OGGETTI nei ricordi e nella storia

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  1. gheagabry
     
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    "...un oggetto che sicuramente tutti gli esseri umani possiedono da “soli” 4000 anni , si perché sembra impossibile che un oggetto considerato “banale “ e di uso comune oggi abbia una storia cosi antica..."


    SERRATURE e CHIAVI


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    E’ decisamente vecchia, anzi vecchissima, eppure i suoi anni se li porta magnificamente; sempre scattante, robusta, sempre al passo con i tempi, pronta ad opporre un'inflessibile resistenza a chi tentasse di... violarla. Eppure quasi 3600 anni non sono uno scherzo!
    Stiamo parlando della serratura: da quando l’uomo ha abbandonato le caverne e le palafitte per abitare qualcosa di più confortevole, si è posto il problema di impedire l’accesso alla sua proprietà agli estranei.
    Correva l’anno 1600 avanti Cristo, giorno più giorno meno, e tale problema tormentava, probabilmente, anche il Tebano Antef V, faraone della XVII dinastia il quale, preoccupato forse dalla penetrazione in Egitto di stirpi di popolazioni nomadi asiatiche dedite al furto sistematico, un bel giorno incaricò il suo abile artigiano di corte di inventare un congegno di chiusura per le porte delle sue stanze, tale che soltanto la Sua Regale Persona potesse avere il mezzo per entrarvi. L’incaricato si arrovellò non poco le meningi, ma poi seppe coniugare abilmente la semplicità e una discreta sicurezza con una soluzione davvero geniale: Installò sulle regali porte un chiavistello di legno e diede al suo sovrano un’apposita chiave fornita di cavicchi, anch’essi lignei, tramite la quale soltanto, era possibile far scorrere il meccanismo di chiusura. Era nata la prima serratura della storia! .....Il congegno descritto è giunto fino ai nostri giorni ed è conservato nel museo egizio di Torino. Osservando il disegno seguente sarà facile capire il geniale meccanismo di funzionamento.




    L’uso tanto accorto quanto riservato della chiave, presso i Romani, diede origine alla frase metaforica "sub clavi esse", essere sotto chiave, per indicare la segretezza di un affare.
    Fu solo con il Rinascimento che si cominciarono a costruire serrature e chiavi sempre più elaborate e ci si sbizzarrì a complicarle con fantasiosi disegni ornamentali, come è ben testimoniato dalla raccolta esistente al museo civico di Milano, nel castello Sforzesco. Si promulgarono, inoltre, leggi che prevedevano pesanti "multe et altre pene corporali" per quei fabbri che avessero osato modellare due chiavi identiche.Una curiosità: esisteva una serratura rinascimentale il cui sistema di sicurezza era più che insolito; conteneva infatti degli stiletti metallici affilatissimi caricati con delle molle. Nel caso un ladro avesse tentato di introdurre una chiave falsa, sarebbe stato investito da questi minuscoli pugnali, con le conseguenze che è facile immaginare.
    In questa eterna battaglia fra guardie e ladri il primato dell’invenzione della serratura moderna va ad un fabbro inglese, certo Robert Barron nel 1778. Fino allora ogni serratura, economica o costosa, poteva essere aperta da chiunque possedesse un minimo di abilità, usando con destrezza un semplice grimaldello.
    Appena 6 anni dopo, nel 1784, Joseph Bramah, figlio di un agricoltore dello Yorkshire e geniale inventore nel campo dell'idraulica e della meccanica, trasferitosi a Londra in cerca di fortuna, brevettò una serratura semplice e sicura nella quale i meccanismi interni si allineavano all’atto dell’inserimento della chiave, consentendo la rotazione del meccanismo di scorrimento del chiavistello. Questo sistema è tuttora alla base di vari tipi di serrature di sicurezza. Bramah dichiarò che la sua serratura, di forma cilindrica, consentiva 494 milioni di possibili combinazioni diverse, nella profondità e localizzazione degli intagli di codifica. Era così sicuro dell’inviolabilità della sua invenzione da offrire un premio di 200 ghinee, una somma notevole per l'epoca, a chi fosse riuscito ad aprirla con una chiave falsa o con un grimaldello. La discreta somma di denaro rimase ben custodita nelle tasche del proprietario fino al 1851, quando un serraturiere americano, Alfred Charles Hobbs, con mano di velluto e tanta pazienza, in 51 ore di tentativi distribuiti nell'arco di un mese, ne venne a capo.
    L’inattaccabilità della serratura tramite grimaldelli, da sempre sogno di ogni fabbricante specialista di questo ramo, sembrò concretizzarsi per la prima volta nel 1829 quando, all’ombra della tour Eiffel, monsieur Fichet brevettò la sua serratura di sicurezza. La sua creazione ebbe un successo così travolgente che il laboratorio Fichet, ingranditosi in breve tempo in officina, arrivò a contare ben 40 operai, un numero mai visto per quell’epoca



    La chiave riveste un ruolo importante nell'universo psicologico dell'uomo. Essa ritorna spesso nei suoi pensieri, nelle sue fantasie .
    La chiave ha quasi sempre un carattere evocativo: una semplice chiave ha in se la capacità di richiamare alla mente una grande quantità di persone (la chiave delle porte del cuore) di cose e di situazioni. Poeti e scrittori hanno reso la chiave protagonista di versi e racconti.


    La si può trovare in novelle, fiabe, romanzi, proverbi; parecchi sono i luoghi letterari in cui la si può incontrare: spesso si tratta di un esemplare d'uso comune, in altri casi di una chiave perduta da ritrovare,in altri ancora di una chiave miracolosa.Di queste chiavi poche volte viene messo in risalto l'aspetto formale poiché l'accento posto soprattutto sui loro valori simbolici, sufficienti a tener viva la tensione letteraria. Anche l'immagine visiva della chiave ha rivestito nel tempo un'importanza determinante offrendosi all'uomo con il suo forte spirito evocativo.
    Da migliaia di anni le chiavi vengono effigiate nei più diversi contesti; appaiono scolpite nei rilievi, dipinte negli affreschi e nei quadri, riprodotte nei libri e continuano a esercitare una funzione comunicativa anche nel mondo contemporaneo come ad esempio nelle immagini pubblicitarie. Non diversamente dalla parola, che contraddistingue questo oggetto, anche la sua immagine non intende richiamare i suoi significati simbolici fra i quali di sicuro prende il sopravvento il concetto di autorità e di potere.
    La parola e l'immagine sono senza dubbio le manifestazioni più conosciute e diffuse della chiave ma non documentano certo tutto il suo spessore storico e culturale: essa è stata e continua a essere prevalentemente uno strumento, costruito e usato dall'uomo per utilità pratica. Mentre nel passato le chiavi hanno avuto un rilievo notevole soprattutto in ambito sociale (basti pensare all'importanza delle chiavi della città) oggi predomina piuttosto una loro dimensione privata; molte delle nostre azioni quotidiane non sarebbero possibili senza le chiavi. Nonostante certe somiglianze formali, ogni singola chiave è di per se unica e irripetibile. Tanto la chiave artigianale che quella fabbricata industrialmente si diversificano da ogni altra per una precisa ragione di ordine tecnico che sta alla base del loro concetto: una e una sola chiave deve, in teoria, poter aprire un determinato congegno.
    (mauroilfabbro)




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    Edited by gheagabry1 - 20/1/2023, 23:39
     
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  2. gheagabry
     
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    La MATITA


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    La matita è lo strumento più comune per scrivere e disegnare, ma non è il più antico. Infatti la grafite, cioè il minerale grigio che viene avvolto in un bastoncino di legno, fu scoperta solo nel 1664. Qualcuno si accorse che la grafite lasciava su un foglio di carta una traccia ben visibile, ma facilmente cancellabile con un po' di mollica di pane, e pensò di utilizzare questa proprietà del minerale. Il 10 settembre ricorre il compleanno delle matite! Sì, perchè proprio quel giorno dell'anno 1665 furono messi in vendita i primi bastoncini di grafite, protetti da un involucro di stoffa o da sottili canne di bambù. Le matite con il rivestimento di legno, come quelle che si utilizzano oggi, comparvero molto più tardi, nel 1795 e fu il francese Conté a metterne a punto la produzione. La grafite impastata con argilla, veniva tagliata in striscioline; dopo una breve cottura, le striscioline venivano infilate in bastoncini cavi di legno di cedro e fissate con una goccia di colla. Ancora oggi l'involucro delle mine più pregiate viene ricavato da legno di cedro rosso o di ginepro, mentre le matite più comuni sono fatte di legno di ontano o di tiglio. Le mine delle matite possono essere dure o morbide; le prime sono contrassegnate con la lettera H, le altre con la lettera B. Un numero indica la maggiore o la minore durezza o morbidezza della matita. Accanto alle matite nere, esistono in commercio le bellissime matite colorate, che i bambini chiamano pastelli; le loro mine sono di coloranti minerali mescolati ad altre sostanze naturali e sintetiche.



    In principio il Fabbricante di matite parlò alla Matita dicendo:
    Ci sono cinque cose che devi sapere prima che io ti mandi nel mondo. Ricordale sempre e diventerai la miglior matita che possa esserci.
    PRIMO ....Potrai fare grandi cose, ma solo se ti lascerai portare per mano.
    SECONDO ....Di tanto in tanto dovrai sopportare una dolorosa "temperata" ma è necessario se vuoi diventare una matita migliore.
    TERZO ....Avrai l'abilità di correggere qualsiasi errore tu possa fare.
    QUARTO ....La parte più importante di te sarà sempre al tuo interno
    QUINTO ....A prescindere dalle condizioni, dovrai continuare a scrivere.Lasciare sempre un segno chiaro e leggibile, per quanto difficile sia la situazione.
    La matita ascoltò, promise di ricordare ed entrò nella scatola comprendendo pienamente le motivazioni del suo Fabbricante.
    (dal web)



    Il bambino guardava la nonna scrivere una lettera.
    Ad un certo punto, chiese: "Stai scrivendo una storia su di noi? E' per caso una storia su di me?".
    La nonna smise di scrivere, sorrise e disse al nipote: "In effetti, sto scrivendo su di te. Tuttavia, più importante delle parole, è la matita che sto usando. Mi piacerebbe che tu fossi come lei, quando sarai grande."
    Il bimbo osservò la matita, incuriosito e non vide niente di speciale.
    "Ma è identica a tutte le matite che ho visto in vita mia!".
    "Tutto dipende dal modo in cui guardi le cose. Ci sono 5 qualità in essa che, se tu riuscirai a mantenere, faranno sempre di te un uomo in pace con il mondo.
    Prima qualità: tu puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una mano che guida i tuoi passi: questa mano noi la chiamiamo Dio e Lui ti dovrà sempre indirizzare verso la Sua volontà.
    Seconda qualità: di quando in quando io devo interrompere ciò che sto scrivendo ed usare il temperino. Questo fa sì che la matita soffra un poco, ma alla fine essa sarà più affilata. Pertanto, sappi sopportare un po' di dolore, perché ciò ti renderà una persona migliore.
    Terza qualità: la matita ci permette sempre d'usare una gomma per cancellare gli sbagli. Capisci che correggere qualcosa che abbiamo fatto non è necessariamente un male, ma qualcosa di fondamentale per mantenerci sulla retta via.
    Quarta qualità: ciò che è davvero importante nella matita non è il legno o la forma esteriore, ma la grafite che è all'interno. Dunque fai sempre attenzione a quello che succede dentro di te.
    Infine la quinta qualità della matita: lascia sempre un segno. Ugualmente, sappi che tutto ciò che farai nella vita lascerà tracce e cerca d'essere conscio d'ogni singola azione.
    (Paulo Coelho)



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    Edited by gheagabry1 - 20/1/2023, 23:41
     
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  3. gheagabry
     
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    La storia dell'ombrello


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    Nel nome ombrello si nasconde la parola ombra, che dichiara la sua funzione originaria di parasole. Ritroviamo l'immagine del parasole negli affreschi delle tombe egizie e negli antichi libri cinesi. D'estate sopra l'arena romana veniva steso il velario, una leggera tenda che proteggeva gli spettatori dal sole. Nelle giornate ventose, però, quando il velario non poteva essere steso, le signore romane assistevano agli spettacoli proteggendosi dai raggi del sole con ombrelli di seta, decorati con perle e conchiglie. Nel 1176 il doge di Venezia chiese al papa Alessandro III il permesso di apparire in pubblico protetto da un ombrello appositamente creato. L'ombrello del doge, simbolo di dignità e di potenza, era fatto di prezioso broccato e tessuto con fili d'oro. Nel Cinquecento, Caterina de' Medici fece conoscere ai francesi il parasole, e nel Seicento questo accessorio venne esportato in Inghilterra, dove non ebbe molta fortuna, a causa del clima di quel paese.
    Verso la fine del Settecento in Francia, il parapioggia era già diventato un oggetto di uso comune. Nell'Ottocento fino ai primi anni del Novecento il parasole raggiunse in Francia e in Italia una grande fortuna. Molti dipinti dell'epoca ritraggono donne e ragazze con il loro ombrellino, il grazioso accessorio che sottolineava l'eleganza dell'abito. Oggi il popolo giapponese conserva l'usanza di ripararsi dal sole e molto spesso d'estate si incontrano comitive di turisti provenienti dal paese del Sol Levante, muniti non solo di macchine fotografiche, ma soprattutto di ombrelli. In Occidente, invece l'ombrello viene esclusivamente usato quando piove; e solo in estate nei giardini e sulle spiagge, ci si ripara sotto l'ombrellone.




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    Edited by gheagabry1 - 20/1/2023, 23:46
     
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  4. gheagabry
     
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    SCALDINO CON LA MÒNEGA O IL PREÉ
    ( MONACA O PRETE)

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    Se lo scaldino era aperto, veniva messo nella mònega o preé (nomi che variano a secondo delle zone, che significano monaca e prete), attrezzo di legno, formato da due coppie di assicelle ricurve, unite agli estremi, poste lateralmente sopra e al di sotto di una "gabbia" cuboidale aperta, avente base quadra centrale ricoperta di lamiera (per evitare bruciature provocate da eventuali fuoriuscite di faville dal braciere che vi veniva posato). Teneva sollevate le coperte e permetteva al calore di diffondersi. In tal modo si riduceva il tasso di umidità di coltri e di materassi di cui erano pregne nella stagione invernale le case di campagna.
    Si è usato nelle case di campagna o delle famiglie meno abbienti, fino agli anni '60, '70 del 1900. Nelle abitazioni prive di impianto di riscaldamento, con altri accorgimenti come la boulle dell'acqua calda o il mattome riscaldato nella stufa, permetteva di infilarsi in un letto piacevolmente tiepido anche in stanze che d'inverno potevano essere veramente gelide.



    Tra le altre funzioni di questo strano oggetto, c'era anche quella di favorire la lievitazione del pane, molte volte infatti, soprattutto in inverno , il freddo non permetteva la normale panificazione e rallentava la lievitazione della pasta; quindi si provvedeva a metterli sotto le coperte dove il calore accorciava di alcune ore il processo di lievitazione.





    dal web

    Edited by gheagabry1 - 20/1/2023, 23:49
     
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  5. gheagabry
     
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    .........ascoltando un vecchio disco........


    La storia del vinile


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    Il grammofono (o fonografo) fu ideato dal francese Charles Cros nel 1877, ma il primo apparecchio effettivamente funzionante fu realizzato dall'americano Thomas Alva Edison circa 8 mesi dopo, e brevettato dallo stesso il 19 febbraio 1878, mentre il disco orizzontale fu presentato da Emile Berliner a Filadelfia (USA), il 18 maggio 1888.
    Il primo disco prodotto a scopo commerciale venne inciso nel 1895.
    Il 78 giri nacque poco prima del 1900. Il primo 33 giri o "long playing" fu realizzato dalla Columbia Records il 21 giugno 1948 mentre, un anno più tardi (1949), la RCA rispose dando alla luce il primo singolo a 45 giri. Quasi paradossalmente però, prima di questi ultimi due fu inventato il "picture disc", ossia un disco dove, al posto del comune microsolco di vinile nero, vi è riportata un'immagine, foto o disegno che sia, su carta sigillata dal vinile trasparente sul quale sono incisi i solchi. Era infatti il 6 maggio 1946 quando un giovane imprenditore 36enne di Detroit, Michigan (USA), Tom Saffady presentò per la prima volta al pubblico, sotto l'etichetta "Vogue", i primi singoli a 78 giri in vinile con splendide illustrazioni a colori.


    .......the " picture disc ".....


    Il “ picture disc ” è un formato speciale di vinile su cui viene impressa un’immagine invece che del solito colore nero. La storia di questi formati è molto particolare ed iniziata addirittura nei lontani anni ’ 20.
    Il picture disc come abbiamo detto ha debuttato nei primi anni ‘20, quando furono usati sperimentalmente per la pubblicità. Questi dischi erano semplicemente un foglio di pellicola sottile in vinile posto su cartone che poi venivano pressati.
    Adolf Hitler ha pubblicato un 7 " in picture disc con uno dei suoi discorsi di propaganda. Conosciuto come la “Patria”, su un lato troviamo l'immagine di Hitler, dall’altro lato, registrazioni di discorsi.
    Inventato negli anni quaranta, nel formato che si avvicinava molto a quello dei nostri giorni, da Tom Saffady con il “Vogue” Records di Detroit, il 1946 e il 1947 venivano venduti per 50 / 75 centesimi ciascuno ed avevano 74 titoli di artisti in catalogo, come Lulu Belle, The Charlie Shavers Quintet, e Patsy Montana, erano 10 "di diametro e costituiti da un piatto in alluminio, ma la riproduzione del suono restava sempre un po’ scarsa. In seguito all'introduzione del vinile colorato, i picture disc cominciarono ad apparire nel 1970. I primi dischi con foto (e con una qualità audio accettabile, ma ancora inferiore) sono stati sviluppati da Metronome Records GmbH (società controllata da Polydor Records). Il primo 'moderno' picture disc rock è stato.... il primo album del gruppo progressivek britannico Curved Air, “Air Conditioning” (1970).
    Il primo disco in commercio invece con l’immagine di un artista quello di Elvis “Love Still Burning", una raccolta di 11 canzoni come tributo di artisti vari, pubblicato nel maggio 1978.
    Su alcuni picture disc, le immagini utilizzate sono state create per dare un'illusione ottica, mentre il disco ruota sul piatto (come nel lato B di Curved Air), mentre gli altri hanno 'effetti visivi da aggiungere alla musica - per esempio , del 1979 picture disc di Fischer-Z, “The Worker”
     Alla fine degli anni '70 e negli anni '80 l'edizione "Picture Disc" dell' LP o del singolo diventò uno degli aspetti più importanti per ogni uscita discografica di tutti gli artisti più importanti o più noti al momento. Impossibile non citare la bella edizione USA del 1978 in questo formato di uno degli album che ha venduto di più in assoluto con oltre 40 milioni di copie, ovvero quel "The Dark Side Of The Moon" dei Pink Floyd, uscito originariamente nel 1973.



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    Edited by gheagabry1 - 20/1/2023, 23:54
     
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  6. gheagabry
     
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    ... LE COSE INTORNO A NOI ...
    … E se un giorno tutto quello che ci circonda sparisse? Se quello che abbiamo, comodità, agi, superflue suppellettili, telefonini, computer, automobili … se tutto sparisse? Ci sveglieremmo senza il suono della sveglia o di un telefonino o telefono che squiila; senza orologi sul muro né al polso ad indicare l’ora. Nessun rumore nelle strade, clacson o motori che rombano; nessuna tv ad intrattentere o telegiornali che accompagnano a volte le prime ore del nostro risveglio. Non esisterebbe radio o luce artificiale, il risveglio sarebbe accompagnato dalla crescente luce del sole che dapprima timida, col passare dei minuti diverrebbe sempre più infuocata fino a farci alzare velocemente dal letto. Nessun rasoio elettrico, solo un pennello pieno di schiuma da barba e un rasoio affilato per tagliare la barba. Acqua fredda senza caldaia che la riscalda; e la sola cosa che resta invariata è il profumo del caffè che avvolge le stanze della casa che stiepidiscono col salire della temperatura esterna. In strada solo persone che camminano, nessuna automobile o motorino, solo il suono gradevole dei passi sull’asfalto. Cosa accade? Nulla, forse la mancanza di certe abitudini all’inizio ci spaventerebbe, ci farebbe provare un senso di incompletezza; l’uomo sarebbe riportato al centro dell’universo e non più passivo fruitore di tecnologia, ozioso osservatore dello scorrere della vita. L’uomo capace di disegnare la propria esistenza col sudore vero dei propri sforzi, della propria azione. Siamo talmente abituati a tutto ciò che ci circonda che ho fatto fatica ad elencare tutto ciò che è superfluo; si, ho fatto fatica perché psicologicamente quelle cose non sono più un superfluo sono inesorabilmente divenuti necessità irrinunciabili. Se tutto sparisse? Credo sarebbe bello, impopolare ma bello … ma anche questo è uno dei tanti miei sogni, delle mie visioni … scusate, sta suonando la sveglia, sul mio palmare, e la tv si è accesa automaticamente e vanno in onda le immagini del telegiornale. Mi manca già quell’attimo di pace respirato in quella mia visione dove il solo suono che si sentiva al risveglio era quello delle lenzuola che scivolavano via nell’alzarmi dal letto e, in lontanza, il canto di un gallo che richiamava tutti alla nuova giornata che stava iniziando … Che nostalgia, quanta poesia in quella visione … .
    (Claudio)



    ... L'essenziale ed il superfluo ...

    Due formiche d'estate lavoravano né li campi
    s'affannavano a correre cò le zampe e cò li fianchi
    l'una coglieva foglie soffici e disseccate
    l'altra spighe di grano sul campo abbandonate.

    Quella che cercava grano disse alla compagna : "
    Sei scema a serbà foglie d'inverno che se magna?"
    rispose la sua amica che voleva la sua tana
    morbida e vellutata come una ottomana.

    Venne l'inverno e piovve con grande carestia
    quella cor grano rise e magno con allegria.
    Quella che aveva colto la foglia ammorbidita
    patì la fame e ci lasciò la vita!

    Così succede all'uomo che accumula tesori
    sperando che gli servano a scansasse dai dolori
    vive la sua vita in modo impenitente
    credendo d'avè tutto e invece non ha niente!


    (Vittorio Luciano Banda)





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    Edited by gheagabry1 - 20/1/2023, 23:54
     
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  7. gheagabry
     
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    La storia del POST-IT



    Art Fry, ricercatore nella Divisione sviluppo prodotti della 3M, amava cantare nel coro della North Presbiterian Church di North St. Paul, nel Minnesota, negli Stati Uniti. La domenica non mancava mai alla celebrazione della messa. Nello svolgimento di questa sua attività, si imbatteva costantemente in un banale ma fastidioso problema. Per ritrovare in tempi stretti i canti da eseguire, era solito inserire nel libro da messa alcuni foglietti di carta, in corrispondenza dei canti prescelti. Erano però più le volte in cui i foglietti, aprendo il libro, cadevano, rispetto a quelle in cui svolgevano diligentemente la propria funzione. Ogni volta Fry si trovava nei guai e, all’ultimo momento, doveva cercare la pagina voluta.

    Racconta: “Non so se a causa di un sermone noioso o di un’ispirazione divina, ma quel giorno pensai a come risolvere questo inconveniente. D’improvviso mi venne l’idea di un adesivo… Non di un adesivo qualunque; di uno che era stato ideato e provato da un mio collega alla 3M, Spencer Silver, ma che era poi stato scartato perché aveva il difetto di perdere la propria capacità adesiva dopo poco tempo”. La lampadina di Fry si era accesa all’improvviso, facendo ritornare nella sua memoria quell’adesivo buttato via anni prima. Per risolvere il problema dei foglietti che volavano via bastava renderli appiccicosi in maniera che rimanessero attaccati alle pagine del libro, senza rovinarle, e potendo essere staccati quando non c’era più bisogno che tenessero il segno. Occorreva insomma un “adesivo che rimanesse tale solo per breve tempo”.


    Il lunedì seguente Fry si recò come sempre al lavoro. L’idea maturata in chiesa la domenica gli frullava per la testa, deconcentrandolo e svelandogli che in realtà le possibili applicazioni di una tale invenzioni avrebbero potute andare ben oltre all’utilizzo da lui pensato per il libro da messa. Decise allora di sviluppare la propria idea, recuperando l’adesivo del collega e lavorandoci sopra perché avesse le caratteristiche desiderate. Ci volle un anno e mezzo di lavoro, al termine del quale Fry decise essere giunto il momento di passare dalla teoria alla pratica. Andò nell’ufficio commerciale a proporre la sua invenzione, ma venne accolto con diffidenza se non con assoluta indifferenza.
    Viste le insistenze di Fry, la 3M, nel 1977, acconsentì a fare un test di mercato, commercializzando un campione del prodotto in quattro città degli Stati Uniti, con il nome di Post-it. I risultati furono pessimi e straordinari al contempo: in due città non fu venduto neanche un “giallino” (termine ormai entrato nel linguaggio comune a indicare i Post-it e nato dal loro colore iniziale, il giallo appunto, successivamente affiancato da molti altri colori); nelle altre due i Post-it andarono letteralmente a ruba.

    I risultati discordanti erano dovuti, ancora una volta, al caso: nelle due città-successo erano stati distribuiti gratuitamente dai commercianti alcuni campioni di Post-it. Nelle città-disfatta erano stati messi direttamente in vendita, senza alcun lancio pubblicitario, con omaggio di Post-it, e quello che seguì è sotto gli occhi di tutti. Dal 1980 venne diffusa la vendita dei “giallini” in tutti gli Stati Uniti, e dall’anno seguente approdarono anche in Europa e quindi nel resto del mondo, diventando uno strumento indispensabile, e quindi immancabile in qualunque ufficio.

    La lettura attenta della scoperta di Fry deve far riflettere. A ben guardare i Post-it non godono di tutte le proprietà della serendipità. Il ricercatore del Minnesota, infatti, non ha scoperto i “giallini” cercando un’altra cosa. Il suo obiettivo era proprio inventare qualcosa che assomigliasse ai Post-it. E’ altrettanto vero, però, che l’idea di come realizzarli è nata da un doppio caso: la passione per i cori di Fry e il suo ricordo di un adesivo da buttare via.
    (albertobondoni)


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    Edited by gheagabry1 - 20/1/2023, 23:58
     
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  8. gheagabry
     
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    La storia della bicicletta


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    Il veicolo a due ruote, che si può considerare il primo antenato della bicicletta, ha una storia che risale all'antichità. Pare che i Cinesi utilizzassero carri a due ruote addirittura nel 9500 a.C. e i Sumeri oltre 8000 anni fa. In Egitto se ne trova traccia intorno al 4000 a.C. "all'epoca di quel re degli Egizi che, nel corso di una spedizione armata verso il Mar Nero, condusse al seguito delle truppe certi piccoli carri a due ruote trainati da quadrupedi" (A. Cardellin, Storia del Velocipede e dello Sport ciclistico, Padova 1946).
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    Il primo abbozzo di biciletta è quello che vediamo nello schizzo riprodotto a lato, scoperto dal Prof. Augusto Marinoni verso la metà degli anni '60, durante i lavori di restauro del Codice Atlantico di Leonardo da Vinci.
    Il disegno, che secondo lo stesso Marinoni risale al 1490 circa, non è sicuramente di Leonardo, ma più probabilmente di uno dei suoi allievi.

    Mentre l'Europa è travolta dalla Rivoluzione Francese, un nobile un po' eccentrico, il giovane Conte Mede de Sivrac, trovava il tempo di progettare e costruire una macchina elementare che battezzerà velocifero, o celerifero. Si trattava di una struttura rigida in legno, composta di assicelle che collegano due ruote, anch'esse in legno, libere di ruotare attorno a due perni. Montando a cavalcioni del velocifero, si imprimeva il movimento con la spinta dei piedi a terra. Venne presentato ai giardini di Palais Royal e divenne ben presto un lussuoso giocattolo per adulti, dando vita a forme fantasiose e bizzarre che ricordavano il corpo del cavallo, del serpente o del leone.


    Un ufficiale dell'esercito prussiano, il barone Karl Christian Ludwig Drais von Sauerbrohn, presenta un celerifero che ha la possibilità di sterzare manovrando sulla ruota anteriore, indipendente dalla struttura portante. La nuova macchina verrà battezzata "draisienne", italianizzata in "draisina". Drais brevettò l'invenzione tramite il suo rappresentante francese, Monsieur Dineux, che installò a Parigi un'officina e una scuola per imparare a usare il nuovo mezzo.
    1830 Dreuse, un ufficiale di posta della Germania, convince l'amministrazione delle poste ad adottare un triciclo di sua invenzione per la distribuzione della corrispondenza. L'esperimento però venne ben presto abbandonato perché le abbondanti nevicate avevano reso impraticabili le strade.


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    1861 ... Il giovane Ernest Michaux, che lavora nell'officina meccanica del padre, monta su una draisina i primi pedali, fissandoli al perno della ruota anteriore. Visto il successo, l'officina lavora dapprima a modificare le draisine in circolazione e poi a produrne di proprie, aumentando le dimensioni della ruota anteriore in modo da coprire una distanza maggiore a ogni giro di pedali. L'impresa dei Michaux fallì con un tracollo economico, ma rimane uno dei primi tentativi di produzione su larga scala. Da questo momento, per circa un ventennio, il termine più diffuso in tutta in Europa per designare il nuovo mezzo sarà "bicycle" o "biciclo".
    1865-67... Compaiono le prime gomme piene, applicate ai cerchioni delle ruote in legno, e i primi telai in tubi di ferro.
    1869...Si diffondono le prime manifestazioni sportive in molte città europee e americane; il 6 marzo si tiene a Londra il primo raduno internazionale. Famoso a Parigi il "Velodrome Buffalo", diretto da Tristan Bernard, dove si recava spesso Toulouse-Lautrec che ci lasciò una serie di immagini di quelle manifestazioni, oltre ai manifesti pubblicitari che realizzò per le prime case costruttrici di bicicli.
    1870-80 ... Vengono fatti diversi esperimenti per consentire la trasmissione del moto tramite un sistema di cinghie elastiche e ingranaggi. Nel 1868 l'orologiaio parigino A. Guilmet fece costruire dal meccanico E. Meyer un velocipede con trasmissione a catena sulla ruota posteriore, ma la sua invenzione non ebbe fortuna. Otto anni dopo, Meyer la ripresentò come sua, applicandola anche ai tricicli. Nel frattempo lavoravano alla stessa idea i francesi Vincent e Sargent, l'americano Shergold e l'inglese Lawson. Prima della fine del secolo il problema della trasmissione del moto è risolto in modo definitivo: i pedali vengono collegti a una ruota dentata che, mediante catena snodabile, trasmette il movimento al pignone della ruota posteriore. Per coprire una distanza maggiore con un giro di pedali non è più necessario che la ruota anteriore sia gigantesca, e così la bicicletta torna alla forma originaria, con le due ruote di uguale misura, che conserva ancora oggi.
    1870 ... Nascono le prime associazioni di turismo ciclistico a carattere non competitivo. Il primo "Veloce Club" italiano è quello di Firenze, seguito da quello di Milano.
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    1873 ... In Italia viene distribuito ai reggimenti di fanteria il primo velocipede, con ruote basse e quasi uguali, interamente in legno. Inizialmente la bicicletta a uso militare venne usata solo per il servizio di corrispondenza.
    1885 ... L'americano Goodyear scopre casualmente il processo di vulcanizzazione della gomma, osservando un miscuglio di lattice e zolfo caduto su una stufa. Il lattice di gomma fino a quel momento usato per lo più nella produzione di sovrascarpe e impermeabili, acquista così in durata e resistenza e può essere impiegato in nuovi settori: apparati medici e per ospedali, creazione di pneumatici per veicoli.
    1887 ... L'esercito inglese, nel corso delle grandi manovre fra Easter, Canterbourgh e Dover, fa i primi esperimenti su vasta scala di impiegare corpi di velocipedisti volontari.
    1888 ... Lo scozzese G.J. Boyd Dunlop monta sul triciclo del figlio il primo pneumatico a camera d'aria. La produzione si diffonde ben presto in tutta Europa.
    1889 ... L'irlandese W. Hume, proprietario di una fabbrica di velocipedi, presenta all'Esposizione internazionale la "Bicyclette Humatic", la prima a montare gomme pneumatiche. Da quel momento tutte le principali case produttrici che ottennero l'esclusiva di cerchiare le ruote con i pneumatici Dunlop adottarono il nome di bicicletto, o bicicletta.

    (erewhon.ticonuno.)

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    Edited by gheagabry1 - 21/1/2023, 00:00
     
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    POLAROID
    La magia in un istante


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    Dopo un intero giorno trascorso a fotografare, la piccola Jennifer, con l'ingenuità e l'impazienza propria dei bambini, chiese al padre, il motivo per cui non era possibile vedere subito le immagini che si era impegnata a scattare con tanto entusiasmo. Oggi sarebbe alquanto improbabile che a qualcuno venisse in mente di fare una domanda del genere: con le nostre belle macchine fotografiche digitali, dagli schermi luminosi e brillanti, è subito possibile vedere se lo scatto è ben riuscito, oppure se è necessario rimettersi nuovamente in posa. “Sono venuto con gli occhi chiusi? La foto è sfuocata?”: queste sono al massimo le domande che, ai nostri giorni, può sentirsi rivolgere chi sta dietro l'obbiettivo e scatta la fotografia.
    La situazione era invece ben diversa nel 1943, non solo perché il mondo era in piena guerra, ma anche perché la tecnologia non era ancora arrivata ai livelli di oggi. Non è detto però che la società di allora era peggiore della nostra, anzi..., intorno alla metà del novecento, forse esistevano ancora i geni e gli inventori...
    Edwin Herbert Land, da alcuni è stato proprio definito come “l'ultimo dei grandi geni”, secondo solo ad Edison per numero di brevetti depositati, ed è stata proprio la richiesta della figlia che ha fatto scattare – mai come in questo caso il termine può dirsi più appropriato... – in lui l'intuizione per la creazione di una macchina fotografica a secco, con la quale le fotografie sarebbero state visibili subito dopo il clic.
    Edwin H. Land fin da subito ebbe ben chiara in mente l'idea, ma, come sappiamo, tra la teoria e la pratica vi è una notevole differenza. Nonostante ciò, da quel dicembre del 1943, quando la piccola Jennifer “illuminò” il padre, passarono pochi anni e già nel 1947, in una notte tempestosa, mentre si trovava all'Hotel Pennsylvania di New York, all'età di 37 anni, Edwin Herbert Land scattò la prima istantanea, che ritraeva la sua figura e dava origine al mito della macchina fotografica Polaroid. In realtà, Edwin H. Land, nato nel Connecticut nel 1909, prima di inventare la sua rivoluzionaria macchina fotografica istantanea, aveva già messo a punto una serie di invenzioni come le lenti polarizzate, i filtri ottici, i visori notturni e le munizioni potenziate, molto sfruttate in ambito militare. Nel 1937 aveva inoltre fondato la Polaroid Corporation, ma senza dubbio il suo sistema fotografico istantaneo è stato, e resterà, la sua invenzione più famosa, in quanto per la prima volta ha dato la possibilità ai fotografi di vedere le loro immagini subito dopo lo scatto. Più o meno ci vogliono circa cinquanta secondi di attesa, prima di poter ammirare l'immagine catturata, che, ovviando al lungo e complesso procedimento di sviluppo tradizionale, nasce grazie ad un speciale involucro, contenente la soluzione chimica, il quale viene applicato ad ogni singola pellicola e si rompe dopo lo scatto, quando la pellicola stessa passa attraverso due cilindri.
    Sembra che nel 1948, presso un grande magazzino di Boston, sia stata esposta la prima macchina fotografica Polaroid in grado di produrre, col solo scatto, le fotografie al suo stesso intero. Risultato? La macchina fotografica fu venduta dopo poche ore!
    Da quel momento iniziò l'ascesa vertiginosa della Polaroid che ebbe subito un grande riscontro popolare, al quale presto si aggiunse il successo riscosso tra i fotografi professionisti, i quali vennero conquistati dal fascino delle istantanee, che con la loro tipica cornice bianca impossibile da ritrovare nelle fotografie tradizionali, sono presenti in quasi tutti gli album di famiglia ad immortalare i ricordi di una vita.
    Nel 1966, nel giro di venti anni, la Polaroid raggiunse probabilmente il suo apice: erano state vendute tre milioni di macchine fotografiche e quindici milioni di pellicole. Ma Edwin Land non si fermò nemmeno di fronte a questi sorprendenti risultati e nel 1972 inventò quella che forse è divenuta la più intramontabile tra le macchine fotografiche Polaroid. La SX-70, superando le poche difficoltà legate ad un uso non proprio immediato dei modelli precedenti, con il suo caricatore interno, introduceva il primo rullino di forma quadrata, e scattava immagini anche modificabili: con graffi, tagli ed esposizioni al calore ed alla luce, le istantanee divennero un buono strumento creativo, poiché era facile ottenere particolari effetti, rendere strani gli scatti, deformare le foto ed addirittura riutilizzare alcune pellicole per successive stampe.
    In seguito, le pellicole Polaroid 600 garantirono una fedeltà più elevata dei colori, e nel corso degli anni la Polaroid è diventata il simbolo di una fotografia “rapida e dinamica”, come la generazione che usandola immortalava il mondo.
    Purtroppo però dal giugno del 2008 la favola ha rischiato di essere interrotta: proprio la voglia di vedere subito l'immagine scattata..., proprio l'ansia di vedere istantaneamente la fotografia appena realizzata, ha questa volta regalato il successo alla tecnologia digitale, che ha praticamente mandato in pensione le vecchie, care Polaroid.

    La favola potrebbe quindi finire qui, ma come sappiamo le favole non sono tali se non hanno il lieto fine. Siamo nei primi mesi del 2010 infatti, quando ad Enschede, al confine tra l'Olanda e la Germania, un gruppo di dodici tecnici, ingegneri e chimici, uniti proprio dalla passione per la Polaroid, ha deciso di acquistare un ex fabbrica appartenuta all'azienda americana, ed ha acquistato i macchinari necessari per la produzione della pellicola.
    Il risultato? Sicuramente non verrà eguagliato il successo ottenuto dagli storici modelli della Polaroid, ma dal 2010 è in vendita la nuova Istant Camera Polaroid 300, che con l'innovativa pellicola dalle moderne prestazioni, si promette di mantenere in vita il mito delle istantanee.
    ( Michele Broccoletti, il reporter)


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    Edited by gheagabry1 - 21/1/2023, 00:04
     
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    La storia del FIAMMIFERO e del CERINO

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    Scusi, ha da accendere? Quante volte abbiamo rivolto questa domanda e altrettante volte ci è stata rivolta? Oggi siamo pronti a sfoderare accendini di ogni sorta, ma un tempo era il cerino a farla da padrone in fatto di fuoco!
    Cerini, prosperi, fiammiferi, minerva... quanti sigari, pipe e sigarette hanno acceso... mi torna in mente un episodio accaduto quando mio figlio era ancora un bambino. Scherzando, alludemmo ad accendere un qualcosa prendendo un cerino... mi guardò per un attimo e mi chiese: "mamma, cos'è il cerino?" Lì per lì, passai sopra a quella innocente domanda... poi mi fermai un attimo a riflettere... "ha ragione, lui non sa cos'è un cerino, ha visto solo e sempre l'accendino...".
    Siamo talmente abituati ormai all'uso quotidiano di alcuni oggetti che diamo per scontato che tutti sappiano cosa siano e come siano nati, anzi per molti oggetti appartenuti al passato, ci siamo dimenticati persino della loro esistenza. Queste pittoresche scatolette di cartone oggi sono diventate oggetto ricercatissimo per molti collezionisti, ma come nasce il cerino?
    Certo, se pensiamo che i nostri antenati dovevano faticare non poco per procurarsi del fuoco... Fino al XV secolo, per ottenere la fiamma si sfregava con forza sopra una pietra accanto alle foglie secche, un bastoncino di zolfo. Poi si adottò la pietra focaia per molto tempo e verso la fine del XVIII secolo si ebbero le prime applicazioni del fosforo mescolato con lo zolfo (miscela però che risultò spesso pericolosa a causa di scoppi improvvisi).
    Il primo tentativo di "fiammifero" comparve a Vienna nel 1812, ma questi bastoncini, dopo essere stati inzuppati in una pasta di zolfo e altre sostanze chimiche, dovevano passare in un bagno di acido solforico concentrato da portarsi dietro in una boccetta, con il rischio di provocare incendi non voluti.
    La necessità di sviluppare con maggior sicurezza un fiammifero a sfregamento fu motivo di ricerca e d'ingegno da parte di alcuni inventori.
    Nel 1835, uno studente universitario, l'ungherese Giovanni Irinyi, osservando la reazione dello zolfo con il perossido di piombo, sostituì il fosforo con lo zolfo e dopo svariati esperimenti, ottenne il risultato voluto. Ma Irinyi era arrivato secondo all'italiano Sansone Valobra, il quale, già dal 1828, lo aveva preceduto nella fabbricazione del fiammifero a sfregamento.
    Valobra, nativo di Fossano, era un fervente patriota e carbonaro che per sottrarsi alle persecuzioni politiche fu costretto a fuggire e a trasferirsi a Napoli. Era uno studioso di chimica che cercò di applicare la scienza all'industria e rivolgendo la sua attenzione al fosforo, dopo svariati tentativi, trovò un sistema pratico per l'accensione dei fiammiferi. Compose una miscela di fosforo, clorato e gomma che applicò all'estremità di piccoli bastoncini di legno. Il fiammifero era dunque nato e verso la fine del 1828 a Napoli esisteva già una fabbrica.
    I primi rudimentali fiammiferi furono ben presto perfezionati e ancor più rapida fu la diffusione di questa nuova invenzione. Alla Corte dei Borboni una scatola veniva venduta al prezzo di un ducato.
    Intanto, fuori dall'Italia, molti si arrogarono il merito di questa invenzione, come il tedesco Krammener, il farmacista inglese Walker, l'austriaco Romer e il polacco Schoevetter.
    La creazione del cerino fu attribuita a Merckel e Lavaresse, mentre anche questo merito fu dello stesso Valobra, il quale nel frattempo aveva perfezionato la sua industria e dopo pochi anni l'invenzione del fiammifero, mise in circolazione il fiammifero-cerino. Era il 1835 e Valobra esportava già all'estero il nuovo prodotto. L'inventore del fiammifero e del cerino morì ultra ottantenne nel 1883 e, anche se la sua invenzione non lo rese celebre, la sua scoperta ha invece contribuito al cammino della civiltà.
    (dal web)

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    Tanti anni fa lessi un'intervista a Gabriel Garcìa Màrquez in cui lui raccontava di sua nonna e del suo timore davanti a qualunque parente prendesse l'aereo.
    Ogni volta che questo accadeva, lei accendeva una candela, convinta che la fiamma sarebbe stata in grado di tenere l'aereo sospeso nel cielo.
    La trovo una storia bellissima.
    Una fiamma piccola, minuscola, all'interno di quattro pareti domestiche, veglia un aereo enorme in rotta verso qualche destinazione lontana.
    Non è tanto la fiamma della candela, a farlo.
    È la fiamma che brucia nell'amore di una vecchia signora sudamericana, in ansia per quell'aquila metallica che trasporta in alto i suoi cari.
    Mistero e meraviglia di quel realismo magico di cui è intessuta l'America Latina.
    Ecco così che una piccola candela sostiene da sola più di cento persone.
    Nelle brughiere dell'anima vivono gli spazi liberi in cui gli accadimenti si fanno magici.
    Garcìa Màrquez lo sa bene. Lo racconta nei suoi romanzi.
    Racconta di questo popolo che vive in una sorta di Terra di Mezzo, sospesa fra i mondi, in cui si annodano i fili invisibili che tessono le trame degli universi.
    In questi fili si interviene osando.
    Non si tratta di superstizione, come è facile credere.
    Bisogna invece andare più a fondo, scavare nelle terre dei miti e delle leggende ancestrali.
    Lì si conserva l'idea di un intervento sottile nel mondo. Intervento fatto di rito individuale, di preghiera ma soprattutto d'amore.
    Quello stesso amore che oggi noi, figli dell'individualismo dell'era moderna, a volte facciamo fatica a sostenere.
    Eppure non è difficile. Sostenerelo non è difficile.
    Basta la fiamma minuscola di una candela.
    (stylos, dal web)



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    CAREZZE DAL PASSATO ...

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    Pennello e rasoio da barba

    Seduto alle sue spalle assorto osservavo un rituale a me sconosciuto e incredibile. Acqua calda veniva fuori dal rubinetto e pian piano appannava il vetro di quel bagno. Il papà in canottiera, massaggiava il viso con l’acqua calda, poi da un cassetto tirava fuori degli strumenti... in una ciotolina con un grande pennello, agitava il contenuto fino a farlo divenire denso e solido come la panna...poi quello stesso pennello scorreva veloce sul viso spargendo quella crema bianca che formava in quel modo una maschera candida ... quando lo strato di crema era divenuto uniforme, allora ecco tirar fuori uno strumento nuovo, mai visto...una lama lunga ed affilata e un manico nero ... la mano decisa passava la lama sullo strato di crema e portava via con se quella candida coltre e con se anche la barba ... assistevo in religioso silenzio a quel rituale ...ogni volta che mio padre lo ripeteva...

    (La redazione)


    Ci si rade da sempre, fin dai tempi primitivi. Sembra infatti che già nella preistoria venissero per lo scopo utilizzati utensili di pietra o valve di conchiglia. Si deve però all’evoluta civiltà egizia la nascita del rasoio con l’impiego di rame e bronzo. Il reperto più antico, risalente al 3000 a.C. e conservato al Museo del Louvre di Parigi, è uno strumento a forma di coltellino con la punta un po’ ricurva. Successivamente sempre gli Egizi hanno creato un rasoio a forma lunata e un rasoio formato da due lame unite al centro da una piccola griglia. Famosi anche i rasoi ‘punici’ del VII-II sec. a.C. ritrovati nel Nord Africa, Spagna, Sardegna con impugnatura a collo di cigno. Alessandro Magno era un fanatico della perfetta rasatura per sé e per tutti i suoi soldati (che così ‘lisciati’ in viso si presentavano meno aggredibili dagli avversari). Proprio da questa esigenza nacque un più comodo rasoio che si ripiegava nel manico detto ‘culter tonsorium’. Nel 300 a.C. a Roma si data l’apertura della prima bottega di barbiere cui ne seguirono molte altre: vi è da dire, però, che i ‘tonsores’ estraevano anche denti e si improvvisavano chirurghi e medici e che fino all’inizio dell’800 in Italia le due categorie restarono unite. Il 1895 rappresenta una data storica nella storia della rasatura con la nascita del primo rasoio di sicurezza con lame monouso da parte dell’imprenditore americano King Camp Gillette perfezionata poi nel 1914 con l’acciaio inossidabile. Pensato per la depilazione delle gambe femminili nasce nel 1928 in America il primo rasoio elettrico, lo Schick, che verrà quasi subito adattato per la rasatura maschile.


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    "Perché per me l'unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano, come favolosi fuochi artificiali color giallo che esplodono come ragni attraverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno Oooohhh!" (Jack Kerouac)


    I FUOCHI d'ARTIFICIO

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    Fu un monaco cinese che nell'ottavo secolo inventò il primo miscuglio di polveri esplosive. La combustione di un miscuglio di sostanze insieme alla presenza di metalli permette di ottenere i fuochi colorati che comunemente vengono chiamati "fuochi artificiali".
    L'esistenza dei fuochi artificiali è indissolubilmente legata all'esistenza dei razzi e alla povere da sparo. L'uso della pirotecnica è presente il Cina già dal I secolo, mentre si hanno testimonianze dell'uso di razzi e di esplosivi già dal VI secolo.
    Razzi venivano usati contro i mongoli invasori nel 1279. La polvere da sparo nera era anche utilizzata come prodotto farmaceutico, che fu preparato da un monaco taoista nell'VIII secolo. Si pensa siano stati i mongoli a diffondere la polvere da sparo in Europa intorno al 1241.
    Ruggero Bacone, il filosofo vissuto dal 1214 al 1292, ci ha tramandato scritti con la formula della polvere da sparo, tuttora utilizzata , mentre fu probabilmente Berthold Schwarz, un monaco tedesco del XVI secolo che per primo la utilizzò per sparare un proiettile. Le prime fabbriche di pirotecnia sorsero in Germania (1340-1348) ad Augsburg, a Spandau, a Liegnits.
    L'arte del fuoco e' la piu' ammirata e la meno conosciuta. Tutte le arti si sono costruite delle teorie, delle regole e una storia. I fuochi d'artificio avanzano nel tempo in silenzio, senza storia, conosciuti solo da amatori e sparafuochi, la cui arte, segreti, teorie, regole e mestiere sono chiusi all'interno della fabbrica, inaccessibili, anche ai controlli di legge. Assenti la letteratura, l'informazione, la critica.
    In effetti, i fuochi non possono essere scritti ne descritti, soltanto visti, ascoltati ed ammirati. Solo poche opere furono scritte su di loro...tra le quali l'opera di Biringuccio, "De la pirotecnia", (1480-1539), contemporaneo di Leonardo da Vinci (1452-1519) e' un trattato di chimica tecnico-scientifica...e "Pirotecnia moderna" di Di Maio e' un vero e proprio manuale del pirotecnico.

    Scuole di fuochi d'artificio..Già dal diciassettesimo secolo si sono affermate due scuole in Europa, per la produzione di fuochi artificiali : una italiana, famosa per i fuochi più spettacolari, e una a Norimberga, famosa per la tecnica usata. Da allora ad oggi la tradizione si è conservata ed è in Italia, a Sanremo, che ogni estate si tiene il campionato dei fuochi d'artificio.
    Un tempo erano riservati alle feste dei nobili e alle celebrazioni militari, dall'ottocento in poi sono divenuti parte integrante delle feste popolari.
    Famose sono le grandi gare pirotecniche di Adelfia-Montrone (BA), il 10 novembre e di Mugnano (NA), il III martedi' di ottobre che contano presenze inimmaginabili, da 200.000 a 300.000 spettatori.



    Fiorisce il cielo di graffi dorati
    poi di gigantesche attinie rosse,
    di verdi scintillanti orifiamme,
    fontane gialle riversano acqua
    che evapora nel buio della sera.

    Quando lo spettacolo finisce,
    restano nuovi effetti speciali:
    bianche collane di astri nella notte.
    (DR, assolodipoesie)



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    Edited by gheagabry1 - 21/1/2023, 00:14
     
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