PIANTE AROMATICHE E SPEZIE

..nel nostro orto....

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  1. gheagabry
     
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    Come mai le spezie racchiudono in sè, così potente, il fascino e l’esotico mistero dei loro paesi d’origine? Come mai basta un pizzico di cannella, di noce moscata, di chiodi di garofano, di cumino, per evocare paesaggi di luoghi lontani, sapori, colori e odori al tempo stesso familiari ed arcani? Le spezie possiedono il magico potere di trasportarci lontano, di ricreare nel nostro immaginario atmosfere da “Mille e una notte” cariche di seduzione.
    Da sempre considerate un genere di lusso, utilizzate soprattutto in cucina e per le loro virtù medicinali, le spezie sono conosciute ed apprezzate sin dai tempi più remoti. Merce di scambio a volte più ricercata dell’oro, furono uno dei motivi che spinsero mercanti ed esploratori a ricercare nuove rotte commerciali intorno al mondo. Gli Egizi usavano erbe e spezie per l'imbalsamazione e per la cosmesi del corpo; i Fenici le rivendevano in tutto il Mediterraneo; per secoli gli Arabi furono gli intermediari privilegiati negli scambi con l'Oriente e l'Africa a sud del Sahara e mantennero segreta la provenienza delle spezie per assicurarsene l’esclusiva. Nel Rinascimento Venezia e Genova divennero i principali centri dove le spezie affluivano per poi raggiungere tutta l’Europa.


    Nel XV secolo i Portoghesi scoprirono nuove rotte verso Oriente e aprirono la rotta delle Spezie, la via marittima che dall'Europa portava all'India e oltre, fino alle Isole delle Spezie (Molucche). Sulla nuova via commerciale venivano importate soprattutto spezie come il pepe, i chiodi di garofano, la noce moscata e la cannella. La scoperta della rotta di circumnavigazione dell’Africa e la fondazione della Compagnia delle Indie Orientali tolsero definitivamente il monopolio del commercio delle spezie ai porti del bacino del Mediterraneo. Anche la scoperta del Nuovo Mondo aprì nuove frontiere: Cortes riportò dal Messico la vaniglia e il cioccolato e gli Spagnoli piantarono lo zenzero nelle loro nuove colonie. Attualmente l’India è ai vertici mondiali nell’esportazione di spezie (principalmente pepe, cardamomo, zenzero, cumino e curry) seguita dall'Indonesia (pepe, noce moscata, cardamomo), Brasile (pepe), Madagascar e Malaysia (pepe e zenzero).


    Ma le spezie non hanno accompagnato la storia dell’uomo solo da un punto di vista puramente culinario o medicinale: sono state utilizzate in cosmetici ed unguenti profumati sin dai tempi degli antichi Egizi.
    Alle composizioni profumate della profumeria moderna, le spezie conferiscono un carattere deciso, caldo e passionale a profumi maschili e femminili di grande forza. Mai troppo preponderante in un profumo, in abbinamento ad esempio con i fiori, la sfaccettatura speziata ne esalta il fascino e la carica di seduzione con calorosa esuberanza; sottolinea con brio il tocco etnico dei legni; evidenzia con intensità la ricchezza opulenta, misteriosa ed avvolgente delle note orientali. Vi sono spezie utilizzate più frequentemente nelle fragranze femminili, come cannella e bacche rosa ed altre considerate più “maschili” come il cardamomo, il pepe nero ed il coriandolo.


    dalweb
     
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  2. gheagabry
     
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    GRANI DEL PARADISO
    (Aframomum melegueta [Roskoe] K. Schum.)




    Sinonimi

    botanica Amomum melegueta, Amomum Grana Paradisi
    farmaceutica Grana Paradisi
    Arabo جوزة السودان , جوزة الشرق
    جوزة السودان , جوزة الشرق
    Jouz as-Sudan, Jouz ash-Sharq, Jouz al-Sudan , Gawz al-Sudan , Gawz al-squalo , come jawz-Sirk, Tin al-Fil
    Inglese grani di Guinea, pepe Melegueta, pepe Alligator
    Francese Graines de paradis, Malaguette, Poivre de Guinée, Maniguette
    Tedesco Paradieskörner, Guineapfeffer, Meleguetapfeffer, Malagettapfeffer
    Spagnolo Malagueta, Pimienta de Malagueta



    Nei libri di cucina del Camerun (Africa occidentale) e menzionato il atzoh, i cui semi possono essere utilizzati come spezia (Mbongo). Questa pianta è il citratum Aframomum , un parente stretto di grani del paradiso.
    I semi hanno circa le dimensioni e la forma di semi di cardamomo (3 mm), Ma sono bruno-rossastro a colori. Nella forma in polvere, diventano grigio chiaro.
    Grani del paradiso sono nativi costa dell'Africa occidentale, cioè i paesi Ghana, Liberia, Costa d'Avorio, Togo e Nigeria. La maggior parte delle importazioni provengono da Ghana. Nei paesi di origine, i semi sono utilizzati non solo per insaporire i cibi, ma sono anche masticati nelle giornate fredde per riscaldare il corpo.


    Nel Medioevo, la spezia è stato definita "Grana Paradisi" grani del paradiso a causa del suo alto valore. Questo nome rispecchia anche la concezione medievale di un paradiso terrestre pieno di profumo di spezie. Molti linguaggi contemporanei hanno preso in prestito quel nome, ad esempio, il tedesco Paradieskörner , ceco zrna Rajska e portoghese grãos-do-Paraíso , rumeno paradisului grăunţele e ungherese paradicsommag , tutti che significano i semi di paradiso o grani del paradiso (notare il plurale coinvolti) .

    Ebraico viene utilizzato il termine biblico Eden [ עֵדֶן ] nel formare il nome gargeri gan ha-Eden [ גרגרי גן העדן ] grani dal giardino dell'Eden . Il nome cinese Tian Guo-gu-li [ 天国谷粒 ] grani dal regno celeste coinvolge i religiosi termine cinese per il cielo , Tian-guo .

    La maggior parte delle lingue hanno nomi come pepe di Guinea riferendosi al gusto pungente e la regione d'origine in Africa occidentale. Esempi sono il francese Poivre de Guinée , portoghese Pimenta Guiné e tedesco Guineapfeffer ; simile è il ceco Guinejská zrna grani Guinea . In alcune lingue, il botanico l'epiteto non si applica al pepe, ma di spezie botanicamente correlate a grani del paradiso: Coreano kinia senggang [ 기니아 생강 ] zenzero di Guinea o slovacco kardamon Guinejský cardamomo di Guinea . Cf. anche lituano imbierpipiri pepe zenzero .

    L'elemento Malagueta compare in molti nomi di grani di paradiso, con notevoli variazioni ortografiche. La spezia viene comunemente chiamato pepe Malagueta

    Gli spagnoli e portoghesi fanno derivare la forma medievale malagueta , una teoria lo collega al malagua, un termine meno comune ora per medusa o medusa (letteralmente acqua cattiva , perché infestato da meduse). Il riferimento sarebbe, quindi pungente, il sapore pungente della spezia. Vedi pepe acqua per l'etimologia del portoghese Água acqua .

    Secondo un'altra teoria, la parola base è un affine iberica a Italiano meligo sorgo, miglio , anche se il diminutivo appare meno plausibile. In Brasile, che è stata una colonia portoghese, il nome melegueta fu trasferito in un locale di tipo selvaggio cile.


    L'albero dell'Amomum melegueta dell'Africa occidentale produce dei fiori a trombetta simili alle orchidee, di colore giallo o rosa, che producono frutti scarlatti e brillanti, da cui si ricavano i piccoli semi bruni detti appunto grani del paradiso, dall'insolita forma quasi piramidale. Sono conosciuti anche come pepe melegueta e grani della Guinea



    Silile al cardamomo, un tempo usata al posto del pepe.

    In Africa occidentale, i semi sono usati per curare innumerevoli disturbi...la radice dell'albero cotta viene usata per la sterilità. L'uso più conosciuto è come afrodisiaco.

    Per il loro sapore piccante ed aromatico i grani del paradiso possono essere usati per insaporire qualsiasi piatto. i grani si possono macinare per creare un condimento insolito.

    GRATIN DI GRUVIERA ALLE SPEZIE

    800 gr di carne
    una manciata di grani del paradiso
    500 gr di formaggio gruviera
    10 gr di senape francese
    1 cucchiaini di chiodi di garofano
    125 ml di panna densa

    Mettere la carne, a fettine sottili, in una teglia da forno e cospargetela con la polvere dei grani macinati. Mescolate il formaggio, la senape, i chiodi di garofano e la panna e spalmate l'impasto sulla carne. Infornate a 200° per 10 minuti, poi accendete il grill fino a far dorare. servite caldo



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  3. gheagabry
     
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    GALANGA



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    La Galanga minore (Alpinia officinarum) è una pianta appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae. È una pianta nativa della Cina, in particolare delle coste del sud-est (Isola di Hainan), cresce comunque bene anche in India e in tutto il Sud-Est asiatico. Numerose piante delle stessa famiglia vengono erroneamente chiamate galanga minore, ad esempio la Kaempferia galanga o la Boesenbergia pandurata, spesso gli stessi nomi comuni sono intercambiabili. Conosciuta in Europa sin dal medio evo, viene menzionata negli scritti degli arabi Avicenna e Rhazes e descritta per la prima volta da H. F. Hance su una rivista scientifica (Journal of the Linnéan Society, 1871). Il nome si pensa derivi dall’ arabo Khanlanjan, che di rimando sembra a sua volta essere la distorsione di una parola cinese che significa “zenzero dolce”.
    Pianta erbacea tropicale, molto più piccola della varietà maggiore può raggiungere raramente il metro d’altezza. Le foglie sono a forma di lancia, con venature parallele, lisce, lunghe e sottili, molto acuminate in cima. I fiori nascono da fitte spighe, formati da un calice superiore piccolo e tubulare, una corolla bianca trilobata, un largo labellum ovoidale segnato da bande rosse, un singolo stame con antera e un pistillo con ovario inferiore e uno stilo sottile. Nell’ insieme assomiglia vagamente agli iris. Rizoma dal colore arancio-marrone con un interno rosso-marrone, di consistenza fibrosa, più piccolo della varietà maggiore (2 cm.) ma sempre striati. Profuma di zenzero, di sapore pungente con note di pepe e zenzero.
    Viene usata per lo più per le sue proprietà terapeutiche anche se un tempo la si ritrovava nelle ricette di cucina associata con la noce moscata e l’ aglio. Possiede proprietà simili allo zenzero: stimolante, carminativo e stomachico. Viene usata contro la nausea, flatulenza, dispepsia, reumatismi, catarro e enteriti, in omeopatia e veterinaria anche per le sue azioni antibatteriche e toniche. In India è un tradizionale deodorante corporeo e rimedio contro l’alitosi. Usati in Europa e Asia per secoli come potenti afrodisiaci.
    Nomi comuni - Cinese: San bai - Italiano: Galanga minore - Francese: Galanga del la Chine, galanga vrai, petit galanga. - Inglese: Colic root, East India root, Galangal. Aromatic Ginger, China Root, Chinese Ginger, East Indian Catarrh Root, Gargaut, India Root, Siamese Ginger. - Malese: Kunchor, zedoary.

    SPINACI E GALANGA DI BAHJI


    800 gr di spinaci
    1 cipolla
    4 cucchini di burro
    4 peperoncini rossi secchi
    1 cuc.no di semi di cumino
    2 cuc.ni di polvere di galanga
    sale

    Soffriggere nel burro le cipolle tritate e aggiungerle agli spinaci con peperoncini, i semi di cumino e la polvere di galanga. Cuocere a fuoco lento per 10'. Aggiungere sale





    GALANGA DI JAVA



    Il galanga è originaria della Cina, dive è chiamata Liang-tiang. La varietà di Java, galanga maggiore (Alpinia galanga) è un po' diversa dalla galanga minore. E' una pianta, che cresce fino a 3 m di altezza con radici lunghe 1 m. E' coltivata in Indonesia e in Malesia (KHAA), dove è usata per insaporire sughi e piatti di carne.
    I rizomi vanno raccolti in autunno, lavati e seccati prima dell'uso. Nodosi ed in apparenza simili allo zenzero, hanno un gusto pungente il cui profumo ricorda le rose. La radice macinata è spesso miscelata con altre spezie in polvere.
    E' meno forte del galanga minore ed ha un gusto più delicato. L'essenza viene estratta per aromatizzare bevande, liquori ed amari.

    E' un digestivo che riscalda, utile come rimedio per la dissenteria, per disturbi gastrici. In Asia è usata nel trattamento di problemi respiratori e nelle congestioni. Nel sud est asiatico viene grattuggiata e mescolata al succo di lime per ottenere una bevanda tonica.
    La varietà inglese, Cyperus longus, secondo il fisico inglese Nicholas Culpeper (1616-1654), si usa per "espellere l'aria, rinforzare l'intestino, come aiuto nelle coliche, come diuretico"

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    TISANA DI GALANGA DI JAVA



    25 gr di radice in polvere
    500 ml di acqua bollente

    Per fare la tisana mettere la povere di radice in un recipiente ed aggiungervi l'acqua. Lasciate in infusione per mezz'ora, filtrate e lasciate raffreddare. Sorseggiate due cucchiai alla volta.






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    Edited by gheagabry - 16/1/2011, 15:39
     
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  4. gheagabry
     
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    SEMI DI SEDANO


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    Dal piccolo sedano selvatico che cresce negli estuari dei fiumi e nelle paludi saline di tutta Europa, deriva il sedano italiano coltivato, conosciuto fin dal XVII sec. Il sedano selvatico, usato un tempo in medicina, era un aromatizzatore abituale per i Romani. Sono i semi di quello selvatico che vengono usati come spezie. Stimolanti ed aromatici, ma piuttosto amari

    I semi di sedano selvatico sono stati trovati nella tomba di Tutankamen, e secondo Culpeper (scienziatoinglese del '600) i semi "aiutano l'idropisia e l'itterizia e rimuovono gli imbarazzi femminili", e le foglie della stessa natura, "mangiate in primavera addolciscono e purificano il sangue ed aiutano a curare lo scorbuto".

    I semi del sedano selvatico sono forti e amari, perciò vanno usati in piccolissime quantità. Possono essere usati interi, per insaporire zuppe e stufati, o macinati e mescolati al sale. Per fare una tisana stimolante e speziata, macinare 1 cucc.no di semi ed aggiungerli a 250 ml di acqua ancora calda


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  5. tappi
     
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    grazie Gabry
     
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  6. gheagabry
     
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    Armoracia rusticana
    Brassicaceae


    Descrizione: erbacea perenne, rizomatosa
    Altezza: 30-40 cm
    Portamento: eretto, cespitoso
    Fogliame: deciduo, foglie basali, oblunghe, di colore verde brillante
    Epoca di fioritura: estate
    Fiore: infiorescenze a racemo formate da piccoli fiori bianchi
    Esposizione: soleggiata o parzialmente ombreggiata
    Terreno: qualsiasi tipo di suolo
    Resistenza alla siccità: forte
    Resistenza al freddo: forte
    Avversità: attacchi di limacce e chiocciole
    Note: in cucina si usano i rizomi dall’aroma pungente di questa pianta, conosciuta con il nome di Rafano o di Cren; essa è originaria dell’Asia occidentale ma tutt’ora si trova naturalizzata in molte parti del mondo; probabilmente è coltivata da non più di 2000 anni; il nome latino Armoracia indicava il “cugino” Rafano selvatico; può anche essere chiamata Cochlearia armoracia

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  7. gheagabry
     
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    ELICRISO
    (Helichrysum italicum L.)



    L'elicriso, nome scientifico Helichrysum italicum L., appartiene alla famiglia delle Asteraceae (Compositae). E' una pianta arbustiva originaria dell'Europa meridionale tipica della macchia mediterranea alla quale conferisce il profumo caratteristico. E' molto utilizzata non solo in profumeria ma anche molto apprezzata per le tante proprietà terapeutiche.

    L'Elicriso è una pianta perenne che ha la particolarità di essere completamente ricoperta da una fitta peluria biancastra che emana un aroma caratteristico. I fusti sono alti fino a 30 cm, senza rami. Le foglie sono lineari-lanceolate. I fiori sono piccoli, raccolti in ombrella di colore giallo pallido e fiorisce per tutta l'estate.

    PROPRIETA'

    L'Elicriso contiene olio essenziale, tannino, acido caffeico.
    Le proprietà dell'elicriso sono: sedativo, bechico e stimolante della circolazione sanguigna.

    Dell'elicriso si utilizzano le sommità fiorite raccolte all'inizio della fioritura e lasciate essiccare in luoghi ventilati e bui.

    Conservano a lungo il colore e l'aroma anche dopo l'essicazione.

    COME SI UTILIZZA

    L'infuso o il decotto di elicriso sono ottimi nei casi di bronchite e tosse, per i dolori reumatici e le varici.

    Gli impacchi per le pelli irritate ed infiammate, i geloni, le emorroidi. Gli impacchi inoltre sono ottimi per riattivare la circolazione sanguigna quindi molto efficaci nel caso di mani e piedi freddi.

    L'olio essenziale di elicriso è molto apprezzato in profumeria, rinforza la pelle dagli agenti atmosferici, tonifica e decongestiona.




    Impacco di elicriso

    Ponete 15 g di elicriso a riposare in 1 litro d'acqua bollente per 10 minuti. Trascorso questo periodo filtrate. Applicate sulla parte sotto forma di impacco come cura contro emorroidi, dermatosi, piccole ferite, geloni e arti inferiori freddi a causa di cattiva circolazione sanguigna.

    Infuso di elicriso

    Ponete 1 cucchiaino di elicriso (sommità fiorite) a riposare per 10 minuti in 2,5 dlitro d'acqua bollente.
    Trascorso questo periodo filtrate.
    Bevetene 2 tazzine al giorno prima o dopo i pasti principali per curare le varici e la cattiva circolazione.
    Questo infuso è utile anche per combattere bronchiti, asma, gotta, tosse e forme reumatiche.

    Tisana di elicriso

    Essicate bene la piantina all'ombra e conservatela accuratamente in vasi ermetici.
    Preparate la tisana con la proporzione di un cucchiaino per ogni tazza d'acqua calda.
    Il gusto, molto accentuato, non è gradito da tutti.

    Tisana di elicriso e liquirizia:

    Ingredienti: elicriso fiori, 2 cucchiai; liquirizia radice, 2 cucchiaini.
    Preparazione: mettete i fiori e i pezzi di radice in 500 grammi d'acqua, fate bollire per 2 minuti, spegnete il fuoco e lasciate in infusione per 30 minuti.
    Filtrate e bevetene 3-4 tazze al giorno.
    Questa tisana è antiallergica, non presenta controindicazioni e può essere assunta per diverse settimane.

    In cucina

    Le foglie dell'elicriso forniscono un moderato aroma di curry e possono essere impiegate per insaporire risotti, minestre, carne di pollame e ripieni. E' possibile preparare una tisana con le foglie essicate di questa pianta, il gusto però, molto accentuato, non è gradito da tutti.
    Questa pianta era impiegata per bruciare le setole del maiale, con la credenza che l'aroma della pianta si sarebbe trasmesso al lardo.

    E' riportato in antiche scritture che i sacerdoti greci e romani usavano incoronare le statue degli Dei con i suoi fiori perchè "non si putrefanno mai". Per questa sua qualità di essiccare, mantenendo quasi inalterate forma e colore, viene anche detto Semprevivo Perpetuino.



    Riso al cocco, arachidi e elicriso


    Ingredienti
    Per due persone:
    200g riso
    100ml crema di cocco
    4 cucchiai di burro di arachidi
    1 cucchiaini di miele
    1 cucchiaio di foglie di elicriso

    Preparazione
    Cuocere normalmente il riso.
    Preparare una salsa con la crema di cocco, il burro di arachidi, il miele, e le foglie di elicriso tritate, ponrla sul fuoco a fiamma bassa per alcuni minuti.
    Condire il riso con la salsa di cocco e arachidi.



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  8. gheagabry
     
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    Il TARASSACO



    Il tarassaco è una pianta erbacea perenne diffusa un po' ovunque e cresce fino ai 1.800 metri di altezza; il suo nome scientifico è Taraxacum officinale
    L’uso terapeutico di questa pianta non era conosciuto nell’antichità e nessun testo, compresi gli Erbari illustrati, ne ha parlato prima del XV secolo. Nel 1546 il naturalista Bock attribuì al tarassaco un potere diuretico, mentre un farmacista tedesco del XVI secolo attribuì alla pianta virtù vulnerarie (vale a dire capaci di curare rapidamente le ferite). Più tardi, tra il sec. XVII e XVIII, ne parleranno ampiamente i medici umbri e l’abate Kneipp.Il tarassaco cresce prevalentemente nei prati e si riconosce facilmente dai suoi fiori giallo intenso che lasciano presto il posto a globi soffici e piumosi chiamati soffioni. Il periodo migliore per la raccolta del tarassaco è a febbraio, oppure a settembre, prima che la pianta fiorisca, nel pieno della sua tenerezza e delle sue proprietà salutari.
    Il tarassaco è ricco di inulina, contiene olio essenziale, tannino, flavonoidi, vitamina A e C, sali minerali, acido caffeico e cumarico, oltre a una mucillagine altamente idrofila.
    Il Tarassaco (Taraxacum officinale Weber), conosciuto anche con i nomi comuni di “Rejete”, “dente di leone”, “dente di cane”, “ingrassa porci”, “piascialetto”, “pisciacani”, “soffione cicoria selvaggia” e “cicoria burda”, è una delle erbe più note e diffuse della cultura popolare. Moderne ricerche hanno confermato le sue proprietà coleretiche (aumenta la secrezione della bile) e colagoghe (stimola la secrezione biliare), utili in caso di itterizia, calcoli biliari e in genere di insufficienza epatica.
    Il tarassaco presenta varie proprietà farmacologiche, grazie soprattutto alle sostanze amare che caratterizzano anche il suo gusto: tarassicina e inulina. Molto note le sue proprietà diuretiche tanto da essere chiamato con nome piscialetto nella tradizione contadina.
    Oltre alle sue proprietà diuretiche il tarassaco è in grado di favorire l'aumento di bile e il suo passaggio dal fegato all'intestino, ma non solo, ha anche proprietà antinfiammatorie, purificanti, e disintossicanti nei confronti del fegato. Gli effetti diuretici e l'abbondanza di potassio possono contribuire a regolare la pressione arteriosa e la quantità di fluidi corporei.
    Recente è la scoperta riguardante i calcoli biliari; il tarassaco è in grado di influire, non sul calcolo già esistente, ma bensì sulla predisposizione che l'organismo ha alla formazione di calcoli.
    Ha proprietà amaro-toniche e digestive utili per l’inappetenza e le dispepsie (disturbi della digestione). Il tarassaco è ritenuto infine blando lassativo e un lenitivo delle infiammazioni emorroidali. La sua funzione disintossicante si riflette sulle pelli impure e malsane rendendole fresche e luminose.



    Alcuni studiosi fanno risalire l'origine della parola tarassaco a due termini greci: taraxis, che significa squilibrio e akas, che significa rimedio; già dal nome possiamo comprendere quali siano le proprietà fondamentali della pianta.
    Interessanti i vari nomi con cui il tarassaco è conosciuto: dente di cane, dente di leone, piscialetto, stella gialla, capo di frate, girasole dei prati, cicoria selvatica, soffione, cicoria burda, barba del Signore e radicchiella.
    Le proprietà e le virtù di questa formidabile pianta vengono scoperte solo nel XX secolo tanto che la terapia a base di tarassaco viene denominata "tarassacoterapia".

    :::::::::::::::::



    Il decotto di Tarassaco

    Il decotto viene consigliato per dare maggiore incisività agli effetti diuretici del tarassaco.

    Metodo di preparazione: Prendere 15 grammi di radici essiccate e farle bollire per circa cinque minuti in 200 ml. di acqua, lasciare riposare il tutto per altri cinque minuti, filtrare e bere.



    :::::::::::::



    Insalata di tarassaco, valeriana e uova di quaglia



    DOSI PER DUE PERSONE
    Girasoli (tarassaco) grammi 100
    Valeriana grammi 50
    Uova di quaglia sode 4
    Gherigli di noci 6
    Sale
    Olio extravergine di oliva ligure 2 cucchiai
    Aceto di mele qualche goccia

    Lavate molto bene i girasoli e la valeriana in acqua corrente.. nel frattempo fate cuocere le uova, e una volta sgusciate tagliatele a spicchi..
    Mettete l’insalata in un ciotola capiente, aggiungete le uova, le noci, un pizzico di sale , l’olio e qualche goccia di aceto di mele.






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  9. gheagabry
     
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    LA NIGELLA SATIVA, o GRANO NERO



    Il Profeta dell'Islam, su di lui la pace, ci ha tramandato, nei suoi detti, che "esiste al mondo un rimedio per ciascuna malattia" e che "il grano nero cura tutte le malattie, eccetto la morte". Molto conosciuta ed apprezzata per le sue virtu' in Medio Oriente ed India, la Nigella sativa, non ha avuto in Occidente la stessa sorte ed e' stata trascurata sino ad alcuni anni fa, quando l'interesse per la medicina naturale ha sollecitato studi e ricerche sulle cosiddette "piante ed erbe terapeutiche".
    La Nigella sativa, o grano nero (habbe sauda, come viene chiamata nei paesi arabi) era conosciuta ed apprezzata gia' dagli antichi egizi: il fatto di aver ritrovato nella tomba del faraone Tutankhamon delle anfore colme di olio di grano nero e' illuminante sul valore che tale olio rivestiva presso gli egizi. Sappiamo per certo che esso era usato come medicamento nell'antica Grecia, per la cura di disturbi intestinali e dell'apparato genitale.

    La nigella era conosciuta ed apprezzata già dagli antichi egizi: sono stati ritrovati i suoi semi in diversi siti archeologici dell'Egitto (nella tomba del faraone Tutankhamon, per esempio, erano presenti delle anfore colme di olio di nigella). Sebbene il suo esatto ruolo nella cultura egiziana sia a noi sconosciuto, questi ritrovamenti ci dicono che i semi e l'olio della pianta sono stati attentamente selezionati per accompagnare il faraone dopo la vita e, quindi, dovevano avere un ruolo rilevante nella società.
    La prima scritta riferimento alla N. SATIVA si trova nel libro di Isaia nel Vecchio Testamento. Isaia contrasta la coltivazione di Nigella e Cumino (tipiche coltivazioni egiziane), esaltando al suo posto la coltivazione del grano. (Isaia 28: 25, 27).
    In epoca medievale, le proprietà della nigella furono studiate da ricercatori arabo-islamici, particolarmente dallo scienziato al-Biruni e dal filosofo e fisiologo Avicenna (Ibn Sina); il quale, nel suo "Canone della Medicina", sostiene che i semi del grano nero abbiano la proprietà di stimolare l'energia corporea e che siano ricostituenti naturali.





    In epoca medievale, le proprieta' del grano nero e dell'olio da esso prodotto, furono studiate e catalogate dai famosi ricercatori arabo-islamici, particolarmente dal grande scienziato al-Biruni e dal famoso fisiologo Avicenna (Ibn Sina) che, nel suo "Canone della Medicina", sostiene che I semi del grano nero hanno la proprieta' di stimolare l'energia corporea ed hanno la funzione di ricostituente naturale. Fedeli al detto del Profeta che consigliava di "usare sempre I semi del grano nero poiche' essi curano tutte le malattie, tranne la morte", essi sono stati usati per secoli, e con successo, dalla medicina naturale tradizionale per curare disturbi e malattie vere e proprie, quali l'asma, le bronchiti, I reumatismi, I processi infiammatori e per stimolare il sistema immunitario. Il suo olio e' sempre stato usato per trattare, con successo, dermatiti, scottature ed eczemi. La grande versatilita' della pianta nel trattamento di tante e diverse sintomatologie gli ha procurato, presso I popoli arabi, l'appellativo di "habbatul barakah", e cioe' "semi benedetti".

    Ma cosa pensa la moderna ricerca scientifica dei semi del grano nero? Gli studi fatti dai ricercatori americani confermano il valore della pianta, attribuendo ad essa il potere di "regolatore del sistema immunitario": poiche' noi tutti sappiamo che un buon sistema immunitario e' alla base della prevenzione della stragrande maggioranza delle malattie, ne consegue che I semi del grano nero sono utili per contrastare temibili malattie degenerative, quali il cancro. Ricerche condotte dal Cancer Immuno-Biology Laboratory della Carolina del Sud (USA), hanno evidenziato l'importante ruolo svolto dall'olio di grano nero nella produzione e nella stimolazione delle cellule immunitarie e nella generazione dell'interferone. Secondo l'immunologo tedesco Peter Schleicher, le virtu' dell'olio della Nigella sativa sono fornite dagli acidi grassi essenziali, come quello linoleico (stabilizzatore della membrana cellulare), gammalinolenico e prostaglandina, utili alla produzione di anticorpi per contrastare allergie e focolai infiammatori.



    La nota dottoressa televisiva Antje Kùhnemannn e' rimasta affascinata dalle informazioni sulla riscoperta di questo olio. Ha riferito che in Cina e in India l'olio di Nigella sativa viene usato come un “antibiotico naturale“ e che durante un congresso internazionale sul cancro a Nuova Delhi si è parlato dell'effetto anti tumorale di tale medicamento naturale.

    Indicazioni trad.: acne, allergia, angina, mancanza di appetito, asma, asma bronchiale, aumento dei globuli rossi, rinforza le autodifese, bronchite cronica, candida albicans, colesterolo (regolatore), colibacillosi, colica intestinale, infiammazione del colon, difficolta' di concentrazione, crampi intestinali, crosta lattea, debolezza immunitaria, svogliatezza, depressione (disturbi ormonali), dermatosi, dermatosi squamosa, diabete, diarrea (cronica), foruncoli, gastrite, infezioni, infiammazioni, influenza, disordine intestinale, indolenza intestinale, infiammazioni intestinali, spasmi intestinali, ulcere intestinali, infiammazione dei nodi linfatici, menopausa, crampi mestruali, nevralgie, disturbi ormonali, ossiuri, osteoporosi, orticaria, malattie della pelle, cicatrici, psoriasi, radicali liberi, raffreddore da fieno, iperacidità gastrica, ulcere gastriche, tosse, erpete ...

    Conosciuto come il "Seme Benedetto "da millenni è considerata una delle più preziose erbe fitoterapiche, riduce i rischi e contrasta le malattie esistenti; agisce come rinforzante del sistema immunitario.
    Maometto ha affermato " può guarire tutto tranne la morte " gli antichi romani la chiamavano Coriandolo Romano.
    Ricca di principi nutrizionali, contriene 8 dei nove aminoacidi essenziali e oltre un centinaio di componenti preziosi:arginino, acido ascorbico, acido glutammico,calcio, carboidrati,carotene, cisterna,ferro,lisina,magnesio,minerali,potassio,proteine,selenio, vitamina A-B1-B2-C, zinco oltre a preziosi grassi acidi insaturi lenitivi e protettivi.
    Contro: batteri, funghi, parassiti, vermi, infiammazioni, febbre, ossidazioni, ulcerazioni, forme tumorali. Pro: immunomodulante, ripristina i valori glicemici e della pressione.
    Oltre che nel settore cosmetico e alimentare viene usato come supplemento nella Medicina Nutrizionale per i suoi alti valori nutritivi.




    Data la sua grande diffusione è conosciuta con molti nomi:


    kalonji (hindi)
    ק צ ח (kezah )(ebraico)
    chernushka (russo)
    çörek otu (Turco)
    حبه البركة (habbatul barakah, letteralmente semi di benedizione) (arabo)
    سیاهدانه (siyah daneh )(persiano )
    grano nero (habbe sauda, come veniva chiamata nei paesi arabi in epoca medievale)
    cumino nero (così chiamata nella cucina bengalese, questo porta spesso a confonderla con il vero cumino nero, Bunium persicum)
    altri nomi con cui è conosciuta sono: seme nero, fiore di finocchio, fiore di noce moscata, coriandolo romano, seme nero di cipolla o sesamo nero; questi nomi spesso sono ingannevoli e portano a confondere la nigella con altre spezie. Il vecchio nome inglese usato per indicarla, Gith, è ora utilizzato per il gittaione (Agrostemma githago).



    USO GASTRONOMICO DEI SEMI DI GRANO NERO

    I piccoli semi neri della Nigella sativa, dal gusto leggermente amarognolo, sono da sempre usati, nella cucina mediorientale, come spezia: essi trovano posto nelle ricette di dolci tipici e di biscotti tradizionali, nella cui composizione non manca mai un pizzico dei preziosi semi. Spesso, essi vengono usati anche per insaporire e ricoprire particolari tipi di pane, o come decorazione nelle insalate. L'olio di grano nero, usato negli Stati Uniti come integratore dietetico, puo' essere tranquillamente consumato anche sul pane. L'olio ed I semi sono entrambi molto usati nella medicina erboristica, uniti con altri elementi, quali aceto di mele ed erbe medicinali, per contrastare malattie e disturbi, anche a livello dermatologico.
    (arabcomint.com)
    Il seme viene utilizzato come una spezia. Ha un sapore amaro e pungente con un debole odore di fragole. Viene utilizzato principalmente per la preparazione di liquori, caramelle e dolci in genere. Nella cucina mediorientale trova posto nelle ricette di dolci tipici e di biscotti tradizionali; spesso viene usato anche per insaporire e ricoprire particolari tipi di pane (la varietà di pane naan chiamato Peshawari naan), o come decorazione nelle insalate. L'olio di nigella è usato negli Stati Uniti come integratore dietetico e può essere tranquillamente consumato anche sul pane.
    È l'ingrediente principale di una bevanda al gusto di cola: Evoca Cola




    Pancakes di zucchina alla nigella



    Ingredienti
    125ml latte
    1 uovo
    50g fiocchi d'avena
    100g farina 00
    1 cucchiaino di lievito istantaneo
    2 piccole zucchine
    2 cucchiai parmigiano grattugiato
    robiola e nigella per servire

    Preparazione
    Sbattere l'uovo con il latte e i fiocchi d'avena. Fare riposare almeno cinque minuti.
    Aggiungere la farina, il lievito, le zucchine tritate finemente e il parmigiano e mescolare bene.
    Versare a cucchiaiate in una padella antiaderente calda, girare quando si staccano facilmente e cuocere dall'altro lato.
    Servire caldi o a temperatura ambiente con robiola e semi di nigella.








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    Edited by gheagabry - 9/8/2011, 18:42
     
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    SILFIO





    Il silfio (conosciuto anche come silphion o laser) è una pianta estinta appartenuta probabilmente al genere Ferula (famiglia Apiaceae o Ombrellifere). Cresceva in una ristretta zona costiera, di circa 200 per 60 km, in Cirenaica (attuale Libia). Considerato in genere come una specie estinta di "finocchio gigante" (qualcuno ritiene che in realtà appartenga alla specie non estinta Ferula tingitana), rappresentava un tempo la maggiore risorsa commerciale dell'antica città di Cirene per il suo utilizzo come spezia e medicinale. La pianta era così importante per l'economia cirenaica che divenne il simbolo della città ed era rappresentata in molte delle sue monete.
    Secondo la leggenda, la pianta era un dono del dio Apollo. Era ampiamente utilizzata dalla maggior parte delle antiche culture mediterranee; i Romani la consideravano "valere il suo peso in denarii."
    Il prodotto di valore era una resina (detta laser o laserpicium) ricavata dalla pianta. Veniva raccolta in maniera simile a Ferula assafoetida, una pianta con proprietà simili al silfio, tanto che i Romani, compreso il geografo Strabone, usavano la stessa parola per descrivere entrambe.



    In passato, in Africa, veniva coltivata una specie di finocchio selvatico, utilizzato per la contraccezione e il controllo delle nascite. Questa pianta era presente sulle antiche monete provenienti dalla Cirenaica. Essa era esclusiva della costa nordafricana ed era anche considerata uno dei rimedi medici più potenti, il suo nome era silfio.
    Il silfio possedeva un sapore eccezionale e, tra le sue qualità vi era quella che anticipava di duemila anni le moderne pillole anticoncezionali. Questa spezia, infatti, utilizzata anche come cibo, era consumata anche per i suoi effetti abortivi e antifecondativi, permettendo un certo controllo delle nascite.
    A Cirene la produzione era a livelli industriali, al punto che l'economia della zona era quasi esclusivamente basata sulla coltivazione ed esportazione di questa pianta. I commercianti romani ritenevano il silfio un dono di Apollo, che valeva tanto oro quanto pesava. Ne veniva anche estratta una resina gommosa chiamata Laserpicium, esportata in tutto l'impero. Tracce di silfio sono state ritrovate anche in India e in Cina, anche se, in questi paesi, esistevano specie simili.
    Il silfio apparteneva al genere delle Ferula, di cui ancor oggi esiste un rappresentante nella forma dell'Assafetida. Quest'ultima è una spezia molto utilizzata nella cucina asiatica e indiana come sostituto dell'aglio e della cipolla ma anche come pianta curativa di asma e bronchiti nonchè con proprietà digestive. Anche l'Assafetida ha leggere proprietà abortive e anticoncenzionali, che condivide con il finocchio e la carota. Queste peculiarità erano già conosciute nel Medioevo, al punto che, per un certo periodo, l'infuso di finocchio fu vietato alle donne pena l'accusa di stregoneria.
    Ma nessuna delle piante le cui proprietà anticoncezionali e abortive erano e sono note, aveva la potenza del Silfilo che, probabilmente, conteneva dei fitoestrogeni così potenti da provocare l'espulsione dell'embrione fecondato. Secondo Plinio il Vecchio il silfio poteva essere utilizzato per curare le calvizie, la tosse, la gola irritata, la febbre, l'indigestione, i dolori articolari e le verruche. Era, inoltre, un rimedio ecezionale per i veleni e conteneva gli effetti della lebbra.
    Anche gli Egizi conoscevano e utilizzavano il silfio per la cura della psoriasi e di altre gravi malattie della pelle. Plinio ritiene che il segreto di questa pianta era, però, quello di prevenire gravidanze indesiderate e proprio questo segreto ne decretò il successo nel mondo antico.
    A partire dal III secolo d.C. il silfio scomparve progressivamente, probabilmente a causa del predominio dell'Impero Romano sul mondo allora conosciuto e dal crescente potere della nascente chiesa cattolica. Naturalmente sono da considerare anche fattori ambientali, quali il progressivo inaridimento della Cirenaica e la costante espansione del Deserto del Sahara, che portò a cambiamenti climatici estremi che limitarono l'area coltivabile alle coste dell'Africa settentrionale fino alla scomparsa totale della pianta. Gli storici ritengono che la raccolta intensiva della pianta, che cresceva solamente allo stato selvatico, come ricorda Teofrasto, portò a una riduzione degli esemplari più giovani, che venivano raccolti prima della maturità. A livello politico, poi, pare esserci stata una precisa volontà di reprimere il commercio della spezia, dal momento che il clero di Alessandria impose sulla Cirenaica il controllo delle istituzioni religiose dalla fine del III secolo d.C.. Il cristianesimo copto prima e la successiva invasione islamica hanno fatto perdere le tracce di questa pianta, ora considerata estinta, ma forse sopravvissuta in rari esemplari in nicchie ecologiche dimenticate.



    dal web
     
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  11. gheagabry
     
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    IL RAFANO





    NOME SCIENTIFICO:
    Armoracia rusticana
    FAMIGLIA:
    Crocifere
    DESCRIZIONE:
    Questa è un'erba perenne, rigogliosa al punto da divenire facilmente infestante, le cui grandi foglie si innalzano fino a un metro d'altezza e formano in un paio d'anni un grosso cespuglio.
    RADICE:
    Questa è la parte più interessante della pianta e viene di norma raccolta, pur essendo il rafano una perenne, alla fine del primo anno di coltivazione; d'aspetto bianco giallastro, corpose, ma soprattutto allungate, le radici del rafano hanno sapore molto pungente, simile a quello della senape, e costituiscono un condimento molto sano.
    FOGLIE:
    Le grandi foglie allungate, di un bel verde brillante, in primavera, cioè quando sono tenere, sono ottime per insaporire le insalate.
    HABITAT:
    La terra d'origine di quest'erba aromatica pare sia la penisola balcanica.
    COLTIVAZIONE:
    La coltivazione è semplicissima in quanto il rafano si adatta a qualunque tipo di terreno, purché sia lavorato in profondità.
    ESPOSIZIONE:
    Il rafano predilige una posizione soleggiata.
    RIPRODUZIONE:
    Moltiplicare questa pianta non presenta difficoltà: è sufficiente sotterrare verticalmente, a circa cinque centimetri di profondità, una porzione di radice lunga una decina di centimetri. Questa operazione va eseguita in primavera o in autunno
    CRESCITA:
    Il rafano non si adatta alla coltivazione in vaso all'interno e desidera essere sfoltito quando si infittisce eccessivamente.
    RACCOLTA:
    Le radici vanno raccolte di preferenza in autunno e, poiché penetrano nel terreno anche per una trentina di centimetri, per estrarle è necessario scavare con una vanga.
    CONSERVAZIONE:
    Solitamente le radici, una volta ben pulite, vengono messe in aceto di vino bianco sia intere, che grattugiate o affettate, ma possono anche venir congelate, conservate nella sabbia in un locale non riscaldato, oppure essiccate.
    PROPRIETA':
    IN CUCINA:
    Il sapore piccante di questa radice è particolarmente apprezzato nell'Europa centro-settentrionale, ma merita di essere riscoperto ovunque per le sue ottime proprietà. Il rafano accompagna magistralmente i bolliti, ma si adatta a insaporire qualunque piatto, stimola la digestione ed esercita una funzione protettiva sull'intestino.
    BELLEZZA:
    Il succo della radice, mischiato con aceto di vino bianco, scolorisce le lentiggini.
    SALUTE:
    La radice appena raccolta contiene calcio, magnesio, sodio e vitamina C, inoltre possiede proprietà antibiotiche e depurative.
    CURIOSITA':
    I benefici del rafano non terminano qui: Le foglie tagliate finemente e mischiate al cibo dei cani hanno azione vermifuga e agiscono come ricostituente. Sempre le foglie, bollite, producono una tintura di color giallo intenso. Per gli appassionati di agricoltura: se i cespi di rafano vengono piantati accanto alle patate si otterranno tuberi più forti e resistenti, infine, con l'infuso di radici, diluito con tre parti d'acqua, andrebbero irrorati i meli allo scopo di tenere lontani, in modo naturale, i parassiti.





    Il rafano (Armoracia rusticana) appartiene alla famiglia delle Crocifere (cavolo, senape, rapa e ravanello), può raggiungere 1 metro di altezza e la sua radice spessa dà origine a delle foglie ondulate e dentellate.
    La radice del rafano, che è molto carnosa, può essere lunga fino a 50 cm e il suo diametro va dai 2 ai 7 cm, la buccia è brunastra, rugosa e pieghettata, la polpa molto soda, di colore bianco-crema.
    Il rafano contiene un olio, simile a quello della senape, che le conferisce il suo caratteristico sapore piccante e acre.

    Il rafano è originario dell’Europa Orientale, in Europa si consuma fin dall’Antichità, infatti, nell’Esodo dell’Antico Testamento viene menzionato tra le erbe amare della Pasqua Ebraica.
    Il rafano inizialmente era molto popolare in Europa Centrale ed in Germania, ma col passare del tempo arriva anche in Scandinavia e Inghilterra, mentre in Francia viene chiamato “senape dei Tedeschi”.

    Il rafano in età medioevale veniva usato solo per le sue proprietà curative, successivamente, dalla fine del XVI secolo, comincia a essere introdotto anche nella cucina.

    ■ Coltivazione, Varietà e Raccolta
    Il rafano viene coltivato nell’Europa Orientale, in Asia Minore ed anche in Italia.
    Il rafano per crescere necessita di terreni ombrosi e molto freschi, la sua raccolta avviene in autunno, dopo che le piante hanno compiuto almeno due anni.

    ■ Al momento dell'acquisto
    Il rafano va acquistato quando le radici si presentano ben sode, non devono presentare nessuana parte molle o con segni di muffa.

    ■ Conservazione
    Il rafano fresco lo potete conservare per qualche settimana nel cassetto delle verdure del frigorifero, va avvolto in un foglio di carta assorbente leggermente umido. Quando la radice comincia a diventare molle, o si formano parte molli, queste vanno eliminate con un coltellino ed il rafano consumato immediatamente.
    Il rafano lo potete anche congelare o gratuggiare, in commercio si trova anche la salsa di rafano che va conservata in frigorifero, tenete però presente che una volta aperta perde leggermente il sapore. E' possibile trovare anche il rafano sott’aceto che, una volta aperto, si conserva in frigorifero per circa 6 mesi.
    La polpa di rafano a contatto con l'aria diventa subito nera, per evitare questo inconveniente, prima di gratuggiarla, potete irrorarla con del succo di limone o aceto, mentre iper tagliarla ricordatevi di utilizzate coltelli di acciaio inossidabile.

    ■ Uso in cucina
    Il rafano viene consumato crudo, in genere si grattugia ma lo potete anche affettare o tagliare a julienne. Tritato si aggiunge alla salsa vinaigrette, alle minestre ed ai panini, mentre la salsa di rafano viene adoperata per accompagnare carne, pesci affumicati e frutti di mare.
    Il rafano può essere adoperato per accompagnare verdure quali patate, barbabietole, sedano e legumi in genere.
    Le foglie di rafano quando sono ancora molto tenere, quindi in primavera, possono essere unite alle insalate.

    Il rafano contiene Vitamina C, vitamina B1, aminoacidi, pectine, zuccheri ed acido ascorbico.
    Il rafano è controindicato per le persone che hanno problemi ai reni, acidità di stomaco, ulcera e non va assunto in gravidanza.

    ■ Curiosità
    Le foglie di rafano, tritate finemente e aggiunte nella ciotola del cibo del cane , hanno proprietà vermifughe e ricostituenti.

    La radice di rafano, ridotta in pappetta e unita a della grappa, è un ottimo aiuto contro strappi e dolori muscolari .
    (giallozafferano.it)




    .......la storia.......

    A tanto ammontava il valore dato al rafano dagli Dei. Questa è la leggenda, questo era il valore del rafano scritto dall’oracolo di Delfi ad Apollo. L’oracolo di Delfi, chiamato "ombelico del mondo" era il più importante oracolo dell’antica Grecia attribuito a Apollo, dio che si propone come il principale tramite tra l’onnisciente Zeus e gli uomini..


    Consigliato e usato come afrodisiaco, come trattamento per reumatismi, per il mal di schiena, come un accompagnamento per saporite pietanze. La storia di questa pianta è intricata e misteriosa, ma con una sola certezza, il rafano è stato premiato per le sue qualità medicinali e gastronomiche per secoli. Partito dal Mediterraneo si è subito diffuso in tutta Europa andando ad irrobustire le pietanze nordiche. Durante il Rinascimento, la diffusione del consumo di rafano dall’Europa centrale si estende verso il nord in Scandinavia e verso ovest in Inghilterra. E’ stato l’accompagnamento standard per le carni bovine e ostriche fra gli inglesi , con la radice pungente preparavano sciroppi che servivano nelle locande e nelle stazioni degli autobus per rilanciare i viaggiatori esausti. Ritorna al Sud diventando un emigrante all’incontrario, cosi mi piace definire questa radice portata, probabilmente, in Basilicata dai bonificatori veneti nei secoli scorsi. Ha contaminato una parte della cucina lucana rendendola ancora più piccante, quasi a sostituire il peperoncino estivo, pietanze robuste soprattutto d’ inverno. Carnevale o mese di febbraio non importa. L’unica cosa certa è che il sapore forte del rafano grattugiato permea di acre profumo le pietanze di molte tavole lucane. Sagre e polpette al rafano si susseguono, si moltiplicano, rivendicando paternità e originalità tipica dei campanili. La radice del rafano è usata esclusivamente cruda e si sente quell’odore pungente e piccante che porta in casa l’aria della terra fredda degli inverni lucani. Si grattugia al momento, sulla pasta, unendo il rafano alle uova per la preparazione delle frittate oppure mescolandolo al pane e patate per preparare ottime polpette. Se invece si desidera conservarlo nel lungo periodo e, quindi, da servire in occasioni particolari bisogna usare un metodo che una carissima signora mi ha raccontato durante un pranzo nel mio ristorante: dopo aver raccolto, spazzolato dalla terra e lavato si poggia la radice del rafano in un posto umido e caldo per una settimana quindi grattugiata, anticamente con la “ grattacaso” grattugia da formaggio, oggi lo si può fare anche con la grattugia elettrica ma perde molto del profumo inebriante e pungente che la radice possiede. Una volta grattugiata si versa in un contenitore ricoprendolo di ottimo aceto di vino, chiuso ermeticamente e posto in frigo per una quindicina di giorni. Dopo i quindici giorni si scola dall’aceto e si versa il composto in piccoli vasi ricoperti di olio extravergine d’oliva. Poi, la signora, faceva il sottovuoto a bagno maria così non serviva conservarlo in frigo. Cosi mentre noi definivamo il rafano “tartufo dei poveri”, tanto per cambiare, altri si ingegnavano a farlo diventare completamento di salse e condimenti. Un classico condimento a base di rafano è il Wasabi della cucina giapponese, spesso servito con il sushi o sashimi, di solito accompagnato con salsa di soia. Quante storie, quante tradizioni, a quanti popoli ci accomuna una semplice radice, il rafano!





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  12. gheagabry
     
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    La salsa di Cren è in realtà una ricetta presente da tempo nella tradizione culinaria di varie regioni italiane e rimane, per gli estimatori dei sapori forti e decisi, uno dei migliori accompagnamenti per bolliti e arrosti in genere. E’ preparata con diverse varianti a seconda delle regioni, ed è presente in particolar modo nella cucina Veneta, Piemontese, Trentina, Friulana e nell’Emilia Romagna. Conosciuta e utilizzata anche all’estero (Austria, Ungheria, ecc..), accompagna egregiamente il bollito, il roast-beaf, le carni alla griglia, il pesce e le uova. Nella tradizione gastronomica tedesca la salsa al rafano è servita con le salsicce e i bolliti e accompagna spesso i piatti a base di uova.

    L’aroma particolarmente acre della radice del cren, ricorda quello della senape; il cren o rafano o barbaforte, in genere si utilizza grattugiato e le sue foglie più tenere possono anche essere consumate mescolate ad insalate.
    Anticamente la radice del cren (già nota ai romani), veniva utilizzata fresca a scopo terapeutico per combattere i dolori reumatici e le contusioni.

    salsa-rafano




    Salsa al cren alla Piemontese

    Aceto 8 cucchiai
    Cren o rafano radice 250 g
    Olio 1 cucchiaio
    Pane mollica o pangrattato 100 g
    Zucchero 2 cucchiaini

    Lavate la radice di cren o rafano (deve essere molto fresca e tenera) sotto l'acqua corrente, asciugatela bene, quindi raschiatela con il coltello e grattugiatela finemente; mettetela poi in un recipiente e aggiungete 100 gr di pangrattato o mollica di pane, mezzo bicchiere di aceto bianco, un cucchiaio di olio, un cucchiaino di zucchero, un pizzico di sale fino e mescolate bene per amalgamare gli ingredienti: ed eccola pronta.
    Se desiderate conservare a lungo la salsa, anche per diverse settimane, dovrete riporla in frigorifero in un contenitore di vetro e ricoprire la sua superficie con un velo d'olio d'oliva. Tenete presente che più passerà il tempo e più il sapore caratteristico che la salsa possedeva appena preparata si attenuerà.


    Salsa al cren alla Trentina

    Aceto di vino bianco 1 cucchiaino
    Cren o rafano radice 100 g
    Pangrattato 1 cucchiaio
    Panna 4 cucchiai
    Uova 2 tuorli sodi
    Zucchero un pizzico

    Bollite in acqua due uova fino a farle diventare sode, poi scolatele e lasciatele raffreddare; quindi sbucciatele e schiacciate i tuorli con una forchetta.
    Lavate le radici di cren , raschiatele e poi grattugiatele finemente in un recipiente, dove aggiungerete il pangrattato, i tuorli d'uovo schiacciati, il sale, lo zucchero e l'aceto, e mescolerete fino ad amalgamare bene il tutto.
    A questo punto montate leggermente la panna ed incorporartela delicatamente e lentamente al composto fino a che otterrete una salsa densa
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  14. gheagabry
     
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    IL CAPPERO



    Il cappero è un piccolo arbusto tipico della flora mediterranea (famoso quello di Pantelleria), con getti annui, spesso molto lunghi, a portamento prostrato-ricadente; ha una parte basale legnosa costituita dal tronco, e le parti superiori costituite da rami di consistenza erbacea. Pianta originaria dell'Asia minore e della Grecia è molto diffusa negli ambienti mediterranei, dove cresce spontaneamente in terreni calcarei, scoscesi ed asciutti, producendo frutti raramente commestibili.

    Ha un altezza che varia dai 30 ai 50 cm ; le foglie sono di colore verde scuro, carnose e di forma ovale, con fiori molto appariscenti di colore bianco e rosa con delicati riflessi violacei.

    Della pianta si consumano i boccioli, detti capperi, e più raramente i frutti, conosciuti come cucunci. Il frutto è composto da una bacca che internamente ha molti semi neri. La raccolta dei boccioli si effettua tra la fine di maggio ed i primi di settembre, periodo in cui il cappero inizia la fioritura; i boccioli debbono essere raccolti il prima possibile, non appena germogliano: essi sono piccoli, duri e verdi, e hanno un sapore molto forte.
    I capperi si conservano sott'olio, sott'aceto o in salamoia e vengono usati come condimento piccante , come base per la salsa di cappero ed in altri mille modi nelle preparazioni di primi piatti, secondi, salse e condimenti.




    L'utilizzo dei capperi in cucina è piuttosto semplice: è sufficiente lavarli con acqua corrente e togliere il sale di conserva, oppure, se si desiderano un po' meno salati, basta lasciarli in una ciotola con acqua per circa un'ora. Per conservare i capperi, qualora siano stati acquistati in una confezione a sacchetto, basta travasarli con il sale di conserva in un barattolo di vetro e richiuderli con la capsula a vite, in modo che non perdano l'umidità, essiccandosi.
    Così conservati, i capperi possono durare anche degli anni mantenendo sempre le loro ottime caratteristiche organolettiche.

    Questa pianta cresce allo stato spontaneo ed ha la caratteristica di crescere sui vecchi muri o sulle rupi, nelle fessure delle rocce e nelle pietraie, soprattutto in pianura, nelle zone di mare, ma anche sui rilievi fino a circa 1000 metri di altitudine trovandola in qua e in là in tutta la Penisola e nelle isole. Il cappero è coltivato industrialmente nella Costa Azzurra, alle Bocche del Rodano ed altrove; la raccolta dei boccioli si effettua da giugno a settembre e da ogni cespuglio si ottengono da 500 a 3000 gr. di boccioli.

    Le foglie del cappero sono alterne e picciolate, a lamina subrotonda e a margine intero, glabre o finemente pelose, di consistenza carnosa.
    I fiori sono solitari, ascellari, lungamente peduncolati, vistosi. Calice e corolla sono tetrameri, composti rispettivamente da 4 sepali verdi e 4 petali bianchi. L'androceo è composto da numerosi stami rosso-violacei, provvisti di filamenti molto lunghi. L'ovario è supero, con stimma sessile.

    Il frutto è una capsula oblunga e verde, a forma di fuso, portata da un peduncolo di 2-3 cm, fusiforme e carnosa, con polpa di colore rosaceo. Contiene numerosi semi reniformi, neri o giallastri, di 1-2 mm di dimensioni. A maturità si apre con una fessura longitudinale. La corteccia del cappero contiene un principio amaro usato anticamente contro l'idropisia e la gotta; l'influsso alcolico di corteccia è un indicatore chimico colorandosi in rosso-vivo con gli acidi ed in verde con le sostanze alcaline. I semi hanno proprietà stimolanti e venivano usati dalla medicina popolare.



    I capperi migliori sono quelli conservati sotto sale marino grosso in quanto, questo metodo di conservazione, garantisce il mantenimento delle caratteristiche organolettiche senza ricorrere a pericolosi additivi che spesso vengono aggiunti ai prodotti conservati sott'aceto.

    In commercio esistono capperi di dimensioni diverse: quelli più piccoli vengono considerati più pregiati e si prestano ad essere consumati interi. I capperi più grandi sono invece più teneri e possono essere utilizzati tritati per ingolosire salse e ripieni.

    Particolarmente pregiato e conosciuto in tutto il mondo è il cappero di Pantelleria, prodotto nell'omonima isola situata tra Africa e Sicilia. Nel 1996 i capperi provenienti da Pantelleria hanno ottenuto la certificazione IGP (indicazione geografica protetta). La collocazione geografica ed il terreno di origine vulcanica conferiscono ai capperi di Pantelleria un aroma caratteristico che li distingue da quelli prodotti in altre zone del mondo.




    La raccolta dei boccioli si effettua tra la fine di maggio ed i primi di settembre, periodo in cui il cappero inizia la fioritura; i boccioli debbono essere raccolti il prima possibile, non appena germogliano: essi sono piccoli, duri e verdi, e hanno un sapore molto forte. In erboristeria viene utilizzata la scorza del cappero che contiene un glucoside amaro (capparirutina) con proprietà diuretiche ed antiartritiche.

    I capperi sono una discreta fonte di proteine, vitamina A, vitamina E, vitamina C, vitamina K, riboflavina, folati, niacina, calcio, manganese, ferro, magnesio e rame. L'unica avvertenza da farsi è per coloro che soffrono di ipertensione, a causa del loro elevatissimo contenuto in sale al quale si può porre rimedio sciacquando abbondantemente i capperi e riponendoli in un bagno d'acqua fredda per una decina di minuti; è inoltre consigliabile non aggiungere sale alle pietanze quando vengono arricchite con i capperi.






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  15. gheagabry
     
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    Si sa che gli arabi lo chiamavano “cabir”, i Greci “kàpparis”, i Romani “capparis” e che veniva raccolto già nel 5800 a.C. in Iraq. Nel tempo ne hanno parlato Aristotele, il più dotto dei filosofi greci, e Teofrasto, suo allievo prediletto e autore della “Storia delle Piante”. Prima di loro, fra il quinto e quarto secolo a.C., sempre in Grecia, Ippocrate, il principe dei medici dell’ antichità, si pronunciò sulle proprietà curative dei capperi. Prescritti contro le malattie del fegato e della milza, i capperi furono addirittura utilizzati come cosmetici per le proprie modelle dallo scultore ateniese Prassitele.
    La pianta del cappero ama il sole e l'ambiente caldo e asciutto. I suoi semi, trasportati dalle formiche, crescono nelle crepe dei vecchi muri e ci regalano i preziosi boccioli che diventano ingredienti chiave della cucina mediterranea.

    Da maggio a fine agosto ogni pianta viene visitata e spogliata dei boccioli una volta settimana e i futuri capperi vengono stesi a riposare per uno o due giorni in un luogo fresco e ombreggiato visto che alla luce sboccerebbero. Ideali per questo riposo sono le terrazze delle case eoliane, ventilate e coperte dalle canne. Il fiore lasciato sul ramo appassisce rapidamente e sviluppa una bacca di un paio di centimetri che assume la forma ed il colore di un piccolo cetriolo. Per i botanici è il frutto che contiene i semi della pianta, per gli eoliani è il “cucuncio”, creato dalla natura per la delizia del nostro palato. Appena colti, sia i capperi che i cucunci, sono amarissimi ma l’ umore sgradevole se ne va con la salatura, la cura, che inizia alternando in una tinozza uno strato di capperi ed uno di sale marino. Dopo due o tre mesi e ripetute salature sono pronti per il consumo e la conservazione.



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