PIANTE AROMATICHE E SPEZIE

..nel nostro orto....

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  1. gheagabry
     
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    IL CARDAMOMO



    Il cardamomo è una spezia, "la regina delle spezie", in secondo luogo soltanto a pepe nero "il re delle spezie" e lo zafferano. È una delle spezie più stimate nel mondo e fra le più costose.

    Il nome indica propriamente la Elettaria, una specie di pianta tropicale della famiglia delle Zingiberaceae (la stessa famiglia dello Zenzero), ma spesso si indicano con lo stesso nome anche altre piante, tra cui la più simile al vero cardamomo è la Amoxmum. E' originario dell’India Meridionale ma si è diffuso in tutti i tropici ed è il frutto dell’omonima pianta. Il nome indiano è Elaichi di Chhoti.
    Il cardamomo cresce, allo stato selvatico, nelle foreste con clima caldo ed umido, ad altitudini comprese tra il livello del mare e i 1.500 metri, ma viene anche coltivato; è una pianta erbacea a rizoma perenne dal quale ogni anno spunta un ciuffo di fusti alti dai 3 ai 5 m, che hanno l’aspetto di una canna comune. L’infiorescenza è a forma di pannocchia formata da 5-6 petali. Il frutto è una capsula a 3 logge contenente numerosi semi prismatici. I gusci dei semi di cardamomo non maturano tutti allo stesso tempo e perciò la raccolta viene eseguita ogni poche settimane: essi hanno un colore verde chiaro o marrone, dopo essere stati seccati al sole o con il fuoco. I semi hanno un sapore caldo e speziato che ricorda quello del limone. Estratti dal baccello e masticati, rinfrescano l’alito e stimolano la digestione.
    Il Cardamomo verde ha un gusto intenso e fortemente aromatico, dal quale si differenzia il Cardamomo nero, che è più astringente, leggermente amaro e con un sentore di menta. Viene talvolta fumato e costituisce l’alimento principale delle larve della falena Endoclita hosei.



    Il frutto si presenta come una capsula contenente tanti piccoli semi di colore marrone-nero. I semi sono utilizzati come spezie, ma poiché perdono molto rapidamente il proprio aroma, comunemente viene conservata e commercializzata l'intera capsula, generalmente essiccata. Al momento dell'uso, la capsula viene rotta e i semi utilizzati sciolti o macinati.
    Il cardamomo si ricava da due generi della famiglia delle Zingiberaceae, entrambi hanno specie a diffusione locale:

    Elettaria - Elettaria cardamomum è distribuita fra l'Iran, l'India e la Malesia. Da essa si ricava il cardamomo verde o vero cardamomo. - Elettaria repens cresce nella zona dello Sri Lanka; è detta cardamomo di Ceylon.

    Amomum - Amomum subulatum conosciuto come cardamomo nero o anche come cardamomo nepalese. È il più comune perché è il più coltivato; il maggiore produttore mondiale di cardamomo nero è infatti il Nepal. La sua coltivazione è molto diffusa anche nel Sikkim.
    - Amomum costatum diffuso in Cina e Vietnam e particolarmente presente nella cucina.
    - Amomum compactum diffuso in Thailandia e Birmania. È noto come cardamomo del Siam.
    Altri tipi di "cardamomo" sono ottenuti da piante del Genere Amomum, come il cardamomo marrone, Kravan, cardamomo di Giava, cardamomo del Bengala, cardamomo bianco o il cardamomo rosso.



    Delle tre principali varietà che si utilizzano in cucina: la verde è sicuramente la più pregiata, per il suo aroma intenso e balsamico, a metà strada tra l’eucalipto e la canfora; quella bruno-marrone dai sentori di legno affumicato, e la bianca decisamente più tenue e delicata, sono molto meno apprezzate e adoperate dai cuochi.

    In cucina è molto utilizzato come aroma nella preparazione del caffè alla turca, del caffè arabo e del tè iraniano.
    Nella cucina mediorientale, cucina iraniana, turca e indiana è utilizzato per insaporire dolci e nelle miscele di spezie. Trova un suo utilizzo anche nella cucina dei paesi nordici.
    Il cardamomo verde ha un gusto intenso e fortemente aromatico dal quale si differenzia il cardamomo nero che è più astringente, leggermente amaro e con un sentore di menta. Basta un piccolo baccello per insaporire un piatto. In India, i semi neri del cardamomo sono spesso un componente importante del garam masala e per insaporire il riso oppure vengono mischiati a foglie di betel e frutti di areca per formare un bolo detto appunto betel che rinfresca l'alito e favorisce la digestione.
    In Cina sono utilizzati per aromatizzare piatti di carne arrostita e nel Vietnam sono usati come ingrediente nel brodo per la minestra di tagliatelle detta Phở.
    Nella cucina etiope ed eritrea sono utilizzati nella preparazione dell'Himbasha, un pane celebrativo.
    Alcuni usi si vedono in pasticceria nei dolci a base di cioccolato o caffè. Particolarmente adatto anche per decotti e infusi, dal caffè arabo al tè nero nei paesi del Corno d’Africa o tagliato al latte nella ricetta indiana del chai, ma anche nel glogg, il vino caldo speziato servito nei paesi nordici e nelle birre belghe trappiste.



    Nelle antiche medicine tradizionali arabe e indiane si consigliava di masticarne i semi per purificare l'alito, di utilizzarlo in cucina per facilitare la digestione dei cibi grassi e dei latticini, di farlo bollire nelle bevande calde durante la stagione invernale per curare le affezioni respiratorie. In Iran e India, il cardamomo verde è largamente utilizzato per la cura di infezioni ai denti e alle gengive, per prevenire e curare malattie della gola ed alitosi, congestioni dei polmoni e tubercolosi polmonare, infiammazioni delle palpebre, disordini digestivi e calcoli biliari. Anche il cardamomo nero viene utilizzato nella medicina tradizionale tibetana, medicina tradizionale indiana, medicina tradizionale cinese e inoltre in quella iraniana per curare mal di stomaco, stitichezza, dissenteria e altri disturbi digestivi.
    Sono gli arabi, però, i maggiori consumatori di cardamomo verde. Ritengono che il cardamomo "rinfreschi il sangue", un grosso beneficio in regioni dove la temperatura raggiunge spesso alti livelli. Sembra, inoltre, essere un antidoto contro il morso di serpenti e scorpioni.

    ...storia, miti e leggende...




    Narra la leggenda che crescesse nei giardini reali di Babilonia già 700 anni prima di Cristo, ma se ciò corrispondesse a verità, non si spiega come potesse trovarsi così lontano dal proprio clima abituale e dal suo habitat naturale.
    In Oriente il cardamomo è considerato una spezia afrodisiaca, tanto da essere citata nei racconti de “Le mille e una notte”. Soprannominata la “pianta delle vergini”, la leggenda del cardamomo è una delle più gentili quando si parla di spezie. Viene infatti considerata una spezia timida e delicata come una fanciulla, tanto preziosa da necessitare la cura delle sole donne per poter crescere e fruttificare. In India, sari colorati si confondono nei campi, mentre le mani caute di donne profumatissime raccolgono uno ad uno i baccelli di cardamomo.
    Nel Kashmir alcuni semi di cardamomo sono racchiusi in un gioiello che la sposa porta al polso il giorno delle nozze a simboleggiare il cibo ristoratore che la moglie darà al marito. Il primo documento in cui si faccia menzione di questa spezia è il famoso "papiro Ebers", scoperto in Egitto e risalente al 1550 a.C. nel quale si citano più di 80 diversi tipi di spezie. Il medico indiano Sasruta il Vecchio, vissuto nel sec. IV a.C., lo prescriveva contro l'obesità, le affezioni alle vie urinarie e l'itterizia.

    Utilizzato da sempre in India e in Pakistan come mezzo per comunicare con gli dèi. Gli Arabi offrivano il caffè con bacche di cardamomo in segno di ospitalità e rispetto per l’ospite, che apprezzava il gesto in quanto il cardamomo era la spezia più costosa dopo lo zafferano. La pianta fu citata per la prima volta nel V secolo, negli scritti di Alessandro di Tralles (525–605 d.C.). In Cina fu descritta per la prima volta intorno al 720 dopo Cristo come pianta officinale contro la
    nausea e il vomito. Già nel III millennio a.C. gli indiani usavano il cardamomo in cucina. I greci lo scoprirono solo nel IV sec. a.C. importandolo a caro prezzo dai paesi d'origine. Per tramite loro questa spezia arrivò a Roma, dove gli amanti della buona tavola e dei lauti banchetti la adottarono senza esitazione anche per le sue proprietà digestive.
    I Greci e dei Romani lo utilizzavano per produrre profumi.
    In Occidente le qualità afrodisiache del cardamomo vennero decantata nell’Ottocento, tanto che alla fine di quel secolo la spezia fu inclusa fra i migliori eccitanti sessuali, ottenendo così definitiva fama in tal senso. Secondo la tradizione popolare si credeva che i semi di cardamomo aiutassero a conquistare il cuore della persona desiderata se aggiunti in una pietanza o bevanda a lei destinata.


    Torta di riso ispirata alla Persia:
    con zafferano, acqua di rose e cardamomo




    Ingredienti

    200g di riso da risotti
    100g di zucchero di canna
    mezzo bicchiere di mandorle tritate grossolanamente
    mezzo bicchiere di acqua di rose ad uso alimentare
    I semi di tre capsule di cardamomo
    mezzo cucchiaino di zafferano
    1 litro di latte di soia
    cannella in polvere e pistacchi per decorare


    Lavare il riso e farlo cuocere nel latte di soia, prima a fuoco vivace, poi a fuoco lento una volta raggiunto il bollore, mescolando spesso per non farlo attaccare al fondo. Aggiungere subito nel latte freddo i semi di cardamomo, in modo che il calore ne estragga l'aroma, e le mandorle. Quando il composto inizia a bollire, aggiungere l'acqua di rose e lo zafferano sciolto in due dita di acqua calda. Accendete il forno e portatelo a 180°C.
    Continuate la cottura fino a quando tutto il latte sarà assorbito ed il composto avrà l'aspetto di un risotto cremoso. Spegnete il fornello e aggiungete lo zucchero di canna alla crema di riso mescolando bene. Quando il forno è caldo infornate per circa 45 minuti, o fino a quando il dolce è ben asciutto e dorato in superficie.

    Quando è freddo decorarlo con cannella, petali di rosa e pistacchi.


    (www.greenme.it/)

    Edited by gheagabry - 28/3/2018, 20:22
     
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    IL SOMMACCO o SUMAC



    Il sommacco è una spezia prodotta dai frutti di un arbusto della famiglia delle Anacardiaceae, il rhus coriara. Cresce in un clima caldo, nel Medio Oriente e nell'Italia del sud, in particolare in Sicilia. Poco utilizzato in Europa, il sommacco è una spezia simbolo della cucina del mondo mediorientale. Si presenta come un arbusto che può raggiungere i 3 metri di altezza, con foglie seghettate che prendono colore rosso in autunno, i suoi fiori sono bianchi e i suoi frutti sono rossi tendenti al marrone. Tra le moltissime le varietà, le due principali sono la Rhus coriaria e la Rhus aromatica. Alcune specie sono tossiche per l’uomo come ad esempio il sommacco ornamentale. Il sommacco viene tutt’ora coltivato in Sicilia ma, da anni, la sua coltivazione è in continua decrescita a causa dell’enorme svalutazione che la spezia ha subito nel tempo. La spezia ha raggiunto il massimo del suo prezzo negli anni ’20 ma da allora il suo valore sul mercato ha subito una decrescita inesorabile.



    Per la preparazione della spezia, i frutti del sommacco vengono raccolti tra luglio e settembre quando non sono ancora giunti a maturazione e vengono poi fatti essiccare. Ad essiccazione avvenuta vengono tritati.

    Il sommacco contiene acqua, proteine, fibre, carboidrati, ceneri, grassi ed olio. È una buona fonte di minerali come: fosforo, potassio, rame, ferro, zinco, magnesio, calcio, sodio. Il sommacco è uno degli alimenti con il più alto potere antiossidante al mondo. Per comprendere bene il valore si è soliti paragonare il potere antiossidante del sumac con quello della mela che è ritenuta un buon alimento con proprietà antiossidanti; il sommacco è ben 73 volte più potente della mela. Inoltre contiene acido malico, acido oleico, acido linoleico e acido stearico.

    Grazie alle sostanze contenute nelle foglie, nei frutti e nell’olio essenziale ha proprietà antibatteriche, antifungine, febbrifughe, diuretiche, ed antinfiammatorie. L’estratto delle foglie ha effetti benefici sul sistema cardiovascolare poiché contengono i gallotannini che hanno principalmente proprietà anti ischemiche. L’estratto di frutti ha proprietà ipoglicemizzanti. Le bacche hanno proprietà diuretiche, e sono utilizzati in disturbi intestinali e per ridurre la febbre. In Medio Oriente, una bevanda è usata per alleviare i disturbi di stomaco.

    Il sommacco contiene circa il 23 % di tannino che, insieme alle sostanze coloranti in esso contenute, viene principalmente utilizzato a livello industriale per la tintura dei tessuti in quanto a proprietà fissanti molto buone.



    ….in cucina…

    Il colore del sommacco è un intenso porpora e ha un gusto agro, simile a quello della buccia di limone grattugiata. E’ leggermente dolce di sapore e può essere assunto in acqua come un tè o abbinato agli alimenti. E’ molto presente nella cucina araba (il nome deriva dall’arabo summāq) e mediorientale, in particolare libanese e curda; in Turchia viene aggiunto all’hummus sia per arricchire l’aroma sia a mero scopo decorativo. Si aggiunge a piatti a base di pesce e carne, si mescola alle cipolle affettate e anche nella preparazione di qualche bibita. I frutti possono essere usati anche freschi: vengono spezzati e tenuti in ammollo in acqua per circa un quarto d’ora, quindi si estrae il succo che accompagnerà le verdure; in alternativa vengono cotti in acqua per creare una sorta di salsa molto densa che si usa sempre con le verdure, con le lenticchie e il pollo. Nella cucina libanese è’ usato al posto del limone, del tamarindo o dell’aceto. Viene strofinato sul kebab , sul pesce o sul pollo. Il succo estratto dal sommacco è usato nei condimenti per insalate e marinate e la forma in polvere è utilizzata in stufati e verdure e di pollo.

    In nord Africa, insieme al timo ed al sesamo, viene utilizzato per preparare una miscela di spezie chiamata zahtar.

    In 1597, il botanico inglese John Gerard scrisse: “Il seme di sommacco mangiato in salse con carne, si tura ogni sorta di flussi di pancia …” e infatti, sumac è ancora considerato un rimedio per mal di pancia e indigestione. Il sapore è astringente e aspro. La spezia viene usata molto nella salsa di yoghurt e insalate, perché aggiunge una freschezza che si abbina benissimo con carni grilliate e stufati pesanti.



    Nel libro di cucina Kitab al-Tabikh, scritto nel 1226 da Muhammad bin Hasan al-Baghdadi figura una zuppa al sommacco:

    “Taglia carne grassa in pezzi di media grandezza e mettili nel tegame aggiungendo un poco di sale aromatizzato. Fai bollire finché è quasi cotta rimuovendo bene la schiuma. Gettaci bietola tagliata della lunghezza di un dito e carote. Prendi cipolle e porri nabatei, pelali, lavali in sale e acqua e aggiungi sopra. Se è stagione di melanzane aggiungi anche queste, eliminando la pelle nera e sbollentando in un altro recipiente. Prendi il sommacco, mettilo in un altro tegame con poco sale e la mollica di una pagnotta, fai bollire bene e passa al setaccio. Se lo desideri pulisci e lava un pollo, taglialo in quarti e aggiungilo nel tegame. Trita finemente carne rossa con i condimenti e fanne polpettine di media grandezza e aggiungile al tegame insieme a un condimento di coriandolo secco, cumino, pepe, zenzero, cannella e resina di lentisco pestati finemente e poche foglie di menta fresca. Ora prendi il sommacco e mettilo nel tegame. Pesta le noci, ammollale in acqua e aggiungile. Sbriciola sopra il tegame poche foglie di menta secca e gettaci pochi pezzi di noci intere. Pesta un poco di aglio, bagna con un niente di brodo e aggiungilo. Alcuni guarniscono con uova all’occhio di bue. Lascia sul fuoco basso a riposare, poi togli.”

    Le foglie, ricche di tannino e trementina, venivano usate nella concia delle pelli, per la tintura delle stoffe di rosso, ma anche per un decotto fortemente astringente; il legno veniva usato per ottenere il giallo.
    Il legno di Sommaco (splendido, duro, compatto, con venature gialle e verdi) veniva usato nella tornitura, dagli ebanisti, dai liutai e per fare pipe.



    ..storia, miti e leggende…


    La tradizione iraniana vuole che ogni famiglia, in occasione del Now-Rouz, il nuovo anno iraniano, metta in tavola i sette elementi simbolici necessari per trascorrere un buon anno nuovo.

    Il sommacco, simbolo di buona vita, è uno di questi sette elementi.
La storia di questa spezia rimane ignota, ma sembra che sia stata scoperta dai romani e utilizzata durante il Medioevo. In ogni caso, non esistono fatti provati riguardanti l'utilizzo di questa spezia.
 




    Subito dopo il primo freddo d'autunno, per merito del Sommaco ampie zone del Carso si tingono di colori che variano dal giallo oro al rosso brillante al porpora, e che paiono talvolta vere e proprie fiammate nel paesaggio della landa carsica, che hanno nel tempo evocato tristi figure retoriche: "il Carso, che si tinge di rosso per il sangue dei soldati caduti"... si diceva, è del Sommaco o Sommacco, un caratteristico arbusto il cui nome scientifico è Cotinus coggygria Scop. o Rhus cotinus L., ma che è anche noto come Scotano o con il suggestivo nome di "albero di nebbia" (nome dovuto alle infruttescenze, vistosamente piumate, e che paiono quasi sbuffi di fumo).

    Pare che il nome di Rhus, e Rhous in greco, derivi dalla parola celtica rhud (rosso).

     
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  3. gheagabry
     
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    FAVE DI TONKA



    La Dipteryx odorata, talvolta chiamata anche Coumarona odorata, è una pianta arborea tropicale fruttifera., appartiene alla famiglia delle Fabaceae La Dipteryx odorata è nativa del Sud America, nella regione dell’Orinoco, cresce negli stati più umidi e boschivi del Brasile come Mato Grosso, Pará e Amazonas. Cresce anche sulla costa settentrionale del Sud America, come in Guyana, Guyana francese, Suriname, Venezuela, fino alla Colombia e al Perù. Viene coltivato anche a Trinidad e Tobago e in stati africani come Kenya e Nigeria. E’ anche detta Cumaru, Kumaru o Cumaruna in base al nome attribuito dai nativi sudamericani di etnia Guaraní. L'albero adulto raggiunge i 25-30 metri di altezza e il diametro del tronco supera il metro. La corteccia è liscia e grigia mentre il legno è marrone scuro con tinte che tendono al rossastro. Le foglie composte sono pennate alternate, costituite da 3 a 5 foglioline. I fiori sono bianchi o rosa e violetti. I frutti sono simili a quelli del mango e contengono un seme scuro simile a un dattero, comunemente detto fava di Tonka o fave tonca. I frutti cadono in terra a maturazione e vengono raccolti per essere essiccati almeno un anno. Poi si rompono e liberano i semi dall’interno (fave), quasi sempre 1 per frutto. I semi sono marrone chiaro appena raccolti, oblunghi, lunghi 3-4 cm e larghi 1 cm e contengono una mandorla bianca. Quando essiccano diventano quasi neri e rugosi. Hanno un aroma ricco, caldo, erbaceo (cumarina),vanigliato con un leggerissimo sentore di tabacco e di caramello. Il Sapore è molto simile a quello delle mandorle, rilascia delle note affumicate e speziate.



    I Semi essiccati neri e rugosi, talvolta sono lasciati a macerare nel rum per un giorno, e nuovamente essiccati per far affiorare una patina bianca dovuta alla cumarina.

    Per il sapore mandorlato-vanigliato si sposano bene con il cioccolato e sono perfette da utilizzare nelle creme al latte, budini, creme brulè e gelati. Si sposano molto bene con la zucca. Raramente usate in Sud america, dove sono trasformate in una pasta che è aggiunta al latte per ottenere una bevanda dolce. Le fave Tonka si utilizzano come la noce moscata, quindi grattugiate in piccole quantità: il basso “dosaggio” è dovuto non, come nel caso della noce, ad effetti “allucinogeni”, bensì all’elevato potere aromatico della sua polvere. Potete utilizzarle sia per aromatizzare biscotti, muffin e torte, ma anche per aromatizzare il latte od il tè. Inoltre si sposa bene anche con degli abbinamenti salati. Il profumo intenso delle fave essiccate le rende ottime per l'utilizzo in pasticceria. Vengono grattuggiate in piccole quantità per aromatizzare dolci, gelato o biscotti. L'olio di fava tonka, grazie all'alto contenuto di cumarina, ha un aroma dolce, di vaniglia ma più roco, più fumoso, di caramello con leggere sfumature speziate (cannella, chiodo di garofano) e di mandorla. Viene spesso utilizzato anche per "tagliare" l'olio essenziale di vaniglia, in quanto decisamente meno costoso.



    …storia, miti e leggende…


    La storia della cumarina e delle fave Tonka si intreccia con quella della chimica organica. Le pianta fu importata, dalla Guyana, in Francia nel 1793 e coltivata in serra. Nel 1820, Vogel isolò la cumarina proprio nelle fave Tonka dando alla molecola da lui scoperta il nome stesso della pianta (Coumarona odorata). La pianta e il suo seme restarono per lungo tempo l’unica fonte per ottenere farmaci anticoagulanti. Nel 1868, W. Perkin riuscì a sintetizzare la molecola dal catrame di carbone aprendo la via ai farmaci sintetici. Anche la profumeria si avvantaggiò della scoperta e grazie allo sviluppo della chimica organica furono isolate le molecole odorose costituenti il principio olfattivo di molte materie prime vegetali. Proprio dalla conoscenza della cumarina fu sviluppata una nuova famiglia di profumi (Fougere) che hanno avuto un grandissimo successo negli ultimi cinquanta anni.
    In passato le fave Tonka erano usate nel tabacco da pipa poiché ne addolcivano l’aroma. In profumeria è ampiamente utilizzata per la ricchezza e la varietà delle sue note. Quelle principali sono di vaniglia e mandorla, con sentori caramellati che ricordano il miele, e di altri frutti secchi, come pistacchio e nocciola. Più in profondità si riconosce gli aromi di tabacco, fieno, erba e spezie come cannella e chiodi di garofano. Alcuni tra i più noti profumi che contengono le fave tonka sono: Lolita Lempicka, Lola di Marc Jacobs, Shalimar di Guerlain e Eau de parfume di roberto Cavalli, da donna e Caleidoscopio di Karl Legerfield Zippo Original, Moschino Forever e Burberry Brit, da uomo.

    In Sud America, loro luogo d’origine, sono considerate un portafortuna. In Guyana, secondo un’antichissima usanza, per fare un voto occorre tenere in una mano una fava di Tonka e nell’altra un serpente morto. Perché il desiderio si realizzi occorre poi gettare il seme in un corso d’acqua e il serpente deve essere avvolto sul ramo più alto di un albero della spezia.



    Il legno dell'albero di Cumaru è utilizzato per l'edilizia e per la costruzione di mobili. Le Fave di Tonka venivano usate anche come adulterante della vaniglia.

    Hanno un alto contenuto di cumarina, (fino al 10%) una sostanza anticoagulante che è presente, in minor quantità, nell'asperula odorata e nell'avena odorata e, in misura minore, nella lavanda e nella corteccia della cassia, nella liquirizia, nella cannella e nelle fragole. A causa dell’alto contenuto di cumarine, gli effetti benefici sono molto controversi. Effetto sedativo, calmante della tosse. La cumarina è una tossina, in realtà, nociva se assunta ad alte dosi. L’FDA, l’ente americano che si occupa di salute, ha vietato negli USA l’utilizzo di fave Tonka per la presenza di cumarina. Anche in alcuni paesi europei sono vietate. La cumarina di sintesi , prodotta in laboratorio, fece la sua comparsa nella produzione industriale nel lontano 1876 da Haarmann & Reimer, mentre il suo primo utilizzo in un profumo fu nel 1882 ad opera del naso Paul Parquet (di Houbigant) nel mitico Fougère Royale.

     
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    Quante sono le spezie nel mondo?

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    Il primo problema riguarda che cosa si intende con la parola spezie. Secondo la Treccani: “Dal latino medievale species, sostanze aromatiche di origine vegetale (pepe, zenzero, chiodi di garofano, cannella, noce moscata ecc.) generalmente di provenienza orientale, usate per aromatizzare e insaporire cibi e bevande, nonché in medicina e in farmacia”. Esse sono ottenute dalle varie parti di una pianta per esempio il seme (cumino, nigella, sesamo), la radice (curcuma, galanga), la corteccia (cannella), il frutto (pepe,coriandolo), il fiore (chodi di garofano, zafferano). Utilizzate in piccole quantità, hanno la caratteristica di non fornire nutrienti energetici, come zuccheri e lipidi, o energetici come le proteine. Per questa ragione non sono spezie il cacao (semi della pianta Theobroma cacao) e nemmeno il caffè (semi delle piante del genere Coffea). Vengono erroneamente inserite nelle spezie anche aglio e cipolla: è sbagliato perchè non le usiamo in piccole quantità (max un cucchiaio).

    Non si definiscono spezie, ma erbe aromatiche tutte le sostanze che si ricavano dalle foglie e dai rami. Questo è il primo fattore discriminante nel considerare quante sono le “spezie”, molti infatti inseriscono nella categoria anche le erbe come il basilico, il timo, la salvia ecc., creando confusione sul numero totale.

    Vi sono casi particolari che non è facile definire. Secondo i puristi non sono una spezia i semi di sesamo i semi di sedano e di finocchio.

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    A confondere ulteriormente le acque o, in questo caso, il numero sono le diverse specie di una stessa pianta che spesso hanno caratteristiche diverse. Per esempio se ci riferiamo al peperoncino, che appartiene al genere Capsicum, ne esistono 31 specie delle quali ne vengono coltivate solo 5: Capsicum annuum, Capsicum Baccatum, Capsicum Chinense, Capsicum Frutescens, Capsicum pubescens. Ma all’interno di ogni specie ci sono le diverse varietà: si dice, ma nessuno lo può confermare con certezza, che ci siano 700 piante diverse di peperoncino con caratteristiche aromatiche e di piccantezza diverse!

    Allora per fare ordine possiamo limitarci a dire che le spezie utilizzate nelle diverse parti del mondo sono circa una cinquantina, alcune delle quali a noi quasi sconosciute e usate solo localmente. Come per esempio le seguenti:

    – i grani del paradiso, una delle pochissime spezie originarie dell’Africa, ha un aroma simile al cardamomo ma è piccantissima. Usata nella cucina e nella medicina africana

    – la radice della pianta Camaleonte, usata nel Manipur, una piccola zona dell’India Nord orientale

    – i semi dell’Agnus castus, oggi usati solo in Marocco

    – il Pepe australe o scorza d’inverno, nonostante il nome, non appartiene alla pianta del pepe, è tipico della Terra del fuoco, del Cile e del Brasile. Ha un aroma simile al chiodo di garofano e alla noce moscata, ma è piccante

    -Piccoledita, una spezia usata come medicamento in Cina e in cucina in Vietnam e in Indonesia

    -i noccioli del Mahaleb usato in Grecia nel pane pasquale e in Armenia per un pane simile

    -i semi essiccati di Melagrana selvatica, usati nel Nord dell’India, nel Punjab, per aromatizzare le verdure

    -il Cartamo, con i suoi fiori arancioni, usato per contraffare lo zafferano o in Azerbaijan in una zuppa di montone

    – il Voatsiperifery, un pepe selvaggio che si trova in Madagascar con un aroma fruttato e una piccantezza persistente, spesso confuso con il cubebe

    – la curcuma bianca (zeodary), che come la curcuma è una radice usata essiccata soprattutto in Indonesia e in India fresca in piatti di pesce.

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    E quante sono le erbe aromatiche

    Le erbe aromatiche sono circa una quarantina e alcune sono molto particolari come:

    – l’epazote, originario del Messico e lì ancora molto utilizzato con i fagioli, per la sua proprietà antiflatulenza
    – il pandanus le cui foglie sono usate soprattutto in Indonesia e Malesia per la particolarità di enfatizzare il sapore del riso

    – il paracress, il cui uso è circoscritto ad alcune regioni dell’Amazzonia, aggiunto nelle insalate, come fonte di vitamine

    – la perilla molto usata in Corea e in Vietnam per accompagnare le zuppe di noodles e gli involtini primavera, detta anche sesamo selvaggio anche se con questa pianta non ha niente a che vedere

    – il ngo gai, erba classica della Cambogia, del Laos e del Vietnam, ha un odore simile alle foglie del coriandolo (per questo la pianta si chiama Eryngium foetidum), ma un gusto più piccante.



    www.lespezie.net
     
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    “..nella tradizione greca e mediorientale esiste dalla notte dei tempi una resina fortemente profumata e ampiamente usata in cucina: è la mastica di Chios, leggendaria e fascinosa.”

    MASTICHA

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    La mastica (in greco: μαστίχα, o μαστίχη) è una resina vegetale ottenuta dal lentisco (Pistacia lentiscus L. Il lentisco, un piccolo arbusto sempreverde della famiglia delle Anacardiacee, è diffuso in tutto il Mediterraneo ma che solo a Chios, anzi, soltanto nel sud di Chios, produce la balsamica resina sotto forma di lacrime trasparenti. La spiegazione scientifica riconduce il fenomeno al particolare microclima del sud dell’ isola, alla caratteristica calcarea del suolo, ma soprattutto alla presenza di un vulcano sommerso nel tratto di mare antistante l’ isola.
    Chios è un’isola greca a forma di mezzaluna che si trova nell’Egeo Orientale, a poche miglia dalla costa turca. Poco nota al turismo di massa, scabra e rurale come ancora lo sono molte isole greche, ha una storia fitta di dominazioni e conquiste subite. La deve alla sua posizione e alla pregiata mastica. Il nome turco di questa 'isola (Sakız Adası) significa "isola di gomma".

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    La produzione avviene nel sud dell'isola, in 24 villaggi (detti 'mastichochoria', ovvero villaggi della masticha) derivante da circa due milioni di piante di Pistacia lentiscus var. Chia e la sua raccolta e lavorazione avvengono esclusivamente con metodi manuali in contesti familiari. Il tutto passa rigorosamente attraverso l'Associazione dei produttori (Emx), fondata nel 1939, che la vende, la pubblicizza, e la cui storia è raccontata dal 2016 nello splendido Museo della Masticha.
    Il lentisco comincia a produrre resina all’età di 5-6 anni, e solo intorno ai 15 raggiunge una produzione significativa, mediamente di 150-180 grammi di mastica all’anno.
 In estate, a luglio, inizia il processo di incisione della corteccia, detto kentos. Con un attrezzo chiamato kentitiri si praticano incisioni lunghe 10-15 cm, fino a 100 per pianta nell’arco di 6-8 settimane; da esse la resina gocciola cadendo sul terreno, e là viene lasciata seccare per 15-30 giorni per poi raccoglierla. La raccolta deve avvenire nelle prime ore del mattino, perché il caldo estivo nel corso della giornata ammorbidirebbe la mastica. Le gocce rapprese, sotto forma di grani, vengono conservate in luogo fresco e asciutto fino all’autunno, quando ha inizio la pulitura che può durare per tutto l’inverno. La mastica viene lavata e quindi i pezzi vengono raschiati e ripuliti uno per uno con coltellini appuntiti. La pulizia viene poi affidata in molti casi alle esperte mani di donne che vivono nei villaggi circostanti. Il mastice assume così il suo tipico aspetto niveo. Si conserva dopo essiccazione in contenitori di legno.

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    Una volta masticata, la resina si ammorbidisce e diventa una gomma bianca, brillante e opaca. Il sapore è amaro in un primo momento, ma durante la masticazione rilascia un sapore rinfrescante, come di pino o di cedro. La resina è anche e soprattutto un magnifico aromatizzante largamente usato per pani e dolci da forno, bevande, liquori, gelati. A Chios la si utilizza nell’Ipovrichion, un dessert composto da sciroppo di acqua e zucchero, albume montato, limone e mastica; entra nella ricetta del Kaimaki, una sorta di gelato a cui la mastica conferisce, oltre al tipico aroma, una consistenza vagamente gommosa, e in alcuni dolci pasquali greci. Ma anche in molti “dolci al cucchiaio”, quelle particolari conserve di frutta, intera o a pezzi, in uno sciroppo spesso, dolcissime e spesso servite con yogurt in tutta la Grecia, o in piatti salati come il Saliq arabo, a base di agnello e riso, tipico dei banchetti nuziali, e in alcuni formaggi prodotti in Libano e Siria. Talvolta ci si profuma l’ouzo e, nel Medio Oriente, il popolarissimo Arak, sorta di acquavite forte e aromatica. Si ricavano anche gomme da masticare, dentifrici e liquori, come l'acquavite Mastika. In Turchia viene utilizzata per il dondurma.


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    Ricerche e studi hanno assodato che, oltre ad essere ideale da masticare, come una gomma, perché profuma l’alito e riduce la placca anche del 41%, possiede effettivamente, come già sapevano gli antichi, la capacità di alleviare i disturbi dello stomaco, del fegato e dell’intestino; addirittura combatte l’Helicobacter pylori, il batterio responsabile dell’ulcera; inoltre è utile per abbassare il colesterolo e i trigliceridi, ha proprietà antibiotiche, antimicrobiche e antibatteriche, contiene sostanze cicatrizzanti e, secondo ricerche recenti, è fonte di alcol perillyl, un monoterpene che pare abbia azione antitumorale.

    ...Storia...

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    La più antica produzione risale a circa 3.000 anni fa. In Egitto intorno al 500 a.C.: benché là non contenesse il suo intenso olio essenziale, la resina era richiesta e venduta a caro prezzo. Gli abitanti di Chios decisero di trasferire alcune piante sulla loro isola, facendone la loro fortuna.
    Citata da Ippocrate, esaltata da Galeno e da Dioscoride, considerato l’iniziatore della farmacologia, alla mastica si attribuivano innumerevoli proprietà benefiche e terapeutiche. L’impiego più conosciuto ed apprezzato era quello di bruciarlo (analogamente all’incenso) per valersi delle proprietà balsamiche e sanificanti delle fumigazioni da esso svolte. L’isola di Chios, dove si narra sia nato Omero, fu contesa dall'inizio della Storia per queste sue 'gocce' miracolose e per la sua strategica posizione di avamposto, qui si sono avvicendati persiani, romani, bizantini, veneziani, genovesi ed ottomani, prima che si unisse allo stato greco nel 1912.
    Gli imperatori romani la usavano, mista a miele, pepe e uova, nella preparazione del Conditum paradoxum, un vino speziato che veniva servito, di solito, a fine pasto.
    Sia nell'Impero Bizantino, sia in quello ottomano, il commercio di mastica era monopolio delle rispettive corti reali. Gli astuti mercanti italiani ci misero lo zampino; più precisamente furono i Genovesi a puntare lo sguardo sull’isola, stabilendovi il proprio dominio dal 1346 al 1566, anno in cui furono messi alla porta dai Turchi; e in quei due secoli, anno più anno meno, la compagnia da loro fondata, la Maona di Scio, godette dei frutti del monopolio del commercio della mastica, sapientemente incrementato e diretto verso la Grecia, la Siria, Rodi, Cipro, Costantinopoli, Alessandria. Tale era l’importanza economica della resina che il furto ne veniva punito con misure severissime che andavano dalle amputazioni fino all’impiccagione.

    Durante il massacro di Chio del 1822 tutta la popolazione della regione del Mastichochoria, coltivatori di mastica, fu risparmiata dal sultano per garantire la produzione di questa resina.

    ...miti e leggende...

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    Il lentisco di Chios aveva il capriccio di comportarsi sull’isola come in nessun altro luogo al mondo. Per quanti tentativi siano stati fatti in altre terre, in nessuna si è riusciti ad ottenere dal lentisco la produzione della medesima mastica. Da qui le leggende sulle sue origini, tra le quali la più popolare vuole che Sant’Isidoro, martirizzato a Chios a causa della sua fede cristiana, sia stato trascinato prima della decapitazione attraverso un bosco di lentischi, e che gli arbusti abbiano cominciato a lacrimare resina per piangerne la triste sorte. Così è spiegano il perché lo stesso albero il lentisco, che esiste in molti altri luoghi del mediterraneo, produce mastice solo a Chios.
    “Era il 14 maggio dell’anno 249 dopo Cristo quando, sotto le persecuzioni cristiane dell’imperatore Decio, fu martirizzato SAN ISIDORO, un giovane soldato romano convertito al cristianesimo. Isidoro accettò il martirio pur di non abiurare la sua fede, fu legato per una mano e per un piede ad un cavallo e trascinato dalla Chora di Chios fino al luogo dell'esecuzione nel sud del paese, attraverso le foreste di lentisco. Il Santo, straziato dalla sofferenza, piangeva e le sue lacrime cadevano a terra cosicché gli alberi di lentisco, come per miracolo, piansero anche loro alla visione del suo martirio… e così li vediamo ancora noi, testimoni piangenti e silenziosi della sofferenza del giovane Isidoro. “


    CARTINA

     
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    La polvere filé


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    La polvere di filé, nota anche come gumbo filé, è una polvere vegetale ottenuta dalle foglie essiccate e macinate dell'albero sassofrasso (Sassafras albidum), originario dell'America settentrionale orientale. Le radici e la corteccia di questa stessa pianta erano la base originale per la birra alla radice. Era disapprovato per il consumo umano perché la pianta contiene un cancerogeno debole chiamato "safrolo". Ma è stato stabilito che, mentre le radici e la corteccia di sassofrasso contengono quantità significative di safrolo, le foglie non contengono abbastanza safrolo per essere rilevate dai test normali e la polvere di filé è stata dichiarata sicura per il consumo umano. Dopo che le foglie fresche vengono raccolte, vengono pulite e appeso ad asciugare. Non appena le foglie sono completamente asciutte, di solito sono schiacciati a mano e poi sotto forma di polvere, in un frullatore, mulino, o un mortaio e pestello. Le foglie fresche schiacciate, emettono un profumo di agrumi luce, e le foglie secche hanno un sapore salato terroso agli alimenti.

    Le foglie di sassafrasso in polvere sono state usate per la prima volta in cucina dagli indiani Choctaw degli Stati Uniti meridionali. Quando i cajun arrivarono nel sud della Louisiana, iniziarono ad usare la spezia come addensante e condimento nelle loro zuppe, stufati e gumbos. Non tutte le ricette gumbo richiedono la polvere di filé, ma un vero "filé gumbo" dovrebbe avere sia polvere di filé che gombo (la parola gumbo significa gombo).
    La parola filé deriva dal francese "filer", che significa "girare i fili". In effetti, la polvere di filé, se aggiunta allo spezzatino durante la cottura, diventa densa e fibrosa e potrebbe rovinare un delizioso gumbo. Dovrebbe essere aggiunto al gumbo dal fuoco appena prima di servire, o servirlo al tavolo perché gli ospiti possano cospargere il loro gumbo.

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    …storia..

    Si ritiene che gli indiani Choctaw della Louisiana siano stati i primi a utilizzare il sassafrasso, una sorta di alloro nativo del Nordamerica. Le tenere foglie del sassafrasso venivano fatte seccare e poi battute fino a formare una polvere sottile, che veniva usata sia per aromatizzare che come agente addensante. Quando ingerita, questa polvere fa traspirare il corpo, ed era quindi utilizzata anche come medicinale antipiretico. Originariamente, i Choctaw vendettero questa erba potente ai Creoli di New Orleans nei primissimi tempi del “mercato francese”. La polvere di Handmade Filé è estremamente rara e attualmente soltanto alcuni produttori seguono ancora l’antico metodo di raccogliere a mano e curare le foglie di sassafrasso prima di polverizzarle con un pestello in un tradizionale mortaio di legno di cipresso. Il Filé prodotto in questa maniera è più fresco, mantiene un colore verde più brillante e ha un sapore più acceso. Lionel Key, di Uncle Bill’s Spices, attualmente produce il Filé seguendo la stessa ricetta e utilizzando lo stesso pestello e lo stesso mortaio usati dallo zio cieco Uncle Bill nel 1904, quando cominciò a produrre questa polvere.

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    IL PANDANO


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    Il pandano è una pianta erbacea tropicale che viene usata tradizionalmente come erba aromatica nella cucina indonesiana, thailandese, vietnamita e malesiana.
    Cresce, nella fascia tropicale tra l'Asia, l'Africa e l'Oceania. Ha sapore dolce che viene paragonato alla mandorla e al gusto di vaniglia. Le foglie di "Pandanus amaryllifolius", si chiamano prevalentemente "pandano" o "vaniglia del sudest asiatico". Tuttavia, è conosciuto anche come "rampé" in India e nello Sri Lanka, come ingrediente dei curry, "pulao pata" in Bangladesh, "bai toey hom" in Tailandia, "dứa thơm/lá nếp" in Vietnam, "chan xiang lan" in mandarino, "takonoki" in Giappone. E ancora, "screwpine" negli Usa, "kathey" in lingua araba, "scrupalme" in Norvegia, "pandanuz" in Ungheria, "schraubenpalme" in Germania, "pandano" in Spagna e Italia.
    In India dal pandanus fascicularis viene estratto un olio essenziale chiamato kewra che è utilizzato in cucina. In Asia le foglie di pandano sono poi utilizzate per aromatizzare le bevande come quelle a base di latte di cocco oppure sono aggiunte al riso basmati e al the al gelsomino
    Le foglie di pandano sono usate per costruire contenitori aromatizzanti dove viene cotto il cibo solitamente a vapore e il padano in questo modo rilascia il suo delicato sapore alle pietanze. Dalle foglie è infatti possibile estrarre una pasta da utilizzare in dolci o gelati. Famosa è l’acqua di pandano: le foglie vengono bollite in acqua per alcuni minuti e poi filtrate. Lasciato raffreddare, il decotto di pandano è considerato un dissetante. Grazie all’aroma rilasciato le foglie sono spesso utilizzate come deodorante per ambienti



    Christopher Tan, il celebre food writer e docente di cucina, è l'autore di un affascinante elogio del pandano: in "Blades of Glory" pubblicato da Saveur, Tan svela segreti e ricette per cucinarlo.
    Le foglie sono eclettiche nell’ universo dei dessert come la mousse di latte di pecora con crema di pandan e riso soffiato caramellato di Graham Hornigold, o gli "involtini primavera" con cheesecake al pandan e cioccolato e salsa di tapioca di Tammy Alana,
    L'estratto è un eccezionale additivo naturale che tinge i cibi in cottura o in infusione di una delicata nuance verde pastello. ILKuih bingka ubi, nota anche come "kue bika ambon" ma anche "kuih bingka", è una pastosa, densa torta della tradizione dolciaria indonesiana, il cui impasto di tapioca, uova e latte di cocco è aromatizzato con foglie di pandano marinate dando un marcato gusto "nocciolato". Il Ayam masak merah, è il pollo in casseruola tipico della cucina malese che prevede foglie di pandano in aggiunta a peperoncini, coriandolo, citronella, anice stellato, zenzero, curcuma. Il Moode Tipico dell'Udupi nel Mangalore (Karnataka, nel sudovest dell'India), è un pane speciale a base di riso fermentato e pastella di lenticchie (nota come "idli") cotto al vapore in appositi stampi cilindrici rivestiti di foglie di pandano. Gli Ondeh-ondeh, sono dei tradizionali dolcetti malesi a base di riso intriso di estratto di pandano: se ne fanno delle polpettine farcite poi di "gula melaka" ( zucchero di palma altrimenti noto come "zucchero di Malacca") e impanate con cocco grattugiato. Il "Pandan Chiffon Cake, la classica, altissima e leggerissima torta lievitata statunitense, la cui ricetta è stata importata nel sudest asiatico intorno agli anni Cinquanta presumibilmente grazie all'allora packaging delle farine speciali per dolci, poi rivisitata in chiave esotica tingendosi di verde pastello. Popolarissima già a partire dagli anni Settanta, si è poi diffusa dall'Indonesia a Singapore, dove ancora oggi è la torta delle feste e delle ricorrenze. . Si chiamano "bánh kẹp lá dứa ", i waffles vietnamiti il cui impasto a base di farina bianca, di riso e di tapioca, zucchero e latte di cocco prevede l'aggiunta di estratto di pandano.

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    In molti ristoranti tailandesi è tradizione servire un "tè" freddo di foglie di pandano. Si prepara portando prima l'acqua a bollore e aggiungendovi poi una foglia di pandano per ogni litro d'acqua; mescolata di tanto in tanto, lasciata riposare quanto basta e infine filtrata, si serve ben fredda o ghiacciata. Il tè di pandan si serve anche caldo, dopo aver fatto bollire e lasciato in infusione le foglie con zenzero e cardamomo.
    Il pandano viene usato a livello sistemico per ridurre lo stress ma è anche un ottimo rimedio per intervenire in caso di problemi alla pelle come punture di insetto e bruciature anche solari.

     
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    AGASTACHE


    Agastache-Lamiacea

    L’Agastache è una pianta erbacea perenne, originaria dell'America del Nord, appartenente alla famiglia delle Lamiaceae. Forma un cespuglio molto vigoroso e forte, dalle foglie di color verde chiaro e dai fiori molto caratteristici a forma di cono allungato. Ha un bisogno medio di acqua e riesce a resitere facilmente alle escursioni termiche, infatti sopravvive tra i 10 gradi negativi e i 40 gradi, quindi per tutto l’anno nelle nostre normali condizioni climatiche. Ha spighe erette, terminali di fiori tubolari di viola, blu o bianco,

    Anche conosciuta come menta coreana o issopo coreano, l’Agastache nasce come pianta da bordura.Lo stelo ha un caratteristico profilo quadrato. In genere hanno portamento eretto e cespitoso. Le foglie sono lanceolate, dentate, lievemente tomentose, verde scuro o verde chiaro, perfino gialle, a seconda della varietà e hanno una delicata fragranza di liquirizia o bergamotto (nelle estati torride l'aroma è molto più intenso). Portano spighe di fiori piccoli, bilabiati, tubolari, disposti in verticilli, di colore blu, viola, rosso o arancio, con un forte profumo di anice, con note di liquirizia, a causa di estragolo, il composto aromatico che contiene. Inoltre, gli insetti impollinatori cortigiani e api donano al miele un piccolo sapore di anice. La fioritura è da Luglio a Settembre.

    Veniva usato dagli amerindi per le sue proprietà medicinali, specialmente per curare raffreddori e tosse, per ridurre la febbre e facilitare la digestione. Foglie rugose applicate a una puntura di insetto o scottature solari avranno un effetto calmante.

    Il nome della pianta deriva dalle parole greche agan (molto) e stachys (stelo di grano), in riferimento alle spighe fiorali.

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    La lippia citriodora, o aloysia citriodora, è una pianta aromatica arbustiva, originaria dell'America del sud, coltivata in Europa da vari secoli, per l'intenso profumo di limone e cedro emanato dalle sue foglie.

    Le piante di Lippia citriodora furono portate in Europa alcuni secoli fa; da allora sopravvivono senza problemi in molti giardini, dove sopportano il caldo estivo e il freddo invernale. In linea generale questa pianta può sopravvivere anche a temperature vicine agli 0°C, ma in caso di clima particolarmente rigido è consigliabile posizionarla in una zona riparata del giardino. Nel caso in cui sia coltivata in piena terra, se l'interno fosse particolarmente rigido, conviene coprirla con dell'agritessuto, per proteggerla dal freddo. Per avere un arbusto compatto e dall'aspetto gradevole è bene potarlo a fine inverno, in modo da accorciare i rami più lunghi e sgraziati e da stimolare la produzione di un ampio numero di foglioline profumate. Le foglie sono più aromatiche in piena estate, conviene quindi raccoglierle per l'utilizzo dopo la prima metà di giugno. L'aroma viene sprigionato anche dalle foglie secche, che si possono conservare a lungo in un recipiente ermetico.
     
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    "Si narra che, in mancanza di medicinali e di altri viveri, avesse ritrovato salute
    e vigore grazie a “certe erbette” raccolte attorno all’accampamento da Crociati Genovesi."


    IL PREBOGGION

    preboggion

    Il preboggion è un insieme di erbe spontanee la cui raccolta da sempre viene eseguita un po' in tutta la Liguria.

    Preboggion è un termine della lingua ligure non traducibile letteralmente in italiano: deriva probabilmente dal verbo preboggî (in ligure), (prebugî, IPA [prebu'ʤiː]) che significa "pre-bollire", in senso culinario, quindi una sorta di "scottato da bollitura". A Sori il termine "prebuggiun" invece significa "mescolanza" e si usa anche per indicare un insieme confuso di tante cose: pertanto esiste il termine di traduzione letterale italiana: "mescolanza". La parola in questione è tipica, grossomodo, della sola provincia genovese, in quanto, seppur oggi conosciuta anche nel Ponente e nello Spezzino, in quelle zone si usano altri termini per indicare il misto di erbe spontanee.

    Credenza popolare vuole che il nome prebuggiun derivi dal condottiero cristiano Goffredo di Buglione, ammalatosi durante l’assedio di Gerusalemme della Prima Crociata, sarebbe stato guarito dalle prodigiose capacità di una miscela bollita di erbe selvatiche che i genovesi, agli ordini di Guglielmo Embriaco, grazie alla loro conoscenza di un territorio altrettanto gramo quanto quello dell’arido deserto della Palestina, avrebbero saputo distinguere e preparare.
    Secondo l’aneddotica che circonda il Prebuggiun all’epoca della I crociata, il cuoco del conte Goffredo di Buglione cercava con difficoltà in quelle zone riarse, in gran parte desertiche e senza una tradizione culinaria conclamata verso le verdure, delle erbette fresche per il suo comandante. E a chi gli chiedeva cosa stesse facendo chino negli orti lui rispondeva con un’aria raccolta e consapevole, di chi stava compiendo un gesto fuori dell’usuale, quasi a propria discolpa, che stava raccogliendo dell’insalata per Buglione, in dialetto “pro-buggiun”

    “Che in Genova è antichissima usanza di cuocere nelle strade pubbliche e in la maggior parte della città preboglione, che sono erbe mescolate insieme con altro e si mangiano poi in compagnia parimenti nelle strade o vicinanze facendo festa pubblica, il giorno primo di agosto, e questo segue ogni anno pubblicamente”
    (Archivio di Stato di Genova, Rota Criminale, filza 15, anni 1628-1631, citato in P. Giacomone Piana,
    La festa pubblica del preboglione, «A COMPAGNA», agosto 2008).<i>


    Un'importante testimonianza proveniente dal capoluogo, anzi da quella «città nella città» costituita dalla delegazione di Sestri Ponente dove, almeno fino ai primi del Novecento secondo quanto racconta Giuseppe Marcenaro, si svolgeva all’inizio di agosto la festa del “prebuggion”. Una lunga tavola veniva imbandita in mezzo alla strada verso il tramonto nella sera d’estate per una «mangiata» in comune all’aria aperta, «un pranzo che era un gioco» che prevedeva un «meccanismo», o potremmo dire un rito, di preparazione e di allestimento, con tanto di formula da recitare, quel «Niente per o prebuggion?» con cui i bambini annunciavano la raccolta a cui tutti contribuivano quando, nei giorni che precedevano la festa, «con cestine, sporte e sacchetti andavano cantilenando di porta in porta e di negozio in negozio» per procacciare le materie prime, erbe, ortaggi, riso ma anche manciate di pasta di tutte le forme, che poi le donne avrebbero diviso e vagliato, per cuocerle il giorno della festa di «santo Zoeggio» (sant’Eusebio martire, antico vescovo di Vercelli).
    Pranzo a base anche di polpettone (anch’esso vegetale) e di fette di “patêca”, che anzi non poteva dirsi concluso, come ricorda G. Marcenaro (Le cronache di Sestri Ponente, Tolozzi, Genova, 1968), senza battaglia finale a colpi di scorze d’anguria (patêca, appunto). La leggenda di epoca moderna vuole che l’usanza della festa dovesse essere fatta risalire all’assedio di Genova da parte della seconda coalizione antinapoleonica quando, stretta tra le navi inglesi e le truppe austriache, nella primavera del 1800 la città restò per due mesi in balia della carenza di cibo e delle malattie (ibid.). In questa occasione, le “erbe” raccolte ai margini delle mura della città sarebbero divenute una risorsa preziosa (F. Bampi, L’assedio di Genova, Il Secolo XIX, 4 aprile 2000).

    tratto da www.doppiozero.com/erba-cultura-e-paesaggio-preboggion


    Nel Ponente si definiscono erbette, in altre regioni, soprattutto del centro Italia sono note con il nome di crescione. Le erbe che compongono questa miscellanea variano da valle a valle e in funzione della stagione. Benché il loro mercato sia locale, alcuni piatti che con queste si preparano sono noti a livello nazionale, primi fra tutti i pansoti.
    I luoghi adatti per raccogliere il preboggion sono i bordi dei terreni coltivati, i bordi delle strade, le aree private destinate al pascolo, i greti dei fiumi o dei rivi: si tratta di piante che amano il disordine e lo squilibrio naturale e in tale ottica amano la vicinanza dell'uomo e delle sue attività. Il luogo che in assoluto è idoneo alla crescita delle piante del preboggion è il terreno agricolo terrazzato, specialmente nelle sue parti ripide o riva, che in ligure, significa la scarpata erbosa tra un piano e l'altro.
    Questa miscellanea di erbe viene semplicemente bollita e condita con olio e limone per accompagnare deliziose focaccette a base di mais; oppure viene utilizzata per il ripieno dei più famosi pansòti.


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    Ogni zona della Liguria ha proprie erbe, che compongono il prebugiun:

    -Amarago, Urospermum dalechampii, grugno, lattugaccio di Daléchamps; chiamata bunommi o beliommi a Chiavari, bell'omu a Recco, belommu a Levanto, brichetti ad Albisola, grasciaporchi a Dolceacqua, cardelle a Camporosso, cardella o cardellirla a Bordighera. Si fa anche in insalata nella Valle Argentina e in Val Nervia. Sapore: molto amaro.

    -Bietola di prato, (lig. gè - Beta vulgaris);

    -Boccione maggiore (lig. Bell'ommo - Urospermum dalechampli),

    -Borragine, (lig. boraxe - Borago officinalis), sapore sapido-neutro;

    - Cicerbita (lig. scixèrbua - Sonchus oleraceus); chiamata scixerbôa a Genova e Recco, lacciussa e lacciussola in Valle Arroscia, acciussola a Porto Maurizio, scurzoere o quarlatti a Nava, strugion a Mortola, cardella o cardellina a Bordighera, laiciusso o sèrbixe a Diano, lacciansòn a Savona, laciansùn a San Bernardo, seserbde a Sarzana, laciusa a Chiavari, dèvure a Finalborgo, cardella dumestega a Dolceacqua, lacette a Bardineto, acciciora a Montalto, lattussa a Levanto e mascherpin a Ovada. Sapore: leggermente amaro, descritto come tipo nocciola.

    -Cicoria, (lig. radicion - Cichorium intybus), sapore amaro;

    -Dente di leone, Leontodon hispidus; chiamata tageinetti a Levanto. Si può anche fare in insalata. La radice tostata è un surrogato del caffè. Sapore: amaro.

    -Grattalingua, (lig. [rat]talêgua - Reichardia picroides); chiamata gattalevre, lattalepre a Savona, lattalaegua, gattalaegua, rattalaegua, attalaegua a Genova, grattalaegua in Val Polcevera, rattaleve a Voltri, laitilaegue, laegue a Chiavari, taleaegua a Recco, talaegue a Lavagna, lataléve a Stella, italiaòa a Cogorno, tadèlua a Noli, teracrèpoli a Santa Margherita, acciussola, Acciussora a Porto Maurizio, scapperoni, scapiroi, scapirui a Bordighera e in Val Nervia, screppue a Levanto, sapore saporito-dolce.

    -Ortica, (lig. ortiga - Urtica dioica);

    -Papavero, (lig. papavao - Papaver rhoeas); chiamato papavau a Genova e Recco, papavaru a Pigna, baxadonna a Ronco Scrivia, Savona e Porto Maurizio, rosanella a Bordighera, fantineti a Sanremo, rusuele a Levanto. Il papavero è usato anche come blando sedativo in infuso nelle Valle Argentina e Valle dell'Orba. Sapore: insipido o leggermente amaro.

    -Radicchio selvatico, (lig. denti de coniggio - Hyoseris radiata); chiamata garatun a Celle Ligure, tagiainettu a Genova, serretta a Voltri, taggianuìn a Lavagna, dente de can in Val Polcevera, denti de cuniggiu a Recco, spinassu sarvaegu a Cogorno, erba gaina a Porto Maurizio, peirin a Sanremo e Bordighera, sciappasassi a Sarzana. Si fa anche in insalata, come depurativo del sangue, in Valle Argentina. Sapore: lievemente amaro.

    -Raperonzolo, (lig. ranpunçu - Campanula rapunculus); chiamata rampunzi a Genova e a Recco, rampusci, rampunsci a Savona e Vado Ligure, ramponsu a Sella, rampunci a Bardineto, gramposci a Oneglia, Rramponseli a Sarzana, rampoixo a Porto Maurizio. Sapore: cruda è dolce, bollita è amara.

    -Sanguisorba, Sanguisorba minor; chiamata pampinella a Nava, pimpignèla a Pigna, erba noce a Bordighera, pimpinella a Recco, Val Nervia e Valle Argentina. La sanguisorba è molto usata anche in insalata nella Valle Argentina, a Genova e a Recco. La radice è usata per scottature ed ustioni. Sapore: amaro, descritto come vagamente di anguria.
    Silene, Silene vulgaris; chiamata erba s-cioppettina a Genova, sci-puelli a Recco, ciucchetti in Val Polcevera, grissari a Bordighera, grussari a Dolceacqua, frisceti a Sarzana, battilingua a Ceriana, grassuelli a Campegli. Sapore dolce e delicato.

    -Tarassaco, (lig. dente de can - Taraxacum officinale); chiamato piscialetto, insalata da porci, sciuscòn, testa da frate, lampionetti e radicion a Genova, piscianletto a Recco, barba du Signùu, ti-me-voe-ben, ti-me-voe-ma a Savona, dente de can a Mele, suscium, muccalume a Porto Maurizio, muso d'porch a Briga, lattusse a Levanto, rosorella da bosco, scaperui a Ventimiglia, capirui a Camporosso, capiran a Mentone. Sapore: amaro, descritto tipo radicchio.

    Dall'insieme di queste erbe nasce la miscellanea che nella zona dell'entroterra genovese viene denominato preboggiòn. L'erba maggiormente apprezzata è la talaegua: più è presente e meglio risulta il preboggiòn.


    La festa del Preboggion ricorre il 2 agosto, giorno di Sant’Eusebio, e ha alcuni capisaldi tipici come ad esempio Sestri Ponente. Qui il preboggion viene distribuito da tradizione nella centralissima Piazza Dei Micone in ricordo dell’assedio di Genova.


    preboggion-etimologia



    Ingredienti
    2 Kg di preboggion , tutte o almeno 5 di queste erbe selvatiche:
    Talaegua – Talegna - Grattalingua comune (Reichardia picroides),
    Scixerbua – Cicerbita (Sonchus oleraceus),
    Bell'ommo – Boccione maggiore (Urospermum dalechampli),
    Dente de càn - Tarassaco (Taraxacum officinalis),
    Borraxe - Borragine (Borrago officinalis),
    Ortiga – ortica (Dioica),
    Pimpinella (Sanguisorba minor),
    Denti de cuniggio – Radicchio selvatico (Hyoseris radiata),
    Papàvau - Papavero (Papaver roeas),
    Gê - Bietole di prato (Beta vulgaris).
    Raperonzolo (Campanula rapunculus)
    1/2 di patate,
    3 spicchi d'aglio,
    sale
    olio,
    grana.


    Istruzioni
    Lavare il preboggiòn ed eliminarne i gambi.
    Porre le patata a bollire, tagliate a pezzi e sbucciate; aggiungere poi le erbette.
    Dopo circa 10 minuti scolare, strizzare e passare il tutto in padella con l'olio, gli spicchi d'aglio, ed un pizzico di sale; volendo, aggiungere 2 filetti d'acciuga e una manciata di formaggio di grana. Servire insieme a formaggette o frittelle salate.
     
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