo, una volta cacciata dal Paradiso Terrestre, furono trasportati in un luogo gelido, buio e dove era sempre inverno. Eva ben presto fu presa dallo sconforto e dal rimpianto, non accettava l’idea di vivere in quelle condizioni; un angelo avuta compassione di lei, si dice, che prese un pugno di fiocchi di neve, vi soffiò e ordinò che si trasformassero in boccioli una volta toccato il suolo. Eva, alla vista dei bucaneve, prese forza e si rianimò.
    I bucaneve sono il simbolo della vita e della speranza.
    Numerose antiche leggende sorte a livello popolare sull’origine biblica del bucaneve tramandano che sia diventato simbolo di speranza nel momento in cui sbocciò davanti ad Adamo ed Eva per confortarli quando furono cacciati dal giardino dell'Eden. Nella leggenda cristiana, dopo la cacciata, Adamo ed Eva si ritrovarono in una buia terra inospitale, fredda e innevata per via dell’inverno, ma un Angelo li consolò promettendo che pure lì sarebbe arrivata la primavera e, come segnale, soffiò su alcuni fiocchi di neve che stava scendendo e che, una volta giunti al suolo, si trasformarono in bucaneve. Così, con i bucaneve che sbocciarono su uno stelo esile verde brillante nella settimana invernale più tetra, nacque la speranza nell’arrivo di tempi migliori. E’ leggendario anche il racconto tedesco su Dio che, completando la Creazione della Terra, chiese alla neve di scendere sui fiori per colorarsi un po’, ma tutti questi rifiutarono, eccetto il bucaneve. Così, da allora, per ricompensare il bucaneve, la neve lo lascia fiorire ogni anno prima che inizi lo spettacolo primaverile. Secondo un’antica narrazione moldava, successe in passato che la primavera – che era una bella donna – si tagliò un dito e crebbe un bucaneve dove alcune gocce di sangue cadute sciolsero la neve; così arrivò la bella stagione e risolse la disputa con la strega d'inverno che non voleva lasciarle il posto...Il poeta greco Omero aveva narrato nel poema epico dell'Odissea (ca. 800 a.C-700 a.C.) che il dio Mercurio aveva consegnato a Ulisse un'erba magica – che in realtà era un comune bucaneve – come antidoto per immunizzarsi contro la pozione propinata dalla strega Circe per indurre in uno stato di totale amnesia l’equipaggio che era con lui.

    ...simbologia...


    La fioritura del piccolo bucaneve color bianco crema, dalla bellezza semplice e discreta, è di frequente una delle prime a segnalare l'inizio precoce della primavera, in anticipo rispetto all’equinozio del 21 marzo, per lo più nelle regioni umide delle zone temperate dell’Europa meridionale e dell’Asia sud-occidentale. In seguito al cambiamento climatico, il ‘fiore di febbraio’ sboccia già a partire da gennaio ed è dedicato ai nati in questo mese, insieme al garofano. Il bucaneve è, infatti, ritenuto simbolo di speranza e di consolazione, di passaggio dal dolore a un nuovo inizio per via dello sbocciare di alcune sue specie quando il clima è ancora freddo, spingendo le foglie attraverso il suolo ghiacciato dalla neve, di solito prima del secondo giorno di febbraio, diffondendo poi un dolce profumo simile a quello del miele appena la temperatura si scalda. Dalla tradizione della religione cristiana risalgono diversi soprannomi popolari del bucaneve come ‘campana della Candelora’, ‘fiore della purificazione’ o ‘fiore della Chiesa’. Gli altari delle Chiese sono addobbati con i bucaneve il 2 febbraio, il quarantesimo giorno dopo la Natività, dedicato alla celebrazione della Candelora (quando si benedicono le candele come simbolo della luce della speranza per il mondo rappresentata da Gesù bambino), altrimenti detta ‘Festa della Presentazione di Gesù al Tempio’ di Gerusalemme come neonato primogenito, o ‘Festa della Purificazione’ della Vergine nel periodo dopo il parto. Per questo motivo, oltre che per il colore del fiore, il bucaneve è considerato anche simbolico della purezza, tanto che era popolare la credenza che indossarne uno inducesse a pensare onestamente.
    (giardinaggio.net)
     
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  10. tomiva57
     
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    grazie gabry
     
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  11. gheagabry
     
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    Fiore di campo che cresci tenacemente vitale nel prato
    rinnovi colori e calori di Primavere continue.
    Fiore di campo che elevi nel sole il tuo stelo robusto
    aleggi nel vento di Aprile come vela sull'erba.
    Fiore di campo che doni agli sguardi una pace serena
    resisti a temporali violenti sferzato da scrosci di pioggia.
    (Anonimo del 1900)


    Il RANUNCOLO GIALLO


    I “Ranuncoli” sono dei fiori semplici ma eleganti provenienti dall'Asia. La conoscenza di queste piante è molto antica. I turchi chiamavano queste piante “Fiori doppi di Tripoli”; mentre lo scrittore e filosofo romano Apuleio (125 – 170) le nominava come “Erba scellerata” a causa della loro tossicità; i greci, più anticamente, avevano invece trovato il nome di “Batrachion”. Così con queste informazioni il botanico italiano Paolo Bartolomeo Clarici (1664 – 1725) introduce la descrizione del “Ranuncolo” in un suo scritto. Il nome generico (Ranunculus), passando per il latino, deriva dal greco Batrachion, e significa rana (è Plinio scrittore e naturalista latino, che c'informa di questa etimologia) in quanto molte specie di questo genere prediligono le zone umide, ombrose e paludose, habitat naturale degli anfibi. La denominazione scientifica attualmente accettata è stata proposto da Carl von Linné (1707–1778), biologo e scrittore svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, nella pubblicazione Species Plantarum del 1753.
    I fiori sono ermafroditi, emiciclici e attinomorfi. I fiori sono di tipo molto arcaico ...

    .....una favola.....


    Una mattina d´estate, appena sorto il sole, si sentì un mormorio correre per il prato:
    “Oh, che cosa ci fa qui un ranuncolo blu, fra tutti noi ranuncoli gialli? Non si è mai visto nulla di simile...”Lo stupore era grande.
    Effettivamente, non si era mai visto, in quel prato di ranuncoli gialli, un fiore di un altro colore. Chissà come era arrivato, chissà da dove era venuto... Un ranuncolo anziano, naturalmente giallo si preoccupava: “Forse diventeremo blu tutti noi.”.
    Un altro un po´ bisbetico: “ Forse sarà meglio cacciarlo,
    perché stona, rovina il prato tutto giallo”.
    Una fiorellina un po´ pettegola, vedendo un gruppetto di fiori gialli stringersi affettuosi intorno al ranuncolo blu, mormorava:” “Che stramberia! Chissà cosa trovano di bello in quel fiore blu...”.
    I ranuncoli gialli che stavano attorno al ranuncolo blu, invece, erano tutti felici del loro nuovo fiore.
    Chiacchieravano fitto fitto, ma la loro voce era sovrastata dal mormorio generale. A quel punto, infastidito da tanto rumore, il Saggio Olmo, che da trecento anni stava in mezzo al prato e dall´alto poteva vedere meglio le cose, ordinò a tutti di stare zitti e cominciò a raccontare:
    “Di là dal mare, nella meravigliosa isola dei fiori blu,
    dove mare e foreste risplendono di luce, è capitato che un piccolo ranuncolo blu nascesse sulla scogliera e rimanesse solo. Ovviamente era blu. Fra gli scogli (voi che vivete in un prato non lo potete sapere, ma io lo so)
    non c´è abbastanza terra perché un ranuncolo possa crescere bene: proprio per questo era rimasto solo. Quando il sole picchiava forte, il piccolo ranuncolo aveva sete. Quando il vento soffiava dal mare, il piccolo ranuncolo tremava. E soprattutto si sentiva solo.
    Ieri sera al tramonto, il pellicano che volava sul mare
    ha visto il piccolo ranuncolo abbarbicato alla scogliera
    ed essendo un pellicano saggio ha pensato.
    “Bisogna portarlo in un posto dove ci sia più terra
    e possa crescere fra tanti altri fiori. Ci sono famiglie di bei fiori che hanno un posto vuoto, terra buona e desiderano tanto un altro fiorellino”.
    Quindi il pellicano, con molta cura, tolse il piccolo ranuncolo dalla terra e si mise in volo con il fiore nel becco. Vola e vola, cercò nel paese dei ranuncoli blu,
    poi in quello dei ranuncoli rossi, e finalmente arrivò qui, tra voi ranuncoli gialli. Era mattina presto, e voi dormivate. I pellicani, se non lo sapete ve lo dico io, hanno la vista lunga. Così il pellicano si è accorto, dall´alto, che in questo nostro prato, una famiglia di ranuncoli aveva preparato da tanto tempo un posto in attesa di un fiorellino: una zolla arata con cura, morbida morbida, dove non era cresciuto nessun ranuncolo giallo.
    Voi chiacchieroni non vi eravate neppure accorti che loro desideravano un altro fiore, ma io lo sapevo. Ero sveglio e ho fatto segno al pellicano di scendere.
    (afaiv.it)
     
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  12. gheagabry
     
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    La VIOLETTA di PARMA


    Ogni primavera è immancabilmente accompagnata dal delizioso profumo delle violette. Un profumo dolce, caldo e romantico, che ci offre la sensazione dell`arrivo di una stagione migliore. La violetta appartiene alla famiglia delle violacee, la quale comprende circa 400 specie; tra le specie più comuni troviamo la profumatissima viola mammola o violetta di Parma, dai cui fiori viene estratto l`omonimo profumo. L`origine di questa pianta e` ancora, in parte, misteriosa: non si sa se sia stata portata in Europa dal Nord Africa o dall`Est, anche se sappiamo con certezza che deve essere nata in zone con un clima temperato perché molto sensibile al freddo. Nel XVIII secolo i Borboni la fanno arrivare a Napoli dal Portogallo; in seguito vari uomini, amanti di questa violetta, la portano da Napoli a Parma, Udine e altre città italiane. Sono i Francesi a chiamarla "Violetta di Parma". Le varietà di Violetta di Parma oggi sono tante. Il fiore, solitamente doppio, è composto da 5 petali, e varia nel colore dal quasi bianco della varietà COMTE DE BRAZZA al viola intenso della MARIE LOIUSE ,facilmente riconoscibile grazie ai piccoli puntini rossi contenuti al suo interno e alla fragranza particolarmente intensa. La foglia cuoriforme è grossa e lucida. L`altezza solitamente non supera i 10 cm ed e` facile trovarla nei boschi e nelle zone umide. La coltivazione della viola in condizioni protette contribuisce ad aumentare sia la dimensione del fiore, sia l`intensità del profumo e del colore. Dalla sua introduzione in Europa, e in risposta alle esigenze della moda di fornire, sia il fiore che la sua essenza, ne sono state prodotte molte varietà. La varietà DUCHESS DE PARMA ha sempre un profumo molto intenso ma una colorazione più lilla. Diverse sono le varietà alle quali è stato assegnato un nome in omaggio a Maria Luigia, seconda moglie di Napoleone e Duchessa di Parma. Già durante il suo soggiorno parigino, ci sono testimonianze che Maria Luigia avesse una predilizione particolare per questo fiore, già allora coltivato nei pressi di San Cloud. Arrivando a Parma, Maria Luigia ha potuto coltivare e promuovere la fama di questo suo fiore. La varietà PARME DE TOULOUSE è probabilmente l`erede di quel fiore originariamente coltivato per essere utilizzato nell`arte profumiera, da sempre molto importante in Francia, in particolare nella zona di Grasse. Anch`essa ha un fiore di colore viola e una fragranza particolarmente intensa.
    Da secoli le Violette sono state impegnate nell`arte profumiere. Gli Arabi furono i primi a distillare il prezioso olio essenziale. Si riteneva che il profumo della Violetta desse sollievo e rendesse più robusto il cuore. I costituenti profumati si trovano sia nelle foglie che nei petali. L`olio essenziale delle foglie è di colore verde con un aroma deciso mentre quello delle foglie è un colore giallo verde con un aroma floreale ricco e dolce. L`utilizzo di questo fiore nella produzione di profumo fu imponente non solo in Francia ma anche in Inghilterra e Italia. La Regina Vittoria ordinò la coltivazione di circa 3000 vasi nelle serre del Castello di Windsor; allora era molto alla moda non solo profumarsi di viole ma anche avere un mazzetto di viole fresche all`occhiello.

    "To throw a perfume on the violet, Is wasteful and riduculous excess"
    "gettare del profumo sulla violetta è uno sprecco e un assurdo eccesso"
    (William Shakespeare)


    Influenzato dalla moda dell`epoca Oscar Wilde, conosciuto anche per la sua eleganza, fa spesso riferimento alla Violetta di Parma. In particolare la prima frase del capitolo 15 del Ritratto di Dorian Gray "That evening, at eight-thirty, exquisitely dressed and wearing a large button-hole of Parma violets, Dorian Gray was ushered into Lady Narborough`s drawing-room by bowing servants." (Quella sera, alle otto e trenta, impeccabilmente vestito e con un grande mazzo di violette nell`occhiello, Dorian Gray fu fatto entrare nel salotto di Lady Narborough da inservienti inchinati.)Manet in uno splendido dipinto rese omaggio con un mazzo di viole a una delle sue modelle predilette, Mlle. Berthe. Il piccolo quadro raffigura anche un ventaglio rosso e un biglietto piegato indirizzato a "Mlle. Berthe,". PARMA VIOLETS - e anche il nome di un gruppo rock inglese

    Ha una lunga tradizione nelle varie forme di medicina tradizionale. Contiene anche l`acido salicilico e per questo diventa un sostituto naturale per l`aspirina. Attualmente, viene elencato nella Farmacopea Britannica delle erbe come rimedio specifico per acne ed eruzioni cutanee. L`infuso e il decotto delle foglie può essere utilizzato per decongestionare le vie respiratorie, per la tosse e per la bronchite. Lo sciroppo ha un`azione purgante e lassativa particolarmente adatta ai bambini. Le compresse imbevute nel decotto o preparate con la polpa della radice bollita hanno un`azione anti-infiammatoria ed e` utilizzata per ragadi, scottature e contusioni. Delle 120 specie di violette che si trovano in Cina, circa 30 varietà sono utilizzate nei libri di medicina tradizionale cinese"
    Gli antichi greci indossavano ghirlande di viole, i romani invece ricavavano da questi fiori profumatissimi un’ottima bevanda. I giardinieri medievali eccellevano nel creare aiuole, punteggiate di viole bianche o lilla, nei giardini delle dimore più nobili. Napoleone fece perfino adornare la tomba di Giuseppina con un tappeto coloratissimo dei suoi fiori preferiti . Le viole sono state impiegate in passato non solo per le sue qualità decorative. In medicina infatti, si utilizzavano per i loro effetti terapeutici e curativi contro l’insonnia e gli attacchi d’ira; anche in cucina si impiegano praticamente da sempre. Il profumo delle viole, così intenso e gradevolissimo, e il fiore in sé così piccolo e grazioso , sono da secoli impiegati in cucina per decorare cibi, dolci in particolare, e per realizzare liquori, sciroppi, ed estratti dolci da conservare sino all’inverno...”
    (Da "Prunella e cera d’api"J. Newdick ed. De Agostini)

    Un vero mito ancora oggi, ricordo indelebile nel cuore dei parmigiani: il ducato felice di Maria Luigia,seconda moglie di Napoleone Buonaparte, Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla dal 1816 al 1847. La sovrana austriaca che seppe conquistare l'amore e la fiducia dei suoi sudditi governando per un lungo periodo in pace e prosperità. La violetta dorosa, il fiore diletto di cui si circondava, è diventato da allora il simbolo della città, quasi oggetto di culto. Ancor prima del suo arrivo in Italia, nel 1815 scriveva dal castello di Schonbrunn alla sua dama d'onore a Parigi:
    "Vi prego di farmi tenere qualche pianta di Violetta di Parma con la istruzione scritta per piantarle e farle fiorire; io spero che esse germoglieranno bene, poichè io divengo una studiosa di botanica, e sarò contenta di coltivare ancora questo leggiadro piccolo fiore..."
    E non appena arrivata a Parma ella si occuperà personalmente della loro coltivazione, sia nell'Orto Botanico da Lei voluto, sia nel giardino della residenza estiva di Colorno. Maria Luigia amò la viola anche come simbolo e come colore: in alcune lettere una viola dipinta sostituisce la sua firma, e viola volle che fossero le divise dei suoi valletti, gli abiti dei cortigiani, i propri mantelli. A Maria Luigia ed al suo amore per questo fiore si deve l'esistenza del profumo "Violetta di Parma": fu lei ad incoraggiare e a sostenere le ricerche dei frati del Convento dell'Annunciata, che, dopo un lungo e paziente lavoro, riuscirono ad ottenere dalla violetta e dalle sue foglie un'essenza del tutto uguale a quella del fiore. I primi flaconi di Violetta di Parma, prodotti grazie alla abilità alchemica dei frati erano unicamente destinati all'uso personale della Duchessa Maria Luigia. Fu da questi stessi frati che verso il 1870 Ludovico Borsari ebbe la formula segreta, sempre gelosamente custodita, per la preparazione di quel profumo ed ebbe per primo la coraggiosa idea di farne una produzione da offrire ad un pubblico più vasto. Inizia così la carriera il futuro cavaliere Ludovico Borsari, che trasformerà la sua iniziativa nella prima grande industria italiana di profumi, nota in tutto il mondo. Abili creatori realizzarono scatole e confezioni preziose e soprattutto bellissimi vetri lavorati, che caratterizzeranno la produzione Borsari 1870 per oltre un secolo.
    (ierioggiincucina)

    ....La VIOLETTA in CUCINA....


    Già i Greci e i Romani bevevano un vino prodotto dalle viole. I Greci le usavano nelle pozioni d`amore e le consideravano i fiori della fertilità. Oggi il termine "Violetta di Parma" viene usato per descrivere le note gustative non solo del vino ma anche di whisky e birra.Sia i fiori che le foglie sono commestibili. La vitamina C contenuta in una mezza tazza di fiori è 3 volte maggiore a quella contenuta in quattro arance. Anche le foglie sono ricche di vitamina A, C e ferro. Raccogliere i fiori con circa 5mm di stelo. Dopo averli risciacquati sotto l`acqua lasciare i fiori in ammollo in acqua fresca per circa 15 minuti. Togliere l`eccesso d`acqua e conservare separatamente i fiori dalle foglie in un contenitore di plastica in frigo. Provate a preparare i FIORI DI VIOLETTA CANDITI. Preparate una soluzione satura di acqua e zucchero bollendola fino a ottenere uno sciroppo denso. Immergete i fiori di violetta, ripescateli e lasciateli asciugare. Ripetete una seconda volta l`operazione e infine poneteli in forno a calore moderato per qualche minuto. Possono essere usati per decorare torte e cioccolatini o semplicemente serviti con il caffè come raffinato dopo pasto. In cucina si possono impiegare le foglie più tenere per arricchire insalate miste a base di spinaci, valeriana e radicchi. Il tutto guarnito con i fiori!
    (vogliaditango)


    Candiflor è uno dei primi produttori di violette candite, dal 1818. Le violette sono in uso in cucina dal XIII secolo per decorare l'insalata o nei ripieni di carne e pesce, nonché gelatine e confetture. Ma le prime violette cristallizzate sono del diciannovesimo secolo. I fiori di violetta sono immersi in uno sciroppo di zucchero alla temperatura accuratamente tenuta segreta da Candiflor, dopo la loro cristallizzazione, sono cosparsi di zucchero.
     
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  13. gheagabry
     
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    Il TRIFOGLIO



    Il Trifoglio è una piccola pianta molto diffusa che conta, solo in Italia, ben sessanta specie; una pianta comune, nota a tutti ma dall’aspetto e dalle dimensioni così modeste che, spesso, non gli si presta attenzione, nascosta nell’erba e tra le altre infinite piante che popolano i campi.
    Il Trifoglio pratense o Trifoglio rosso è, in realtà, solo una delle circa trecento specie di Trifolium, genere compreso nella famiglia delle Leguminose e nel sottogruppo delle Papilionacee. La pianta del Trifoglio rosso cresce spontanea e si può trovare ovunque, dal livello del mare fino a 3000 metri d’altitudine, nei prati, lungo i sentieri, nelle radure e nei pascoli di pianura e montagna. Le specie di Trifoglio rosso sono principalmente distribuite nelle regioni temperate e subtropicali dell’emisfero boreale del globo, poiché questa pianta rifugge l’eccessiva umidità o aridità del suolo. Il nome del genere Trifolium rispecchia la caratteristica della pianta, quella appunto di avere le foglie composte da tre foglioline in disposizione digitata.I fiori sono riuniti in infiorescenza a capolino o a spiga, con calice tubuloso, profondo e sottile. Il frutto è un legume di forma ovale e compressa, coperto o appena sporgente dai resti membranosi del calice. Il Trifoglio rosso è, comunque, la specie più diffusa di Trifoglio. La pianta è perenne, con durata media di due anni, con radici robuste a fusto lungo; gli steli crescono da 40 cm fino a 70 cm d’altezza e le foglie trifogliate sono ovali o ellittiche con tipica macchia biancastra a “V” sulla pagina superiore. I fiori, di colore rosso violaceo, sono numerosi (dai 50 ai 250) e riuniti in capolini globosi.


    Il termine Trifoglio deriva dal latino Trifolium che significa costituito da tre foglie, quale è la forma che contraddistingue le foglie di questa pianta. Il trifoglio è da sempre conosciuto per la dolcezza del proprio nettare che attira ogni genere di insetto. Numerose sono le proprietà attribuite al Trifoglio e vanno dal potere calmante degli infusi ricavati con le foglie della pianta, utili soprattutto contro i mali di stagione, all'efficacia come antidoto per il veleno. Da sottolineare è infine che il Trifoglio è il simbolo della fertilità; il Trifoglio è infatti in grado di sintetizzare l'azoto atmosferico nel terreno restituendo allo stesso la fertilità. A tale proposito ricordiamo che durante la fase più tardiva dell'epoca rurale (1700) in tutta l'Europa si diffuse l'usanza di coltivare i terreni non più produttivi con il Trifoglio. «Trifolium pratense» è comunissima leguminosa il cui termine specifico ben precisa dove la si può incontrare. Tuttavia non solo nei prati, dove è oggetto di coltura per essere ottima foraggera, ma anche dove esistono altri luoghi erbosi.
    Entra allora a far parte di quella categoria di piante spontanee che negli incolti assumono l'infamante qualifica di erbacce. Le quali prese una ad una per essere osservate con animo sgombro da pregiudizi, rivelano inaspettate qualità, messe qui in rilievo, sotto il profilo estetico, dall'eleganza delle foglie, dai capolini dei fiori roseo-porporini delicatamente profumati.
    Nel simbolismo cristiano il trifoglio viene usato per spiegare la rinità (tre foglie e un solo stelo, tre persone, un solo Dio) Si pensa che San Patrizio convertì gli irlandesi pagani dando questa spiegazione a Re Leoghaire. Nella credenza dei druidi, il trifoglio era una pianta sacra, simbolo sia del bene che del male. Nel folclore inglese sognare un trifoglio indicava un buon matrimonio ricco di benessere e prosperità. Secondo il linguaggio dei fiori d’epoca vittoriana il trifoglio è simbolo di fertilità.

    Il trifoglio (Shamrock) è da sempre uno dei simboli dell'irlanda. Secondo la leggenda il legame tra il trifoglio e il santo patrono dell'isola San Patrizio risale al 1669 circa. Infatti una moneta di quell'anno mostra il santo nell'atto di innalzare un trifoglio. Altri documenti fanno risalire al 1776 la prima documentazione certa che ritrae San Patrizio nell'atto di camminare con una croce verde e una foglia del trifoglio.
    La tradizione orale delle popolazioni tramanda la storia che San Patrizio usò una foglia di trifoglio per divulgare la dottrina della Trinità; in questo modo si spiega il perché il giorno di San Patrizio coloro che festeggiano questa ricorrenza portano, insieme alla tradizionale croce, una foglia di trifoglio singola e non l'intero ramoscello. Inizialmente le croci utilizzate nel giorno di San Patrizio erano rosse, ma dalla fine del 17th secolo queste furono rimpiazzate da quelle verdi. Questo cambiamento si pensa sia stato dovuto all'influenza del trifoglio irlandese e al fatto che la croce rossa era riconducibile all'odiato dominio inglese.
    Il trifoglio irlandese é rimasto un inequivocabile simbolo irlandese ed é associato in tutto il mondo, sopratutto dove sono presenti comunità irlandesi, all'Irlanda. Esso é in effetti utilizzato dagli emigranti come un simbolo inequivocabile di appartenza ed appare in qualsiasi luogo si festeggi il giorno di San Patrizio.


    E’ un gioco antico, cercare un quadrifolio nei prati tra milioni di foglie di trifoglio, e chi ne trova uno è considerato una persona fortunata.
    Rispetto a tutti gli altri cercatori di fortuna, il giardiniere ha una chance in più: può piantare la varietà ornamentale del comunissimo trifolio bianco (Trifolium repens) che è stata selezionata proprio perché le sue foglie composte constano di quattro, cinque o addirittura sei foglioline. Si chiama Trifolium repens ‘Purpurascens Quadrifolium’ e ha le foglie di un interessante colore porpora-cioccolato, marginate di verde: una erbacea perenne tappezzante rustica di notevole impatto visivo.
     
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  14. gheagabry
     
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    L'ELLEBORO



    L’elleboro è fra i primi a fiorire, molto prima dell’arrivo della primavera, anzi Helleborus foetidus già in autunno si prepara e sembra proprio non farcela ad aspettare il ritorno della bella stagione. Spesso bistrattati dalla fantasia popolare (in alcune regioni sono chiamati fiori delle bisce), anche a causa della loro velenosità, o per l’odore non sempre gradevole, gli ellebori selvatici hanno conosciuto, dopo essere stati in auge per tutto l’ottocento, un progressivo abbandono.
    Esistono diverse specie: l'Helleborus niger (o rosa di Natale), l'Helleborus viridis (= elleboro verde) , l'Helleborus foetidus (="cavolo di lupo"), l'Helleborus Purpurascens( le sue foglie hanno un colore vere chiaro ed i suoi fiori sono grandi di colore violetto), l'Helleborus Abchasicus (con fiori bianco-rosei), l'Helleborus Odorus (con foglie bellissime e fiori penduli, odorosi, di colore verdastro) e l'Helleborus Orientalis (nativo della Siria, dell'isola di Antichira: ha bei fiori grandi e rosa).

    L'etimologia della parola: dal latino helleborus e dal greco Elleboros=voce forestiera. E' formata da due parole greche che significano"far morire " e "nutrimento" che uccide, in riferimento alla sostanza venefica che contiene. Infatti tutta la pianta è altamente velenosa. Gli antichi reputavano che la sua radice fosse un rimedio contro la pazzia. Questo fiore era conosciutissimo fino dall'antichità per le sue proprietà medicinali. In una favola si racconta che un pastore di nome Melampo, che era nello stesso tempo medico ed indovino, avendo osservato che il proprio gregge si purgava allorchè si cibava di Elleboro, pensò di utilizzarlo come medicamento anche nelle malattie degli uomini. Si narra che con una medicina ricavata da questa pianta venne guarita la pazzia che aveva colpito le figlie di Preto, re di Argo, che credevano di essere state tramutate in vacche. Oggi in India si brucia questa pianta accanto al letto delle partorienti, per affrettare il parto e perchè lo spirito degli dei entri nella mente del neonato. In tempi abbastanza recenti è stato bandito dalle farmacie, considerata pianta altamente tossica. La polvere del rizoma esercita un'azione irritativa locale considerevole, ragione per cui in passato era usata come starnutatorio.

    Nel suo studio "On the Helleborism of the Ancients", Hahnemann ha riconosciuto nel Veratrum Album l'Elleboro bianco, medicinale usato dai Greci ad Anticira e in altre città, per il trattamento di svariati disturbi mentali, epilessia, spasmi dei muscoli facciali, idrofobia, malattie del pancreas e della milza, gozzo, ecc. Esso veniva utilizzato in virtù della sua azione purgativa ed emetica (che avrebbe dovuto provocare anche la fuoriuscita dei cattivi umori responsabili della malattia) e a tal proposito, Hahnemann, che studiò e riconobbe il potenziale curativo della sostanza, ebbe modo di osservare che molti furono trattati anticamente con l'elleboro, ma altrettanti soccombettero alle enormi dosi utilizzate.
    La leggenda narra che durante l’offerta di doni al Bambino Gesù, una pastorella vagasse in cerca di un dono da offrire, ma l’inverno era stato freddo e la poveretta non riuscì a trovare neanche un fiore da offrire. Mentre si disperava, vide passare un angelo che intenerito dalle sue lacrime si fermò, spolverò un po’ di neve davanti a lei e apparvero delle candide rose, che la ragazza raccolse e portò in dono al Bambinello. Secondo un mito greco, Melampo, utilizzando l’elleboro, guarì dalla follìa le figlie di Preto, re di Tirino. ‘”Era bisogno dell’elleboro” era un modo proverbiale per indicare un matto. La pianta è velenosa ed era usata dagli adepti nei riti esoterici e nelle notti del sabba. La reale azione anestetica e narcotica del rizoma, dovuta alla presenza di un glucoside, l’elleborina, è simbolicamente associata alla capacità della pianta polverizzata di rendere invisibili le persone. I contadini riconoscevano virtù profetiche a questa pianta. Credevano infatti di poter quantificare il raccolto in base al numero dei ciuffi che essa presenta.
    (dal web)













     
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  15. gheagabry
     
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    ORCHIDEE SELVATICHE


    Anacamptis morio L.


    L’origine del nome morio, dato da Linneo, non è chiara.
    Secondo alcuni deriverebbe dal latino “morio”, nel significato di buffone, secondo altri dallo spagnolo “morrion” che significa elmo. Qualunque di queste ipotesi sia quella valida, il riferimento è comunque alla forma dei tepali che ricordano, anche se con un po’ di fantasia, un copricapo da giullare o, appunto, un elmo. E’ una specie polimorfa, ne esiste anche una forma albina, oltre che piante con sfumature di colore del fiore molto variabili. Il Giglio caprino, nome popolare, è una pianta presente in tutta Italia, tranne che in Sardegna, piuttosto comune da 0 a 1900 m. Cresce nei prati magri, negli oliveti abbandonati, nelle garighe, nelle radure e nei boschi luminosi. Pianta di piccole dimensioni, può raggiungere i 10-35 cm di altezza. Le foglie lanceolate o ellittiche e quasi sempre ripiegate verso il basso, sono raccolte in una rosetta basale, ma alcune foglie più piccole avvolgono la parte bassa del fusto, che alla sommità è violaceo.
    L’infiorescenza è corta, oblunga, abbastanza densa, ma può presentare anche pochi fiori, di colore variabile dal violetto scuro al porpora, al rosa.

    Limodorum abortivum (L.) Swartz


    Il nome Limodorum deriva dal greco “leimòdoron”, ossia “dono del prato”, nome dato da Teofrasto a una pianta che potrebbe essere questa, ma anche l’orobanche, pianta parassita simile ad alcune orchidee.
    Il termine abortivum sembra riferirsi alle foglie ridottissime o ai boccioli che appassiscono prima di aprirsi. Infatti, nonostante che produca il nettare, gli insetti impollinatori che la visitano sono pochi e quindi la pianta ricorre all’autofecondazione, che può avvenire anche senza l’apertura del fiore. Questa orchidea è generalmente considerata una saprofita, che si nutre di materiale organico in decomposizione, anche se taluni autori la ritengono una pianta parassita, perché sono stati ritrovati parti di rizoma dell’orchidea saldati a radici di alberi o arbusti.
    Come tutte le orchidee, vive in stretta relazione con funghi (micorriza), ma in questo caso la dipendenza del L.abortivum dalla micorriza è particolarmente importante per tutta la sua esistenza, visto che non contiene che minime quantità di clorofilla e non può quindi effettuare la fotosintesi. Tipico della regione mediterranea, in Italia è diffuso su tutto il territorio, ma è raro in vaste aree: è maggiormente diffuso in collina, è estremamente raro in pianura, ma si spinge fino a 1500 m. Cresce in boschi termofili e cespuglieti, chiarìe e sottoboschi radi, generalmente su terreno calcareo. Chiamata volgarmente "fior di legna" è una pianta robusta, alta anche 80 cm, ha un corto rizoma e radici ispessite. Non ha foglie verdi, ma lungo il fusto ci sono squame a guaina di color verdastro-porporino. Infiorescenza molto lunga e lassa, con 5-25 fiori grandi, eretti, bianchi sfumati di viola.


    Socchiudo gli occhi per un solo istante
    e la mente percorre sogni impossibili..
    accarezzando la sinfonia di canti lontani
    come un pensiero di liberta' nella sua gioia d'esistere...
    Sdraiata sul prato osservo l’infinito blu’
    con l'animo felice ed un profumo d’amore
    Giochi di farfalle nel tempo minuscole emozioni di vita…,
    incontri di sensazioni eterne.
    Fiori di campo, colori immensi .. un quadro di realtà vissuta,
    la passione di un incontro, come una carezza materna
    disegnata nell'eleganza di un'iride lucente...
    (lepoesieEmilio e la mia figlia Greta, 2008-)

     
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59 replies since 28/9/2010, 15:16   80069 views
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