Toscana... Parte 3^

VOLIAMO VERSO PISA..LIVORNO..L’ISOLA D’ELBA

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  1. tomiva57
     
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    L'isolotto di Cerboli



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    Cerboli è un isolotto calcareo nel canale di Piombino, a circa 8 chilometri dall'Elba e 6,6 da Piombino. L'isola, che è stata di proprietà dello scrittore Carlo Cassola, è passata agli eredi dopo la scomparsa dello scrittore e da questi venduta nell'anno 2000. Oggi rientra nel perimetro del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano ed è una zona di protezione speciale ZPS di Bioitaly. L'isola ha una estensione di 0,04 kmq, ed è interamente ricoperta di macchia di cisto marino, gariga e lentisco. Le sue caratteristiche faunistico-botaniche non sono ancora del tutto studiate e note ma, per certo, ospita endemismi vegetali ed animali dell'Arcipelago ed una sottospecie di lucertola che vive solo in quell'ambiente, la “ Pordacis sicula cerbolensis”. Gli unici segni del lontano passaggio dell'uomo, sono una piccola cava dismessa e qualche rudere diroccato.


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    Situato nel Canale di Piombino, offre un comodo ancoraggio, da cui raggiungere un facile sifone che ci porta a scendere lungo la parete nord fino alla quota delle grandi paramuricee, che fanno la gioia di fotografi e videoperatori.

    È qua che si trovano tane di murene e aragoste, nonché quelle di scaltre cerniotte.

    Si risale verso l’imbarcazione scaricando azoto mentre ci perdiamo nell’osservazione dello scenario con nubi di castagnole, flabelline e nudibranchi davvero notevoli.

    A Cerboli sono possibili anche immersioni da altri punti di partenza, così da potersi tuffare sfruttando il ridosso da ogni mare.


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    ...chi c'è stato racconta..

    immersione a Cerboli
    Sabato 19 maggio con gli amici del diving di salivoli siamo andati a scoprire i segreti dell'isolotto, o meglio "lo scoglio di Cerboli" situato a metà strada tra Piombino e l'Elba a soli 15,20 minuti di navigazione dal porticciolo di Marina di Salivoli.

    Grazie alla sua particolate forma, è possibile trovare ormeggio sicuro in uno dei suo tanti anfratti al riparo dal vento, che sovente spira in questa zona di mare.
    Ci troviamo proprio sulla punta vicino all'ingresso della grotta, o meglio sifone, infatti e proprio la presenza di questo passaggio, non estremamente costretto, ma impegnativo, a rendere celebre e conosciuta quest'immersione.
    I punti d'immersione sono due, entrambi a ridosso della punta. Uno si chiama le gorgonie, facile capire perchè, e l'altro appunto il sifone. L'ingresso del sifone è a pochi metri dalla superficie ed è preceduto da un canyon, dove i giochi di luce, si fanno suggestivi e particolari. In fondo al Canyon c'è un buco nero che scende verso il basso come un grande tubo, accendiamo le torce e giù verso il basso. Appena l'occhio si abitua al buio, riusciamo a vedere un fascio di luce proveniente dall'uscita. Ora siamo in una piccola camera da dove è possibile vedere sia l'ingresso che l'uscita del sifone, l'emozione è alle stelle. Dopo una piccola sosta inizia una risalita verso l'uscita e siamo dall'altra parte dello scoglio. Li ci aspetta sulla destra (corrente permettendo) una bella parete piena di anfratti, che ci invita ad una lenta pinneggiata, per poterne meglio osservare la vita e i colori. Nascosti negli anfratti e tane a profondità moderata, mucchine di mare e un numero di scorfani infinito e di tutte le misure ci aspettano. Anche gronchi e musdee, non poco allarmate, salutano il nostro passaggio
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  2. tomiva57
     
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    Rio nell'Elba



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    Se è vero che l'anima antica dell'isola va cercata tra i vicoli dei paesi di collina, a Rio nell'Elba la ricerca non è vana. Forse nessuno degli antichi centri ha vissuto, è stato protagonista o testimone di tutti momenti della storia isolana, da quelli pi sfolgoranti ai pi drammatici, come questo. Una storia millenaria, nel bene e nel male legata alle miniere. Una storia che parte dall'eneolitico, quando da queste parti si sviluppò una società, oltre che di cavatori, di commercianti e metallurgisti, con standard di vita che non andavano lontani dall'attuale opulenza. I resti di essa sono rimasti in una delle necropoli pi importanti in Italia di questo periodo, in località San Giuseppe, tra i due Rii, quello alto e quello basso. Il ricco corredo funebre degli inumati si può ammirare nel museo archeologico del paese.

    D'altra parte la presenza umana della zona non può essere che antichissima, se consideriamo che qui uno dei fattori fondamentali per l'insediamento non manca: l'abbondanza d'acqua. Il nome stesso deriva dal latino rivus, e le molte fonti sono state celebrate dai colti viaggiatori di ogni epoca. Soprattutto quella dei Canali, in pieno paese, definita fontana maravigliosa da un cultore di storia patria, Sebastiano Lambardi, stupisce per l'abbondanza, tanto che alimenta una fontana a cinque cannelle, un suggestivo lavatoio pubblico, e in passato anche la ventina di mulini che sorgevano nella vallata sottostante. A proposito di queste sorgenti nacque la leggenda che fossero alimentate da canali sotterranei, approvvigionati nientemeno che dalle acque della Corsica.

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    Lavatoi Pubblici Rio nell'Elba



    In grande considerazione era tenuto Rio nel medioevo e in et rinascimentale per la sua ricchezza ferrifera. I pisani lo consideravano alla stregua di una capitale economica della repubblica, tanto da rifornirlo di grano dal continente in caso di crisi. Arrivarono a elevarlo a capitana, insieme a Grassera, in concorrenza alla spodestata Capoliveri.

    Abbiamo accennato a Grassera. Vale la pena ricordare questo borgo medievale sparito dalla faccia della terra nel corso del Cinquecento, a seguito di una disastrosa scorreria di Barbarossa, che senza pietà lo rase al suolo in una notte. Sorgeva sulle dolci pendici tra Rio e Torre del Giove ed ebbe il suo momento di massima vitalità nel medioevo, quando i documenti lo citano spesso con Rio. Di esso rimangono i resti della chiesa principale: San Quirico.

    A proteggere questo paese c'era il forte del Giogo. Le sue condizioni oggi sono disastrose: oltre che dal tempo e dall'abbandono le sue strutture furono minate agli inizi del XVIII, quando il governatore spagnolo di Longone Pinel ne ordinò la distruzione. I ruderi svettano dalla rigogliosa lecceta che ammanta l'altura. Si racconta che il feroce pirata Dragut lo facesse cadere per inganno, promettendo salva la vita ai terrorizzati terrazzani qui arroccati, e una volta arresi li facesse mettere ai ceppi.

    Una presenza rassicurante per i riesi era invece il Volterraio. Al culmine di un picco strapiombante su verdeggianti vallate, con un bellissimo panorama su Portoferraio, il castello ha fama di inespugnato. Di origine incerta (forse etrusca), fu elevato a castello dai pisani e riutilizzato dai Medici come vedetta sull'erigenda piazza di Portoferraio. Ai suoi piedi gli assedianti hanno gridato in molte lingue, ma nessuno è mai riuscito a piantarvi la bandiera sopra.

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    Castello del Volterraio



    D'altra parte, sempre a proposito di fortificazioni, anche Rio, come molti altri centri collinari, doveva trasformare le sue case in una sorta di mini fortezze. Cos aggirandosi per il centro non è difficile scorgere barbacani a protezione delle facciate pi esposte di alcuni palazzi, e la chiesa stessa mantiene parte del perimetro bastionato esterno: in caso di necessitò anch'essa doveva diventare un luogo di assedio.

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    Per scoprire la versione pi balneare del riese bisogna scollinare la dorsale che forma lo scheletro di questa parte dell'Elba. Troviamo cos Bagnaia, Nisporto e Nisportino, località entrate appieno nel circuito turistico, soprattutto quello tutto relax, poiché sono al di fuori dei caotici traffici tipici di altri versanti. E con una canoa si può scoprire tratti di costa e spiagge ancora pi fuori mano, con quinte di assoluta bellezza, come la cala dei Mangani o dell'Inferno e quella di Zupignano. Piccoli gioielli ambientali incavati in massicce e dirupate scogliere, in uno dei tratti di costa pi selvaggi dell'isola, annunciato quando il traghetto passa Capo Vita e si avvicina a Portoferraio, ma apprezzato appieno solo quando raggiunto con imbarcazioni pi piccole.


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    Chiesa dei Santi Giacomo e Quirico: del XIV secolo, ma con rifacimenti cinquecenteschi, con interni barocchi.

    Chiesa del Padreterno: elegante edificio del XVIII secolo, con il portico colonnato. All'interno un antico quadro raffigurante la Santissima Trinità.

    Fonte dei Canali: fontana di cinque bocche alimentata da una ricca sorgente.


    La fonte di Coppi si trova all'isola d'Elba sulla strada che va da Porto Azzurro a Rio nell'Elba. Pino Cacucci che sull'isola è in vacanza ci dice che qui - "le salite sono alquanto docili, ma poi inizia quella dura del Volterraio: la faccio ogni anno per confermare di potercela ancora fare..."

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    Notate la dedica sulla fonte. Da cinquant'anni in fuga: nessuno lo ha più
    raggiunto.

    Lavatoi pubblici: bella e ampia struttura con soffitto a capriate e finestroni. E' alimentata dalla stessa fonte del Canali.

    Casa del parco: davanti la fonte dei Canali, è una delle due presenti dell'Elba.

    Museo archeologico: raccolta di reperti dall'epoca protostorica al medioevo, riguardanti principalmente l'attività estrattiva del ferro.

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    Museo del minerali: vicino alla chiesina della Pietà, piccola raccolta di minerali provenienti da tutte le miniere dell'Elba.


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    Santuario di Santa Caterina

    Si trova sulle pendici orientali del monte Serra, a 260 metri di altezza e poca distanza dal paese di Rio nell'Elba. L'ambiente si apre su un bel panorama delle miniere e il canale di Piombino. La vegetazione circostante a macchia bassa, soprattutto a cisti e lentischi. Un solatio prato punteggiato da margheritine si trova di fronte all'edificio.
    Vi si arriva facilmente da una breve strada sterrata, segnalata, che si stacca dalla comunale Rio nell'Elba-Nisporto. Il transito consentito ai soli pedoni. Ombreggiata da cipressi, da essa ci si avvicina al tempio nella calma della zona.
    La chiesa solo occasionalmente aperta, soprattutto d'estate, quando anche possibile visitare l'annesso orto botanico.

    L'edificio:

    Il santuario a navata unica con soffitto a capriate. La facciata, molto semplice, presenta un timpano spezzato sopra il portale, dove un tempo si trovava uno stemma. Vi si aprono anche due finestrelle e, apposta sul lato destro, si trova una lapide che ricorda il restauro del 1973. Il basso campanile ha la cuspide a piramide.
    L'interno spoglio di decorazioni, e anche l'altare molto sobrio, caratterizzato da due belle colonne provenienti da cave locali. Un piccolo pulpito si trova sul lato destro, di fronte a un arco a volta.
    Un tempo sull'altare si trovava una pregevole tela del manierista Giovanni Mannoni da San Giovanni Valdarno, raffigurante lo sposalizio mistico di santa Caterina d'Alessandria, oggi conservato nella parrocchiale di Rio nell'Elba. Della sua travagliata storia parleremo nel capitolo della storia.
    Nessuna traccia rimane invece delle sepolture ottocentesche e soprattutto dei numerosi ex voto, perduti negli anni di abbandono della chiesa.
    Adiacente alla chiesa il romitorio, fino a qualche anno fa in penoso degrado, e oggi ristrutturato e divenuto centro culturale internazionale grazie all'opera Hans Georg Berger, deus ex machina della rinascita di Santa Caterina. Originariamente le celle dei romiti erano due e le altre stanze erano adibite a magazzini e stalla.
    L'orto del santuario stato riorganizzato in giardino botanico, prendendo il nome di Orto dei semplici elbano. Qui sono curate specie officinali, da frutto e tipiche della flora isolana, che illustrano in uno spazio suggestivo quanto queste piante abbiano significato per i vecchi elbani: quelle che hanno coltivato, con cui si sono curati e nutriti, che sono state utilizzate come strumenti per svariati lavori.

    La storia:

    L'impianto originario della chiesa medievale, molto probabilmente romanico, rifondato forse nel corso del Cinquecento. La struttura attuale per settecentesca. Ma gi nel 1624, anno in cui inizi a custodire il quadro delle nozze mistiche della santa, era gi stato ampliato l'edificio precedente. Pu essere che a finanziare i lavori sia stato l'Appiani indicato come il committente del dipinto.
    Il santuario fu visto con affetto soprattutto dai marinai, forse per la convinzione che la santa di Alessandria fosse capace di far ritrovare i corpi degli annegati. Nacque cos l'usanza degli uomini di mare riesi di rendere omaggio alla chiesa, salutandola col cappello in mano e la bandiera al picco, quando si allontanavano dalla costa. Racconta Valdo Vadi: Cos intensamente suggestivo era il rito che pare di vederli quegli uomini semplici nei quali la tensione dei volti rifletteva la stretta che provavano in cuore, alla vista della chiesina che biancheggiava laggi, sul colle natio, mentre essi si accingevano al lungo viaggio che era, talvolta, senza ritorno, ma sempre periglioso.
    Per quanto riguarda i romiti pare che qui abitassero dalla prima met del Settecento. Vestivano un saio azzurro, detto mariano, dormivano su pagliericci e giravano l'isola per la questua. Al santuario coltivavano il piccolo orto e allevavano una capretta. Di essi ci giunge la storia di Tommaso da Pistoia, uomo di umili natali, che aveva pregato lo zio cardinale di potersi ritirare a Santa Caterina e qui prendervi i voti nel 1735. L'ultimo custode visse al santuario fino al 1858.
    Da allora la chiesa fu completamente abbandonata e cadde in rovina. Purtroppo in questo clima di sfacelo che si intreccia la brutta storia del dipinto di Giovanni da San Giovanni. Nell'inverno del 1965 un ricco e spregiudicato tedesco trafug l'opera e la port in Germania, nella sua collezione d'arte privata. Negli anni seguenti il quadro fu dichiarato in stato di beatitudine dal Vaticano, ma fu fatto anche restaurare dall'istituto Doerner di Amburgo.
    Fu un altro tedesco, Hans Georg Berger, a riparare il torto. Arrivato a Santa Caterina nel 1977, si pose gli obiettivi di riportare l'opera al suo posto naturale e restaurare la chiesa. Il primo fu compiuto nel 1980. L'altro poco dopo, riuscendo inoltre a trasformare il luogo in un centro culturale internazionale di tutto rispetto.


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    Orto dei semplici elbano

    L’Orto dei Semplici Elbano è stato creato nel 1994 presso l’Eremo di Santa Caterina, come orto botanico dedicato alla biodiversità della flora dell’Arcipelago e strutturato con la prospettiva di diventare parte integrante della tutela dell’ambiente, della conservazione, dello studio e della divulgazione che sono obiettivi precisi del Parco Nazionale.

    L’Orto si estende su un terreno di circa un ettaro sul Monte Serra, nella cosiddetta zona A del Parco, ed è legato ad un progetto artistico di respiro internazionale e ad una storia religiosa, ricca di passato storico evidenziato da varie ricerche archeologiche. S’inserisce dunque in un contesto creativo unico ed eccellente che ha assicurato una grande visibilità ed interesse nell’opinione pubblica di tutto il mondo.

    L’ Orto botanico unisce il concetto scientifico della biodiversità con un’attenzione particolare alle tradizioni popolari, al patrimonio vegetale dell’Arcipelago Toscano. L’orto raccoglie piante ad uso medicinale, piante endemiche e subendemiche delle isole dell’Arcipelago, piante dell’ambiente dunale e delle spiagge dell’Elba, nonché una rara collezione di antichi cultivar di alberi da frutto.

    E’ un orto scientifico di conservazione che tutela il prezioso patrimonio vegetale come parte di unampio progetto di studio, di ricerca botanica e di conservazione delle piante del litorale del Mediterraneo occidentale.

    Nato dall’iniziativa dello scrittore e fotografo Hans Georg Berger, il progetto Eremo Santa Caterina dal 1977 ha coinvolto artisti, scrittori e artisti venuti da ogni parte del mondo. Sono stati Gabriella Corsi e Fabio Garbari dell’Università di Pisa a promuovere, dal 1990, l’idea di un Orto botanico nei pressi dell’Eremo, dedicato alle piante spontanee. Agostino Stefani, della Scuola di Studi Superiori e di Perfezionamento Sant’Anna di Pisa, ha ideato e curato la parte degli Alberi da frutto. Già nel 1998, la Società Botanica Italiana ha formulato, in un proprio documento, le finalità scientifiche dell’Orto. Gli architetti Roberto Gabetti e Aimaro Isola, con Guido Drocco, di Torino hanno disegnato gli spazi che oggi accolgono le piante. Il progetto negli ultimi anni è stato sostenuto dalla Regione Toscana, dalla Provincia di LIvorno, dal Programma Interreg GAL della Comunità Europea e dal Comune di Rio nell’Elba. Una parte della rete di protezione è stata donata dal Parco Nazionale Arcipelago Toscano. Nei primi anni la fondazione Teseco ci ha gentilmente aiutato per l’organizzazione di un programma culturale che accompagnava l’apertura dell’Orto.

    Stagione 2010: l’Orto dei Semplici Elbano sarà chiuso dal 15 settembre. Domenica: visitabile su prenotazione

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    Chiesa di San Quirico: è l'unica traccia del villaggio medievale di Grassera. Dai ruderi si riconoscono le mura perimetrali con la piccola abside.

    Torre del Giove

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    Si trova sulla vetta di una collina di 352 metri, dominante sulle miniere di ferro riesi. L'ambiente ancora molto selvaggio: i fianchi dell'altura sono completamente coperti di un manto di leccete rigogliose, a parte il versante meridionale, sventrato dai gradoni degli scavi minerari. La vista dal forte spettacolare su 360: un bellissimo colpo d'occhio si ha sul canale di Piombino, punteggiato dagli isolotti di Palmaiola e Cerboli, e sulla costa toscana, dal promontorio di Populonia a quello dell'Argentario. Inoltre la vista si spinge fino all'isola del Giglio, e copre una buona parte del versante orientale dell'Elba.
    Si raggiunge facilmente: dalla strada provinciale della Parata, che congiunge Rio nell'Elba a Cavo, si stacca un sentiero (segnalato in loco e sulle cartografie con il numero 59), che in meno di mezz'ora ci porta ai piedi dei suoi bastioni. Il fondo del tracciato buono, ampio e in leggera salita. Anche in estate offre poche difficolt, perch completamente sotto un'alta vegetazione.
    L'accesso libero e semplice, ma occorre avere il massimo rispetto delle strutture che vanno velocemente degradandosi in attesa di un impellente restauro.

    L'edificio:

    Il castello oggi fortemente diroccato per motivi che vedremo nel capitolo storico. Originariamente si presentava in forma rettangolare, con un torrione che poggiava su una base cinta da mura a scarpa. L'opera era completamente circondata da un fossato secco.
    Il torrione, o maschio, aveva mura con cordolo e base a scarpa, e l'ingresso si apriva a nord. Era formato da tre piani con soffitto a volta. Da un piano all'altro, scrive Coresi del Bruno, si andava per mezzo di certe piccole scale fabbricate vicino alle mura di dentro, e senza parapetto et assai strette, si crede fatte cos ad arte. Il terrazzo scoperto della torre, forse protetto da una merlatura, serviva principalmente ad accendervi fuochi di segnalazione. In ogni piano si aprivano un numero variabile di finestre, ma sembra che il versante pi vigilato fosse quello che guarda il mare e le miniere. Attualmente proprio il maschio la parte che ha subito i peggiori danni: di essa si eleva il solo muro orientale, per quanto fortemente pericolante, e parte della base.
    Un po' meglio messa la cinta esterna: solo due spezzoni (angolo nord-ovest e lato sud) sono crollati. Essa si presenta con una muraglia a scarpa non altissima, il cui perimetro interno protetto da una cortina in cui si aprono feritoie. Sul lato orientale si trova l'ingresso principale, salvatosi per miracolo dallo sfacelo circostante. Si tratta di un'apertura ad arco, di non grandi dimensioni, protetta dal ponte levatoio e guardata anch'essa da feritoie. Sull'altro lato del fossato presente il basamento di appoggio del ponte levatoio.
    Fonti anche recenti ricordano che sopra l'ingresso era affisso lo stemma marmoreo degli Appiani, poi caduto nel fossato. Pare che sia stato rubato nel 1967.

    La storia:

    Torre del GioveLe fonti erudite sette-ottocentesche danno credito all'esistenza di una struttura pi antica di quella che vediamo oggi, pur mitizzando molto la sua origine (c' chi disse che quass sorgesse un tempio dedicato appunto a Giove, chi un faro romano). Per quanto non peregrina l'ipotesi che vi potesse sorgere un luogo di controllo pi antico (magari un oppida etrusco), attualmente tutto ci rimane nel campo delle congetture.
    L'attuale forte ha un periodo di costruzione preciso: sotto il principato di Jacopo III Appiani. E' ormai opinione diffusa che l'anno di fondazione sia il 1459. Scrive Gianfranco Vanagolli: [Il forte], da annoverarsi tra gli esempi pi illustri di architettura militare minore tardomedievale dell'intera Toscana per la sua solidit e per il rigore delle proporzioni, rifletteva la personalit di Jacopo III d'Appiano, un signore [dall']animo risoluto e talora spietato [...].
    Oltre che per funzioni di vigilanza sul mare e le miniere, Torre del Giove doveva servire come luogo di rifugio per gli abitanti di Grassera, paese vicino al castello e oggi non pi esistente. Tuttavia non sempre riuscir a svolgere il ruolo di sentinella sicura contro i pericoli corsari, come il vicino Volterraio.
    E' il caso dello sbarco all'Elba di Barbarossa nel 1534. Il borgo di Grassera fu assalito nella notte, devastato, saccheggiato, e molti dei suoi abitanti trascinati alle navi pirate in ceppi. Quelli che riuscirono a scappare alla Torre del Giove non poterono far altro che assistere impotenti alla distruzione delle loro case. Da allora Grassera cesser praticamente di esistere.
    Ancora peggio and nell'invasione del 1553. Questa volta i turchi erano guidati dal temibile allievo di Barbarossa, Dragut. Come nelle invasioni precedenti, parte dei riesi sciam con i pochi beni nel castello. Questo fu subito preso d'assedio. Il primo attacco, asserisce Giuseppe Ninci, fu agevolmente sventato con un massiccio fuoco dagli spalti. Gli assedianti, convintisi che la resa del castello non sarebbe stata cosa facile, concentrarono gli sforzi e l'artiglieria sul forte per tre o quattro giorni con una massiccia potenza di fuoco.
    Il motivo della capitolazione per un mistero. Secondo Ninci i cannoneggiamenti furono cos devastanti sulle mura che il comandante della piazza fu costretto alla resa. Marcello Squarcialupi invece la imputa alla vilt dello stesso comandante che, a suo giudizio, poteva ancora resistere. Altri vogliono che Dragut, nella difficolt di espugnarlo, agisse d'astuzia. In ogni caso sappiamo che il comandante della piazzaforte patteggi con il capo nemico la resa in cambio della libert degli occupanti, e il pirata, una volta spalancatesi le porte, rinneg la promessa.
    Il 19 settembre 1554 alcuni magonieri del ferro di Firenze, guidati da Giovan Francesco di Campiglia e spediti a lavorare nelle miniere riesi, chiesero e ottennero di poter abitare nella fortezza del Giovo, affine non siano preda di qualche corsale. E anche questo la dice lunga sul clima di insicurezza di quegli anni.
    Quando nel 1603 fu edificata la piazzaforte spagnola di Longone, gran parte delle torri dell'isola, compresa la nostra, fu presidiata da guarnigioni iberiche. Ovvio quindi che Torre del Giove subisse gli eventi legati agli assedi della piazza principale. E' il caso dell'invasione francese del 1646. Prima di dare l'assalto a Longone, i transalpini espugnarono le difese minori. Nel caso del forte riese, la cui guarnigione era in buon numero e ben equipaggiata, l'assalto and a vuoto, e per tre giorni l'assedio non dette risultati. Racconta Ninci che i francesi alzarono assai vicino a questa fortezza della terra come se da questa si partisse una mina per far saltare in aria; e dato ad intendere agli spagnoli, che, se avessero tardato a rendersi l'avrebbero incendiata; questi, spaventati da tale annunzio subitamente capitolarono. Evidentemente Torre del Giove aveva il maledetto destino di cadere solo per inganno.
    Nel 1708 un nuovo assedio a Longone interess la nostra torre. Ma qui interessante annotare ci che successe al termine dell'evento bellico. Dopo aver liberato la piazza spagnola dalla morsa nemica, il comandante Pinel de Moroy, convintosi che gli isolani avessero tenuto un contegno troppo collaborazionista col nemico, per rappresaglia decise di smantellare molte delle loro opere difensive. Tra queste vi fu il nostro forte. E' in gran parte per questa ragione se la sua struttura cos fortemente rovinata. A ci si aggiunga l'abbandono all'incuria del tempo e dell'uomo, che da allora Torre del Giove si trovata a subire, in attesa di un sempre pi urgente restauro.
    Come unico evento saliente negli ultimi tre secoli, alcuni vogliono che Napoleone, durante l'esilio, mostrasse interessamento per riattare il castello e farne una sua dimora. Il progetto sarebbe rimasto sulla carta per mancanza di fondi.

    Curiosità:

    E' difficile spiegare l'origine del nome della torre. Alcuni vogliono che pi che dalla divinit pagana, il toponimo derivi dal latino jugum, ovvero vetta. In effetti solo oggi conosciuto pi comunemente come Torre del Giove, ma tutte le fonti storiche e i documenti antichi lo citano come il castello del Giogo.
    Intorno il forte fior una leggenda nel XVII secolo, secondo la quale in esso vi erano imprigionati, per poi essere uccisi, gli amanti della reggente del principato di Piombino Isabella Mendoza, che dopo averli lasciati li faceva evirare e trarre in catene.
     
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    CAPOLIVERI



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    Il luogo:

    Capoliveri, un tempo borgo di minatori e' oggi meta del turismo internazionale. Il grazioso paese, situato in collina ed al centro di una verde penisola, domina il mare circostante dando la possibilità di ammirare panorami stupendi. Gran parte dell'Elba, l'isola di Montecristo, Pianosa, la costa toscana e perfino la Corsica da qua si lasciano ammirare in tutta la loro bellezza. Sembra quasi che si possan toccare (allungandosi un po'...). La sua bella piazza, una splendida terrazza e sullo sfondo il campanile illuminato vi attendono ogni sera. E' come ritrovarsi in un comodo salotto lo stare insieme ai tavoli dei bar all'aperto, per un gelato, per una semplice passeggiata o per ammirare una delle tante manifestazioni in programma durante l'estate.

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    La gente e la cultura:


    Manifestazioni in piazza a Capoliveri.

    Il Capoliverese (così si chiama il cittadino di Capoliveri) ha una storia fiera, (Capoliveri e' stato l'unico paese dell'Elba a non piegarsi ai voleri di Napoleone); una cultura tutta propria. Ha spesso un accento diverso dagli altri Elbani malgrado i pochi km. che li separano e delle tradizioni ancora vive ed indelebili che si tramandano da generazioni.

    La Festa del Cavatore, la Festa dell'uva, rievocazioni come la leggenda dell'Innamorata vengono seguite ogni anno da migliaia di persone e sono diventate, grazie alla dedizione delle locali Associazioni culturali e del popolo stesso, dei veri e propri appuntamenti con i ricordi e le tradizioni di un passato non lontano nel tempo ma molto diverso dall' odierno stile di vita.

    Sono ca. 3000 le anime che vi risiedono stabilmente, anche in autunno e in inverno, quando "le luci dei riflettori" sono spente e ci si riposa dalle fatiche estive. E' allora, che si ha più tempo per dedicarsi alla pesca, alla raccolta dei funghi o per discutere
    animatamente sulla piazza su: chi ha preso il pesce più grosso * (l'ampiezza delle braccia non e' mai sufficiente a descriverlo...); chi vincerà il campionato (malgrado la terra toscana ci sono molti juventini); chi sposerà la figlia del macellaio...e chi più ne ha più ne metta, fino all'arrivo della successiva primavera, quando tutti si preparano ad accogliere gli ospiti di una nuova stagione con la speranza che questa sia prosperosa.

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    Storia

    La zona era già popolata nell'epoca etrusco-romana. Sono state trovate monete e statuette ora conservate a Napoli nel Museo Archeologico. Durante l'Impero Romano sono stati documentati i nomi Caput Liberum, Capitis Ilvae, Caput Liseri o Caput Liveri. Il significato non è certo. Forse il nome sta in rapporto con il Dio Liber o Bacco. Dato che già Plinio descrisse la viticoltura della regione, questa spiegazione, secondo alcuni storici, sarebbe possibile.

    Dopo la caduta dell'Impero Romano, cioè durante i Regni romano-barbarici, l'Elba diventò un rifugio per la popolazione dell'Italia centrale. Dall'XI al XIV secolo fece parte del Comune di Pisa; dal 1399 fu governata dal Duca di Piombino. Nel 1548 fu ceduta a Cosimo I de' Medici (1519-1574), primo Granduca di Toscana. Filippo III di Spagna conquistò Porto Longone nel 1596 e nel 1709 diventò parte del Regno di Sicilia.

    Dopo la campagna d'Italia di Napoleone I nel 1799 la popolazione di Capoliveri sviluppò una resistenza ostinata. Quando i cittadini uccisero un gruppo di soldati francesi in fuga da Longone, il contrattacco di una guarnigione proveniente da Portoferraio distrusse quasi tutto il paese. Questo sfondo storico spiega perché quando Napoleone I, nel 1814, arrivò in esilio come Re dell'Elba, fu accolto con scetticismo a Capoliveri, mentre tutti gli altri comuni dell'Elba lo salutarono come liberatore. I cittadini rifiutarono il pagamento delle tasse; la resistenza fu guidata da due preti locali. Terminò, però, quando questi organizzatori furono arrestati.

    Durante il Risorgimento il medico Vincenzo Silvio (nato a Capoliveri il 9 maggio 1805) era conosciuto come patriota. Fu arrestato a Roma per le sue idee sullo stato nazionale e rinunciò alla sua carriera; venne licenziato "per incapacità". Dopo l'unificazione italiana, nel 1860 tornò a Capoliveri come medico militare. Dopo la sua morte (1873) furono distrutti i documenti famigliari e per questo il personaggio fu dimenticato per molti anni. Oggi una associazione privata si dedica a ricerche sulla sua vita e ha chiesto all'Amministrazione comunale di intitolargli una via del paese. Fino al 1906 Capoliveri apparteneva al comune di Porto Azzurro.

    Oggi una delle risorse economiche più importanti per Capoliveri è il turismo.

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    Monumenti e luoghi turistici




    * Borgo medievale fortificato, con piccoli vicoli con archi, sottopassi e scalette che si trovano attorno alla piazza centrale in collina;


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    * Chiesa di San Michele, del XII secolo, in stile romanico-pisano. La leggenda dice che il Papa, ritornato dalla cattività avignonese, si rifugiò qui dopo una tempesta e disse la messa alla popolazione del paese. Dopo la distruzione da parte delle truppe del corsaro Khair Ad-Dìn Barbarossa nel XVI secolo, è rimasta solo l'abside.

    * Strada panoramica sopra il Golfo della Stella; il percorso va dal centro storico per le frazioni Morcone e Pareti fino alla Cala dell'Innamorata. Questa spiaggia è chiamata così dalla storia tragica di due innamorati, Lorenzo e Maria. Una leggenda dell'anno 1534 dice che gli innamorati trovavano sempre il loro rifugio segreto in questa spiaggia, di nascosto dalla famiglia dell'uomo che voleva impedire questo amore. Quando, il pomeriggio del 14 luglio, Lorenzo fu assalito e ucciso da dei pirati, anche Maria si gettò in mare. Perché gli innamorati si erano fidanzati quel giorno, ancora oggi il 14 luglio è il giorno della Festa dell'Innamorata a Capoliveri. La vecchia leggenda fu riscoperta nel Settecento quando Domingo Cardenas, un nobile spagnolo, ebbe una visione di una bella ragazza in questa cala. La festa è celebrata con un corteo e con una grande fiaccolata in mare.

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    * Santuario della Madonna delle Grazie, vicino a Morcone, del Seicento. Nel 1792 fu un rifugio per dei monaci francesi durante la rivoluzione francese. Al centro dell'altare c'è un quadro, Madonna del Silenzio di Marcello Venusti, uno scolaro di Michelangelo. Gli affreschi furono eseguiti da Eugenio Allori in stile barocco. Un restauratore tedesco, Gustav Blankenagel da Colonia, intonacò le mura negli anni Sessanta e staccò le stuccature barocche dall'altare per ripristinare lo stato medievale in pietra. Il santuario è circondato da un paesaggio pittoresco di pinete e vigne.

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    * Santuario della Madonna della Neve vicino a Lacona. Fu costruita nel Cinquecento sulle fondamenta di un edificio precedente. Ancora nell'Ottocento ci visse un eremita, Giuseppe Tosi. Abitò in uno spazio strettissimo, però ebbe la sua propria vigna. Nella chiesa è conservata una immagine della Madonna.

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    * Forte Focardo

    "Del castello il Focardo aveva la solitudine, le mura ricciute di capperi e di fichi selvatici, di lentischi, di altre piante antiche". Con queste parole Raffaello Brignetti, il pi grande scrittore di mare italiano, ricordava il luogo in cui aveva passato la giovinezza, al seguito del padre, che qui fece da guardiano al faro. Dalle suggestioni degli ambienti militari dimessi, dai colori della scogliera sottostante e dai frequenti spostamenti in barca dal piccolo approdo del forte al paese di Porto Azzurro, dove frequentava la scuola col fratello, nacque la sua voglia di raccontare storie profondamente legate al mare.

    L'unica struttura a carattere difensivo del comune di Capoliveri a pianta quadrata bastionata, protetta dal lato di terra da un fossato. Il bastione sud stato ricostruito (malamente) dopo che un bombardamento nella seconda guerra mondiale ne aveva distrutto le forme originarie: purtroppo il risultato non molto armonico con le antiche mura. Il forte disponeva di quindici bocche da fuoco e poteva ospitare fino a cinquanta soldati. Al suo interno si trovavano le caserme dei soldati, i magazzini, la sala della disciplina e alcuni sotterranei. La fortezza stata voluta dagli spagnoli nel 1678. La sua costruzione fu ritenuta necessaria in appoggio al caposaldo di Longone. Infatti il forte maggiore, costruito nel 1603, fu espugnato dai francesi nel 1646 dopo un assedio. Prontamente riconquistato quattro anni pi tardi, gli spagnoli pensarono a un sistema che impedisse ai nemici di forzare l'entrata nel golfo di Mola e di trovare riparo nelle piccole baie intorno a Longone. Fu cos costruito il Focardo sulla punta che chiudeva a sud la rada, con lo scopo di creare un fuoco di sbarramento all'imbocco della stessa. La nuova opera, di non grandi dimensioni, fu affidata al maggiore Alejandro Piston e terminata in appena due anni. Voluta dal vicer di Napoli Foscardo, ne eredit il nome, che ben presto si trasform in quello attuale. A ricordo di ci fu posta una lapide, vicina all'ingresso esterno, ancora oggi visibile, sebbene in cattive condizioni.

    Il battesimo del fuoco lo ebbe nel 1708, quando Longone entr nelle mire dell'esercito imperiale, durante la guerra di successione spagnola. Non solo resistette a un assalto dei soldati austriaci, ma la guarnigione spagnola (aiutata dai, una volta tanto, alleati francesi) ne fece prigionieri molti tra cui il capitano. Inizi cos un gustoso scambio epistolare tra i due comandanti, dove, da parte imperiale si chiedeva assicurazioni per i prigionieri, e da parte spagnola ci si doleva per la scarsa creanza dimostrata dagli ufficiali nemici nel trattare con gentiluomini in uniforme.
    Il secondo episodio di guerra del 1799, quando le truppe napoleoniche invasero l'Elba. Longone e Focardo erano in quegli anni sotto il governo di Napoli. In questa occasione i comandanti della guarnigione giudicarono meglio abbandonare il forte per la sua impossibilit di reggere un lungo assedio. Peraltro con il passare del tempo la sua importanza difensiva venne sempre meno. Nell'aprile 1814, con la crisi dell'impero di Napoleone, un gruppo di capoliveresi assalt un forte quasi incustodito, saccheggiandolo. Nel 1848 fu costruito il faro al suo interno. Attualmente propriet della marina militare e sotto la custodia di un farista. Per questa ragione l'accesso precluso. E possibile ammirare i suoi baluardi e i fronti tanagliati dall'esterno, e i pi "acrobati" possono costeggiare tutto il promontorio su cui sorge, ammirando la struttura ad arco che d stabilit al forte a causa di una faglia e il piede di alcuni bastioni che lambisce quasi il mare. Il modo migliore per raggiungerlo invece tramite il sentiero che parte dall'angolo sud della spiaggia di Naregno, e passa all'ombra di una bella pineta sulla scogliera con alcuni scorci su Porto Azzurro.


    * Chiesa della Santissima Annunziata, di origine seicentesca

     
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  5. tomiva57
     
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    Rio Marina



    Rio Marina appare all’orizzonte subito dopo aver lasciato il porto di Piombino. Sul mare blu, appena increspato, risplende rosea e incorniciata dal verde dei boschi di leccio, con le case immerse nella macchia mediterranea, arroccate su piccole alture e avvolte dai profumi e dai colori di una vegetazione selvaggia.

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    Lo sguardo e’ attratto dai colori improbabili delle scogliere e delle baie nascoste, delle spiagge di sabbia e di ghiaia dove il mare arriva cristallino, dalle colline ora dolci e punteggiate dal mirto alla ginestra odorosa, dal cisto marino alla lavanda, dal rosmarino selvatico al caprifoglio, e dalle lande dure e colorate dal ferro che le alimenta, rosse come ruggine, venate di zolfo e di sale: un paesaggio incontaminato.
    Tutto il paese si specchia nel mare con l’antica Torre ottogonale degli Appiani, che riflette l’orologio nelle acque del porto. E’ cosi’ che il piccolo centro comunale e portuale di rio marina mantiene il sapore antico di rifugio per pescatori, un’atmosfera di genuina semplicita’, il tipico aspetto di paese medioevale che nella sua “parte antica”, si snoda in vicoli stretti e piccole piazzette, in scalinate e stradine lastricate.

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    Un territorio perfetto per una vacanza diversa dal solito, con il mare protagonista di un nuovo turismo, non antagonista ma strettamente legato alle tradizioni marinare: il Pescaturismo.
    Rio Marina e i suoi territori circostanti rappresentano un’Elba fuori dalle rotte turistiche di massa, a stretto contatto con la natura e con la sua memoria, una storia fatta di ferro e di legno, di terra e di mare.

    Storia


    Il borgo

    La zona di Rio Marina è stata sfruttata fin dai tempi degli Etruschi per scopi minerari, a causa della forte presenza di minerale di ferro nel terreno.

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    I primi insediamenti fissi risalgono intorno al XV secolo: in quel periodo la zona era conosciuta come "Piaggia di Rio", e costituiva il punto di accesso al mare del vicino centro abitato di Rio nell'Elba. In quei periodi infatti le incursioni dei pirati spingevano gli abitanti a costruire i paesi sulle colline: le uniche costruzioni presenti all'epoca erano la Torre di guardia, l'oratorio di San Rocco ed alcuni edifici di servizio.

    È nel XVIII secolo, quando ormai le incursioni piratesche sono un ricordo, che il borgo comincia a svilupparsi: alcuni padroni di bastimento e marinai, liguri e corsi, si trasferiscono alla Marina di Rio ed insieme alle guardie, ai pesatori, ad alcuni pescatori e ad altri padroni e marinai scesi da Rio nell'Elba, danno origine alla prima comunità piaggese.

    Ai tempi dell'invasione francese del 1799 il paese conta circa 800 abitanti. È in quel periodo che comincia lo sfruttamento industriale delle miniere di ferro: vengono importate nuove tecnologie e aperte nuove cave. Nel 1841, nonostante la viva opposizione da parte della parrocchia di Rio nell'Elba, un decreto vescovile sancisce la nascita della parrocchia paesana, che troverà sede nella chiesa di Santa Barbara. La chiesa verrà ultimata nel 1843, distrutta nel 1860 e successivamente ricostruita alla periferia del paese, dove è tuttora. Nel 1853 si insedia nel paese una piccola comunità valdese, attiva fino al giorno d'oggi.

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    Con la spinta delle miniere, il paese vede una forte crescita demografica, fino a raggiungere l'apice alla fine del XIX secolo, quando possedeva una delle migliori flotte della penisola ed era diretta da uomini economicamente forti e politicamente determinati. È di questo periodo la scissione a comune autonomo: per celebrare l'occasione, sulla cima della torre ottagonale, ormai inutilizzata, viene costruita una torretta con l'orologio, donando al monumento l'aspetto attuale.

    A cavallo del 1900, il paese vive una profonda crisi, che terminerà quando la società Elba ottiene il possesso dell'intera catena produttiva delle miniere di Rio, dall'estrazione al trasporto. Sono momenti di ricchezza per il paese, ma spesso le condizioni di lavoro in miniera sono proibitive: turni di dodici ore in un ambiente malsano, la povertà degli operai che costringeva anche gli anziani e le donne a lavorare. È in questo periodo che arrivano a Rio le nuove idee socialiste ed anarchiche: nasce nel 1904 la sede locale del Partito Socialista.

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    Nel 1911 si apre una dura contestazione degli operai contro i dirigenti delle miniere, che si concluderà con la cocente sconfitta del proletariato e il licenziamento di molti operai. Nove anni dopo, in pieno biennio rosso, venne addirittura tentata l'occupazione e autogestione delle miniere, ma nonostante l'aiuto della giunta comunale socialista anche questo tentativo fallì.

    Tuttavia, con l'avvento dei tempi moderni, le miniere subirono un brusco ridimensionamento, fino alla chiusura definitiva nel 1981. Dopo la chiusura delle miniere, l'attività estrattiva ha dovuto lasciare il passo allo sviluppo turistico, trasformando così Rio Marina in una fiorente località balneare.

    Miniere di Rio Marina


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    Come detto in precedenza, Rio Marina è stato in passato un centro di fervida attività mineraria. I cantieri principali erano due: la miniera di Rio, situata a nord ovest rispetto all'abitato, e la miniera di Rio Albano situata circa dieci chilometri a nord. Inoltre a sud del paese si trovano le miniere di Ortano, Terra Nera e Capo Bianco. In tutte le miniere vi è una forte presenza di ematite e, in misura minore, limonite. Molto alta anche la presenza di minerali accessori come la pirite ed altri solfuri.

    Miniera di Rioalbano

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    Procedendo da nord a sud si incontra la miniera di Rioalbano che si estende dal tratto di costa tra Cala del Telegrafo e Rialbano a tutto il Monte Calendozio. Già ai tempi degli Etruschi e dei Romani il minerale veniva estratto da questa miniera e lavorato in loco. Il cantiere più a nord è quello delle Fornacelle. Si trova leggermente distaccato rispetto agli altri cantieri della miniera. L'attività in questo cantiere è durata dal 1950 fino al 1968, quando il filone si è esaurito. A sud rispetto alle Fornacelle si trova il cantiere più grande della miniera, detto del Monte Calendozio. Oltre che in epoche antiche è stato sfruttato per oltre 100 anni dal 1860 agli anni '70, quando il filone si è esaurito. Altri cantieri erano quelli di Venezia, attivo dal 1920 al 1960, Puppaio, attivo dal 1880 a metà degli anni '70, e Pistello, attivo dal 1900 all'esaurimento avvenuto nel 1954.

    Il laghetto delle Conche


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    Il cantiere delle Conche è il cantiere più a sud della miniera di Rio Albano. Attivo dal 1940 al 1968, il cantiere si distingue dagli altri per la presenza di un piccolo lago rimasto sul fondo dello scavo, caratterizzato da un forte colorito rosso dovuto agli ossidi di ferro.

    Miniera di Rio

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    In prossimità delle ultime case del paese c'è la miniera di Rio Marina che arriva fino al Monte Giove. Qui si ricavavano in abbondanza ematite e pirite.

    Miniera di Ortano

    Si trova sulle pendici del Monte Fico, a nord della spiaggia di Ortano. La pirite estratta veniva utilizzata per produrre l'acido solforico. In questa miniera sono stati rinvenuti cristalli di hedembergite e ilvaite di dimensioni eccezionali.


    Miniere di Terra Nera e Capo Bianco

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    A nord-est di Porto Azzurro, a poco più di un chilometro in linea d'aria l'una dall'altra, ci sono le miniere di Terra Nera e Capo Bianco. La miniera di Terra Nera, da cui si estraeva pirite, ematite e magnetite, è diventata, in seguito agli scavi, un laghetto di acqua dolce prossimo al mare. Dalla miniera di Capo Bianco, così chiamata per il colore delle sue rocce, si ricavava soprattutto limonite.



    Luoghi d'interesse

    Chiesa di Santa Barbara (parrocchia)



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    Nel 1837, per volontà del Granduca Pietro Leopoldo di Toscana, a Rio Marina si dette il via alla costruzione della chiesa da dedicare a Santa Barbara.
    I lavori finirono tre anni dopo, nel 1840.
    Ben presto però, la zona prescelta, l’area che oggi ospita il Palazzo Comunale, si rivelò poco felice.
    Il fatto di essere troppo vicina alle lavorazioni minerarie, con le continue escavazioni, sparo di mine, impianti rudimentali per il lavaggio dei minerali, e, complici anche altre cause, come le infiltrazioni d’acqua e la natura del terreno, provocarono, pochi anni dopo la sua edificazione, un cedimento dell'intera struttura, che fu dichiarata pericolante, tanto che si rese necessaria la sua definitiva demolizione.
    Cosi nel 1856 Santa Barbara fu chiusa al culto, e nel 1860 definitivamente abbattuta.
    Da allora le funzioni si celebrarono a San Rocco, il piccolo oratorio voluto nel XVI° secolo dal Principe Ludovisi-Boncompagni di Piombino.
    Così scriveva il Canonico Vincenzo Paoli nel 1923: “Rio Marina purtroppo non ha chiesa. Della vecchia chiesa di Santa Barbara, solo è rimasto, superstite a tanta rovina, il campanile con le tre campane, il quale sta là quasi ad implorare il popolo: “Quando mi darai una nuova chiesa?”.
    La supplica del campanile di Santa Barbara, che fu demolito nel 1960, la accolse la Società Ilva, concessionaria delle miniere.

    Nel 1934, in terreno di sua proprietà, ai Pozzi, fra la strada provinciale e la Valle di Riale, l’Ilva fece costruire la nuova Chiesa di Santa Barbara.
    Una targa, posta vicino al fonte battesimale ricorda quel gesto con queste parole: “Per la munificenza della Società Ilva Miniere questa popolazione poté riavere la chiesa parrocchiale”.
    Questa munificenza fu anche un doveroso atto di riparazione nei confronti di una comunità e di un paese che erano sempre più profondamente segnati dall’attività di estrazione, trattamento e trasporto del minerale.

    Santa Barbara però fu aperta solennemente al culto il 4 dicembre del 1934 dal Vescovo di Massa e Populonia, Faustino Baldini, e dal parroco Andrea Corsetti.
    La popolazione di Rio Marina salutò con gioia l’avvenimento.
    Il 13 aprile 2003 il Vescovo di Massa Marittima e Piombino, Mons. Giovanni Santucci ha rinaugurato la chiesa, sottoposta ad un netto restauro.
    Il Comune, all'inizio del 2004, ha istituito il riconoscimento civico della "Santa Barbara d’oro".
    Il 4 dicembre, giorno della Santa Patrona di Rio Marina, sarà concesso un riconoscimento ai quei cittadini che con opere concrete nel campo del lavoro, della scuola, della cultura, dello sport, o con iniziative di carattere sociale, assistenziale e filantropico, o con atti di coraggio e abnegazione civica, abbiano in qualsiasi modo giovato a questa Comunità, rendendone più alto il prestigio.
    Il premio Santa Barbara d’Oro è stato istituito dal Consiglio Comunale che ha approvato il Regolamento per la concessione delle benemerenze civiche.
    La benemerenza si concretizzerà nella consegna di un attestato e nel conferimento di una miniatura in oro, raffigurante lo stemma del Comune e l’immagine della Santa, che sarà consegnata solennemente il 4 dicembre di ogni anno, ricorrenza della Santa Patrona di Rio Marina.


    Chiesa di San Rocco



    Voluta dai signori di Piombino, fu costruita nella seconda metà del XVI secolo per offrire un luogo di preghiera ai minatori che venivano a lavorare sull'isola.
    Fino al 1840 fu cappellania della pieve di San Giacomo e Quirico, però in conseguenza all'aumento della popolazione e dell'importanza del nuovo centro costiero, fu eletta parrocchia.
    A livello architettonico è a croce latina e possiede una sola navata.


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    La chiesa di San Rocco è un edificio sacro che si trova a Rio Marina.

    La chiesa è il luogo di culto più rappresentativo del paese, e fu edificata dai signori di Piombino nella seconda metà del XVI secolo con lo scopo di offrire un luogo di preghiera ai minatori che, dal continente, venivano a lavorare sull'isola.

    Rimase fino al 1840 cappellania alle dipendenze della pieve di San Giacomo e Quirico, poi, con l'aumento della popolazione e dell'importanza del nuovo centro costiero, fu eretta in parrocchia.

    Tempio Evangelico Valdese

    Il tempio evangelico valdese è un edificio sacro che si trova in piazza Mazzini a Rio Marina.

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    La prima presenza di una comunità evangelica a Rio Marina risale al 1853, ma solo l'8 marzo 1863 fu costituita la chiesa valdese, che contava su 18 donne e 5 uomini. Il 24 marzo 1864 fu inaugurato il tempio; nel 1867-68 furono costruite l'abitazione del pastore e due aule. La scuola era nata ancor prima, nel 1862, e ben presto era arrivata ad avere 120 alunni.

    Nonostante l'emigrazione, la chiesa raggiunse la punta massima dei suoi membri, 105, nel 1905, mentre la scuola, frequentata sia da figli di evangelici che di cattolici, contava nel 1924 192 alunni. Nel 1925, con il consolidarsi del fascismo, la chiesa fu ufficialmente chiusa ma di fatto continuò la sua attività fino al 1931. Nel dopoguerra nei locali dell'ex-scuola fu costituita la Casa Valdese.

    La Torre-1534- a difesa degli stock di ferro;



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    Torrione del Giove -1459-a difesa dalle incursioni barbaresche;

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    Si trova sulla vetta di una collina di 352 metri, dominante sulle miniere di ferro riesi. L'ambiente ancora molto selvaggio: i fianchi dell'altura sono completamente coperti di un manto di leccete rigogliose, a parte il versante meridionale, sventrato dai gradoni degli scavi minerari. La vista dal forte spettacolare su 360: un bellissimo colpo d'occhio si ha sul canale di Piombino, punteggiato dagli isolotti di Palmaiola e Cerboli, e sulla costa toscana, dal promontorio di Populonia a quello dell'Argentario. Inoltre la vista si spinge fino all'isola del Giglio, e copre una buona parte del versante orientale dell'Elba.
    Si raggiunge facilmente: dalla strada provinciale della Parata, che congiunge Rio nell'Elba a Cavo, si stacca un sentiero (segnalato in loco e sulle cartografie con il numero 59), che in meno di mezz'ora ci porta ai piedi dei suoi bastioni. Il fondo del tracciato buono, ampio e in leggera salita. Anche in estate offre poche difficolt, perch completamente sotto un'alta vegetazione.
    L'accesso libero e semplice, ma occorre avere il massimo rispetto delle strutture che vanno velocemente degradandosi in attesa di un impellente restauro.

    L'edificio:

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    Il castello oggi fortemente diroccato per motivi che vedremo nel capitolo storico. Originariamente si presentava in forma rettangolare, con un torrione che poggiava su una base cinta da mura a scarpa. L'opera era completamente circondata da un fossato secco.
    Il torrione, o maschio, aveva mura con cordolo e base a scarpa, e l'ingresso si apriva a nord. Era formato da tre piani con soffitto a volta. Da un piano all'altro, scrive Coresi del Bruno, si andava per mezzo di certe piccole scale fabbricate vicino alle mura di dentro, e senza parapetto et assai strette, si crede fatte cos ad arte. Il terrazzo scoperto della torre, forse protetto da una merlatura, serviva principalmente ad accendervi fuochi di segnalazione. In ogni piano si aprivano un numero variabile di finestre, ma sembra che il versante pi vigilato fosse quello che guarda il mare e le miniere. Attualmente proprio il maschio la parte che ha subito i peggiori danni: di essa si eleva il solo muro orientale, per quanto fortemente pericolante, e parte della base.
    Un po' meglio messa la cinta esterna: solo due spezzoni (angolo nord-ovest e lato sud) sono crollati. Essa si presenta con una muraglia a scarpa non altissima, il cui perimetro interno protetto da una cortina in cui si aprono feritoie. Sul lato orientale si trova l'ingresso principale, salvatosi per miracolo dallo sfacelo circostante. Si tratta di un'apertura ad arco, di non grandi dimensioni, protetta dal ponte levatoio e guardata anch'essa da feritoie. Sull'altro lato del fossato presente il basamento di appoggio del ponte levatoio.
    Fonti anche recenti ricordano che sopra l'ingresso era affisso lo stemma marmoreo degli Appiani, poi caduto nel fossato. Pare che sia stato rubato nel 1967.

    La storia:

    Le fonti erudite sette-ottocentesche danno credito all'esistenza di una struttura pi antica di quella che vediamo oggi, pur mitizzando molto la sua origine (c' chi disse che quass sorgesse un tempio dedicato appunto a Giove, chi un faro romano). Per quanto non peregrina l'ipotesi che vi potesse sorgere un luogo di controllo pi antico (magari un oppida etrusco), attualmente tutto ci rimane nel campo delle congetture.
    L'attuale forte ha un periodo di costruzione preciso: sotto il principato di Jacopo III Appiani. E' ormai opinione diffusa che l'anno di fondazione sia il 1459. Scrive Gianfranco Vanagolli: [Il forte], da annoverarsi tra gli esempi pi illustri di architettura militare minore tardomedievale dell'intera Toscana per la sua solidit e per il rigore delle proporzioni, rifletteva la personalit di Jacopo III d'Appiano, un signore [dall']animo risoluto e talora spietato [...].
    Oltre che per funzioni di vigilanza sul mare e le miniere, Torre del Giove doveva servire come luogo di rifugio per gli abitanti di Grassera, paese vicino al castello e oggi non pi esistente. Tuttavia non sempre riuscir a svolgere il ruolo di sentinella sicura contro i pericoli corsari, come il vicino Volterraio.
    E' il caso dello sbarco all'Elba di Barbarossa nel 1534. Il borgo di Grassera fu assalito nella notte, devastato, saccheggiato, e molti dei suoi abitanti trascinati alle navi pirate in ceppi. Quelli che riuscirono a scappare alla Torre del Giove non poterono far altro che assistere impotenti alla distruzione delle loro case. Da allora Grassera cesser praticamente di esistere.
    Ancora peggio and nell'invasione del 1553. Questa volta i turchi erano guidati dal temibile allievo di Barbarossa, Dragut. Come nelle invasioni precedenti, parte dei riesi sciam con i pochi beni nel castello. Questo fu subito preso d'assedio. Il primo attacco, asserisce Giuseppe Ninci, fu agevolmente sventato con un massiccio fuoco dagli spalti. Gli assedianti, convintisi che la resa del castello non sarebbe stata cosa facile, concentrarono gli sforzi e l'artiglieria sul forte per tre o quattro giorni con una massiccia potenza di fuoco.
    Il motivo della capitolazione per un mistero. Secondo Ninci i cannoneggiamenti furono cos devastanti sulle mura che il comandante della piazza fu costretto alla resa. Marcello Squarcialupi invece la imputa alla vilt dello stesso comandante che, a suo giudizio, poteva ancora resistere. Altri vogliono che Dragut, nella difficolt di espugnarlo, agisse d'astuzia. In ogni caso sappiamo che il comandante della piazzaforte patteggi con il capo nemico la resa in cambio della libert degli occupanti, e il pirata, una volta spalancatesi le porte, rinneg la promessa.
    Il 19 settembre 1554 alcuni magonieri del ferro di Firenze, guidati da Giovan Francesco di Campiglia e spediti a lavorare nelle miniere riesi, chiesero e ottennero di poter abitare nella fortezza del Giovo, affine non siano preda di qualche corsale. E anche questo la dice lunga sul clima di insicurezza di quegli anni.
    Quando nel 1603 fu edificata la piazzaforte spagnola di Longone, gran parte delle torri dell'isola, compresa la nostra, fu presidiata da guarnigioni iberiche. Ovvio quindi che Torre del Giove subisse gli eventi legati agli assedi della piazza principale. E' il caso dell'invasione francese del 1646. Prima di dare l'assalto a Longone, i transalpini espugnarono le difese minori. Nel caso del forte riese, la cui guarnigione era in buon numero e ben equipaggiata, l'assalto and a vuoto, e per tre giorni l'assedio non dette risultati. Racconta Ninci che i francesi alzarono assai vicino a questa fortezza della terra come se da questa si partisse una mina per far saltare in aria; e dato ad intendere agli spagnoli, che, se avessero tardato a rendersi l'avrebbero incendiata; questi, spaventati da tale annunzio subitamente capitolarono. Evidentemente Torre del Giove aveva il maledetto destino di cadere solo per inganno.
    Nel 1708 un nuovo assedio a Longone interess la nostra torre. Ma qui interessante annotare ci che successe al termine dell'evento bellico. Dopo aver liberato la piazza spagnola dalla morsa nemica, il comandante Pinel de Moroy, convintosi che gli isolani avessero tenuto un contegno troppo collaborazionista col nemico, per rappresaglia decise di smantellare molte delle loro opere difensive. Tra queste vi fu il nostro forte. E' in gran parte per questa ragione se la sua struttura cos fortemente rovinata. A ci si aggiunga l'abbandono all'incuria del tempo e dell'uomo, che da allora Torre del Giove si trovata a subire, in attesa di un sempre pi urgente restauro.
    Come unico evento saliente negli ultimi tre secoli, alcuni vogliono che Napoleone, durante l'esilio, mostrasse interessamento per riattare il castello e farne una sua dimora. Il progetto sarebbe rimasto sulla carta per mancanza di fondi.

    Curiosità:

    E' difficile spiegare l'origine del nome della torre. Alcuni vogliono che pi che dalla divinit pagana, il toponimo derivi dal latino jugum, ovvero vetta. In effetti solo oggi conosciuto pi comunemente come Torre del Giove, ma tutte le fonti storiche e i documenti antichi lo citano come il castello del Giogo.
    Intorno il forte fior una leggenda nel XVII secolo, secondo la quale in esso vi erano imprigionati, per poi essere uccisi, gli amanti della reggente del principato di Piombino Isabella Mendoza, che dopo averli lasciati li faceva evirare e trarre in catene.

    Resti della villa romana di età imperiale a Capocastello -Cavo-

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    Si trova sul promontorio che separa la spiaggia del Frugoso da cala delle Alghe, in località Cavo. Da esso si ha un bello scorcio panoramico sul paese marittimo. Di fronte, sul lato nord, si trova il suggestivo isolotto dei Topi.
    Oggi la punta è occupata da case e villette, in mezzo a selvaggia macchia e giardini, tanto che il sito archeologico si può dire ormai all'interno del centro urbano di Cavo. L'area stata irrimediabilmente compromessa dalla costruzione di villette, l'apertura di una strada e interventi recenti. Cosa che la rende difficilmente leggibile.
    Il sito è in proprietà privata, e quindi non visitabile, per quanto l'assenza di scavi sistematici e i gi accennati interventi moderni, non lascino molto da vedere. Tuttavia resti di muri in opus reticulatum si possono scorgere al termine del tratto di strada pubblica che sale alla sommità del capo.

    L'edificio:

    La pianta della villa era un rettangolo con orientamento est-ovest. La lunghezza è di 88 metri, la larghezza di 44. Era disposta su sei terrazze digradanti. Su quella più elevata sorgeva il nucleo abitativo. Di esso rimane poco, dato che in tempi moderni vi è stato costruito sopra l'edificio moderno che ancor oggi si vede. Uniche tracce antiche sono sul lato sud: resti del muro perimetrale in opus reticulatum e, all'esterno di esso, una cisterna in opus signinum.
    Le due terrazze sottostanti mettevano in collegamento la terrazza più alta con la quarta, e ospitavano l'hortus. Infatti in esse mancano strutture murarie interne. I muri perimetrali sono anch'essi in opus reticulatum.
    Sula quarta terrazza sorgeva il nucleo della domus. In essa infatti si notano i resti di sette vani: tre di essi conservano ancora i pavimenti in mosaico e un altro i resti di una scala. I muri sono tutti in opus reticulatum, tranne un tratto in opus spicatum. Purtroppo questa parte è in gran parte difficilmente leggibile per i danneggiamenti causati da strutture moderne e l'apertura di strade e vialetti.
    Delle ultime due terrazze, in gran parte interrate, si riconoscono solo i muri perimetrali in opus reticulatum e una cisterna in opus signinum.
    I reperti rinvenuti nella villa sono scarsi e di modesto pregio. Tra essi vanno citati: un frammento di capitello di lesena in marmo ornato da foglie d'acanto, un frammento di cornice in terracotta con gorgoneion, un piccolo idolo alato con l'iscrizione kronos in greco, alcuni mattoni con bolli laterizi e un vaso con l'impronta di un piede. Purtroppo va segnalato che nel corso degli anni, per incuria o asportazioni, sono andati distrutti molti mosaici pavimentali.
    Nei dintorni della villa vanno indicati altri edifici di pertinenza a essa. Il primo sorgeva sul capo Mattea, il promontorio che col capo Castello cinge cala dell'Alga. E' stato ipotizzato che esso fosse la pars rustica della villa, ovvero il quartiere di pertinenza delle servitù dei ricchi patrizi. Di esso oggi non rimane alcuna traccia.
    Il secondo, a 450 metri dalla villa, è la cisterna di colle del Lentisco, che garantiva l'approvvigionamento idrico alla casa. Di essa è rimasta la parte inferiore (la cisterna vera e propria), ma non è visitabile in quanto proprietà privata e incorporata in un edificio moderno. Secondo la una ricostruzione planimetrica di Vincenzo Mellinila parte superiore era in forma di grazioso tempietto.

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    La storia:

    Dai pochi elementi venuti alla luce possibile datare la fondazione della domus alla seconda metà del I secolo a. C. Essa sarebbe quindi coeva a molte di quelle presenti nell'arcipelago, compresa quella delle Grotte, vicino Portoferraio. Impossibile sapere invece chi furono i proprietari, che scelsero questa affascinante plaga per il loro otium.
    Dagli esami stratigrafici è evidente una seconda fase in et tiberiana (prima metà del I secolo d. C.), in cui la villa fu interessata da ristrutturazioni e rifacimenti. Lo scempio edilizio moderno ha lasciato poche tracce di essa (soprattutto tratti di muro in opus testaceum), tanto che ci sono pareri discordanti sulla sua fine e il successivo abbandono dell'edificio: secondo alcuni questo è da collocare alla fine del I secolo, mentre altri lo attestano alla prima metà del II.
    Ma la vita della villa non era destinata a cessare. Come le altre domus elbane e alcune dell'arcipelago, Capo Castello conoscer una frequentazione tardoantica: tra il IV e il VI secolo piccole comunità umane ristrutturarono alcuni vani del complesso di capo Mattea per viverci. In questo periodo infatti l'Italia conosce il fenomeno del monachesimo, moda importata dall'Oriente: coloro che vi si dedicavano fuggivano dalla corruttela e dalle mollezze delle città per ritrovare il contatto con una vita parca. Quale simbolo migliore di una villa patrizia allo sfacelo? La loro presenza è testimoniata da sepolture rinvenute da Mellini.
    E' forse a opera di questi primi monaci la fondazione della vicina chiesa di San Mennato (oggi non più esistente). Sempre Mellini infatti afferma che per la costruzione di essa venissero impiegati alcuni materiali sottratti alla villa, in particolare quattro colonne di ornamento alla facciata.
    Con il definitivo abbandono su Capo Castello scese l'oblio. Quei ruderi furono interpretati in diversi modi dalla gente, e alcuni vi videro perfino i resti di una leggendaria città romana, Faleria. Purtroppo non fu dimenticata dai cercatori di tesori, che conclusero l'opera di spoliazione e devastarono alcune parti. E' anche questa una spiegazione sulla penuria di reperti fino a oggi recuperati.
    Finalmente è al termine dell'Ottocento che venne iniziata una ricerca sistematica sul sito, a opera dello storico elbano Vincenzo Mellini. Egli spazzò via tutte le panzane che fino ad allora avvolgevano Capo Castello: Chiunque è pratico, anche mediocremente, di queste materie, vede che le rovine che ingombrano Capo Castello non sono gli avanzi di una città, fosse pur piccola, ma di una grandiosa villa romana, dalla quale i fabbricati del Capo di Mattea e del Colle del Lentisco non erano che necessarie appendici. A tutt'oggi il suo studio, le ricerche e i disegni ( andata per perduta una preziosa planimetria della struttura) sono l'opera più completa sul sito, avendo avuto la fortuna di poterci lavorare quando non era stato ancora aggredito dalla spinta edilizia.
    Da allora nessuno rimase sensibile all'importanza della zona e fu concesso di costruirvi sopra, arrecando spesso danni irrimediabili. In tempi recenti, tra il 1970 e il 1972, solo un saggio archeologico di Gianfranco Vanagolli ha permesso di portare un po' più di luce sulla pianta della villa.

    Curiosità:

    Abituati a considerarla come una località turistica moderna, spesso ci dimentichiamo che Cavo ha avuto un passato molto antico. Sfruttando il fatto di essere l'approdo più vicino al continente e di trovarsi a due passi dalle miniere di ferro, questa località ha visto un fervore umano ed economico fin dai tempi antichi. La presenza di un'abbondante attività fusoria (un quartiere metallurgico antico è stato scoperto non molti anni fa) copre l'epoca etrusca e romana.
    Nel seconda metà del Novecento poi sono molti i ritrovamenti subacquei davanti al suo porto, segno di un intenso traffico mercantile. E per tutto il secolo reperti sparsi si sono susseguiti nei suoi dintorni.
    Tutto ci ha fatto supporre a qualcuno che non fosse un caso se qui nacque una villa patrizia: forse i proprietari, oltre che goderla come luogo di otium, vi curavano anche qualche attività economica della zona.
    Parco minerario e museo dei minerali elbani

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    Cappella Tonietti



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    La cappella Tonietti è un edificio funerario situato in località La Pinetina presso Il Cavo,nel comune di Rio Marina sull'Isola d'Elba.

    Storia

    Il mausoleo venne costruito dall'architetto fiorentino Adolfo Coppedè per la famiglia Tonietti quale tomba di famiglia e come monumento a Giuseppe Tonietti, primo affittuario delle miniere elbane. Tramite per l'incarico dell'opera fu l'industriale Pilade Del Buono, amico del Coppedè e socio di Ugo Ubaldo Tonietti, figlio di Giuseppe, nella Società "Elba" fondata nel 1899. La data di realizzazione è fissata al 1899 dal Cresti , tra il 1904 e il 1906 da Cozzi e Bossaglia e, più recentemente, tra il 1900 e il 1901

    La critica

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    Considerato l'opera migliore della produzione di Adolfo Coppedè all'Isola d'Elba, dove allo stesso architetto si devono per conto dei Del Buono la casa padronale della fattoria S. Martino, l'edificio per abitazioni e la cappella di famiglia a Portoferraio, il mausoleo Tonietti si rivela significativo per lo stretto rapporto proprio del Coppedè tra architettura e repertori decorativi direttamente provenienti dalla pratica della scultura in legno. Nella sua estrema "rappresentatività" l'edificio mostra inoltre spunti e schemi compositivi manifestamente ispirati ad alcuni progetti di Raimondo D'Aronco ed in particolare al Monumento Commemorativo per Venezia .

    Architettura



    L'esterno

    Il mausoleo si configura come un imponente torrione a pianta quadrata che sia per la forma che per la posizione richiama da vicino l'idea di un elaborato faro. Isolato in vista del mare sul promontorio di Cavo, nella parte Nord-Est dell'isola, in mezzo ad un boschetto di lecci e macchia mediterranea cui si accede da una strada non asfaltata, il mausoleo è costruito su un basamento quadrangolare preceduto da una scalinata marmorea - oggi totalmente degradata. Era cinto in origine da una pesante balaustrata - attualmente scomparsa - e si eleva rastremandosi fortemente verso l'alto, con un voluto effetto scenografico. Il materiale utilizzato per la costruzione è il granito elbano tagliato a bozze, con numerosi e caratterizzanti inserti in marmo bianco per gli eterogenei, magniloquenti episodi decorativi.

    Pur nello stato di abbandono attuale, l'insieme si configura maestoso e ridondante, ispirato ad un eclettico gigantismo tipico non solo dell'opera di Adolfo Coppedè ma più in generale della produzione architettonica italiana di fine secolo. L'ampio e profondo arco di accesso, chiuso da una preziosa cancellata in ferro battuto, è sostenuto da un doppio ordine di tozze colonne tuscaniche arricchite da mascheroni leonini; la ghiera dell'arco è in conci di marmo alternativamente rustici e decorati da medaglioni lisci. Al di sopra del portale l'alta cornice si modella ai lati di uno spazio rettangolare su cui è incisa la scritta "Famiglia Tonietti" in lapidario romano direttamente sormontata da un'aquila stilizzata.

    Motivi decorativi di ispirazione romano-imperiale sono ancora le grandi prue rostrate poste al centro dei prospetti laterali e le minacciose protome antropomorfe che arricchiscono le cantonate al di sopra della fascia marmorea perimetrale collocata all'altezza dell'imposta dell'arcone di accesso. L'ordine superiore, sviluppato decisamente a mo' di obelisco dimensionalmente dilatato, vede un alleggerimento della componente plastica ed è caratterizzato da un largo inserto marmoreo al centro del fusto, su cui sono ritagliati gli oblò per l'illuminazione dell'interno, originariamente chiusi da vetrate colorate, e su cui sono posti, oltre l'ultima cornice, stemmi con simboli marinari. Oltre la trabeazione di coronamento, sostenuta da archetti pensili e dotata di piccole grondaie di forma zoomorfa sugli spigoli, la torre si conclude una terrazza al centro della quale si eleva un ulteriore basso corpo cilindrico sormontato da un globo marmoreo.

    L'interno

    All'interno più nulla è rimasto della configurazione originaria. L'elaborata cancellata in ferro battuto risulta in parte divelta, è crollato il solaio del pian terreno rendendo visibile il vespaio sottostante, non rimane alcuna traccia delle pavimentazioni né dei rivestimenti originali. In cattivo stato risulta anche la scaletta a chiocciola in ghisa posta al centro del vano elevata fino alla terrazza superiore.





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    Il Parco Nazionale dell'Arcipelago toscano abbraccia un tratto di mare esteso oltre 600 Km² fra Livorno e il promontorio dell'Argentario e comprende sette isole: Capraia, Elba, Giannutri, Giglio, Gorgona, Montecristo, Pianosa, oltre alle Formiche di Grosseto e altri scogli di dimensioni più piccole. L'isola più grande è l'Elba (223,5 Km²), la più piccola Gorgona (2,23 Km²). La più lontana dalla costa è Montecristo, distante 68 Km, mentre Capraia dista solo 34 Km dall'Elba.

    La varietà dei paesaggi, nonostante le ridotte dimensioni delle isole, è notevole: dall'articolata e complessa Elba, al tavolato di Pianosa, al cono roccioso di Montecristo. Lungo le coste modellate dal mare falesie e grotte si alternano a spiaggette protette da selvaggi promontori, variopinte fioriture ricoprono le rocce e torrioni a ricordare la millenaria presenza dell'uomo.

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    Isola di Montecristo



    Da Wikipedia


    L'Isola di Montecristo, anticamente chiamata Oglassa, Ωγλασσα in greco, è un'isola situata nel Mar Tirreno e facente parte dell'Arcipelago Toscano. Amministrativamente è inclusa nel comune di Portoferraio e quindi della provincia di Livorno. Costituisce una Riserva Naturale Statale Integrale e fa parte del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano.


    L'isola vista da una spiaggia nei pressi di Marina di Grosseto

    Montecristo si trova a sud dell'Isola d'Elba, a ovest dell'Isola del Giglio e del Monte Argentario, a sud-est dell'Isola di Pianosa e a est dell'affiorante Scoglio d'Affrica, noto anche come Formica di Montecristo.


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    Territorio

    L'isola è montuosa con diverse sporgenze rocciose a picco sul mare ed è costituita quasi esclusivamente da granito. I fabbricati abitati si trovano nella Cala Maestra e la loro costruzione risale alla metà del XIX a cura di un inglese, Watson Taylor. Il più importante è la villa denominata in seguito "reale" per aver ospitato Vittorio Emanuele III.
    La riserva naturale Isola di Montecristo


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    La riserva naturale statale Isola di Montecristo è una riserva biogenetica di 1.039 ettari istituita nel 1971 con decreto ministeriale per tutelate la natura peculiare dell'isola. Oggi ricade nel Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano. È stata riconosciuta anche sito di interesse comunitario

    Flora e fauna

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    L'isola è stata sempre disabitata e oggi vi vivono stabilmente solo due custodi e, alternandosi di settimana in settimana, alcuni agenti del Corpo Forestale dello Stato. Le condizioni che ne hanno impedito il popolamento hanno favorito il prosperare della flora e della fauna. In particolare, a Montecristo, vivono specie animali e vegetali un tempo diffuse in tutto il Mar Mediterraneo e che oggi resistono solo qui come la vipera di Montecristo (una varietà esclusiva dell'isola) ed il discoglosso sardo (un anfibio presente solo nell'isola e in Sardegna). L'isola è, inoltre, luogo privilegiato di sosta per migliaia di uccelli migratori. L'isola di Montecristo ospita inoltre un'interessante gregge di capre selvatiche. L'ambiente marino è ricchissimo: vi sono praterie di posidonia, anemoni marini, gorgonie, coralli, il pesce luna e, fino alla fine degli anni settanta, erano presenti le foche monache, specie che ormai è praticamente scomparsa nelle acque italiane del Mediterraneo.

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    Clima

    Anche l'isola di Montecristo, come tutte le isole dell'arcipelago, presenta un clima mite, costantemente ventilato e molto soleggiato con scarsissime precipitazioni (valori medi annui nettamente inferiori ai 500 mm), caratterizzato da inverni mai troppo freddi ed estati con caldo moderato ma non afoso.


    Storia e leggenda


    Montecristo, l'approdo

    L'isola è la più solitaria e selvaggia delle isole toscane. I tentativi di popolamento risalgono agli Etruschi. La storia di Montecristo comincia con la fondazione del monastero di San Mamiliano e di un eremo elevato sopra una grotta marina da parte dei seguaci di san Mamiliano, il quale vi soggiornò da eremita nel V secolo.

    Alla metà del XVI secolo i saraceni espugnarono il monastero decretandone la fine. L'isola fu acquistata dal governo italiano il 3 giugno 1869 per la somma di 100.000 lire dal proprietario, un inglese che intese liberarsene essendo spesso vittima di predoni dalla costa. Dopo vari tentativi di colonizzazione nel 1878 dopo l'Unità d'Italia vi si insediò una colonia penale. Nel 1899 l'isola divenne una riserva di caccia reale esclusiva per Vittorio Emanuele III, e tale è rimasta fino alla istituzione della riserva naturale nel 1971.

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    Nell'isola si svolgono alcuni importanti passaggi del celebre romanzo (da cui sono stati tratti numerosi film) Il conte di Montecristo, dello scrittore francese Alexandre Dumas. In particolare il protagonista vi trova il leggendario tesoro della famiglia Spada, con il quale realizza la sua formidabile vendetta.

    Il tesoro di cui si parla nel romanzo era già una leggenda esistente, legata ad un ipotetico tesoro che i monaci avrebbero nascosto prima della distruzione del monastero da parte dei saraceni, nella grotta di San Mamiliano.

    Luoghi d'interesse e attività


    Non è possibile pernottare e sono vietate la pesca, la balneazione e la navigazione entro mille metri dalla costa. Entro tre miglia è possibile transitare, ma non pescare.

    Eventuali accessi via mare possono avvenire solo a Cala Maestra, con fondale sabbioso, arrivando perpendicolarmente alla costa; esiste tuttavia un piccolo eliporto per le emergenze. Non si può utilizzare l'ancora ma è possibile l'attracco al gavitello o al molo. Nei pressi della Cala sorge l'ottocentesca Villa Reale, con un interessante orto botanico e un piccolo museo di storia naturale.

    Per arrivare sull'isola è necessario chiedere un permesso al Corpo Forestale di Follonica; il permesso può essere relativo all'accesso o alla visita. Nel primo caso si deve rimanere a Cala Maestra, e sarà possibile visitare solo la villa Reale, l'orto botanico e il museo. Il tempo di attesa per ottenere l'accesso è nell'ordine dei mesi.

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    Per quanto riguarda la visita sono ammessi solo 1000 visitatori l'anno ed il tempo medio di attesa per l'autorizzazione è di tre anni (viene data precedenza a spedizioni scientifiche, associazioni, scolaresche). Le visite guidate si svolgono solo entro i tre sentieri esistenti, tutti molto impegnativi.

    Alla sommità dell'isola, sulla vetta del Monte della Fortezza, sorgono i ruderi della cinquecentesca Fortezza di Montecristo.


    Vi sono anche i ruderi dell'antico Monastero di San Mamiliano e dell'Eremo di San Mamiliano con la sottostante Grotta di San Mamiliano.

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    Il monastero di San Mamiliano è un edificio sacro che si trova sull'isola di Montecristo, nel comune di Portoferraio, nell'Arcipelago Toscano.

    Storia

    Originariamente intitolato a San Salvatore, ma da sempre indicato con il nome di San Mamiliano, è ricordato fin dal VI secolo e diverrà, a partire dal X secolo, uno dei più richi della Toscana.

    Nel XIII secolo, all'originaria regola fu sostituita la riforma camaldolese. Il crollo del sistema feudale, le scorrerie saracene e le mire della Repubblica pisana furono le cause principali della graduale decadenza del monastero che, dal XVI secolo, dopo un'ultima devastante incursione dei pirati turchi, venne abbandonato definitivamente dai monaci e fu, fino alla prima metà dell'Ottocento, saltuariamente abitato da eremiti che cercavano un luogo di silenzio e di preghiera.


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    La grotta di San Mamiliano è un luogo sacro che si trova sull'Isola di Montecristo nell'Arcipelago Toscano nei pressi del soprastante eremo e del Monastero di San Mamiliano.

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    Storia

    La vocazione monastica dell'isola affonda le proprie radici nella metà del V secolo ed è legata alla figura di San Mamiliano, il vescovo di Palermo che, secondo la tradizione, per sfuggire ai Vandali, sarebbe qui approdato con altri monaci. Lungo le pendici del Monte della Fortezza, dominato dai resti di un fortilizio fatto costruire dagli Appiani alla fine del XIV secolo, è la Grotta che la devozione popolare ha sempre identificato come dimora del santo eremita e luogo nel quale, egli, facendosi scudo della croce, avrebbe ucciso un drago, simbolo evidente del paganesimo. Al suo interno numerosi ex voto costituiscono la testimonianza del passaggio di generazioni di pellegrini e di marinai.


    Scoglio d'Africa



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    Lo Scoglio d'Africa (o anche Scoglio d'Affrica) o Formica di Montecristo è un piccolo isolotto dell'Arcipelago Toscano situato in mare aperto nelle acque tra il Tirreno e il Canale di Corsica. La sua ubicazione è a ovest dell'Isola di Montecristo, a sud dell'Isola di Pianosa e a est della Corsica. Amministrativamente appartiene al comune di Campo nell'Elba.

    Per le sue dimensioni e la sua conformazione, può essere considerato a tutti gli effetti uno scoglio affiorante in un tratto di mare dai fondali più bassi, geologicamente appartenente ad una dorsale marina che, verso nord, ha originato nei suoi affioramenti superficiali anche l'Isola di Pianosa e l'Isola di Capraia.

    Sulla sua piattaforma è edificato un faro.

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    Curiosità

    * Secondo alcuni studiosi, la scrittrice britannica Agatha Christie inizialmente voleva ambientare a Montecristo "Dieci piccoli indiani", uno dei suoi romanzi più celebri. La scrittrice, poi, preferì ripiegare su un'anonima isoletta britannica.
    * L'isola è stata, nel 1896 la meta del viaggio di nozze fra Vittorio Emanuele III di Savoia e Elena del Montenegro.



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    Capraia Isola



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    Capraia Isola (Capraia nel dialetto attuale, Capraghja in quello antico, a Cravæa in genovese, Capraia Isula in corso) è un comune di 385 abitanti della provincia di Livorno. È anche l'unico comune situato sull'isola omonima. Si trova a 64 km da Livorno, 53 dal promontorio di Piombino, 37 km da Gorgona e 31 km dalla Corsica.
    Provincia di Livorno; posizione del comune di Capraia Isola (in arancione).

    Geografia

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    L'isola di Capraia è situata nel Canale di Corsica (braccio di mare al confine tra Mar Ligure e Mar Tirreno), ed è un'isola di origine vulcanica, la terza per grandezza dell'Arcipelago Toscano dopo l'Elba e il Giglio. È infatti lunga circa 8 km (da punta Teglia a nord a punta dello Zenòbito a sud) e larga 4, per una superficie di 19,26 km2. Il perimetro è di circa 30 km. È l'isola dell'arcipelago più lontana dalla terra ferma trovandosi più vicina alla costa orientale della Corsica che alla costa toscana, rispetto alla quale sorge a ovest del Golfo di Baratti (Piombino). È un'isola di origine vulcanica, con il cono di eruzione ancora oggi ben visibile per metà nella tipica cala Rossa, sicuramente una delle cale più particolari dell'arcipelago.

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    Presenta coste alte e rocciose con assenza di spiagge ed un piccolo bacino lacustre nell'area più interna montuosa, con cime lungo una catena centrale (che si avvicina fino a 1 km dalle coste) con vette di oltre 400 metri. Il rilievo maggiore è il monte Castello alto 447 metri, che sul versante occidentale si avvicina al mare con dirupi mentre su quello orientale scende più dolcemente con piccole valli torrentizie ("vadi"), la più importante delle quali è il vado del Porto, lungo circa 3 km, che sfocia presso Capraia Porto.

    Da un punto di vista geologico la composizione dell'isola è prevalentemente caratterizzata da colate di andesite, associate a tufo e breccia, mentre alla punta dello Zenòbito si trovano rocce basaltiche più recenti. All'estrema punta meridionale sono visibili i resti di un antico vulcano non più attivo, esploso in epoca remota, che ha lasciato traccia nelle pareti rocciose a forma di tronco di cono, con colori variabili tra il rosso e il nero dovuti all'accumulo di lava che si è depositata sulle scogliere (la Cala Rossa).

    La costa è rocciosa e spesso inaccessibile via terra per la mancanza di strade; vi si aprono grotte e insenature, con guglie di roccia dovute all'erosione dell'acqua.

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    Attualmente fa parte del Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano. La vegetazione è ricchissima e presenta alcune specie endemiche rarissime. Tra queste spiccano le tre specie dell'isolotto della Peraiola, distante solo pochi metri dall'isola principale, ma sufficienti per isolare alcune specie che si sono evolute diversamente dall'isola vicina: una ginestra senza spine (Calicotome villosa, Poiret Link. var. inermis Sommier), una lumaca senza guscio (Tacheocampylaea tacheoides, Pollonera, 1909) e una lucertola. Sul versante ovest dell'isola in corrispondenza della Punta del Dattero, su una parete ripidissima, vive anche il "fossile vivente" della "palma nana", risalente a quando tutta l'Europa era coperta da specie oggi presenti solo molto più a sud. Si tratta della popolazione di palma nana più a Nord d'Europa, se si escludono pochi esemplari relitti nel Parco naturale regionale di Portofino.

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    Prevale la gariga (vegetazione a cavallo tra la steppa e la macchia mediterranea) con elicriso, cisto marino, mirto, lentisco, rosmarino, oleandro, euforbia arborea, ecc. Le capre selvatiche e le foche monache della fauna sono oggi estinte.

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    Da segnalare, infine, lo Stagnone della Capraia, piccola zona umida che si estende nella parte alta dell'isola. Tra i toponimi si nota Punta della Fica legato alla lingua corsa, dove tale termine indica l'albero del fico (meno probabilmente dal genovese dove tale termine ne indica il frutto), alla penisoletta che sorge lungo la costa orientale a ridosso dell'abitato, rispetto al quale è ubicata poco a sud.

    Storia e attualità



    La Cala Rossa

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    Anticamente chiamata Aegylon, Αηγυλον dai greci e poi Capraria dai romani, deriverebbe il nome dalla presenza di capre selvatiche nell'isola, ma secondo un'altra ipotesi il toponimo deriverebbe da un tema mediterraneo *karpa con il significato di "roccia".

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    Nel IV secolo vi ebbe sede un asilo per cenobiti.

    Nel 1055 fu conquistata dai pirati Saraceni, poi fu dominata dai Pisani e passò definitivamente sotto l'orbita di Genova dopo la battaglia della Meloria, che vi pose la signoria del patrizio Jacopo di Mari (1430). Dal 1540 viene costruita dai genovesi la fortezza di San Giorgio e le tre torri di avvistamento (Torre del Porto (1541), Torre dello Zenobito (1545) e Torre delle Barbici (1699) per controllare la pirateria. Legata amministrativamente alla Corsica, nel 1767 fu occupata dalle truppe di Pasquale Paoli. Rimase alla Repubblica di Genova anche dopo che l'isola maggiore venne data in affidamento alla Francia nel 1768 con il Trattato di Versailles. Dopo l'annessione dell'ex Repubblica di Genova al Regno di Sardegna col Congresso di Vienna del 1814 e la proclamazione del Regno d'Italia, fece parte della provincia di Genova fino al 15 novembre 1925, quando con il Regio Decreto n. 2111, passò alla provincia di Livorno; per la Chiesa cattolica rimase parte dell'Arcidiocesi di Genova fino al 1º gennaio 1977.

    Dal 1873 al 1986 è stata sede di una colonia penale.

    Economia

    Attualmente Capraia ha una vocazione prettamente turistica, soprattutto estiva, con una particolare attenzione per l'ambiente. Non è un'isola che predilige un turismo di massa, ha una ricettività abbastanza ridotta ed una stagionalità che va dalla primavera all'autunno. La stagione turistica si apre a primavera con il festival del Camminare (Walking Festival) e si conclude ai primi di novembre con la tradizionale Sagra del Totano di Capraia.

    Il porto


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    Il porto di Capraia si trova in un'insenatura abbastanza riparata sulla costa nord-orientale, protetto su uno sperone a picco dalla fortezza genovese, il Forte San Giorgio. Anticamente qui si trovava un villa romana, il cui resti però furono ricoperti dopo gli scavi. Dal porto una strada di circa un km lungo il golfo porta al paese di Capraia Isola.


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    Il paese

    Il centro di Capraia Isola si trova a 52 metri di altitudine. Da qui si può salire al Forte San Giorgio, a 91 m di altitudine, eretta dai genovesi dal 1540 a seguito della distruzione ad opera del corsaro Dragut del fortilizio di antiche origini pisane. Davanti al castello in una casa soggiornò Francesco Domenico Guerrazzi in esilio.

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    A sud di Capraia Isola in località La Piana la chiesa di Santo Stefano fondata nel IV secolo testimonia l'insediamento antico.

    Luoghi d'interesse

    Chiesa di San Nicola

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    La chiesa di San Nicola è un edificio sacro che si trova in piazza Milano a Capraia Isola.

    È la parrocchiale dell'attuale centro abitato, nato nell'XI secolo attorno al Forte di San Giorgio. La chiesa che, secondo la tradizione, deve il proprio nome alla statua lignea di San Nicola ripescata in mare e tuttora visibile all'interno, è impostata su tre navate separate da pilastri e caratterizzata da decorazioni a stucco eseguite nel XVIII secolo da maestranze locali.

    Lungo le navate si aprono numerose cappelle, tra cui quella di Sant'Erasmo, tradizionalmente di pertinenza dei pescatori, e quella di Sant'Agostino. Di un certo interesse sono anche la tela dell'Annunciazione (primo quarto del XVIII secolo), e quella raffigurante la Vergine con Santa Caterina e San Domenico (1665). Nell'abside è il coro ligneo settecentesco.

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    Chiesa e convento di Sant'Antonio

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    La chiesa e il convento di Sant'Antonio sono due edifici sacri che si trovano a Capraia Isola.

    La chiesa e il convento furono costruiti dall'Ordine francescano nella seconda metà del XVII secolo. Le origini si devono a un monaco francescano, Pier Giorgio di Bastia, che fu inviato nell'isola nel febbraio 1655 dall'allora vescovo di Massa e Populonia Giovan Battista Malaspina per sostituire nelle funzioni di economo un pievano ammalato: il frate convinse la comunità di Capraia ad ospitare un insediamento di francescani. Questa possibilità era vista con favore dalla Repubblica di Genova - secondo il quale i francescani potevano limitare l'autorità del vescovo, che risiedendo a Massa Marittima poteva essere influenzato dal Granducato di Toscana - ma fu avversata dal successore di monsignor Malaspina, Bandino Accarigi, che il 19 gennaio 1658 inviò una lettera alla comunità di Capraia per manifestare la sua contrarietà. Tuttavia i francescani si erano già dati da fare e nel frattempo avevano ottenuto da Papa Alessandro VII il via libera.

    Dal 1873 al 1986 il convento ha ospitato la Centrale del carcere, che ospitava la direzione e gli uffici.

    L'origine barocca è evidente nelle linee mosse della facciata della chiesa. All'interno si trovano la tela raffigurante la Vergine con il Bambino e Sant'Anna e, sull'altare maggiore, la statua lignea di Sant'Antonio.


    Pieve di Santa Maria Assunta

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    La pieve di Santa Maria Assunta è un edificio sacro che si trova a Capraia Isola.

    Costruita dai pisani nell'XI secolo, rimane a testimoniare il vecchio abitato del porto, presumibilmente abbandonato perché reso insicuro dalle incursioni saracene. Sotto la chiesa si trovano le fondazioni dell'antica villa romana, primo insediamento umano sull'isola. In essa è custodita la statua lignea della Vergine che ogni anno, il 15 agosto, viene trasportata, con una solenne processione, fino alla chiesa di San Nicola. L'interno è decorato da diversi ex voto lasciati dai capraiesi soprattutto nella prima metà del XX secolo.

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    Chiesa di Santo Stefano


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    La chiesa di Santo Stefano è un edificio sacro che si trova in località Il Piano, al centro dell'Isola di Capraia, nell'Arcipelago Toscano.

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    Secondo la tradizione la chiesa fu costruita dall'eremita Eudossio giunto nel IV secolo nell'isola ancora disabitata. Distrutta dai Saraceni nel IX secolo e riedificata nell'XI, oggi tutto ciò che rimane di essa sono le mura laterali e parte dell'abside semicircolare (il tetto a capriate è moderno).

    La chiesa è l'unico resto dell'abitato della "Piana" che sorgeva in questa parte dell'isola, l'unico prima della costruzione del Forte di San Giorgio, che era ben riparato e non visibile dal mare. Le pietre delle case in rovina sono poi state riutilizzate pochi decenni fa per costruire i terrazzamenti coltivati della zona.


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    Grande interesse rappresenta il giro in barca dell'isola e le opportunità di escursione. Lo Stagnone è un laghetto di origine incerta lungo la cresta del Monte Castello, all'altitudine di 321 metri (6 km dal centro abitato). La sua estensione è variabile a seconda della stagione e in primavera vi fiorisce una vegetazione acquatica tra cui i ranuncoli.

    Strutture difensive

    Forte di San Giorgio


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    Il Forte di San Giorgio si trova sull'isola di Capraia, nell'arcipelago Toscano. Il castello si trova su un'altura nei pressi del porto, sul versante nord-est.

    Il castello venne costruito dal 1540 dai Genovesi a seguito della distruzione ad opera del corsaro Dragut dell'insediamento preesistente basato su un fortino pisano del XII secolo. Fino quasi al 1700 il forte ospitava tutta la popolazione dell'isola e la chiesa principale.

    Con la costruzione del forte, che poteva, all'occorrenza ospitare tutta la popolazione, venne abbandonato l'insediamento al centro dell'isola (la piana presso la chiesa di Santo Stefano) e sviluppato maggiormente il porto.

    Nell'Ottocento una grande frana, ancora ben visibile dal mare, coinvolse il lato est del Forte, provocando numerose vittime tra i suoi abitanti e distruggendo il "Quartiere delle donne" che comprendeva un monastero di suore. Oggi il castello è in fase di ristrutturazione per ricavarvi appartamenti privati.

    Torre del Porto


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    La Torre del Porto è la torre costiera meglio conservata dell'Isola di Capraia, nell'arcipelago Toscano. Essa si trova su un'altura ad est del porticciolo e anticamente lo sorvegliava dalle incursioni nemiche dei Corsari.

    La torre venne costruita dai Genovesi nel 1541 ed è l'unica torre dell'isola che è stata restaurata, per cui oggi si presenta in ottime condizioni. A base circolare, ha la forma di un tronco di cono (il corpo), sormontato da un ampio ballatorio circorae dotato di merlatura.


    Torretta del Bagno


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    La Torretta del Bagno è una delle quattro torri costiere dell'Isola di Capraia, nell'arcipelago Toscano.

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    Essa si trova sul versante est dell'isola molto vicino al mare (da cui il nome), ai piedi dell'altura del castello di San Giorgio. Fu costruita dai Genovesi nel 1790 per la difesa del Forte San Giorgio in caso di assedio. Un arco rampante la collega alla ripida parete rocciosa dove un camminamento protetto conduceva al Forte San Giorgio.

    La torre ha forma cilindrica, alta e stretta, coperta da una cupoletta che oggi è crollata. Nei pressi della Torretta si trova uno dei punti più frequentati per la balneazione nell'isola, con scogli piatti.



    Torre delle Barbici

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    La Torre delle Barbici, o Torre della Regina o Torre di Punta Teja, è una delle quattro torri costiere dell'Isola di Capraia, nell'arcipelago Toscano. Il luogo si chiamava anche anticamente Barbisi o Barbici, da cui derivano altri nomi della torre. Il nome Torre della Regina non ha alcun fondamento storico.

    Essa si trova sul versante ovest dell'isola a sorvegliare il canale dal lato della Corsica. Fu costruita dai Genovesi nel 1699 per controllare le incursioni nemiche dei Corsari. Tramite segnali di fumo era in contatto con tutte le altre torri dell'isola. La torre è l'unica a base quadrata dell'isola ed il suo aspetto oggi è diroccato, anche perché non è mai stata restaurata e dal 2009 è accessibile via terra con un nuovo sentiero che parte dalla zona di Porto Vecchio (Ex Carcere).


    Torre dello Zenobito

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    La Torre dello Zenòbito è una delle quattro torri costiere dell'Isola di Capraia, nell'arcipelago Toscano.


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    Deve il suo nome a un antico monastero ("cenobio"), che si trovava nelle vicinanze nell'alto medioevo e che aveva dato il nome alla vicina piana dello Zenobito. La torre attuale venne costruita dai Genovesi nel 1545 per sorvegliare dalle incursioni nemiche dei Corsari, in particolare il canale sud verso l'Isola d'Elba. Tramite segnali di fumo era in contatto con tutte le altre torri dell'isola. La torre è a base circolare e domina la suggestiva Cala Rossa. È raggiungibile via terra con due sentieri, uno costiero, inaugurato nella primavera del 2010 ed uno interno che passa prima dal Semaforo e dal Monte Arpagna. Si tratta di escursioni impegnative su strade mulattiere o sentieri, della durata di circa tre o cinque ore dal porto dell'isola.

    La torre non è restaurata ed è a pianta circolare, di aspetto del tutto simile, originariamente, alla gemella Torre del Porto di cui è una copia più grande. L'interno è costituito da tre piani sovrapposti di cui uno centrale dominato da un grande caminetto in pietra lavica.



    Dialetto

    Un aspetto interessante della cultura isolana è rappresentato dal peculiare dialetto che si parlò a Capraia fino a tempi recenti: affine alla lingua corsa più che al toscano, subì per secoli l'influenza del genovese arricchendosi di una quantità di prestiti lessicali e di componenti morfologiche di tale origine. Il dialetto capraiese si estinse nel corso del XX secolo in seguito al rinnovo della popolazione dell'isola: quella di ceppo locale venne infatti progressivamente sostituita da immigrati, in gran parte familiari dei dipendenti della colonia penale, che finirono per diventare la maggioranza senza assimilare le consuetudini linguistiche dei vecchi abitanti.
     
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    Isola del Giglio



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    Isola del Giglio è un comune sparso italiano di 1.461 abitanti della provincia di Grosseto in Toscana.

    Prende il nome dall'omonima isola dell'Arcipelago Toscano e comprende anche l'Isola di Giannutri, situata alcuni chilometri a Sud-Est.

    I collegamenti con la terraferma sono garantiti da traghetti con imbarco a Porto Santo Stefano, gestiti dalle compagnie di navigazione Maregiglio e Toremar. Nei mesi estivi l'accesso all'isola con veicoli è condizionato al pagamento di una piccola quota.
    Posizione del comune di Isola del Giglio all'interno della provincia di Grosseto

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    Geografia fisica
    Territorio


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    Il territorio comunale, che interessa l'Isola del Giglio propriamente detta, è quasi completamente collinare e la cima più alta (il Poggio della Pagana) raggiunge i 496 metri s.l.m. nella parte interna centrale dell'isola. La composizione geologica è prevalentemente granitica. Il perimetro costiero è di 27 km ed è in larga parte roccioso, tranne che in alcuni punti, dove si aprono la spiaggia del Campese e altre spiagge minori situate sul versante orientale dell’isola (Arenella, Cannelle e Caldane). Relativamente a Giannutri, isola distinta inclusa nel medesimo territorio comunale, si raggiungono gli 88 metri s.l.m. nella parte meridionale; seppur morfologicamente piatta, l'isola di Giannutri è priva di coste sabbiose, essendo ovunque presenti scogli e calette sassose.

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    Flora

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    La spiaggia dell'Arenella con sullo sfondo il Monte Argentario.

    Come in quasi tutte le isole dell'Arcipelago Toscano, la vegetazione dell'Isola del Giglio era costituita anticamente da leccete, che ricoprivano quasi tutta l'isola. Fino dall'antichità, lo sviluppo dell'agricoltura, l'allevamento e gli incendi hanno alterato l'ambiente naturale e provocato la scomparsa di gran parte di questa vegetazione che oggi, con il passaggio da un'economia agricola al turismo, si sta lentamente ricostituendo. L'antica vegetazione che dominava l'isola, caratterizzata da macchia mediterranea di lecci e sughere con erica e corbezzolo, caprifoglio (Lonicera implexa), strappabrache (Smilax aspera), robbia (Rubia peregrina) ciclamini (Cyclamen repandum e Cyclamen neapolitanum), si trova ancora sul Promontorio del Franco lungo la costa occidentale a sud di Giglio Campese, oltre che sul versante est di Poggio del Castello e nella Vallata del Molino.

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    Negli anni cinquanta le pendici del Poggio della Pagana sono state rimboschite con pini domestici e marittimi.

    Fino a pochi decenni fa su quasi l'intera superficie dell'isola erano stati ricavati terrazzamenti con muri a secco di granito (detti 'greppe'), alcuni dei quali sono ancora coltivati a vigneto per produrre il vino gigliese, che rientra nella medesima denominazione di origine controllata e nel relativo disciplinare di produzione dell'Ansonica Costa dell'Argentario; la maggior parte dei terrazzamenti è stata tuttavia abbandonata e viene lentamente colonizzata da una bassa gariga ad Elicriso e successivamente di Cisto.

    Fauna


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    La spiaggia delle Cannelle.

    La fauna terrestre dell'isola non presenta grande varietà, limitandosi al coniglio selvatico, alla crocidura minore, al topo selvatico ed al muflone, importato di recente e poco diffuso.

    Sono invece ben rappresentate le specie di pipistrelli (il molosso di Cestoni, il miniottero di Schreiber, il pipistrello nano, il pipistrello albolimbato, la nottola, il pipistrello di Savi, il serotino comune, l'orecchione bruno e l’orecchione grigio).

    Tra le specie di uccelli nidificanti e svernanti sono da segnalare: il marangone dal ciuffo, l'albanella reale, la poiana, il gheppio, il falco pellegrino, il gabbiano corso, il gabbiano reale, il beccapesci, il piccione selvatico, la tortora, il barbagianni, l'assiolo, la civetta, il succiacapre, il rondone pallido, la passera scopaiola, il sordone, il codirosso spazzacamino, il passero solitario, la monachella, la magnanina, il corvo imperiale e lo zigolo nero.

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    La fauna ittica è quella tipica del Tirreno, con ancora una popolazione ben conservata di Pinna nobilis (bivalve noto come la grande nacchera), qualche cernia, dentici, saraghi, ricciole e numerosi e multicolori Labridi.

    Subacquea



    I punti di immersione dell'isola.

    L'isola riveste un grande interesse per la pratica della subacquea, ed è ritenuta spesso come una delle più amate dai sub in Italia. È nota per via delle immersioni poco impegnative, ma soprattutto per le bellissime gorgonie rosse visibili oltre i 35 metri di profondità, accompagnate da un ricca fauna marina caratterizzata anche da rarità, come le stelle marine della specie Astrospartus mediterraneus, dette stelle gorgone.

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    Le immersioni più conosciute e frequentate sono:

    1. "Cala Cupa" (42°22′8.03″N 10°55′4.09″E / 42.3688972°N 10.9178028°E / 42.3688972; 10.9178028), dai 15 ai 30 metri di profondità, ricca di reperti archeologici, gorgonie rosse e gialle;
    2. "Le Scole" 42°21′20.4″N 10°55′47.8″E / 42.355667°N 10.929944°E / 42.355667; 10.929944), dai 15 ai 40 metri, adatta sia a principianti che a sub più esperti, caratterizzata da gorgonie rosse e gialle e spirografi;
    3. "Punta del Fenaio" (42°23′19.7″N 10°52′48.9″E / 42.388806°N 10.88025°E / 42.388806; 10.88025), una parete verticale per sub esperti che si immerge fino a 90 metri, ricca di fauna e in cui si possono vedere le rare stelle gorgone e, talvolta, il pesce San Pietro;
    4. "Punta delle Secche" (42°23′00.7″N 10°52′43.4″E / 42.383528°N 10.878722°E / 42.383528; 10.878722), dai 15 ai 50 metri, ricca di gorgonie gialle e rosse e, talvolta, frequentata dai rari pesci luna;
    5. "Punta di Capel Rosso" (42°18′55.61″N 10°55′11.86″E / 42.3154472°N 10.9199611°E / 42.3154472; 10.9199611), dai 20 ai 40 metri, in cui è frequente incontrare dentici e, talvolta, tonni;
    6. "Scoglio del Corvo" (42°20′19.2″N 10°53′22.4″E / 42.338667°N 10.889556°E / 42.338667; 10.889556), dai 15 ai 70 metri, consigliata a sub esperti per via della forte corrente;
    7. "Scoglio della Cappa" (42°21′0.79″N 10°52′49.33″E / 42.3502194°N 10.8803694°E / 42.3502194; 10.8803694), immersione semplice fino ai 15 metri, caratterizzata dal fondale sabbioso popolato dalla poseidonia in cui si nascondono, talvolta, i cavallucci marini;
    8. "Scoglio di Pietrabona" (42°19′48.9″N 10°53′57.2″E / 42.33025°N 10.899222°E / 42.33025; 10.899222), dai 20 ai 50 metri, con corrente moderata.


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    Boulder - Arrampicata

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    L'isola offre moltissime possibilità per praticare boulder. L'area nella quale sono sparsi numerosissimi blocchi di granito che non è stata del tutto esplorata e al momento offre due grandi zone poste sulla collina che porta al faro: si accede da una piccola strada asfaltata da una curva a gomito prima di Giglio Castello che conduce verso Punta del Fenajo. La roccia è uno strepitoso granito a grana medio/grossa con sfumature dal rosso al grigio, ovunque in ottimo stato.

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    Clima

    L'Isola del Giglio è caratterizzata dal tipico clima mediterraneo, con una lunga stagione estiva moderatamente calda ma molto siccitosa, e da una breve stagione invernale caratterizzata da clima più umido e con alcune precipitazioni. Dal punto di vista termometrico, sono molto rari gli eccessi, sia nelle massime estive che nelle minime invernali, grazie all'azione mitigante del mare. Tuttavia, nelle aree collinari dell'entroterra insulare, l'altitudine può localmente attenuare anche sensibilmente alcune caratteristiche del clima mediterraneo.


    Storia

    L'isola fu abitata fin dall'Età del ferro. Successivamente fu probabilmente una base militare etrusca ed anche sotto la dominazione romana fu una base di una discreta importanza nel Mar Tirreno, citata, per esempio, da Giulio Cesare nel De bello Gallico e dal poeta Claudio Rutilio Namaziano. A margine dell'abitato di Giglio Porto, leggermente al di sotto del livello del mare, si trovano i resti della villa romana dei Domizi Enobarbi: si tratta di una vasta area che comprende una vasca a mare per la pescicultura, mura perimetrali e criptoportici, resti di opus sectile, mosaico, affreschi, terrazza stellata di pertinenza, strutture lungo mare con serie di arcate e una lunga terrazza pensile; l'intera area è denominata 'I castellari di Giglio Porto'.

    Nelle epoche successive fu governata da varie famiglie nobili dell'Italia centrale e dal 1264 dal governo pisano, che dovette poi cederla ai Medici. Nel Medioevo passò sotto il dominio della famiglia Aldobrandeschi, successivamente al comune di Perugia. Entrò nelle proprietà di Pisa dal 1264 al 1406 e successivamente passò a Firenze.

    Nel 1544, il pirata Khayr al-Din, detto il Barbarossa, saccheggiò l'isola, uccise chiunque si opponeva e deportò, come schiavi, oltre 700 gigliesi. In seguito a questa sanguinosa incursione, la famiglia dei Medici ripopolò l'isola con gente proveniente dalle terre senesi. Gli attacchi saraceni poi continuarono fino al 1799.

    Toponimo

    L'isola deve il suo nome al termine greco aegylion e poi dal latino aegilium che significa capre, infatti era chiamata Isola delle Capre.

    Monumenti e luoghi d'interesse



    Architetture religiose

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    Chiesa di San Pietro a Giglio Castello, costruita nel XV secolo; è la chiesa principale dell'Isola dove si custodisce il tesoro di papa Innocenzo XIII e si può ammirare un magnifico Crocifisso eburneo, opera del Giambologna. La chiesa conserva anche le venerate reliquie di San Mamiliano, protettore dell'Isola e dell'Arcipelago Toscano.

    Chiesa di San Giorgio

    Chiesa della Madonna del Giglio a Giglio Porto

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    Architetture militari



    Strutture difensive fortificate

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    Mura di Giglio Castello, di origini medievali, racchiudono interamente il borgo di Giglio Castello situato su uno dei poggi più alti all'interno dell'isola. L'accesso al borgo era possibile attraverso la Porta della Rocca.


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    Rocca aldobrandesca, situata a Giglio Castello, fu costruita dai Pisani e ulteriormente fortificata dagli Aldobrandeschi. Si trova in posizione dominante lungo le mura perimentrali. Vi si gode un magnifico panorama su tutto l'Arcipelago e sulla costa maremmana. Nei giorni limpidi, si scorge nettamente anche l'Isola d'Elba e la Corsica.

    Storia

    La fortificazione sorse in epoca altomedievale, probabilmente già nel X secolo, come possedimento dell'Abbazia delle Tre Fontane di Roma. Nel corso del XII secolo divenne possesso della famiglia degli Aldobrandeschi che iniziarono i lavori di ampliamento della struttura preesistente, che venne pienamente inglobata nel fiorente borgo di Giglio Castello ed assunse il caratteristico aspetto fortificato tipico di tutte le altre rocche sotto il loro controllo.

    Tuttavia, l'isola venne successivamente conquistata dai Pisani, che fecero eseguire ulteriori lavori di ristrutturazione ed ampliamento sia alla medesima rocca che alla cinta muraria.

    Nei primi anni del Quattrocento, l'Isola del Giglio fu conquistata dai Medici ed entrò a far parte del Granducato di Toscana, seguendone le sorti da quel momento in poi. La rocca venne ristrutturata nuovamente tra il Cinquecento e il Seicento, dopo temporanei periodi di degrado che seguirono alcune incursioni piratesche che causarono danni e scompiglio sull'isola.

    Altri lavori di riqualificazione furono effettuati nel corso del Settecento, quando furono ampliati gli edifici che ospitavano gli alloggi delle sentinelle, oltre al palazzo padronale; nel 1762 fu costruita presso il complesso della rocca la cappella di Santa Barbara, che sostituì la preesistente cappella gentilizia, dedicata dagli Aldobrandeschi alla Santissima Trinità.

    Dopo l'Unità d'Italia il complesso fortificato fu temporaneamente trasformato in struttura carceraria, successivamente dismessa con la chiusura definitiva avvenuta nella prima metà del secolo scorso. In seguito, la rocca fu venduta a privati e trasformata in un complesso abitativo.

    Aspetto attuale

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    La Rocca aldobrandesca di Giglio Castello è situata nel punto più alto del borgo castellano ed è costituita da un vero e proprio fortilizio esterno a base trapezoidale, disposto su più livelli e poggiante su un lato ad un torrione semicircolare di avvistamento che si eleva lungo il circuito perimetrale delle Mura di Giglio Castello. Le strutture murarie del fortilizio, in pietra, poggiano su imponenti basamenti a scarpa, che conferiscono all'intera struttura un ulteriore aspetto fortificato, ancor più amplificato dalle bastionature agli angoli rivolti verso l'esterno del borgo.

    All'intero del fortilizio vi sono due corpi di fabbrica principali, uno dei quali ospitava la residenza dei governatori e del podestà, presso il quale si trovava la ormai perduta cappella gentilizia.

    L'accesso alla rocca, sormontato da un'imponente stemma dei Medici che ricorda il loro dominio, avviene attraverso la caratteristica Porta della Rocca, che si apre lungo la cinta muraria. Ulteriori dispositivi di sicurezza erano garantiti in passato dal ponte levatoio che permette il collegamento dall'interno dell'area del fortilizio agli edifici residenziali, il cui portone d'ingresso principale al piano rialzato è raggiungibile attraverso una rampa di scale esterna.


    Torri costiere



    Torre del Saraceno

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    Costruita nel 1596, la Torre del Saraceno sorveglia Giglio Porto, il principale scalo dell'isola. È posizionata a ridosso del porto, immediatamente sulla sinistra ed è ben visibile ai visitatori che si apprestano a sbarcare sull'isola.
    Fu Ferdinando I di Toscana a volere la costruzione di quest'imponente struttura, in un'epoca travagliata dell'isola, ben lontana da quel 1799 che segnò il definitivo abbandono delle sue coste da parte dei pirati Turchi e Tunisini. Lo scopo della costruzione era quella di dimostrare alle famiglie di pescatori che l'isola era ben protetta, nella speranza di convincerli a tornare sull'isola. Le frequenti scorribande dei saraceni, infatti, avevano spinto numerose famiglie ad abbandonare le loro abitazioni in cerca di una vita più stabile e sicura sulla costa maremmana.
    La storia del Giglio è legata a doppio filo con quella dei numerosi assalitori che si sono succeduti nei secoli nell'intenzione di depredarla. Figura emblematica, impressa nella memoria storica dei gigliesi, è quella di Kair ad-Din detto Barbarossa, che nel 1544 riuscì ad invadere il Giglio e, oltre che provvedere ad un bottino più che consistente, deportò come schiavi ben settecento gigliesi. Nella storia di Giglio Porto, antico insediamento costruito ai tempi dei Romani, fu sicuramente la disfatta più impressionante.
    Quella del Saraceno non è l'unica torre che sorveglia la breve costa gigliese. La baia del Campese è presidiata dall'omonima torre, della fine del XVII secolo. In principio era stata concepita isolata sugli scogli, pressoché irraggiungibile via terra, ma oggi vi si può arrivare attraversando un ponte di recente costruzione. Fu la torre del Campese il baluardo inattaccabile che permise ai gigliesi, il 18 novembre 1799, di piegare definitivamente gli ultimi pirati tunisini che aggredivano la loro costa.
    Del 1622 è invece la Torre del Lazzaretto, edificata da Ferdinando II per delimitare un'area adibita ad ospedale di emergenza durante i periodi di epidemie, che per la gente dell'isola rappresentavano una minaccia altrettanto grande quanto quella dei pirati. Fu distrutta e ricostruita più volte fino al 1842, quando venne riedificata nella sua forma attuale. Oggi è una residenza privata. L'isola ha anche un antico faro, costruito nel 1865, caduto in disuso molto presto a causa delle nuvole che si ammassavano nella sua zona e ne rendevano scarsa la visibilità alle navi di passaggio.



    Torre del Campese

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    La Torre del Campese si trova su uno scoglio che delimita a nord l'omonima spiaggia dell'Isola del Giglio e il piccolo porto di Giglio Campese.

    Storia

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    La torre costiera fu fatta costruire verso la metà del Cinquecento da Cosimo I de' Medici. La costruzione svolgeva funzioni di avvistamento, di difesa ed offesa, con lo scopo di proteggere la costa occidentale dell'isola da eventuali incursioni piratesche.

    Nel 1700 la torre fu completamente ristrutturata e potenziata da Cosimo III de' Medici, per controllare una secca corallina scoperta pochi anni primi sui fondali al largo della costa occidentale dell'Isola del Giglio; tra i nuovi edifici realizzati ci fu la capella gentilizia ed alcuni annessi che davano alloggio alle sentinelle.

    Nonostante i lavori di riqualificazione effettuati, la torre fu spesso un obiettivo di incursioni piratesche tra il 1753 e il 1799, pur riuscendo sempre a resistere in modo efficace.

    In epoca ottocentesca iniziò la graduale dismissione delle funzioni militari a cui era adibita la torre, fino alla sua completa e definitiva chiusura avvenuta dopo l'Unità d'Italia. In seguito fu venduta a privati e trasformata in una residenza abitativa. Ospitò, tra gli altri, l'eccentrico capitano genovese Enrico Alberto d'Albertis.

    Aspetto attuale

    La Torre del Campese si presenta a pianta circolare, poggiante su un possente basamento a scarpa cordonato, su cui poggia la parte superiore dell'edificio turriforme; nella parte interna del basamento si trova un'ampia cisterna per la raccolta dell'acqua.

    Una rampa di scale esterna con piccolo ponte in muratura, che ha sostituito l'originario ponte levatoio in legno, conduce alla porta d'ingresso che si apre al piano rialzato.

    Nell'insieme, la torre si sviluppa su tre livelli, con la parte sommitale leggermente sporgente che culmina con un tetto di copertura. Lungo le pareti esterne si aprono numerose finestrelle quadrangolari e feritoie, maggiormente concentrate nella parte alta della struttura turriforme: in passato vi si trovavano le cannoniere con funzioni di attacco e di difesa attiva. Le strutture murarie, che esternamente si presentano rivestite in intonaco, si caratterizzano per uno spessore che in alcuni punti supera i due metri e mezzo.

    Attorno alla torre, l'area è circondata da una serie di cortine murarie con basamenti a scarpa, ove sono presenti alcuni posti di guardia a sezione circolare con copertura a cupola; tra gli edifici annessi risalenti all'epoca settecentesca vi sono i fabbricati che ospitavano gli alloggi delle sentinelle, le troniere e la cappella.



    Torre del Lazzaretto è situata lungo la costa orientale a nord di Giglio Porto
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    La Torre del Lazzaretto si trova lungo la costa orientale dell'Isola del Giglio, in una posizione a picco sul mare. La torre costiera fu fatta costruire da Cosimo I de' Medici nella seconda metà del Cinquecento, su progetto dell'ingegnere militare Alessandro Pieroni, con lo scopo di proteggere ulteriormente la costa orientale dell'isola da eventuali incursioni piratesche. I lavori di completamento della struttura difensiva costiera si protrassero tuttavia per vari decenni, venendo ultimati soltanto nel 1624. Nel corso del secolo successivo vi fu costruito anche il lazzaretto, struttura per la messa in quarantena dei viaggiatori provenienti da zone a rischio di epidemie; tutto ciò ha conferito alla struttura l'attuale denominazione. Tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento furono gradualmente dismessi sia la torre di guardia che il lazzaretto. Divenuta di proprietà demaniale dopo l'Unità d'Italia, fu venduta a privati soltanto verso la fine dell'Ottocento dopo vari tentativi andati a vuoto. Durante il secolo scorso, la stuttura originaria è stata inglobata nell'area di un complesso privato, rimanendo parzialmente addossata sul lato rivolto verso terra ad edifici posticci di tipo abitativo. La Torre del Lazzaretto si presenta a sezione quadrangolare, con basamento a scarpa cordonato su cui trova appoggio la parte rialzata dell'edificio turriforme. La particolarità della struttura architettonica è l'arrotondamento degli angoli che mettono in continuità le pareti dei lati contigui. Le strutture murarie esterne sono completamente intonacate, con alcune feritoie e finestre quadrangolari di dimensioni diverse che si aprono ad altezze diverse. La parte alta, completamente rifatta, culmina con un tetto di copertura a quattro fornici, che ha sostituito l'originaria terrazza sommitale, delimitata da parapetti, dalla quale le sentinelle effettuavano gli avvistamenti ed emettevano segnali luminosi in caso di allarme.

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    Storia

    La torre costiera fu fatta costruire da Cosimo I de' Medici nella seconda metà del Cinquecento, su progetto dell'ingegnere militare Alessandro Pieroni, con lo scopo di proteggere ulteriormente la costa orientale dell'isola da eventuali incursioni piratesche. I lavori di completamento della struttura difensiva costiera si protrassero tuttavia per vari decenni, venendo ultimati soltanto nel 1624.

    Nel corso del secolo successivo vi fu costruito anche il lazzaretto, struttura per la messa in quarantena dei viaggiatori provenienti da zone a rischio di epidemie; tutto ciò ha conferito alla struttura l'attuale denominazione.

    Tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento furono gradualmente dismessi sia la torre di guardia che il lazzaretto. Divenuta di proprietà demaniale dopo l'Unità d'Italia, fu venduta a privati soltanto verso la fine dell'Ottocento dopo vari tentativi andati a vuoto.

    Durante il secolo scorso, la struttura originaria è stata inglobata nell'area di un complesso privato, rimanendo parzialmente addossata sul lato rivolto verso terra ad edifici posticci di tipo abitativo.

    Aspetto attuale

    La Torre del Lazzaretto si presenta a sezione quadrangolare, con basamento a scarpa cordonato su cui trova appoggio la parte rialzata dell'edificio turriforme. La particolarità della struttura architettonica è l'arrotondamento degli angoli che mettono in continuità le pareti dei lati contigui.

    Le strutture murarie esterne sono completamente intonacate, con alcune feritoie e finestre quadrangolari di dimensioni diverse che si aprono ad altezze diverse.

    La parte alta, completamente rifatta, culmina con un tetto di copertura a quattro fornici, che ha sostituito l'originaria terrazza sommitale, delimitata da parapetti, dalla quale le sentinelle effettuavano gli avvistamenti ed emettevano segnali luminosi in caso di allarme.

    Castellare del Giglio

    Castellare del Giglio era una struttura difensiva costiera situata all'Isola del Giglio, presso la frazione di Giglio Porto, lungo la costa orientale dell'isola. La sua ubicazione era alla sommità dell'altura che si eleva dietro la Torre del Saraceno, chiudendo a sud la baia del porto.

    La fortificazione fu progettata e realizzata alla fine del Cinquecento per potenziare il sistema difensivo isolano. La struttura difensiva era il baluardo situato più a sud nel territorio del Granducato di Toscana. Il castellare, così denominato, compare in mappe e documenti dell'isola risalenti al Seicento e al Settecento, grazie ai quali è stato possibile stabilire sia l'aspetto architettonico originario che le funzioni a cui era adibito. L'abbandono definitivo della struttura difensiva avvenne quasi certamente in epoca ottocentesca, per cause ancora da accertare.

    Del Castellare del Giglio, di cui fino almeno alla metà del secolo scorso, erano visbili alcuni ruderi e resti murari sulla sommità del poggio, che sono andati definitivamente perduti nel corso degli ultimi decenni. La struttura fortificata era cinta da cortine murarie che si disponevano a forma poligonale attorno alla struttura turriforme di avvistamento che si presentava ad ampia sezione quadrangolare. Negli anni novanta era ancora presenti i ruderi dell'annesso casotto di guardia eretto nel 1623[

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    Forte della Scoperta
    , perduta struttura difensiva ottocentesca situata sull'isola di Giannutri.
    La fortificazione venne eretta tra il 1807 e il 1808 dai Francesi durante il periodo napoleonico, con la collaborazione dei reggenti del Regno d'Etruria, su progetto dell'ingegnere militare Giovanni Grazzini. Fino ad allora l'isola era priva di strutture difensive, nonostante una serie di progetti ambiziosi che erano stati fatti nel corso del Settecento sotto il dominio dello Stato dei Presidi ma mai attuati. L'assenza di fortificazioni comportò di fatto l'utilizzo occasionale dell'isola da parte di briganti e pirati, che nelle grotte costituivano i loro covi temporanei in vista di eventuali incursioni da condurre lungo la costa toscana. La struttura difensiva venne tuttavia attaccata dalla flotta britannica pcohi anni dopo la sua costruzione; in seguito fu precocemente abbandonata andando incontro ad un rapido degrado.

    Del Forte della Scoperta sono state perdute completamente le tracce, se si eccettuano alcuni resti murari situati alla sommità dell'omonimo poggio di modesta altezza situato nella parte centrale dell'isola tra Cala Maestra e Cala dello Spalmatoio; uno dei cannoni, che veniva utilizzato nella batteria di cui era munita la fortificazione, è conservato presso una struttura privata dell'isola. Della struttura difensiva è stato possibile ricostruire l'aspetto architettonico grazie al ritrovamento del progetto: la fortificazione era costituita da due corpi di fabbrica a pianta quadrata, con quello esterno, disposto su due livelli, che delimitava la torre di avvistamento dotata alla sommità di una garitta angolare a sezione circolare. L'avancorpo presentava un possente basamento a scarpa, il portale d'ingresso rettangolare sormontato da uno stemma che si apriva al piano rialzato, a cui si giungeva attraverso una doppia rampa di scale esterna; la parte sommitale dell'avancorpo si caratterizzava per un'ampia terrazza per le sentinelle che circondava interamente la struttura turriforme.



    Siti archeologici



    Rovine romane di Giglio Porto

    Villa romana di Giannutri, sull'Isola di Giannutri


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    Porto romano di Giannutri, sull'Isola di Giannutri


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    Aree naturali

    Parco nazionale Arcipelago Toscano

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    Il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, istituito nel 1996, è il più grande parco marino d'Europa, e tutela 56.766 ettari di mare e 17.887 ettari di terra. Si estende a cavallo tra la provincia di Livorno e quella di Grosseto e comprende le sette principali isole dell’arcipelago insieme a molti isolotti minori e scogli.

    Le isole "grossetane", il Giglio e Giannutri, sono parte del Parco per una superficie di 6400 ettari. Custodi di tesori archeologici, che si trovano sia sulla terraferma sia sui fondali marini, si caratterizzano per la tipica vegetazione mediterranea, che comprende il corbezzolo, l’erica arborea, il lentisco, il ginepro, il leccio e il pino d’Aleppo. Tra gli animali è possibile avvistare il coniglio selvatico, oltre a diversi rettili. Numerose sono inoltre le specie di uccelli stanziali e migratori che si possono osservare su queste isole, tra i quali spiccano, tra gli altri, i gabbiani corsi, una specie protetta perché a rischio d'estinzione che vive esclusivamente nel Mediterraneo nidificando su solitari tratti di costa. Altrettanto variegata è infine la fauna marina, che comprende tutte le specie presenti nel Tirreno.





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  13. gheagabry
     
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    « Paolina mia, questo Lung’Arno è uno spettacolo così bello, così ampio, così magnifico, così gaio, così ridente, che innamora; non ho veduto niente di simile né a Firenze né a Milano, né a Roma: e veramente non so se in tutta l’Europa si trovino molte vedute di questa sorta. »
    (Giacomo Leopardi parla di Pisa in una lettera alla sorella, 1827)



    PISA





    Secondo una leggenda sarebbe stata fondata da alcuni mitici profughi troiani provenienti dall'omonima città greca di Pisa, posta un tempo nella valle del fiume Alfeo, nel Peloponneso...Antica Repubblica marinara affacciata sul Mediterraneo e attraversata dal fiume Arno, Pisa è conosciuta in tutto il mondo per la sua Torre Pendente, collocata nella splendida cornice di Piazza dei Miracoli. Su questa Piazza si possono ammirare anche la Cattedrale, il Battistero, il Cimitero Monumentale; interessanti i Musei dell’Opera del Duomo e delle Sinopie.
    Ma per apprezzare Pisa, sede di una delle più antiche Università Italiane, della Scuola Normale Superiore, e oggi, di centri di ricerca di livello internazionale (CNR, Virgo, etc) bisogna incamminarsi per le vie del centro storico fino alla Piazza dei Cavalieri di Santo Stefano, al Mercato delle Vettovaglie, alle vie di Borgo e dei Mercanti. Bellissima l’area dei Lungarni, dove si trovano il Museo Nazionale di San Matteo e il Museo Nazionale di Palazzo Reale, oltre ai numerosi palazzi moderni, che lasciano intravedere le antiche strutture delle tipiche case torri medievali. Infine, nel giovane quartiere di Sant’Antonio, fa bella mostra di sé anche l’ultimo murale dell’artista americano Keith Haring.


    La Cattedrale di Santa Maria Assunta di Pisa in Piazza dei Miracoli, conosciuta in tutto il mondo come il Duomo di Pisa, è stata eretta nel 1063 dall'architetto Buscheto e consacrata da Papa Gelasio XII nel 1118; successivamente ampliata nel XII secolo dallo scultore ed architetto Rainaldo che ne prolungò le navate anteriori e ricostruì la facciata aggiornandola allo stile del tempo. Il Duomo fu costruito per dimostrare l'importanza socio-politica della città, infatti le sue dimensioni sono disarmanti: è lunga 100 metri e alta 36 metri. L'interno del Duomo di Pisa è a croce latina con cinque navate longitudinali, ha una cupola affrescata sostenuta da un tamburo ottagonale e completamente rivestita da marmi policromi bianchi e neri.... è uno dei capolavori dell'architettura di stile romanico con la sua facciata a sette arcate cieche separate da colonne e con quattro ordini di loggette superiori. Il portone del Duomo è una porta bronzea con scolpite Scene del nuovo Testamento dallo scultore Bonanno Pisano. Il Duomo è uno dei pochi esempi in Italia di completa armonia di stili differenti, qui romanico, gotico ed influenze orientali si mescolano alla perfezione dando al turista una visione d'insieme omogenea. La facciata è stata più volte restaurata nei secoli, soprattutto nel 1595 quando un incendio ne compromise la struttura. Accanto al portone centrale si potranno ammirare numerose decorazioni a girali e fogliame sormontate da capitelli corinzi e leoni. Una leggenda riguardo queste decorazioni racconta che una piccola lucertola scolpita fra queste porti fortuna ed infatti la maggior parte degli studenti vengono a sfiorarla il giorno degli esami affinché vada tutto bene.


    La costruzione della Torre di Pisa iniziò nel 1173 e doveva svolgere la funzione di campanile dell'attiguo Duomo, degli errori di progettazione vollero farla costruire su di un terreno che avrebbe presto ceduto e da qui l'inclinazione di alcuni gradi che ha reso celebre la torre. I problemi con il terreno iniziarono quando la Torre era in costruzione, infatti quando iniziarono a costruire il terzo piano si resero conto che la struttura cedeva a causa della presenza di numerose falde acquifere nel sottosuolo; preso coscienza del nuovo problema i rimanenti piani vennero eretti incurvati nel senso opposto della pendenza per bilanciare il peso e non farla crollare.
    La Torre di Pisa è alta 55 metri con un diametro di 16 metri ed un'inclinazione di circa 4 metri rispetto all'asse verticale... si presenta esternamente con una serie di arcate cieche alla base, loggette divise in sette ordini e decorata da intarsi marmorei, bassorilievi e sculture. Sulla sommità vi sono le campane ed è possibile accedervi salendo i 294 scalini interni alla Torre; qui Galileo Galilei condusse i propri esperimenti sulla caduta libera dei gravi.


    Il Battistero i è uno dei capolavori dell'arte romanico-gotica italiana. I lavori per la sua costruzione iniziarono nel 1152 sotto la supervisione dell'architetto e scultore Diotisalvi e continuarono un secolo dopo con un altro nome illustre della storia dell'arte italiana: Nicola Pisano per terminare definitivamente nel XIV secolo. La bellezza del Battistero è visibile negli ornamenti e nelle decorazioni di questo, sui portali sono visibili numerose sculture di Nicola e Giovanni Pisano come: le teste umane sopra i capitelli, i busti di santi e profeti entro edicole e le statuette sulle cuspidi. L'interno è a pianta circolare, rivestito da un paramento murario in marmo bianco ed una cupola ottagonale con sulla sommità una statua bronzea del Battista..... all'interno il Pulpito, detto anche Pergamo, questo è la prima opera documentata di Nicola Pisano ma già carica di plasticità che presagisce l'innovazione apportata dall'autore nella scultura duecentesca. Nei riquadri che costituiscono il pulpito del Battistero di Pisa in Piazza dei Miracoli sono raffigurati episodi della vita di Gesù ed il Giudizio Universale.
    La cupola del Battistero è divisa in due parti, la prima è rossa in mattoni mentre la seconda bianca in lamine di piombo


    In Piazza dei Cavalieri a Pisa sono collocati alcuni palazzi storici della città, il Palazzo degli Anziani (oggi Palazzo della Carovana e sede della Scuola Normale di Pisa), la Torre dei Gualandi (o Torre della Fame) ricordata per la morte del Conte Ugolino della Gherardesca qui imprigionato, il Palazzotto del Capitano (detto anche di Giustizia o dei Gualandi), il Palazzo dell’Orologio, il Palazzo dei Priori e la Chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri. Il Granduca di Toscana Cosimo I de' Medici affidò allo storiografo, architetto e pittore Giorgio Vasari (ricordato per i lavori agli Uffizi di Firenze e per aver scritto le vite di molti artisti medievali e rinascimentali) gli interventi di ristrutturazione di Piazza dei Cavalieri a Pisa. Il genio vasariano si può notare nella soluzione scenografica in cui gli edifici medievali vengono risaltati dalla simmetria, dalla regolarità e dagli elementi decorativi delle facciate.
    Tra il 1605 e il 1608 fu costruito il Palazzo del Buonomo (sede della biblioteca ella Scuola Normale di Pisa), detto poi Palazzo dell’Orologio che inglobò la Torre della Fame ed il Palazzotto del Capitano. Dopo gli interventi di restauro avvenuti fra il '600 ed il '700 le sette vie iniziali che si immettevano nella piazza si ridussero a quattro e Piazza dei Cavalieri ne uscì completamente differente dalla sistemazione originaria. L'edificio che ospita la Scuola Normale di Pisa è il Palazzo della Carovana e davanti a questo si erge una statua colossale raffigurante Cosimo I de' Medici, scolpita nel 1596 dallo scultore fiorentino Francavilla su disegno del Giambologna. All'interno della Chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri si trovano alcune opere di notevole valore: una scultura di Donatello, affreschi del Vasari, Jacopo Ligozzi, Alessandro Fei e Jacopo Chimenti detto l'Empoli





    .....nella storia....



    La città sorse in prossimità della confluenza delle foci dei fiumi Arno ed Auser, oggi scomparso, in una zona all'epoca lagunare. Le origini di Pisa state nel tempo attribuite ai Pelasgi, ai greci (Teuti o della Focide), ai Greci, agli Etruschi e ai Liguri e sono tuttora incerte. Il dibattito sulle origini dela città risalgono almeno allo storico romano Catone ma, in base ai ritrovamenti archeologici, si può sostenere con certezza l'esistenza di una città marittima e dedita a traffici con i Greci, i Fenici e i Galli almeno dalla metà del VI secolo AC. Anche gli altri autori latini attribuiscono a Pisa una non giovane età. Tra questi in particolare Virgilio, Plinio, Strabone e Servio. Servio sostiene che i fondatori della città furono i Teuti mentre secondo Plinio la città sarebbe stata fondata dai Teuti oppure da Pelope, Re dei Pisei, tredici secoli prima di Cristo. Strabone ne attribuisce invece le origini a Nestore, Re di Pilo, successivamente alla caduta di Troia, mentre in quello stesso periodo, stando all'Eneide, Pisa appare già una città grande e potente. Tra tutte è al momento più accreditata la tesi che Pisa sia stata etrusca fin dagli inizi.
    La storia di Pisa inizia nel IX sec. a.C. quando Pisa era un insediamento di origine alfea, una civiltà che, succesivamente, si fuse con gli Etruschi.
    Nel II sec. a.C. questa cultura venne, poi, assorbita dai Romani che costruirono Portus Pisanus.
    Dopo la fine dell’Impero Romano, fu una città portuale di grande importanza anche per i Goti, i Longobardi e i Carolingi.
    Il successivo sviluppo portò Pisa a diventare, nel XI secolo, una delle quattro Repubbliche Marinare Italiane più potenti insieme a Genova, Venezia e Amalfi.
    Per gran parte del Medioevo, la potente marina pisana, assicurò alla città il dominio del Mediterraneo occidentale.
    E’ in questo periodo che cominciarono le costruzioni che hanno resa famosa Pisa: quella del Duomo e del suo campanile, la famosa Torre pendente.
    La ricchezza acquisita permise a Pisa di fondare colonie nel Nordafrica, nella Spagna meridionale e sulla costa meridionale dell’Asia Minore.
    Il declino della repubblica marinara iniziò nel 1284, quando fu sconfitta da Genova e divenne più evidente con l’insabbiamento del porto.
    Così, la città passò al dominio dei fiorentini nel 1406 e sotto la famiglia dei Medici la città rifiorì.
    Infatti, nel 1472 essi ricostituirono nuovamente l’università in via di declino dando nuovo lustro all’antico centro.




    ..narra la storia...



    ...... che in un passato buio e dimenticato, i mari venivano dominati dalle orde musulmane.Le città costiere venivano depredate, i loro abitanti uccisi(i fortunati) o rapiti per essere rivenduti nei mercati dell'Islam come schiavi.Nel 1005 pisani distruggono una flotta saracina in Calabria.L'occupazione saracena, stabile e ben organizzata, ridusse i pochi abitanti alle condizioni di vassalli (dsimmi), mentre la vicina Sicilia (già sotto gli Arabi) servì di base per incursioni nella regione e nell'Ausonio (Mar Tirreno).
    Gli invasori furono indirettamente favoriti dalla disgregazione del ducato longobardo in quanto l'anarchia generale spingeva i singoli a cercare appoggi dal di fuori. Così i Saraceni poterono stanziarsi a Metauria distruggendo chiese e monasteri vicini, imponendo forti taglie sugli abitanti e via di seguito.
    Subito dopo l'anno Mille, ripresero le scorrerie spingendosi anche all'interno ma un fatto nuovo era destinato a mutare il corso degli eventi futuri. I Saraceni, nel 1004, saccheggiarono Pisa. Per tale motivo, i Pisani (allora notevole potenza marinara) nell'agosto del 1005, al largo della costa del golfo di Gioja, distrussero la flotta saracena in una memorabile battaglia navale che determinò l'abbandono di ogni velleità di ritentare gli assalti in Calabria e, soprattutto a Reggio, Metauria e a Taurianum.
    Nel 1005 papa Giovanni XVIII, preoccupato dell'avanzata dei Saraceni, giunti a Reggio Calabria, chiamò i Pisani in aiuto e mentre essi assediavano la città, il saraceno MUGAMID (musetto), partito dalla Sardegna, sbarcò a Pisa. È in questo contesto che si colloca la leggenda di Chinzica Sigismondi.La leggenda narra che una notte dell' anno 1005 mentre i pisani erano ad assediare Reggio Calabria con la loro flotta, il saraceno Mugamid entrò in Pisa a uccidere, depredare e rapire le persone per venderle come schiavi e indebolire così la forza di questa potente nemica.La nostra signorina che allora era molto giovane nonchè appartenente ad una delle famiglie nobili cittadine, riuscì a scorgere le orde nemiche che si muovevano furtive nella notte e senza pensarci andò di corsa a suonare le campane per avvertire la popolazione dell'imminente pericolo.Fù per sorpresa o per paura di trovare una forte difesa, che i saraceni si dettero alla fuga e la città fu salva grazie a quella che è diventata l'eroina della città di Pisa.


    Pisa è la città di Galileo Galilei ed è città di scienziati! Galileo fu costretto ad abiurare, all'età di settanta anni, alle sue scoperte sulla rotazione della terra, in quanto in contrasto con quanto sostenuto ufficialmente dalla Chiesa. Fra gli altri uomini di scienza che qui hanno avuto i natali ricordiamo Antonio Pacinotti, Ulisse Dini, Bruno Pontecorvo e Fibonacci, che col Liber Abaci nel 1200 impose in Europa i numeri arabi!





    .......il conte ugolino.....



    <la bocca sollevò dal fiero pasto quel peccator, forbendola a’ capelli del capo ch’elli avea di retro guasto>
    Con queste parole Dante Alighieri inizia il canto XXXIII dell’Inferno, dedicato quasi completamente alle tragiche vicende che portarono alla morte del Conte Ugolino della Gherardesca, lasciato morire di fame coi figli e i nipoti per ordine dell’Arcivescovo Ruggieri che lo aveva accusato ingiustamente di tradimento.
    Ugolino (1220 – 1289), figlio di Guelfo della Gherardesca, conte di Donoratico, nacque nella prima metà del Duecento da una nobile famiglia, padrona di vasti feudi nella Maremma ed in Sardegna. Sebbene di famiglia tradizionalmente ghibellina, nel 1275, si accordò col genero Giovanni Visconti per portare al potere a Pisa il partito Guelfo.Nel 1288, la parte ghibellina insorse sotto la guida dell’Arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini e delle famiglie Gualandi, Sismondi e Lanfranchi. Ugolino, accusato di tradimento perché considerato responsabile della sconfitta della Meloria, venne rinchiuso - senza processo - insieme a due figli e due nipoti nella Torre della Muda o della Muta, così denominata perché in quel luogo i colombi viaggiatori vi mutavano il piumaggio. Proprio nella torre, successivamente detta “della fame”, dopo alcuni mesi di prigionia, Ugolino ed i suoi discendenti furono lasciati morire di fame nel febbraio del 1289. La leggenda racconta che Ugolino, durante le prigionia, si sia cibato di carne umana cosi, lo stesso Dante Alighieri nel XXXIII canto della Divina Commedia, lo condanna a rodere - per l’eternità - il cranio dell’Arcivescovo Ruggieri, suo principale accusatore.






    Questa è la Pisa / in cui vivere noi stessi
    paradiso cercato e mai dimesso
    di torri svettanti, merli e di cipressi
    madreperlacea perla a misura d’uomo
    d’aria tersa e del più dolce abbandono
    scissa dal caotico e dal sovrasuono

    Pisa di piazze bianche / merletti su coperta
    le mura impiastricciate di ricordi

    Questa è la Pisa di processioni al Duomo
    vie crucis di lumini e di lampioni,
    di Santi ladri e baci sulla pelle
    altari e contraltari di certezze

    Pisa filtrata di pino / lago e fiume
    scoscesa di sovrumane splendide radure
    con tal tranquillità di movimento
    che l’occhio più sa gustarne il monumento

    La Pisa del già visto e mai veduto
    vice ora di marmo già scolpito!

    Da "Nel senso del verso"di Valeria Serofilli






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  14. tomiva57
     
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    grazie gabry
     
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28 replies since 28/9/2010, 12:38   7559 views
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