VENETO n. 3

la dorata vicenza ..la dotta padova.....rovigo

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  1. tomiva57
     
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    ABBAZIA DI PRAGLIA



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    Le origini e la fioritura


    L'Abbazia di Praglia è sorta ai piedi dei colli Euganei a circa 12 chilometri da Padova, e a 4 da Abano Terme, lungo l'antichissima strada che conduceva ad Este. La fondazione dell'Abbazia risale agli anni tra l'XI e il XII secolo. Il primo Abate di Praglia Iselberto dei Tadi, fattosi monaco a S. Benedetto Polirone di Mantova, compare nell'importante bolla pontificia di Callisto II del 1123, con la quale il papa prendeva sotto la sua protezione la nuova fondazion. Fino al 1304 perdurava un rapporto di dipendenza di Praglia a più livelli nei confronti della potente Abbazia di Polirone, fondata dai Conti di Canossa nel 1007 ed entrata poi nell'orbita dell'osservanza cluniacense. Con gli inizi del XIV secolo la comunità di Praglia, consolidatasi e radicata più stabilmente nell'ambiente padovano, iniziò come Abbazia autonoma il suo nuovo corso, con a capo un Abate eletto dal "proprio corpo". Il secolo XV si apre con buoni auspici per le sorti del monachesimo italiano dopo i disastrosi effetti materiali e spirituali causati dall'imposizione dell'Abate Commendatario; infatti dall'Abbazia di Santa Giustina di Padova partì la grande Riforma monastica benedettina che si diffuse su tutta la penisola fino in Sicilia,. Praglia aderì alla Riforma nel 1448 e tale scelta fu causa della sua "seconda nascita" spirituale, culturale e materiale.

    Le soppressioni

    L'Abbazia fu fiorente nei secoli successivi, fino alla soppressione napoleonica del 1810. I monaci, che avevano dovuto lasciare Praglia, rientrarono nel 1834, grazie all'appoggio del governo austriaco. In quegli anni Praglia aderì alla Congregazione Cassinese della Primitiva Osservanza, poi Congregazione Sublacense. La ripresa della vita benedettina a Praglia ebbe però breve durata. Il 12 luglio 1866 le truppe italiane entrarono in Padova. Il 4 giugno dell'anno successivo venne applicata nel Veneto la legge 7 luglio 1866, che sopprimeva tutte le corporazioni religiose. Così la comunità fu sciolta una seconda volta. La maggior parte di essa trovò rifugio nel monastero di Daila (Istria), allora in territorio austriaco. A Praglia restarono solo due o tre monaci, pregati dalla prefettura e dal demanio di Padova, convinti a ragione che nessuno meglio dei benedettini avrebbe custodito il monastero con maggior cura.

    Il destino del monastero

    Dopo essere stato spogliato dei beni fondiari, il monastero fu privato anche dei dipinti, dei libri, dell'archivio, della mobilia e dell'arredo sacro. Il 5 luglio 1882 una parte (chiostro botanico, chiostro pensile, biblioteca e chiesa) fu dichiarata monumento nazionale. La chiesa venne chiusa al culto. Il resto del complesso abbaziale fu spartito tra ministeri e privati, e destinato agli usi più disparati, con il rischio di diventare cava di mattoni.

    La ripresa nel Novecento


    Conoscendo il desiderio dei monaci di riprendere possesso del proprio monastero, i banchieri che ne avevano acquistato una parte all'asta, si dichiararono infine disposti a cederla "dietro un compenso". L'acquisto da parte dei monaci, si concluse il 6 novembre 1900. Dopo aver restaurata la parte del monastero anticamente adoperata come appartamento dell'abate, due monaci il 26 aprile 1904, con estrema semplicità, ma accolti con grande entusiasmo dalla popolazione, ritornarono in monastero. Fu l'inizio della ripresa: il 23 ottobre seguente poté iniziare in pieno la vita regolare. Il nuovo cammino di Praglia, da allora, fu sempre in ascesa. Le due guerre mondiali videro Praglia in prima linea. Nella prima, i monaci atti alle armi partirono per il fronte, dove uno morì; dopo la rotta di Caporetto, tutto il monastero fu occupato dalle truppe italiane, francesi e inglesi. Durante la seconda, tutta la comunità fu impegnata a salvare civili e militari, ebrei e ariani, connazionali e stranieri, religiosi e secolari, senza parlare della pronta accoglienza e della gelosa e vigilante custodia di infiniti e preziosi tesori di storia e di arte, compresi i quattro cavalli di bronzo della basilica di S. Marco a Venezia. In questo periodo - era abate P.D. Gerardo Fornaroli - la comunità raggiunse uno sviluppo mai registrato nella sua storia plurisecolare: con questo sviluppo numerico poté costituire una comunità completamente autonoma anche nel monastero di S. Giustina a Padova (1943) e una seconda per il monastero di S. Giorgio a Venezia (1957). Le attività del monastero si moltiplicarono. A partire dagli anni Sessanta la Comunità ha assicurato una presenza costante presso l'antico Santuario del Monte della Madonna (Teolo), mentre dagli anni Novanta ha dato vita ad una piccola comunità benedettina in Bangladesh, diocesi di Khulna.



    IL REFETTORIO

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    Le cose che occorrono per mangiare e per bere se le servono a vicenda i fratelli (RB 38,6)

    Dal Chiostro Pensile si accede al Refettorio Monumentale o Refettorio Grande. All’esterno si fanno notare i due grandi Lavabo degli inizi del XVI secolo in pietra d’Istria intarsiata con piombo e marmi policromi. La decorazione riprende elementi del regno animale e vegetale, in particolare ad animali acquatiche al delfino che soccorre l’uomo per portarlo in acque tranquille, che allude al Risorto. La realizzazione è attribuita alla famiglia Lombardo.

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    I due grandi lavabo e il portale



    Il portale di accesso alla grande sala, contornato da un delicato fregio in pietra arenaria sul quale sono incastonate le pietre che rappresentano il Battesimo e il Martirio di S. Giustina, patrona della città di Padova, e sull’architrave il Cristo glorioso e benedicente. Anche quest’opera è attribuita ai Lombardo.

    I lavabo, il grande portale uniti al pozzo al centro del Chiostro Pensile (su cui si affacciano) sono un unico percorso sul valore dell’acqua come elemento che purifica il corpo dalla sporcizia e richiama al monaco la continua purificazione di cui necessita l’anima attraverso il digiuno e la penitenza.

    Sui temi penitenziali insiste anche la decorazione del Refettorio, culmine della quale è il grande Crocifisso del vicentino Bartolomeo Montagna, che campeggia sulla parete di fondo della sala.

    Sulla parete ovest spicca anche il pulpito, elemento fondamentale dei refettori monastici, perché destinato alle letture bibliche e morali durante i pasti consumati in silenzio. Nella secondo metà del ‘700, in seguito al nuovo allestimento della Biblioteca Antica, sono state trasferite qui nove tele dello Zelotti con scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, che si alternano alle otto grandi finestre delle pareti laterali.

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    Pulpito per le letture




    Uno splendido arredo ligneo decora tutto il perimetro della sala. In stile barocco, l’opera di fine ebanisteria risale agli inizi del ‘700 grazie alla donazione di alcuni monaci. Gli emblemi che sovrastano i dossali costituiscono un complesso programma iconografico stilato da Girolamo Rosa, monaco di Praglia. Ogni stallo è coronato da un motto (attinto dalle Scritture, dai Padri della Chiesa o dalla Regola) e da un’immagine (tratta dalla natura o dalla vita quotidiana) resa esplicita dalla scritta sottostante. Gli intervalli tra le mense sono decorati da quattro grandi medaglioni raffiguranti episodi biblici associati alle virtù cardinali. Sovrastanti il posto dell’Abate, si trovano lo stemma e il motto dell’Abbazia di Praglia.



    CHIOSTRI



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    Verso la fine del 1400, dove sorgeva l’antico chiostro denominato Paradiso, iniziarono i lavori per l’attuale chiostro pensile. La sobria ed elegante costruzione, terminata sicuramente prima del 1549, è attribuita a Tullio Lombardo. Il cortile, che poggia su quattro pilastri, è costituito da piani inclinati per convogliare l’acqua piovana nella grande cisterna sottostante che alimentava il pozzo centrale.

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    Questo chiostro raccoglie attorno a sé i locali più rappresentativi della vita dei monaci: la chiesa abbaziale, il refettorio monumentale, la biblioteca, il capitolo e la clausura.

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    Loggetta Fogazzaro



    All’angolo sud-est del Chiostro Pensile si può godere la suggestiva vista della campagna e dei vicini colli dalla Loggetta Belvedere, intitolata successivamente allo scrittore Antonio Fogazzaro per la descrizione che ne dava nel suo libro Piccolo Mondo Moderno.


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    Dal Chiostro Doppio prese avvio la grande ristrutturazione rinascimentale del monastero oggi esistente. Destinato fin dall’origine al dormitorio, custodisce anche oggi la clausura delle celle e degli spazi privati dei monaci.

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    Chiamato Chiostro Doppio perché strutturato su due piani uguali. Le arcate sono sorrette da colonne sormontate da capitelli decorati a foglie d’acanto e poggiate su un basamento continuo. Quattro lunghi corridoi interni collegano alle celle, riservate nel pianterreno ai novizi e al piano superiore ai monaci che hanno emesso la professione solenne.


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    È il chiostro d’ingresso dell’Abbazia. Chiamato “botanico” perché era destinato alla coltivazione delle piante officinali per la farmacia del Monastero una volta ospitata nelle sale del lato sud del chiostro.

    I lati del portico sono formati di colonne di marmo rosso e pietra bianca alternate, sormontate da capitelli ornati da foglie d’acanto. Le pareti affacciate sul giardino sono decorate da finestre monofore o bifore, trilobate. A coronamento di tutte le murature corre un fregio in cotto. Lungo le pareti del portico si aprono ampi portali di gusto rinascimentale.

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    Lungo il lato nord si trova la porta detta “della carità”, ad indicare la destinazione dell’accoglienza del chiostro stesso, e l’oratorio degli ospiti, con un altare ricoperto da un paliotto in scagliola del sec. XVII sormontato da un’immagine della Vergine Annunciata.

    Sul lato est si aprono due porte: la prima, tramite una scala, porta al piano superiore nel Chiostro Pensile e la seconda porta nel corridoio dove si trovano l’antico forno e le cantine addossate alla roccia, esso sfocia all’esterno su un giardino e sulle colture officinali.

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    Il lato sud, un tempo destinato alla farmacia del Monastero, ospita il laboratorio del Restauro del Libro.

    Infine il lato ovest consente l’accesso al Chiostro rustico, al monumentale scalone settecentesco e alle sale per i colloqui con gli ospiti.


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    Il Chiostro Rustico si estende ad ovest del complesso monastico, distaccato rispetto al nucleo centrale e un tempo destinato alle attività agricole (da qui la denominazione “rustico”). L’area doveva costituire una grande aia e attorno erano depositati gli strumenti per la coltivazione della campagna circostante il Monastero. Fino all’inizio del XX secolo era presente il frantoio per la produzione dell’olio per il monastero e per il territorio vicino.

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    Il pozzo in trachite che si erge al centro del chiostro è del periodo settecentesco.



    Gli edifici che delimitano il chiostro, ora ospitano l’infermeria per i fratelli anziani e malati; la foresteria per coloro che vogliono trascorrere qualche giorno nel monastero, la sala per i turisti e il Centro Convegni.




    Laboratorio di restauro del libro

    Il Laboratorio di restauro del libro è un’attività dell’Abbazia di Praglia; inaugurato il 24 settembre 1951, prosegue da allora la sua opera a favore di Enti Pubblici, Enti Ecclesiastici e Privati. L’anima dell’attività è scritta intrinsecamente nella tradizione benedettina: l’attenzione dei monaci amanuensi nel trasmettere il sapere continua oggi a Praglia in chi si dedica con passione all’affascinante arte del restauro del libro. Ingente e prezioso è il materiale passato tra le mani degli operatori: dall’Archivio si stima come si sia operato su un numero di pezzi che si avvicina a 25.000 senza contare piccoli interventi su documenti vari, di cui non si è conservata traccia scritta del loro transito in laboratorio. Manoscritti cartacei e membranacei, incunaboli, volumi a stampa di epoche successive, incisioni, mappe, disegni: dal codice membranaceo in onciale di Lattanzio (sec. VI-VII), alla più antica Carta Geografica d’Italia, a Bolle di Papi e di Imperatori, a Lettere con autografi illustri (Galileo Galilei, S. Gregorio Barbarigo, Alessandro Manzoni, Giuseppe Garibaldi, ecc.), fino ... ai nostri giorni ad opere meno conosciute; tutto è stato trattato con attenzione unica: ogni documento è prezioso in se e per quello che vuole trasmettere. Una menzione particolare va fatta, ad perpetuam rei memoriam, dell’opera di ricupero compiuta negli ultimi mesi del 1966 e nei primi del 1967, sui volumi e altro materiale danneggiato a Firenze per lo straripamento dell’Arno - 4 novembre 1966 - e contemporaneamente l’acqua alta a Venezia. Gli automezzi carichi di materiale alluvionato cominciarono ad arrivare nel pomeriggio del 9 novembre 1966 e continuarono il 10 e l’11. Da un calcolo approssimativo si contarono circa 1850 volumi da Firenze, in maggioranza di grande formato e molto altro materiale sciolto; tra i volumi e il resto furono recuperati circa 2500 pezzi. Da Venezia giunsero oltre 2000 volumi. Su tutto il materiale: fango, combustibile da riscaldamento e ogni genere di impurità caratteristica dei danni da evento di tale e tanta portata, causa eccezionale che ha accelerato non di poco il degrado e su cui si è dovuto intervenire tempestivamente.

    Attualmente in Laboratorio sono attivi 5 operatori: il monaco con responsabilità delegata che ha acquisito il titolo legale di restauratore di materiale cartaceo, altri due monaci con esperienza pluridecennale, un giovane all’inizio della sua avventura in monastero e il tecnico qualificato da oltre 35 anni di attività sul campo.



    Il restauro del materiale cartaceo, come e quando intervenire

    Il restauro è l’intervento diretto, sia fisico sia chimico, sui materiali e sulle strutture del bene culturale da conservare allo scopo di rallentarne i processi di degrado e di consentirne il più a lungo possibile la fruizione. Bene culturale da tutelare è pure l’immenso patrimonio custodito in Archivi e Biblioteche (sia di Enti Pubblici sia di Privati), perché come ogni altro materiale organico la carta è soggetta a degrado: la natura stessa delle sostanze che la compongono ne determinano l’invecchiamento naturale più o meno accelerato. Accentuano il degrado: le componenti delle mediazioni grafiche (inchiostri, colori, vernici, ecc), la polvere (notevolmente igroscopica), infezione da microrganismi (funghi e batteri), infestazioni (insetti e roditori), la luce sia naturale che artificiale, eventi eccezionali e da ultimo - ma non in fatto di danni arrecati - la non corretta manipolazione da parte dell’uomo. Si deve intervenire quando il bene culturale che dobbiamo tutelare è degradato e rischia di perdere la sua funzione di trasmettere informazioni.


    PRODOTTI



    Cosmetica

    Sulla base di documenti di archivio dell'antica spezieria del monastero, ricette sapientemente riformulate e rielaborate, i monaci di Praglia, nel loro laboratorio attrezzato, preparano creme e prodotti a base esclusivamente naturale, utilizzando erbe officinali e prodotti da alveare, continuando così un'antica tradizione.

    Tisane

    Le miscele di erbe sono idonee per la preparazione di infusi o decotti e possono essere utilizzate come coadiuvanti nel trattamento di varie sintomatologie. Le tisane devono essere assunte con cautela; in caso di incertezza consultare previamente un medico o persona competente.

    Il miele


    Il miele, ad alto potere nutriente ed emoliente, la cera, che svolge una azione protettiva della pelle, il polline, emoliente e rivitalizzante, la propoli, di cui è nota l'attività antisettica, doni dell'operosità e delle generosità delle api, che vengono dalle numerose arnie curate dagli stessi monaci, sono alla base delle formulazioni dei prodotti della linea Apis Euganea

     
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  2. tomiva57
     
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    Villa Barbarigo – Valsanzibio



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    By Luca,

    VALSANZIBIO, uno dei maggiori giardini d’epoca esistenti, fu portato all’attuale splendore, nella seconda metà del Seicento, dal nobile veneziano Zuane Francesco Barbarigo, aiutato dal figlio Antonio. Il primogenito Gregorio, Cardinale e futuro Santo, ispirò l’alta simbologia del progetto dovuto all’architetto e fontaniere Pontificio Luigi Bernini.Settanta statue, in buona parte opera del Merengo ed altrettante sculture minori si integrano ad architetture, ruscelli, cascate, fontane, laghetti, scherzi d’acqua e peschiere, fra innumerevoli alberi ed arbusti, su ben quindici ettari di superficie. Tale insieme venne concepito ed attuato per simboleggiare il cammino dell’uomo verso la propria perfettibilità e Salvazione.L’itinerario inizia dal monumentale ingresso che serviva anche di approdo alle barche giunte attraverso la valle da pesca di Santo Eusebio, da cui il nome “ValSanZibio”. Un tempo estesa a tutta la pianura la “Valle” oggi si limita al laghetto preservato per rispecchiare l’elegante costruzione. Questa è significativamente arricchita da fontane, bassorilievi e statue su cui domina Diana-Luna, la dea preposta alla natura ed agli animali selvaggi come pure a mutamenti e prodigi.Da qui, entrando in Giardino attraverso l’arco di Sileno, si costeggia la peschiera detta Bagno di Diana , la Fontana dellIride e la Peschiera dei Venti nonché il Labirinto , episodio legato all’esempio di San Gregorio Barbarigo.Giunti poi alla Fontana della Pila , girando a destra si imbocca il Gran Viale fiancheggiato dall’ Isola dei Conigli . Tale garenna, unica superstite nei pochi giardini d’epoca ancora esistenti, è qui simbolo della immanenza, cioè della condizione comune agli esseri viventi stretti fra i confini dello spazio e del tempo. Al di là del viale e giustapposta all’Isola una monumentale Statua raffigura il Tempo che ha interrotto il suo volo attraverso lo spazio che simboleggia la trascendente condizione in cui lo spirito umano spazia oltre gli abituali limiti dello spazio e del tempo Procedendo tra Immanenza e Trascendenza e tra le statue e fontane che inquadrano anche simbolicamente Isola e Tempo, si giunge alla scalea delle Lonze di Dantesca memoria, caratterizzata dal sonetto nel quale i significati del Giardino vengono spiegati a livelli diversi.Si raggiunge così piazzale della Villa dove le 8 allegorie delle prerogative del Giardino stesso e del suo Signore fanno corona alla Fontana della Rivelazione , meta finale del simbolico percorso.L’eccezionale integrità architettonica, scultorea, idraulica e persino vegetale (I) del complesso è dovuta alle solerti cure elargitegli da sei generazioni di Barbarigo. Nel 1804 la Casata si estinse e ne fu designato erede il Nobil Homo Marco Antonio Michiel. Seguirono dal 1835 gli altrettanto appassionati Conti Martinengo da Barco e poi i Conti Donà delle Rose e dal 1929 i Nobili Pizzoni Ardemani. Proprietari da tre generazioni dell’intera tenuta, Essi hanno riparato i disastri causati dalla occupazione militare e dal forzato abbandono dell’ultima guerra ed hanno recentemente ripristinato tutte i trentatre punti d’acqua del Giardino compromessi dal progressivo impoverimento sorgivo.Grazie a ciò Valsanzibio è oggi l’esempio raro di giardino simbolico leggibile, di gran giardino d’acque in completa efficienza e di seicentesco giardino all’Italiana


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    casa dell'eremita

     
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  3. tomiva57
     
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    Camposampiero



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    Camposampiero (Canposampiéro in veneto locale) è un comune di circa 12.118 abitanti (dati ISTAT novembre 2009) della provincia di Padova.

    Il Presidente della Repubblica il 20 luglio 2009 ha concesso a Camposampiero il titolo onorofico di Città.

    Storia
    L'origine del nome


    Nonostante la presenza romana sia stata molto forte, il toponimo Camposampiero è certamente di origine medievale. Il primo documento scritto a riportarlo è un atto notarile del 15 giugno 1117, ma si tratta di un riferimento indiretto: si cita infatti un Folco da Camposampiero, membro dell'omonima famiglia di feudatari (che presero il nome dal paese sul quale esercitavano il loro potere). Nel 1152 la bolla Justis fratrum di papa Eugenio III rivolta a Bonifacio (vescovo di Treviso) elenca, tra le altre chiese trevigiane, la plebem de Campo S. Petri cum pertinentiis suis riferendosi in questo caso però alla sola parrocchia di San Pietro. Il primo documento storico conservato nel quale la località viene citata in modo diretto è Italia Sacra dell'Ughelli, pubblicato a partire dal 1642, dove si parla appunto di Campus Sancti Petri.

    L'origine ed il significato del nome “Camposampiero” sono da ricercarsi nell'etimologia dei termini stessi che lo costituiscono, cioè campo e San Piero; e nonostante questa affermazione non sia supportata da documenti, ad oggi viene ritenuta la più credibile. È probabile che il primo, dal latino campus, fosse stato attribuito alla località durante la rinascita dell'anno Mille: l'abbattimento dei boschi che infestavano gran parte del Padovano permise infatti di ricavare nuovi spazi coltivabili, il termine campus applicata a questa località rifletterebbe quindi le condizione del suolo che da luogo incolto, boschivo e paludoso dopo il 1000 ritorna ad essere appunto campus cioè terreno produttivo. La denominazione Sancti Petri è assunta invece dal titolare della pieve, intitolata appunto a San Pietro, in modo da distinguere il paese da altri vicini come Campodarsego e Campo San Martino. Secondo la tradizione (molto discutibile) l'origine di questa pieve sarebbe da attribuirsi a San Prosdocimo fondatore di un sacello dedicato a San Pietro sulle rive del fiume Vandura.

    Doveroso è inoltre ricordare che nonostante siano evidenti le tracce di un insediamento coloniale romano ad oggi non sono note informazioni che permettano di dedurre quale fosse il suo nome.

    Età romana


    Il territorio di Camposampiero in epoca romana fu certamente abitato, questa affermazione è supportata dal fatto che il paese (in quella che è la sua configurazione attuale) era attraversato in direzione verticale dalla via Aurelia nonché posto in vicinanza della via Decumana, oggi Via Desman, che rispettivamente costituivano il Cardo Maximus ed il Decumanum Maximus del graticolato romano. Oltre a poter dedurre che la zona fosse popolata grazie alla vicinanza del paese all' umbilicus (tra l'altro in una zona così densamente popolata come l'agro padovano tale da poter escludere la presenza di luoghi disabitati) questo fatto è confermato dal ritrovamento di numerosi ruderi appunto di epoca romana quali medaglie, lapidi, pignatte piene di carbone e ossa frantumate, tombe ad arcosolio e murazzi.

    Ad oggi non è invece possibile affermare se l'area fosse abitata anche in periodi precedenti all'epoca romana.

    Alto medioevo

    Non esiste praticamente nessun documento che fornisca notizie sugli eventi che si verificarono a Camposampiero nel corso dell'alto medioevo, è però possibile avere un'idea generale delle vicende di questo periodo analizzando ciò che avvenne nella regione e nelle città circostanti ed in particolare nella vicina città di Padova.

    È certo che Alarico I, con i Visigoti verso il 400 e Radagaiso e con gli Svevi, Burgundi e Alani verso il 405, devastarono il Veneto raggiungendo le mura di Padova e non essendo riusciti ad espugnarla attaccarono i paesi limitrofi. Alarico discese nuovamente in Italia nel 409 riuscendo questa volta ad entrare a Padova saccheggiandola.

    Sempre Padova venne poi nuovamente saccheggiata nel 452 dalla mano degli Unni di Attila e vista la posizione di Camposampiero essi probabilmente si trovarono nella necessità di attraversane il territorio nell'andata e nel ritorno, per questo è facile pensare anche in questo caso i due centri abitati subirono lo stesso destino. È noto inoltre che alla voce dell'arrivo degli Unni molti abitanti della terraferma spaventati dal continuo riapparire dei barbari cercarono rifugio nelle paludi, dove avrebbero poi fondato Venezia.

    Con la fine dell'impero romano (476) il paese seguì il destino dell'intera Italia, conquistata dagli Eruli di Odoacre prima e dai Goti di Teodorico poi (489).

    Sessant'anni dopo quest'ultimi vennero sopraffatti dai Bizantini di Narsete, a loro volta sconfitti dai Longobardi di Alboino nel 568. La città di Padova che nel conflitto restò fedele ai bizantini opponendosi all'avanzata dei Longobardi, venne punita con la diminuzione del suo territorio e Camposampiero assieme e Vigodarzere e Piove di Sacco venne depredata ed occupata dai duchi di Treviso (il titolo di duca con i Longobardi corrispondeva allo status di governatore di una provincia). Alcuni indizi fanno pensare che in questo periodo di dominazione Longobarda Camposampiero sia stata sede di uno sculdascio. E' noto inoltre che nel 589 si verificò la storica alluvione della Rotta della Cucca, in cui l'Adige, il Bacchiglione ed il Brenta esondarono, allagando le campagne circostanti provocando così una grave carestia alla quale seguì l'arrivo della peste. La dominazione Longobarda ebbe termine circa duecento anni dopo nel 774.

    A questo punto due terzi del territorio italiano passarono sotto il controllo di Carlo Magno il quale instaurò il regime feudale che come si vedrà sarà un'istituzione fondamentale per la storia di Camposampiero, il paese infatti sarà capoluogo di un feudo e sede di un feudatario. Anche il dominio di Carlo Magno giunse al termine (nel 888) ed ad esso seguì l'istituzione del regno d'Italia con a capo Berengario il quale venne funestato nel 889 dall' arrivo degli Ungheri. Anche quest'evento, con il quale si chiuse il ciclo delle invasioni barbariche, è cruciale per la storia di Camposampiero, gli Ungheri infatti inizialmente sconfitti da Bengario fuggirono, ma nei pressi di Fontaniva vennero bloccati da una piena del fiume Brenta, in questa situazione l'esercito sconfitto trovandosi in una morsa costituita dal fiume da una parte e dall'esercito di Bengario al loro inseguimento dall'altra, con una mossa disperata attaccarono gli inseguitori riuscendo ad aprirsi un varco fra di essi, assalendoli così alle spalle facendone massacro; i vincitori poi, attaccarono e diedero alle fiamme la città di Padova. Gli Ungheri ridiscesero più volte in Italia nel corso dei successivi vent'anni inducendo i feudatari a costruire mura e castelli, ed a questo costume si uniformarono successivamente pure i feudatari di Camposampiero.

    Successivamente a Berengario, il territorio italiano passò di mano in mano in sequenza a Rodolfo di Borgogna (924), Ugo di Provenza, Berengario d' Ivrea ed infine ad Ottone di Sassonia imperatore di Germania con il quale iniziò la dominazione degli Ottoni durata per quarant'anni (961-1002). In particolare sotto questa dominazione il governo delle città venne affiato a vescovi ed abati (i quali non avrebbero compromesso l'autorità regale), mentre ai marchesi ed ai conti vennero lasciati i feudi di campagna come ad esempio Camposampiero ed Onara . Alla morte di Ottone III (1002) marchesi e conti elessero re d'Italia Arduino d'Ivrea ma a tale decisione si impose il nuovo imperatore Enrico II il quale scese per due volte in Italia per rivendicare i suoi diritti. Fra coloro che accompagnarono l'imperatore, un'antica tradizione ricorda un certo Tiso che dall'imperatore stesso ottenne poi il feudo di Camposampiero dal quale la famiglia prese poi il nome. Proprio ai Tiso, ai quali è indissolubilmente legata la storia del paese, si deve l'edificazione del castello..


    TORRE DI PORTA PADOVA O DELL'OROLOGIO


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    Ha pianta quadrata, di circa metri 6.50 di lato ed altezza intorno ai 24 metri. E’ interamente costruita in mattoni di cotto, senza utilizzo di pietra e sasso. Le murature hanno spessore di poco meno di un metro alla base, per degradare fino a 50 cm alla sommità. Lo spazio interno risulta suddiviso da solai di travi e tavolati di legno. Il piano interno si apre sulla via ed è attualmente utilizzato per una attività commerciale.Da questo vano, per mezzo di una scala in legno si accede ai pani superiori. L’intero perimetro, alla quota di 15 metri è interessato da una serie continua di aperture ad arco murate. Si può ipotizzare che la torre si concludesse in origine poco sopra questo ordine di aperture. Relativamente recente è certamente l’ulteriore elevazione con la parte terminale formata in ghisa di cella campanaria, aperta sui quattro lati, bifore arcate di uguale forma e dimensione, ora parzialmente tamponate. Il tetto ha la struttura di legno, con manto di coppi ed è composto di quattro falde di cui quella sud è dotata di abbaino. Databile intorno al 1450 è la campana bronzea. Al 1926, risale invece il bassorilievo rappresentante il leone di San Marco, opera dello scultore A. Pennello, che sostituisce quello antico, distrutto dai francesi nel 1797.Vale infine la pena di ricordare che, quasi a voler a voler gettare un ponte ideale tra il presente ed il proprio ricco passato, il Consiglio Comunale ha di recente approvato l’adesione di Camposampiero all’Associazione Città Murate del Veneto, patrocinata dalla Regione per la tutela e la salvaguardia dei resti delle fortificazioni medievali.


    Monumenti e luoghi d'interesse

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    chiesa di san marco




    La chiesa di San Marco Evangelista sorge sulla riva destra del Vandura, di fronte alla parrocchia di San Pietro, ed appartiene alla Diocesi Padovana. Monumento tra i più antichi e significativi di Camposampiero, conserva pregevoli testimonianze artistiche. Le prime notizie che di essa disponiamo risalgono alla fine del XII sec., quando viene nominata nel testamento di Gherardino, della famiglia dei conti di Camposampiero. Intorno alla metà del XV sec. il sacello primitivo fu ricostruito e la chiesa nel 1496 venne consacrata. Di dimensioni molto piccole, aveva soffitto a tavelle, era dotata di tre altari posizionati in maniera diversa rispetto agli attuali, pavimentata e con le pareti riccamente decorate. La necessità di renderla più capiente, dettò nel tempo numerosi interventi strutturali che vennero a modificarne l’impianto originale. Il più importante venne effettuato nel 1733: in quell’occasione la chiesa venne innalzata e prolungata. Alla metà del XIX sec. risale la cappella che ospita l’altare dedicato al Sacro Cuore di Gesù, mentre, verso la fine del secolo scorso fu edificata la cappella dedicata ai Santi. Le due navate laterali vennero ricavate invece nel 1923, con l’abbattimento di alcuni muri. In quell’occasione venne anche creato l’abside semicircolare. Infine, nel 1956, le navate vennero prolungate verso sud di un metro. Un cenno lo merita il campanile che, nella parte inferiore della canna, coincide col nucleo più antico della chiesa. All’interno della parrocchiale si possono ammirare numerose opere d’arte di pregevole fattura: affreschi, dipinti su tela, sculture, suppellettili in argento, marmi policromi. Le testimonianze più antiche ed insieme più significative dal punto di vista storico artistico, sono costituiti dagli affreschi della Natività e della resurrezione di Cristo che decorano l’arco trionfale e sono attribuibili ad artista padovano del primo decennio del ‘500. Assai notevole anche la scultura lignea del crocifisso collocato sull’altare maggiore, opera probabilmente di artista veneto della prima metà del ‘700. Essendo ancora vicina nel tempo una ricorrenza assai importante per tutta la parrocchia di San Marco, sembra giusto concludere ricordando che le celebrazioni tenutesi in occasione del cinquecentenario della consacrazione, dal 3 dicembre 1995 al 24 novembre 1996, ricche di momenti culturali, concerti, manifestazioni e momenti di preghiera, hanno rappresentato una occasione, prontamente raccolta, per un recupero dei valori spirituali ed artistici di questa bella chiesa.


    Molteplici sono i monumenti da visitare a Camposampiero, ma i più importanti sono quelli legati al soggiorno di Sant'Antonio di Padova. All'interno del Santuario del Noce sono raccolti alcuni pregevoli affreschi di Girolamo Tessari. L'autore è detto "del Santo" perché è piuttosto conosciuto per i suoi molti dipinti che hanno come soggetto la vita di Sant'Antonio.


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    Santuario del Noce


    Il Santuario del Noce, risalente alla prima metà del sec XV. venne edificato sul luogo dove sorgeva l’albero di noce dal quale il Santo predicava alle umili genti di campagna. E’ uno dei santuari artisticamente più interessanti della provincia di Padova. Ampliato in tre momenti successivi, venne arricchito nella seconda metà del sec. XV da un ciclo di affreschi di Girolamo Tessari, detto Del Santo, che raffigura i più importanti miracoli di Sant'Antonio, di alcuni dei quali costituisce l’unica testimonianza iconografica. Pregevole all’interno anche la pala di Bonifacio De Pitati (1533), collocata nell’abside e raffigurante il Santo che predica dal noce.


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    La primitiva chiesa di San Giovanni sorse in epoca antecedente al castello, come dimostra la sua collocazione al di fuori delle mura originarie. Solo in seguito divenne cappella dei Castellani, i conti di Camposampiero. E’ assai probabile che sia stato lo stesso Tiso IV a chiamare a Camposampiero i frati francescani e ad affidare loro la chiesa, attorno la quale si formò il convento. Qui sostò Sant’Antonio quasi ininterrottamente, nell’ultimo mese della sua vita terrena, fino alla morte sopraggiunta all’Arcella il 13 giugno 1231. Nel secolo successivo, chiesa e convento soffrirono delle aspre lotte tra Carraresi ed i Camposampiero per il possesso del castello. A causa delle continue ostilità i francescani furono costretti ad emigrare. La rinascita di quei luoghi così ricchi di memorie antoniane, si deve a Gregorio Camposampiero che, tra il 1426 e il 1431 (quindi già in epoca di dominio veneziano), fece ricostruire, ampliandone le dimensioni, sia il convento sia la chiesa. Quest’ultima era a navata unica, in stile gotico con tendenze rinascimentali. Nel XVII secolo, obbedendo al gusto barocco, furono apportate nuove modifiche con l’aggiunta di una navata, di nuovi altari e di alcune cappelle. Nel 1767, la Repubblica di Venezia soppresse il convento che venne quindi abbandonato dai frati. Chiesa e convento passarono nuovamente sotto l’egida dei conti di Camposampiero ma, in breve tempo, caddero in rovina tanto che, nel 1798, l’intero complesso eccetto il coro e parte della navata principale, preservate per la necessità del culto fu demolito. Nel 1854, la famiglia Allegri, subentrata ai Camposampiero nel possesso dei santuari, cedette gratuitamente al Municipio di Camposampiero i diritti di proprietà sul convento, la chiesa di San Giovanni e l’oratorio del noce. Nel 1895, i frati francescani fecero ritorno al loro antico convento e fecero erigere la chiesa attuale, di struttura inponente, che fu inaugurata nel 1909. Interessante, all’interno, la cella della Visione, recentemente restaurata, facente parte della prima chiesa, i cui resti sono visibili all’entrata, protetti da un vetro. Si narra che qui Antonio ebbe la visione di Gesù Bambino. Essa è impreziosita dalla tavola che, secondo la tradizione, venne utilizzata da Sant'Antonio quale giaciglio. Andrea Vivarini, fondatore della scuola pittorica di Murano, fiorente verso la metà del XV secolo, vi ha ritratto l’effige del grande Taumaturgo. Nel corso dei secoli la tavola, oggetto di continua venerazione, ha subito menomazioni, a causa della devozione popolare che è venuta tagliuzzandola per ricavarne delle reliquie.


    Chiesa di San Pietro

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    Come già anticipato secondo la tradizione (molto discutibile) l'origine di questa pieve sarebbe da attribuirsi a San Prosdocimo fondatore di un sacello dedicato a San Pietro sulle rive del fiume Vandura[7], in un sito però diverso dalla sede dell'attuale chiesa. Anche se questa tradizione supporta un'origine antica (primo secolo d.C.) della pieve, il suo nome appare nei documenti in epoca molto più recente, infatti la prima citazione compare nella già citata bolla Justis fratrum (1152) anche se appunto, più che all'edificio sacro, ci si riferisce all'istituzione della pieve.






    PALAZZO TISO

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    Palazzo Tiso, attualmente sede municipale, costituiva originariamente la rocca dimora dei feudatari e parte integrante di un castello medioevale dotato di un potente sistema fortificato.Esso rispondeva alla necessità di difesa in un territorio pianeggiante, privo di protezioni naturali.Era attrezzato con porte munite di torri, circondato da una cintura di fossa ricavata dallo sdoppiamento del fiume Vendura e reso più sicuro da argini, ponti levatoi, catene di sbarramento e mura.Il recinto interno, avente forma di quadrato con gli angoli smussati, comprendeva, oltre alla rocca, il campo di marte, depositi, caserme e poche abitazioni.Tale disposizione richiamava quella di Noale, di poco posteriore, e si può quindi considerare che questa fosse la struttura di numerosi castelli del territorio, di cui ora rimangono tracce incerte.Il castello. Secondo quanto accreditato dalla maggior parte degli storici, venne edificato intorno al 1085 ( tesi accettata dal Ministero della P.I.) da Tiso II e Gherardo I , appartenenti alla famiglia di feudatari il cui capostipite, Tiso I , era giunto in Italia all’inizio dell’undicesimo secolo al seguito dell’imperatore tedesco Enrico II , dal quale aveva ricevuto l’investitura.La storia di Camposampiero si identificò da allora , per alcuni secoli con quella dei suoi feudatari, che da essa avevano mutuato il nome.Erano costoro famiglia guelfa, ricordata dai cronisti dell’epoca come quarta per importanza nella Marca Trevigiana dopo i Da Camino, gli Estensi e i Da Romano.Le sanguinose lotte tra i Camposampiero e questi ultimi - in particolare il più famoso di essi Ezzelino - originate da futili motivi e rinfocolate da conflitti di potere e contrapposizioni Guelfi - Ghibellini, sparsero lutti per oltre un secolo in tutta la Marca.Quando nel 1405 il castello fu sottomesso a Venezia, la Serenissima ne mantenne le funzioni militari di difesa ed assegnò a Camposampiero un Vicario veneziano per sottolinearne l’importanza da un punto di vista strategico. Venne quindi creata una podesteria comprendente un territorio esteso a 33 ville.La relativa tranquillità di cui godette Camposampiero sotto lo sguardo vigile e fiero del leone di San Marco, venne turbata allorché, nel 1513, il castello fu assalito dalle truppe spagnole, nel quadro degli eventi bellici innescati dalla guerra di Cambrai.Sembra destituita di fondamento l’opinione secondo cui, a questa circostanza, si debba far risalire la rovina del castello.L’episodio fu certamente grave, ma la struttura muraria non dovette esserne intaccata in maniera determinante. Probabilmente in quell'occasione, com’era successo a Noale, bruciarono tutti i manufatti in legno, ma non furono distrutti i sistemi difensivi. E’ certo invece che da allora iniziò un certo declino del castello, le cui strutture vennero addirittura utilizzate come cava per materiali da costruzione, fino alla distruzione, pressoché completa nel Settecento. Analogo destino toccò alle mura, l’ultimo tratto delle quali venne demolito nel 1841. Il lento ma impietoso fluire del tempo e le mutevoli vicende storiche hanno apportato nel corso dei secoli modifiche sostanziali all’aspetto del palazzo Tiso, fino a fargli assumere quello attuale: semplice e severo


    Cultura
    Eventi


    Il passaggio della Maratona di S.Antonio (Vedelago-Padova) e la partenza della "Mezza Maratona" (Camposampiero-Padova), che ricordano il cammino di Frate Antonio prima della morte, aprono per Camposampiero la stagione delle manifestazioni e delle serate che movimentano il centro cittadino.

    La Fiera Regionale della Zootecnia di Rustega
    (frazione), detta semplicemente Fiera di Rustega, è una manifestazione di notevole importanza che si svolge annualmente la prima domenica di Maggio. Nel 2010 la manifestazione compirà il 34º anniversario, essa comprende raduno moto d'epoca, serate con musica dal vivo (Rockofr non stop e ballo liscio)e stand gastronomico, in zona fiera (quartiere Bastia) sono visitabili la mostra equina, bovina ed avicola, oltre a molti altri animali di diverse razze, ma anche macchine agricole e giardinaggio. La mostra mercato offre una possibilità di commercio alla quale possono partecipare i commercianti della zona.

    La Sagra del Santo
    è organizzata in onore del santo patrono Sant'Antonio, con manifestazioni, stand gastronomico (quartiere Babelli) e Parco Divertimenti (in piazza).

    La Festa della Fragola, che si svolge la seconda domenica di maggio, è costituita da diverse manifestazioni tra cui l'elezione di miss Fragola, la fiera mercato con oltre 200 bancarelle, le serate "ALLA RISCOPERTA DEI SAPORI" in piazza castello, concerti, e altri tipi di intrattenimento. La festa della Fragola è organizzata con la collaborazione tra la Pro Loco e il Comune di Camposampiero, con il patrocinio della Regione Veneto, la Provincia di Padova e la Camera di Commercio, Industria, Artigianato, Agricoltura di Padova.

    Una piazza per giocare, viene organizzata in giugno, durante la quale nella piazza del capoluogo vengono allestiti stand-laboratori nei quali i bambini possono cimentarsi nella realizzazione di manufatti, la partecipazione ha un costo di 3 euro ed è resa possibile grazie al patrocinio del comune e dell'associazione "anche il bambino è un cittadino" che offre diverse attività a favore della gioventù per sensibilizzarli alla vita sociale.

    Estate in Piazza:
    altra grande manifestazione che dura per tutti i mesi estivi con concerti serali organizzati dalle Accademie Musicali della città; presentazioni di libri con la collaborazione della Biblioteca Comunali; teatro, cinema, cabaret, intrattenimento e molto altro ancora tengono viva la città ponendola centro culturale dell'Alta Padovana.


    Personalità legate a Camposampiero

    * Dino Baggio, calciatore.
    * Eleonora Pedron, showgirl e Miss Italia 2002.
    * Lorenza Mario, ballerina italiana.
    * Carlo Carraro, economista e statistico.
    * Paolo Piva, conduttore radiofonico RDS Radio Dimensione Suono.
    * Chiara Rosa, pesista
    * Ferruccio Macola, conte, giornalista e politico italiano.
    * Daniele Gastaldello, calciatore.


     
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    Brenta (fiume)


    Da Wikipedia

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    Regioni: Trentino-Alto Adige- Veneto

    Lunghezza 174 km

    Portata media 60-90 m³/s a Bassano del Grappa

    Bacino idrografico 5.840 km²

    Altitudine sorgente 450 m s.l.m.

    Nasce Lago di Levico e lago di Caldonazzo

    Affluenti Moggio, Grigno, Cismon, Valstagna, Oliero, Muson dei Sassi, Canale Piovego, Taglio Nuovo, Bacchiglione, Gorzone

    Sfocia Mare Adriatico a Chioggia

    Il Brenta è un importante fiume italiano che scorre in Trentino-Alto Adige e in Veneto; è uno dei principali fiumi tra quelli che sfociano nell'alto Adriatico, a nord del Po ed è lungo circa 174 km.

    Il nome
    Le popolazioni dei territori attraversati dal fiume lo hanno sempre nominato al femminile. Questo nome indica, nel dialetto trentino e soprattutto in Valsugana, per estensione, le riserve di acqua che i paesi tenevano in caso di incendi. La storia e i ricordi ancestrali delle terribili alluvioni subite dalle popolazioni del Veneto centrale hanno coniato il termine “Brentana” per alluvione. Il suo nome cimbro è invece Brintaal.
    In epoca romana il fiume era individuato come “Medoacus” (secondo una interessante interpretazione "in mezzo a due laghi" ovvero tra i laghi di origine e la zona lacustre delle foci, la laguna), o più probabilmente in riferimento ai due bacini più settentrionali della laguna di Venezia, quando esso seguiva come letto il corso dell'attuale Canal Grande ed ai suoi due lati vi erano i due suddetti bacini non ancora uniti in una laguna intera.
    Gli studiosi concordano che prima del 589 il fiume transitasse anche per Padova (Patavium, Patavas, ovvero "abitanti di palude") più o meno in corrispondenza dell'attuale linea ferroviaria, e qui vi confluisse il sistema di canali padovano, ma non tutta la bibliografia concorda che esistesse, nelle attuali valli del Canale di Brenta e di Valsugana, una colonia di Galli chiamati Mediaci.
    Di certo durante il Medioevo comparve il termine "Brintesis", forse dal latino "rumoreggiare", a ricordo delle diverse inondazioni oppure, e sembra essere prevalente, dal ceppo germanico "Brint" (fontana) o "Brunnen" (scorrere dell'acqua). Questa interpretazione sembra consolidata dall'uso in tante altre parti del Veneto del diminutivo "Brentella" per indicare un piccolo corso d'acqua.
    Fino alla piena del 589 il Brenta sfociava assieme al Piave in quella che oggi è la bocca di porto del Lido, percorrendo il letto dell'attuale Canal Grande, mentre il Piave giungeva dall'attuale canale lagunare di San Felice. A seguito della rotta, il Brenta sfociò nell'attuale bocca di Malamocco, ed il Piave prese il corso attuale del Sile, lasciando le terre attorno ai loro vecchi corsi alla mercé delle maree, che li impaludarono formando l'attuale Laguna di Venezia.

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    a Bassano



    Il percorso attuale del fiume
    Il profilo geografico del Brenta è così suddividibile, mutuando la descrizione dello storico Andrea Gloria fatta nel 1862:
    • la sorgente: il fiume nasce dai laghi di Levico e di Caldonazzo, Provincia di Trento.
    • la parte montana: il Brenta percorre tutta la Valsugana, attraversando il paese di Borgo Valsugana. A Primolano entra nel Canale di Brenta, transitando per Cismon del Grappa, Valstagna, San Nazario, Campolongo sul Brenta, Solagna, Pove del Grappa e Campese.

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    il brenta a Piazzola sul brenta



    • la “Brenta Superiore”: raggiunta la pianura veneta presso la città di Bassano del Grappa, dove scorre sotto il famoso “Ponte degli alpini” progettato da Andrea Palladio, prosegue il percorso planiziale con struttura meandriforme ed alimenta le falde freatiche di diversi fiumi di risorgiva quali il Sile, il Dese e altri minori. Transita in prossimità di Nove, Cartigliano, Tezze sul Brenta, Fontaniva, Cittadella, Carmignano di Brenta, Grantorto, San Giorgio in Bosco, Piazzola sul Brenta, Campo San Martino, e prosegue con un alveo navigabile per Curtarolo e Vaccarino, tocca Limena, Vigodarzere, Vigonza, Ponte di Brenta, Noventa Padovana ed arriva a Stra, dove, per mezzo di chiuse, inizia il ramo minore della Brenta Vecchia e la Brenta Nuova.
    • la Brenta Vecchia: è il ramo naturale minore, individuato ora anche con il nome di Naviglio del Brenta, ed è composto da tre tronchi : il primo tra Stra, Fiesso d'Artico (l'antico “Flexum”), fino alla chiusa di Dolo; il secondo da Dolo fino alle chiuse di Mira Porte; il terzo da Mira, Oriago per sfociare nella Laguna di Venezia a Fusina, frazione di Venezia. L'insieme urbano, storico e paesaggistico compreso tra Fusina e Stra viene chiamato Riviera del Brenta.
    • la Brenta Nuova o della “Cunetta”: è il ramo principale, opera finale delle diverse diversioni idrauliche degli alvei del fiume compiute in sette secoli di lavoro ed ultimate ai primi anni del 1900. Questo ramo inizia da Stra, prosegue per Vigonovo, Corte di Piove di Sacco, Codevigo, Valli di Chioggia. Le acque del Brenta si intersecano con quelle del Bacchiglione in località Ca' Pasqua di Chioggia alle quali si aggiungono appena più a valle quelle del Canale Gorzone-Fratta in località Punta Gorzone e del Canal di Valle in località Punta Molin, generando un grosso alveo molto largo; i due fiumi passando per la località di Brondolo di Chioggia, sfociano assieme nel Mar Adriatico presso l'attuale località turistica del Bacucco ovvero Isola Verde, a sud di Chioggia.
    • Taglio Novissimo del Brenta: è il canale di diversione delle acque della Brenta Vecchia, scavato nel 1610, che convoglia le acque del Taglio Nuovo da Mira Taglio (dove quest'ultimo sfocia), passando per Porto Menai, Lugo e Lova (frazioni di Campagna Lupia), Valli di Chioggia e sfociando infine nelle valli della Laguna di Venezia a nord di Chioggia. L'argine sinistro del canale, che divide la campagna dalla laguna, è utilizzato dall'attuale Strada Statale 309 Romea.

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    località Palazzina


    Gli affluenti e defluenti
    I suoi affluenti sono:
    • il torrente Centa presso Levico
    • il torrente Larganza presso Roncegno
    • il torrente Moggio presso Borgo Valsugana
    • il torrente Ceggio presso Borgo Valsugana
    • il torrente Maso presso Scurelle
    • il torrente Chieppena presso Villa Agnedo
    • il torrente Grigno presso Grigno
    • il torrente Cismon presso Cismon del Grappa
    • il torrente Valstagna di 9,18 km, in prossimità di Valstagna
    • il fiume Oliero a Valstagna
    • il torrente Muson dei Sassi tra Vigodarzere e Cadoneghe
    • il Canale Piovego tra Padova e Stra
    • il Canale Taglio Nuovo, diversione del fiume Muson Vecchio, presso Mira Taglio.
    • il fiume Bacchiglione, a sud di Chioggia, prima della foce
    • il canale Gorzone a sud di Chioggia, prima della foce presso Cà Pasqua
    I defluenti sono:
    • il Canale Brentella presso Limena, che cede acqua al fiume Bacchiglione
    • il canale della centrale idroelettrica ad acqua fluente di Cà Barzizza (Bassano del Grappa)


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    la riviera



    La storia idrogeologica del fiume

    Il Brenta, con il Piave, è considerato uno dei due fiumi che hanno generato la Laguna di Venezia. Il deflusso delle acque del Brenta, all'uscita dalla sbocco dalla valle Canale di Brenta, a sud di Bassano del Grappa, hanno interessato nei secoli l'attuale territorio compreso tra il percorso del Bacchiglione e del Tergola e del Musone.


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    loc. Valstagna



    Il Medoacus
    Nell'epoca romana, e fino all'alto Medioevo, il Medeoacus proseguiva dopo Bassano, secondo il Baldan, con due percorsi.
    Il ramo destro transitava per Friola, Carmignano, Gazzo, Grossa (frazione di Gazzo), Malspinoso (località di Piazzola sul Brenta), Poiana (località di Campodoro), Lissaro (località di Mestrino), Mestrino, Rubano, Sarmeola (frazione di Rubano) ed entrava in Padova nella zona di Sant'Agostino.
    Il ramo sinistro partiva sempre da Friola, Fontaniva, Carturo, Presina e Tremignon, frazioni di Piazzola sul Brenta, Curtarolo, Limena, Taggi (frazione di Limena), Ponterotto e Montà (località di Padova) entrando nel centro di Padova presso gli Scalzi.
    Nel 589 ci fu una terribile alluvione che sconvolse nel Veneto centrale gli alvei di ben quattro fiumi: l'Adige, il Bacchiglione, il Brenta, il Cismon. Uno sconvolgimento tale che il fiume Cismon cambiò addirittura il bacino fluviale passando da quello del Piave a quello del Brenta. L'alluvione spostò in quella occasione le acque del ramo destro del Brenta a Curtarolo per proseguire per Limena, Vigodarzere, Torre (frazione di Padova), Noventa Padovana, abbandonando così la città di Padova, per poi bifocarsi in due nuovi rami a Villatora (frazione di Saonara).
    Secondo gli storici Temanza, Gloria e Baldan questi alvei erano individuati come Medoacus Minor e Maior.

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    Medoacus Minor
    Il Medoacus Minor, scendeva, secondo il Gloria"attraverso Camino (Camin, frazione di Padova, vicina a Villatora), Saonara, Legnaro del Vescovo, Arzarello (frazione di Piove di Sacco), Arzergrande, Vallonga (frazione di Arzergrande), Rosara (frazione di Codevigo) non lungi da Corte (frazione di Piove di Sacco), fino alla laguna, (nell'area del presidio militare di Venezia della Torre delle Bebbe), quasi dirimpetto a Portosecco, (nell'isola veneziana di Pelestrina); ramo che venne successivamente deviato al Porto di Brondolo, posto a sud di Chioggia nel secolo quinto.”

    Medoacus Major

    Il Medoacus Major proseguiva per Stra e Fiesso d'Artico. A Fiesso c'era una nuova biforcazione. Il ramo principale proseguiva per i territori di Paluello (frazione di Stra), Sambruson (frazione di Dolo), e Lugo di Campagna Lupia e sfociava in laguna di fronte al porto di Malamocco. Il ramo minore (con portate d'acqua insignificanti) continuava per Dolo, Mira, Oriago, Fusina, ovvero il percorso della Brenta Vecchia. In alcuni altri documenti[4] questo ramo minore è stato definito nei secoli anche con il nome di Una e Praealtum.

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    Abbazia Sant'Ilario di Venezia

    Nel 819, al momento del trasferimento dei monaci benedettini di San Servolo nell'Abbazia Sant'Ilario di Venezia, i canali del delta del fiume Brenta erano individuati con questi nomi:
    • l'Una, un ramo minore del Medoacus Major che deviava da Dolo verso Fusina
    • il Clarino (in località Dogaletto del Comune di Mira, dove fu costruito il primo monastero),
    • il ramo del fiume che passava per Lova di Campagna Lupia (individuato anche come "Mino Medauco") ,
    • il fiume Cornio che arrivava fino a sud di Padova passando a nord di Lova e di Bojon
    • altri canali fra i quali Gambararia, Seuco ed Avisia, ...

    Il Brenta tra Padova e Venezia
    Nel Medioevo era fondamentale il controllo dei percorsi fluviali. Per questo motivo il Brenta fu il principale oggetto delle battaglie tra le città di Padova e di Venezia perché, a causa del delta del fiume, i territori sotto il controllo della Serenissima non erano ben definiti e accettati.
    Padova, dal canto suo, per contenere le esondazioni nell'area urbana aveva innalzato delle poderose arginature del fiume presso l'antico Vicus Aggeris (Vigodarzere) tanto grandi da sorprendere Dante Alighieri in viaggio come ambasciatore dei Da Polenta, signori di Ravenna.

    « E quale i padovan lungo la Brenta
    per difender lor ville e lor castelli
    anzi che Chiarantana il caldo senta
    [...]
    a tale immagin eran fatti quelli
    tutto ché né sì alti né sì grossi
    qual che si fosse lo maestro felli
    »
    (Inferno, canto XV)


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    chiusa




    Il Canale Piovego

    Nel 1139 i Vicentini in guerra con Padova scavarono il Canale Bisato per privare l'acqua di difesa della città. Le acque tornarono alla normalità solo con la pace di Fontaniva. Nel 1209, come risposta della Repubblica di Padova (proclamata nel 1175 e che durò fino al 1318, con la parentesi degli Ezzelini), fu quella di garantirsi l'acqua di difesa escavando il canale Piovego congiungendo così la città con il Brenta nella zona di Stra, ottenendo così la possibilità di ridurre i percorsi fluviali con Venezia.

    La Brentasecca
    Nel XII secolo, durante la guerra di Padova contro Venezia, esisteva ancora il vecchio alveo del Medeoacus Major chiamato anche Brentasecca che collegava Dolo via Sambruson a Lugo di Campagna Lupia. I padovani cercarono di riattivarlo per ridurre il percorso tra la laguna e Padova e per non pagare le gabelle poste da Venezia alle foci con il presidio della Torre delle Bebbe oltre che per aggirare lo strapotere dei frati dell'Abbazia Sant'Ilario di Venezia. Padova, vista la necessità di far presto e in mancanza di mezzi adatti per eseguire la notevole opera idraulica incisero, durante un periodo di scontri militari, gli argini del fiume provocando una paurosa innondazione con il ripristino delle zone acquitrinose e malariche sui terreni del delta già bonificati. L'intervento fu così grave che per far fronte a questa situazione i frati furono costretti ad andar via dall'Abbazia e costruire un nuovo castello a Gambarare di Mira.

    I primi documenti dell'interesse della Repubblica di Venezia per i problemi del controllo delle foci del Brenta sono del 1299. Nel 1330 lo storico veneziano Alvise Cornaro definì il problema del governo delle acque del delta del Brenta (insalubrità, sedimentazioni, alluvioni) come “questa mala visìna” (questa cattiva vicina) che la Signoria doveva, secondo la sua opinione, “portarla un poco in là”.


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    pioveggio



    La "tajada"
    Nel tempo i veneziani constatarono diverse modificazioni dei percorsi dei fiumi, dei rii, delle loro foci e dei canali della laguna. Ad esempio il canale dell'Orfano rimase invaso di melme da renderlo impraticabile tanto che nel 1336 fu necessario scavarlo.
    Le preoccupazioni dei governanti della Serenissima furono tali che decisero di bloccare le acque di qualsiasi fiume che sfociasse dentro alla laguna facendo costruire un terrapieno parallelo alla terraferma con l'obiettivo di deviare le acque della foce della Brenta Vecchia di Fusina verso la laguna di Malamocco. Quest'opera, decisa il 16 febbraio 1330 fu chiamata “la tajada” (la tagliata) e fu ultimata nel 1339. Il terrapieno venne chiamato “argine di intestadura”. Questo argine, fatto a circa 40 metri dal limite della laguna, fece confluire tutte le acque dei vari fiumi noti con i nomi di: Brenta Vecchia, Volpadego, Tergola, Clarino, Avesa, Laroncelo, Virgilio, Uxor (Lusore), Musone, Una, Bottenigo, Lenzina in un canale chiamato Brenta Resta d'Aglio. Il suo letto percorreva, partendo da Mestre, le attuali vie Brentavecchia, Cappuccina, Dante, Fratelli Bandiera, raccogliendo quindi tutte le acque che passavano per i Bottenighi, per farle sfociare a Malcontenta. L'inesperienza idraulica del tentativo provocò l'aumento della sedimentazione delle vecchie foci e un aumento della intestatura con la conseguenza di allagamenti nei territori di Oriago, Gambarare, e Bottenighi. Alla fine per dare sfogo alla pressione fu aperto uno scarico verso la laguna sul canale Visigone. Fu tombato e sostituito da condotte fognarie nel ventesimo secolo in concomitanza con la costruzione della zona industriale di Porto Marghera. Aspre polemiche ha suscitato nel 2009 il cedimento del terreno nei pressi della stazione ferroviaria di Mestre dove si stava scavando un sottopassaggio per il nuovo tram, causato dall'ignoranza da parte degli organi competenti che il tracciato seguito dallo scavo corripondeva al vecchio letto del canale (quindi suscettibile di instabilità geologica e idraulica).

    La Brenta Nova
    Tra il 1488 e 1507 la Repubblica Serenissima effettuò una ulteriore diversione del fiume Brenta Vecchia. L'opera, che partiva dalle chiuse di Dolo si dirigeva verso Sambruson, Calcroci di Camponogara, Campagna Lupia, Bojon di Campolongo Maggiore, Corte di Piove di Sacco e proseguiva fino a Codevigo, chiamata "Brentone" o "Brenta Nova" portò ad esiti discutibili nei confronti dell'equilibrio idrografico del territorio. Di quello sforzo di irreggimentazione delle acque della Brenta Vecchia rimane ora soltanto l'argine sinistro, utilizzato da una strada, vecchio percorso della SS16.

    Nel 1605, dopo i fallimenti precedenti per governare le acque della "mala visìna" di Venezia, il Senato approvò, nel contesto delle decisioni assunte con la istituzione delle Prese del Brenta, un nuovo progetto di diversione della Brenta Vecchia, quello di Gianluigi Gallesi.
    Il nuovo canale, chiamato Taglio Nuovissimo del Brenta, per distinguerlo dal vicino e contemporaneo Taglio Nuovo del Muson Vecchio, incanala le acque, ora come allora, della Brenta Vecchia da Mira Taglio in direzione di Porto Menai per proseguire in modo rettilineo, per circa 20 km, fino al Passo della Fogolana. Attualmente il canale transita vicino a Conche per sfociare in Laguna di Venezia in località Valli, quasi di fronte al porto di Chioggia. Invece nel 1610, come si può vedere dalla mappa dello storico Bernardino Zendrini, il tracciato continuava fino a sfociare a sud di Chioggia, nella zona della attuale foce della Brenta detta della "Cunetta".
    Dopo il completamento di quest'opera, innagurata nel 1612, la Repubblica di Venezia definì i primi provvedimenti per la gestione pubblica delle valli della propria laguna. Per questo motivo lungo tutto l'argine di questo canale furono posizionati dal Magistrato alle Acque una sequenza di cippi segna confini per segnalare la cosiddetta conterminazione lagunare.

    Le “Prese” della Brenta
    Nel XVI secolo a seguito dei lavori di chiusura e di deviazione delle foci dei fiumi in laguna tutti i territori dell'entroterra subirono disastrose alluvioni. Per rispondere alle proteste delle popolazioni il Senato Veneto delibera il 23 giugno 1604, in previsione dell'esecuzione del Canale Taglio Nuovissimo istituisce le “Sette Prese”.
    Le “Prese del Brenta” erano dei consorzi pubblici e obbligatori che dovevano coordinare le attività, le opere, e il deflusso di tutte le acque degli scoli delle campagne in un unico sistema idraulico. Le Prese sono state le antisignane dei moderni Consorzi di Bonifica. Per questo nella Regione del Veneto gli attuali Consorzi si richiamano, nelle definizioni e nelle aree amministrate, alle vecchie "Prese".
    Le “Prese” associavano i proprietari dei beni rustici di un territorio che dovevano riunirsi per l'elezione di tre presidenti. La gestione delle Prese era fatta dai presidenti che si avvalevano di appositi funzionari ed esattori per accertare i beni ed incamerare gli oneri sulle proprietà fondiarie, chiamati “campatici”, da campo.
    Nella definizione dei confini dei singoli bacini idraulici fu adottato il principio che le acque dovevano scolare, secondo i Savi delle Acque, nel nuovo canale Taglio Nuovo di Mirano del fiume Muson Vecchio e nel Taglio Novissimo del Brenta anziché nell'alveo della vecchia Brentasecca.
    Le “Prese” comprendevano:
    • la Prima Presa i terreni a nord ovest di Fusina, per una estensione di circa 4.400 campi con 1.400 proprietari;
    • la Seconda Presa i terreni di Mestre, Martellago, Spinea, Mirano, Salzano e Mira per una estensione di circa 23.000 campi;
    • la Terza Presa i terreni di Mirano, Camposampiero, Resana, Loreggia per una estensione di circa 25.000 campi.
    • la Quarta Presa i terreni da Loreggia fino al Carpené e Treville per una estensione di circa 3.000 campi;
    • la Quinta Presa i terreni dei distretti di Mirano, Dolo, Camposampiero per una estensione di circa 46.500 campi;
    • la Sesta Presa i terreni di una parte del distretto di Dolo e tutto del distretto di Piove di Sacco per una estensione di circa 60.000 campi;
    • la Settima Presa, divisa in Superiore (i terreni dei distretti di Campagna Lupia, Campolongo, Camponogara, parte di Dolo e di Mira a ovest del Nuovissimo) e Inferiore (parte del distretto di Campagna Lupia e quello di Codevigo tra il Nuovissimo e il Brenta) per un totale di 15.000 campi.
    Le storiche "brentane"
    • 589: diversione del fiume a Curtarolo
    • 1110: in seguito ad un maremoto scomparvero le isole di Veglia, Tosigono, Carbonaria e Albiola[6]
    • 1725: coinvolgimento dei paesi del miranese; a Vetrego, fu documentato un livello dell'acqua pari al primo piano della canonica.
    • 1781: rottura degli argini
    • 1823, 1827, 1839: a seguito di queste brentane intervenne l'ingegnere Paleocapa
    • 1966, ha sconvolto quasi tutto il territorio del bacino idrico del fiume e dei suoi affluenti.
    • 2010, ha rischiato di esondare con oltre 0,5 m di pioggia in pochi giorni.



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    Bacchiglione




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    Regione- Veneto

    Lunghezza 94.39 km

    Portata media ~ 30 m³/s

    Bacino idrografico--1.400 km²

    Altitudine sorgente ~ 1100 m s.l.m.

    Nasce-Monte Pasubio

    Sfocia-Mare Adriatico insieme al Brenta

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    piena



    Il Bacchiglione è un fiume del Veneto lungo 118 km che scorre nelle province di Vicenza e di Padova.

    Corso
    Il fiume nasce da alcune risorgive nei comuni di Dueville e di Villaverla (VI), prendendo inizialmente il nome di "Bacchiglioncello". Poco a monte della città di Vicenza riceve le acque provenienti dal sottobacino del Leogra-Timonchio (che scende dal monte Pasubio) e assume il nome di Bacchiglione.
    A Vicenza riceve da destra le acque del fiume Retrone e da sinistra quelle del torrente Astichello. Altri tributari giungono da sinistra a sud est del capoluogo: il fiume Astico-Tesina e il Ceresone. Dopo Selvazzano Dentro il fiume entra canalizzato nell'area urbana di Padova attraversando canalizzato tutta l'area sud della città da ovest a est.
    Nel tratto vicentino presenta un andamento ricco di meandri e anse mentre nel tratto padovano presenta una fisionomia differente con un corso rettilineo, con numerosi interventi dell'uomo.
    Il corso totale del fiume è lungo circa 118 km ed ha un bacino di raccolta che si estende per 1400 km².
    La portata media del Bacchiglione presso Padova è di circa 30 m³/sec e si presenta sufficientemente copiosa anche in estate grazie all'apporto sorgivo di parte del bacino. Il fiume è comunque soggetto a piene autunnali e primaverili, talvolta anche disastrose.

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    Canale Bisatto

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    I canali tra Brenta e Bacchiglione

    A Longare, se ne distacca il Canale Bisatto (o "Canale Bisato"), costruito nel XII secolo da veronesi e vicentini per poter privare Padova delle acque del fiume durante le numerose contese dell'epoca, come racconta Dante nel IX canto del "Paradiso". Il canale si dirige verso Lozzo Atestino ed Este; prosegue poi verso Monselice ("Canale Este-Montelice") e oltre verso Battaglia Terme ("Canale Battaglia" o "Canale di Monselice"), dove si riunisce al Canale Battaglia, proveniente da Padova. Attraverso il Canale Vigenzone ("Canale Cagnola") le acque si ricongiungono quindi con il fiume Bacchiglione ("Canale di Pontelongo"), permettendo ai vicentini di arrivare a Chioggia senza passare da Padova.


    Poco prima di Padova il fiume riceve le acque del Canale Brentella, costruito nel 1314 dai padovani in modo da impedire ai vicentini di togliere alla città le acque del fiume deviandole nel Canale Bisatto. Il Canale Brentella si origina dal fiume Brenta a Limena, dove l'afflusso è regolato da una barriera idraulica (i "Colmelloni"), e si unisce al Bacchiglione poco prima dell'odierno aeroporto patavino.

    Canale Battaglia

    Arco+di+Mezzo

    Poco oltre, dalla località Bassanello (attualmente nella periferia meridionale di Padova) si distacca dal fiume Bacchiglione il Canale Battaglia (XII secolo), diretto a sud verso Battaglia Terme: qui si collega con le acque provenienti dal Canale Bisatto, che si distacca dal fiume presso Vicenza. Attraverso il Canale Vigenzone, poi "Canale Cagnola", le acque confluiscono quindi nuovamente nel tratto finale del Bacchiglione ("Canale di Pontelongo").



    Canale Scaricatore



    Per evitare i danni delle alluvioni nella seconda metà del XIX secolo (con un sostanziale rifacimento a partire dagli anni venti) venne costruito il canale Scaricatore, che partendo da Bassanello permette di riversare le acque in eccesso nella prosecuzione del fiume dopo l'uscita da Padova (canale di Roncajette), presso la località di Voltabarozzo.




    Canali interni di Padova

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    Il fiume entra quindi a Padova da sud (ponte dei Cavai).
    Una prima diramazione avviene all'inizio delle mura rinascimentali, al bastione Alicorno: il piccolo canale prende tale nome, costeggiando le antiche mura fino a Porta Santa Croce, dove piega internamente; quindi tombinato sotto Via 58º Fanteria (fra il Foro Boario e la Caserma Salomone) entra infine in Prato della Valle dove va ad alimentare la canaletta dell'Isola Memmia.
    Da qui si dipartivano altri due antichi canali, quello ancora esistente dell'Orto Botanico e quello detto di San Leonino (che serviva i monaci dell'Abbazia di Santa Giustina). Il primo è visibile in un piccolo tratto all'interno del giardino dell'Antonianum, dietro la chiesetta; riemerge quindi dietro la Basilica di Sant'Antonio, ed all'altezza del Ponte Corvo si unisce al Canale di Santa Chiara (vedi sotto).
    Una seconda diramazione del fiume avviene davanti alla Riviera Paleocapa, subito dopo la cosiddetta Torre del Diavolo, dove si diparte il Canale delle Acquette, oggi tombinato, che prosegue dritto verso la chiesa del Torresino e quindi il Prato; dove però non entra, ma attraversando Via Umberto va poi ad unirsi dietro le case al Canale di Santa Chiara (vedi sotto).
    Alla Specola il Bacchiglione si divide in due rami principali: il Tronco maestro, verso nord, costeggiando le antiche mura medievali; e il Naviglio Interno, verso est, che percorre internamente tutto il centro storico medievale, e fu tombinato fra il Ponte delle Torricelle e le Porte Contarine negli anni '50-'60.
    Qui i due rami principali confluiscono nuovamente, dopo la chiusa che permette al Naviglio di superarne il dislivello, e formano il Canale Piovego. Esso prosegue quindi verso est fino al fiume Brenta, che raggiunge nei pressi di Stra, dove si collega inoltre con la riviera del Brenta, ed il lungargine di Altichiero (che viene da Padova nord-ovest).
    Dal Naviglio si diparte, all'altezza del Ponte delle Torricelle (Toresee), dove oggi sorge la questura, il Canale di Santa Chiara, che prendendo la direzione opposta arriva all'Orto Botanico e quindi a Ponte Corvo.
    Infine, il Canale di Santa Chiara, ricevendo le acque del Canale dell'Orto Botanico, diviene il Canale di San Massimo, tombinato nel secondo dopo guerra sotto l'Ospedale, per poi riemergere dopo l'ex obitorio e gettarsi nel Piovego alla Stanga.
    Prima di questo, però, laddove esce dalle mura rinascimentali alla Golena di San Massimo, da esso si diparte il Canale Roncajette, che prosegue in direzione sud-est verso Legnaro attraversando tutta l'area urbana.



    Il Canale di San Gregorio

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    All'altezza delle chiuse di Voltabarozzo, il Canale Scaricatore si divide in due rami: uno prosegue verso sud-est, dove si unirà al Canale Roncajette ripristinando il basso corso del Bacchiglione; l'altro piega verso nord-est, divenendo il Canale di San Gregorio. Dopo aver attraversato la zona della chiesa dell'Internato Ignoto, supera il Canale Roncajette grazie ad una "volta a botte" (che gli permette letteralmente di "saltarlo"), ed in località Camin (sempre comune di Padova) si unisce al Piovego.

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    La prosecuzione del fiume come "canale Roncajette" e "canale Pontelongo"

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    Il fiume esce da Padova con il nome di Canale Roncajette e piega a sud-est. A Bovolenta riceve le acque del canale Vigenzone (o "Canale Cagnola"), provenienti dal Canale Bisatto (diramazione del Bacchiglione dai pressi di Vicenza) e dal Canale Battaglia, e le acque del Canale Scaricatore (diramazione del Bacchiglione proveniente da Padova). Prosegue quindi in un alveo canalizzato prendendo anche il nome di canale di Pontelongo e confluisce presso la località "Ca' Pasqua" nel fiume Brenta .
    Il fiume Bacchiglione dopo essersi congiunto con il Brenta si getta, a pochi chilometri, nell'Adriatico, con foce ad estuario.

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    bacchiglione





    Alluvione dell'1 e 2 novembre 2010

    Dopo due giorni continui di piogge incessanti ed ingrossato dallo scioglimento delle nevi in montagna, nella mattinata del 1º novembre 2010 il Bacchiglione ruppe gli argini nel territorio comunale di Caldogno, poco a nord di Vicenza, allagando completamente i centri abitati di Cresole e Rettorgole. Nella stessa mattinata il fiume esondò nell'attraversamento di Vicenza allagando una grossa fetta del centro storico e il 30% della città.
    Durante la notte proseguendo nel suo corso verso Padova, travolse la chiusa del quartiere Bassanello, porta sud della città ed importante nodo del traffico cittadino, spazzando via gli impianti sportivi della storica società canottieri Rari Nantes, dalla quale fuoriuscì nei giorni successivi il cloro solitamente utilizzato nella depurazione delle piscine, provocando l'intossicazione di un operaio e il blocco della zona per presenza nube irritante. Anche il limitrofo quartiere Paltana viene allagato.
    Sorpassata la città, mentre la diga che interessa il canale Scaricatore rilasciava quantità d'acqua enormi per salvare il centro storico patavino e la zona industriale, il fiume ruppe poco dopo l'argine destro in località Roncajette di Ponte San Nicolò, inondando completamente la stessa ed il centro abitato di Casalserugo.
    La falla era larga quasi 50 metri e venne chiusa nella notte del 2 novembre, alle 5 di mattina, provocando l'innalzamento del livello del fiume e la tracimazione nella zona di Bovolenta e Rio di Ponte San Nicolò.
    Durante la giornata il Bacchiglione aveva già allagato i comuni di Tencarola di Selvazzano, Saletto, Veggiano e Vighizzolo d'Este, alcuni di questi colpiti anche dalla tracimazione del fiume Frassine e del canale Battaglia, oltre a Cervarese Santa Croce ed Ospedaletto Euganeo.



    20101101_vicbac

    bacchiglione-cresole

    esondazione-bacchiglione




    da: wikipedia
    foto dal web

    Edited by tomiva57 - 16/1/2012, 14:05
     
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    Agno -Guà(fiume)
    Da Wikipedia


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    Regioni
    Veneto

    Lunghezza 110 km

    Nasce monte Rotolon, Gruppo della Carega

    Sfocia Brenta, a 5 km dal mare


    agno


    L'Agno è un fiume che nasce nelle Prealpi venete, più precisamente nelle Piccole Dolomiti, nella zona del Gruppo della Carega denominata Rotolon. Scorre per 110 chilometri dando origine alla valle omonima. Lungo il suo corso muta nome diventando prima Guà, poi Frassine, e infine si immette nel canale Gorzone, che sfocia nel Brenta a 5 km dal mare Adriatico in prossimità di Brondolo, frazione di Chioggia.
    Va anche detto che, nei pressi di Cologna Veneta, il Guà è collegato artificialmente al fiume Fratta, attraverso il LEB, che porta acque provenienti dal fiume Adige. Il fiume Fratta a cui è collegato, nasce nella zona di Arzignano e assume anch'esso vai nomi (Roggia di Arzignano, Rio Acquetta, Scolo Rio, Togna, Fratta e infine canale Gorzone) ed ha un percorso pressoché parallelo al Guà fino a Montebello. Il Fratta prima di Montebello si sviluppa da una serie di rogge del torrente Chiampo ed è alimentata anche da acque sorgive, alle quali si uniscono i contributi idrici della zona collinare compresa fra Costo di Arzignano e Tezze; anche gli scoli della pianura, limitata dall'argine sinistro del Chiampo e da quello destro del Guà, vi convogliano le loro acque.
    La zona della sorgente dell'Agno invece è particolarmente franosa a causa della falda sotterranea e assume per questo il nome di Rotolon. Nel suo corso da Recoaro a Trissino, circa 25 chilometri, è racchiusa fra argini piuttosto stretti. Solo dopo Trissino il suo letto si allarga in una zona che è anche area faunistica del WWF.
    Pur nascendo in una delle zone più piovose del veneto, come la conca di Recoaro Terme, lungo il suo corso l'Agno-Guà assume spesso un regime torrentizio, con secche estive dovute all'utilizzo agricolo e industriale delle sue acque nella Valle omonima, in particolare nei centri di Valdagno e Cornedo Vicentino.
    A Sarego però riceve il Brendola, un piccolo fiume, ma abbastanza ricco di acqua perenne, che scende dalla località omonima, sulle colline dei Berici. È il Brendola, quindi, che alimenta il Guà per tutto il suo ulteriore percorso. In questo modo, non rimane mai senza acqua, nemmeno nei periodi estivi o invernali di magra.
    Presso Montebello è stato formato un invaso negli ultimi anni, che viene allagato in caso di necessità, affinché le piene non causino allagamenti nella bassa pianura vicentina, veronese e padovana. Il bacino di espansione è limitato ad est dall'argine del Guà, ad ovest da quello del Chiampo e a sud dal terrapieno della strada statale.
    Il fiume attraversa quindi le province di Vicenza, Verona, Padova e Venezia.



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    Denominazioni




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    • Agno dalla sorgente alla frazione Tezze di Arzignano.



    Agno

    • Guà dalla frazione Tezze di Arzignano a Roveredo di Guà.



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    • Frassine da Roveredo di Guà fino Brancaglia (località vicino ad Este).




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    • Canale Brancaglia da Brancaglia a Prà d'Este.



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    • Santa Caterina da Prà d'Este a Vighizzolo d'Este.


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    • Nei pressi di Vighizzolo d'Este, il Frassine sfocia nel Fratta che però ha mutato denominazione in Gorzone




    agno
    bacino

    Piene e straripamenti


    Sono innumerevoli le tracimazioni e gli allagamenti, avvenuti nei secoli scorsi, in seguito alle piene dell'Agno-Guà, dovute alle piogge torrenziali. Ecco le date principali:
    1513, 1539, dal 1820 al 1856 (nel totale 712 rotte), 1862, 1882, 1896, 1898, 1901 (in seguito a questa piena a Cologna si decise di deviarne il corso, più a nord e, l'antico alveo, attualmente è la strada principale del paese: il Corso Guà).



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    Prà di Botte-alluvione


    In data 01/11/2010 in localita' di Pra' di Botte, in comune di Megliadino San Fidenzio (PD), una rotta per sifonamento (lunga circa 120 m), in destra idraulica, ha causato l'allagamento delle campagne circostanti, interessando i comuni di: Megliadino San Fidenzio, Saletto, Ospedaletto Euganeo, Carceri e Vighizzolo d'Este.


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    Lonigo-111
    vecchio mulino sul Guà a Lonigo







     
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    Tartaro-Canalbianco-Po di Levante
    Da Wikipedia


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    Tartaro-Canalbianco-Po di Levante



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    Regioni
    Veneto
    Lombardia

    Lunghezza 147 km

    Portata media 218.40 m³/s

    Bacino idrografico
    2.885 km²

    Altitudine sorgente 47 m s.l.m.

    Nasce Povegliano Veronese

    Affluenti Tione dei Monti, Tione, Fissero, Scolo delle paludi di Ostiglia, Tregnon, Menago, Bussè, Fossa Maestra, Valdentro, Ramostorto Adigetto, Cavo Maestro Bacino Superiore, Collettore Padano Polesano

    Sfocia Mare Adriatico presso Porto Levante






    Il Tartaro-Canalbianco-Po di Levante è un fiume dell'Italia nordorientale che sbocca nel mare Adriatico fra l'Adige ed il Po.
    È uno dei pochi fiumi italiani che nascono in pianura da risorgive, assieme ai suoi affluenti. Il tratto iniziale, della lunghezza 52 km, è naturale e prende il nome di "Tartaro". Esso è connesso, a monte, attraverso il nodo idraulico di Governolo, al sistema dei laghi di Mantova. Si estende tra le sorgenti e la conca di Torretta Veneta. Da tale località entra in provincia di Rovigo che attraversa longitudinalmente per la sua intera lunghezza. Il tratto intermedio è costituito da un canale artificiale che prende il nome di "Canalbianco" o canal "Bianco" fino alla conca di Volta Grimana ed è lungo 78 km. Il tratto finale è stato ricavato da un antico ramo deltizio del fiume Po e prende infatti il nome di "Po di Levante". Esso ha una lunghezza fino alla foce di 17 km. La lunghezza totale del fiume dalle sorgenti al mare è di 147 km.
    Per ragioni storiche, qualcuno (in particolare la popolazione locale) chiama ancora "Tartaro" anche il tratto che va da Torretta a Canda, della lunghezza di 18 km, oggetto della sistemazione più recente.
    Il fiume è navigabile per 113 km, dalla confluenza del canale Fissero, con il quale costituisce l'idrovia Fissero-Tartaro-Canalbianco o "Mantova-mare", fino alla foce in Adriatico. Si collega inoltre alla linea navigabile "Po-Brondolo" che dalla laguna di Chioggia permette di raggiungere Venezia. Sbocca nel mare Adriatico in località Porto Levante del comune di Porto Viro, all'altezza dell'isola di Albarella.
    Può essere definito il nuovo sbocco a mare commerciale e diportistico della provincia di Rovigo; sul Po di Levante sorgerà nei prossimi anni il porto di Cà Cappello.



    fiumi



    Il bacino idrografico



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    Il fiume Tartaro a San Zeno in Valle, comune di Villa Bartolomea (VR)


    Il bacino idrografico del sistema Tartaro-Canalbianco-Po di Levante è ufficialmente chiamato "bacino del Fissero-Tartaro-Canalbianco" o, più raramente, "bacino del Fissero-Tartaro-Canalbianco-Po di Levante".
    Il fiume Adige ha il suo ultimo tributo di destra in Val d'Adige, con i piccoli affluenti montebaldini; il Po ha il suo ultimo apporto in sinistra con il fiume Mincio; il bacino del Fissero-Tartaro-Canalbianco si colloca quindi tra quelli di questi due corsi d'acqua e comprende tutti i territori della bassa veronese, della mantovana orientale e dell'alto, medio e porzione nord del basso Polesine, facendo da gronda del territorio compreso tra l'Adige e il Po.
    Le risorgive o fontanili del Tartaro sono localizzate sul confine dei comuni di Villafranca di Verona e Povegliano Veronese, comune con 44 risorgive censite. Il territorio a sud delle risorgive iniziali è ricco di polle che fanno parte del bacino idrografico del fiume Tartaro. Fra le più a nord vanno citate le sorgenti Liona e la risorgiva Giona.
    Nella parte sud del suo percorso nella provincia di Verona raccoglie acque di risorgiva di tutti i comuni della parte sud ovest della provincia stessa.
    Gli affluenti principali del Tartaro sono il Tione dei Monti, il Tione, il Fissero e lo Scolo delle paludi di Ostiglia. Alla confluenza del Tione, presso Gazzo Veronese, sorge l'oasi del Busatello, riserva naturale affidata al WWF. Nel bacino idrografico del Tartaro vi è una estensione massima che corrisponde alle Valli Grandi Veronesi.
    Il Canalbianco ha come affluenti principali il Tregnon, il Menago, il Bussè, la Fossa Maestra, il Valdentro, il Ramostorto e l'Adigetto da sinistra; il Cavo Maestro Bacino Superiore e il Collettore Padano Polesano da destra.


    Storia

    Al tempo dell'Impero Romano il Tartaro scorreva grossomodo in quello che oggi è l'alveo dell'Adigetto. Il tratto terminale del fiume era chiamato Filistina ed era un canale artificiale, scavato presumibilmente dagli Etruschi, che sfociava presso Pellestrina; la Filistina era connessa sia con l'impianto di bonifica idraulica, anche questo di probabile origine etrusca, che drenava le Paludi Adriane, sia col fiume Po, del quale era uno dei sette rami dell'antico delta.
    Dopo il dissesto causato dalla rotta della Cucca del 589 l'Adige rimase disalveato per secoli, trasformando quello che oggi è il basso Polesine in acquitrini e paludi; il Tartaro, tramite la Filistina, finì anch'esso per alimentare questi acquitrini.
    A partire dal IX secolo intorno alle sue rive nacquero i primi nuclei abitati di Badia, Lendinara, Villanova, Rovigo e Villadose. In una bolla di papa Giovanni X del 920 il fiume, presso il quale il vescovo di Adria Paolo Cattaneo fonderà il castrum di Rovigo, è ancora chiamato sia Tartaro che Filistina.
    In seguito alla rotta del Pinzone (l'attuale Badia Polesine) intorno al 950 l'Adige deviò nuovamente il proprio corso e si riversò nell'alveo che fino a quel momento era stata la Filistina, cancellandole il nome; le acque del Tartaro, rifiutate dal nuovo corso dell'Adige, presero a scorrere in un paleoalveo del Mincio, che corrispondeva a un altro antico ramo del delta (il Po di Adria) al quale presumibilmente erano rimaste connesse fin dalla rotta della Cucca. Il drenaggio insufficiente del nuovo corso finì per causare l'impaludamento della zona conosciuta come Valli Grandi Veronesi e di altre zone dell'alto e medio Polesine.
    Il Tartaro divenne un affluente del Po in seguito alla rotta di Ficarolo del 1152; all'altezza di Ariano il nuovo corso, chiamato Po di Ficarolo, si divise in due rami: il Po di Ariano (ora Po di Goro) verso sud e il Po di Fornaci verso nord. Alla confluenza col Tartaro, il Po di Fornaci si divise, nei secoli successivi, in altri tre rami, uno dei quali era il Po di Levante.


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    In seguito alle rotte del 1434-1438 si generò un diversivo dell'Adige chiamato Castagnaro, che si riversò nel Tartaro all'altezza di Canda, cambiandone radicalmente la portata al punto che, fino alla fine del XV secolo, il tratto da Canda al Po venne considerato la prosecuzione del Castagnaro e il Tartaro venne considerato un suo affluente.
    All'inizio del XVI secolo si progettò e si mise in opera la regolazione del Castagnaro, che a causa delle torbide dell'Adige era diventato pensile ed esondava frequentemente; le acque dell'Adige erano molto più chiare rispetto a quelle del Tartaro e le popolazioni, sorprese dal cambiamento, iniziarono a chiamare "canal Bianco" il tratto così regolato, a partire dalla confluenza col Castagnaro.
    In seguito al taglio di Porto Viro, operato dalla Repubblica di Venezia nel 1604 a monte della confluenza, il ramo abbandonato del Po di Levante diventò il tratto finale del fiume. Ancora oggi, tramite la conca di Volta Grimana, il corso d'acqua rimane collegato al Po senza però riceverne le acque.
    Nel 1838 il diversivo del Castagnaro venne definitivamente chiuso e il Canalbianco diventò lo scolo esclusivo delle acque del Tartaro. Nel corso del XX secolo gran parte del corso a più riprese è stato sistemato e parzialmente deviato per renderlo navigabile. I lavori di armamento della foce si sono conclusi nell'anno 2000.



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    Fissero


    Il riso

    Legato al bacino del Tartaro è il riso Vialone Nano. Ha come caratteristica dichiarata quella di essere coltivato in aree irrigate con acqua di risorgiva. Il territorio del Vialone Nano veronese coincide praticamente con la presenza delle centinaia di risorgive che danno vita al fiume e ai suoi affluenti.
    Geografia antropica
    Il Tartaro-Canalbianco-Po di Levante funge da confine naturale tra diversi comuni, attraversandone altri.
    A partire dalla conca di Torretta Veneta, il Canalbianco segna il confine tra i comuni di Villa Bartolomea e Castagnaro in provincia di Verona e i comuni di Castelnovo Bariano e Giacciano con Baruchella in provincia di Rovigo. Attraversa poi la il centro abitato di Zelo, frazione di Giacciano con Baruchella, passando sotto lo storico ponte asburgico. Attraversa anche il centro abitato di Castelguglielmo.
    In comune di Rovigo il corso del Canalbianco fa da confine naturale fra le frazioni di Sant'Apollinare e Fenil del Turco.
    Attraversa il comune di Adria, lambendone l'abitato; l'antico ramo che attraversava la città è stato comunque preservato.
    Nel tratto finale segna il confine tra Rosolina e Porto Viro, ove sono inserite diverse realtà commerciali che utilizzano la navigazione fluviale e marittima per lo svolgimento delle loro attività.






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    gara di pesca




    Po di Volano




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    Po di Volano



    Lunghezza: km
    Portata media: m³/s

    Bacino idrografico: km²
    Altitudine della sorgente: m s.l.m.

    Nasce: Stellata

    Sfocia: Mare Adriatico

    Stati/regioni attraversati: in Emilia-Romagna: Provincia di Ferrara


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    Il Po di Volano (o semplicemente Volano) è un ex-ramo deltizio del fiume Po che si separa dal corso principale in destra idrografica all'altezza di Stellata e, passando attraverso la città di Ferrara, sfocia in mare con una foce ad estuario a est di Codigoro, presso il Lido di Volano.
    In epoca medievale era il corso principale del Po, fino alla "Rotta di Ficarolo", del 1152, quando il fiume ruppe l'argine sinistro presso l'attuale omonimo paese in provincia di Rovigo, assumendo, per quel tratto, il corso attuale. All'interno dell'abitato di Ferrara si diparte da esso, in destra idraulica, un altro ramo chiamato Po di Primaro che un tempo sfociava a nord di Ravenna dopo aver lambito Argenta.
    Dopo il Taglio di Porto Viro operato dai Veneziani nel 1604 il ramo di Volano, così come quello di Primaro, si è progressivamente interrato e ridotto ad un canale regolato.



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  11. tomiva57
     
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    da:helloveneto.it
    24/04/2010


    BERICI SHIRE – la campagna vicentina sfida il colosso Toscano


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    Da secoli la campagna vicentina ed i colli Berici parlano straniero: qui Shakespeare “incontrò” Romeo e Giulietta e qui, oggi, il turista si meraviglia della bellezza selvaggia della natura vicentina, della narrativa storica dei paesini, dell’ospitalità della “gentes berica”.

    I Colli Berici sono una realtà da scoprire? Sì, per noi che ci viviamo e per coloro che ci visitano. Sono molte le località, i personaggi, gli scorci naturali e le storie da raccontare in questo polmone verde che non ha nulla da invidiare a Toscana, Piemonte, Umbria o chissà quali altre regioni che tanto vengono menzionate nei vari reportage di Linea Verde o Gente Viaggi.
    Se nella parte est dei Berici, le strade “Dorsale dei Berici” e “Riviera Berica” ci mettono in contatto con le ville contadine, i giardini da favola e i borghi dalla storia secolare, dall’altre parte dei Berici, l’Ovest, la SP 500 e le altre stradine che costeggiano i colli completano l’opera d’arte guidandoci lungo un percorso intriso di natura, storia, arte contadina e letteratura internazionale.

    L’itinerario

    La Val Liona, Orgiano e Lonigo

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    Il percorso parte dalla Val Liona, Valle che da Grancona si apre alla campagna fino ad Orgiano, poi si prosegue per la cittadina di Lonigo, e quindi verso nord per Sarego, Brendola fino ad arrivare a Montecchio Maggiore e Montorso.
    Grancona è il punto di partenza di questo itinerario, un paesetto che dalla frazione di Pederiva si alza verso la vetta del colle. Si arriva alla vetta dopo aver percorso una strada tortuosa immersa nei campi di girasole, una volta giunti alla piazza antistante la chiesa parrocchiale, si può ammirare il verde delle colline vicentine che si apre verso la pianura padana, con uno scorcio sui colli Euganei. Si prosegue per la zona del Castellaro di Grancona, dove si visiterà il Museo della Civiltà Contadina, uno dei più grandi e più forniti musei in Veneto; voluto e allestito da Carlo Etenli nel 1995, da una semplice ex-stalla è oggi divenuto un fabbricato di quasi 3000 metri quadrati contenente la storia della nostra civiltà veneta e non solo: trattori e macchine a vapore funzionanti da oltre 100 anni, macchine per la filatura e la tessitura, mulini ad acqua e “tamisi”, aratri datati ancora prima del 1800, un’intera aula di scuola risalente al periodo fascista restaurata dalla paziente mano dello stesso Etenli, sono non solo una scoperta per il giovane turista, ma anche una riscoperta del tempo che fu per chi, in quest’area, ha sempre vissuto.

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    Dopo Grancona partiamo per Orgiano, con sosta a San Germano dei Berici, in particolare verso la località di Campolongo, dove si può visitare l’antico borgo costruito sui resti di edifici di probabile origine medievale, forse di proprietà di Conforto da Barbarano che, nella seconda metà del ‘200, era Signore di Campolongo.


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    Di sicuro interesse è Villa Dolfin, il cui complesso, racchiuso entro le mura, comprende oltre alla chiesa e alla villa anche una bellissima colombara con un accesso ad arco acuto. Per chi arrivasse a Campolongo all’ora di pranzo suggeriamo l’agriturismo e bed & breakfast “Antica Colombara”.
    A pochi chilometri sorge Orgiano, un piccolo paese famoso per essere probabilmente la vera fonte del romanzo di Alessandro Manzoni “I Promessi Sposi”. L’origine di Orgiano viene fatta risalire all’epoca romana, grazie al toponimo del paese che significherebbe “fundus Aurelianum” (Proprietà di Aurelio), ma è anche goliardicamente ascoltata una vecchia leggenda che recitava “là, in quel paese, le genti órgiano”.

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    Da vedere ad Orgiano è senza dubbio la Villa Fracanzan Piovene dell’architetto Muttoni, originalissima opera di inizio 1700. Una volta entrati nella villa si viene accolti da una spettacolare collezione di macchine agricole d’epoca ordinatamente disposte nel prato antistante la barchessa, un parco che si estende lungo la campagna veneta e che sembra infinito all’orizzonte; la villa stessa fa rivivere la vita dei signori di campagna nei secoli scorsi grazie all’arredamento d’epoca ancora in perfette condizioni (un ambiente su tutti è la grande cucina, lascia il turista a bocca aperta). Ripartendo per Lonigo, merita comunque un’occhiata, in centro ad Orgiano, il Palazzo dei Vicari, l’attuale sede comunale fatta costruire nel 1592 dalla famiglia Fracanzan: la facciata principale del palazzo è ricca di lapidi ed iscrizioni che ricordano fatti e personaggi illustri che hanno segnato la storia del paese.
    Lonigo è una delle cittadine più popolate dell’area Berica; con circa 15000 abitanti, Lonigo è sede di una storica fiera campionaria che dura sin dal 1486 ed offre al turista una bella fetta del patrimonio artistico-culturale vicentino, grazie soprattutto alla presenza di numerose ville di scuola Palladiana.

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    Villa Pisani Bonetti è a Bagnolo di Lonigo e la si scorge al di là di un argine, è stata progettata nel 1542 da Andrea Palladio come villa di campagna (vista la presenza delle barchesse); commissionata dal nobile veneziano Vittorio Pisani è forse l’opera più rappresentativa del periodo giovanile del Palladio, è stata inserita di recente nella “world monument list” dell’UNESCO. Da notare che la villa ha pregevoli affreschi al suo interno (alcuni di scuola del Raffaello), e vengono organizzate mostre di Arte Contemporanea.

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    Oltre a villa Pisani, c’è Rocca Pisani, villa progettata dallo Scamozzi (allievo del Palladio) sempre su volere della famiglia Veneziana. La villa è stata fatta costruire dai Pisani sui colli sopra Lonigo, colli da dove si può godere di un panorama mozzafiato che, nelle giornate più limpide, arriva fino agli Appennini.

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    Dalla periferia si arriva al centro di Lonigo, dove i monumenti non sono da meno: Villa San Fermo, proprio alle porte del centro cittadino, villa risalente al secolo XIX e che comprende i giardini e la chiesetta dei SS. Fermo e Rustico (risalente ad epoca antecedente, 1500 circa).

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    Palazzo Pisan
    i è quello che si può definire la porta della città: è stato fatto costruire dalla famiglia Pisani su progetto attribuito a Michele San Micheli o ad Andrea Palladio. Questo imponente ed elegante edificio è sede del consiglio comunale. Piazza Garibaldi ospita tutti gli altri palazzi di interesse storico come il Palazzo Comunale, il Palazzo della Borsa e delle Pretura ed il monumento ai caduti.

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    Appena fuori dalla Piazza si trova il Duomo, costruito in stile Neoromantico con elementi romanici e toscani tra il 1877 e il 1895. A fianco del duomo si erge imponente il “mastio” o torrione di Lonigo, resto di quello che una volta era il castello di Lonigo (976 d.C.).
    Nell’area circostante Lonigo ci si può fermare nelle varie aziende vinicole presenti sul territorio; in quest’area molto fortunata dal punto di vista agricolo, molti viticoltori hanno dedicato la loro vita alla passione del vino aprendo aziende, piccole o grandi esse siano, dove fermarsi per gustare del buon Tai (Tocai), Cabernet e Prosecco, magari partecipando ad una mostra d’arte, ad uno spettacolo o ad una passeggiata a cavallo organizzata dagli stessi viticoltori.


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    Da Lonigo si prosegue in direzione Vicenza attraverso al statale provinciale 500. Poco fuori dalle porte di Lonigo ci si ferma a Sarego, in località Monticello di Fara, dove si può scorgere sulla sommità di un colle Villa Da Porto Zordan “La Favorita”, progettata dall’architetto Muttoni nel 1714. Poco distante, a Meledo, è presente Villa Trissino, opera incompiuta di Andrea Palladio formata da un porticato e da una torretta.

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    Brendola, Montecchio Maggiore e Montorso

    Situata circa 10 km più a nord di Lonigo, in direzione Vicenza, Brendola è una tappa fondamentale nel corso del nostro itinerario. Definita “la porta dei Berici”, trae il suo nome dalle numerose risorgive d’acqua presenti nel territorio, popolarmente chiamate appunto “brendole”. Nella frazione di Goia si può visitare la casa dove nacque e visse Suor Maria Bertilla Boscardin, alias Anna Francesca Boscardin (1888-1922), una suora e infermiera che donò la sua vita alla cura degli infermi, in particolare dei bambini, durante il primo conflitto mondiale.
    Papa Giovanni XXIII la proclamò santa l’11 maggio del 1961, ma viene ricordata il 20 ottobre, giorno in cui morì ancora molto giovane.

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    Una delle peculiarità più suggestive di Brendola è la Chiesa detta “l’Incompiuta”. Nel secondo decennio del secolo scorso Don Cecchin, allora Parroco del paese, promosse la realizzazione di questa chiesa con l’intenzione di riunire le quattro parrocchie del comune. Nel 1930 iniziarono i lavori grazie ai fondi che lo stesso parroco raccolse in paese, ma dopo nove anni, a causa della mancanza di adeguate risorse economiche e dell’insorgere del secondo conflitto mondiale, i lavori furono sospesi e la chiesa rimase allo stato attuale. Rimanendo in Piazza del Cerro, proprio davanti all’Incompiuta è possibile apprezzare l’ariosa loggia quattrocentesca di Villa Piovene, dal 1930 sede municipale.

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    Altra attrazione turistica è la Rocca dei Vescovi alla quale si giunge percorrendo il sentiero naturalistico di Brendola che porta sul Monte Comunale. Vittima di numerosi assedi e incendi nel corso della storia, si ricorda in particolare quello perpetrato nel ‘500 dalle truppe di Bartolomeo d’Alviano, comandante militare della Serenissima, allo scopo di impedire l'utilizzo del maniero alle incalzanti truppe della Lega di Cambrai, calate in Veneto per conquistare Venezia. Al termine di questa visita si consiglia una sosta al vicino pub “Novecento”.

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    Il nostro viaggio continua alla volta di Montecchio Maggiore, dove ci attende un appuntamento con l’eleganza di Villa Cordellina-Lombardi. Costruita per volontà del giureconsulto veneziano Carlo Cordellina Molin, la villa fu progettata dall’architetto veneziano Giorgio Massari che si ispirò profondamente ai moduli palladiani. I lavori della villa durarono dal 1735 al 1742, mentre le ampie barchesse, realizzate con la collaborazione dell’architetto Francesco Muttoni, furono concluse nel 1760. Il complesso è formato dalla residenza padronale, dalle barchesse, dalle torrette e dal grandioso rustico. Nella villa il Massari rende omaggio all'arte di Andrea Palladio con il pronao ionico a quattro colonne, sormontato dal timpano con lo stemma scolpito dei Cordellina (tre cuori con i fiori di lino) e con la disposizione simmetrica delle stanze e delle due scale accanto al salone centrale. Nel 1743 Giambattista Tiepolo decorò il salone principale della villa con un ciclo di affreschi ispirati ai fasti di Scipione l'Africano ed Alessandro Magno.
    Dal centro del paese ci spostiamo nuovamente verso i Berici, dove ci attende ora un appuntamento con la storia d’amore più narrata al mondo.
    Sulla sommità del colle che sovrasta l’abitato storico di Montecchio si possono scorgere immersi nella vegetazione i due castelli Scaligeri della Villa e della Bellaguardia, ovvero quelli che secondo la leggenda del Da Porto sono rispettivamente il castello di Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti.


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    I resti visibili sono la versione scaligera fatta edificare da Antonio della Scala, Signore di Verona, nella seconda metà del ‘300. Anche queste fortificazioni hanno subito numerose distruzioni durante la guerra della Lega di Cambrai, ma i restauri compiuti nel corso del secolo scorso hanno permesso di costruire un teatro all’aperto sul castello della Villa e un ristorante su quello della Bellaguardia. Quest’ultimo gode anche di un complesso sotterraneo chiamato “le priare”, che è possibile visitare le domeniche e nei giorni festivi.
    Ripartiamo puntando sempre più a ovest, ma prima di uscire dal territorio di Montecchio Maggiore facciamo tappa a Villa Gualdo. L’edificio padronale ha origini cinquecentesche e fu costruito da Stefano Gualdo, ma sono riscontrabili numerosi interventi di epoche successive realizzati dai vari proprietari che nel corso dei secoli si sono avvicendati (i Fogazzaro, ad esempio, aggiunsero i portici, le barchesse e l’oratorio). Nel 1532 l’imperatore Carlo V fu ospite dei Gualdo nella villa, come testimonia una lapide che oggi si trova nella Biblioteca Civica di Montecchio Maggiore. Nel corso dell’800 “la Gualda” era una grande e importante azienda agricola che dava lavoro a centinaia di braccianti, oggi sebbene l’attività agricola sia tenuta ancora in vita, non vi è più la necessità di manodopera di un tempo.


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    Salutato il paese di Montecchio ci dirigiamo alla volta di Montorso Vicentino per visitare l’imponente Villa Da Porto-Barbaran, complesso monumentale che ha visto molti interventi di ristrutturazione, uno dei quali ascrivibile all’architetto Francesco Muttoni. La villa fu abitata per circa tredici anni dal nobile Luigi Da Porto (1485-1529), scrittore, storiografo ma anche poeta e soldato vicentino. Sfigurato e storpio dopo la cruenta battaglia con i Lanzichenecchi in Friuli, Da Porto decise di ritirarsi a Montorso dove scrisse la sua Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti (1524, ma pubblicata nel 1531), modificata poi in Giulietta, stampata nel 1539 con alcune correzioni suggerite dal grande letterato Pietro Bembo.



    Edited by tomiva57 - 8/3/2012, 08:25
     
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    La Montagna Spaccata


    E' uno dei luoghi più suggestivi del vicentino, che per il recupero ci sono voluti cinque anni di interventi. La Montagna Spaccata è una profonda fenditura scavata nella roccia dal torrente Torrazzo e si trova poco distante dagli impianti di risalita di Recoaro Mille, in provincia di Vicenza.
    Incantevole il percorso all'interno della fenditura che si eleva per 92 metri, con effetti e coreografie naturali avvincenti.


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    In questa forra suggestiva il tempo sembra essersi fermato, e forse proprio a causa dell'antico incantesimo narrato dalla leggenda dell'anguana Etele e Giordano.
    Secondo il mito le anguane erano donne abbastanza fuggevoli, affascinanti e ammaliatrici. La più famosa era Etele, figlia della Maga del bosco, che sposò il giovane Giordano pur sapendo che un incantesimo gravava sul suo futuro: ella sarebbe svanita alla morte di sua madre. Quando il tragico momento arrivò, Etele cercò di fuggire da Giordano per andare incontro al suo destino. Inseguita dalla sposo, ella giunse ai piedi di una rupe altissima e fu allora che un boato scosse la terra, spaccando la roccia in due. Attirata nella fenditura, l'anguana scomparve. Ed ecco come, secondo la leggenda, nacque la Montagna Spaccata.

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    Favole a parte, questa forra è un luogo incantevole, visitabile di giorno e anche di notte. Il percorso inizia con una camminata di circa trecento metri in piano e poi sale grazie a duecento scalini e alcune passerelle da cui si ammirano gli splendidi giochi creati dalle acque tumultuose del Torrazzo. Anche il parco circostante è stato rimesso a nuovo ed è diventato un'oasi popolata da felci, licheni e abeti secolari.

    Modi di percorrenza: a piedi e col caschetto di protezione


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    Da non perdere: magari concedetevi una pausa rilassante alle vicine terme di Recoaro.

    Informazioni utili: E' possibile visitare la Montagna Spaccata anche nei mesi invernali e nelle ore serali. La visita è prenotabile via telefono o mail ed è possibile per gruppi di almeno 10 persone. L'entrata al sito è a pagamento

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    fonte: veneto.to.


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    Calà del Sasso


    C’è chi la affronta in salita, e capisce subito che, in realtà, è fatta per scendere. Perché solo a vederla si sente la fatica addosso. E’ una scala di 4444 gradini di pietra di calcare grigio, affiancati da una cunetta che serviva a mandar giù al Brenta i tronchi destinati a Venezia, per costruire le navi della Serenissima. E’ un capolavoro dell’artigianato stradale, immerso in un ambiente selvaggio. E’ un fiume di pietra, lo definì lo scrittore-camminatore Paolo Rumiz dopo averlo risalito misurando per bene gli scalini, tutti “con cinquanta centimetri di passo e quindici di dislivello”: andava a trovare Mario Rigoni Stern ad Asiago e una volta lo fece proprio a piedi, lungo l’antica via immersa nei boschi di faggio, muschio e felci.


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    La Calà del Sasso è la via d’accesso all’Altopiano più difficile e segreta. L’imbocco in alto è accanto alla frazione Sasso di Asiago, quello in basso poco distante dalla chiesa di Valstagna. Costruita alla fine del 1300 quando il Vicentino era nelle mani di Gian Galeazzo Visconti e i comuni dell’Altopiano già allora litigavano: Foza impose un pedaggio per chi voleva scendere a valle con le merci, Gallio allora costruì una strada lungo la Val Frenzela e Asiago, per non essere da meno, s’invento la Calà. Devastata dall’alluvione del 1966, è stata restaurata all’inizio degli anni Duemila, ma, proprio perché incastonata nella montagna, è esposta alla neve, alla pioggia, al bosco che vorrebbe riprendersela. Si sale (o si scende) di 709 metri. Attenzione a visitarla d’inverno o dopo un temporale: la pietra è liscia e infida. E, dunque, occhio agli scalini….

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    di Giovanni Stefani - Gruppo italiano stampa turistica
    da: veneto.to

     
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