GIARDINO FIORITO....

COSTRUIAMOLO INSIEME

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    non ho x niente il pollice verde..forse xche mi irrita quel colore...aaahhhhaaa
     
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  2. tomiva57
     
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    Akebia quinata
    Lardizabalaceae




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    Generalità: rampicante semisempreverde, originaria della Cina, del Giappone e della Korea. I fusti sottili, flessibili, di colore verde-marrone, hanno crescita rapida e vigorosa, e si possono far sviluppare su muri o graticci, oppure lasciare a terra, utilizzando la pianta come fitta tappezzante. Le foglie sono palmate, di colore verde scuro, opache e cerose, divise in cinque piccole foglie ovali, talvolta allungate; in genere le nuove foglie sono di colore rossastro. In primavera produce numerosi fiori di colore marrone-porpora, trilobati, delicatamente profumati, che spesso spuntano a mazzetti, restando nascosti tra le foglie. In estate ai fiori fanno seguito i frutti: piccoli baccelli tondeggianti, appiattiti, che contengono una polpa morbida, con innumerevoli piccoli semi. Questa tappezzante può divenire infestante se non viene potata costantemente.

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    Esposizione: porre in pieno sole; questa pianta sopporta senza problemi anche la mezzombra e si sviluppa anche in ombra completa, dove produce però pochi fiori. Le akebia non temono il freddo e possono sopportare anche inverni molto rigidi.

    Annaffiature: le piante giovani vanno annaffiate regolarmente, almeno per i primi due-tre mesi dopo la messa a dimora; in seguito si annaffia sporadicamente: questi rampicanti possono sopportare senza problemi brevi periodi di siccità. Per una fioritura più abbondante fornire del concime per piante da fiore, da febbraio ad aprile, mescolato all'acqua delle annaffiature, ogni 10-15 giorni.

    Terreno: porre a dimora in terreno ricco e profondo, molto ben drenato; volendo è possibile preparare un substrato ideale utilizzando due parti di terriccio bilanciato e una parte di sabbia di fiume lavata. Le akebia vengono spesso coltivate in contenitore, è bene ricordare in questo caso di utilizzare vasi molto capienti, per permettere alla pianta uno sviluppo radicale adeguato, è anche consigliabile cambiare la terra nel vaso ogni 2-3 anni.

    Moltiplicazione: avviene per seme, in primavera; in primavera inoltrata si possono prelevare talee semilegnose, che vanno fatte radicare in un miscuglio di torba e sabbia in parti uguali.

    Parassiti e malattie: in genere queste piante non vengono colpite da parassiti o da malattie.





    Ampelopsis
    Vitaceae



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    Generalità: famiglie composta da circa cinquanta arbusti decidui rampicanti originari dell'America settentrinale e dell'Asia. Ha grandi foglie tri-penta lobate, verde scuro, spesso con peluria bianca sulla apgina inferiore; gli steli sno legnosi e producono lunghi viticci con cui la pianta si sostiene a muretti o a graticci; in da metà primavera all'estate produce infiorescenze costituiùte da grappoli larghi di piccoli fiorellini color crema, seguiti da frutti tondeggianti di colore rosa-violetto, che maturano in autunno inoltrato, divenendo di colore blu scuro. A. brevipedunculata var. Elegans ha foglie variegate di bianco e di rosa. Volendo si può lasciare sviluppare la pianta come un cespuglio globoso, senza farla arrampicare su un supporto.


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    Esposizione: questa pianta rampicante ama le posizioni soleggiate, anche se si sviluppa senza problemi a mezz'ombra, producendo però pochi fiori e, conseguantemente, poche bacche. Non teme il freddo,ma le varietà variegate sono più delicate e vanno poste a dimora in posizioni riparate dai venti. Non presenta problemi di coltivazione neanche in estate, anzi un lungo periodo di caldo intenso aumenta la produzione di fruttti.

    Annaffiature: non necessita di grandi quantità d'acqua, solitamente sono sufficienti le acqua piovane. Nei periodi più caldi dell'anno è comunque bene fornire acqua almeno una volta alla settimana. Aggiungere del concime per piante verdi all'acqua delle annaffiature una volta al mese da marzo a ottobre; in autunno interrare del concime organico maturo ai piedi della pianta.

    Terreno: non ha particolari esigenze per quanto riguarda il terreno di coltivazione, si adatta senza problemi a quailsiasi substrato, anche a quelli sabbiosi o rocciosi.

    Moltiplicazione: in primavera si possono utilizzare i semi estratti dai frutti dell'anno precedente, che si possono seminare in semenzaio a partire da metà febraio, opppure direttamente a dimora in aprile. In primavera si possono praticare anche talee, utilizzando delle porzioni di ramo non acora completamente lignificato.

    Parassiti e malattie: fare attenzione agli afidi, che rovinano i boccioli e i germogli. Questa vite viene attaccata anche dalla peronospora e dall'oidio.




    Berberidopsis corallina
    Flacourtiaceae



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    Generalità: arbusto rampicante sempreverde originario del Cile; in condizioni ottimali può raggiungere i 5-6 metri d' altezza. I fusti sono sottili e flessibili, di colore verde scuro, molto ramificati; portano ampie foglie scure, lucide, tondeggianti, con il margine dentellato o leggermente spinoso; per tutta l'estate produce mazzetti penduli costituiti da piccoli fiori di colore rosso intenso, a forma di lanterna; in tarda estate sono seguiti da piccole bacche di colore rosa, contenenti i semi. Queste piante necessitano di un sostegno e sono ideali per ricoprire un muro o un pergolato. Per mantenere un aspetto più compatto e denso è consigliabile accorciare leggermente i rami alla fine dell'inverno.



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    Esposizione: porre in posizione semiombreggiata e riparata; in genere i berberidopsis possono sopportare temperature vicine ai -5°C, vanno però tenute in luogo riparato dal vento e dal freddo eccessivo; in luoghi con inverni molto rigidi necessitano di una copertura di tnt per poter sopravvivere al meglio.

    Annaffiature: annaffiare regolarmente, ma con moderazione, attendendo che il terreno sia ben asciutto tra un'annaffiatura e l'altra; se la primavera presenta molte precipitazioni queste piante si possono accontentare delle piogge. Durante i mesi invernali annaffiare soltanto in caso di lunghi periodi di siccità, durante giornate con clima tiepido.

    Terreno: i berberidopsis necessitano di terreno molto ricco e profondo, ben drenato e privo di ristagni idrici; il terreno deve essere anche leggermente acido, completamente privo di calcare.


    Moltiplicazione: avviene per seme, alla fine dell'inverno, conservando i semenzai in luogo caldo, umido e ombreggiato. In estate è possibile praticare talee di fusto.

    Parassiti e malattie: in caso di terreno scarsamente acido possono venire colpite da clorosi ferrica; talvolta le foglie vengono colpite dall'oidio o dalla cocciniglia.








    Campsis radicans
    Bignonia-Bignoniaceae


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    Generalità: la Bignonia appartiene alla famiglia della Bignoniaceae e si tratta di un genere che comprende una sola specie rampicante delicata, sempreverde, particolarmente vigorosa, che cresce con notevole rapidità: la Bignonia Capredata.
    Questa specie è originaria dell'America del Nord e più precisamente delle regioni centrali e meridionali degli Stati Uniti. In Italia cresce all'aperto nelle regioni più calde dell'Italia centrale e meridionale; in quelle settentrionali, invece, viene coltivata in serra, oppure all'aperto nelle zone lacustri , dove il clima è più mite per tutto l'anno.
    E' una pianta che può raggiungere anche i 10 metri d'altezza. Le foglie sono oblunghe e dentate e si sviluppano a due a due in maniera simmetrica rispetto al ramo, terminando poi in un viticcio ramificato, dotato di ventose che consentono alla pianta di "arrampicarsi".

    I fiori: sono di colore rosso-arancio, raggruppati in cime peduncolate e muniti di una corolla tubulosa, lunga 4-5 cm, terminante con 5 lobi allargati.
    La piantumazione deve essere effettuata in primavera, collocando la pianta in grandi vasi riempiti con un terreno fertile, ricco di sostanza organica su di una base a forte componente argillosa; si dovrà aver cura di posizionare i vasi in zone riparate dalle correnti e dal freddo.
    Le annaffiature devono essere abbondanti durante il periodo primaverile-estivo, moderate durante l'inverno.

    Moltiplicazione
    La moltiplicazione si effettua in primavera e si ottiene prelevando talee semilegnose dai germogli laterali della pianta; le talee dovranno essere piantate negli appositi cassoni da moltiplicazione, riempiti con sabbia. A radicazione avvenuta (dopo circa 2 mesi), le piantine dovranno essere trasferite in vasi di media grandezza, riempiti con composta compatta.
    La potatura è da praticarsi in primavera, avendo cura di eliminare i rami secchi e di accorciare i rami di maggiori dimensioni.

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    Tra le specie più diffuse ricordiamo la Bignonia venusta, che fiorisce alla fina dell'inverno e la Bignonia campsis, che sboccia tra la fine dell'estate e l'inizio dell'autunno e che è capace di resistere anche al freddo.





    Clematis
    Clematide - ranunculaceae



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    Generalità: appartenente alla famiglia delle Ranunculaceae, la Clematis costituisce un genere di circa 250 specie di piante erbacee o legnose, rampicanti a foglie caduche o sempreverdi, rustiche e non. I fusti sono molto sottili, spesso semilegnosi, e producono sottili viticci con cui si attaccano a muri, pergole o graticci. Il fogliame è di colore verde scuro, coperto da una sottile peluria chiara. Durante i mesi freddi gran parte delle specie perde il fogliame. Alcune specie hanno una abbondante fioritura primaverile, con grandi fiori nei toni del rosa e del bianco, altre, e soprattutto molti ibridi da giardino, cominciano la fioritura in primavera inoltrata e la continuano fino all'arrivo dell'autunno. I fiori sono molto grandi, in genere semplici, ma talvolta anche doppi; i colori sono i toni del rosa, del blu e del viola; esistono specie a fiore giallo e bianco. Le clematidi sono piante diffuse in natura anche in Europa e in Italia.



    Esposizione: le clematidi prediligono posizioni ben soleggiate, dove possano ricevere il sole diretto per almeno alcune ore al giorno; se poste in luogo eccessivamente ombreggiato in genere non producono fiori. Per uno sviluppo rigoglioso è consigliabile mantenere il piede e le radici in luogo protetto dal sole eccessivo e dal vento, in modo che l'apparato radicale si mantenga abbastanza fresco. Le clematidi non temono il freddo, anche perchè durante il periodo di riposo vegetativo invernale tendono a perdere completamente la parte aerea.


    Annaffiature: dalla primavera fino all'autunno annaffiare con regolarità, in modo da evitare periodi di siccità; le clematidi amano un clima abbastanza umido. Ogni 10-12 giorni mescolare all'acqua delle annaffiature del concime per piante da fiore.

    Terreno: si coltivano in un buon terriccio soffice e fresco, evitando gli eccessi di argilla o di torba, ma preferendo un substrato soffice, ricco di sostanza organica e con un buon drenaggio; possono essere coltivate anche in vaso, ricordando di rinvasarle ogni due anni.

    Moltiplicazione: può avvenire prelevando talee dalla pianta madre oppure attraverso semina. Nel caso della riproduzione per talea, talee lunghe circa 10/15 cm verranno prelevate, durante il periodo estivo, da rami legnosi semi maturi forniti di almeno due gemme alla base. Le talee dovranno essere piantate in cassoni da moltiplicazione appositamente riempiti con un miscuglio di torba e sabbia. A radicazione avvenuta, si dovrà aver cura di collocare le piantine in vasi del diametro di circa 8 cm; sarà necessario ritirare in luoghi coperti e riparati i vasi nel periodo invernale. Nella primavera successiva le piantine dovranno essere rinvasate in contenitori leggermente più grandi (circa 11/13 cm di diametro), che potranno anche essere interrati all'aperto. La messa a dimora definitiva andrà effettuata in autunno (ottobre).
    Nel caso della moltiplicazione attraverso la semina, i semi di Clematide andranno collocati in marzo in vasi piccoli, di 2/3 cm; una volta spuntati i germogli, le piantine dovranno essere rinvasate in contenitori di 8 cm di diametro; le fasi successive ricalcano esattamente quanto detto precedentemente per la moltiplicazione per talea.
    Infine, un'altra modalità di moltiplicazione, anche se secondaria, può avvenire per propaggine. In questo caso, nel periodo di marzo, si procederà ad interrare i fusti; la radicazione avviene di norma in un anno, al termine della quale i fusti potranno essere separati dalla pianta madre e piantati separatamente.
    Per quanto concerne la potatura è bene precisare che si tratta di un'operazione molto importante per le Clematidi a tal punto che, se eseguita scorrettamente, può comportare la recisione dei fusti destinati alla prossima fioritura. Da non dimenticare è poi il fatto che la potatura deve essere limitata al caso in cui si renda necessario contenere lo sviluppo della pianta; in caso contrario e in via generale, la Clematis non richiede alcuna potatura.

    Potatura: le clematidi possono essere suddivise in due gruppi principali, per ognuno dei quali i criteri di intervento sono diversi. Il primo gruppo riguarda le specie a fioritura precoce, che sono caratterizzate da una fioritura che avviene sui fusti maturati nella stagione precedente. In questo caso la potatura deve avvenire rigorosamente dopo la fioritura e si deve aver cura di eliminare i fusti ed i rami secchi. La potatura è invece da praticarsi, in primavera, prima che abbia luogo la fioritura, per le specie tardive e per le varietà che sviluppano i fiori esclusivamente sui rami maturati nella stagione in corso. Anche in questo caso la pianta deve essere "ripulita" dei rami e dei fusti secchi residui della stagione precedente.

    Parassiti e Malattie: tra i parassiti che più comunemente insidiano lo sviluppo delle Clematidi, ricordiamo le lumache, gli afidi, pericolosi soprattutto per le gemme, e le forbicine, che danneggiano i tepali e le foglie.
    Per quanto riguarda le malattie che spesso colpiscono le Clematide, citiamo il seccume, che comporta l'appassimento e la morte dei germogli, e il mal bianco, che si manifesta come muffa biancastra sui fiori e sulle foglie.




    Edera
    Hedera helix / Edera-Araliaceae



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    Generalità: al genere hedera appartengono numerose specie di arbusti rampicanti, sempreverdi, diffusi nelle zone temperate dell'emisfero nord; H. helix è una specie molto diffusa in Europa e nelle zone settentrionali dell'Asia. Ha fusti sottili, semilegnosi, flessibili, che divengono legnosi con il passare degli anni; su tutta la lunghezza i fusti dell'edera sviluppano piccole radici, che si ancorano al supporto che sostiene la pianta, sia esso un albero o una parete. Le foglie hanno un lungo picciolo, sondi dimensione varia, a seconda della varietà, in genere lucide ed abbastanza rigide, portate da un lungo picciolo; i colori sono vari, dal verde scuro, al verde chiarissimo, con varietà dalle foglie variegate di giallo o di bianco; sono di forma trilobata o pentalobata, con lobi di forma varia, anche sulla medesima pianta. In genere i fusti fertili, ovvero quelli che producono fiori, presentano foglie scarsamente lobate, o anche ovali. In settembre-ottobre all'apice dei fusti produce infiorescenze sferiche, costituite da piccoli fiori verdi, seguiti da bacche scure. I frutti e le foglie di edera sono tossici se ingeriti, ma vengono utilizzati in erboristeria ed anche in farmacologia.

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    Esposizione: le piante di edera non temono il freddo e possono sopportare anche temperature molto rigide; in effetti però temono un poco il caldo e non amano ricevere il sole diretto; è quindi opportuno porre a dimora in luogo ombreggiato o semi ombreggiato, al riparo dalla luce per gran parte della giornata. Alcune varietà, con foglie piccole o a crescita lenta, possono essere utilizzate senza problemi anche come piante da appartamento.

    Annaffiature: annaffiare regolarmente, cercando di mantenere il terreno leggermente umido, ma non inzuppato d'acqua; le edere comunque possono sopportare periodi anche prolungati di siccità.

    Terreno:
    generalmente si adattano a qualsiasi tipo di terreno, ma temono i ristagni idrici, quindi è bene utilizzare un terriccio ben drenato.

    Moltiplicazione:
    avviene per seme, in primavera, oppure pera talea. Per un rapido attecchimento è anche possibile praticare delle porzioni di fusto, ponendo in contenitore i rami che già presentano radici aeree; queste porzioni di pianta radicano molto rapidamente. Le edere hanno una crescita molto vigorosa; s non abbiamo molto spazio a disposizione o non vogliamo che la pita divenga infestante, ricordiamoci di potare periodicamente i fusti più lunghi; questa operazione favorirà anche lo sviluppo di un arbusto denso e b en ramificato.

    Parassiti e malattie: le edere sono molto resistenti, ma possono venire attaccate dagli acari e dalla cocciniglia, soprattutto gli esemplari coltivati in appartamento. Eccessive annaffiature o la presenza di ristagni idrici possono favorire l'insorgenza di marciume radicale.






    Lonicera
    Caprifoliaceae


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    Generalità: la Lonicera appartiene alla famiglia delle Caprifoliaceae; si tratta di un genere di circa 200 piante che comprende arbusti e rampicanti, sempreverdi e piante a foglia caduca. Alcune specie rampicanti sono originarie della Cina e del Giappone, altre dell'Europa Meridionale e soprattutto dell'Italia. Si adatta bene anche a vivere in zone dal clima più freddo anche se il clima ideale per la pianta è quello mite.
    La Lonicera è particolarmente indicata per ornare muri, pergolati, recinzioni ma è talvolta utilizzata anche come siepe.

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    Esposizione: predilige posizioni soleggiate o di mezz'ombra; se possibile è bene piantarla in una posizione tale che il basamento resti all'ombra o venga comunque poco a contatto diretto con i raggi solari, mentre il fogliame e la parte superiore della pianta siano esposti al sole.
    Il terreno deve essere ben drenato e ricco di humus, che deve essere mantenuto umido.
    Piantumazione: il periodo più adatto per la piantumazione è aprile/maggio per le specie sempreverdi, ottobre oppure marzo per le specie a foglie decidue. Se si desiderano realizzare siepi con la Lonicera è buona regola mantenere una distanza di circa 20-30 cm tra una pianta e l'altra.
    Le foglie sono di forma ovale, di colore verde brillante e in alcune specie rampicanti grigio-blu. I fiori, che sbocciano, a seconda delle specie, dalla primavera all'autunno, sono tubulosi e riuniti in gruppi di 2/3 fiori. Si tratta di infiorescenze bellissime e molto profumate che sfiorendo, nella maggior parte delle specie, lasciano il posto a delle altrettanto ornamentali bacche.

    Moltiplicazione: può essere effettuata tramite talea o per semina. Nel primo caso, durante l'estate, si preleveranno talee di circa 10 cm di lunghezza dal fusto; queste dovranno essere collocate in appositi cassoni da moltiplicazione debitamente riempiti con sabbia e torba. Nella primavera successiva le piantine saranno rinvasate, singolarmente, in contenitori del diametro di una decina di centimetri; soltanto in autunno potranno essere collocate a dimora definitiva. Se la moltiplicazione avviene per semina, si dovrà aver cura di piantare i semi nei cassoni da riproduzione, riempiti con una composta da semi, nel periodo autunnale. Una volta avvenuta la radicazione, le piantine potranno essere trasferite in singoli contenitori del diametro di 7/8 cm; nell'autunno dell'anno successivo si potrà procedere alla messa a dimora delle piante. Utilizzando questa tecnica, si dovrà attendere qualche anno per godere della prima fioritura delle piantine. In aprile e maggio si possono tagliare i rami più "disordinati" e tentare così di dare alla pianta la forma e il portamento desiderato. Inoltre, come per tutte le piante rampicanti, anche la Lonicera richiede una potatura che consenta di diradare i rami e rafforzare la pianta stessa. Se utilizzata come siepe, per i primi anni occorre potare la pianta a metà o ad un terzo dell'altezza che ha raggiunto, al fine di agevolarne una crescita più vigorosa.

    Parassiti e malattie: particolarmente pericolosi per la pianta e soprattutto per i suoi fiori sono gli afidi, che aggrediscono i germogli e rendono le foglie appiccicose.
    Tra le malattie più comuni che possono colpire questo genere di pianta, ricordiamo l'oidio e il mal di piombo.

    Lonicera caprifolium: specie rampicante, originaria dell'Italia. Può raggiungere un'altezza di circa 7 metri; le foglie sono ovate e decidue; i fiori sono delicatamente profumati, di color rosa-bianco, raggruppati in ciocche, circondate dalle foglie e fanno la loro comparsa in maggio.

    Lonicera etrusca: originaria dell'Europa Meridionale, è una specie costituita da varietà sempreverdi, semisempreverdi e a foglia caduca. Le foglie sono ovate e opposte; i fiori, che compaiono da maggio a luglio, appena nascono sono rossi, poi diventano gialli con striature rosse.

    Lonicera hildebrandiana: originaria della Birmania, la L. hildebrandiana è particolarmente adatta a vivere nelle zone a clima mite. E' una specie sempreverde, dalle foglie ovate; i fiori sono raggruppati in mazzetti e sono di colore vaniglia, in un primo momento, e poi si scuriscono, acquistando sfumature arancio e rossastre.

    Lonicera japonica: proveniente dalla Cina e dal Giappone, è una pianta semirustica, rampicante sempreverde, che può raggiungere anche i 10 metri d'altezza. Le foglie sono verde chiaro e hanno una forma ovata; i fiori sono bianchi e gialli, sono delicatamente profumati e sbocciano all'ascella delle foglie.

    Lonicera sempervirens: originaria degli Stati Uniti, si tratta di un arbusto rampicante e sempreverde alto fino a 8 metri d'altezza. Le foglie sono ovate e i fiori presentano nella parte esterna una colorazione rosso vivo, nella parte interna una colorazione gialla -arancio e terminano in spighe.


     
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    COS'E' UN BULBO?



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    Un bulbo può essere definito un magazzino sotterraneo e una fabbrica di fiori: contiene infatti tutto ciò di cui la pianta ha bisogno per germogliare e sbocciare. Se si taglia un bulbo in due lo si può vedere chiaramente. Al centro della base si trovano le foglie carnose modificate che proteggono l'embrione del fiore (che in molte specie ha già l'aspetto di un vero fiore!). Nei bulbi veri e propri le foglie carnose, chiamate squame, contengono tutto il nutrimento necessario al bulbo per sbocciare e mantenere la fioritura. All'apice del disco basale - o girello - c'è l'embrione, mentre e nella parte inferiore si trovano le radici. Le squame che lo avvolgono sono protette a loro volta da una sottile pellicina chiamata tunica. L'unica cosa che deve fare l'uomo è mettere in terra il bulbo nel periodo giusto dell'anno, innaffiarlo generosamente e poi lasciarlo a sé stesso: il bulbo farà il resto!


    La differenza fra bulbi, cormi, tuberi e radici tuberose
    In termini tecnici molti fiori da "bulbo" non nascono da veri bulbi: i crocus e i gladioli, ad esempio, sono in realtà prodotti da cormi, mentre le dalie e le begonie da tuberi.
    C'è poca differenza tra un bulbo e un cormo, che infatti si somigliano parecchio. La caratteristica che più li distingue è il modo di conservare il nutrimento perché nei cormi è immagazzinato più nella base appiattita che nelle squame carnose, troppo piccole. I cormi tendono in genere a essere più piattii rispetto ai veri bulbi, la cui forma è tondeggiante. I tuberi e le radici tuberose, invece, si distinguono facilmente dai bulbi e dai cormi: sono fusti ingrossati e non hanno tunica di protezione. Le forme variano di molto: cilindrica, appiattita o in varie combinazioni. Molti sono a grappolo.
    In generale, comunque, si può tranquillamente usare il termine "bulbo", che per consuetudine designa qualsiasi pianta capace di immagazzinare le riserve nutritive sottoterra.
    I bulbi a fioritura primaverile sono resistenti; quelli a fioritura estiva delicati
    I bulbi sono generalmente divisi in due categorie: a fioritura primaverile (da piantare in autunno) e a fioritura estiva da piantare in primavera). Una suddivisione più accurata è però quella fra varietà rustiche e delicate.
    La maggior parte dei bulbi a fioritura primaverile sono rustici. Si piantano in autunno, in anticipo rispetto all'arrivo del primo gelo, e sopravvivono ai freddi mesi dell'inverno. Anzi, per poter fiorire hanno proprio bisogno di basse temperature. Molti bulbi a fioritura primaverile, come i narcisi, possono essere lasciati in terra perché naturalizzano facilmente e fioriscono anno dopo anno.
    I bulbi a fioritura estiva sono per la maggior parte delicati: non possono sopravvivere agli inverni freddi e vanno piantati in primavera, dopo l'ultimo gelo. Per apprezzarli di anno in anno bisogna toglierli dal terreno in autunno e conservarli al riparo per l'inverno. Il Lilium fa invece eccezione: molte varietà a fioritura estiva sono piuttosto rustiche e possono quindi essere messe a dimora sia in autunno che in primavera.
    I fiori da bulbo sono fra i più popolari e amati nel mondo. Quelli primaverili, come i tulipani, i crocus, i giacinti, i narcisi e gli iris sono simboli universali del risveglio della natura: i loro fiori lussureggianti e variopinti riportano per primi la vita nel paesaggio desolato dell'inverno.
    Quelli estivi, come le dalie, le begonie e gli anemoni riempiono i giardini estivi con mille varietà, colori unici e fioriture prolungate.
    I bulbi danno vivacità e colore al giardino dalle ultime nevicate dell'inverno sino ai primi geli dell'autunno.
     
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    Giardino Verticale - Les Mur Vegetal

    in breve:
    partito dalla Francia, il botanico Patrick Blanc ha esteso i suoi “Muri Vegetali” in tutto il mondo, creando veri e propri Giardini aggrappati a pareti e colonne, senza “rubare” spazio in orizzontale e soprattutto senza terra, perchè come dice lui “la natura non è così monotona”.




    nei dettagli:
    in effetti siamo abituati a vedere sotto ad ogni pianta della terra, ma lo stravagante Blanc, conosce molto bene la vegetazione di tutto il mondo e quindi sa benissimo che questa cresce anche in verticale, ed anche senza terra, attaccata alle rocce ad esempio.
    esistono migliaia di specie vegetali che possono vivere sviluppando radici non solo in un volume (che sia terra, acqua o sabbia) ma anche su una superficie, quindi senza necessità di terra. l’impianto di supporto vitale di queste piante risulta quindi abbastanza leggero (meno di 30kg per metro quadrato, piante incluse), tanto da poter essere applicato a strutture verticali.
    il botanico francese sviluppa quindi colture che crescono attaccate ad una base in feltro in cui scorre acqua e fertilizzante, a rilascio controllato da un timer elettronico. il feltro, (già usato dai vivaisti come base per le piante in vaso) garantisce inalterabilità (non si disintegra) e ottima capacità di assorbire e trattenere la miscela acqua-fertilizzanti (azoto, fosforo, potassio). il feltro è fissato ad una lastra di PVC (che funge da supporto e da isolante per l’acqua) il quale a sua volta è fissato ad una lastra di metallo (che funge da struttura di sostegno).
    i Muri Verdi possono essere realizzati sia all’interno che all’esterno degli edifici, di qualunque superficie, e funzionano da isolante termico e acustico e da sistema di purificazione dell’aria, dando contemporaneamente un “tocco” di natura a luoghi caratterizzati di solito solo da cemento e asfalto.

    lunghissima la lista delle “Opere” di Patrick Blanc, dal Parco FLoreale di Parigi (1994) all’ambasciata francese in India (Nuova Delhi, 2003)
    al Parlamento di Bruxelles (Belgio, 2006). tra i prossimi progetti ci sono la Housing Tower a Kuala Lumpur (in Malaysia) e la Office Tower a Doha (in Qatar).



     
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    EREMORO



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    Se siete alla ricerca di una pianta fiorita in grado di riempire e rallegrare un angolo vuoto nel vostro giardino senza che sia necessario dedicarle troppe cure e attenzioni, l’eremoro fa sicuramente al caso vostro. Si tratta infatti di una pianta dal portamento maestoso, dotata di vistose inforescenze che, unita ad altre bulbose, si presta benissimo anche alla creazione di deliziose macchie di colore. Vediamone le carattersitiche e le necessità colturali:
    L’eremoro (Eremurus), noto anche con il nome comune di candela del deserto, è un genere di pianta bulbosa appartenente alla Famiglia botanica delle Liliaceae; produce fiori molto piccoli, di colore rosso, rosa, arancione, giallo o cremisi, che crescono riuniti in una grande infiorescenze a forma di spiga appuntita e presenta foglie verde chiaro. Nel suo complesso la pianta è piuttosto grande e può raggiungere anche dimensioni ragguardevoli: la sua altezza può variare da uno a due metri e i fiori possono raggiungere i 60 cm di lunghezza. I fiori, privi di profumazione, fanno la propria comparsa in estate.
    Il genere eremoro conta una trentina di specie, fra le più diffuse troviamo:


    Eremurus bungei;
    Eremurus himalaicus;
    Eremurus robustus;
    Eremurus stenophyllus;
    Eremurus cleopatra;
    Eremurus fuscus;
    Eremurus comosus;
    Eremurus hybrida.
    Quanto alla coltivazione dell’eremoro, si tratta di un genere piuttosto rustico, adatto ad essere coltivato in giardino e in piena terra: il terreno ideale deve essere ben drenato e ricco di sostanze organiche (erba o foglie triturate, letame maturo, compost stabilizzato). L’esposizione deve essere soleggiata per almeno alcune ore al giorno, mentre le innaffiature possono essere effettuate sporadicamente e con modeste quantità di acqua; tra un’innaffiatura e l’altra è opportuno attendere che il terreno sia ben asciutto per evitare marciumi radicali.
    Durante la primavera l’eremoro può essere interessato da malattie fungine; per scongiurare tale evenienza può essere utile irrorare con un funghicida prima che le gemme diventino troppo grosse. Per evitare invece l’attacco di afidi e cocciniglie è necessario irrorare con un insetticida specifico alla fine dell’inverno.
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    Giardini, ecco i più belli d'Italia
    Il lavoro è stato particolarmente impegnativo ma anche quest'anno i sette grandi saggi del verde italiano hanno eletto i dieci giardini più belli d'Italia. Dieci meraviglie della natura da visitare in questi primi giorni d'estate, seguendo l'affascinante itinerario che le collega virtualmente, partendo dalla frontiera con la Francia per arrivare in Sicilia, sulle rive del mare che separa il Belpaese dall'Africa.
    Il viaggio parte dai Giardini Botanici Hanbury nei pressi di Ventimiglia e del confine tra Italia e Francia. Nati dalla passione per la Liguria del viaggiatore britannico Sir Thomas Hanbury hanno un aspetto tipicamente all'inglese, con la flora mediterranea e le coltivazioni tradizionali che incontrano piante provenienti da tutto il mondo. Affacciati sul mare, si visitano camminando lungo romantici vialetti, tra rustici, pergolati e patii.
    La seconda tappa si trova nei pressi del capoluogo ligure, a Pegli, nel suggestivo giardino ottocentesco di Villa Durazzo Pallavicini. Un vero e proprio parco romantico creato intorno al 1840 da Michele Canzio, scenografo del teatro Carlo Felice di Genova, dove ci si muove lungo sentieri che sfiorano architetture classicheggianti, rustiche e cinesi, all'ombra di palme, piante esotiche e rare, lecci e allori, ammirando il mare sullo sfondo.
    Ancora acqua, ma questa volta dolce, per il terzo giardino, quello che circonda il Vittoriale degli Italiani sul Lago di Garda, la dimora del poeta Gabriele d'Annunzio. Il parco è cosparso di cimeli storici, massi provenienti dai fronti della prima guerra mondiale, sculture, limonaie ed è sicuro approdo a secco della nave Puglia, donata al Vate dalla Marina Militare. L'amore di d'Annunzio per lo scrosciare delle acque è testimoniato dalle Vallette dell'Acqua Pazza e dell'Acqua Savia, attraversate da due freschi ruscelli che confluiscono in un suggestivo laghetto a forma di violino.
    I due giardini toscani selezionati dai grandi saggi del verde si trovano nei dintorni di Firenze. Il primo avvolge la Villa Medicea di Castello, oggi sede dell'Accademia della Crusca. Progettato da Nicolò Tribolo, architetto di corte di Cosimo I de' Medici e ideatore del giardino di Boboli, è disposto su tre terrazze digradanti racchiuse dentro un'alta cinta muraria. All'interno di quello che viene ritenuto il giardino all'italiana meglio conservato della penisola si incontrano una vasta collezione di agrumi, un boschetto di lecci, sedici aiuole quadrate e la suggestiva Grotta degli Animali, con le pareti rivestite da mosaici colorati: uno degli ambienti architettonici più rilevanti della cultura manierista.
    Sulle colline di Settignano, in posizione panoramica su Firenze e la valle dell'Arno, si incontra il giardino settecentesco di Villa Gamberaia. Uno spazio raccolto e non molto ampio, dove l'abbondanza d'acqua, la buona insolazione e un'ingegnosa architettura del verde hanno saputo creare un sorprendentemente giardino all'italiana da scoprire lentamente.
    Scendendo ancora più a sud si raggiunge il Lazio e Villa Lante a Bagnaia, in provincia di Viterbo, una delle più interessanti realizzazioni del Cinquecento italiano. Il giardino è un tripudio di fontane, ruscelli, laghetti, Muse e Grazie che soffiano acqua, ardite geometrie disegnate da siepi sempreverdi e statue di peperino. Un vero e proprio luogo incantato voluto dal cardinale Gambara e realizzato da Jacopo Barozzi da Vignola, detto comunemente Il Vignola, architetto ed esponente del Manierismo, che con quest'opera voleva dimostrare la capacità dell'uomo di governare la natura.
    Imperdibile è l'altro parco selezionato nel Lazio: il celebre Giardino di Ninfa presso Latina. Qui il fascino del verde della vegetazione, interrotto dall'azzurro dell'acqua sorgiva, incontra il mistero delle antiche rovine di una città abbandonata per la malaria e i saccheggi e rinata a partire dal 1921, grazie al visionario senatore Gelasio Caetani.
    Anche la Campania vanta due preziose perle del paesaggio mediterraneo. Il giardino di Villa Rufolo a Ravello, conosciuto anche come il "giardino dell'anima", deve le sue grazie allo scozzese Nevil Reid, che acquistò la villa nel 1853. Un vero e proprio giardino romantico, con chiostro moresco, alti cipressi, ortensie e tigli. Dall'8 luglio fino agli ultimi giorni di agosto il giardino è una delle prestigiose sedi del Ravello Festival, storico appuntamento culturale della costiera amalfitana. È circondato dal mare il giardino di Villa San Michele sull'isola di Capri. Creato dal medico e scrittore svedese Axel Munthe, giunto in Italia per motivi di salute nel 1876, si presenta al visitatore come un piccolo gioiello fiorito sospeso fra cielo e mare. Dal suggestivo belvedere della Sfinge si gode una straordinaria vista del Golfo di Napoli.
    Il viaggio tra i dieci angoli verdi più belli d'Italia si conclude in Sicilia, nei pressi di Agrigento, nel Giardino della Kolymbetra. Situato all'interno della Valle dei Templi e recentemente recuperato dal FAI-Fondo per l'Ambiente Italiano, il cuore del giardino è rappresentato da un antico agrumeto con specie e varietà rare, coltivato secondo le antiche tecniche della tradizione araba. Tutt'intorno si trovano lembi intatti di macchia mediterranea e, nel fondovalle solcato dalle acque di un fresco torrente, ci sono pioppi, salici e tamerici. (Giuseppe Ortolano,la Repubblica)




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    Il GIARDINO


    Il momento storico in cui l’esigenza di dominare il mondo vegetale per poterne governare le influenze si tradusse nell’immagine di un giardino, fu quando l’uomo passò dalla sua condizione nomade a quella stanziale. Stabilendosi in gruppi fissi, l’uomo sentì il bisogno di portare all’interno del villaggio un po’ della magia delle piante per mantenere un contatto con le forze ignote della vegetazione. Ciò fu un modo per propiziarsi salute e ricchezza, cercando di ricostruire la foresta ed i suoi significati simbolici in uno spazio delimitato ed ordinato: il giardino.
    Questo fu uno spazio magico, un luogo d'incontro tra il mondo umano e quello divino, dove si riteneva che la divinità potesse manifestarsi, rivelando il suo aspetto ultraterreno.
    Il cerchio magico delle piante fu considerato sacer, ‘sacro’, ovvero luogo attinente ad un dio (si può intendere il termine sacer come sinonimo di 'perfezione' con accezione di inviolabilità, unicità e straordinarietà), dove si concentravano anche le offerte votive ad esso rivolte. Il senso del sacro collegò l’immagine del giardino al divino, mentre - imprescindibile da questo concetto - il suo rovescio lo rese lo spazio maledetto della vittima sacrificale. Attraverso la ritualità si compì il tentativo di creare un collegamento tra il mondo terreno e quello divino, un ponte sottile in grado di assicurare la presenza costante del piano astrale sulla terra.
    Etimologicamente le parole 'cultura', 'coltura' e 'culto' derivano dalla stessa radice e sono collegate al simbolismo del giardino sacro, attraverso l’intermediazione del termine latino colere, ovvero ‘coltivare’, ‘curare’ .
    Queste parole ed i concetti da esse rappresentati erano l’espressione dell’attività coltivatrice attraverso la quale il terreno era dissodato, preparato e addomesticato con cura. Il giardino doveva essere ’lavorato’, così come doveva essere curata la venerazione della divinità.
    La connessione tra i termini 'cultura', 'coltura' e 'culto' ispira così la sensazione che la creazione dei giardini fu fortemente permeata da esigenze religiose, acquisendo la valenza di luoghi depositari della conoscenza relativa al rapporto uomo – natura -divino. Se la divinità aveva creato il mondo nella sua perfezione illimitata, l’uomo ripeteva quel gesto nel simbolico atto dell’organizzare uno spazio circoscritto. La coltura delle piante acquisì, così, la connotazione di ripetizione microcosmica della Creazione e simbolo della civiltà.
    ‘Avere cura della natura’ significò sentire il potere dell’influenza celeste, di cui l’uomo subiva la sorte, e cercare di propiziarsene i doni sacri.

    La natura fu intesa come il simbolo del ciclo della vita, con caratteristiche femminili e materne, ben manifeste nel collegamento con la Luna e con la Grande Madre, dea lunare e primordiale della Terra, della fertilità e della vegetazione, in stretta analogia con l'elemento esoterico Acqua, intesa come linfa vitale, che nel tronco delle piante scorreva in un'archetipa concezione di maternità. Come la natura fu divinizzata, così il giardino divenne antromorfico. Se nella sua perfezione, essa rappresentava un dio, il giardino era l'immagine dell'uomo che, nella sua imperfezione, cercava di propendere verso il cielo. La struttura più antica del giardino proponeva, infatti, sentieri - a destra e a sinistra - come struttura portante, dove le aiuole sembravano divenire le costole. La via principale era intersecata ad angolo retto da un'altra strada in modo tale da formare una croce, simbolo dell'unione degli opposti e immagine di fecondità e nascita. In questo punto preciso del giardino, sorgeva una fontana, il cuore pulsante del parco e, a somiglianza del capo, un pergolato fiorito. Le siepi e le bordure divennero la rappresentazione della pelle umana, che conteneva l'essenza ed il mistero dell'anima.
    Nel giardino si condensarono le forze benefiche, racchiuse nelle piante, le cui virtù avevano il potere di allontanare il male e di preservare la serenità e l'amore. Il giardino diventò una sorta di piccolo mondo, che riproduceva a livello terreno i misteri ed i segreti dell'universo. Gli elementi garanti della vita - Fuoco, Terra, Aria, Acqua - fecero il loro ingresso in questo mondo circoscritto. E da allora accompagnano l'uomo nella difficile arte del giardinaggio.
    Ogni mitologia personalizzò la natura, riflettendola nell’immagine ideale di un giardino, in altre parole un luogo demarcato e protetto, in cui l’opera umana diveniva un intervento sul mondo celeste, dal quale prendeva vita la sacralità della magia e del rituale. In questi spazi, aveva luogo la nascita della divinità e dell’uomo. L’assioma imprescindibile era albero sede di divinità, da cui uno spazio sacro (hima, nelle culture preislamiche) recintato e protetto dalle interferenze esterne. La recinzione si rese concettualmente necessaria per fornire l’immagine di difesa, necessaria all’essere umano per crescere e vivere. Non a caso l’espressione inglese yard-land (‘terreno a giardino’) ha dato origine all’unità di misura di lunghezza della iarda , per riferire simbolicamente attraverso la misurazione e la divisione (anche di un confine) il processo creativo divino. Anche nel mondo nordico questo concetto fu evidente nella rappresentazione del mondo degli umani con il termine Miðgarðr, che significa ‘recinto di mezzo’, ovvero ‘recinto centrale’ o ‘giardino di mezzo’, con l’intento di specificare psicologicamente un luogo riparato e difeso.
    In questa direzione si muove il senso del vocabolo Paradiso, che deriva dal persiano pairidaeza, cioè ‘recinto circolare’, dove il cerchio è la figura geometrica legata al Cielo, in contrapposizione al quadrato connesso con la Terra . Ed è attraverso le pagine della Bibbia, che troviamo il primo incontro con il giardino, ovvero l'Eden che era all'origine.
    Poi ancora Sumeri, Egizi, Greci, Celti, Romani e così via, in un legame indissolubile, dove l'albero fu lo'axis mundi, ad unire per sempre la Terra con il Cielo.


    [size97]"Quattro sono i fiumi che alimentano il giardino dell'Eden: il Pison, il Ghihon, l'Hiddechel e l'Eufrate. Quattro i fiumi che attraversano il giardino cinese dei "Draghi della Sapienza": l'Oxus, l'Indo, il Gange, il Nilo....Ippocrate asserisce che: "Il numero sette, per le sue virtù occulte, tende a realizzare tutte le cose; è il dispensore di vita e fa parte di tutti i cambiamenti, come la luna che cambia ogni sette giorni". Nel tardo Cinquecento, rifacendosi probabilmente all'esoterismo di Ippocrate, si riteneva che il giardino dovesse contenere sette piante perenni o un multiplo di sette; seguendo anche questo criterio è stata stilata la lista delle specie presenti nell'aiuola. La magia della settima pianta risale probabilmente alla mistica dei numeri che identifica nel sette il numero completo, perché è formato dal quattro che simboleggia la materia e dal tre che rappresenta lo spirito e quindi corrisponde alla somma magica dei due elementi. La Bibbia usa sette nomi per indicare la terra, sette per il cielo, sette giorni servivano per piangere una perdita dolorosa, il mondo fu creato in sette giorni, compreso quello del riposo. La Cabala ebraica identifica sette divinità mitologiche con le gerarchie celesti.
    La magia del sette e la magia della luna s'incrociano inevitabilmente. Esiodo nelle "Le opere e i giorni" raccomandava di mettere a dimora le piante e di seminare i fiori al settimo giorno della luna crescente, perché si riteneva che tale giorno fosse magico. Erodoto aggiunge che: "Soprattutto i giardinieri ed i medici devono tener conto della luna, perché la dea madre incide maggiormente sulle creature più delicate".
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32 replies since 3/9/2010, 17:11   11355 views
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