VENETO n. 3

la dorata vicenza ..la dotta padova.....rovigo

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  1. tomiva57
     
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    PIAZZA GARIBALDI



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    la piazza dopo l'ultimo restauro

    Come in altre città venete la piazza di Lonigo è il punto di convergenza di tutte le vie, il luogo ove dall'epoca comunale hanno avuto sicura sede i poteri politico-religiosi del borgo murato.
    Opera di continue aggiunte e abbellimenti la piazza ha trovato il suo punto focale nella facciata cinquecentesca del Palazzo Pisani, esaltato dal possente arcone e dalla convergente scalea a duplice rampa balaustrata.

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    vista della piazza da l'androne sotto palazzo pisani

    Il palazzo del comune, di antica origine, ha avuto l'attuale facciata nell'ottocento quando, con il palazzo della Borsa e della Pretura dell'ing. G Carraro, la piazza assunse l'aspetto che oggi vediamo.

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    monumento ai caduti
    Ultimo elemento il monumento ai Caduti in forma di elegante fontana del veronese E. Fagiuoli, eretto negli anni venti con uno scenografico effetto che limita, rendendola più armonica, l'eccessiva lunghezza della piazza.


    Edited by tomiva57 - 2/9/2010, 19:07
     
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  2. tomiva57
     
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    CONVENTO DI S. DANIELE



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    La chiesa di San Daniele esisteva già nella seconda metà del XIII secolo. Fu officiata dai Padri Minori di San Francesco giunti a Lonigo prima del 1253.
    Nel 1480 venne consacrata probabilmente dopo un altro intervento costruttivo.
    Nel 1810 la vita religiosa di San Daniele fu interrotta per l'applicazione del decreto napoleonico di soppressione degli ordini religiosi. La chiesa divenne deposito di attrezzi agricoli e il convento fu devastato, finchè fu demolito.
    Nel 1891 iniziarono i lavori di restauro e vi ritornarono i religiosi. Un altro restauro fu compiuto negli anni 1929-31.
    Nel 1916 vi si insediò il Collegio Serafico, poi chiamato Probandato Antoniano. Nel 1925 fu inaugurato il nuovo edificio del collegio che fu ampliato negli anni cinquanta.
    All'interno della chiesa un ciclo di affreschi di Adolfo Mattielli (1927-31) raffigura vicende dell'Ordine Francescano. A poca distanza della porta d'ingresso si può visitare la lapide tombale del Servo di Dio padre Adriano Osmolowski.
    La chiesa è tuttora retta dai Francescani Frati Minori che risiedono nell'annesso convento.


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    Con decreto del 25 ottobre 1980, la Sacra Congregazione dei Sacramenti e del Culto divino autorizzarono la sostituzione del titolo di S. Daniele Profeta in quello di S. Daniele Martire più conforme alle origini della chiesa.

    Nel 1960 furono iniziati i lavori di restauro del convento, che terminarono due anni dopo. Attualmente la capacità del convento è di N. 32; quella del Seminario Francescano N. 40.

    Nel vecchio rustico all’interno delle antiche mura conventuali, nel 1989, fu accolta una comunità terapeutica per tossico dipendenti inserita nel programma delle Comunità Incontro realizzate da Don Pierino Gelmini. Negli stessi ambienti rinnovati opera dal 2004 la Comunità Papa Giovanni XXIII.

    Nel 1989 fu attuata la ristrutturazione interna del collegio “vecchio” per una migliore sistemazione dei seminaristi; un anno dopo, quella del collegio “nuovo”, che poi essendosi ridotti i seminaristi, divenne “il Centro di spiritualità P. Adriano Osmolowski” per incontri parrocchiali di varie associazioni.

    Nel 1996 arrivarono i seminaristi di Chiampo e i due seminari furono unificati. Contemporaneamente nel “Centro Osmolowski” fu istituita la scuola media intitolata a P. Angelico Melotto, il cui riconoscimento ufficiale da parte del Ministero della Pubblica Istruzione avvenne il 24 luglio 1997.



    Fonte: "La Chiesa francescana di San Daniele in Lonigo" di fr. Flavio Cavallini
    Testo approvato dall'Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Vicenza




    CANTINA DEI COLLI BERICI





    La "Cantina dei Colli Berici" è una cooperativa di trasformazione dell'uva raccolta dai propri associati. Con i due stabilimenti di trasformazione che raggruppano circa 2.300 Soci e 3.200 ettari di vigneto, ha una capacità produttiva di 600.000 quintali.

    Altre cifre che ne delineano un chiaro profilo: la capacità di trasformazione nei due stabilimenti è di 50.000 quintali d’uva al giorno, equivalenti a 1.250 rimorchi agricoli, che raccolgono l’85% della produzione vitivinicola dei Colli Berici, pari all’8% dell’intera produzione del Veneto. Con soli 26 dipendenti è in grado di sviluppare un fatturato di oltre 18.000.000 di euro. Innovazione nel rispetto della tradizione, per un prodotto sempre di qualità.

    Innovazione nella ristrutturazione con meccanizzazione totale del vigneto, alta tecnologia in cantina nei processi di vinificazione, conservazione ed affinamento dei vini, pulizia ed igiene nei reparti e delle attrezzature con competenza e professionalità di enologi altamente qualificati.


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    Descrizione
    L’azienda Cantine dei Colli Berici è una realtà a livello europeo che può contare su 4 stabilimenti di trasformazione (a Lonigo, Barbarano, Corlanzone e San Bonifacio) per una capacità produttiva di 600.000 quintali. Le Cantine dei Colli Berici raggruppano 2.300 soci e 3.200 ettari di vigneto, pari all’85 % della produzione vitivinicola dei Colli Berici. Ha nell’innovazione tecnlogica e nella professionalità di enologi altamente qualificati i suoi punti forza.

    Prodotti in vendita
    Vendita diretta.
    Vini Bianchi: Garganego, Pinot Bianco, Pinot Grigio, Sauvignon, Tocai Italico, Chardonnay.
    Vini Rossi: Barbarano (Tai Rosso), Merlot, Cabernet, Raboso, Pinot nero e Novello.
    Vini Frizzanti: Rosso dei Molini, Rosato e Chardonnay.
    Spumanti : Brut Leobrut, Prosecco, Moscato, Rosso dei Canonici (Tai rosso).



    STORIA ENOLOGIACA

    I. Dai Paleoveneti ai Romani.
    Ne secondo libro dell'Illiade Omero accenna espressamente alle origini dei Veneti:
    " Dall'eneto paese, ov'è la razza
    dell'indominte mule, conducea
    di Pilemène l'animoso petto
    i Paflagoni ..." ()


    Provenienti dunque da una regione dell'Asia Minore, la Paflagonia, essi parteciparono alla guerra di Troia con il loro re Pilemène e dopo essere tornati in patria, forse in seguito ad una pestilenza, abbandonarono la propria terra per navigare verso altri lidi.
    Giunti nella laguna veneziana, riuscirono a scacciare gli Euganei, occupando gran parte
    della pianura veneta sotto la guida del re Antenore. Secondo attendibili testimonianze si sarebbero stanziati, tra la fine del XIII e gli inizi del XII secolo a.C., lungo le rive dell’Adige e tra il Mincio e il Garda. Dai reperti archeologici pervenutici si deduce che erano capaci di produrre molteplici oggetti artigianali, alcuni molto semplici, altri con caratteristiche dell’opera d’arte. Uno dei loro centri più famosi fu senz’altro Este, che costituì il punto di riferimento per tutti gli abitanti che si stanziarono lungo l’Adige e, per quanto ci riguarda, centro di un territorio che aveva in Belfiore (l’antica Porcile) il suo confine con quello
    veronese.

    Si dice che prima della rotta di Cucca (589 d.C.), l’Adige scorresse abbastanza liberamente, ma il suo alveo principale doveva certamente passare da Este (Athesis). Questa primitiva civiltà atesina fiorì grazie all’intraprendenza dei Paleoveneti, le cui testimonianze sono conservate presso il Museo Archeologico Nazionale di Este. A quanto ci è dato sapere, oltre ad essere grandi allevatori di cavalli (e già in Paflagonia erano famose le loro mule!) , sapevano dedicarsi alle attività artigianali, ai commerci e all’agricoltura.

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    Nonostante la carenza di testimonianze circa la coltivazione della vite e il consumo del vino, è possibile tuttavia constatare che è frequente la rappresentazione di paleoveneti intenti a libare. In un gancio bronzeo per centurione, ritrovato a Carceri d’Este e risalente al V secolo a.C., è raffigurata una donna in atto di versare un liquido ad un personaggio sdraiato (una divinità delle acque?). Questa raffigurazione, come altre statuette in bronzo di uomini o donne che tengono fra le mani vasetti o patere, indica chiaramente l’intenzione di rendere partecipe il dio alla consumazione di una bevanda pregiata: non sappiamo se latte, vino, olio od altro. becco”.

    Gli influssi della cultura etrusca risalgono all’VIII secolo a.C. e, nel secolo successivo, si sono estesi talmente da far diventare Este come un notevole centro commerciale, che fungeva da tramite tra il territorio di Bologna dell’Etruria con il mondo pre e transalpino Castello di Zevio.

    Nonostante i pochi reperti viticoli (semi di origine palafitticola e foglie fossili di ampelidea) , “alcuni studiosi tuttavia ritengono che gli antichi abitanti neolitici non usassero ancora l’uva per la vinificazione” . “E’ però da notare che, tra i materiali palafitticoli, non mancano numerosi tipi di vasi; non si può quindi assolutamente escludere che, già da allora, venisse effettuata la preparazione di liquidi fermentati sia pure in quantità limitata” . Se dunque i Paleoveneti avessero potuto usufruire di una bevanda particolare, questa era certamente una specie di vino che potevano ricavare da quelle uve selvatiche che ricordavano le loro origini. “La libagione - come rileva Mastrocinque - era atto di culto pubblico, ma anche, e soprattutto privato.

    Castello di Zevio - statua romana di Bacco sul ponte d'accessoNel territorio estense, a partire dal V secolo a.C., sono documentati almeno due santuari, posti proprio lungo le rive dell’Adige: uno dedicato alla dea Retia e l’altro ai Dioscuri (13). L’avvento dei romani non dovette essere come un cataclisma che tutto distrugge. Il territorio fu occupato lentamente e pacificamente e perciò anche i costumi civili e religiosi subirono una inevitabile evoluzione. Alcuni cippi testimoniano che la presenza romana poteva già essere in atto verso il II secolo a.C.. La Via Aemilia Minor, che collegava Bologna ad Aquileia, passando probabilmente da Padova ed Este, fu tracciata nel 175 a.C. dal console Marco Emilio Lepido. Fra il 49 ed il 42 a.C., Este fu iscritta nella Tribù Romilia e, dopo la battaglia di Azio (31 a.C.), una colonia di veterani romani s’insediò nel territorio, fondendosi a poco a poco con gli Atestini, su cui però s’imposero per la superiore civiltà latina.
    E’ in questo periodo forse che si effettua il raccordo tra Ateste e la Via Postumia. Quest’ultima Via Imperiale, su cui transitavano gran parte dei commerci del Nord, fu costruita nel 148 a.C. e congiungeva Genova ad Aquileia, passando per Verona, Vicenza e Treviso. Il congiungimento tra le grandi arterie della Via Emilia e della Via Postumia significava, in pratica, rivitalizzare un territorio che era ricchissimo d’acque, ma per molta parte incolto e con poche vie di comunicazione terrestre.

    La Via Porcilana, che congiungeva Este a San Martino Buon Albergo costituiva pertanto l’asse portante per un’economia agricola che stava per svilupparsi proprio in quei terreni un tempo percorsi dalle acque dell’Adige e perciò ricchi di sali minerali, che limo e sabbia avevano cosparso ovunque, come aveva fatto il Nilo in Egitto. Sarà infatti lungo la Via Porcilana che si svilupperanno parecchi insediamenti, che daranno vita, nell’alto medioevo, ad altrettanti villaggi: da Lepia a Porcile, a Bionde, a Cucca, Sabbion, Pressana, solo per citare i più noti. E’ ormai assodato che quella via affiancasse l’antico principale percorso dell’Adige e che quindi costituisse un’alternativa e più celere via per trasportare le merci da Sud a Nord e viceversa. Il suo percorso è noto agli studiosi e si sa che arrivava fino a Brondolo, ossia portava direttamente all’Adriatico.

    Ernesto Santi
    Guerrino Maccagnan


    L'ARTE DELLA VITICOLTURA. Per le persone più anziane diventa facile ricordare come un tempo la campagna fosse delimitata da lunghi filari di viti, sostenute da piante di noci o da aceri campestri. La coltura della vite ben si sposava con le piante. E nulla, in tale contesto, andava perduto. Dalle piante di sostegno si raccoglievano le noci, oppure la legna da ardere. I pali inoltre erano utilizzati in vario modo nel lavoro agricolo. Dopo la potatura invernale rimanevano lunghi tralci, che venivano legati con le "stròpe" (ramo di salice viminario) a robusti fili metallici che scorrevano, ben tesi dai "menatoli" (tendifili rudimentali di legno ottenuti con l'incrocio di due pezzi di palo) da una pianta all'altra o da un robusto palo all'altro.
    Nel tempo la viticoltura ha mutato e per l'avvento di nuove produzioni e per la necessità di adeguare la coltivazione ai diversi terreni. Specie nel secolo scorso si ha una rapida evoluzione. I lunghi filari campestri si rivelano, soprattutto con l'avvento delle macchine, di impedimento per i lavori sul terreno coltivato e quindi sono concentrati in un vigneto più corto.

    Si ha dunque il classico, contemporaneo vigneto, spesso accovacciato in un unico appezzamento più o meno grande vicino alla corte. La razionalizzazione di tale modo di produrre, anche se trasgredisce alla poesia di un retaggio e più aderente alla natura, non tradisce lo spirito di partenza. Infatti è ancora una gioia godere dei colori e della sensazione del frutto che cresce, del grappolo che matura, della foglia che germoglia e appassisce in una autunnale cromia, quando tutto muore e per incanto rinasce la primavera successiva. Oggi, si guarda più alla praticità della produzione, per cui la coltura delle viti e la stessa vendemmia diventano più agevoli se affiancate alla casa rurale. Chi s'interessa di viti sa che, nonostante la sua universale presenza, la pianta abbisogna di notevoli cure.

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    Si tratta di un intervento reiterato da quando si ha l'innesto della pianta al suo definitivo sradicamento. Fino agli anni Trenta e Quaranta del Novecento tutte le operazioni connesse alla coltivazione della vite avvenivano manualmente e richiedevano un notevole sacrificio da parte del contadino che le accudiva. Quasi tutto l'anno era impiegato alla sua manutenzione, alla ricreazione di un habitat ottimale, capace di andare incontro alle necessità del produrre, ma pure della pianta delicata, specie per le gelate invernali. La potatura cominciava in gennaio: durava a lungo e occupava, nelle giornate fredde, numerosi contadini. Venivano tagliati i tralci lunghi, eccedenti e vecchi. Era un'operazione decisa, effettuata con la ròncola (coltello ricurvo) e con le cesoie da vite. Per accedere con maggior facilità ai rami da potare si utilizzava uno scalone (scala triangolare). Durante la potatura venivano anche fissati i pali di rinforzo del sostegno, si tiravano i fili di ferro, e si stendevano e univano i tralci. Venivano inoltre piantati nuovi alberi per il sostegno futuro. Lentamente ci si accorgeva del sorgere della nuova stagione.

    In primavera, i contadini zappavano la terra attorno alle viti, perchè fosse smossa e allentata. Proprio in questa stagione veniva interrato il letame, che era di solito predisposto vicino ad ogni pianta nei giorni di novembre ("San Martino", 11 novembre). In una prima fase della crescita vegetale, da maggio a luglio, venivano diradati i germogli e i pampini perchè non ombreggiassero i grappoli. Questa era un'operazione estremamente importante, soprattutto per avvantaggiare la qualità del vino. Quando la produzione appariva, fin dal primo momento, sovrabbondante, si ricorreva al diradamento dei grappoli (oggi lo si fa in modo sistematico): i viticoltori più esperti li "s-ciaravano" (diradavano). In questo modo i grappoli che restavano si ingrossavano più facilmente, dando origine a un prodotto migliore. Ciò contribuiva, in buona parte, a renderli più resistenti alle malattie e permetteva una maggiore gradazione alcoolica del vino.
    Con lo scorrere dei decenni e l'affinamento delle tecniche di coltivazione si giunse ad una sempre più attenta difesa degli acini. Si interveniva proteggendoli dalle varie malattie proprio dal primo spuntare delle foglie. Era necessario immediatmente "darghe l'aqua", cioè irrorarle: venivano adoperati prodotti chimici, capaci di inibire i parassiti e le altre forme di malattia. Si utilizzava soprattutto il "verderame" (solfato di rame). Tale intervento
    veniva ripetuto più volte fino a tutto il mese di luglio. Questa operazione era la prima effettiva intromissione del contadino nella vita naturaledella pianta. Si cercava in questo modo di sopravanzarela natura. In una prima fase, molti contadini rimanevano scettici rispetto ai risultati, ma con l'andare del tempo si abituarono.


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    LA VENDEMMIA. Se c'è un periodo dell'anno agricolo che trova la massima espressione della laboriosità dei contadini, è il momento della vendemmia: una vera e propria festa agricola. I mesi deputati alla raccolta dell'uva, cioè settembre ed ottobre e in qualche annata i primi di novembre, vedono impegnate, tra Ottocento e Novecento, le piccole aziende vitivinicole in un lavoro che occupa tutta la famiglia, offrendo a ciascuno compiti ben stabiliti e aggregando, di volta in volta, anche i vicini di casa che magari scambiavano il favore prestato. Le grandi aziende invece dovevano per forza di cose far riferimento a manodopera esterna: si trattava di solito di operaie che venivano pagate con una retribuzione oraria ridotta, come lavoratrici occasionali (in parte lo stipendio era in natura). Vi erano anche coloro che offrivano la loro opera solo in cambio della possibilità di poter gustare alcuni grappoli durante il raccolto: era anche questo un modo per alimentarsi.
    Il lavoro cominciava il mattino. I vendemmiatori si trovavano, nel luogo dove era stato sospeso il lavoro il giorno precedente. Venivano distribuiti lungo i filari e tenevano vicino un cesto rotondo con il manico, ma potevano essere utilizzati anche altri recipienti (secchi di legno, panieri, cesti di varia forma...). portata di tutti, per cui venivano utilizzati degli scaloni. La tradizione orale, trasmessa dai più anziani, ci indica come fosse diffusa durante la vendemmia la logica del parlare e del cantare, per evitare che i raccoglitori facessero una scorpacciata di uva a tutto danno dei padroni del vigneto. La vita della famiglia, della comunità rurale, il pettegolezzo spicciolo, le "ciacole" di paese, trovavano sotto i filari, per qualche giorno o qualche settimana, uno spazio privilegiato. E tutto ciò costituiva quella grande sagra che rappresentava la vendemmia.








    Edited by tomiva57 - 1/9/2010, 07:50
     
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  3. tomiva57
     
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    padova



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    Padova e la sua Provincia, situate al centro della pianura Veneta, tra laguna colli e prealpi, costituiscono uno dei centri culturalmente ed economicamente più vivi e dinamici del Nord-est. Città di grandi tradizioni artistiche e culturali, Padova vanta insigni monumenti di grande interesse storico e artistico.
    L'itinerario classico cittadino, che consente la visita in una sola giornata dei principali monumenti e luoghi di grande interesse, inizia da Piazza Eremitani dove si trovano la Cappella degli Scrovegni capolavoro di Giotto, i Musei Civici Eremitani (sezione archeologica, pinacoteca con opere dal 300 al 700, inclusi gli Angeli di Guariento, un crocifisso di Giotto, opere del Bellini), la Chiesa degli Eremitani (con affreschi di Guariento, di Giusto de' Menabuoi e di Andrea Mantegna) e Palazzo Zuckermann custode del Museo d'Arte - Arti Applicate e Decorative, e Collezione Bottacin. Vi ricordiamo che la visita alla Cappella degli Scrovegni va prenotata con almeno 48 ore di anticipo. Chi non è in possesso della prenotazione può accedere solo in caso di posti liberi. L'accesso è consentito a 25 persone per turno con turni composti da 15 minuti di sosta nell'avancorpo tecnologico e 15 minuti all'interno della Cappella.

    Si prosegue poi con Caffe' Pedrocchi, l'Università il Bo', una delle più antiche d'Europa con il famoso cinquecentesco teatro Anatomico e la cattedra di Galileo Galilei, Palazzo della Ragione e Piazze circostanti (Piazza delle Erbe, Piazza dei Frutti e Piazza dei Signori) sede di un pittoresco mercato quotidiano. Dalle piazze in pochi minuti si raggiunge il Duomo con il prezioso Battistero del Duomo custode di bellissimi affreschi di Giusto de' Menabuoi. Da non perdere la visita del Museo Diocesano. Inserito nell'antico Palazzo Vescovile, che conserva preziose opere di pittura, scultura e oreficeria, gran parte del ricco Tesoro della Cattedrale, paramenti sacri, codici miniati ed incunaboli. La visita include la Cappella di Santa Maria degli Angeli, con affreschi di fine Quattrocento, e il magnifico Salone dei Vescovi, ampia sala con oltre 900 metri quadrati di pareti interamente affrescate con i ritratti dei primi 100 vescovi di Padova.

    Percorrendo via Soncin e via S. Canziano si ritorna a Piazza Antenore dove c'è il monumento che il poeta rinascimentale Lovato de' Lovati indicò come tomba dell'eroe troiano Antenore, leggendario fondatore di Padova, e non lontano Palazzo Zabarella, antica dimora Carrarese ora prestigiosa sede di mostre ed eventi.

    Percorrendo via del Santo si giunge alla Basilica S.Antonio, tempio della fede e scrigno di opere d'arte, ogni anno meta di milioni di pellegrini e turisti. La Basilica è circondata da altri insigni monumenti quali la statua del Gattamelata di Donatello, l'Oratorio di s.Giorgio capolavoro del Trecento, i Musei Antoniani e la Scuola del Santo. Non lontano dalla Basilica, alla fine di via Cesarotti, sorge il complesso monumentale di Loggia e Odeo Cornaro, splendidi esempi di architettura rinascimentale in Padova.

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    Ritornati a Piazza del Santo si prende via dell'Orto Botanico dove si trova l'Orto Botanico, il più antico orto botanico universitario d'Europa fondato nel 1545, e poco oltre Prato della Valle, monumentale piazza ellittica, su cui si affacciano numerosi edifici storici, antichi palazzi, tra cui Palazzo Angeli che ospita il Museo del Precinema e, sul lato sud, la Basilica di s.Giustina, una delle più grandi d'Europa


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    Padova: Città dell'Affresco




    Fu Giotto nei primi anni del Trecento, ad esaltare la decorazione a fresco ed inaugurare così una stagione straordinaria per la pittura narrativa e monumentale. La sua lezione ispirò generazioni di artisti per secoli. E così oggi Padova conserva un ineguagliabile patrimonio di “pareti narranti”, grandi cicli affrescati, che impreziosiscono edifici sacri e profani, pubblici e privati.


    Di seguito vi presentiamo solo una selezione dei più significativi, che ha tenuto conto soprattutto dell’integrità dell’opera. Alcuni di essi sono visitabili solo su appuntamento, altri invece sono sempre aperti al pubblico. Per motivi di spazio molti non sono citati. Non stupitevi quindi se visitando Padova scoprirete un’infinità di altri affreschi, non citati in questa semplice scheda. Saranno un’ulteriore conferma che Padova è la città dell’affresco!


    Chiesa di S. Michele a Pozzoveggiani

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    Affreschi del X-XI sec. e del XII-XIII sec.
    A pochi chilometri dal centro di Padova, sull’antica via Annia, sorge un piccola chiesa ricca di testimonianze che risalgono al periodo tardo antico: la chiesa di s. Michele, a Pozzoveggiani. All’interno preziosi affreschi risalenti al X-XI sec raffigurano sei Apostoli con caratteri stilistici tipici del periodo carolingio-ottoniano; nell’abside Cristo Pantocratore affiancato dai simboli degli Evangelisti e Teoria di Santi e apostoli (XII-XIII sec).

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    Cappella degli Scrovegni

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    Affreschi di Giotto
    Agli inizi del Trecento Enrico degli Scrovegni fece erigere la piccola cappella accanto al palazzo di famiglia e affidò a Giotto l’incarico di decorarla all’interno con le Storie di Maria, di Gesù e il grandioso Giudizio Universale. Gli affreschi eseguiti verosimilmente tra il 1303 ed il 1305 sono considerati oggi uno dei massimi monumenti dell’arte figurativa di tutti i tempi.


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    Cappella Carrarese (ora Biblioteca dell’Accademia Galileiana)



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    Affreschi di Guariento
    Preziosa testimonianza superstite della Reggia dei Carraresi, la Loggia Carrarese è anche un bell’esempio di architettura trecentesca. Nell’antica Cappella privata dei principi, oggi Sala delle Adunanze dell’Accademia Galileiana, si ammirano Storie dell’antico Testamento, narrate tra il 1349 ed il 1354 con linguaggio elegante da Guariento di Arpo, pittore di corte dei Carraresi.



    Cappella Maggiore, Chiesa degli Eremitani

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    Affreschi di Guariento
    Le Storie dei Santi Filippo ed Agostino eseguite da Guariento di Arpo tra il 1361 ed il 1365 occupano la parete di sinistra del presbiterio. La parete destra fu completamente distrutta durante i bombardamenti dell’11 marzo 1944. Guariento qui mette a frutto la lezione spaziale di Giotto e la supera con architetture ampie e dilatate, prospetticamente impostate e in stretta relazione con le figure. Nella Cappella Cortellieri, alcuni affreschi raffigurano Virtù e Arti Liberali, sono le sole preziose tracce del primo lavoro padovano di Giusto de’ Menabuoi (1370). Brani di affreschi trecenteschi anche nella Cappella Sanguinacci. Nella Cappella Ovetari affreschi di Andrea Mantegna





    Cappella di s. Giacomo e s. Felice, Basilica di s. Antonio



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    Affreschi di Altichiero da Zevio e Jacopo Avanzo 1377-78
    Storia e leggenda si fondono in questa bellissima cappella edificata a partire dal 1372 per volere di Bonifacio dei Lupi di Soragna, cavaliere e diplomatico di grande cultura, che incaricò Altichiero da Zevio della decorazione a fresco. In luoghi e spazi tipici del territorio veneto si snodano le Storie di s. Giacomo, patrono dei cavalieri. Di particolare bellezza la grande Crocifissione. Nella scena Il sogno di re Ramiro si riconoscono Francesco Petrarca, Lombardo della Seta e Francesco il Vecchio da Carrara.

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    Oratorio di s. Giorgio

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    Affreschi di Altichiero da Zevio e Jacopo Avanzo 1379-84
    Si affaccia sul sagrato della Basilica di s. Antonio la cappella funeraria di Raimondino Lupi di Soragna, valoroso uomo d’armi. L’interno della cappella fu affrescato da Altichiero da Zevio e Jacopo Avanzo tra il 1379 ed il 1384 con Storie di Gesù, Storie di s. Giorgio, protettore dei cavalieri, Storie di s. Lucia e di s. Caterina, “soldatesse” di Cristo. Ritratto di Raimondino in abiti militari mentre sfila davanti alla Vergine.

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    Cappella di s. Filippo e s. Giacomo o del Beato Luca Belludi, Basilica di s. Antonio

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    Affreschi di Giusto de Menabuoi
    Edificata tra il 1380 ed il 1382 per volere dei fratelli Manfredino e Naimerio Conti, familiares dei Carraresi, la cappella è intitolata anche al Beato Luca Belludi, confratello preferito di S. Antonio e qui sepolto. Alle pareti Storie di S. Filippo e S. Giacomo tratti dalla Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze e magistralmente eseguite da Giusto de’Menabuoi, fine pittore di corte dei Da Carrara. Da non perdere la splendida veduta della Padova trecentesca nell’abside, a destra.







    Battistero della Cattedrale



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    Affreschi di Giusto de’ Menabuoi
    L’antico Battistero fu eletto da Fina Buzzaccarini, moglie di Francesco il Vecchio da Carrara, come luogo di sepoltura per sé e per il marito e nel 1378 ne avviò la grande decorazione ad affresco, affidandola al pittore di corte Giusto de’ Menabuoi. Per i suoi affreschi Giusto volle una cupola più alta in cui rappresentò lo splendido Paradiso che ancora oggi si ammira. Alle pareti Storie di Giovanni Battista, della Creazione e di Cristo. Nell’abside scene dell’Apocalisse.


    Oratorio di s. Michele

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    Affreschi di Jacopo da Verona 1397
    Antichissimo oratorio documentato già nel VI secolo in epoca longobarda ed intitolato definitivamente a s. Michele dal 1170. Gli affreschi che ricoprono le pareti furono eseguiti da Jacopo da Verona nel 1397 che con tono domestico e borghese narra le Storie di Maria e di Gesù riprendendo la lezione di Giotto, Altichiero e Giusto de’Menabuoi e chiudendo così il “secolo d’oro” di Padova.






    Palazzo della Ragione



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    Stefano da Ferrara e Nicolò Miretto 1420 circa
    Il maestoso Palazzo della Ragione edificato nel 1218 dal Comune di Padova e da secoli fulcro della vita civile e commerciale della città conserva, nello splendido “Salone”, uno straordinario ciclo astrologico affrescato ispirato all’Astrolabium Planum di Pietro d’Abano, grande scienziato vissuto tra Duecento e Trecento. 1200 metri quadri istoriati da ben 333 affreschi con affascinanti teorie sull’influsso degli astri e dei pianeti sui vizi e le virtù dell’uomo.



    Basilica di S. Giustina, Cappella di s. Luca



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    Affreschi di Giovanni Storlato 1436-38 (Storie di S. Luca)
    Questa vasta basilica, una delle più grandi della cristianità, dietro il volto severo della facciata incompiuta, conserva preziose testimonianze del Cristianesimo. Qui sono custodite le spoglie di numerosi martiri e santi tra cui quelle della protomartire Giustina, a cui è dedicata la grande pala del Veronese sull’altare maggiore, quelle di s. Prosdocimo, secondo la tradizione primo Vescovo di Padova, di s. Luca Evangelista, di s. Mattia e di molti altri. Di particolare bellezza il monastero, ancora abitato dai monaci benedettini. Nella Cappella di s. Luca o del Capitolo sono parti di affreschi di Giovanni Storlato raffiguranti Storie di s. Luca. Nel cosiddetto Chiostro dipinto, un tempo completamente decorato da affreschi di Girolamo del Santo, si conservano ancora parti della decorazione cinquecentesca. Altri affreschi risalenti al XVIII secolo e di incerta attribuzione decorano il Corridoio dei Martiri.


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    Chiesa degli Eremitani, Cappella Ovetari



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    Andrea Mantegna (1453 circa)
    A soli 17 anni Andrea Mantegna firma il contratto con Imperatrice Ovetari per la decorazione della cappella nella Chiesa degli Eremitani. Ed il suo talento esplode sin da subito nelle Storie di S. Giacomo e s. Cristoforo dove la sua arte si presenta come una luce vivida, capace di avviare quello straordinario processo di rinnovamento del linguaggio figurativo, che farà di Padova principale centro d’irradiamento del linguaggio rinascimentale nell’Italia del Nord.

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    Ex Monastero di s. Giovanni di Verdara



    1487 e oltre
    L’attuale ospedale militare di Padova ha una vicenda storica tra le più antiche e complesse della città. Fondato nel Duecento come monastero benedettino fu successivamente gestito dai canonici lateranensi fino alla soppressione da parte della Serenissima nel 1783. In seguito fu ospizio di trovatelli, poi sede dei gesuiti ed infine ospedale militare. Nell'ex-biblioteca, ora adibita a cappella, si snoda un bel ciclo di affreschi di fine ‘400 raffigurante Uomini Illustri, sulle pareti lunghe, Virtù e Arti Liberali nelle lunette e la decorazione del controportale.





    Palazzo Vescovile, Cappella di s. Maria degli Angeli



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    Jacopo da Montagnana (1495)
    Inserita nel ricco percorso museale di Palazzo Vescovile, la Cappella di S. Maria degli Angeli è un vero gioiello d’arte sacra padovana. Realizzata alla fine del ‘400 fu decorata ad affresco nel 1495 da Prospero da Piazzola e Jacopo Parisati da Montagnana, quest’ultimo autore anche del trittico dell’Annunciazione sull’Altare.



    Palazzo Vescovile, Salone dei Vescovi

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    Affreschi di Bartolomeo Montagna
    Il maestoso Salone dei Vescovi all’interno di Palazzo Vescovile, fu affrescato nel 1505 da Bartolomeo Montagna con i ritratti dei primi 100 presuli patavini cui furono successivamente aggiunte le immagini dei successori fino ad inizio del ‘900. Conserva anche un ritratto di Francesco Petrarca proveniente dalla sua casa canonicale in Dietroduomo.




    Scoletta del Carmine



    Affreschi Giulio e Domenico Campagnola, Girolamo del Santo, Stefano dell’Arzere
    Edificata nel XIV secolo accanto alla Chiesa del Carmine, come sede dell'omonima confraternita, è decorata da un importante ciclo di affreschi del XVI secolo, rappresentanti Storie di Cristo e di Maria. Gli affreschi sono opera di Girolamo Tessari detto dal Santo, Giulio Campagnola,Domenico Campagnola, Stefano dall'Arzere e collaboratori.




    Scuola del Santo

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    Affreschi di Tiziano, Bartolomeo Montagna, Francesco Vecellio, Domenico Campagnola, Girolamo del Santo, Giovanni Antonio Corona, Filippo da Verona.
    Documentata già nel 1427 la Scoletta venne ampliata nel 1504 ed in seguito decorata con un ciclo di affreschi raffiguranti Storie e miracoli di S. Antonio. Tra gli autori degli affreschi spicca Tiziano che dipinse Il neonato proclama l’innocenza della madre, Il santo risana la donna pugnalata dal marito, Il Santo riattacca il piede a un giovane, tutti datati 1511.






    Sala dei Giganti

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    1540
    Il grande salone oggi inserito all’interno della Facoltà di Lettere o Liviano dell’Università di Padova, faceva originariamente parte di un palazzo dei Carraresi. Nel 1350 circa la sala venne affrescata da Guariento, Altichiero e Avanzo con personaggi storici illustri ispirati dal De Viris Illustribus del Petrarca. Gli affreschi che si ammirano oggi furono realizzati nel 1540 ad opera di Domenico Campagnola, Stefano dall’Arzere e Gualtiero Padovano e ripetono il soggetto precedente.
    Termporaneamente chiusa per restauri.



    Sala dei Nodari, Palazzo Moroni

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    Affreschi di Domenico Campagnola

    Un tempo Cappella del Collegio dei Notai, dove si riunivano in Capitolo, fu affrescata nel 1551 da Domenico Campagnola su incarico del podestà Stefano Tiepolo con temi religiosi: S. Giovanni Battista in gloria, i Santi Giovanni Evangelista, Paolo e Rocco, i protettori della città, Vescovi e Storie del Battista. I dipinti hanno subito nel corso del tempo ripetuti rimaneggiamenti e restauri.







    Oratorio di s. Rocco

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    Affreschi di Gualtiero Padovano e Stefano dell’Arzere (1542)
    L’Oratorio di s. Rocco, dove si riuniva l’omonima confraternita, fu decorato tra gli inizi del 1500 ed il 1542 con un ciclo pittorico dedicato alle Storie di s. Rocco, patrono contro la peste. Gli affreschi sono opera di due artisti padovani, Gualtiero Padovano e Stefano dall’Arzere, entrambi seguaci dello stile di Domenico Campagnola.


    Chiesa di s. Francesco

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    Affreschi di Girolamo del Santo
    Il complesso architettonico di S. Francesco fu iniziato nel 1414 per volontà dei coniugi Baldo e Sibilla Bonafari, con la costruzione dell’ospedale che fu per secoli, fino al 1798 il più importante della città. La costruzione della chiesa iniziò qualche anno dopo e nel Cinquecento fu ampliata. La seconda cappella della navata destra conserva un bel ciclo di affreschi raffiguranti Episodi della Vita della Vergine, capolavoro di Girolamo dal Santo (1523-26).


    Oratorio del Redentore

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    Affreschi di Girolamo del Santo
    Annesso alla chiesa di S. Croce sorge l’Oratorio del Redentore che fu decorato nel 1537 con il ciclo della Via Crucis o Misteri della Passione ad opera di Girolamo del Santo. I Santi protettori furono invece eseguiti da Domenico Campagnola.







    Oratorio di s. Bovo

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    La sala superiore dell’edificio, già Capitolo della Confraternita dei Bovai, presenta un soffitto ligneo a cassettoni e, sulle pareti, una serie di riquadri a fresco di vari autori cinquecenteschi tra cui Domenico Campagnola, Stefano Dall'Arzere, e altri ancora incerti, raffiguranti Storie della vita e della Passione di Cristo (ciclo analogo a quello del vicino Oratorio del Redentore a S. Croce).


    Odeo Cornaro

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    Affreschi di Lambert Sustris e altri autori ignoti
    L’Odeo Cornaro faceva parte del complesso di edifici appartenuti nel ‘500 al nobile Alvise Cornaro, protagonista della vita intellettuale cittadina dell’epoca. Studioso di idraulica ed imprenditore agricolo, teorico dell’architettura e promotore delle arti figurative, mecenate di numerosi artisti, accanto al suo palazzo padovano fece erigere la loggia per le rappresentazioni teatrali e l’Odeo, luogo per la musica e le conversazioni erudite. Quest’ultimo presenta splendide decorazioni a grottesche nella volta a ombrello del vano centrale, mentre nelle sale attigue si aprono ariosi paesaggi attribuiti a Lambert Sustris, artista olandese attivo a Roma, Venezia e Padova nel terzo decennio del Cinquecento.


    Scuola della Carità

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    Affreschi di Dario Varotari
    La Scuola della Carità fu la sede di una delle più importanti confraternite laicali di Padova, il cui compito era quello di amministrare i lasciti destinati al soccorso di infermi e poveri ed altre opere di bene. All’interno conserva un prezioso ciclo di affreschi raffigurante Storie della vita della Vergine eseguito nel 1579 da Dario Varotari. Sulla parete meridionale grande affresco raffigurante i coniugi Baldo Bonafari e Sibilla de Cetto, grandi benefattori e committenti del primo grande ospedale di Padova.
    Temporaneamente chiusa per restauri.


     
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    Loggia del Consiglio o della Gran Guardia

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    Affreschi di Antonio Torri (1667)
    L’elegante Loggia del Consiglio o della Gran Guardia che si eleva sul lato sud di Piazza dei Signori fu costruita tra 1501 ed il 1533 per ospitare la massima magistratura padovana. La sala superiore fu affrescata nel 1667 da Antonio Torri con episodi storici e leggendari di Padova.


    Chiesa di S. Gaetano

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    Affreschi di Guy Luis Vernansal (1730)
    Tra le numerose opere che affrescano la Chiesa di s. Gaetano, progettata da Vincenzo Scamozzi nel 1582, l’intervento di maggior rilevanza sul piano artistico è senza dubbio l’affresco della volta, capolavoro di Guy Louis Vernansal J., completato nel 1742. Nell’ideale Paradiso raffigurato dal pittore parigino le anime elette sono raffigurate entro 16 settori disposti a raggiera convergenti nel medaglione centrale dove compaiono la Trinità, Maria, Giovanni Battista, Giuda e Simone


    Caffè Pedrocchi, Piano Nobile


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    Tra il 1840 ed il 1842, Antonio Pedrocchi, committente di uno dei simboli di Padova, lo storico e glorioso Caffè Pedrocchi, fece decorare il piano nobile dello stabilimento nel segno del più disinvolto ed ironico eclettismo, ripercorrendo la civiltà dell’uomo attraverso una lettura del tutto personale dei vari periodi storici: etrusco, greco, romano, rinascimentale, ercolano, napoleonico, egizio, moresco.Una straordinaria galleria di stili a cui si dedicarono artisti bellunesi (Giovanni De Min, Pietro Paletti, Ippolito Caffi), padovani (Vincenzo Gazzotto, Antonio Gradenigo) ed il romano Giuseppe Petrelli.






    Palazzo Zabarella

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    Affreschi di Francesco Hayez (Ottocento), Giuseppe Borsato, Giovanni Carlo Bevilacqua
    Nell'Ottocento l'architetto Daniele Danieletti venne incaricato dal conte Giacomo Zabarella, ultimo discendente della famiglia, di creare un accesso al piano nobile dell’antico palazzo di famiglia, senza alterarne l'aspetto esterno. L'opera di Danieletti fu coronata, intorno al 1818-19, dalla raffinata decorazione parietale realizzata da tre artisti di grande notorietà: Francesco Hayez, Giuseppe Borsato e Giovanni Carlo Bevilacqua, già attivi a Venezia, che interpretarono il gusto neclassico della riscoperta dell'antico.




    Università di Padova, Palazzo Bo


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    Numerose le sale del prestigioso ateneo patavino decorate con la tecnica dell’affresco tra Ottocento e Novecento. Tra queste l’Aula Magna il cui soffitto fu affrescato da Giulio Carlini con “La sapienza e le discipline” (1854-56); la Sala dei Quaranta decorata con i ritratti di 40 grandi stranieri che frequentarono l’Università di Padova, opera di Giacomo dal Forno (1942); i grandi affreschi della maestosa scalinata che porta al rettorato ed il rettorato stesso sono invece opera di Giò Ponti (1941). Nella galleria del Rettorato affreschi di Piero Fornasetti (1942-43) e Fulvio Pendini (1956). Nella sala della Facoltà di Medicina affreschi di Achille Funi (1942). Nella Sala degli Studenti opere di Antonio Morato (1940). La cosiddetta Basilica è decorata da un ciclo di affreschi di Pino Casarini con La Storia politica dell’Università dal 1848 (1940-42).



    Università di Padova, Liviano

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    Sulle alte pareti del Liviano, sede della Facoltà di Lettere realizzata da Gio’ Ponti nel 1939, si svolge la grande decorazione di quasi 250 mq opera di Massimo Campigli (1940). L’opera illustra la Continuità della civiltà romana nella moderna, attraverso l’esaltazione di simboli di vita e poesia, di studio e di lavoro. Sulla parete sinistra sono i ritratti di Carlo Anti rettore dell’Università in quegli anni, Giò Ponti, Massimo Campigli e Giuditta Campigli.








    Basilica di S. Antonio

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    Achille Casanova (1903-1943)
    Autori vari (1905-1983)
    Sul finire dell’Ottocento a causa dei numerosi incendi e calamità susseguitisi nel corso dei secoli la Basilica aveva ormai perso gran parte della decorazione parietale quattrocentesca. Fu così indetto un concorso, dal quale risultò vincitore Achille Casanova. L’abside, il catino, la cupola principale e le pareti laterali furono decorate dall’artista emiliano con una serie di affreschi raffiguranti vari soggetti aventi come filo conduttore La glorificazione di s. Antonio. Anche le cappelle dell’ambulacro presentano affreschi novecenteschi: Cappella di S. Giuseppe affreschi di Ermolao Paletti (1912); C. di S. Francesco affreschi di Adolfo de Carolis e Ubaldo Oppi; C. di S. Leopoldo da Gerardo Fugel ( 1905); C. di S. Stanislao opere di Taddeo Popiel (1899); C. di s. Stefano affreschi di Lodovico Seitz (1908); C. di s. Bonifacio affreschi di Martino Feuerstein (1907); C. di s. Rosa affreschi di Biagio Biagetti (1913-14); C. di s. Caterina opere di Pietro Annigoni (1983).



    Edited by tomiva57 - 16/1/2012, 14:16
     
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    La Navigazione Turistica a Padova e Riviera del Brenta



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    Fin dai tempi antichi la via d'acqua era preferita dall'uomo; il trasporto fluviale era considerato comodo e sicuro rispetto alle strade spesso impraticabili per le piogge, il gelo o il brigantaggio.
    Nel Veneto, già ricco di corsi d'acqua naturali, venne scavata una fitta rete di canali artificiali navigabili, vere e proprie autostrade d'acqua, per collegare tra loro fiumi, rendere più breve o agevole il trasporto, l'irrigazione e lo sfruttamento energetico; la grande rete di fiumi e canali navigabili rappresentò per le genti venete la fonte primaria di ricchezza.
    Attraverso una fitta serie di canali tutte le città venete erano collegate tra loro e tutte erano collegate alla laguna di Venezia e al mare, principali punti di scambio commerciale.
    Quando poi si navigava in canali con poca pendenza o si risaliva controcorrente, le imbarcazioni venivano trainate dai cavalli, guidati dai cavalanti, o dagli stessi barcari che camminavano lungo l'argine, sulle rive chiamate alzaie.

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    Per agevolare la navigazione si costruirono le Conche di Navigazione, dette anche Chiuse o Porte, veri e propri ascensori d'acqua che congiungevano corsi d'acqua di diverse altezze e permettevano alle imbarcazioni di risalire o discendere il corso d'acqua.
    I grandi commerci e le necessità della Serenissima Repubblica di Venezia favorirono una grande crescita delle richiesta di beni e risorse dell'entroterra; granaglie, prodotti agricoli, legnami, marmi, pietre calcaree dei Colli Vicentini e la pregiata trachite dei Colli Euganei arrivavano a Venezia via acqua.

    Ma oltre alle merci, i percorsi fluviali che collegavano Venezia con Padova e i Colli Euganei erano frequentati da burci, padovane, gondole, sandoli e burchielli che trasportavano persone e merci lungo le aste fluviali dei fiumi, dove venivano costruite delle residenze, inizialmente per controllare le attività dei poderi, che poi si trasformarono in splendide Ville.

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    Il burcio (o burchio), era una tipica imbarcazione fluviale da grandi carichi, a fondo piatto costruita con ossature in legno duro e fasciame e coperta in legno dolce; avevamo una grande capacità di attraccare dovunque poggiando sulla riva e sono ricordati anche da Dante nella Divina Commedia "come talvolta stanno a riva i burchi / che parte sono in acqua e parte in terra…(Inferno, canto XVII, vv 21-22)".
    Ancor più usata era la padovana, una specie di piccolo burcio, stretto e basso, con la prua e la poppa similari, ambedue arrotondate per meglio superare i dislivelli d'acqua ed essere bidirezionale.

    Si usava andare in "montagna" sui Colli Euganei o in "villeggiatura" nelle Ville lungo la Riviera del Brenta e la Riviera Euganea dei Canali Battaglia e Bisato.
    Per questo servizio, i ceti più facoltosi utilizzavano i burchielli, tipiche imbarcazione per trasporto passeggeri, con una parte cabinata a tre o quattro balconi, mentre per le classi più popolari venivano utilizzate imbarcazioni più sobrie e meno comode tipo la barca da Padova.
    Nei tratti più brevi e in città, anche a Padova, si usavano le gondole dotate di una cabina amovibile, detta "felze", che le dava l'aspetto e la funzione della carrozza, offrendo riparo alle intemperie ed agli sguardi indiscreti.

    Dalla metà dell'Ottocento iniziò però un lento declino del trasporto fluviale proporzionale al rapido sviluppo della ferrovia e della rete stradale; oggi gli interventi di pulizia, il risezionamento dei fiumi e il ripristino delle vecchie conche, hanno permesso la ripresa della navigazione , per turismo o diporto, lungo gli antichi percorsi d'acqua dove le genti venete hanno costruito la loro storia.

    Il Brenta è un fiume che nasce dal Lago di Caldonazzo e scende lungo la Valsugana fino a Bassano, ove inizia il suo corso in pianura, raggiunge la zona nord di Padova; qui si divide. Un ramo prosegue dritto verso la laguna sud di Venezia, mentre un altro ramo, canale artificiale scavato da veneziani, il famoso e antico Naviglio del Brenta, a Noventa Padovana devia per Strà, Dolo, Mira raggiungendo Fusina e quindi Venezia. Noventa Padovana era l'antico porto fluviale di Padova sul Brenta; qui, un tempo, si fermavano le barche e i passeggeri e le merci arrivavano a Padova su carri e carrozze. Poi nel 1209 venne completato il taglio del Canale Piovego, lungo 10 km, da Padova a Strà, che convoglia nel Brenta le acque di Padova provenienti dal Bacchiglione, collegando direttamente Padova al Naviglio del Brenta e quindi a Venezia. Con l'apertura del Canale Piovego e la creazione del porto fluviale del Portello, la navigazione su Padova crebbe fiorente.

    Oggi la navigazione fluviale a Padova presenta percorsi ed itinerari turistici pregevoli e molto ricercati.
     
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    Escursioni in battello in Padova città



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    Gradevole la navigazione lungo i canali della città, tra il verde e le antiche mura rinascimentali.

    Escursioni in battello alle Ville Venete della Riviera del Brenta



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    Famosa, in tutto il mondo, la navigazione da Padova alle Ville Venete della Riviera del Brenta.
    Un tempo le imbarcazioni si chiamavano burchielli; e navigando lungo il percorso storico degli antichi burchielli veneziani del '700, il viaggio inizia a Padova e, superando cinque Chiuse, che permettono di discendere un dislivello acqueo di circa 10 metri; e dieci ponti girevoli, termina a Venezia, in Piazza San Marco. Oggi tutti i battelli a motore che percorrono la Riviera del Brenta da Padova a Venezia e viceversa sono chiamati comunemente burchielli. I nomi dei singoli battelli variano in relazione alle società di navigazione; alcuni sono moderni, in metallo, altri sono tradizionali e romantiche imbarcazioni in legno come i burci. Eredi delle antiche tradizioni, queste moderne, confortevoli e panoramiche imbarcazioni solcano le acque del Brenta, con lento incedere, mentre le guide a bordo illustrano la storia, la cultura e l'arte testimoniata dalle Ville del Brenta.

    Escursioni in battello sul Bacchiglione

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    Un suggestivo percorso fluviale naturalistico, tra il verde lussureggiante, la navigazione da Padova a Selvazzano, lungo il fiume Bacchiglione.

    Escursioni in battello lungo la Riviera Euganea

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    Interessante la navigazione, su tradizionali imbarcazioni di legno, da Padova a Monselice; antico percorso amato da Francesco Petrarca, che attratto dalle bellezze dei luoghi, amava comporre le sue rime, mentre in barca navigava il Naviglio della Riviera Euganea per raggiungere il suo vigneto di Arquà, "ameno recesso tra i Colli Euganei, in deliziosa e salubre postura".

    Escursioni in battello da Pontelongo alla laguna di Venezia

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    Piacevole, inoltre, la navigazione, in genere effettuata d'estate, nei mesi di luglio e agosto, da Pontelongo a Venezia e le sue isole.







    Padova Medievale



    Il Medioevo è la stagione per eccellenza delle città-castello. I borghi feudali si chiudono, generano centri satelliti e armano rocche.

    Nella Provincia di Padova si concentrano numerose testimonianze di città fortificate medievali, offrendo una ricchezza tipologica di difese fortificate tale da caratterizzare il territorio padovano come una delle aree più interessanti in Europa.

    Possenti segni della storia, gli imponenti baluardi difensivi, completati da castelli e roccaforti, ci rimandano ancora oggi gli echi dell'affascinante e misterioso mondo medievale. Antichi centri di ricchezza e di potere, nella loro austerità racchiudono inaspettati tesori artistici .

    Oltre al capoluogo Padova, che conserva parti consistenti della cinta muraria, nel territorio sud-occidentale della provincia, allineate lungo una delle principali arterie di comunicazione, a breve distanza l'una dall'altra si incontrano Monselice, Este e Montagnana, veri e propri gioielli medievali. A nord di Padova si trova Cittadella con la sua cinta ellittica, perfettamente conservata.

    Monselice

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    A Monselice la severa Rocca federiciana domina dalla sommità del colle la pianura e l'abitato sottostante. Le mura merlate e il poderoso castello con la sua ricca collezione d'armi e armature, ricordano l'importanza strategica di questa cittadina in epoca medievale, e la Giostra della Rocca, spettacolare manifestazione che si ripete ogni anno la terza domenica di settembre, rievoca i giorni in cui l'imperatore Federico II soggiornò a Monselice, coinvolgendo gli abitanti in giochi e festeggiamenti che ancora oggi entusiasmano cittadini e turisti.

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    Este

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    Este, già centro principale dei Paleoveneti, di cui si conservano preziosi reperti nel Museo Nazionale Atestino, nel Medioevo fu uno dei principali centri fortificati per il controllo del territorio. Conserva i resti del possente castello, eretto tra il 1338 e il 1339 da Ubertino da Carrara, circondato da una cinta lunga 1.000 metri, abbellita da 12 torri, che oggi racchiude i giardini pubblici.


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    Montagnana



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    Montagnana, una delle più belle città murate d'Italia, conserva, praticamente intatta, la cinta muraria medievale che si snoda per quasi due chilometri, e racchiude il centro cittadino. La possente muraglia merlata è rafforzata da 24 torri esagonali e da poderosi castelli, quali il Castello di s.Zeno, nucleo cittadino di origini antichissime forse anteriori al Mille, oggi sede del Museo Civico, e la Rocca degli Alberi, esemplare testimonianza di ingegneria militare dell'epoca carrarese, oggi sede dell'Ostello della Gioventù. Ogni anno, la prima domenica di settembre, i 10 Comuni dell'antica Sculdascia, si contendono il pallium, nell'emozionante Pallio di Montagnana.


    Cittadella



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    La quarta città murata, Cittadella, è situata a circa 30 km a nord di Padova. Esempio eccezionale in Europa di borgo murato in pianura concepito fin dall'origine a perimetro ellittico, Cittadella conserva intatta la propria cinta muraria. Avamposto strategico in difesa di Padova contro gli attacchi dal nord, la cinta muraria venne eretta a partire dal 1220 ed è arricchita da 32 torri. Le quattro torri principali sono a difesa delle quattro porte d'ingresso alla città. La Torre di Malta, in corrispondenza di Porta Padova, era sede delle prigioni ed è menzionata nella Divina Commedia di Dante (Paradiso, IX, 54).





    Padova



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    Della cinta muraria medievale costruita a partire dal 1195 a delimitare l’antica isola romana ed in seguito le nuove espansioni urbane, rimangono molte preziose testimonianze (comprese 3 porte) mentre quella rinascimentale della prima metà del ‘500 è quasi interamente conservata, per un circuito di circa 11 km. con 20 bastioni e 6 porte superstiti. La cinta rinascimentale fu eretta dopo che Padova, nel 1509 durante la guerra della Lega di Cambrai fu assediata e presa dalle truppe imperiali di Massimiliano d’Austria. La città fu subito liberata, ma il pericolo corso indusse il Senato veneziano ad ordinare il rifacimento completo delle mura. Iniziata nel 1523 da Bartolomeo d’Alviano, capitano generale della Serenissima, l’opera fu continuata da Michele Sanmicheli e nel 1544 poteva dirsi completata. Il complesso sistema difensivo, ordinato su mura e bastioni formidabili, esemplare per l’architettura militare del tempo, faceva di Padova, secondo il giudizio dei contemporanei, una città imprendibile.






    Padova: città della scienza



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    Padova è la città ideale per scoprire il cammino fatto dall’uomo nel campo della scienza, della tecnica, del sapere, della creatività. Dal 1222, anno ufficiale di fondazione dello Studio Patavino, ad oggi l’evoluzione scientifica e tecnologica ha sempre progredito e segnato tappe fondamentali grazie alla presenza di personalità illuminate e geniali, ad un clima di massima libertà e di grande vivacità culturale.

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    La si può definire un vero e proprio luogo di produzione del sapere scientifico e tecnologico: oltre al prestigioso polo scientifico-sanitario è di recentissima costituzione un centro di assoluta eccellenza a livello europeo interamente dedicato alle nanotecnologie.

    L’Università di Padova, una delle più antiche del mondo (la seconda in Italia dopo Bologna), è un autentico archetipo dell’università moderna e rappresenta il fulcro del percorso scientifico in città. La sede storica, il Bo, conserva intatto il più antico teatro anatomico stabile del mondo ed alcuni siti storici e reperti eccellenti come la trecentesca Aula di Medicina, la cattedra di Galileo Galilei, professore a Padova dal 1592 al 1618, l’Aula Magna, antica Scola Granda dei Legisti e il doppio chiostro moroniano, magnificamente decorati dagli stemmi di studenti e professori insigni. Busti, lapidi, iscrizioni, statue, dipinti ritraggono i personaggi illustri che segnarono la storia dello Studio Patavino, come Pietro d’Abano, Nicolò Copernico, William Harvey, Andrea Vesalio, Gabriele Falloppio, Galileo Galilei, Fabrizio d’Acquapendente, Giovan Battista Morgagni, per citarne solo alcuni. L’elegante statua di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia è un omaggio alla prima donna laureata del mondo, addottoratasi in filosofia discussa nel 1678 presso l’Università di Padova.

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    Altra eccellenza scientifica è l’Orto Botanico. Fondato nel 1545 su richiesta della scuola medica dell’Università di Padova, esso rappresenta il più antico orto botanico universitario del mondo che abbia mantenuto la sua sede originaria. Istituito per lo studio dei Semplici (piante medicinali), l’Orto è stato testimone dell’evoluzione della Botanica da scienza applicata alla medicina alle varie branche attuali. In esso si svolge ancora oggi un’intensa attività didattica e divulgativa, varie attività di ricerca e vi si conservano, tra le altre, specie rare e minacciate. Nell'Orto vengono coltivate circa 6000 piante, incluse piante esotiche, medicinali, velenose ed insettivore. La pianta più antica vivente è una palma di S. Pietro (Chamaerops humilis var. arborescens) piantata nel 1585. Essa viene chiamata Palma di Goethe da quando il sommo poeta tedesco nel 1786, dopo averla studiata, espresse la sua intuizione evolutiva nel saggio La Metamorfosi delle piante. Nell’annessa Biblioteca sono custoditi erbari storici, testi scientifici, preziosi libri illustrati, molti dei quali esemplari unici. Dal 1997 è stato dichiarato dall’UNESCO Patrimonio mondiale dell’umanità.

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    Mecca degli studenti di astronomia e degli appassionati di vedute dall’alto è la torre dell’Osservatorio, detta La Specola, istituita nella seconda metà del Settecento per dotare l’Università di Padova di un osservatorio astronomico che consentisse di sperimentare le teorie astronomiche ed avviare così un approccio più moderno a tale scienza. Innalzata sulla Torlonga, un’antica torre del sistema fortificato del castello cittadino, la Specola è oggi sede di un interessante museo, che ospita tra l’altro una grande Meridiana su cui veniva misurato il vero mezzogiorno di Padova, strumenti di osservazione costruiti da artigiani inglesi nel Settecento, cannocchiali tedeschi e austriaci, apparecchi utili allo studio della meteorologia.

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    Fanno da corollario all’ambiente universitario una miriade di Musei Scientifici, tra cui il Museo di Geologia e Paleontologia, il Museo di storia della Fisica, il Museo di Mineralogia, vari Istituti di ricerca e sperimentazione scientifica, Centri e laboratori legati allo Studio ma anche piccoli gioielli, pubblici o privati, che testimoniano la passione suscitata in spiriti creativi dalla fucina universitaria. Ne è esempio straordinario il Museo del Pre-cinema e della Lanterna Magica, che, in un’atmosfera d’altri tempi, espone la preziosa collezione di Laura Minici Zotti, comprendente lanterne magiche, vetri dipinti per la proiezione, strumenti e giochi ottici antichi, strumenti musicali, vedute ottiche e persino un teatro di ombre Giavanesi, tutti oggetti rigorosamente d’epoca. Un eccezionale percorso nella magia e nell’incanto dell’epoca del precinema.


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    Per il momento è solo virtuale, ma a breve lo si potrà visitare veramente, lo straordinario Museo di storia della medicina e della salute, ospitato nel quattrocentesco Ospedale di s. Francesco Grande, in cui sarà documentata la ricca tradizione e l’evoluzione dell’assistenza sanitaria e della scienza medica a Padova.


     
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    I luoghi della fede




    L’ampia ed immediata diffusione del Cristianesimo nel padovano è testimoniata dall’immenso patrimonio architettonico-religioso costituito da chiese, cappelle, luoghi sacri, monasteri ed abbazie, presenti su tutto il territorio.

    Secondo la tradizione, nel 304 presso Prato della Valle fu martirizzata di spada Giustina, aristocratica romana: sul luogo della tomba nel 530 d.C. furono eretti in suo onore una basilica ed un sacello. Ancora oggi la Basilica di s. Giustina rappresenta una delle più antiche testimonianze di fede ed architettura cristiana nel territorio padovano. Oltre alla cinquecentesca basilica vi si ammirano l’antichissimo sacello del VI sec., una parte dell’antica basilica romanica (XII-XIII sec.), il pozzo dei martiri. L’annesso Monastero Benedettino con chiostri affrescati, comprende una ricca biblioteca e il centro per restauro del libro antico.


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    Alle cupole della Basilica di S. Giustina fanno da contrappunto quelle, vicinissime, della Basilica di s. Antonio. Il grandioso santuario, meta ogni anno di milioni di fedeli e visitatori da tutto il mondo, fu iniziato nel 1232, pochi mesi dopo la morte di S. Antonio, per custodirvi le spoglie del Santo, e già nel 1310 svettava con cupole, minareti e cappelle radiali, in seguito arricchite da splendide opere d’arte realizzate tra il XIII secolo e i giorni nostri.

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    La terza grande basilica della città è la cinquecentesca Cattedrale del Duomo, edificata su una basilica romanica del 1075, sorta a sua volta sul sito di un’antichissima domus ecclesiae. Nell’annesso Battistero s’incontra lo splendido ciclo di affreschi di Giusto de’ Menabuoi. L’impatto con il grandioso Paradiso della cupola è mozzafiato: centinaia di santi disposti in cerchi concentrici attorno alle figure di Cristo Pantocratore e della Madonna vegliano sul sottostante fonte battesimale, collocato sul luogo dove un tempo si trovava il sarcofago di Francesco il Vecchio da Carrara, Signore di Padova dal 1350 al 1388. Da non perdere la visita al Museo Diocesano, allestito nelle splendide sale del Palazzo Vescovile, espone preziose opere d'arte e antichi manoscritti e nella visita include il grandioso salone dei Vescovi e la suggestiva Cappella di S. Maria degli Angeli.






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    Un altro santuario molto venerato si trova poco lontano da Prato della Valle: è il Santuario di s. Leopoldo Mandic, che conserva le spoglie e la cella-confessionale dell’amato santo di origini dalmate. A nord della città, infine, sorge il Santuario antoniano dell'Arcella, dove s. Antonio morì la sera del 13 giugno 1231.


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    Oltre alle grandi basiliche, a Padova s’incontrano moltissime chiese, cappelle e oratori, spesso situati al di fuori degli itinerari più battuti, ma ricchissimi di storia e arte. Le opere di Andrea Mantegna nella Chiesa degli Eremitani, anche se in gran parte perduti con i bombardamenti del 1944, racchiudono i segreti del rinascimento toscano.

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    L’appartata Chiesa di S. Maria del Carmine conserva un prezioso ciclo di affreschi cinquecenteschi. La suggestiva piccola Chiesa romanica di S. Nicolo custodisce opere di Jacopo Montagnana, Stefano dall’Arzere e Giandomenico Tiepolo. Si respira una mistica atmosfera medievale nell’austera Chiesa di s. Sofia, uno dei più antichi edifici della città.





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    Anche la provincia di Padova è ricca di luoghi sacri, che nei secoli hanno rappresentato luoghi di fede cultura e ricerca. Tra questi di particolare suggestione i monasteri e gli eremi. Nel verde dei Colli Euganei si trova l’Abbazia di s. Maria di Praglia, fondata nell’XI secolo e, nel Medioevo e Rinascimento, caposaldo della colonizzazione agricola benedettina in tutto il territorio a ovest di Padova. Nel 1448 l’Abbazia venne ampliata e risistemata con la realizzazione dell’elegante chiesa su disegno di Tullio Lombardo e la ricostruzione di parte del monastero. La chiesa dedicata all’Assunta conserva vari affreschi e dipinti di scuola veneta ed un crocifisso ligneo attribuito alla cerchia di Giotto. Il monastero racchiude bei chiostri, la preziosa sala del Capitolo, il refettorio monumentale e la famosa “divina loggetta” immortalata dallo scrittore Antonio Fogazzaro nel romanzo Piccolo mondo moderno (1901). L’Abbazia è conosciuta universalmente per l’importante attività di restauro di libri antichi e codici miniati, svolta dai monaci stessi.

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    La cima del Monte Rua ospita sin dal 1339 un eremo camaldolese di clausura non visitabile, ma dalla vicinanze dell’eremo si può godere di una splendida vista panoramica sui colli e sulla pianura circostante.


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    Nell’Estense sorge l’antichissima Abbazia di s. Maria di Carceri: l’immenso complesso comprende chiesa, abbazia, chiostri e foresteria e fu in parte trasformato in villa sul finire del ‘600. Conserva antichissime parti di epoca romanica, il chiostro rinascimentale, il prezioso battistero, le sale affrescate dell’ex Biblioteca, ed un piccolo Museo della Civiltà Contadina.






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    La Chiesa Abbaziale di S. Stefano, a Due Carrare, a cui un tempo era annesso un importante complesso monastico risalente ai primi anni dopo il Mille, è un prezioso documento architettonico dell’arte romanica in terra veneta. La chiesa racchiude un antico pavimento a mosaico risalente in parte all’XI ed in parte al XIV secolo, ed il sarcofago marmoreo custode delle spoglie mortali di Marsilio da Carrara, signore di Padova, morto nel 1338.

    Moltissimi i luoghi legati al culto mariano e la cui esistenza è spesso legata ad eventi miracolosi.

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    A Monteortone di Abano Terme sorge il Santuario di s. Maria di Monteortone, dove nel 1428, a seguito di una pestilenza, la Madonna apparve ad un cavaliere malato invitandolo ad entrare nell’acqua dove il cavaliere trovò un’immagine della Beata Vergine, subito divenuta oggetto di culto. All’interno del santuario, oltre alla sacra immagine, sono custoditi affreschi di Jacopo da Montagnana e una pala di Palma il Giovane.

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    Sempre sui Colli Euganei, sul Monte della Madonna (Teolo), si trova il cinquecentesco Santuario della Madonna del Monte. Una Madonna delle Grazie è venerata nella basilica d’Este, edificata nel 1717 sul luogo di un precedente santuario per custodirvi una tavola bizantina della Vergine, ritenuta miracolosa.




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    E sempre a Maria è dedicato il Santuario del Tresto, in località Ospedaletto Euganeo. Sorta nel 1468 in seguito a una visione della Madonna da parte di un barcaiolo, la chiesa conserva una decorazione originale e tele di maestri veneti, tra cui la Madonna miracolosa attribuita a Jacopo da Montagnana. Un’edicola all’esterno dell’edificio protegge la fonte che si ritiene miracolosamente sgorgata durante la costruzione della chiesa.
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    A Piove di Sacco, capoluogo della verde Saccisica, sorgono due importanti edifici religiosi: il Duomo di S. Martino e il Santuario della Madonna delle Grazie, che conserva una Madonna col Bambino di Giovanni Bellini

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    Alla figura di s. Antonio è dedicato il piccolo ma suggestivo Santuario del Noce di Camposampiero. Secondo la leggenda la chiesetta sarebbe stata costruita sul luogo in cui s. Antonio tenne una memorabile predica dall’alto di un noce. All’interno, un completo ciclo di affreschi, opera del pittore cinquecentesco Girolamo del Santo, rievoca scene di miracoli e vita antoniana, mentre la pala d’altare che rappresenta la predica di s. Antonio dal noce è opera autografa di Andrea da Murano (1486).


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    Padova dei sapori



    La secolare tradizione gastronomica padovana affonda le sue radici nei prodotti semplici dell'orto, del cortile, della vigna, nella "pertica" degli insaccati, nei frutti di stagione e, in alcune zone, nelle erbette spontanee.

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    I prodotti della corte esprimono la regalità della proposta padovana: la famosa Gallina Padovana, la gallina di Polverara, l'oca, la faraona, il cappone, l'anatra rappresentano un patrimonio dove trovano sintesi storia, tradizioni e gastronomia.

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    Padova, al pari dell'intero Veneto, è terra di vitigni pregiati e riconosciuti. Cinque sono le aree dove si producono Vini DOC: l'area dei Colli Euganei, le campagne di Bagnoli e Merlara, la corte di Correzzola e la Riviera del Brenta.
    I vini sono al centro di numerose manifestazioni e rassegne che si svolgono in particolare in primavera e in autunno.

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    Nei Colli Euganei la coltivazione dell'olio è sempre stata costante dall'epoca pre-romana ad oggi. L'olio extra vergine di oliva prodotto nell'area dei Colli Euganei deriva unicamente dal territorio dei 15 comuni sottoposti a tutela dell'ente Parco Regionale dei Colli Euganei. Il suo colore è tipicamente verde oro; è un prodotto delicatamente fine, ottenuto con estrazione a freddo, generalmente confezionato non filtrato, dopo accurate decantazioni.

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    La tavola invernale ha due prodotti d'eccellenza: il radicchio e il Prosciutto di Montagnana.
    Nel territorio padovano vengono coltivate tutte le varietà del radicchio, vanto della produzione veneta. I radicchi, da quello variegato di Castelfranco a quello Rosso Precoce e Tardivo di Treviso, dal Rosso Chioggia al Rosso Verona sono estremamente presenti nelle proposte culinarie padovane. Il gusto morbido ed amarognolo è esaltato nel risotto al radicchio, ottima ricetta della tradizione culinaria veneta.

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    Oltre che per la splendida cinta muraria medievale perfettamente conservata, Montagnana è famosa anche per i prosciutti, una tradizione che affonda le radici nelle stesse tradizioni rurali della sua pianura e che gli abitanti dell'antica cittadina continuano orgogliosamente a chiamare prosciutto crudo dolze di Montagnana.
    Il sapore dolce, la morbidezza, il colore rosato e l'inconfondibile profumo garantiscono la delicatezza di un prodotto riconosciuto per la Denominazione di Origine Protetta e la cui tutela è garantita dal Consorzio del Prosciutto Veneto Berico Euganeo, che ha sede a Montagnana.

    La terza domenica di Maggio si svolge a Montagnana Piacere Montagnana! la festa del prosciutto dolce.

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    La primavera propone come prodotto d'eccellenza l'asparago, di cui la provincia di Padova è principale produttore, sia per la tipologia bianca che per quella verde. Nella sua breve apparizione primaverile l'asparago accompagna il permanere a tavola in modo molto semplice ma diffuso. Uova e asparagi o il delicato risotto con gli asparagi non mancano mai sia nelle proposte dei ristoranti che nelle tavole delle famiglie di tutta la provincia.

    Per l'estate la tavola padovana propone i suoi ottimi formaggi. Qui, soprattutto nelle zone a nord della provincia, zona dei prati stabili, vengono prodotti alcuni tipi di formaggi tra i più ricercati della nostra regione quali il Grana Padano, l'Asiago e il Montasio.

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    Il ricettario trae le sue origini storiche all'epoca degli Obizzi, dei Carraresi e dei Contarini, che hanno saputo creare e valorizzare dei piatti prelibati, riscattando la semplicità degli ingredienti. E' però pressochè impossibile parlare di omogeneità nella cucina padovana, poichè il territorio della provincia nelle sue diversificazioni lagunari e vallive, collinari, fluviali e di pianura, offre alla cucina una gran varietà di ingredienti, che si diversificano da zona a zona.

    Pochi sono i piatti distribuiti uniformemente: tra questi, forse il più famoso è il "bollito alla padovana" nella versione codificata nel Seicento dall'alemanno Mattia Giegher.

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    Altri piatti sono i "risi e bisi" e la sostanziosa "pasta e fasoi". Le proposte della cucina si abbinano ai generosi vini padovani: noti da tempo e già esaltati dal Petrarca e dal Ruzante, sono oggi garantiti dalla serietà e competenza dei vignaioli riuniti nel Consorzio vini D.O.C. dei Colli e di Bagnoli.

    Grazie al costante impegno degli operatori, la cucina veneta,e padovana, viene tramandata mantenendo le delicate peculiarità degli antichi piatti pur non rinunciando ad attuali rivisitazioni secondo i canoni più moderni.

    Le eccellenze dell'enogastronomia padovana sono ora certificate dal marchio di qualità Padova da gustare, e codificate nella Carta dell'eccellenza dell'enogastronomia padovana, che stabilisce i criteri per garantire l'assoluta tipicità, genuinità e rintracciabilità dei prodotti enogastronomici padovani.






    Un paradiso enogastronomico dove gli uvaggi e le tradizioni locali si fondono con i prodotti locali


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    I Colli Euganei costituiscono una vera e propria isola naturalistica, protetta dal Parco Regionale, caratterizzata da una vegetazione molto ricca e varia, e da una terra che offre frutti preziosi in ogni stagione: deliziosi frutti di bosco, ciliegie, fragole, more, giuggiole, melagrani, fichi, delicate erbette spontanee, uve, miele finissimo ed olio lavorato secondo una tradizione di 700 anni.
    Qui si snoda la Strada dei Vini dei Colli Euganei , un paradiso enogastronomico dove gli uvaggi e le tradizioni locali si fondono con le migliori espressioni stagionali dei prodotti dell’orto, del campo , del cortile, della vigna e delle erbette spontanee.
    Tra i primi piatti è d'obbligo l'assaggio dei saporiti risotti: il tradizionale risotto ricco alla padovana, speciale e tipico il risotto di frattaglie di pollo e quelli con le erbette selvatiche di campo; ed inoltre i tradizionali risotti con i “bisi”, con le “ciche” o i fegatelli, con le quaglie o con il radicchio; le paste fatte in casa, dai “bigoi” con l’anitra alle tagliatelle con oca e zucca, dalle pappardelle ai pasticci e agli sfornati; i secondi piatti con l’anatra ripiena, la gallina padovana, il coniglio, gli spiedi di torresani e di faraone, il pollo fritto, le carni in umido e le saporite grigliate; per finire con torte e crostate con la frutta in composta o fresca, i dolcetti con lo zabaione al moscato e le “pinze” al mais; il tutto accompagnato dal buon vino, ovviamente D.O.C., dei Colli Euganei.



    Colli Euganei: un'oasi naturalistica nel cuore della pianura veneta



    Sorti circa 35 milioni di anni fa, i Colli Euganei sono una vera e propria oasi naturalistica costellata di testimonianze storiche ed artistiche, antichi borghi, ville, giardini e monasteri.

    Il dolce profilo dei Colli Euganei arricchisce di colore e contrasto la vasta distesa pianeggiante che caratterizza la provincia di Padova. Sorti circa 35 milioni di anni fa, nell'oligocene, da un'eruzione magmatica sottomarina quando la pianura padana era sommersa dal mare, i Colli Euganei si presentano agli occhi del visitatore come una catena di dolci rilievi dalle caratteristiche forme a cono.

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    I rilievi sono circa un centinaio ed il più alto è il Monte Venda (mt. 601). Considerato il grande interesse geomorfologico ed ambientale, l'intera area - circa 18 700 ettari - è stata dichiarata Parco regionale nel 1989. La felice posizione degli Euganei permise lo stanziarsi di popolazioni fin dal Paleolitico inferiore, come dimostrano numerosi ritrovamenti archeologici: all'epoca la pianura sottostante era un'immensa palude boscosa, resa abitabile solo dalle bonifiche medievali e veneziane.

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    Ai piedi degli Euganei sorgono le celebri località termali come Abano e Montegrotto Terme, luoghi di cura famosi già in epoca romana. La splendida vegetazione dei colli incantò artisti e letterati di tutti i tempi, tra cui Francesco Petrarca che elesse questi luoghi come quieta dimora degli ultimi anni della sua vita. Impreziositi da borghi medievali, rocche, castelli, ville patrizie e musei, i Colli Euganei sono la meta ideale per chi ama l'aria aperta, le escursioni in bicicletta o a piedi, la natura ma anche l'arte e la storia. Da ogni località partono itinerari escursionistici alla portata di tutti. I dislivelli non sono mai elevati e le strade, sterrati o sentieri, portano in luoghi di incantevole bellezza con sempre mutevoli panorami sulla pianura.


    Per un ITINERARIO circolare di visita ai principali luoghi dei Colli Euganei si potrebbe partire da Montecchia e passando per i comuni di Teolo, Vo, Lozzo Atestino, Cinto Euganeo, Arquà Petrarca, Battaglia Terme, Valsanzibio (Galzignano Terme), Torreglia giungere a Montegrotto Terme ed Abano Terme.

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    Partiamo dunque da Montecchia dove sorge la bella Villa Emo Capodilista costruita a fine '500 su progetto di Dario Varotari, a pianta quadrata e ampie logge aperte sull'incantevole paesaggio circostante. Le visite guidate partono dalle Cantine Emo Capodilista dove è possibile conoscere ed acquistare i vini prodotti nelle tenute Capodilista. Il complesso della Montecchia include anche il Golf Club Montecchia, campo a 27 buche ambientato nello splendido scenario collinare. Da Montecchia in breve tempo si raggiunge l'Antica Abbazia di Praglia. Sorta ai piedi del Monte Lonzina nell'XI secolo deve il suo nome al termine "pratalea" cioè area coperta di prati. E' ancora oggi un importante centro benedettino e sede di un famoso laboratorio di restauro del libro antico. I visitarori possono avere accesso sia all'antico monastero che alla chiesa annessa.





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    Da Praglia percorrendo vie interne (Via Liviana) si raggiunge Luvigliano, frazione di Torreglia dominata dalla splendida Villa dei Vescovi, edificata tra il 1474 ed il 1579 su disegno di Giovanni Maria Falconetto. Luvigliano è anche un luogo ideale per l'acquisto di prodotti enogastronomici locali soprattutto i vini Doc dei Colli, l'olio ed il miele. Qui hanno sede il Consorzio Vini Doc dei Colli Euganei, la Luxardo che produce ottimi liquori e le aziende Villa Pollini e Vignalta. Ogni anno tra ottobre e novembre si tiene la Mostra dei Vini DOC dei Colli Euganei.


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    Da Luvigliano si ritorna verso Treponti e in breve si giunge a Teolo. La latina Titolum è per tradizione ritenuta patria dello storico Tito Livio. All'interno dell'antico palazzetto dei Vicari è ospitato il Museo d'Arte Contemporanea intitolato all'artista Dino Formaggio. Da qui una strada sale, attraversando il parco Lieta Carraresi, area boschiva protetta, di grande interesse naturalistico e panoramico, fin sul Monte della Madonna dove sorge il Santuario della Madonna del Monte (1523).


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    Giardini storici, parchi secolari e verdi geometrie




    La provincia di Padova è ricca di giardini storici, espressione della civiltà e della cultura che hanno caratterizzato il territorio padovano nel corso dei secoli passati, ed in particolare della ricerca di simbiosi tra intervento dell'uomo e paesaggio naturale.

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    Il seicentesco parco di Villa Barbarigo a Valsanzibio è senza dubbio uno dei luoghi veneti più emblematici. Calato in uno splendido scenario collinare, il giardino, progettato nella seconda metà del Seicento su commissione della nobile famiglia Barbarigo, è organizzato in vari punti focali e panoramici, come il grande labirinto in bosso, il monumentale Bagno di Diana, l’Isola dei Conigli, le grandi peschiere, i tre laghetti, 16 fontane, la statua del Tempo ed oltre 70 statue.

    L'alta simbologia che permea tutto il complesso fu ispirata da Gregorio Barbarigo, Vescovo di Padova, poi Cardinale ed infine Santo. Il percorso nel parco vuole essere un simbolico cammino nella vita, la via dell'uomo verso la purificazione e la Salvezza.





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    Gli splendidi effetti cromatici della fioritura delle rose caratterizzano i mesi primaverili di Villa Emo a Rivella di Monselice. Due lunghe peschiere bordate di calle e di ireos, colme di ninfee e corredate di due ampie bordure di rose costituiscono i confini precisi del geometrico giardino antistante la villa, mentre una lunga galleria di carpini e nette geometrie in bosso ne costituiscono il tracciato immutabile.

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    Circondata da uno splendido parco di otto ettari è pure Villa Miari de Cumani, a S. Elena d'Este, a cui le mura merlate alla ghibellina e la possente torre conferiscono l'aspetto di villa-castello. Il vasto complesso include la casa dominicale, i rustici, la serra, l'eremitaggio, il Ninfeo, il grande brolo a forma di quadrilatero con peschiera e il parco del 1855, opera dell'architetto Paoletti, discepolo di Japelli, con grotta, laghetto e altri elementi architettonici di decoro

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    La lussureggiante fascia verde che circonda Villa Pisani-Scalabrin a Vescovana, fu decantata nel diario di viaggio “Holidays spent on a Doge’s farm” della scrittrice inglese Margaret Symonds che soggiornò qui nel 1880. La vista del parco, articolato in Giardino all’italiana e Parco Romantico all’inglese con cappella neogotica, si fa particolarmente suggestiva nei mesi primaverili e nella prima estate quando le aiuole disposte a ventaglio attorno alla fontana centrale si arricchiscono di una grande varietà di fioriture.






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    Si snoda tra immensi platani e querce secolari il percorso di visita allo splendido Parco di Frassanelle, progettato nella sua sistemazione odierna dal Conte Alessandro Papafava (1784-1861) e poi sistemato da Alberto Papafava dei Carraresi (1833-1903), pittore di paesaggi. Il parco integra elementi del giardino anglosassone con elementi del giardino romantico diffusi nel Veneto per merito di Giuseppe Jappelli. Di particolare suggestione le grotte in cui si alternano con sapienza scenografica luci ed ombre.

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    Il vasto complesso del Castello di s. Pelagio a Due Carrare, conosciuto anche per il Museo dell'Aria e del Volo ospitato nelle antiche sale, include un ampio giardino con laghetto, labirinto e ghiacciaia. Il giardino è articolato in giardino di rappresentanza con vasca delle ninfee, giardino segreto con alberi secolari e numerose e essenze profumate, brolo con numerosi alberi da frutto, tra cui il curioso Biricoccolo, il labirinto del Minotauro, il laghetto dell'idrovolante, e la passeggiata aeronautica caratterizzata dalla presenza di piante con il cui legno gli aviatori segnalati costruivano i loro aerei.


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    Nell'Alta Padovana, l'area a confine con le province di Vicenza e Treviso, si incontrano due vasti parchi che fanno da cornice a due splendide ville venete: Villa Contarini a Piazzola sul Brenta e Ca' Marcello a Levada di Piombino Dese.







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    Villa Contarini, una delle più imponenti del Veneto, presenta un immenso parco all'inglese di oltre 50 ettari di verde percorso da sentieri ombrosi e con lago artificiale di 5 ettari con al centro un'isola boscosa. L'area ha inoltre una rilevante valenza faunistica, con decine di uccelli stanziali e migratori che vi nidificano regolarmente: aironi cinerini, cormorani, martin pescatori e picchi.

    Ricco ed articolato anche il giardino storico di Ca' Marcello, una dimora nobiliare ancora abitata dai discendenti della famiglia che la fece erigere nel Cinquecento. Il giardino anteriore è all'italiana, con fontana, giochi di fiori, prati, siepi e statue mitologiche. Varie sono le piante da fiore del giardino, con fioriture alternate da Aprile a Ottobre (forsizia, magnolia, viburnio e maonia sono le essenze principali).

    Nel vasto e rigoglioso parco all'inglese che si estende tutto intorno alla villa, tra lunghi viali di carpini, tigli e farnie, si incontrano alcune essenze molto rare per la loro longevità: tra esse un carpino e un liriodendro tricentenari, tra i più antichi del Veneto, un tiglio, un faggio rosso e un platano, anch'essi secolari e in ottima salute. Completano il giardino una torre colombaia, la cappella gentilizia e un ampio specchio d'acqua, la Peschiera. Infine, alcune parti del parco sono a bosco, con vialetti, piante secolari e percorsi romantici adornati da numerose statue di animali e personaggi realistici o fiabeschi, come le curiose serie dei nani e delle scimmie musicanti.


     
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    Benvenuti al Museo della Navigazione Fluviale



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    Percorrendo la strada statale n. 16, in direzione di Padova o Monselice, si attraversa il paese di Battaglia Terme. Delimitata ad ovest dai Colli Euganei e ad est da un intreccio di corsi d’acqua che portano al mare, la cittadina si sviluppa lungo le rive dell’omonimo canale realizzato dai Padovani nel XIII secolo. Tutto a Battaglia è da sempre collegato ed in relazione con l’acqua. È stata, per secoli, al centro di una fitta rete di traffici e commerci che l’hanno resa un importante porto fluviale; il suo canale è stato solcato dai grandi burchi carichi di masegni (trachite) e granaglie destinati ai porti di Venezia e della laguna. L’acqua ha inoltre fornito l’energia necessaria per il funzionamento dei mulini, delle seghe, dei magli e dei folli della cartiera, i quali hanno reso Battaglia un importante e dinamico centro artigianale.

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    Testimonianza di questa secolare vocazione industriale è il Museo Civico della Navigazione Fluviale. Situato al limite della Riviera Ortazzo, esso costituisce un unicum nel suo genere in quanto raccoglie al suo interno storie, materiali e ricordi di vita vissuta attraverso i quali si possono riscoprire tradizioni, pratiche e attività di un recente passato che non deve essere dimenticato.





    Storia della Navigazione Fluviale


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    I fiumi e i canali furono utilizzati, fin dall'antichità, come le naturali e più sicure vie di comunicazione per il trasporto delle merci e dei passeggeri. In particolare, nel Veneto, la fitta rete fluviale influenzò lo sviluppo delle relazioni sociali ed economiche, favorito da una vasta ed evoluta varietà di imbarcazioni. La posizione baricentrica del territorio padovano, vero e proprio punto nodale tra la laguna di Venezia e l'entroterra padano, ha permesso lo sviluppo dei collegamenti attraverso i fiumi Brenta e Bacchiglione e le loro diramazioni.
    La facilità d'accesso ai corsi d'acqua principali, grazie ad un sofisticato sistema di canali di collegamento, sostegni ed altri manufatti idraulici, ha consentito la valorizzazione delle già fiorenti attività agricole, artigianali ed industriali, offrendo un bacino commerciale più ampio.


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    In questo quadro Battaglia Terme rappresentò il fulcro di una vasta rete di traffico: al centro di un'area caratterizzata da intense attività manifatturiere e soprattutto estrattive (trachite e scaglia dei Colli Euganei), era il punto di confluenza di importanti idrovie per il collegamento dell'area collinare e della Bassa Padovana con le principali vie d'acqua dell'Italia nord-orientale. E' posta infatti nel punto in cui dai canali Bisatto e Battaglia, provenienti rispettivamente da Este e da Padova, si diparte il canale Vigenzone che collega Battaglia a Bovolenta, Pontelongo e arriva fino a Chioggia.

    Storia del Museo della Navigazione Fluviale

    Il Museo della Navigazione Fluviale di Battaglia Terme è un vero e proprio percorso della memoria attraverso un mondo, quello della civiltà e della cultura dei barcari, che di Battaglia Terme e del territorio circostante è identità e storia. Grazie alla passione e alla disponibilità di alcuni ex barcari, che sin dal 1979 hanno raccolto numerosi reperti e preziosi documenti, e al recupero dell'ex macello come sede museale, abbiamo la possibilità di riscoprire una pagina delle tradizioni e della storia locale particolarmente significativa e ancora in parte inesplorata.

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    In diverse aste fluviali l'abbandono della navigazione è cominciato in seguito alla costruzione delle reti ferroviarie ottocentesche e il declino è continuato nell'ultimo dopoguerra a causa della spietata concorrenza esercitata dal trasporto su gomma che ha reso inutili ed ingombranti le tradizionali imbarcazioni di legno, numerosissime sino al 1950.

    Il Museo di Battaglia vuole offrire un percorso in questo mondo "perduto" del trasporto fluviale e lagunare dalle varie sfaccettature: dall'attività cantieristica, alla varietà dei tipi di imbarcazioni (sempre a fondo piatto); dai mezzi di propulsione, alla suggestiva ma faticosa vita di bordo; dai manufatti idraulici e la fitta rete di idrovie, all'arte della navigazione in acque interne.

    Percorso museale: reperti e imbarcazioni

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    Nel cortile esterno del Museo sono esposti fèri (ancore), argani, motori e brìcole (pali da ormeggio o per delimitare i passaggi fluviali). Con una breve passeggiata, il visitatore può raggiungere un altro punto d'interesse collegato al Museo nei pressi del Castello Catajo: la conca di navigazione.

    Eccellente manufatto di ingegneria idraulica inaugurato nel 1923 e recentemente restaurato che consente di superare un dislivello massimo superiore ai sette metri collegando così il canale di Battaglia, ovvero il territorio padovano ed euganeo, con il canale Rialto-Vigenzone, cioè con il mare. In prossimità della conca sono collocati a terra, il burcio "Luisa", una peata e i rimorchiatori "Pavia" e "Sparviero". Sullo sfondo della conca si trova inoltre una piccola cavana (tettoia sospesa sull’acqua) sotto la quale è ormeggiata la caorlina "Giorgia" recentemente restaurata.

    Percorso museale: gli interni del Museo

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    Imbarcazioni e componentistica
    La sezione illustra le parti delle imbarcazioni, i vari tipi per il trasporto delle merci e delle persone e le caratteristiche costruttive. Di particolare interesse sono i modelli in scala del burcio "Lina", uno degli ultimi barconi di questo tipo funzionanti, e della sezione maestra di un burcio padovano, il tipo di barca diffuso nel Veneto e simbolo della navigazione fluviale. Addossato ad una parete troviamo il timone del burcio "Spes", alto 4,50 m., completo di rigòla (barra), di cui si mette in evidenza la riduzione operata a seguito della motorizzazione del natante.

    Cantieristica
    Espone le attrezzature impiegate negli squeri, cantieri per la costruzione e manutenzione delle barche, un tempo numerosi anche lungo i fiumi. Vi lavoravano, oltre ai maestri d'ascia, i fabbri, i calafati, i segantini ed altre figure professionali. La sala ospita un argano da cantiere di legno e le relative tàje (paranchi) per l'alaggio e il varo delle imbarcazioni. Su alcuni pannelli sono raccolti i vari arnesi degli squeraroi per tagliare, segare, misurare, sagomare, forare le assi, e campioni di materiali come la pégola da spalmare sulle carene










    Museo del Fiume Bacchiglione, Castello di s. Martino



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    L'antico castello di s. Martino, eretto nel Mille, nella suggestiva cornice di un'ansa del fiume Bacchiglione, ospita un bel percorso museale che espone reperti custoditi per secoli nel letto del fiume. Di grande interesse due imbarcazioni monossili risalenti all'VIII sec.

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    MUSEO DEL FIUME BACCHIGLIONE - CASTELLO DI SAN MARTINO

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    Il castello di San Martino della Vanezza, situato sulla sponda meridionale del fiume Bacchiglione, rappresenta un interessante esempio di costruzione atta alla difesa del territorio. Questo castello faceva parte, infatti, di un circuito di costruzioni da difesa che si spingeva sino ai Colli Euganei giungendo fino ad Este. La parte piu' antica del complesso monumentale, la torre, fu eretta attorno al mille. Questa, durante l'epoca Carrarese, fu sopraelevata e furono aggiunti gli altri corpi di fabbrica con alloggiamenti su due piani fuori terra e fu forse ricostruito il robusto recintino in pietra trachite sul lato meridionale. Durante la dominazione veneziana il castello fu adattato a porto fluviale. Attualmente il complesso ospita il Museo del Fiume Bacchiglione e del suo territorio nell'ambito del Sistema Museale Provinciale. Il museo e' diviso in due sezioni: quella archeologica e quella geomorfologica. La Sezione Archeologica accoglie reperti di eta' preromana e romana rinvenuti nel fiume Bacchiglione tra Cervarese Santa Croce e Ponte San Nicolo'. Il percorso prosegue in altre due sale che ospitano una raccolta di numerosi oggetti ceramici di eta' medioevale e moderna. La Sezione Geomorfologia accoglie le imbarcazioni monossili, in legno di quercia, rinvenute nel 1972 nel fiume Bacchiglione nei pressi del ponte di Selvazzano Dentro e datate con il metodo C14 all'VIII secolo d. C.. Completa la sezione un percorso cartografico che consente di comprendere l'evoluzione idrografica del territorio.





    MUSEO GEOPALEONTOLOGICO "CAVA BOMBA"



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    Il complesso di Cava Bomba costituisce un significativo esempio di archeologia industriale nella produzione di calce nei Colli Euganei e un prezioso documento di una realta' produttiva di un passato recente. Il rigoroso restauro ha consentito l'ideale ricostruzione del ciclo produttivo in tutte le sue fasi, mentre attraverso un percorso esterno e' possibile ripercorrere le varie fasi del ciclo produttivo dell'antica fornace. All'interno di un cortiletto e' organizzata la mostra degli attrezzi usati in passato per la lavorazione dei materiali lapidei estratti nei Colli Euganei. Il percorso di visita si articola in tre sezioni espositive: la geologia dei Colli Euganei; la mineralogia; la collezione Da Rio. La scoperta, verso la meta' degli anni Settanta, nella cava di calcare annessa alla fornace, di un giacimento di pesci fossili del Cretaceo Superiore, fece nascere l'idea del restauro del complesso industriale a scopi museali. Questi reperti costituiscono, infatti, il nucleo principale della sezione della Geologia, introdotta da un settore dedicato alle Scienze della Terra supportato da un sistema didascalico, che illustra tutti i peculiari fenomeni geologici riguardanti i Colli Euganei. La sezione Mineralogica ospita invece una raccolta di minerali di tutto il mondo. L'ultima sezione e' riservata alla collezione geologica "Da Rio", di rilevante interesse. Costituisce, infatti, un tipico esempio di museologia scientifica della prima meta dell'Ottocento. La collezione comprende minerali, rocce e fossili raccolti tra la fine del Settecento e la prima meta' dell'Ottocento dal conte Niccolo' Da Rio, insigne naturalista e letterato padovano. Recentemente e' stato inaugurato un parco geologico esterno con macro campioni di roccia e modelli di animali preistorici a grandezza naturale.

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    Storia della villa

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    La torre trecentesca, parte del sistema difensivo dei Carraresi, è datata 1340.
    Dal 1600 in poi nasce la villa che, nel ‘700, viene interamente rimaneggiata dai Conti Zaborra per meglio svolgere le funzioni agricole alle quali è da sempre adibita.
    Nel 1918 è sede della squadriglia “La Serenissima” che da qui è parte per il Volo su Vienna al comando di G. d’Annunzio.
    Nel 1970 la proprietà, per salvare dal degrado la villa densa di ricordi famigliari, pensa ad una trasformazione che non ne snaturi le funzioni abitative, agricole e di accoglienza. Così nasce il complesso di San Pelagio: casa, museo, giardini…e ristorante.


    …Storia del museo

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    Dal 1970 la villa è stata oggetto di accurati restauri e ripensata nelle funzioni attuali principalmente come museo del volo. Inaugurato nel 1980, frutto dell’impegno della proprietà e di Maria Fede Caproni, ripercorre l’intera storia del volo umano facendo perno sull’impresa dannunziana; a tale volo è dedicata la parte principale del museo con le stanze abitate dal poeta nel periodo 1917-1919. Fanno da “contorno” le sale dedicate a Leonardo, ai Montgolfier, ai Wright, a Ferrarin, a Lindbergh, a Nobile, a Balbo, a Forlanini, a Gagarin e Armstrong…



    …Storia del parco

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    Dal 1970 anche il parco è stato oggetto di accurato restauro con il censimento di tutte le specie botaniche tutt’ora presenti; i due giardini della villa, nelle loro differenti tipologie , sono stati arricchiti di nuove piante e soprattutto di migliaia di rose che, specie a maggio, ne fanno un grande spettacolo!
    Tra le piante più antiche una Lagestroemia Indica del 1700, un Populus Alba del 1800 e molti Carpinus betulus centenari.
    Nel 2000 è stato creato un labirinto verde di 1200 mq, per raccontare il mito del volo di Icaro, senza dimenticare la funzione dei labirinti delle ville venete. Nel 2007 è sorto un secondo labirinto per sottolineare, con il gioco degli specchi, il concetto dannunziano di “doppio”.

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    …per il futuro
    Pensiamo di avere un ruolo nello sviluppo della cultura della società in cui viviamo e intendiamo aumentare il nostro impatto sulla comunità e coinvolgere un pubblico sempre più ampio.
    Tutti i nostri progetti sono ideati e realizzati da persone ispirate ed entusiaste, che lavorano per rendere indimenticabile l'esperienza della visita.
    Sostenere i nostri progetti significa partecipare a cambiare il futuro.


     
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    ANTIQUARIUM LONGOBARDO



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    Antiquarium Longobardo Situato nel Palazzo della Biblioteca del Castello di Monselice, ospita una necropoli, rinvenuta sul colle della Rocca di Monselice, con i corpi di 7 inumati (4 adulti e 3 bambini) con il loro corredo funerario databile nella prima meta del VII sec., ritrovati in alcune campagne di scavo tra il 1988 e il 1996 nell'unico sito archeologico longobardo della provincia di Padova.

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    Al piano terreno della BIBLIOTECA del Castello di Monselice è stato allestito nel 1998 l’Antiquarium Longobardo. Il museo ospita una piccola necropoli longobarda proveniente dal sito archeologico situato a metà costa del Colle della Rocca, lungo il percorso del MASTIO FEDERICIANO.

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    I Longobardi, popolazione germanica originaria della Scandinavia, conquistarono Monselice nel 602 con il re Agilulfo, come si legge nella descrizione fatta da Paolo Diacono nella ”Historia Longobardorum”: “... Langobardi castrum Montis Silicis invaserunt...”, impossessandosi delle antiche FORTIFICAZIONI bizantine sul Colle della Rocca.

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    La necropoli, databile nella prima metà del VII sec., è formata da 5 tombe con 7 corpi di guerriero e di bambino longobardi e dal loro corredo funerario.

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    Le tombe e i corpi degli inumati, ricomposti nell’attuale sede museale, rispettano fedelmente la posizione di ritrovamento. Il ricco corredo funerario è formato da armi (spatha, scramasax, punta di lancia e coltellini), dall’umbone di scudo, da oggetti personali (pettini in osso, fibbie e pendenti di cintura) e da una splendida crocetta in lamina d’oro, decorata con motivi animalistici intrecciati.
    Il museo, allestito in forma didattica, è un punto di partenza necessario per la successiva visita al percorso archeologico del Colle della Rocca e del museo sommitale nel Mastio Federiciano.





    Butterfly Arc e Bosco delle Fate



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    Oltre 400 tra le piu' belle farfalle del mondo si muovono libere tra piante e fiori. All'interno della "Casa delle Farfalle" si possono vedere tutti gli stadi di sviluppo di questi delicati animali: uovo, bruco, crisalide e farfalla. I giardini con le farfalle tropicali sono tre: Amazzonico o neotropicale, Afro-tropicale e Indo-australiano.
    Il Bosco delle Fate è un itinerario mitologico ecologico in un parco di oltre 7000 metri quadri, dove viene approfondito il rapporto storico tra uomo e natura coniugando storia, tradizioni, fantasia e scienza.

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    La Casa delle Farfalle Butterfly Arc nasce da un’idea dell’entomologo naturalista Enzo Moretto già nei prima metà degli anni settanta. Questa si concretizza prima in una serie di esperienze e mostre temporanee. Poi, grazie all’apporto fondamentale della naturalista Gabirella Tamino, nasce la prima Casa delle Farfalle Italina che viene inaugurata nel 1988 a Montegrotto Terme in provincia di Padova. Oggi La Casa delle Farfalle di Montegrotto Terme costituisce uno dei più importanti centri museali viventi ed è il centro di iniziative di portata mondiale e la sede della progettazione e ideazione delle Casa delle Farfalle Italiane più importanti come quella di Milano Marittima in Emilia Romagna, del grande centro museale di Bordano in Friuli Venezia Giulia e l’esperienza di Monsteserra in Sicilia.Fin dall’iniziato la casa delle Farfalle di Montegrotto Terme, che sarà la sola in Italia per moltissimi anni, gode di un ampio consenso di pubblico, della stampa e del mondo accademico. Fin dall’iniziato la casa delle Farfalle di Montegrotto Terme, che sarà la sola in Italia per moltissimi anni, gode di un ampio consenso di pubblico, della stampa e del mondo accademico. La Casa delle Farfalle ogni anno viene apprezzata vista da un gran numero di visitatori, molte decine di migliaia l’anno, di cui gran parte sono scuole, gruppi, pubblico normale di studiosi ed appassionati. Dello stesso tenore le visite virtuali via internet al sito www.butterflyarc.it, il primo al mondo nel suo genere (realizzato nei primi anni ’90). Inoltre, ogni anno, migliaia di appassionati e studenti delle scuole fruiscono di esperienze didattiche con le farfalle. Quest’ultimo progetto, che ha sede presso Butterfly Arc, come altri progetti relativi all’educazione ambientale in sito, nascono dall’associazione

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    Amici della Terra/Friends of the Earth, nell’ambito della campagna europea per la conservazione delle farfalle e del loro ambiente “Ciao Farfalla/Project Butterfly”. Oggi la casa delle farfalle di Montegrotto è conosciuta in tutto il mondo. Va detto che l’ideazione delle Casa delle Farfalle, ha trovato maggior fortuna nel mondo anglosassone e soprattutto in Inghilterra, dove una cultura pluricentenaria per le scienze naturali ne ha favorito le prime importanti progettazioni fin dall’inizio degli anni ’80. Queste iniziative, per originalità e innovazione hanno caratterizzato la fine del millennio scorso e per importanza e fama possono essere paragonate alla nascita dei primi orti botanici nel mondo , avvenuta nel ‘500, forse non è un caso, proprio a Padova.


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    MUSEO CIVICO DEI VILLAGGI SCOMPARSI



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    In questo museo - progettato e gestito dal "Gruppo Bassa Padovana" - viene esposta la documentazione, costituita da reperti, scritture, foto aeree, di quei villaggi della Bassa Padovana che, pur avendo talvolta assunto un ruolo importante in ambito territoriale nel tempo passato, scomparvero nel Basso Medioevo a causa di pestilenze, inurbamento, bonifiche, etc. La superficie espositiva comprende tre sale. La prima svolge una funzione introduttiva esemplificando, con pannelli luminosi, i vari modelli topografici del territorio della Bassa Padovana. Nelle altre e' esposto un ricco repertorio proveniente dai resti dei focolari delle capanne (vasellame in terracotta pettinata e in pietra ollare), pezzi in ceramica, elementi di abbellimento (fibbie, spilloni in bronzo, perle, etc.). Il lungo corridoio ospita immagini di ambiente contadino, un'esposizione di ceramiche del XVI e XVII secolo, nonche' un teatrino con marionette della fine del Settecento.

    [size=7][color=red]Museo d'Arte Contemporanea Dino Formaggio


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    L'esposizione contiene attualmente circa duecento opere di artisti italiani e stranieri che sono pervenute in donazione al Comune dai tanti artisti che hanno intrattenuto forti legami di amicizia con il filosofo Dino Formaggio.

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    FESTE POPOLARI PADOVANE



    Capodanno Medievale
    dal 26/12/2010 al 01/01/2011
    Montagnana


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    Ogni anno l'ultima domenica di dicembre o la prima di gennaio a Montagnana, si rinnova un antico rito che rievoca la lunga notte del Capodanno Medievale. La città riprende i panni dei propri avi e celebra la liturgia del Millennio con una grande manifestazione medievale che richiama riti, canti, emozioni di altri tempi.
    E la leggenda della Mantella di Montagnana rivive e ricorda le antiche gloriose gesta.

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    Il Capodanno Medievale è un contenitore di manifestazioni che coinvolge anche i turisti nella sua realizzazione.
    L'evento si svolge in tre diversi momenti di celebrazione della medievalità dell'area padovana:

    - la Festa Medievale della Mantella di Montagnana
    - Escursioni in visita ai Castelli Medievali dell'area di Eugania.
    - Il Veglione di Capodanno del 31 dicembre in un Castello o un'antica Dimora


    Montagnana è un'antica città murata del 14° secolo, recintata di possenti mura merlate per oltre due chilometri con ventiquattro torri e varie fortificazioni tra le quali il Castello di S. Zeno e la Rocca degli Alberi. La sua cinta muraria è annoverata quale uno dei maggiori esempi di architettura medievale militare in Europa.

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    La città nelle giornate medievali incontra la storia con rievocazioni e cortei di gruppi storici, Palii, Sbandieratori, Balestrieri, figuranti ed artisti che con costumi e musica, armi ed arti ripropongono immagini e suoni del lontano Medioevo.


    Il Palio dei 10 Comuni-Montagnana



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    Il Palio dei 10 Comuni

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    Ogni anno, nel verde vallo medioevale attorno alle mura di Montagnana, si celebra, sospeso tra storia e fiaba, il rito del Palio: una corsa tra le dieci Comunità dell’antica “Sculdascia” montagnanese, che vede a confronto dieci fantini in una prova emozionante ed entusiasmante, dove abilità, forza ed intelligenza sono doti indispensabili per vincere. La trama del “Palio dei 10 Comuni” ha uno svolgimento assai complesso che segue le tortuosità e l’aggrovigliarsi delle vicende storiche del suo territorio. Ciascun Comune accompagna il proprio fantino con una rappresentanza: il gonfalone scortato dal Capitano e dagli armigeri cui seguono dame e notabili, un gruppo caratteristico e per finire i tamburini e gli sbandieratori. Dieci fantini, cavalcando a “pelo”, cioè senza sella, portano alla sfida i colori dei 10 Comuni: tra il verde del vallo medioevale e il rosso dei mattoni delle mura e dei castelli.

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    La sfida avviene, all’inizio, tra due gruppi di cinque cavalli ciascuno, sorteggiati nella Cerimonia del Giuramento: solo i primi due di ciascun gruppo piu’ il miglior terzo si disputeranno il “Palio” vero e proprio. Nell’intervallo tra le due corse si svolge la “Gara dei Gonfaloni”: una corsa dei gonfalonieri dei 10 Comuni sullo stesso percorso dei cavalli. Una corsa terribile, una fatica immane che vede gli uomini spingersi in una corsa di circa 700 metri innalzando i gonfaloni come vele al vento. Ciascun Gonfalone misura cm. 80 per 1,60 metri, cui si deve aggiungere il peso dell’asta che lo sostiene. Subito dopo i gonfaloni e un breve spettacolo degli sbandieratori, entrano nuovamente in scena i cavalli nella più attesa e spettacolare delle gare: la corsa del PALIO. Sono cinque i cavalli partecipanti, i migliori: ad essi sono affidate le speranze e i propositi di un anno. La corsa parte, terribile e solenne come deve essere un avvenimento unico e decisivo: tre giri del campo, sei curve risicando lo steccato e i termini. Una corsa con il cuore in gola, un attimo che dura un anno. La gara che proclamerà il vincitore e i vinti.

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    Ma il Palio non si ferma alla corsa: la manifestazione si conclude a mezzanotte con “l’incendio della torre”. La Rocca degli Alberi viene “incendiata” a ricordo dell’incendio che Ezzelino appiccò a Montagnana nel XIII secolo: da quella sconfitta e dalla successiva ribellione e’ nato il Palio. Una festa ricca di vita e pulsante di emozioni.


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    La Giostra della Rocca
    dal 04/09/2010 al 19/09/2010
    Monselice



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    La giostra
    Narra la storia che nel 1239, l'imperatore Federico II diretto a Padova passò per Monselice. La nostra Giostra ripercorre le tradizionali gare di abilità, forza e destrezza che caratterizzarono le feste medievali. Le gare degli arcieri, la prova di forza alle macine, le gare di corsa in velocità, il torneo di scacchi, la giostra con la lancia e il torneo a cavallo, sono le caratteristiche competizioni del Palio di Monselice.

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    Nove sono le Contrade che hanno riscoperto gli usi e i costumi antichi dei quartieri e dei borghi. Le contrade, secondo il ferreo regolamento rinnovato di anno in anno, si contendono la vittoria nelle diverse gare ed insieme vanno a costituire il grande Corteo Storico che sfila tra le vie principali della città. Una nota particolarmente interessante è costituita dalla minuziosa ricostruzione delle grandi macchine da guerra: torri, balestre, catapulte, caldaia della pece, arieti ed altri minori strumenti bellici.
    Le contrade della Giostra della Rocca sono:
    • 1. CARMINE
    • 2. CA' ODDO
    • 3. MARENDOLE
    • 4. MONTICELLI
    • 5. SAN BORTOLO
    • 6. SAN COSMA
    • 7. SAN GIACOMO
    • 8. SAN MARTINO
    • 9. TORRE

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    NEL CORTEO IL FOLKLORE DELLA GIOSTRA
    Alla sfilata del corteo storico lungo le vie del centro vi partecipano oltre mille figuranti. Costumi, macchine da guerra, botteghe e gruppi artigiani fanno ripiombare per qualche ora la città nel periodo medioevale.
    Se le gare sono l'agonismo della manifestazione, la sfilata del corteo storico lungo le vie del centro costituisce la parte più imponente e coreografica della Giostra. Basti dire che vi partecipano oltre mille figuranti, e che ciascuna delle nove contrade porta in sfilata il Gonfalone con le insegne, un gruppo di annati, una macchina bellica in scala naturale dell'epoca, un gruppo artigianale o una bottega artigiana, e per finire il gruppo o il personaggio storico rappresentativo della contrada stessa. La sfilata del corteo storico, come di consueto si svolge durante la mattinata della terza domenica del mese, al pari della sfida della quintana che si svolge invece nel pomeriggio nel campo di gara allestito nella Cava della Rocca. In un clima di gran festa che per qualche ora fa ripiombare la città della Rocca in pieno periodo medioevale, l'imponente corteo al rullare dei tamburi si snoda lungo le vie del centro storico. In questa occasione, ogni angolo della città diventa suggestivo, e si tocca con mano il gran lavoro che accompagna la messa a punto della manifestazione. Oltre alle incredibili macchine da guerra, riprodotte con fedeltà in ogni minimo particolare, ad entusiasmare sono i costumi dei figuranti e i tratti caratteristici di ciascuna contrada. Partecipando alla sfilata, anche come semplice spettatore, si capisce perchè l'appuntamento conta un pubblico di diverse migliaia di presenze.

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    Il programma della XXV edizione - 2010

    Sabato 4 settembre ore 21
    Parco Buzzacarini
    (boschetto dei frati)
    - Presentazione della XXV edizione de "La Giostra della Rocca"
    - Grande concerto dei tamburini accompagnati dalla New Art Symphonic Orchestra (Direzione artistica e musicale: Maestro Andrea Ferrari)

    Domenica 5 settembre ore 9.30
    Sala Aldo Businaro - Castello di Monselice
    - Eliminatorie Gara di Scacchi con maestri internazionali

    Giovedì 9 settembre ore 21
    Piazza Mazzini
    - Finale gara scacchi viventi, in costume medioevale

    Domenica 12 settembre a partire dalle ore 10
    - Mercatino medioevale in costume lungo via del Santuario

    Domenica 12 settembre a partire dalle ore 15
    Ex Pista di pattinaggio, via Argine Destro
    - Gara degli Arcieri
    - Gara della Staffetta
    - Gara delle Macina

    Giovedì 16 settembre ore 21
    Parco Buzzacarini
    (boschetto dei frati)
    - Esibizione gruppi Tamburi delle 9 contrade
    - Lancio della sfida

    Domenica 19 settembre ore 10
    - Corteo storico per le vie della città

    Domenica 19 settembre ore 15
    Parco Buzzacarini
    (boschetto dei frati)
    - Tenzone della quintana
    - Consegna del Palio e del trofeo alla Contrada Vincitrice


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    Voci dall'Evo di Mezzo-Cittadella



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    L’ Associazione L’Arme, le Dame, i Cavalieri organizza a Cittadella una rievocazione di vita medievale tra storia e spettacolo in cui viene ricordata la liberazione di Cittadella il 22 giugno 1256, quando Tiso da Camposampiero entra da Porta Padova col Legato Papale ed il suo seguito e viene ricevuto dal Podestà Rainaldo Pincetus, dai notai Stefano e Giordano, dai giudici Bonifacino ed Enrico, dal priore Dojno e suoi chierici nonché da tutto il popolo.
    Apre la rievocazione il sontuoso banchetto medioevale “Alla magione del Podestà”, con ricercate ricette e servizio in uso all’epoca, ambientazione tipica, coperti in coccio e legno; il tutto a lume di candela con intrattenimento di musici, piccola giocoleria e novelle teatrali.

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    Viene rievocato anche l’atto col quale Cittadella si riconsegna al comune di Padova, tramite Tiso da Camposampiero. Precederanno e seguiranno tutte le ambientazioni di piazza e di strada: gli accampamenti di uomini d’arme, l’arcieria storica, i giochi storici, il mercato medievale, gli antichi mestieri, musici e giullari itineranti. Spettacolari le evoluzioni di falconeria con vari tipi di rapaci, con partecipazione interattiva del pubblico.
    La rievocazione si conclude al tramonto con fiaccolata, fuochi d’artificio ed incendio del Castello.

     
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    Alluvione del Veneto del 2010



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    Data 1 novembre 2010

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    L'alluvione del Veneto del 2010 è stata causata dalle forti precipitazioni (500 mm in 48 h) che hanno interessato parte della regione a partire dal 30 ottobre 2010. A questo si è aggiunto anche il vento caldo di scirocco che, oltre a sciogliere la neve caduta sulle montagne le settimane prima, ha impedito il normale deflusso dei fiumi in mare.

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    Descrizione dell'evento

    L'alluvione ha coinvolto 130 comuni veneti di tutte le provincie; la zona più colpita è quella di Vicenza, Padova e Verona. Le forti pioggie hanno fatto straripare i fiumi Timonchio, Bacchiglione, Retrone, Alpone Tramignia e Frassine. Nelle provincie di Treviso e Belluno sono stati numerosi gli smottamenti.

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    Nel vicentino esonda il fiume Bacchiglione in più punti, ma soprattutto nel centro storico di Vicenza dividendo in due la città.

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    A Caldogno il paese di Cresole viene interamente sommerso causando delle vittime. La Provincia di Vicenza è coperta d'acqua per il 30% della sua totalità. Nell'alto vicentino sono state registrate situazioni critiche soprattutto nei comuni di Valli del Pasubio e Torrebelvicino dove svariate frane hanno costretto l'evacuazione di una quarantina di famiglie.


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    Nel veronese tra San Bonifacio e Soave tracimano i fiumi Alpone e Tramignia, portando alla chiusura dell'autostrada A4. A Malcesine sul lago di Garda una frane incombe sull'abitato, numerose le frane anche in Val di Chiampo.

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    Nel padovano straripa anche qui il Bacchiglione e il Frassine, con numerosi allagamenti nella bassa padovana. I comuni più colpiti: Casalserugo e Saletto.
    Nella provincia di Belluno frana una strada nei pressi di Mel isolando un paese, nei pressi della città di Belluno frana un tratto della provinciale 1, evacuati numerosi paesi in Alpago, il Passo San Boldo viene chiuso. Problemi poi in tutta la zona specialmente in Valbelluna per caduta massi e allagamenti nelle abitazioni.Le persone coinvolte sono state 500.000, i comuni coinvolti sono 130 in tutta la regione, nella sola provincia di Padova sono state sfollate 4.500 persone e nel vicentino si contano tre morti.


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    Dopo l'alluvione


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    L'alluvione del 1° novembre ha causato oltre al danno immediato, un enorme perdita a tutta l'economia della regione. L'acqua e le frane hanno distrutto un numero elevato di ettari di coltivazioni, sterminati interi capi di bestiame (150.000 solo animali d'allevamento) e distrutto intere produzioni industriali.

    Una questione che ha fatto discutere è stata la presunta non curanza dei media nazionali per la tragica situazione del Veneto. Il Presidente della regione Veneto, Luca Zaia, ha espresso un commento sul disinteresse sia politico che mediatico per quanto accaduto in Veneto, in particolare con la seguente affermazione:
    « ... siamo vissuti come la periferia dell'impero, la colonia dalla quale andare sempre a prendere l'obolo delle tasse ma sicuramente mai pensare che anche questa colonia qualche volta può avere bisogno. In questa occasione abbiamo molto bisogno: il Veneto è in ginocchio. »

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    ROMA – Il Veneto “è in ginocchio, e ha bisogno dell’aiuto di tutti”.
    Con queste parole il governatore Luca Zaia lancia l’ennesimo appello a cinque giorni dall’alluvione che ha colpito il Nordest e in particolare la regione da lui governata. Zaia spiega di avere già ricevuto alcune risposte positive dalle banche “in termini di elargizioni di fondi, di contribuzioni speciali, di moratorie sulle rate dei mutui delle prime case”, ma quello che lui lancia “è un grido di aiuto che non è rivolto solo al governo, a cui chiediamo un miliardo di euro, ma a tutti i cittadini volenterosi che magari ricordano un qualche aiuto avuto dal Veneto in tutti questi anni”. Intanto, per domenica si prevedono nuove precipitazioni e torna l’allarme per il rischio idrogeologico e idraulico.

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    Il bilancio. Il bilancio della violenta ondata di maltempo è pesante. Tre morti, oltre tremila sfollati, più di 500 mila le persone colpite in vario modo dall’alluvione , 121 i Comuni coinvolti. I danni ammontano a “una cifra che si aggira attorno al mezzo miliardo di euroforse anche un miliardo. Solo per tappare i buchi, non certo per opere strategiche”, dice Zaia, che protesta anche per quella che definisce una “sottovalutazione a livello nazionale” del maltempo, sostenendo che “nelle prime giornate obbiettivamente siamo stati trascurati. Ora abbiamo bisogno di risorse, di ricostruire gli argini dei nostri fiumi. Non abbiamo la politica del fazzolettino sempre pronto per il finto pianto, ma questa volta non abbiamo neanche le lacrime e la situazione è veramente grave”.

    Gli stanziamenti della Regione e il conto corrente. La Regione Veneto ha stanziato 2 milioni di euro per far fronte ai primi interventi emergenziali, ma altre risorse verranno reperite in sede di revisione di bilancio e in quello di previsione 2011 per mettere in sicurezza il territorio e per un ristoro parziale dei danni subiti dai cittadini e dalle imprese. Ed è stato attivato un conto corrente presso Unicredit Banca sul quale è possibile versare contributi. Queste le coordinate bancarie: codice iban IT 62 D 02008 02017 000101116078. Le operazioni di versamento o bonifico effettuate presso Unicredit saranno esenti da spese o commissioni.

    Nuovo allarme
    . Stato di preallarme per il rischio idrogeologico e idraulico in Veneto per le precipitazioni previste per domenica e per il perdurare di livelli sostenuti sui fiumi Bacchiglione, Livenza e Fratta-Gorzone. C’è il rischio di frane, anche di grosse dimensioni. Preoccupazione destano la frana del Rotolon, nel vicentino, presso Recoaro, e alcune situazioni nella conca bellunese dell’Alpago e nel trevigiano. Non sono escluse inoltre rotture degli argini già compromessi a livello locale. Attenzione anche per la piena del Po, per le attività agricole, gli insediamenti, i cantieri di lavoro e altre attività presenti lungo le sponde del fiume del fiume, come la navigazione e gli approdi fluviali.

    Dal Cdm stato di emergenza. Il governo intanto ha dichiarato lo stato di emergenza, sia per il Veneto che per il Friuli Venezia Giulia, la Liguria, la Calabria, e per le due province toscane di Lucca e Massa Carrara, e ha annunciato lo stanziamento di 20 milioni di euro “per le prime emergenze”, come ha spiegato ieri, al termine del Consiglio dei ministri, il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso che sull’emergenza riferirà sarà mercoledì prossimo in Aula alla Camera.

    Protezione civile e volontari.
    Bertolaso ha ricordato che nelle operazioni per il ripristino delle condizioni di normalità sono impegnati vigili del fuoco, Genio militare e altre forze armate, forze dell’ordine, volontari e colonne mobili regionali per un totale di circa 10 mila unità, confluite in particolare nelle province di Verona, Vicenza e Padova, dove sono tuttora in corso le operazioni di ripristino delle condizioni di normalità. Intanto questa mattina è partito un convoglio delle Protezione Civile del Piemonte per raggiungere i Centri di coordinamento soccorso di Bovolenta, in provincia di Padova,e a Vicenza. La colonna è dotata di 4 autocarri ribaltabili, motopompe, minipale, torri faro, sacchetti di iuta e fuoristrada e conta su 40 volontari.

    Cia: bene stato di emergenza ma fondi insufficienti. Bene lo stato di emergenza ma i 20 milioni sono inadeguati per fronteggiare i danni, soprattutto in Veneto. Sono indispensabili risorse certe anche per il mondo agricolo che ha subito conseguenze disastrose: le prime stime parlano di 200-250 milioni di euro. Lo dice la Cia, la Confederazione italiana agricoltori che ribadisce l’esigenza di un’immediata azione concreta che permetta di dare risposte esaurienti alle popolazioni, al sistema imprenditoriale, al territorio, oggi in una situazione drammatica. L’agricoltura, spiega la Confederazione, registra “una vera e propria devastazione nelle cinque regioni colpite, ma soprattutto in quella veneta è totalmente in ginocchio, specialmente nelle provincie di Vicenza, Padova e Verona. Tantissime le imprese agricole che hanno subito danni ingenti alle strutture (cantine, stalle e serre) e sono finite sott’acqua. Scenario tragico anche per gli allevamenti e le coltivazioni (cereali, vitigni, oliveti, tabacco, piante e fiori, ortaggi e radicchio), completamente distrutte. Ma anche nelle altre regioni lo scenario non è certo confortante”.

    Una strage di animali. Oltre centomila tacchini, ventimila polli, cinquemila conigli e centinaia di maiali e mucche per un totale di circa 150 mila animali sono morti annegati in Veneto, secondo il bilancio provvisorio della Coldiretti. “Una vera e propria carneficina – si legge in un comunicato – nel triangolo di terra fra le province di Padova, Vicenza e Verona dove forte è la concentrazione di allevamenti. Migliaia di ettari di terreno – continua Coldiretti – restano ancora sott’acqua e sono andati persi interi raccolti di tabacco, compromesse le coltivazioni di ortaggi e distrutte serre e fungaie, con perdite complessive di decine di milioni di euro. Ci vorrebbero ancora giorni di sole per permettere alla terra di assorbire tutta l’acqua mentre si preannuncia un fine settimana di maltempo”. La Coldiretti del Veneto ha scritto a Berlusconi affinché siano sfruttati tutti gli strumenti legislativi in vigore per sostenere gli allevatori in difficoltà.

    Prorogato il divieto di caccia. Con un decreto firmato dal presidente della Regione Zaia, è stato prorogato in alcune zone delle province di Padova, Treviso e Vicenza il divieto di caccia emesso con validità dal 3 al 6 novembre, per la grave situazione determinatasi a carico dei patrimoni faunistici a seguito dell’alluvione.

    Storie a lieto fine. Ci sono anche storie a lieto fine che riguardano animali salvati dalle acque nelle cronache dell’alluvione che ha colpito il Veneto. A Monteforte (Verona), uno dei comuni sommersi dall’esondazione dell’Alpone, agenti della polizia stradale e carabinieri hanno messo in salvo otto cani, un gatto e alcuni ovini che rischiavano di annegare. Lo hanno reso noto i rappresentanti della Lav, la Lega antivivisezione, che hanno espresso il proprio ringraziamento agli uomini delle forze dell’ordine. I cani salvati, benché feriti, sono stati restituiti ai loro proprietari. Nella stessa zona di campagna completamente allagata non ce l’hanno fatta a salvarsi invece due asini, un cavallo e una capra, annegati prima che polziotti e carabinieri, a bordo di una barca recuperata sul luogo, riuscissero a raggiungerli.






    Ecco come puoi AIUTARE gli alluvionati

    E' stato istituito anche un numero di sms il 45501 con il quale è possibile donare due euro alle popolazioni alluvionate del Veneto. L'iniziativa è a cura de La7 e Corriere della Sera.



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    abitazione alluvionata






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    Piove di Sacco




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    Piove di Sacco è un comune italiano di 19.058 abitanti della provincia di Padova situato nella Saccisica a sud-est di Padova


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    Storia

    Il territorio di Piove di Sacco era abitato probabilmente già in età paleoveneta e divenne sotto i romani un importante nodo stradale e fluviale. Infatti per Plebs Sacci passavano le Vie Annia e Popilia e i fiumi Bacchiglione e Adige. In epoca longobarda la città divenne sede di un'arimannia, nell'VIII secolo passò sotto il dominio dei carolingi per diventare poi, dall'880, territorio del vescovado di Padova, periodo in cui venne fortificata con i terrapieni i quali caratterizzano ancor oggi l'aspetto a forma di quadrilatero. Nel '300 divenne appannaggio dei signori di Padova, i Carraresi, i quali completarono le fortificazioni con la costruzione di torrioni alle porte di accesso, ma mantenendo comunque l'impianto originario a forma di rettangolo. Con la caduta della signoria padovana, la Saccisica passò nelle mani della Serenissima e l'impianto urbanistico rimase pressoché immutato, fatta eccezione per le numerose villa fatte costruire dai patrizi di Venezia, fino all'800. In questo periodo vennero demoliti molti edifici storici della città, tra i quali il palazzo comunale, le porte di accesso e la ricostruzione della chiesa di San Martino.

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    Monumenti

    Piove di Sacco vanta numerose bellezze architettoniche, primo su tutti possiamo citare la Torre maggiore, l'ultimo resto delle fortificazioni costruite in epoca carrarese, sopra la quale è stata sovrapposta la cella campanaria del vicino duomo dedicato a San Martino. Molto importante è anche lo stesso duomo, la cui fondazione si fa risalire al secolo X, successivamente ricostruito nel 1090-1100, e poi ancora nel 1403, e fu rifatto in forme neoromaniche e neogotiche su progetto dell'ingegner Francesco Gasparini tra il 1893 e il 1903. Molte opere importanti ornano l'interno del duomo, una di queste è la pala della Madonna del Carmelo di Giambattista Tiepolo, poi troviamo l'altare del Santissimo Sacramento, opera di Jacopo Sansovino datata circa 1554. In sagrestia è collocata un altro quadro di Giambattista Tiepolo San Francesco da Paola. Nella vicina piazza Matteotti si trova il palazzo municipale costruito su progetto di Giuseppe Jappelli nel 1818 al posto del precedente palazzo comunale di origine medievale. Un altro edificio artisticamente interessante è il santuario della Madonna delle Grazie che si trova a circa un chilometro dal centro lungo il fiume Fiumicello. Questa chiesa è stata costruita tra il 1484 e il 1489 ed è legata a un evento miracoloso descritto in un quadro del secolo XVII: due fratelli alla morte dei genitori si divisero tutto quanto in modo pacifico, solamente quando dovevano decidere a chi finisse un'immagine sacra della Vergine col Bambino finirono col litigare e col sfidarsi a duello. In quel momento un bambino di un anno in braccio alla madre si mise a parlare ordinando loro di fermarsi e di portare l'immagine sacra in una cappella poco fuori la città. Di fronte a questo miracolo i fedeli decisero di costruire un nuovo tempio dedicato alla Madonna delle Grazie. La tavola all'origine del miracolo è tuttora conservata all'interno del santuario ed è attribuita da numerosi critici al pittore Giovanni Bellini.




    CHIESA DELLA MADONNA DELLE RIGHE

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    la chiesa della Madonna di Righe.



    Non si hanno datazioni precise riguardanti la costruzione, ma potrebbe risalire al XII secolo. Da alcuni documenti del Codice Statutario Carrarese, risulta che il santuario di "Sancta Maria de Rige" doveva essere in gran parte decorato da affreschi.

    Passata nel corso degli ultimi anni a proprietari privati e travagliata da vari interventi di restauro, ora la chiesetta di S. Maria di Righe è oggetto di particolare devozione: ogni anno, il 24 Settembre, si ricorda con una processione il "Voto di Righe" per ringraziare la Vergine che nel 1839 liberò gli abitanti dall'epidemia di colera del 1836.

    Sotto l'intonaco in gran parte caduto, si nota la costruzione in mattoni originaria, interrotta da conci in pietra d'Istria usati nel restauro dei muri pericolanti.

    L’interno conserva un altare maggiore in marmo con paliotto lavorato ad intarsio; interessanti le acquasantiere in pietra ed una statua lignea del Cristo.




    Santuario Beata Vergine delle Grazie

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    In periferia di Piove di Sacco i fondo al Viale dei Tigli troviamo il Santuario Madonna delle Grazie costruito nel 1484 ed officiato sino al 1769 dai frati minori Francescani che possedevano un attiguo convento demolito dopo la loro partenza.

    La costruzione originale era in stile romanico a navata unica, successivamente fu aggiunta sulla sinistra un navata più piccola dove è conservata l’immagine della Madonna delle Grazie che la tradizione vuole come la liberatrice dalla peste. La festa del voto si celebra in aprile ed è seguita con grande partecipazione da tutta la popolazione della zona.

    La facciata come la osserviamo oggi risale al 1861; nella zona superiore presenta due bifore dove è raffigurata la Madonna. La navata principale ha un soffito a capriate e nel corso dei secolo è stata modificata varie volte. All’interno sopra l’altare maggiore troviamo l’immagine della Vergine con il Bambino di Giovanni Bellini, opera risalente al 1478. L’icona è stata nel corso del tempo rovinata da svariati interventi e nel 1943 venne restaurata. Nel 1947 l’immagine venne incoronata da monsignor Carlo Agostani a cui fu aggiunta una pala marmorea che presenta due angeli che sorreggono un diadema sul capo della Madonna.


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    DUOMO

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    il neoromanico Duomo di San Martino, ricco di opere d’arte, tra cui un altare del Sansovino ed una tela del Tiepolo e la vicina chiesa di Santa Maria dei Penitenti.


    Torre Carrarese.

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    Eretta nel 1359, è l'unica superstite delle quattro costruite a difesa del castello di Piove. La quasi totale mancanza di aperture e decori denuncia la sua originaria funzione difensiva. Sul lato verso la piazza sono presenti alcuni bassorilievi raffiguranti, tra l'altro, San Martino che dona il mantello ai poveri, il Leone di San Marco segno del governo veneziano e lo stemma di uno degli ultimi Podestà. La torre è aperta al pubblico nei pomeriggi di ogni 2^ domenica del mese in occasione del Mercatino dei Portici.

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    chiesetta di S. Nicolò del XII secolo, con affreschi della scuola di Giotto.



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    TEATRO FILARMONICO



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    LA PIAZZA





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    il Casone Veneto

    Più ancora delle ville, dei cascinali, delle corti e dei castelli, il casone ha caratterizzato la campagna e la civiltà rurale veneta per oltre un millennio, dalle invasioni dei barbari fino a pochi decenni or sono, anche se la sua storia affonda le radici nelle abitazioni paleovenete.
    Non si tratta di una rudimentale capanna, ma di una vera e propria cultura abitativa molto evoluta atta a sfruttare nel migliore dei modi quello che la campagna offre. Da non confondere con i casoni lagunari, capanne abitate salutariamente per la pesca.

    Il Casone era la casa dei poveri, contadini con poca terra o braccianti, e delle tante bocche da sfamare.
    In genere punteggiava le aree marginali dei grandi appezzamenti padronali, lungo fiumi e canali. Si diffuse enormemente con l'epopea della nobiltà veneziana nella campagna veneta, tra il cinquecento ed il settecento, quando le vastissime proprietà terriere richiedevano molta manodopera. Il latifondista concedeva, o tollerava, l'insediamento dei braccianti ai margini della proprietà, dapprima in forma temporanea durante la stagione agricola e poi come abitazioni permanenti.

    Il casone è opera d'arte e massimo esempio di bioedilizia.

    Dalle dimensioni 'lillipuziane' (per le nostre moderne e sprecone esigenze), alle pietre crude (argilla seccata al sole), alle malte di terra e sterco impastati con paglia e calce viva, a quel capolavoro del tetto fatto di paglia o di canne palustri.
    Per la sua costruzione si chiamava una persona specializzata: il casonaro. Un tetto così costruito poteva durare dagli 80 ai 100 anni... salvo i non rari incidenti col fuoco.
    casone veneto Le aperture permettevano un ricambio d'aria nella teza o tieda (sottotetto) dove si conservava il fieno per la vacca (o al massimo alcune vacche) in stalla, magazzino indispensabile alla sopravvivenza. In molti casi vi era un portico rivolto a sud, non solo luogo di servizio per la stalla, ma soprattutto area di lavoro al riparo dal sole cocente d'estate e al riparo dal freddo d'inverno. La stalla una 'centrale termica' dove ci si radunava nei lunghi e freddi filò invernali. Sotto il portico si tenevano anche i pulcini in gabbia, il maiale si teneva in una piccola capanna separata, così come el punaro (pollaio) spesso un'impalcatura su di un albero.
    Le poche aperture a finestra della parte in muratura sempre piccolissime (per non disperdere il calore). Il pavimento in terra battuta e, nei casi più ricchi, in pietre.
    La cucina è invenzione più moderna, si diffuse nel sei/settecento, prima non vi era un vero e proprio ambiente dove cucinare e quasi sempre si mangiava in stalla. Anche fino alla metà dell'ottocento nelle cucine non esisteva un camino ed il fumo usciva per una apposita apertura sopra la porta o una finestra. Il fogolare (caminetto) era cosa da ricchi, si diffuse perciò la cucina economica una stufa con la grande piastra in ghisa per cucinare, parsimoniosa nel consumo di legna.
    Gli arredi, gli attrezzi da lavoro, il vestiario, tutto fatto artigianalmente in famiglia, a cominciare dallo stramaso (materasso) del pajon imbottito a scartozi (foglie secche delle pannocchie di mais).
    D'inverno a letto ci si riscaldava con la munega col scaldin de bronse, uno scaldino con le braci protetto da una struttura per sostenere le coperte che veniva tolto nel momento di coricarsi. E ...chi non ha provato una simile esperienza non può immaginare quell'incredibile sensazione...

    Una vita grama, un'integrazione totale, una simbiosi tra uomo, animali, campagna e lavoro.

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    Il casone è ancora nell'anima del nostro modo di essere veneti, ma ancor per quanto?
    Per noi di campagna è ancora parte integrante delle storie e delle nostalgie dei nostri genitori. Un millennio di civiltà dissoltosi in pochi anni nella metà del secolo scorso, scalzato dalla civiltà del 'benessere' e del 'progresso'. Molti casoni, agli inizi del secolo scorso, sono andati distrutti col fuoco per incassare l'assicurazione e costruire una casetta più moderna.

    L'ultimo casone 'vero' giunto fino a noi si trova (anzi si trovava) a Vallonga di Arzergrande.
    Forse l'unico ad aver superato la soglia del III millennio perché abitato fino a qualche anno fa.
    Abbandonato, sta vivendo gli ultimi anni di agonia e si sta dissolvendo in fretta. Forse con qualche intervento di recupero si può salvare e riciclare come i due casoni di Piove.

    Un fatto è certo, mancando il proprietario il casone sparisce in fretta senza lasciar tracce. Restituisce alla natura quello che si era preso a prestito per costruirlo.
    Una conferma che il casone è un organismo vivente modellato sull'anima di chi vi abita.

    Quei pochi che ancora possiamo vedere sono ormai dei monumenti a se stessi, musei. Restaurati e rifatti fin troppo bene per essere credibili, ma senza l'uomo dentro.
    Possono certamente darci un'idea in qualche modo 'virtuale' di quel tempo che fu, ma è un po' come andare a far visita in cimitero ad una persona cara ormai scomparsa.

    E più che emozione o interesse ci lasciano tanta tristezza.

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    A Piove di Sacco ci sono due casoni ben conservati e restaurati. Questo di via Ramei è stato abitato fino alla fine degli anni Settanta. Il Casone, oggi sede del Museo della cultura popolare e della civiltà contadina, è di proprietà del Comune. Gestito dal "Gruppo del Cason", che ha raccolto e catalogato oggetti e documenti con cui ha allestito le singole stanze, è aperto e visitabile tutte le domeniche da aprile a settembre, mentre per il restante periodo dell'anno le visite si effettuano su prenotazione

     
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  15. tomiva57
     
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    Ex Monastero degli Olivetani al Monte Venda
    Torreglia, Galzignano Terme (Padova)



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    Le origini del monastero risalgono alla seconda metà del 1100, una prima costruzione era opera di un eremita, cosa non rara a quel tempo, un certo Adamo che si era ritirato lassù con un suo fedele servitore. Nel 1207 alcuni monaci benedettini, della basilica di Santa Giustina di Padova, eleggono il luogo a ritiro spirituale in cerca di pace e solitudine; iniziano così i lavori di fondazione di un monastero più grande ed articolato, patrocinati e finanziati anche dai Maltraversi, nobile famiglia di Castelnuovo di Teolo. Viene edificata una chiesa ad onore di San Giovanni Battista.
    Con la crisi dell'ordine alla fine del 1300 il monastero corre il pericolo di un grave decadimento, perciò il Vescovo di Padova ne affida al potente ordine aristocratico degli Olivetani la cura, alla quale non è ininfluente la protezione dei Carraresi, signori di Padova. E' questo un nuovo periodo di splendore e fervono lavori di abbellimento ed ingrandimento.
    La vita monastica scorre serena fino al 1771 quando la Serenissima lo sopprime, trasferisce i monaci, e disperde le proprietà cedendole a privati del luogo. Inizia la lenta e lunga agonia culminata con il quasi totale degrado del complesso.
    Fortunatamente una recente opera di restauro e salvaguardia ha salvato i ruderi da sicuro oblio e devastazione totale.

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