VENETO n. 3

la dorata vicenza ..la dotta padova.....rovigo

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  1. tomiva57
     
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    La Città di Vicenza e le Ville del Palladio nel Veneto




    Vicenza è una delle più antiche città del Veneto, nonostante la sua storia anteriore alla dominazione romana sia poco conosciuta. Pare siano stati gli Euganei ad averla fondata, ma i Galli la dominarono fino al 157 a. C., anno in cui, dopo essere stata annessa a Roma, venne chiamata Vicetia o Vincentia. Con l’imperatore Adriano attraversò un periodo particolarmente florido; fu poi saccheggiata dai Barbari, ma tornò a fiorire dapprima con i Goti e successivamente con i Longobardi e i Franchi. Divenne principato vescovile nel 1001, mentre dal XII al XIV secolo dichiarò guerra alle città vicine e passò di Signoria in Signoria, finchè nel 1404 aderì alla Repubblica Veneta. Il secolo d’oro di Vicenza è il Cinquecento: grazie al ricco Patriziato cittadino, nel periodo della Rinascenza vennero edificati vari palazzi e monumenti, per la maggior parte opera del grande architetto Andrea Palladio e dei suoi discepoli e continuatori. Dopo il dominio Napoleonico, nel 1813, Vicenza passò all’Austria; nel 1848 insorse e nel 1866 fu annessa al Regno d’Italia. Nel 1848 la bandiera del Comune venne fregiata di medaglia d’oro al Valor Militare "per la strenua difesa fatta dai cittadini contro il nemico nel maggio e giugno 1848"; nel 1994 la città ottenne un analogo riconoscimento per l’attività partigiana svolta durante la Seconda Guerra Mondiale.

    Il 15 dicembre 1994, Vicenza è stata inserita nella lista dei beni "patrimonio dell’umanità". Nella "World Heritage List" risultano iscritti i ventitré monumenti palladiani del centro storico e tre ville site al di fuori dell’antica cinta muraria, pure realizzate dal famoso architetto. La città del Palladio può dunque fregiarsi del titolo di "patrimonio dell’umanità", poiché "essa costituisce una realizzazione artistica eccezionale per i numerosi contributi architettonici di Andrea Palladio che, integrati in un tessuto storico, ne determinano il carattere d’insieme.
    La città e le opere del Palladio hanno inoltre esercitato una forte influenza sulla storia dell'architettura, dettando le regole dell'urbanesimo nella maggior parte dei paesi europei e del mondo intero".
    Nel 1996 il riconoscimento dell'UNESCO è stato esteso fino a includere anche le ville palladiane dell’intero territorio provinciale (altre sedici).
    Vicenza è quindi uno dei siti UNESCO che possiedono il maggior numero di monumenti protetti: ben trentanove, anche se l’intero centro storico della città, modellato dal genio del Palladio, è considerato, a pieno titolo, "patrimonio dell’umanità".

    Il 15 dicembre 1994, il Comitato per il patrimonio mondiale UNESCO, riunito a Pukhet, in Thailandia, inserisce Vicenza nella lista, sulla base di due criteri:

    1) Vicenza costituisce una realizzazione artistica eccezionale per i numerosi contributi architettonici di Andrea Palladio, che, integrati in un tessuto storico, ne determina il carattere d’insieme.

    2) Grazie alla sua tipica struttura architettonica, la città ha esercitato una forte influenza sulla storia dell’Architettura, dettando le regole dell’urbanesimo nella maggior parte dei paesi europei e del mondo intero.



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    Andrea Palladio
    (Padova 1508-Vicenza 1580)



    Grande architetto e artista rinascimentale, genialmente coniugò con estremo equilibrio e senso estetico il meglio dello spirito classico con le tendenze e le necessità di ciò che al suo tempo era moderno. Le sue opere, unitamente al fondamentale trattato "I quattro libri dell'architettura", presto furono conosciute, ammirate ed imitate in tutta Europa e successivamente nel mondo intero. L'originalità della villa veneta, ampiamente e splendidamente diffusasi nella Regione, consiste essenzialmente nella fusione ed armonizzazione delle esigenze estetiche (classicismo, nuovi saperi architettonici) e di quelle funzionali (villa agricola autonomamente amministrabile da famiglie patrizie), elementi che trovarono nel Palladio l'espressione più felice e completa.
    Dall'opera di questo eccezionale artista (e allievi, tra cui Vincenzo Scamozzi), operante in un florido periodo di rinnovamento denso di generosi ed orgogliosi mecenati della nobiltà veneziana (dagli inizi del Quattrocento Vicenza è posta sotto la protezione della Serenissima), discendono per Vicenza i significativi appellativi di Città-del-Palladio, Unica-città-d'autore, Venezia-della-terraferma.




    Piazza dei Signori



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    Piazza dei Signori_veduta aerea

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    Piazza dei Signori_Torre e Colonne

    Da Piazza dei Signori, una tra le più belle piazze d'Italia e punto focale della città, si irradiano armoniosamente bellissime architetture. La sontuosa Basilica (Palazzo della Ragione, 1549-1617 - all'interno il Museo Palladiano), capolavoro del Palladio, con grande tetto a carena (rifatto), logge sovrapposte di ordine dorico e ionico, sculture e stucchi decorativi. Le due Colonne veneziane, una col leone di S. Marco e l'altra col Redentore, l'ardita Torre Bissara (sec. XII)...





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    .il quattrocentesco Monte di Pietà, decorato e posto come ad incorniciare la facciata barocca della Chiesa di S. Vincenzo. La Loggia del Capitanio, ex residenza del governatore di Venezia, iniziata nel 1571 su progetto del Palladio ma rimasta incompiuta, con capitelli composti, bellissime statue e stucchi (celebranti la vittoria di Lepanto del 1571 sui Turchi). Urbanisticamente collegate a Piazza dei Signori, la Piazza delle Blade con la chiesa di S. Maria dei Servi e la graziosa Piazza delle Erbe.

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    Da Piazza dei Signori verso il Giardino Salvi


    L'asse artistico e anche sociale della città è rappresentato da Corso Andrea Palladio, unitamente alle vie adiacenti: in quest'area si possono ammirare bellissimi palazzi di impronta palladiana e altri edifici, architetture che hanno abbondantemente "popolato" la World Heritage List dell'UNESCO per le loro pregevoli, originali e molteplici caratteristiche (qui citiamo solo alcune opere quali esempi).

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    Palazzo Trissino, capolavoro dello Scamozzi (1592)
    è anche Palazzo Comunale.



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    Palazzo Trissino (Comune)_Sala degli stucchi
    Splendide la Sala della Giunta e la Sala degli Stucchi.


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    La chiesa gotica francescana di S. Lorenzo con bella facciata e rinomato portale risale al sec. XIII.

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    S. Lorenzo


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    S. Lorenzo_portale

    Il Duomo, eretto tra il XIV e XVI secolo, presenta una bella facciata gotica ed un elegante abside rinascimentale. All'interno, gotico, pregevoli dipinti.


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    Sulla piazza il Palazzo Vescovile, con mirabile Loggia rinascimentale nel cortile. Poco distante uno degli splendidi esempi di casa vicentina,

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    Casa Pigafetta.



    Passando per la chiesa di S. Filippo Neri
    si arriva infine al Giardino Salvi,
    abbellito da statue, canaletti e logge e da una fontana.


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    Da Piazza dei Signori verso il Parco Querini
    Ancora splendidi e superbi palazzi di impronta palladiana...


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    palazzo chiericati
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    museo civico
    image pinacoteca


    Sontuosa, imponente e geniale opera tra le migliori del Palladio, il Palazzo Chiericati ospita il Museo Civico (collezioni paletnologiche e archeologiche) e la Pinacoteca (Montagna, Buonconsiglio, Veronese, Tiepolo, Sansovino, Memling, Van Dyck, Carpaccio, Mantegna, Tintoretto... disegni del Palladio).
    Museo Civico_Bartolomeo Montagna-Madonna adorante il Bambino tra le sante Monica e Maria Maddalena


    Chiesa di Santa Corona


    Questa interessante chiesa domenicana custodisce importanti opere d'arte.

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    S. Corona

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    S. Corona_Veronese-Adorazione dei Magi




    Teatro Olimpico



    Splendida ed ultima opera del Palladio (legno e stucchi) di impronta classicistica portata a termine dal suo allievo Scamozzi (1584).

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    Teatro Olimpico_scena


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    Teatro Olimpico

    Infine il grande Parco Querini con la chiesa di S. Maria in Aracoeli e nei dintorni la chiesa di S. Marco.

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    S. Maria in Aracoeli

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    Parco Querini


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    S. Marco



    Chiesa del Carmine



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    Edited by tomiva57 - 16/5/2011, 13:15
     
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  2. arca1959
     
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    Grazieeeeeee
     
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  3. tomiva57
     
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    da Palladio a TIEPOLO: LE VILLE TIEPOLESCHE NEL VICENTINO



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    Con la definizione ville tiepolesche si vuole intendere quelle dimore, in particolare del territorio vicentino, ove il grande pittore ha lavorato in stretto rapporto con l'architetto a VILLA ZILERI del Biron di Monteviale, a VILLA CORDELLINA di Montecchio Maggiore, oppure e' riuscito addirittura a piegare alla sua volontà , come a VILLA VALMARANA AI NANI di Vicenza, una modesta architettura creata anni prima del suo intervento.

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    Questo non accade, infatti, in altri prestigiosi monumenti dove Giambattista Tiepolo arriva a lavori architettonici ultimati, solo per decorare il soffitto del salone principale, come per esempio a Villa Pisani di Stra o come nel palazzo reale di Madrid.
    Nel vicentino, dunque, nel caso delle 3 ville citate, prima di ricordare il nome dell'architetto, si cita quello dell'affrescatore: GIOVANBATTISTA TIEPOLO (nato a Venezia nel 1696 e morto a Madrid nel 1770).

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    Non e', altresì inopportuno esaminare la genesi della villa tiepolesca, che affonda le sue origini nella grande lezione palladiana per divergerne nei risultati, che corrispondono esattamente alle divergenze tra il secolo del Rinascimento trionfante e il secolo dei Lumi.
    Palladio ne I Quattro Libri dell'Architettura nomina sempre i decoratori delle sue ville ma, anche se non detto mai esplicitamente, tra le righe vibra la consapevolezza che la trama razionale e matematica della sua architettura regge benissimo anche senza l'intervento di validi pennelli. In una sola occasione questo sembra non verificarsi: a Villa Barbaro Maser, il connubio Palladio-Veronese sembra procedere alla pari.

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    La Villa, ad eccezione della Rotonda, aveva, secondo Palladio, uno scopo molto preciso: assolvere tutte le funzioni di un'azienda agricola redditizia. Nell'eta' del Tiepolo, il signore che va in villa ha un'altra cultura e un altro reddito. Pretende dalla vita comodita' strane forse ai tempi del Palladio dove l'uomo, seppur con l'orgoglio di una cultura umanistica, viveva nel timore di due sventure: la peste e la carestia.
    Nel Settecento, il tempo del Tiepolo, l'uomo, debellate peste e carestia, comprende che dalla campagna non bisogna aspettarsi che una rendita mediocre. Il possesso dei campi si aggiunge al reddito procurato da una professione di alto prestigio. La villa da' tono, da' prestigio, permette liberta' ed ospitalita' che in citta' non sono concesse.
    Tramontata, dunque, la filosofia della sancta agricoltura e della cultura classica, la villa viene utilizzata per altri scopi.

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    Tiepolo recepisce il clima culturale del suo tempo e con l'aiuto dell'architetto Massari e degli scultori Antonio e Francesco Bonazza si appresta a creare la villa che il signore esige: quando può rende omaggio al Palladio, ma con tutto il distacco di un uomo del Settecento.
    Liberatosi dell'aulico frontone, del pronao colonnato e del portego che taglia da una facciata all'altra il piano nobile della villa, crea deliziose salette che servono per diverse ed amene esigenze.
    SE GLI AFFRESCATORI DELLE VILLE DI PALLADIO CERCAVANO UNA TEOLOGIA DELLA STORIA, TIEPOLO SEMPLICEMENTE ILLUSTRA UNA FILOSOFIA DELLA STORIA.....

    (estratto da "Le ville Tiepolesche" di Remo Schiavo)







    TIEPOLO: IL MUSEO DIFFUSO



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    CHIESA DI S.STEFANO -
    Vicenza centro storico

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    L'altare maggiore della chiesa presenta come decorazione del tabernacolo, tre tavole di Giandomenico Tiepolo. I dipinti sono riferibili agli anni 1758/60. Le immagini raffigurano, a monocromo dorato, "San Pietro", "San Giovanni Battista" e "La Resurrezione". Le prime due opere sono d'invenzione di Giandomenico, mentre la terza ed in particolare l'impostazione dell'immagine dei soldati, che vengono colpiti dalla luce divina, sono frutto della mente del Maestro.

    CHIESA DEI SS. VITO, MODESTO e CRESCENZIA

    - Noventa Vicentina

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    All'interno della chiesa settecentesca di Noventa Vicentina e' conservata, in un altare laterale, la pala dedicata ai "Santi Rocco e Sebastiano". La datazione di questo olio su tela e' riferibile agli anni 1758/60. La vecchia paralitica si contrappone col suo realismo alle figure dei santi: Sebastiano, legato all'albero, ferito, guarda l'inferma e Rocco, in piedi, volge lo sguardo verso l'alto, verso il Divino.

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    CHIESA DI SANTA MARIA MADDALENA

    - Rampazzo (Camisano Vicentino)

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    L'opera rappresenta "l'Apoteosi di San Gaetano Thiene", e' contemporanea agli affreschi della Valmarana (1757) e venne commissionata dalla famiglia Thiene.
    La piccola chiesa presente nel dipinto vuole ricoradre la costruzione della parrocchiale voluta dallo stesso santo. San Gaetano sta raggiungendo l'Altissimo sollevato da nuvole. Come sottolinea Remo Schiavo, l'artista privilegia i colori "tenui, leggeri, rosati, come negli affreschi di villa Valmarana puntualmente richiamata dalle seriche stoffe e dai morbidi putti".

    PALAZZO CHIERICATI

    - Vicenza centro storico
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    Le opere tiepolesche conservate nella Pinacoteca civica sono tre: "L'immacolata" ed "Il Tempo che scopre la Verita' " di Giambattista e "La Decollazione del Battista" di Giandomenico.
    "L'Immacolata" proviene dalla splendida chiesa dell'Araceli. La pala era collocata nell'altare del Crocifisso fino all'acquisto da parte del conte Barbieri, avvenuto nel 1830. L'opera, datata attorno al 1735, ha nella veste argentea e nel mantello azzurro i suoi momenti piu' alti. Le tonalita' cromatiche variano: da un azzurro chiarissimo si passa ad un blu. Il manto rosso dagli angeli, alla destra della vergine, diviene giallo. "Il Tempo scopre la Verita'" proviene dalla residenza dei Cordellina di Montecchio Maggiore ed e' contemporaneo agli altri affreschi (1743-44). Remo Schiavo sostiene che questo dipinto fu posto sul soffitto del pronao; il tema e' ricorrente tra le sue realizzazioni ed in questo caso l'argomento si lega perfettamente ai soggetti degli affreschi montecchiani. Il dipinto ha come punto focale la figura femminile nuda e che, come ricorda Andreina Ballaran nel catalogo della pinacoteca, "fa quasi scomparire le zone un po' macabre di questa "morale" illuministica e cioe' le carni "antiche" del vecchio Tempo, la falce, la clessidra, il naufragio dell'eroe". "La Decollazione di san Giovanni Battista", fino al 1910 attribuita al padre, e' l'unica opera in museo di Giandomenico. Il volto del santo e' il centro emotivo della vicenda: una luce divina lo illumina. La figura del Battista si contrappone a quella del carnefice e l'oscurita' del luogo moltiplica l'emozione.

    MUSEO CIVICO

    - Bassano del Grappa centro storico

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    Il Museo Civico di Bassano conserva una delle maggiori raccolte di disegni di artisti veneti, in particolare il "corpus di disegni Riva" contiene opere dei maggiori autori ed in particolare di Giambattista e suo figlio Giandomenico. Inoltre la pinacoteca ospita un dipinto datato attorno agli anni 1731/32 raffigurante l'episodio della "Circoncisione", eseguito dal Maestro. Di Giandomenico e' conservata una splendida immagine della "Madonna con Bambino". Il bimbo si muove, accarezza il volto della madre. La Vergine ha un'espressione dolce, tenera, che simboleggia l'amore materno.

     
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  4. tomiva57
     
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    I luoghi della fede
    Luoghi sacri



    PGR - Per Grazie Ricevuta: itinerario tra i principali Santuari ex-voto e i luoghi della fede



    VICENZA CRISTIANA: le origini
    Si aprono con la chiesa dei SS.Felice e Fortunato i percorsi di fede arte e memoria attraverso i luoghi sacri della nostra città. La prima comunità cristiana ha qui lasciato una grande testimonianza di fede. Il sacello martiriale, i mosaici, la stessa struttura austera, restituiscono l'essenzialità di uno spazio antico, che ci porta a rivivere la spiritualità delle origini. Si prosegue quindi con la Cattedrale - chiesa di S. Maria Annunciata, l'edificio sacro simbolo della comunità cittadina.
    Il sito archeologico, particolarmente ricco, evidenzia una storia lunga e complessa, iniziata già in epoca romana, e proseguita nel corso dei secoli con la costruzione di più chiese, via via ampliate e arricchite dalle donazioni di un'intera collettività. Oggi, splendidamente restaurata, ospita preziosissimi tesori d'arte sacra tra cui spicca il monumentale ciclo pittorico del Paramento Civran

    VICENZA E GLI ORDINI MENDICANTI
    Il secolo XIII fu per tutta la Chiesa un epoca di grande rinnovamento spirituale e gli ordini mendicanti ne raccolsero le aspirazioni più profonde predicando, dalle loro sedi cittadine, questo rinnovato spirito evangelico di carità e penintenza. A Vicenza si posso no visitare le sedi di tre grandi Ordini:
    - i Domenicani, presso il Tempio di S. Corona, ove si conserva la più ricca collezione di opere d'arte della città :
    - i Francescani, tutt'oggi custodi del Tempio di S. Lorenzo la chiesa forse più suggestiva, per lo straordinario equilibrio di forme gotiche e romaniche;
    - i Servi di Maria, che dalla chiesa di S. Maria in Foro, hanno contribuito a diffondere quella devozione alla Vergine che tanto caratterizza la pietà vicentina.

    VICENZA MARIANA
    La devozione alla Vergine caratterizza la pietà vicentina probabilmente già dal sec. XIII, quando gli ordini mendicanti, particolarmente sensibili all'apostolato mariano, contribuirono a diffondere un culto così intimamente connesso al mistero dell'incarnazione di Cristo. È però con la nascita d el Santuario di Monte Berico e il successivo insediamento dei Servi di Maria a decretare la straordinaria fioritura di una devozione capace di catalizzare ogni anno milioni di fedeli. La Madonna di Monte Berico, eletta patrona di Vicenza, protegge dall'alto i suoi fedeli, e questi, nel corso dei secoli, le hanno dedicato altri luoghi sacri dove poter essere venerata. Tra i Santuari della diocesi segnaliamo per la straordinaria ricchezza del patrimonio artistico e devozionale il Santuario di Madonna dei Miracoli di Lonigo , dove è conservata una ricchissima collezione di tavolette ex-voto, il Santuario della Madonna Salus Infirmorum di Scaldaferro, che nella piccola dimensione della campagna mantiene da secoli la sua tradizione devozionale e il Santuario di S. Maria della Pieve di Chiampo, dove è possibile ammirare un'interessantissima Via Crucis scultorea inserita in un suggestivo parco botanico.

    VICENZA: LE SUE ABBAZIE, CAPPELLE e ORATORI
    Altre chiese, anche di dimensioni ridotte, hanno dato vita a centri importanti di devozione, tra queste meritano particolare attenzione la chiesa di S. Giorgio in Gogna, antica costruzione, spoglia e suggestiva, che ospita il lazzaretto cittadino, o l'abbazia di S. Agostino , sede degli Agostiniani prima e dei Canonici di S. Giorgio in Alga poi, che conserva il ciclo di a ffreschi trecenteschi più importante della città .
    Della fine del sec. XV è invece la chiesa di S.Rocco , dedicata al Santo protettore dei pellegrini e degli appestati, fu anch'essa sede dei Canonici di S. Giorgio e poi trasformata nell'Ospedale degli Esposti, per la cura e l'assistenza degli infanti abbandonati. Si giunge infine all'Oratorio del Gonfalone e all'Oratorio di S. Nicola, importanti testimonianze di devozione "privata", cui diedero vita gruppi di laici riuniti in confraternite per condividere un'esperienza di fede e carità . In queste ultime tre chiese il Centro Turistico Giovanile accoglie i fedeli e i visitatori ogni giovedì mattina.






    Il santuario di Monte Berico
    Passato e presente di Monte Berico




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    IL SANTUARIO DI MONTE BERICO è il più noto e frequentato Santuario mariano della Regione Veneto

    LE ORIGINI
    Le sue origini affondano in un periodo di particolare sofferenza per la città di Vicenza, colpita tra il 1425 e il 1428 da una gravissima epidemia di peste.
    Accadde, infatti, che la VERGINE fece una prima apparizione sul Monte il 7 MARZO 1426 ad una umile contadina: Vincenza Pasini alla quale seguì quella del 1° AGOSTO 1428. In entrambe le apparizioni la Madonna chiese a Vincenza che si facesse portavoce di una richiesta: la costruzione in quel luogo di una Chiesa a lei dedicata con la promessa che la pestilenza sarebbe finita.

    La tradizione popolare vuole che la Madonna avesse pronunciato queste parole:
    "Non temere Vincenza. Sono la Madre di Gesù morto in croce per la salvezza degli uomini. Va' e avvisa i Vicentini che io voglio in questo luogo una Chiesa consacrata al mio nome; solo allora saranno liberati dal flagello che li percuote. Dirai al popolo i miei comandi: se non obbediranno, non cesserà la peste.
    Come prova della mia volontà scavino fra queste rocce aride e ne scaturirà una fonte copiosa".
    E aggiunse:
    "Dirai inoltre che tutti coloro i quali visiteranno questa Chiesa nelle Feste a Me dedicate e nella prima domenica di ogni mese, avranno grazie abbondanti, e riceveranno la mia benedizione materna."

    Vincenza Pasini non fu creduta subito nemmeno dalle autorità Ecclesiastiche. Fu la seconda apparizione e l'imperversare della pestilenza a convicere, prima di tutti, i cittadini e quindi le Autorità, a dar credito alla donna.
    La posa della prima pietra avvenne il 25 AGOSTO 1428 e la Chiesa fu costruita in soli 3 mesi come testimonia il codice manoscritto del Processo sulla veridicità dei miracoli intrapreso come la costruzione del Santuario, dalle autorità locali. Man mano che l'opera cresceva la virulenza della peste andava scemando al punto che quando arrivarono al tetto, la "brutta bestia" era completamente debellata.
    Nel 1430 fu dato incarico al giureconsulto Giovanni Da Porto e al successore Luigi Da Porto che condusse il processo e redisse l'atto notarile di 16 pagine, autentificato da 3 notai e sottoscritto dal Podestà Marco Micheli, custodito nella Biblioteca Bertoliana di Vicenza.
    La veggente Vincenza Pasini morì all'età di 78 anni, nel 1433.

    LA CHIESA

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    Il piccolo tempio eretto dopo l'apparizione, venne rifatto perchè bisognoso di totali restauri e venne incorporato all'inizio del secolo XVIII nell'attuale Santuario.
    La Basilica è stata costruita su disegno dell'architetto CARLO BORELLA (1688) e fu decorata dallo scultore bassanese ORAZIO MARINALI.
    L'interno della Basilica-Santuario è l'insieme delle due Chiese: l'una di stile gotico, l'altra di stile classico e barocco, ampliamento e completamento del Borella (1688-1703) dopo un primo ampliamento del PALLADIO (1578).
    In questi anni (1826) iniziò la costruzione del nuovo campanile, su progetto di ANTONIO PIOVENE, mentre nel 1860 fu avviata la ricostruzione dell'antica facciata in stile neo-gotico, ad opera dell'architetto Giovanni Miglioranza, grazie ai SERVI DI MARIA che ritornarono nel 1835, grazie all'avvallo dell'Imperatore d'Austria, dopo l'allontanamento provocato dal decreto napoleonico del 1810 che imponeva la soppressione dell' Ordine con l'allontanamento dal Conventi.
    Anche nel 1866 dopo l'Unità d'Italia, i Servi di Maria dovettero lasciare il Convento per ritornarci, definitivamente, nel 1875 quando il Consiglio comunale di Vicenza decise di ridare loro il Santuario in uso gratuito affinchè proveddessero alla sua conservazione e tutela.
    Nel 1900, il futuro PAPA PIO X incoronava solennemente la statua di MARIA, il cui altare veniva reso ancor più solenne dal restauro del 1926-1928.

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    GLI EX-VOTO

    Adiacente al Santuario, vi è un piccolo museo che raccoglie oltre 150 tra tele e tavolette votive che costituiscono sei secoli (dal 1400) di ex-voto.
    Tra i pezzi del '400 che meritano un'attenzione particolare vi è una "Nascita di Maria" intagliata e rilevata nel legno e che conserva ancora larghe tracce di un'antica doratura.

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    Di poco successivo è un complesso di piccoli quadri raffiguranti la storia dell'apparizione della Vergine a Vincenza Pasini e probabile opera di Tonisi senese, già autore del ritratto della stessa donna.
    Al XVI secolo va attribuita una tela veronesiana di Gabriele Caliari, figlio del grande Paolo, raffigurante "La Madonna e il Bambino, i Santi Francesco e Marco, il Capitanio di Vicenza Francesco Tiepolo e un altro gentiluomo", tutti in posizioni di oranti.
    Tra le tante opere vanno poi segnalate quelle attribuite alla bottaga di Alessandro Maganza, del Maffei e del Carpioni. La maggioranza degli ex-voto restano però anonimi e fanno quindi parte di quell'arte popolare da sempre così prolifera ed affascinante.


    LA CENA DI S.GREGORIO MAGNO di Paolo Veronese
    Dipinto a olio su tela, misura m. 8,780m. 4,44

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    Sulla parete di fondo dell'antico refettorio del convento dei Servi di Maria domina la grande tela di Paolo Veronese che riproduce "La Cena di S.Gregorio Magno".
    La tela venne probabilmente commissionata da fra Damiano Grana, zio materno del Veronese, priore a Santa Maria di Monte Berico tra il 1571 e il 1573.
    Nel quadro è raffigurato il momento in cui il santo papa Gregorio Magno, durante la tradizionale cena in cui era solito invitare dei poveri, riconosce fra questi, alla sua destra Gesù Cristo.
    Nel 1848, durante un'azione di guerra dei soldati austriaci all'interno della basilica e del convento, la tela venne distrutta in 32 pezzi che un giovane frate, Ferdinando M.Mantovani, riuscì comunque a salvare. Nel 1852 la tela venne quindi ricomposta e risistemata nel convento da Alberto Tagliapietra.

    IL PATRIMONIO ARTISTICO

    All’interno del Santuario, sono molte le opere che meritano un’attenzione particolare.
    Al 1428 circa risale la statua della Madonna, in cui la Vergine, secondo una tipica iconografia quattrocentesca, è raffigurata come Madre della Misericordia. La statua, scolpita su pietra tenera dei Berici e colorata, è alta m. 1,70 ed è opera di Nicolò da Venezia.
    Molto più recenti (1900) sono invece la corona e la preziosa collana di perle, realizzate da orefici vicentini e offerte alla Madonna dal cardinale patriarca di Venezia Giuseppe Sarto, futuro papa Pio X.
    Di particolare interesse è la pala dell’altare di S.Giuseppe, raffigurante la Sacra Famiglia in Egitto, dipinta nel 1796 da Francesco Menageot e che costituisce una della migliori pitture neoclassiche presenti a Vicenza.
    Un’altra pregevole tela è quella di Palma il Giovane, del 1606 con l’Incoronazione della Vergine.
    Al XIX secolo risalgono invece diverse tele di Giovanni Gagliardi come quella della Resurrezione e dei Sette Santi Fondatori.
    Nella chiesetta gotica merita senza dubbio una visita speciale la tela raffigurante la Pietà, opera di Alvise Lamberti Montagna e risalente al 1500. Nelle arche della navata di mezzo, invece, a destra e a sinistra dell’altare maggiore, Rocco Pittaco dipinse i quattro episodi sull’origine del santuario, a partire dal 1883.


     
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  5. tomiva57
     
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    ITINERARIO DEI COLLI BERICI: IL VINO



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    La zona
    Nel mezzo della pianura veneta, tra Verona e Padova, sorgono i Colli Berici, posti a sud della città di Vicenza. Sono colline di origine vulvanica, dal clima mite e accogliente, ideali per la vite, in questi luoghi già presente da tempi antichissimi. Nei resti delle palafitte del lago di Fimon furono ritrovati vinaccioli di "Vitis silvestris", risalenti all'età del bronzo.

    I vini

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    Tocai rosso: nasce da un vitigno che nel Veneto viene coltivato in piccole quantità, anche nella zona orientale della regione, ma che qui ha trovato un areale adatto e una caratterizzazione particolare.
    È un vino di un bel colorito rosso rubino, diafano e brillante, anomalo nel panorama dei rossi del Veneto. Viene ottenuto pressochè in purezza (se presente nel vigneto, è consentito anche l'impiego di una modica quantità di uva Garganega locale). Ha un intenso profumo caratteristico, che talora ricorda il fico, ed un sapore armonico, giusto, talora tendente all'amarognolo che può essere leggermente tannico. Vino nobile da tuttopasto, è in grado di accoppiarsi felicemente tanto agli arrosti ed agli animali da cortile quanto al baccalà alla vicentina.


    Garganego:image


    l'uva con il quale è fatto proviene per la maggior parte dai vitigni omonimi. Bianco tipico caratteristico, di colore paglierino, odore vinoso e profumato, ha un sapore asciutto, amarognolo, lievemente acido, che lo rende ottimo, oltre che da tuttopasto, soprattutto con il baccalà e piatti di pesce impegnativi quali l'anguilla, il luccio o lo sgombro.
    Chardonnay Colli Berici: vitigno dalle grandi doti, coltivato ovunque con buoni risultati, ha trovato anche in questa zona terreno adatto ad offrire un prodotto di stoffa. Verificato in purezza o con l'integrazione di una modesta quantità di Pinot Bianco, si presenta di colore giallo paglierino, ben strutturato, profumato, elegante, di sapore composito e armonioso, fruttato. Da bere fresco e giovane è un vino tuttpasto, adattissimo per piatti di pesce e carni leggere.

    Tocai Bianco: image

    ottenuto da uve dei vitigni omonimi con la possibilità di impiegare una piccola quantità di Garganega, si propone di colore giallo paglierino, di odore vinoso caratteristico e di sapore armonico, asciutto, fresco. Ottimo come aperitivo, accompagna anche tutto il pasto, preferendo i primi piatti e il pesce.
    Sauvignon:

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    di profumo delicato, intenso, caratteristico, al gusto è asciutto, pieno, fresco, armonico. Da bere in compagnia, si presta tranquillamente al tuttopasto, prediligendo i piatti di pesce.
    Pinot Bianco: image

    ottenuto da uve dei vigneti omonimi con la possibilità di utilizzare una piccola quantità di Pinot Grigio, si presenta di colore paglierino chiaro, di profumo intenso, caratteristico e delicato. Di gusto pieno, vellutato, completo, piacevole. Un bel bianco da servire fresco, che va bene da aperitivo come da tuttopasto soprattutto con pesce e frutti di mare.
    Merlot dei Colli Berici:image

    un colore rosso rubino, ha un profumo intenso, vinoso, caratteristico, un gusto corposo, morbido, armonico, pieno. Vino completo, da bere anche fuoripasto, si accompagna con ogni pietanza, compresi gli arrosti robusti e le carni forti.

    Cabernet dei Colli Berici: ottenuto da uve indifferentemente di Cabernet Franc e di Cabernet Sauvignon, è un rosso di rispetto, colore rubino carico tendente al mattone con l'invecchiamento, di profumo gradevole intenso e di sapore asciutto, corposo, lievemente tannico. Da tuttopasto, specie con pietanze robuste, non disdegna però la cucina leggera. se ottenuto con uve selezionate e di qualità e se viene immesso al consumo con almeno tre anni di invecchiamento, può portare la qualificazione aggiuntiva di "Riserva".

    Colli Berici Spumante: ultimo nato, ottenuto dalla spumantizzazione di uve Garganega (per il 50%), Pinot Bianco, Pinot Grigio e Chardonnay. Profumato, di corpo, è uno spumante interessante, da provare.

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    ITINERARIO DI GAMBELLARA



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    La zona
    La bassa Valle del Chiampo, terra vicentina ai confini con il territorio veronese, dove terminano le ultime propaggini dei Monti Lessini, si sviluppa intorno all'abitato di Gambellara.
    Da sempre area tenuta in grande considerazione dai buongustai per la produzione locale di vino, del quale si ha testimonianza sin dall'epoca romana: tant'è che oggi Gambellara, Montorso, Zermeghedo e Montebello Vicentino sono di gran lunga più famosi per il loro prodotto che non per fasti e nefasti guerreschi.
    In questa zona, tra pendi ora dolci ora più impervi, il terreno è in gran parte formato da basalti e da tufi terrosi di origine vulcanica. Le rocce, facilmente friabili, costituiscono la parte preponderante del rilievo collinare, terreno ideale per le vigne dell'uva Garganega e del Trebbiano del Soave, che danno vita al Gambellara: un vino bianco multiforme, offerto nelle forme più disparate.

    I vini
    Gambellara: da un uvaggio assai simile al suo vicino veronese, il Soave. Giallo nel colore (dal paglierino al dorato) di odore vinoso con profumo caratteristico, questo vino a D.O.C. si presenta di sapore asciutto, di corpo medio, appena un po' amarognolo. Se le uve provengono dalla zona collinare più vocata e di più antica tradizione, esso può fregiarsi della qualifica "Classico": in questo caso la qualità delle uve produce una gradazione alcolica minima naturale più elevata.
    Sulla tavola sposa magnificamente antipasti, primi piatti, secondi leggeri, formaggi e piatti a base di pesce.
    Gambellara Recioto: nasce dalle uve del gambellara, colte e lasciate riposare sui graticci e spremute dopo un certo appassimento.

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    È l'unico vino fuori della provincia di Verona al quale è consentito di portare questo antico nome, segno di unicità e distinzione nel patrimonio enologico mondiale.
    Si presenta di colore giallo dorato, con un intenso profumo di fruttato, con sapore armonico, amabile, con un lieve gusto di passito, retrogusto amarognolo e con qualche venatura di frizzante, piacevolissima, determinata dalla prosecuzione in bottiglia del processo fermentativo.
    La gradazone alcolica minima deve essere di 12?, ma è facile trovarla più elevata.
    Si impone come vino da dessert e come vino da incontro. In quest'ultimo caso è meglio fare attenzione: la simpatia suscitata dal suo consumo non deve far dimenticare il tenore alcolico, non propriamente leggero.
    Può essere anche spumantizzato, utilizzando il metodo Charmat con fermentazione in autoclave per breve tempo.

    Vin Santo di Gambellara: l'unico del Veneto a portare questo nome che abitualmente contraddistingue vini analoghi di altre regioni. Si ottiene dalle uve migliori, lasciate lungamente appassire in maniera da accrescere il più possibile la concentrazione zuccherina, pigiate con spremitura soffice.

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    Il mosto così ottenuto viene posto in botticelle, a loro volta lasciate in luoghi aperti in modo da subire per intero il freddo invernale. Questo processo favorisce una naturale decantazione del vino, che a primavera si presenta limpido e viene travasato in botti per la prosecuzione della fermentazione, che avviene molto lentamente, dove dovrà stare per almeno un anno.
    Il processo si completa con il travaso definitivo che sarà portato al consumo, al cui interno il Gambellara deve riposare per un altro anno. Al consumo ha almeno 14?, si presenta dicolore giallo ambrato e con un forte profumo di passito, vellutato, armonico e dolce al gusto.
    Tale processo consente di ottenere un prodotto prezioso in tutti i sensi, per qualità, gusto e valore commerciale.


    ITINERARIO DI BREGANZE



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    La zona
    Tra i rilievi collinari e alcune zone dell'immediata pianura, ai piedi dell'altopiano dei Sette Comuni, si distende questo territorio, che parte dalla vallata dell'Astico e giunge fino alla vallate del Brenta, comprendendo il territorio bassanese a destra del fiume.

    I vini
    Vespaiolo: prodotto in purezza con uve provenienti dal vitigno omonimo. È un classico: di colore giallo paglierino piuttosto carico, profumo intenso fruttato, con caratteristica leggermente aromatica, il sapore è fresco, piacevole, acido.
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    Proprio per questo si sposa con i piatti di pesce, ma anche alla cucina tradizionale locale, dal formaggio all'asparago con le uova. Qualifica aggiuntiva: Superiore.

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    Torcolato: vino passito di tradizione, eccellente da dessert, ricavato dalla pigiatura entro febbraio di uve lasciate appassire nei primi mesi invernali con grappoli annodati (torcolati, nel dialetto locale) ad una corda appesa in ambienti aereati. Ha un colore tipico giallo oro, ricco di profumi, che ricordano il miele e l'uva passita. Il gusto va abboccato a dolce, armonico, vellutato. A seconda della lavorazione può acquisire una gradevole sfumatura di legno. Qualifica aggiuntiva: Riserva.

    Breganze Bianco: è sostanzialmente un Tocai, che può contenere una modica quantità di uve bianche se presenti nel vigneto. Si presenta di colore giallo paglierino, di odore vinoso delicatamente intenso e di gusto asciutto, rotondo, di corpo. Buon vino bianco da tuttopasto, si accompagna soprattutto a piatti di pesce, ma anche a carni leggere. Ottimo anche come fuori pasto.

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    Breganze Chardonnay: ottenuto in purezza da viti dell'omonimo vitigno, ripropone le sue straordinarie caratteristiche: gusto equilibrato, gradevolmente morbido, vellutato e armonico, ha un profumo intenso, caratteristico, piacevolmente aromatico e si presenta di un bel colorito giallo paglierino. È un vino per tutte le occasioni. Qualifica aggiuntiva: Superiore.

    Breganze Sauvignon: ricavato pressochè in purezza da uve del vitigno omonimo, esalta, con la personalità dei terreni e del clima, le caratteristiche che lo hanno reso famoso: profumo delicato, dolce, più o meno aromatico, che asseconda un gusto fine, gradevole e armonico, arrotondato in alcuni casi dal sapore del legno. Qualifica aggiuntiva: Superiore.

    Breganze Rosso: ripropone la forza e le caratteristiche del Merlot, dalle cui uve è ottenuto in purezza, con la possibilità di usare una piccola percentuale di altre uve nere se presenti nel vigneto.

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    Il colore è rosso rubino vivo, odore vinoso, piacevole, espressivo, caratteristico, talora lievemente erbaceo, di sapore asciutto, robusto, armonico, di corpo leggermente tannico. Dà il meglio di sè dopo 2-3 anni. Ottimo da pasto, quando è invecchiato non teme gli arrosti. Qualifica aggiuntiva: Superiore o Riserva.

    Breganze Cabernet: ottenuto con Cabernet Franc e/o Cabernet Sauvignon. Si propone con una discreta gradazione naturale, di colore rosso rubino scuro con riflessi granati, accentuati dall'invecchiamento, di odore molto intenso, gradevole, caratteristico. Il gusto è corposo, robusto, asciutto, leggermente tannico, talora erbaceo. L'invecchiamento ne accresce la naturale nobiltà. Qualifica aggiuntiva: Superiore o Riserva.

    Breganze Cabernet Sauvignon: figlio dell'ultima "covata" della D.O.C., è ottenuto pressochè in purezza da uve dell'omonimo vitigno, del quale ripropone le caratteristiche: colore rosso rubino intenso, con tendenza a ripiegare sul rosso mattone con l'invecchiamento, ha un profumo erbaceo con profumo intenso e persistente, vinoso, talora addolcito dall'odore del legno dove viene lavorato, che ne arrotonda il sapore, asciutto, pieno, vellutato. Ottimo vino da pasto, fine, personale, è in grado di accompagnare tutte le pietanze. Qualifica aggiuntiva: Superiore o Riserva.

    Breganze Marzemino: anch'esso D.O.C., sottolinea la piacevolezza di una tradizione enologica secolare. Ottenuto in purezza da uve dell'omonimo vitigno, si presenta di un bel rosso rubino, spesso vivace, con profumo intenso e caratteristico e un gusto pieno, personale e gradevole, talora, a seconda della lavorazione, ammorbidito dal sapore di legno. Qualifica aggiuntiva: Superiore o Riserva.

    Breganze Pinot Nero: vinificato in nero esclusivamente con uve provenienti da un particolare biotipo locale, derivato dai nobili e famosi vitigni omonimi. Si presenta di colore rosso rubino, con sfumature color mattone, di profumo delicato e di sapore asciutto e sapido, con retrogusto amarognolo, che lo propongono ai vertici nazionali tra i vini ottenuti da queste uve. Si accompagna ai piatti di carne ed agli arrosti. Qualifica aggiuntiva: Superiore o Riserva.

    Breganze Pinot Bianco: ottenuto in purezza da uve dell'omonimo vitigno, si presenta bianco paglierino chiaro, di gusto secco, molto armonico e vellutato. Il profumo è delicato, gradevole, caratteristico. È un bianco da pasto, ideale per i piatti di pesce. Qualifica aggiuntiva: Superiore.



     
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    Itinerari romantici


    Che cos'è romantico ai giorni nostri? Gli atri muscosi e i fiori cadenti? Le ville? I grandi scenari?.......

    Partiamo per questo viaggio sentimentale dal cuore antico di Vicenza. L'occhio segue le volute del fiume, varca antichi ponti, si sofferma su palazzetti dai preziosi inserti d'arte: è il rione Barche dove un tempo approdavano i burchi che dal mare e dalle lagune risalivano il Bacchiglione. Ritroviamo l'eco della Venezia dei mercanti nel gotico fiorito di finestre e portoni, nei portici e nei ballatoi che furono di fondaci, nelle volte in penombra dalle quali ancora emergono voci genuine.

    San Valentino
    Poi usciamo dal borgo, dove sorge la Basilica dei Santi Felice e Fortunato. Qui si onora con una bella festa, dal 1922, una reliqua di San Valentino patrono degli innamorati. Per la verità la tradizione della Festa di S. Valentino a Vicenza si ripete da 500 anni ed è stata spostata nella Basilica dei SS Felice e Fortunato a seguito della sconsacrazione della Chiesa di S.Valentino della quale si può apprezzare la facciata al civico 54 di Corso San Felice (oggi Lanaro Arredamenti).
    Sono trascorsi oltre 1.730 anni da quel 14 febbraio, giorno dalla morte, e il culto di San Valentino, il vescovo guaritore di Terni, è sempre vivo. Nacque nel 170 dopo Cristo e morì, sul patibolo, quasi centenario nel 269. Venerato in tutto il mondo come il santo della pace e dell'amore, proclamato a furor di popolo come protettore degli innamorati gode di una enorme popolarità in tutto il mondo dal Giappone, agli Stati Uniti, all'Inghilterra e persino in Australia. Peraltro furono proprio gli anglicani d'Inghilterra e i protestanti degli Stati Uniti i primi a proclamarlo protettore degli innamorati e dove la ricorrenza del 14 febbraio, ufficializzata nel secolo scorso, è particolarmente sentita.

    Villa Valmarana ai nani - la storia di Lajana
    Qui vigilano, impietriti dal dolore, i nani che la leggenda vuole custodi di una fanciulla anch'essa deforme. La scelta dei nani fu un pietoso espediente per darle a credere di essere bella in una bella corte ma invano. Un giorno, affacciata al balcone vide passare uno splendido cavaliere e ne rimase colpita. Immediatamente però si rese conto della deformità e disperata, si tolse la vita. I suoi fidi servitori, dal dolore per la scomparsa della fanciulla, si pietrificarono ed oggi ricevono i visitatori dall'alto delle mura di Villa Valmarana.
    Proseguendo verso la Rotonda si raggiunge la Valletta del Silenzio tanto cara al Fogazzaro e ancora oggi meta di passeggiate al chiaro di luna, mentre salendo verso il Santuario di Monte Berico si seguono le morbide ondulazioni dei Colli Berici dove salgono, oggi magari com moderne automobili, gli innamorati alla ricerca di silenzio e solitudine.

    I Castelli di Giulietta e Romeo
    Non è la Verona di Shakespeare, ma il borgo di Montecchio e la penna di Luigi da Porto, che fu antesignano nel raccontare una vicenda che chissà mai dove si svolse, se mai si svolse. Ma i due manieri che si guardano dalla cima di colli opposti ci invitano a credere che l'ispirazione per la novella dei giovani sfortunati amanti sia nata proprio qui e che un altro monumento vicentino Villa da Porto di Montorso, proprietà di famiglia dello scrittore, abbia battezzato l'opera.
    La voce popolare vuole, infatti, che il Da Porto solesse rifugiarsi presso la casa del fattore Borin dove in un vano d'angolo del primo piano in una mattonella stava scritto "in questa camera Luigi da Porto ha scritto la novella di Giulietta e Romeo.

    Orgiano e la vera storia de I Promessi Sposi

    è questo luogo, situato nel basso vicentino, che fa da sfondo al processo ad un nobilotto di provincia, tracotante e violento, spalleggiato da uomini di masnada, che assieme al cugino insidia le giovani del luogo, tormentandole fino a violentarle.
    L'incartamento del processo a questo tale Paolo Orgiano propone delle sorprendenti analogie con la storia del Manzoni al punto che l'incartamento potrebbe essere considerato come quel "manoscritto dilavato" che Manzoni stesso indicava come propria fonte.
    Il romanziere nutriva, infatti, un vasto interesse per gli atti processuali a cui fa riferimento spesso, e non solo nei Promessi Sposi.

    La contesa per la bella Lionora di Marostica
    Il nostro itinerario romantico si sposta ora verso il nord e giunge a Marostica nota nel mondo per la famosa Partita a scacchi con la quale due giovani, Vieri di Vallonara e Rinaldo di Angarano, si sfidarono per l'amore e la mano della bella Lionora, figlia del veneto Podestà dell'epoca Taddeo Parisio (1454).
    Dal 1954, cinquecento anni dopo la prima sfida, questa partita a scacchi viventi viene riproposta ogni due anni e coinvolge 400 figuranti circa: praticamente l'intera popolazione di Marostica.

    ...e infine....Sul Ponte di Bassano, là ci darem la mano ed un bacin d'amore
    Concludiamo l'itinerario sul celebre ponte ligneo del Palladio e degli alpini che, da quasi 500 anni, raccoglie le confidenze degli innamorati che come vuole la celebre canzone, qui si scambiano un bacino ed un fazzoletto come pegno d'amore.



    ITINERARI FRA LUOGHI, CHIESE E FESTE DEDICATI A S. VALENTINO



    VICENZA CITTA’

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    BASILICA DEI SS. FELICE E FORTUNATO Reliquia di San Valentino conservata nella chiesa ed esposta al bacio dei fedeli durante la celebrazione della messa ogni anno il 14 febbraio. Dal 1922, cioè da quando sono state qui portate le reliquie del Santo e il dipinto del Maganza che lo raffigura, vi si tiene la tradizionale festa di S. Valentino.
    La chiesetta di san Valentino risalente al XVI secolo dov’erano accolte inizialmente le reliquie venne sconsacrata nel 1922; si può ancora apprezzarne la facciata al civico 54 di Corso San Felice (oggi Lanaro Arredamenti).

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    CHIESA DI SANTA MARIA IN ARACELI Nell’altare laterale di destra, eretto nel 1732, sono custodite le reliquie dei SS. Vito e Lucia (a sinistra) il capo di S. Valentino Martire (al centro) e altri Santi (a destra).
    Ecco una breve storia della reliquia del capo di S. Valentino, comprovata da documenti autentici: torniamo al tempo in cui la chiesa d'Araceli era parte del convento delle monache Clarisse. In questo convento fu ospite per qualche tempo Lucrezia Barberini, nipote del Pontefice Urbano VIII, che era stata destinata in moglie al Duca Francesco di Modena. Essa aveva una zia Clarice Vaina Rasponi, nobile fiorentina, che aveva avuto in dono alcune Reliquie di Santi Martiri, fra le quali il Capo di S. Valentino, dall'illustrissimo Anania Marcello Vescovo di Sutri, allora Vicereggente del Cardinale Ginetti Vicario del Pontefice Innocenzo X. Monsignor Anania Marcello le aveva a sua volta avute dal Vescovo Verulano suo predecessore, che le aveva estratte dal cimitero Ciriaco nel campo Verano con mandato del Papa. Ora, avendo la Rasponi contratta relazione col monastero d'Araceli a cagione della sua nipote Lucrezia Barberini, nel 1656 mandò in dono a queste Monache varie Reliquie fra le quali, il Capo di S.Valentino conservato in una teca d'ebano; venne poi posto in una teca d'argento nel 1690. (da www.vicenzanews.it)

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    VILLA VALMARANA AI NANI La leggenda di Lajana, sfortunata fanciulla innamoratasi perdutamente di un principe che non avrebbe mai potuto ricambiare il suo amore e perciò morta suicida, vegliata per l’eternità da una corte di nani trasformatisi in pietra dal dispiacere di averla perduta.



    DA MONTECCHIO MAGGIORE ALLA VALLE DELL’AGNO E DEL CHIAMPO



    MONTECCHIO MAGGIORE Nei pressi del centro del paese si trova una chiesetta dedicata a S. Valentino di proprietà del Comune. Qui la venerazione del Santo è molto sentita Infatti, oltre alla messa per gli innamorati e al bacio della reliquia di san Valentino presso l’omonima chiesetta, saranno presenti le giostre per i bambini e la pesca di beneficenza.

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    A Montecchio si trovano anche i castelli di Giulietta e Romeo, dai quali Luigi da Porto trasse ispirazione per una novella, a sua volta divenuta la base per la stesura della tragedia per antonomasia, ad opera di William Shakespeare.

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    CASTELGOMBERTO Esiste una chiesetta dedicata a S. Valentino che è di proprietà del Comune, ben tenuta e recentemente restaurata dai volontari della locale Associazione degli alpini.
    Il giorno di S. Valentino viene normalmente aperta per la celebrazione di una S. Messa. Si potrebbe ipotizzare che abbia un’origine di chiesa esaugurale longobarda, ma è un’ipotesi non dimostrata. E’ menzionata per la prima volta in una investitura vescovile del 1288, quando recava solo il titolo di S. Giorgio. Più volte rimaneggiata, vide un radicale restauro nel 1739, e nell’occasione assunse anche il titolo di S. Valentino, invocato per la guarigione delle febbri. Fu ridotta alle forme attuali a metà del secolo scorso e per molto tempo fu custodita da un laico che dimorava presso la chiesa stessa. Nei primi anni di questo secolo la chiesa e lo spazio antistante svolsero funzioni di “lazzaretto” per gli ammalati di febbre spagnola: si conserva ancora, a lato dell’edificio sacro, un’autoclave per la sterilizzazione degli indumenti (da www.comune.castelgomberto.vi.it)

    NOGAROLE Esiste una pala dedicata a S. Valentino nella Chiesa dei SS Simone e Giuda, che risale al 1400 circa e raffigura una madre che porge al Santo la figlia epilettica.

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    CRESPADORO In frazone Marana, contrada dei Cortesani, c'è un Oratorio risalente al 1776 dedicato al Santo, ben restaurato e ricco di affreschi, dove si trova una statua di S. Valentino. Il giorno 14 febbraio viene
    tradizionalmente organizzata una sagra e celebrata una S. Messa.


    VALLI DEL PASUBIO Presso il quartiere Savena, nella piccola Chiesa di S. Carlo (20 posti) che viene aperta solo il 14 febbraio, occasione in cui viene anche celebrata una S. Messa.
     
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  8. tomiva57
     
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    L'Oro di Vicenza



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    Se lo stile architettonico di Vicenza e " legato al nome di Andrea Palladio, la sua economia non può prescindere dall "arte orafa.
    L' oro vicentino ha infatti conquistato e affascinato il mondo intero per raffinatezza ed eleganza nel design. Una tradizione secolare che si esprime sia nelle piccole botteghe artigiane che nelle grandi industrie e che trova la sua vetrina ideale nelle importanti manifestazioni fieristiche, meta obbligata per gli addetti ai lavori di tutti i paesi del mondo. Da sempre simbolo di potenza e di ricchezza, l'oro ha rappresentato nei secoli una risorsa da conservare e tramandare nelle sue forme più preziose e ricercate. A Vicenza il prezioso metallo ha trovato, sin dal trecento, terra fertile per realizzazioni di grandissimo prestigio, in cui arte e commercio si uniscono assieme.

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    Novemila miliardi di export, fanno oggi di Vicenza la capitale italiana incontrastata della produzione orafa, e uno dei centri mondiali più importanti. Leggiamo come Virgilio Scapin, vicentino Doc e illustre rappresentante della vita culturale cittadina, racconta nelle sue pagine la tradizione berica della "Fraglia dell'oro". "La processione usciva trionfalmente dal Duomo, arrivava a Porta Castello, si immetteva nel Corso, arrivava fino all'attuale Santa Barbara, entrava nella Piazza Maggiore, imboccava via Muscheria, per rientrare nella cattedrale. Le varie confraternite, l'enorme folla che componeva questa processione, non sempre assumevano comportamenti devoti in sintonia con la santita' della cerimonia, gli intervenuti erano addirittura turbolenti, le autorita' dovevano usare la forza per rappacificare gli animi. Il tabernacolo o cirio piu' imponente che segue la processione del Corpus Domini, appartiene ai Collegia Iudicum et Notariorum.

    Ha la forma di una alta ed elegante piramide, per sessanta piedi vicentini. Un'ampia scalinata guardata da due cavalli con i loro cavalieri e da alcuni fanti in abiti eroici, apre nobilmente l'ingresso a un grande atrio formato da due colonne o cariatidi con i corrispondenti pilastrini e terminato da una nobile cornice corinzia. Dentro il detto arco a volta si osserva una rotonda macchina, dove in mobili cune si trovano collocati vari fanciulli elegantemente vestiti; questi girano all'intorno al girare di detta ruota, restando, pero', sempre con la testa in posizione naturale. Al di sopra poi la gran macchina va gradatamente restringendosi, fino a prendere una forma ad angolo acuto.

    Dopo alcuni ornamenti architettonici fra cui lo Stemma della Citta' a tutto rilievo, si apre una ampia loggia sostenuta da vari ordini di colonne e in mezzo a queste si scorge un fanciullo rappresentante la Giustizia con la bilancia e la spada tra le mani. Indossa un manto reale pendente e un'aurea corona al capo. Al di sopra, si ammirano le insegne del Principe Sovrano e dopo alcuni piedi di altezza si vede sulla sommita' della gran macchina un piccolo garzone, ma di grande ardire, che agitando tra le mani una rossa bandiera, eccita la sottostante moltitudine alla festa e agli evviva. Altri fanciulli e altri ornamenti abbeliscono e animano la macchina, sulla cui sommita' campeggia la Rua, simbolo della fraglia dei nodari.

    Circa cento possenti facchini, vestiti in uniforme e con un colorato berretto calcato in testa, trascinano la Rua al seguito della sacra processione. Intanto degli inservienti bagnano la strada, perche' la Rua strascinata, scorra con minore fatica. Intorno al tabernacolo profano si accalca la folla, spettatori nazionali e forestieri si agitano, applaudono, incitano i facchini affaticati, grondanti sudore che si danno il cambio davanti ai palazzi che si allineano lungo il Corso. I nobili inquilini si sporgono dalle finestre e dalle balconate delle dimore patrizie, gettano confetti alla folla, i servitori servono vino ai facchini accalorati, lo spirito religioso della processione e' compromesso.

    Nella confusione nascono tafferugli, chi di dovere, deve intervenire. Per contrastare questo spirito paganeggiante, le autorita' impediranno al cirio dei nodari di unirsi alla processione, rimandandone l'uscita a dopo la cerimonia religiosa. La Rua avra' cosi' festeggiamenti tutti suoi e al suo seguito la gente forestiera e nostrana si scatenera' in baccanali a stento arginati dalle forze dell'ordine. Sempre nella medesima giornata si svolgeva la corsa dei cavalli berberi. La mattina della gara, i cavalli prescelti, da sei a dodici, erano imprigionati dentro casselloni di legno fino al momento della gara, annunciata con un colpo di fucile.

    Sotto le gualdrappe che ornavano i cavalli, erano infilati degli aculei, che durante la corsa si piantavano crudelmente nella carne dei gareggianti. I cavalli impazziti dal dolore, si scatenavano in una corsa selvaggia e giungevano al traguardo grondanti sangue. Durante il percorso, si partiva da San Lazzaro e si arrivava davanti alla chiesa dei Teatini, alcuni spettatori armati di bastone, si accanivano sulle bestie inferocite.Per tale usanza barbara, il popolo aveva battezzata la crudele esibizione la corsa dei barbari. Circa una trentina erano le confraternite che uscivano in processione con gli iscritti che stringevano in mano un cero acceso. La confraternita degli orefici e' la sedicesima, i fratres si stringono attorno al loro vessillo, seguono una statua della Madonna, in argento, opera loro.


    Tratto da "L'Oro a Vicenza" breve storia della tradizione orafa nella città e provincia di Vicenza -Virgilio Scapin. (OroBase International, 1994).





    Oro Zecchino.



    Perché si dice oro zecchino???


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    moneta d'oro zecchino


    Con la parola zecchino ci si riferiva alla famosa moneta d’oro veneziana, che venne emessa nel 1284 nella Repubblica di Venezia e che aveva lo stesso peso e titolo del fiorino fiorentino. Probabilmente il termine oro zecchino deriva proprio da lì, per riferirsi all’oro puro, ovvero all’oro che ha 24 carati.


    Infatti, magari non tutti lo sanno, ma non tutto l’oro è uguale, o meglio, non sempre si può o si vuole usare l’oro puro: di solito per la fabbricazione dei gioielli non è consigliato, poiché puro è troppo malleabile e quindi viene mischiato con altri metalli, ottenendo, ad esempio, l’oro a 18 carati (ovvero 18 parti del peso dell’oggetto sono composte da oro puro, le altre 6 da metallo – 18+6=24). I metalli che legano con l’oro puro sono diversi: l’argento, il rame e il palladio, anche se è molto costoso.

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    bracciale borsette oro giallo

    Cuoriosità: cinque zecchini sono le monete che Mangiafuoco regala a Pinocchio, nell’omonimo libro di Collodi e che Pinocchio si fa rubare dal gatto e la volpe!

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    collana triplo oro giallo

    Per quanto riguarda la lavorazione dell’oro zecchino è richiesto molto tempo e molta pazienza: prima di tutto bisogna preparare la cornice, che deve essere pulita e liscia, e i prodotti da applicarci. Si prende la colla di coniglio e si scalda lentamente a bagnomaria.

    Una volta riscaldata si aggiunge il gesso di bologna e si aspetta che il liquido ottenuto diventi uniforme; quando è pronto, viene messo a caldo sulla cornice utilizzando un normale pennello e poi si lascia asciugare per diverse ore.

    Quando la colla di coniglio con il gesso di bologna si è asciugato bisogna scartavetrare tutta la cornice, in modo da renderla nuovamente liscia. Questo procedimento va ripetuto altre 2/3 volte in modo da creare una buona base prima di proseguire con le altre applicazioni.

    Una volta che è stato creato un adeguato strato di gesso si passa il bolo, una sostanza che veniva utilizzata nell’800 per fare la doratura a guazzo: si prende dell’acqua, si aggiunge della colla di coniglio e un cucchiaino di bolo rosso (ci sono anche altri colori), si scioglie a bagnomaria e poi si stende sempre a caldo sul materiale per poi lasciarlo asciugare. Anche il bolo va applicato 3/4 volte in modo da dare un fondo consistente dopo di ché la cornice è pronta per la doratura a guazzo.

    Si prendono quindi le foglie d’oro zecchino e si applicano sulla cornice attaccandole con un po’ di acqua e colla: le foglie d’oro vengono prese con uno speciale pennello molto largo e non possono essere toccate con le mani, perché altrimenti si sciolgono con il calore della pelle.

    L’acqua insieme alla colla va applicata di volta in volta: per cui si mette su un pezzetto di cornice e si mette la foglia d’oro, poi un altro pezzetto e di nuovo la foglia d’oro, fino al completamento della cornice. Quando si usa l’oro zecchino bisogna stare in un ambiente chiuso, basta un soffio di vento e vola via. Una volta passato l’oro zecchino si lascia asciugare per una giornata e poi si passa sopra la pietra d’agata che rende le foglie d’oro zecchino meno accese; infine si da una protezione con la gommalacca.

    Una volta terminata la doratura se si vuole si può procedere all’antichizzazione, attraverso una leggera patina a base di acqua e tempere di vari colori e, per concludere, l’ossido artificiale, che è un liquido che si schizza sulla cornice per dargli l’effetto antichizzante.



    L'ARTE ORAFA VICENTINA



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    Grandi marchi e piccoli laboratori artigianali, catene e alta gioielleria, semilavorati e oreficeria di tendenza. A Vicenza il mondo del prezioso si presenta in tutte le sue numerose sfaccettature, ma con un unico comune denominatore: l’elevato livello qualitativo della produzione. Il punto di forza delle imprese orafe vicentine è, infatti, la capacità di progettare oggetti che hanno un forte appeal sul mercato, facendo ricorso ad un ricco patrimonio di competenze tecnico-produttive disponibili all’interno del distretto industriale. Spirito innovativo e un’attenta strategia di upgrading qualitativo, uniti alla raffinatezza stilistica e a una forte propensione creativa, hanno permesso all’oreficeria Made in Vicenza di conquistare le vetrine dei più prestigiosi negozi di tutto il mondo, dove si fa apprezzare per l’originalità delle linee e l’attenzione alle tendenze moda. Elementi distintivi, questi, che si possono ritrovare anche nelle grandi produzioni in serie, destinate alle più diffuse catene commerciali e all’innovativo canale della vendita via Internet. Perché è proprio sull’innovazione, produttiva e stilistica, che gli orafi vicentini hanno piantato, solidamente, le radici del proprio successo. Senza mai dimenticare però la propria storia, settecento anni e forse ancor più di arte orafa, che hanno impresso nel Dna degli imprenditori berici l’istinto delle cose belle, un’innata predisposizione a trasformare il più prezioso dei metalli nel più affascinante dei gioielli.

    Il Settore orafo vicentino



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    VICENZA: CAPITALE MONDIALE DELL'ORO.
    Le antiche tradizioni orafe, tramandate e assimilate nel corso del tempo da un tessuto produttivo capillare sempre attento anche al rinnovamento, hanno reso oggi Vicenza capitale mondiale dell'Oro.Vicenza assorbe infatti da sola oltre metà di tutto l’oro importato in Italia per la lavorazione. Oltre il 50% delle ditte che aderiscono a Emagold, il marchio internazionale di qualità dell’Oro, ad esempio, sono vicentine.
    La sua famaè legata soprattutto alla produzione di catene a 18 carati ed al primato nella produzione di casse per orologi.

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    Il settore orafo vicentino conta quasi 1.300 unità produttive, con un impiego di 12.500 addetti, pari al 4% dell'intera forza lavoro provinciale. Una folta compagine di imprese medio-piccole,a forte componente artigianale, spesso impegnate nel ciclo completo della lavorazione, dal design al marketing.

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    Il fatturato globale di settore si assesta attorno ai 4 milioni di Euro, circa la metà dei quali provenienti dall'export, in particolare verso gli Stati Uniti e l'Estremo Oriente.
    I mercati di sbocco del settore sono sia quelli tradizionali dell’Europa e degli Stati Uniti che quelli di più recente apertura come l’America Latina e l’Estremo Oriente, Cina compresa

    La geografia imprenditoriale del settore vede la concentrazione dell’80% delle ditte a Vicenza e dintorni, con realtà di spicco come il Centro Orafo, che riunisce in un’unica struttura d’avanguardia ben 80 imprese.
    Altre zone produttive sono localizzate a Trissino e a Bassano, che si distinguono per l'elevatissima capacità produttiva di alta qualità in serie.

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    Buona parte del grande sviluppo del settore orafo vicentino si deve alla capacità organizzativa dell' Ente Fiera di Vicenza che dedica all'Oreficeria ben tre esposizioni annuali, che registrano un primato mondiale di affluenza di pubblico: "Vicenzaoro1", "Vicenzaoro2" e "Orogemma", arricchite da rassegne specialistiche dedicate al settore delle macchine per oreficeria, anch'esse prodotte da aziende vicentine leader del mercato.

     
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  9. tomiva57
     
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    FESTE TIPICHE DEL VICENTINO



    Chiamata di Marzo


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    A Recoaro si rinnova un appuntamento con la tradizione della terra vicentina. Come ogni due anni, l'ultima domenica di febbraio la cittadina termale celebra la fine del lungo e freddo periodo invernale con una festa che affonda le radici nella più genuina tradizione popolare. La "Chiamata di Marzo" è una festa legata al ritmo delle stagioni e della terra, dunque alle tradizioni contadine e artigianali che ancora sono ben vive nelle caratteristiche contrade recoaresi. Un appuntamento biennale, che intende celebrare il passaggio dal mese di febbraio, ultimo baluardo dell'inverno, a quello di marzo, che da sempre preannuncia la'arrivo della primavera e dunque del "risveglio" della natura e dei cuori. La Chiamata di Marzo ha origini antiche. Testimonianze storiche la fanno risalire al XIX secolo e certamente si festeggiava anche all'inizio del '900. Poi, nel periodo tra le due guerre e negli anni a venire, era venuta meno. Ma a partire dal 1979 le istituzioni recoresi, di comune accordo, decisero di far rinascere questa bella e suggestiva festa popolare, anche per rilanciare l'immagine turistica della cittadina.

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    Per le vie del centro sfilano carri allegorici e gruppi di personaggi in costume d'epoca, passando in mezzo al folto pubblico, offrendo uno spettacolo davvero unico e imperdibile, con le belle montagne vicentine all'orizzone a fare da sfondo, il tutto per un colpo d'occhio davvero magnifico.

    Ognuna delle contrade recoaresi prepara un carro che mette in scena una situazione tipica della Recoaro antica, riguardante le attività lavorative o sociali. Centinaia di figuranti partecipano con entusiasmo alle sfilate, portando con sè una nutrita serie di oggetti e attrezzi tipici della tradizione cimbra.

    La festa cadeva nell'ultima domenica di febbraio. Era la manifestazione spontanea della gioia che invadeva gli animi della gente di montagna, costretta a restare chiusa nella case e nelle stalle per quattro o cinque mesi, quando il primo tepore primaverile scioglieva il ghiaccio che d'inverno interrompeva i rapporti e le normali comunicazioni sia fra le contrade che con il centro del paese. Verso l'imbrunire, dopo essersi radunati nelle loro contrade, centinaia di pastori, mandriani, contadini, e le loro famiglie scendevano in paese, abbigliati con costumi stravaganti, in corteo compatto tra un frastuono indiavolato. Ornamenti fatti di rami e fronde, abiti dai colori vivaci, stelle alpine sul cappello costituivano l'abbigliamento maschile, mentre le contadinelle e le montanare indossavano gli abiti migliori, con trine, merletti e fiori. E in mezzo al grande, allegro corteo non potevano mancare gli animali: somarelli riccamente adornati e infiorati, buoi, capre e perfino conigli e galline, che insieme agli uomini avevano condiviso i lunghi giorni dell'isolamento invernale. Tutti si ritrovavano nella piazza con i propri attrezzi di lavoro, i propri armenti e con ogni possibile arnese trasportabile.

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    Alla testa della folla sfilavano per primi i cacciatori, mentre i bambini agitavano campanelli e le campane suonavano a festa. I gruppi intonavano le "cante" e qualcuno si esibiva in giochi di abilità e acrobazia. Dopo il tramonto veniva acceso il falì sul quale bruciava "l'inverno", rappresentato da una sagoma di paglia.

    Il fatto che questa tradizione sia passata di generazione in generazione, di popolo in popolo, riuscendo in qualche modo a sopravvivere fino ai nostri giorni, è testimonianza di quanto radicata, spontanea ed intimamente sentita sia l'usanza di "Chiamare Marzo" nella storia della gente recoarese, anche in tempi in cui quasi tutto ciò che ci circonda tende ad oscurare ogni traccia dell'identità che ci ha forgiati.



    8 Settembre

    Per la città di Vicenza è la Festa per antonomasia, attesa e amata da tutti i vicentini, non solo i residenti in città, ma anche quelli che vivono provincia.

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    L'8 settembre è la Festa Patronale della Città di Vicenza dal 1978, quando l'allor Pontefice Papa Paolo VI proclamò la Madonna di Monte Berico patrona della città. Da allora, ogni anno si tengono solenni celebrazioni in onore della Madonna di Monte Berico nel giorno della sua natività. La devozione alla Vergine ha caratterizzato la religiosità vicentina probabilmente già dal sec. XIII, quando gli ordini mendicanti, particolarmente sensibili all'apostolato mariano, contribuirono a diffondere un culto così intimamente connesso al mistero dell'incarnazione di Cristo. E' però con la nascita del Santuario di Monte Berico e il successivo insediamento dei Servi di Maria che si delinea la straordinaria fioritura di una devozione capace di catalizzare ogni anno milioni di fedeli. La Madonna di Monte Berico, eletta patrona di Vicenza, protegge dall'alto i suoi fedeli, e questi, nel corso dei secoli, le hanno dedicato anche altri luoghi sacri dove poter essere venerata.

    Tra i Santuari della diocesi segnaliamo per la straordinaria ricchezza del patrimonio artistico e devozionale il Santuario di Madonna dei Miracoli di Lonigo , dove è conservata una ricchissima collezione di tavolette ex-voto, il Santuario della Madonna Salus Infirmorum di Scaldaferro, che nella piccola dimensione della campagna mantiene da secoli la sua tradizione devozionale e il Santuario di S. Maria della Pieve di Chiampo, dove è possibile ammirare un'interessantissima Via Crucis scultorea inserita in un suggestivo parco botanico.

    Ma la Festa della Madonna non ha per Vicenza solamente una valenza religiosa. Tradizionalmente infatti, per trasferirci sul versante "pagano", la cosiddetta "Festa dei Oto" rappresenta per i vicentini l'occasione di rivivere momenti di festa e convivialità. Nei giorni che precedono e seguono l'8 settembre, la città è letteralmente "invasa" dal festoso e coloratissimo carrozzone del Luna Park, che, a parte una breve parentesi, ha sempre trovato la sua collocazione classica nel grande spazio verde di Campo Marzo, di fronte alla stazione FS.

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    GIULIETTA E ROMEO

    Esiste al mondo una storia che incarni maggiormente il senso del romanticismo struggente più di quella, celeberrima, dell'amore tra Giulietta e Romeo? Probabilmente no. E probabilmente non tutti sanno che nella famosa storia dei due innamorati per antonomasia c'è anche un po' di Vicenza, anzi molto....

    La tradizione e il richiamo orale raccolto in uno scritto del 1524 dal poeta e condottiero vicentino Luigi Da Porto, ritiratosi nella sua villa di Montorso (paese vicino a Montecchio Maggiore) dopo una grave ferita subita in battaglia in una fase della guerra della Lega di Cambrai narra della storia dei due innamorati veronesi avvenuta nel 1300: Giulietta della casata dei Capuleti e Romeo della casata dei Montecchi, e dell'odio acerrimo tra le due famiglie.

    I primi fugaci incontri d'amore dei due giovani furono, come noto, assai difficili e complicati, nella breve fase in cui i responsabili delle due famiglie furono demandati dal signore di Verona, Cangrande Della Scala, a gestire le rocche di Montecchio Maggiore, nella speranza che la vicinanza dei castelli e coordinamento del comando eliminasse l'odio esistente.

    I fatti che seguirono sono ben noti: il coronamento del loro sogno d'amore in Verona complice frate Lorenzo confessore di Giulietta, la fuga di Romeo a Mantova dopo l'uccisione in duello del cugino di Giulietta, Tibaldo, la finta morte di Giulietta per raggiungere Romeo dal quale non poteva stare lontana, la disperazione e suicidio di Romeo nel credere Giulietta morta, il risveglio di Giulietta che raccoglie le ultime parole d'amore di Romeo e la scelta di morire assieme non potendo vivere senza lui. Alla fine del 1500 W.Shakespeare viene a conoscenza dell'appassionante storia e il suo genio ne ricava una tragedia che tutt'ora trasmette sentimenti d'amore intramontabile, e che ha fatto conoscere la romantica e tragica vicenda a tutto il mondo.

    La Faida di Montecchio

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    Rivivere le magiche atmosfere di un tempo anche al giorno d'oggi! E' possibile nel vicentino grazie al Gruppo Storico Medievale "Giulietta e Romeo", una libera associazione sorta nel 2000 per l' entusiasmo e alla voglia di fare di un gruppo di amici di Montecchio Maggiore, cittadina attualmente tra le più industrializzate d'Europa, ma che affonda le sue radici nella storia. Se al termine dell'era romana, infatti, era ancora un semplice villaggio rurale, nel medioevo Montecchio gettava le basi per diventare un borgo sviluppato al centro di un importante area artigianale e commerciale.
    E' proprio questo periodo che il gruppo intende far rivivere, riportando l' intero paese indietro di una decina di secoli per riscoprire quel passato che troppe volte è rimasto avvolto nell'oscurità e nel pregiudizio. Oltre al fattore meramente storico l' obiettivo dei componenti del gruppo è quello di far conoscere Montecchio, e soprattutto la leggenda in esso ambientata, anche fuori dalle mura cittadine.
    Nel colle che sovrasta il paese sorgono infatti due imponenti rocche alle quali si è ispirato un nobile letterato vicentino, Luigi Da Porto, per la stesura di una novella nota in tutto il mondo: "Giulietta e Romeo". Ovviamente il racconto ha conosciuto la fama attuale grazie al genio di W. Shakespeare, ma non si può tralasciare l'intuizione avuta dal Da Porto. I castelli sono così passati alla storia con il nome di „castelli di Giulietta e Romeo". Il 1° maggio di ogni anno quindi, all' interno di un clima festoso e particolarmente accattivante, vengono elette le nobili figure dei due famosi innamorati, scelte tra „baldi giovani e gentili fanciulle" che si candidano per rappresentare Montecchio e la sua storia per un anno intero. Accanto all' elezione, trova degno spazio la disfida tra le casate dei Montecchi e dei Capuleti che si contendono, con giochi cortesi e avvincenti scontri, l'ambito palio. Il tutto è inserito in una manifestazione che richiama ogni anno oltre 15.000 persone e in cui ogni singolo aspetto dell' epoca medievale viene ripreso e riproposto: musici, giullari, armigeri, mercanti, danzatori, artisti, frati, arcieri, alchimisti e mendicanti si contendono le attenzioni degli astanti riproponendo la vita semplice ma fascinosa del XIII secolo.



    SAGRA DEI CORGNOI A CRESPADORO


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    "Corgnoi", in dialetto berico, significa lumache Questa festa della lumache commestibili si tiene ogni anno l'8 dicembre, e vuole saltare un prodotto umile ma pregiato di questa terra adagiata all'ombra dei monti che cingono la valle del Chiampo. La manifestazione, nata nel 1981, affonda le proprie radici in una tradizione concretizzatasi da tempo immemorabile in un mercato annuale che si svolgeva il secondo giovedì di dicembre. Oggi la "sagra dei corgnoli" è anche la festa dell'agricoltura, del turismo, del folklore, dell'amicizia e della buona cucina popolare.

    FESTA DELLE CASTAGNE A DURLO

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    A Durlo di Crespadoro la coltivazione del castagno ha una grande importanza nell'economia agricola locale. Negli anni tra il 1960 e il 1980 questa coltura è quasi stata abbandonata in quanto, a seguito dello sviluppo industriale della Vallata del Chiampo, i più giovani hanno abbandonato la coltivazione dei fondi agricoli, per darsi a lavori più redditizi. Con l'introduzione della festa delle castagne, iniziata nel 1978, si è riusciti a far riavvicinare i coltivatori alla coltivazione di questo frutto tanto amato e decantato, ma sempre considerato "farina dei poveri". Alla festa è stata abbinata anche l'esposizione del miele di castagno prodotto nella vallata che si tiene nel mese di ottobre.

    FESTA DELL'UVA E DEL VINO A BARBARANO

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    Per rilanciare il principale prodotto tipico della zona dei Colli Berici, viene organizzata, nella metà del mese di settembre la tradizionale "Festa dell'uva e del vino" nata nel 1974. In questa zona spiccano in particolare, per la sobrietà e il loro garbo, i sette ottimi vini Doc (Tocai Rosso, Merlot, Cabernet, Garganego, Tocai Bianco, Sauvignon, Pinot Bianco). Oltre al vino vengono valorizzati altri prodotti tipici locali quali formaggio, latte, olio, miele, prosciutti, ecc. con una mostra mercato mirante ad abbinare i vini a piatti e prodotti tipici vicentini.

    FESTA DEL VINO D.O.C. A SELVA DI MONTEBELLO

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    La prima edizione della "Fiera del vino" fu organizzata il lunedì di Pasqua dell'anno 1970, in frazione Selva del Comune di Montebello dove tutt'ora si svolge. Gli operatori del settore vitivinivolo della zona alla luce della loro esperienza di coltivazione della vite, si proposero di organizzare una manifestazione denominata "Festa del vino doc Gambellara" (Gambellara, Recioto di Gambellara, vino Santo di Gambellara), allo scopo di valorizzare questo prodotto e farlo maggiormente conoscere soprattutto fuori dai confini provinciali. Così nacque l'idea di dar vita proprio in quel giorno, alla "Festa del vino". La manifestazione si è arricchita, nel corso degli anni, di un concorso tra i vini doc di Gambellara, e a degna cornice della manifestazione sono organizzati incontri culturali e di aggiornamento, occasioni di svago e attrazioni di vario genere.

    LA FESTA DELL'ACQUA A RECOARO


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    ARecoaro Terme il sabato e la domenica antecedenti il Ferragosto sono riservati alle celebrazioni delle "9 Fonti" che, da oltre tre secoli, hanno reso celebre la bella cittadina termale per le sue acque. Sulla piazza centrale, con un allestimento scenico di grande suggestione, "Recoarte" fa rivivere i fasti, la storia e la cultura del termalismo recoarese. Personaggi in lussuosi costumi d'epoca, villeggianti e turisti animano la piazza che viene collegata con carrozze trainate da cavalli, alle Fonti Centrali, sede prestigiosa dell'attività termale.

    LA FESTA DELLA CILIEGIA "SANDRA" A PIANEZZE

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    La prima Festa della ciliegia "Sandra" ebbe luogo a Pianezze domenica 23 maggio 1971, su iniziativa del circolo A.C.L.I., e con la collaborazione dell'Amministrazione comunale. La festa fu celebrata quindi ogni anno. Grazie alla maturazione precoce delle ciliegie, in particolare della qualità Sandra, viene sempre prima delle altre. Solitamente la mostra si tiene la prima o la seconda domenica di giugno.






    La Rua

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    Nella tradizione storica vicentina, un posto di riguardo spetta ad una particolarissima macchina in legno, chiamata la Rua, che veniva trasportata a braccia in processione durante le feste popolari della città. Era il simbolo dell’orgoglio popolare vicentino, e si narra che fosse il ricordo di una ruota tolta al Carroccio di Padova dai vicentini durante una battaglia medioevale. In realtà la Rua era l’insegna dei Notai usata nelle processioni della festa del Corpus Domini, istituita nel 1264 dal Papa Urbano IV.

    Il collegio dei Notai era all’epoca molto ricco e potente e poteva perciò permettersi l’insegna più sfarzosa. Dopo il 1616 la Rua passò a rappresentare tutto il popolo e l’emblema stesso della festa, divenendo un avvenimento a se stante. A partire dal 700 però, il clero, ritenendo che distraesse troppo la gente dalle funzioni religiose, suggerì di tenerla coperta e di farla apparire soltanto a celebrazione conclusa.

    Nonostante le sue dimensioni ed il suo peso, la struttura veniva trascinata con grande abilità attraverso le vie di Vicenza: dalla Piazzetta Palladio, dove veniva montata, proseguiva per contrà Muschieria fino alla residenza vescovile in Piazza Duomo, dove sostava per la benedizione. Proseguiva poi per Piazza Castello e, attraverso Corso Palladio, raggiungeva contrà Santa Barbara, entrava in Piazza dei Signori e ritornava al luogo di partenza, in Piazzetta Palladio, denominata un tempo proprio "piazzetta della Rua".

    Per protestare contro il dominio austriaco la rappresentazione fu sospesa nel 1858, e dieci anni dopo ci fu un’altra apparizione, l’ultima in occasione del Corpus Domini. Nel 1880 fu allestita per il 12 settembre, in occasione del terzo centenario del Palladio. Quando però, nel passaggio al nuovo secolo, le vie della città cominciarono ad essere attraversate dai fili della luce elettrica, le dimensioni della Rua dovettero essere ridotte per consentirne il passaggio, e successivamente lo spettacolo si tenne solo in Piazza dei Signori. Nel 1928, in occasione delle celebrazioni del quinto centenario delle apparizioni della Madonna di Monte Berico, festa di precetto cittadina, la Rua fu fatta uscire per tre volte. Nel 1944, durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, la Rua andò completamente distrutta.





    I servi di Maria

    I religiosi al servizio del Santuario di Monte Berico sono i Servi di Maria. Dal primo giugno 1435, quando ebbero il possesso della chiesa e del convento, questi religiosi sono rimasti ininterrottamente attraverso i secoli i custodi di Monte Berico. I Servi di Maria però erano a Vicenza già dall'anno 1322 ed avevano chiesa e convento in fondo alla Piazza maggiorè, chiamata poi Piazza dei Signori.

    Quella chiesa, che ancor oggi si chiama dei Servi, fin dalle origini divenne per i Vicentini punto di riferimento per la vita religiosa - apostolica e focolare di spiritualità mariana. Fu appunto questa fresca animazione di vita spirituale cristiana che, creando attorno a questa Comunità simpatia ed ammirazione, convinse il Comune di Vicenza ad affidare ai Servi di Maria anche il Santuario di Monte Berico, che era alle sue origini. L'Ordine dei Servi di Maria è sorto nella Firenze comunale del secolo XIII, e precisamente nel 1233, subito dopo i due grandi Ordini mendicanti di San Domenico e di San Francesco.

    Non per opera d'un solo o di due fondatori, ma di un gruppo di sette nobili fiorentini, sorse nella Chiesa questo Ordine Religioso e questi sette canonizzati vengono pregati ed invocati col nome di Sette Santi Fondatori. Il nome di Servi di Maria esprime e proclama la spiritualità mariana e la loro singolare vocazione. Per questo le Costituzioni dell'Ordine fissano così l'impegno dei frati: le Comunità dei Servi, custodi ed animatrici di luoghi dove l'intercessione della Vergine si fa sentire in modo speciale.



    Pellegrinaggi

    Narra la tradizione secolare che sulle alture del colle vicentino la Beata Vergine fosse apparsa più volte ai Suoi fedeli. Una tradizione tramandatasi nel tempo, e che ha guadagnato eterna fama anche in alcune opere d'arte come la stupenda "Apparizione della Vergine a Vincenza Pasini" attribuita al pittore vicentino Alessandro Maganza, che dipinse un episodio avvenuto sul Monte durante l'epidemia di peste.

    Fin dai primi giorni delle Apparizioni della Vergine Monte Berico incominciò a diventare luogo di pellegrinaggi, mentre ancora si stava costruendo la chiesa. Nel corso dei secoli il movimento dei pellegrini e pellegrinaggi andò crescendo fino a formare storicamente del Santuario la mèta preferita della fede mariana della gente triveneta.

    Il Piazzale della Vittoria dal 1924 diventò poi teatro di grandi manifestazioni di pietà e di devozione alla Madonna, nei momenti più incisivi della nostra storia civile religiosa. Il numero delle Confessioni e Comunioni va segnando un magnifico diagramma di fede mariana popolare che forma il vanto più autentico di questo Santuario.

    Oggi i Pellegrinaggi alla Madonna, così diversi da quelli d'un tempo, costituiscono un momento tutto particolare nella vita cristiana del nostro tempo: il Pellegrinaggio al Santuario viene scelto non come un viaggio eguale gli altri, ma come un itinerario verso un incontro ed un arricchimento interiore.

    La prima domenica del mese è una tappa nel movimento di pietà popolare al Santuario, per la eccezionale partecipazione dei fedeli ai sacramenti della Riconciliazione e della Eucarestia. Questo movimento di fede e di devozione è legato al Messaggio della Madonna che nelle due sue apparizioni a Monte Berico ha voluto ripetere la sua materna promessa.

    Dopo aver chiesto la costruzione d'una chiesa in suo onore sul colle Berico, così si espresse con la pia veggente Vincenza Pasini: "Tutti coloro che con devozione visiteranno questa chiesa nelle mie feste e in ogni prima domenica del mese, avranno in dono l'abbondanza delle grazie e della misericordia di Dio e la Benedizione della mia stessa mano materna".

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    i portici




    Marostica e la paglia

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    La paglia di Marostica è un prodotto che nel corso di quasi tre secoli, dalla fine del Settecento fino al secondo Dopoguerra, ha coinvolto migliaia di lavoratori, in particolare donne. Alla fine dell'Ottocento la Camera di Commercio di Vicenza contava oltre 12.000 persone che operavano in questo settore, chi a domicilio o chi nella ventina di fabbriche sorte appena fuori dalle mura: la produzione ammontava a quattro milioni di cappelli all'anno, di cui ben l'85% destinati all' esportazíone, soprattutto nei paesi di lingua tedesca, ma anche negli Stati Uniti d'America.

    La lavorazione della paglia si è sviluppata già a partire dalla seconda metà del Seicento nelle zone collinari del marosticense dove i raccolti dei campi erano scarsi e limitati. Qui, infatti, poichè il terreno non era molto fertile, si cominciò a seminare il marzaiolo, che produceva uno stelo, fastugo, adatto alla lavorazione per produrre manufatti di paglia, in particolare trecce per cappelli e borse. Nel corso dell'Ottocento nacquero a Marostica le prime fabbriche di cappelli di paglia, dove venivano lavorate le trecce o rifiniti i manufatti grezzi prodotti nelle colline. Marostica, grazie anche alla sua posizione geografica che la vedeva al centro delle vie di comunicazione fra la pianura e le vie del nord, verso l'Impero Asburgico e la Svizzera, divenne un importante centro di produzione e commercializzazione di cappelli di paglia.
    Grazie all'intraprendenza degli imprenditori marosticensi, giunsero in Città le innovazioni tecnologiche del tempo, come le presse idrauliche, per non parlare poi della costruzione della ferrovia che passava proprio di fronte al Castello Inferiore. L'apertura di importanti mercati verso la Francia, la Germania, l'Austria, l'Inghilterra e gli Stati Uniti permise alla città di entrare in contatto con culture diverse, nel pieno dello spirito cosmopolita che perdeva l'ultimo trentennio dell'Ottocento. Si può quindi affermare che lo sviluppo dell'industria della paglia contribuì in modo significativo al passaggio da una economia prevalentemente agricola ad un'economia industriale.
    Questo permise poi ad alcune ditte, quando il settore entrò in crisi nel secondo dopoguerra, la conversione in attività produttive anche molto diverse, quali l'abbigliamento e l'elettronica, grazie al trasferimento di capitali e delle conoscenze imprenditoriali già sperimentate. Si tratta di Belfe, Bonotto e Viaro, sorte grazie ad imprenditori già operanti nell'industria della paglia, che oggi ricoprono un ruolo decisivo nel panorama economico internazionale. Per valorizzare questa importante realtà, gli operatori socio economici locali auspicano di riscoprire e definire nuovi valori, nuovi stimoli, nuovi obiettivi che possano rianimare ed alimentare le realtà locali rendendole consapevoli del proprio patrimonio culturale e naturale, costruendo su tale consapevolezza, sulla ricostruzione delle identità locali, prospettive e strategie di sviluppo durevole e sostenibile. Sempre più, infatti, si sente oggi il bisogno di essere in grado di garantire un'attenzione ed un uso del territorio orientato alla salvaguardia ed alla valorizzazione di quel complesso di valori materiali ed immateriali e della ricca trama di legami e di relazioni che li unisce costituendo il "patrimonio locale" di ogni città.




    Thiene rievoca 500 anni di storia

    Dal 1992, anno del 500° anniversario della concessione del "Mercato Franco", il Comune di Thiene e l'Associazione Commercianti hanno voluto ricordare i fatti del 1492 con una Rievocazione Storica che viene ripetuta negli anni dispari comprendente un grande Corteo in costume, una rievocazione dei gloriosi fatti d'arme, la Vicinìa, la Supplica al Doge ed il successivo Dogale riconoscimento. Dal 1997, grazie anche all'attivo interessamento della Pro-Thiene che ha saputo coinvolgere appassionate espressioni di Volontariato presenti in zona, il Corteo rievocativo è stato animato da un sempre più consistente numero di figuranti locali (circa 500). Nel 1998, all'appuntamento biennale è stato affiancato un appuntamento annuale con il "Mercato Franco 1492" con l'intenzione di fare rivivere l'atmosfera di quel primo "Mercato" e di fare conoscere al pubblico prodotti e mestieri scomparsi: una funzione didattico-culturale che qualifica la manifestazione e che ha un ulteriore plus nella originalità dei personaggi che la animano.

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    La "Vita del Mercato Franco
    1492" Il Centro storico di Thiene con le sue vie e le sue piazze, accoglie le migliaia di visitatori con oltre 500 figuranti che indossano preziosi e variopinti costumi e con bancarelle e trattenimenti vari per soddisfare ogni esigenza. Si possono degustare vecchi dolci casarecci, fritole, fragrante pane rustico, gli infilzà de campagna, el peseto popolo, gli insacà de mas-cio, l'elisir di genziana e tante altre specialità gastronomiche di allora.... il tutto accompagnato dal buon vino delle nostre colline. Non mancano i prodotti della terra e dell'artigianato artistico, le sementi, gli animali... ed inoltre lane, tessuti, spezie ed erbe aromatiche. Si possono vedere all'opera artisti, pittori, scultori, creatori di meridiane e anche tanti artigiani tra cui il marangon, il fabbro, el moleta, el caregheta, el sestaro, el batirame, el scarparo, el veraro, el vasaro, el botaro, el saonaro, el sarto, el cordaro, le parrucchiere e le fioriste, i bozzoli e tutta la filiera della seta. Ma c'è anche spazio per i giochi popolari, dal tiro ai bussolotti, al lancio dei ferri da cavallo, dallo "spaccanose" alla porcola e tanti altri giochi per il divertimento di tutti. L'atmosfera è allietata da giocolieri, cantastorie, poeti e artisti di strada, canti, musiche e balletti d'epoca.

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    Un mercato in costume da visitare tra borghesi e nobili del tempo, ma anche una simpatica occasione per mercanteggiare la merce esposta e pagandola con antiche monete della terra di Thiene: "le Colombine" che si potranno ritirare convertendo le nostre lire, ai banchi dei cambiavalute disposti nei punti chiave del Mercato. Con la rievocazione Storica degli avvenimenti che hanno segnato un punto decisivo nello sviluppo della "Terra di Thiene", si punta a rafforzare il comune senso di appartenenza ad un territorio e ad una Comunità ricca di valori e di antico maturato impegno. Un appuntamento con la storia, le tradizioni ed il folklore, che mette in scena ed esalta le radici commerciali di questa "Terra" assicurando al visitatore un magico ritorno alle origini.

    Il Quattrocento a Thiene
    Con il passaggio del territorio vicentino sotto il dominio della Serenissima assistiamo, nel Quattrocento, ad un periodo particolarmente florido per Thiene: è il secolo degli insediamenti dei nobili vicentini Porto, Pajello e Thiene e della costruzione di dimore prestigiose: Villa Thiene (quindi Ospedale Boldrini), la Chiesa di San Vincenzo, il Castello Porto-Colleoni-Thiene, la Pieve di S. Maria e la Villa Thiene (oggi Cornaggia). Il periodo di pace e di tranquillità favorisce l'economia, lo sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento e la produzione artigianale della lana e della seta, affermata anche in altri paesi della zona pedemontana. Aumentano di conseguenza le attività commerciali e il mercato rurale del vecchio borgo medioevale risulta sempre più insufficiente alle mutate esigenze di un centro in continua espansione. I Thienesi cercano allora di ottenere dalla Repubblica Veneta la possibilità di un "Mercato Franco" esente cioè da tributi, per favorire l'allargamento degli scambi commerciali e risollevare le sorti economiche di un paese colpito dalla carestia degli anni 1466-1469.

    La liberazione di Rovereto e i fatti del 1492
    Nel 1487 i Thienesi rispondono all'appello della Repubblica di Venezia impegnata nella guerra contro i Tedeschi e un drappello di 500 giovani, al comando del Conte Giangiacomo Thiene, prende d'assalto il Castello di Rovereto caduto in mano nemica, ne scardina le difese ed innalza sul più alto bastione il vittorioso stendardo di San Marco. L'episodio procura alla "Terra di Thiene" un pubblico riconoscimento per la fedeltà ed il valore dimostrati. Il 1° marzo 1492, nel corso della "Vicinìa generale" (Assemblea dei Capifamiglia), alla presenza del Vicario Girolamo Valmarana, viene deciso di inoltrare al Senato veneziano una supplica per la concessione di un mercato esente da dazi per potenziare ed ampliare l'antico mercato rurale medioevale. Il Doge Agostino Barbarigo, ricordando la fedeltà e i meriti dei Thienesi nella liberazione di Rovereto, con la Ducale del 6 ottobre 1492, sancisce ai Thienesi il diritto di tenere "Mercato Franco". Da allora, i Thienesi organizzano ogni lunedì il "Mercato" che, ancora oggi, è il più importante dell'Alto Vicentino.






    FESTE E TRADIZIONI



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    La Fiera di Lonigo, la più antica in terra vicentina, affonda le proprie origini nella tradizione popolare e religiosa; si tramanda infatti che il 30 aprile del 1486, due ciabattini di Verona derubarono un loro sventurato compagno di viaggio, uccidendolo. Compiuto il delitto si nascosero nella chiesetta abbandonata di S. Pietro, nella frazione di Pavarano, con lo scopo di dividersi i proventi del misfatto. E qui, uno dei due, con il pugnale, sfregiò l'immagine della Madonna, dipinta su di un tabernacolo, che pareva osservarli. Ed ecco il prodigio: la Madonna "si riparò l'occhio ferito con la sinistra mano, mentre l'altra piegossi sulla ferita del petto". Da quel giorno, e ancor oggi, si possono notare le tracce delle macchie di sangue, l'effige della Madonna del Miracolo è venerata. Papa Innocenzo VIII fece edificare sul luogo prodigioso un santuario e un monasteroaffidandone la cura ai padri Olivetani. Per tre secoli nel piazzale antistante la basilica si ritrovarono i fedeli che, in seguito al diffondersi della fama dell'accaduto, giungevano anche dalle più lontane contrade per venerare, tra marzo ed aprile, la Madonna del Miracolo. L'appuntamento religioso divenne poi anche motivo di incontri, di affari e contrattazioni, divenne dunque fiera abbandonando progressivamente il carattere religioso per assumerne uno sempre più marcatamente economico. Nell'anno 1806 la sede della Fiera fu spostata entro le mura cittadine assumendo un'importanza sempre maggiore. Non a caso l'esercito italiano, durante i primi anni dell'Unità d'Italia, veniva a rifornirsi di cavalli proprio a Lonigo. Attualmente l'area espositiva, situata nella zona che fu una volta dell'Ippodromo, comprende un'area assai vasta che consente una migliore disposizione dei mezzi in mostra costruiti questi, in buon numero, da imprese artigiane del circondario.

    LA MOSTRA DELL'ASPARAGO A BASSANO

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    La mostra concorso dell'asparago, che vanta origini all'inizio del secolo, si svolge ogni anno nella giornata di domenica alla fine di aprile o ai primi di maggio. La manifestazione, prima fra quelle che nel periodo primaverile animano il centro di Bassano, richiama ogni anno migliaia di persone attratte non solo dal bianco e prelibato ortaggio ma anche dalle iniziative collaterali di carattere folkloristico che ravvivano la rassegna. Anche a S. Zeno di Cassola, a fine maggio, si svolge un'analoga mostra concorso denominata "l'asparago d'oro".

    MOSTRA LATTIERO CASEARIA A THIENE
    Questa mostra è nata nel 1959, frutto di antiche e radicate tradizioni locali. Thiene infatti, soprattutto nel settore lattiero-caseario, può vantare antichi precedenti ed inoltre, dal primo dopoguerra, la città annovera una scuola ad alto livello, per certi versi unica in Italia, che rappresenta una delle strutture più qualificate dell'organizzazione civile e sociale thienese. La Mostra che si tiene la 3°domenica di ottobre a scadenza biennale (anni pari) è cresciuta, di anno in anno, e, nel 1976, alla mostra delle produzioni lattiero casearie veniva aggregata la rassegna di macchinari ed attrezzature ausiliarie per l'industria del latte. Una peculiarità della Mostra è il concorso, al quale partecipano tutti gli espositori; ai migliori prodotti in gara sono assegnati lo "Spino d'oro" per il formaggio e la "Zangola d'oro" per il burro, nonchè il marchio di qualità con il quale i vincitori possono fregiarsi per un periodo di due anni.

    LA FIERA MERCATO DELL'OLIVO A POVE DEL GRAPPA

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    A Pove, dal 1982, all'inizio della stagione primaverile va in scena la Fiera Mercato dell'olivo, dei prodotti derivati e delle piante vivaistiche in genere, che richiama numerosi operatori economici e visitatori. Nonostante l'olivicoltura sia relegata a Pove ad attività part-time, permettendo solo un reddito integrativo, il rinato interesse per l'olivo e il suo prodotto è legato non solo all'importanza che questa pianta assume in questo territorio dal punto di vista paesaggistico e di conservazione dell'ambiente, ma anche alla riscoperta delle qualità organolettiche, dietetiche e biologiche.

    MOSTRA DEI VINI DOC COLLI BERICI A NANTO
    A cavallo della seconda domenica di maggio si svolge a Nanto la mostra dei vini tipici dei Colli Berici, organizzata dl Comune e dal Consorzio Tutela Vini D.O.C. "Colli Berici". La manifestazione è articolata in due momenti legati fra loro dal comune denominatore rappresentato dai sette vini tipici dei Colli Berici. Dapprima c'è la degustazione con classificazione dei migliori vini d'annata. Poi si passa all'accostamento di piatti tipici vicentini ai vini Doc. Contemporaneamente a tale manifestazione, l'ormai noto simposio di scultura all'aperto denominato "Nantopietra", di carattere internaionale, dove gli artisti eseguono in piazza le loro opere, partendo da blocchi informi di pietra estratta nei Colli Berici.

    MOSTRA CONCORSO DEI VINI D.O.C. A BREGANZE
    A cavallo fra le due ultime domeniche di maggio a Breganze c'è l'ormai tradizionale manifestazione denominata "maggio breganzese", all'interno della quale trova spazio, nei due giorni festivi, la mostra dei "magnifici sette vini Doc abbinati sapientemente a qualche piatto tipico locale. Durante la settimana si tengono anche manifestazioni culturali, folkloristiche e di svago, il tutto con la cornice domenicale di bancarelle.

    MOSTRA DELL'UVA E DEI VINI D.O.C. A GAMBELLARA

    Ogni anno, durante la terza decade del mese di settembre, si tiene a Gambellara la tradizionale festa dell'uva e del Recioto, nata agli inizi del secolo dalla volontà dei coltivatori della zona di rendere doveroso omaggio al prodotto trainante di un'economia agricola che, per lungo tempo, è stata l'unica attività delle genti del posto. In occasione della festa si tiene anche una mostra-concorso delle uve Garganega e Trebbiana, usate per ottenere vini Gambellara Doc, fiore all'occhiello della manifestazione.

    ANTICA FIERA DEL SOCO A GRISIGNANO
    Il primo lunedì dopo l'8 settembre, puntualmente, si rinnova una secolare tradizione la cui memoria si perde nel tempo e che vanta radici profonde e ben radicate nelle tradizioni, nella cultura e nei costumi delle genti venete e vicentine in particolare: la "Fiera del Soco". Le origini della Fiera non hanno contorni ben definiti ma si perdono fra le antiche leggende nelle quali il sacro e il profano hanno confini incerti. Durante la Serenissima Repubblica di Venezia, il paese ospitava uno dei maggiori mercati annuali dell'entroterra. Le leggende narrano che persino i Saraceni giungevano a Grisignano da Venezia per commerciare con le popolazioni i loro prodotti esotici. Lo stesso nome della Fiera trova una spiegazione incerta. Si racconta infatti che la Madonna in epoca remota (le memorie risalgono al 1252) sia apparsa su di un tronco d'albero a due contadini nel territorio di Arlesega. Su questo luogo i fedeli fecero erigere una cappella in ricordo del fatto miracoloso e da allora la Fiera fu chiamata "del soco", termine dialettale che sta ad indicare appunto il tronco d'albero tagliato. Il primo documento che parla della Fiera è un proclama dei Provveditori alle Rason Vecchie della Serenissima Repubblica datato 12 agosto 1763 dal quale apprendiamo che già esisteva dal 1555. Il 1965 è l'anno del rinnovamento: se prima la Fiera era solo del bestiame, da allora vennero introdotte manifestazioni di folklore, culturali e sportive oltre naturalmente allesposizione di macchinari e prodotti artigianali. La Fiera offre anche un vasto programma di manifestazioni, dalla gara ciclistica al favoloso spettacolo pirotecnico, Luna Park e stand gastronomici, dove si possono gustare tutti i prodotti tipici della cucina vicentina, accompagnati dalla degustazione dei rinomati vini locali.

    FIERA AGRICOLA DI S. VALENTINO A POZZOLEONE
    La data ufficiale della nascita di questa centenaria Fiera agricola viene comunemente fatta risalire all'anno 1748. Tutto accadeva durante la domenica più vicina a S. Valentino nei prati che circondano l'omonima chiesetta. Nel 1956, data l'affluenza sempre maggiore, l'Amministrazione Comunale decise di trasferire la Fiera lungo le strada di Pozzoleone. La Fiera di Pozzoleone è considerata, non a torto, una vera e propria anteprima della più conosciuta ed importante fiera internazionale dell'agricoltura di Verona.

    MOSTRA ARTIGIANATO ALTO VICENTINO A MARANO

    La prima mostra dell'artigianato locale fu nel 1973. La finalità era pubblicizzare nell'ambito locale il tradizionale artigianato maranese, distintosi fin dai primi anni del Novecento per la pregevolezza e la peculiarità dei suoi prodotti. Nel 1977, si decise di evidenziare maggiormente il settore artigianale. Attualmente la Mostra, ogni anno alla fine del mese di settembre, ha carattere campionario. Di anno in anno è scelto un settore specifico che gode di un particolare anche se non esclusivo interesse.

    MOSTRA CILIEGIE DELLA PEDEMONTANA A MASON

    Nella prima quindicina di giugno si svolge a Mason l'ormai tradizionale "Mostra delle ciliegie della Pedemontana dall'Astico al Brenta" che richiama ogni anno migliaia di visitatori e di operatori provenienti da tutta la provincia. La mostra ha lo scopo di premiare i migliori esemplari di ciascuna varietà di ciliegie che, singoli o associati, espongono per essere giudicati da una competente commissione.

    LA MOSTRA DELLE CILIEGE A CHIAMPO
    La mostra delle ciliege ha avuto sempre una grande importanza nella vita dei cittadini e degli stessi coltivatori, i quali hanno intravisto la possibilità di mettere in esposizione la migliore produzione delle aziende.Con la mostra,che si svolge la seconda o la terza domenica di maggio, si ritorna a vivere alcuni momenti in allegria e amicizia.















    Il Baccalà



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    La tradizione culinaria vicentina è indissolubilmente legata al suo piatto tipico più conosciuto: il Baccalà. Si tratta di un pesce che proviene dal freddo nord, ma nella tradizione gastronomica italiana e’ sinonimo di vicenza. Stiamo parlando della prelibata e succulenta pietanza nota in tutto il mondo, e per la quale è stata creata addirittura una apposita Venerabile Confraternita.

    Sarà per i motivi che tutti conoscono, sarà perchè ormai questo piatto è diventato il vero simbolo della “Vicentinità” nel mondo, sta di fatto che il baccalà (o meglio bacalà con una c sola...) ha conquistato di recente gli onori delle cronache nazionali e tutti ne parlano. Non solo, ad esso è stato tributato il più alto degli onori: la creazione di una Confraternita, formata da illustri rappresentanti della città, capeggiati dal noto Virgilio Scapin, vicentino Doc nonchè noto uomo di cultura, qui nelle vesti di Venerabile Priore.

    Il quale, un po' per scherzo e un po' sul serio, parla di una sorta di “guerra del baccalà” tra la città berica e la Venezia del Mantecato, che sarebbe poi il rivale del pregiato piatto vicentino. Questa “disfida del baccalà” a colpi di.....stoccafisso, dai toni vagamente antichi che richiamano ben altre e storicamente più importanti dispute, sta divertendo non solo Vicenza, ma un po' tutta l'Italia. Prova ne sia il divertentissimo Inno del Baccalà, composto appositamente dai vicentini “magnagati” e dedicato ai loro avversari veneziani, col titolo assai provocatorio di “Pipa qua, pipa là”.......

    E siccome Scapin è uomo di mondo, fine e intelligente letterato e osservatore delle cose, non poteva che affermare con impeto campanilistico: “Quel fiol d'un can de fast food”...in riferimento al moderno modo di mangiare, che è l'esatto contrario della tradizione coi suoi tempi lunghi e attenti, necessari per cucinare i piatti tipici locali. “Liberaci, o Signore, dalla velocità, dalla rapidità e dalla celerità- prosegue Scapin- per tutti i secoli dei secoli, Amen”. Un inno non solo al Baccalà e alla tradizione, ma anche ad un modo di vivere più lento, più misurato, insomma più umano.

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    La risposta vicentina alla globalizzazione dei fast food ? Certamente. Quelli della Venerabile Confraternita, sembra la stiano prendendo molto seriamente. E in fondo al di là delle battute e degli scherzi, che è bene ci siano, lo spunto di riflessione sul modo di mangiare, e di vivere, è molto interessante e meritevole di attenzione. Buon appetito.....



    ci sono tante ricette più o meno simili ..ho scelto questa

    Baccalà alla vicentina



    Ingredienti per 12 persone:
    Kg 1 di stoccafisso secco – gr. 500 di cipolle
    Litri 1 di olio d’oliva extravergine
    3-4-acciughe
    ½ litro di latte fresco – poca farina bianca
    g. 50 di formaggio grana grattugiato
    un ciuffo di prezzemolo tritato
    sale e pepe.

    Preparazione
    Ammollare lo stoccafisso, gia’ ben battuto, in acqua fredda , cambiandola ogni 4 ore, per 2-3 giorni.
    Levare parte della pelle. Aprire il pesce per lungo, togliere la lisca e tutte le spine. Tagliarlo a pezzi
    quadrati, possibilmente uguali.
    Affettare finemente le cipolle; rosolarle in un tegamino con un bicchiere d’olio, aggiungere le acciughe dissalate, diliscate e tagliate a pezzetti ; per ultimo, a fuoco spento , unire il prezzemolo tritato.
    Infarinare i vari pezzi di stoccafisso, irrorati con il soffritto preparato, poi disporli uno accanto all’altro, in un tegame di cotto o alluminio oppure in una pirofila (sul cui fondo si sara’ versata, prima, qualche cucchiaiata di soffritto); ricoprire il pesce con il resto del soffritto, aggiungendo anche il latte, , il grana grattugiato, il sale , il pepe.
    Unire l’olio fino a ricoprire tutti i pezzi , livellandoli.
    Cuocere a fuoco molto dolce per circa 4 ore e mezzo, muovendo ogni tanto il recipiente in senso rotatorio, senza mai mescolare.
    Questa fase di cottura, in termine “vicentino” si chiama “pipare”.
    Solamente l’esperienza sapra’ definire l’esatta cottura dello stoccafisso che , da esemplare ad esemplare, puo’ differire di consistenza.
    Il bacalà alla vicentina e’ ottimo anche dopo un riposo di 12/24 ore. Servire con polenta.


    Edited by tomiva57 - 31/8/2010, 07:40
     
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    RISOTTO CON I "BRUSCANDOLI"



    Ingredienti per 4 persone:
    1 cucchiaio di olio extravergine di oliva dei Colli Berici
    40 grammi di burro
    1 scalogno
    500 grammi di Bruscandoli
    300 grammi di riso Vialone nano
    Grana padano grattugiato
    Sale e pepe
    Brodo vegetale
    1 bicchiere di vino bianco secco

    Mettete in una pentola da risotto (larga e bassa) l'olio extravergine di oliva, lo scalogno tritato finemente; fatelo appassire, unite i bruscandoli tagliati a piccoli pezzi e mescolate bene, lasciate cuocere per 5 minuti. Unite il riso, fatelo tostare e sfumatelo con il vino bianco secco. Allungate con il brodo poco alla volta, salate e pepate. A cottura giusta amalgamate con burro e formaggio grana padano grattugiato.



    FRITTATA ALLE ERBE SPONTANEE



    Ingredienti per 4 persone:
    5 uova
    Poco burro
    Olio extravergine dei Colli Berici
    Asparagi selvatici
    Silene
    Posolaccio
    Sale e pepe
    1 cipollina fresca

    Mettete in una padella l'olio e il burro insieme alla cipollina tritata e alle erbette tagliate a pezzi. Fatele rosolare per 5 minuti, poi aggiungete le uova sbattute con il sale e il pepe. Procedete come una normale frittata e servite ben calda con un buon bicchiere di Sauvignon dei Colli Berici.


    RISI E BISI DI LUMIGNANO



    Ingredienti per 4 persone:
    500 grammi di piselli di Lumignano
    2 cucchiai di olio extravergine dei Colli Berici
    40 grammi di burro
    1 cipolla
    1 gambo di sedano
    300 grammi di riso Vialone nano
    Brodo di carne
    Sale e pepe
    Grana padano
    Aglio
    "Acqua di teghe" (con bucce dei piselli messi a bollire)

    Passate i piselli in soffritto di cipolla, olio e burro, a cui aggiungerete uno spicchio di aglio e un cucchiaio di sedano tritato, oltre al sale e il pepe. Pochi minuti di cottura, poi versate il riso e continuate la cottura aggiungendo brodo e poca acqua di teghe. A fine cottura la minestra deve risultare liquida ma non troppo, aggiungete un fiocco di burro e il grana grattugiato.


    RISOTTO AL CABERNET DEI COLLI BERICI



    Ingredienti per 4 persone:
    350 grammi di riso Vialone nano
    60 grammi di burro
    1 scalogno
    Brodo di carne
    Mezza bottiglia di Cabernet dei Colli Berici
    Sale e pepe
    Grana padano

    Tritate lo scalogno e fatelo appassire nella metà dei burro, aggiungere il vino Cabernet e fatelo bollire per 5 minuti, aggiungete il riso e fate assorbire bene tutto il vino dal riso. Continuate la cottura aggiungendo il brodo poco alla volta. A metà cottura salate e pepate. A cottura ultimata il risotto deve risultare all'onda, aggiungete il burro rimasto e il formaggio grana grattugiato.


     
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    TERMINO IL VIAGGIO NELLA PROVINCIA DI VICENZA CON IL MIO PAESE NATALE..

    LONIGO



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    Origine toponimo:Il nome di Lonigo si è prestato a più interpretazioni fantasiose da parte degli storici locali. Alcuni lo fanno derivare da Lumi, toponimo estrusco, altri da Luna o da Leone, sia l'animale che il segno zodiacale. L'ipotesi più attendibile è che il nome derivi da una famiglia patrizia romana Leonicenae o Leonicenses.
    Probabilmente deriva da "fundus Leonicus", nel significato di terreno, possedimento di Leo; fantasiosa la derivazione dal segno astrologico del Leone, sotto il quale avrebbe avuto inizio la costruzione del castello.
    Nel suo territorio furono rinvenute tombe preromane e una lapide funeraria di epoca romana. Il castello di Bagnolo è ricordato nel 997, mentre Lonigo stessa appare nominata soltanto nel 1046; in epoca romana, comunque, una strada suburbana collegava il suo territorio a Vicenza per il Gogna e Valle Sant'Agostino. Verso la metà del secolo XI era già Comune; disputata fra vicentini e padovani, divenne feudo dei Maltraverso del ramo dei Malacappella. Coinvolta nelle lotte medioevali fra guelfi e ghibellini, ebbe il castello distrutto nel 1240 da Ezzelino da Romano. Nel 1266 passò sotto il dominio di Padova e nel 1311 sotto quello degli Scaligeri, che la ricostruirono e la cinsero di mura. Passata ai Visconti nel 1387, entrò a far parte della Repubblica Veneta nel 1404. Durante il dominio veneziano fu tenuta in gran conto, come dimostra il fatto che era retta da un Podestà proprio, e non dallo stesso di Vicenza; privilegio simile fu concesso, in tutto il Vicentino, alla sola Marostica.
    Durante la pestilenza del 1630 dovette subire la perdita di più di 1.000 abitanti. Fu elevata a città nel 1834.
    Ha dato i natali all'umanista Ognibene de' Bonisoli, detto "Leonicenus", che insegnò retorica alla Scuola Pubblica di Vicenza; a Nicolò Leoniceno (1428-1524), professore a Padova e a Ferrara di matematica e filosofia morale e precettore di Lodovico Ariosto e Pietro Bembo; al pittore Carlo Ridolfi (1594-1658); al botanico Giulio Pontedera (1688-1757); al filosofo, teologo e oratore Quirico Rossi (1697-1760); a Camillo Bonioli (1729-1791) che studiò medicina a Padova sotto il Morgagni, divenne chirurgo famoso e insegnò a sua volta nell'Università di Padova; al botanico e mineralogo Francesco Orazio Scortegagna (1767-1851); al poeta Antonio Casella (1774-1844), soprannominato "El vilan de Lonigo"; al poeta Giovanni Tortima (1825-1875 circa).

    Storia:
    Nei documenti storici il nome Lonigo compare nel X sec., ma nelle colline circostanti sono state trovate tracce di insediamenti preistorici, dell'età del bronzo. Nel Medioevo Lonigo fu fondo dei duchi longobardi e dei conti Franchi di Vicenza e il Castello fu proprietà dei conti Malacapella di Vicenza dal 1067 al 1194. Nel 1404 Lonigo firmò con Venezia il patto di dedizione con cui accettava la dominazione della Serenissima ma si garantiva dei privilegi economici già riconosciuti dall'Imperatore Federico 1°. Lonigo era cinta da mura, governata da un Podestà, aveva sgravi fiscali nei commerci di cereali, vini e biade, poiché era zona di confine tra Vicenza e Verona e aveva un mercato settimanale e delle fiere con cui l'alto Vicentino si riforniva di cereali che provenivano da Ferrara e Mantova.
    A fine Quattrocento il banditismo, le carestie, le incursioni di eserciti in lotta con Venezia portarono gravi violenze e distruzioni anche a Lonigo, che culminarono nell'eccidio del 1511 in cui il Castello fu raso al suolo. Nel 1797 dopo Campoformio arrivarono gli Austriaci, con una nuova gestione economica. Fu un fiorire di attività.
    A Lonigo nacquero piccole ma efficienti filande, aziende metalmeccaniche, tipografie. Nel 1886 anche Lonigo entrò nel Regno d'Italia con un plebiscito. Lo spirito dei leoniceni era vivo e alla fine del secolo si rinnovò l'architettura della Piazza Garibaldi secondo il gusto liberty: si consacrò nel 1895 il nuovo Duomo; si inaugurò nel 1892 il Teatro comunale, capolavoro di acustica e orgoglio della borghesia. Riaprirono il Santuario di Madonna dei Miracoli (1887) e a S. Daniele tornarono i Francescani che erano stati cacciati dalle soppressioni napoleoniche. Oggi il fulcro economico di Lonigo resta l'agricoltura e l'esempio più significativo dell'attività è la Cantina sociale dei Colli Berici nata nel 1951.





    PALAZZO PISANI:



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    image prima del restauro

    A Lonigo si possono ancora vedere due torri dell'antico castello la cui area fu acquistata dalla famiglia Pisani che nel 1564 fece costruire l'edificio, dove ora si trova la sede municipale.
    Il palazzo è ritenuto opera del Sanmicheli ed è un nodo urbanistico importante nel cuore di Lonigo. Mentre la facciata nord chiude scenograficamente la piazza, la fronte opposta appare, a chi arriva a Lonigo, come una maestosa porta della città.
    Il palazzo presenta due piani nobili, carattere raro nell'architettura del tempo, e usa al piano terreno il bugnato, che ne sottolinea l'imponenza.

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    Ora il municipio si è traferito a villa Mugna ex sede scuole medie

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    VILLA PISANI BONETTI a Bagnolo

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    Villa Pisani a Bagnolo di Lonigo, progettata da Andrea Palladio fin dal 1541, data del ritorno dal suo primo viaggio a Roma, e costruita tra i 1544 e il 1545, è forse l’opera più rappresentativa del periodo giovanile della sua attività. Con essa inizia la gloriosa collaborazione del Palladio con la Serenissima. Per la prima volta, non usa nel salone centrale il classico soffitto piano e ligneo, ma crea questo spazio unico nella storia delle sue opere, con un ardito e arioso incrocio fra una prima parte con volta a botte e una seconda con volta a crociera, illuminate dalla grande apertura della finestra termale.

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    La stessa loggia, arricchita all’esterno da una importante finitura di bugnato rustico, con i tre fornici ripresi nell’andamento curvo dalle due estremità absidate, costituisce uno degli spazi palladiani più originali e studiati. Ispirata alla monumentalità imperiale di Roma, Villa Pisani ben si adattava a rappresentare l’insediamento dei nuovi ‘feudatari’ e l’affermazione del potere di Venezia sulla terraferma. La posizione della Villa sul fiume la collegava facilmente a Venezia per i trasporti sia delle persone che dei materiali e dei raccolti, facendone un luogo particolarmente comodo alla famiglia Pisani per l’utilizzo estivo e lavorativo che ne veniva fatto. Interessanti le parti affrescate attribuite a Francesco Torbido allievo di Giulio Romano e unico nel suo genere il cucinone, mai presente al piano nobile di questo genere di ville, ma qui trasferito nel ‘700 a causa del tracimare delle acque del Guà.





    Villa La Rocca Pisani.



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    Richiama esternamente le linee della Rotonda palladiana; nonostante questo, si tratta di un'originale e stupenda opera d'arte. A pianta centrale, si sviluppa dal vano rotondo, coronato da cupola, che prende luce da tre serliane e dal pronao. E' stata di recente restaurata. Edificata nel 1576, è opera di Vincenzo Scamozzi.

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    Sul colle che domina Lonigo, dove sorgeva un antico ridotto fortificato, Vittore Pisani nel 1576 decise di costruire una seconda villa in un luogo che avrebbe fornito un sicuro rifugio per sfuggire alla pestilenza scoppiata in quell'anno a Venezia.
    Autore di questo edificio è Vincenzo Scamozzi, interprete della nuova esigenza dei nobili di avere una dimora realizzata in posizione amena in un momento in cui la nobiltà rifiuta la conduzione diretta del fondo, perchè ogni attività meccanica viene giudicata incompatibile e saranno fattori e gastaldi ad occuparsi dell'amministrazione dei campi.
    La villa, a pianta centrale, coronata da una cupola avente alla sommità una apertura circolare, realizza un felice connubio tra edificio e paesaggio circostante.
    Il pronao ionico è inserito nel corpo di fabbrica solo nella facciata principale, mentre gli altri lati si aprono con una semplice serliana.
    L'interno appare nudo, non turbato da decorazioni o pitture e si esprime mediante il fluire della luce.


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    IL DUOMO




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    Duomo. Fu eretto fra il 1877 e il 1895 su disegno di Giacomo Franco in stile neo-romanico. Ha interno a tre navate.
    Il grandioso duomo di Lonigo fu eretto in stile eclettico nel 1877 su progetto dell'architetto veronese Giacomo Franco, come ringraziamento per la cessazione della epidemia del 1855. Sorge sul luogo della chiesa quattrocentesca di San Marco, della quale il duomo ancora conserva nella zona retrostante una parte del pavimento e alcuni arredi (tele e altari). La parte antistante sembra occupare la zona dell'antico castello detto “Calmano", di cui rimangono due torri che delimitano l'area del duomo. All'interno un Battesimo di Cristo di Egisto Caldana a bassorilievo decora la parete accanto al fonte battesimale. Del Caldana arche la statua sul portale centrale raffigurante il Redentore

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    Il giorno 27 giugno 1877 nel luogo corrispondente al centro dell’antico Castello Calmano sulle rovine del demolito convento di S. Marco, fu collocata la prima pietra del tempio a Cristo Redentore, dal Vescovo di Vicenza, monsignor Farina.
    Nel 1895 in seguito ad una epidemia di colera, si pensò di dotare Lonigo di un Duomo degno della sua posizione economica, a forma di croce latina in onore a Cristo Redentore. Il grandioso duomo di Lonigo fu eretto in stile eclettico su progetto dell'architetto veronese Giacomo Franco, utilizzando parte dei frammenti della demolita chiesa di S. Marco (una parte del pavimento e alcuni arredi (tele e altari)).
    Rivolto verso piazza cavalli (ora IV novembre) il Duomo veniva a porsi come elemento più importante della piazza.
    La facciata principale che ricorda quella romanica di S. Zeno a Verona, è divisa in tre corpi con relativi ingressi, corrispondenti alle tre navate; sopra l’ingresso principale, un rosettone frastagliato da colonnine e archetti e, una lunetta eseguita da mosaicisti veneziani.
    L’interno di vaste proporzioni, diviso in tre navate con ciascuna un proprio altare è in stile romanico con accenni rinascimentali.
    Le colonne corinzie ricordano le chiese del 400, le bifore lo stile gotico; nel centro della crocera sorge la cupola.
    Gli altari minori, nella loro semioscurità, ricordano i segreti cunicoli delle catacombe, come recitava un foglio dell’epoca.
    Nella tribuna che copre l’atrio, sopra il portale maggiore, fu collocata nel luglio del 1919 la statua in pietra di Cristo Redentore.
    Vastissima la tribuna absidale ove è posto l’altare maggiore ritrovato in un campo e, conservato nella chiesa di S. Daniele fino alla soppressione degli ordini religiosi voluti da Napoleone.
    I lavori a ridosso dell’abside per la costruzione del campanile, furono sospesi per motivi forse estetici o forse finanziari.
    L’idea di adibire a campanile il torrione dell’antico castello, naufragò in più riprese; ancora oggi spetta alle campane della chiesa vecchia di diffondere i loro rintocchi.




    CHIESA VECCHIA



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    Era la Pieve, l'antica chiesa parrocchiale, fino alla costruzione del Duomo (1895). E' dedicata ai SS. Cristoforo, Quirico e Giulitta. Fu, per molti secoli, il simbolo di riferimento dell’organizzazione sociale e religiosa (proprio perché fu la prima chiesa). Risale al VII – VIII secolo, fu costruita dentro le mura del Castello Calmano e prese il titolo di Pieve solo alla fina dell’ XI secolo.
    Le prime notizie risalgono al 1262, ma è stata modificata nel 1543 e nel 1615 quando il patriarca di Venezia (Tiepolo) concesse l'aggiunta di una navata e rifacimento della facciata (struttura attuale). Nel XII secolo divenne una “collegiata” che ospitava dei canonici. Dopo la rivoluzione francese anche la Pieve venne depredata dell’argenteria e degli ori dalle truppe di Napoleone. Nel 1871 il vescovo Farina definì la chiesa troppo piccola per la popolazione e vennero predisposti alcuni progetti per l’ampliamento che non furono mai realizzati.
    La facciata ha quattro lesene con capitello composito, un timpano dentellato e un timpano ad arco sopra il portale; le due ali minori sono state aggiunte nel '700.
    Il campanile è del 1573. L'interno a tre navate è un quadrato scandito da pilastri postili e dall'alternanza di lesene e finestre quadrate sulle pareti. L'altare maggiore è dell'ottocento, di stile neoclassico con due angeli che vegliano il tabernacolo che è un tempietto con cupola.

    Tutto l'arredo ligneo (pulpito, coro, confessionali) è del '700 di pregevole fattura.
    Ma il capolavoro sono dei sei altari barocchi in marmo policromo ornati di pale e statue. Tra le pale di scuola veronese settecentesca notiamo "la Deposizione" di Saverio della Rosa, nell'altare della Pietà, di drammatica intensità e la Madonna in trono che consegna lo scapolare a S. Simone Stock di Giandomenico Gignaroli.
    Nell'altare del Carmine è l'Ultima Cena di G. Angeli del 1749, di scuola veneziana. Infine, sulla porta della sacrestia c'è la “Sacra Conversazione della Vergine con i SS. Cristoforo, Giulitta e Quirico” di benedetto Montagna; è opera del 1500, di cui si apprezzano le lumeggiature d'oro sul trono immerso nella luce del crepuscolo.
    Con lo slogan "Adottiamo una canna" l'Università A/A di Lonigo ha istituito un comitato per la raccolta di fondi per il restauro dell'organo della Chiesa Vecchia.
    L'organo, che risale al 1854 ad opera di Giovanni Tonoli, fabbricatore di organi di Brescia, si trova sopra la porta maggiore su un elegante cantoria ottocentesca dentro ad una cassa armonica del Settecento.

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    Il restauro è stato presentato nell'ottobre del 2000 con un'importante concerto di inaugurazione.
     
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  13. tomiva57
     
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    TEATRO COMUNALE





    Il Teatro Comunale di Lonigo nacque dall’esigenza di sostituire al settecentesco teatro dei Concordi (proprietà di un’élite di cittadini della nobiltà e dell’alta borghesia) un Teatro più “democratico”, accessibile anche al ceto impiegatizio e, a volte, operaio e contadino, che si era venuto affermando nel corso del XIX secolo. Il Teatro veniva considerato luogo di pubblica utilità e perciò doveva essere proprietà del Comune e dal Comune gestito.

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    Nonostante le difficoltà economiche l’Amministrazione Comunale ne deliberò la costruzione. Il progetto fu affidato all’architetto Giovanni Carraro e i lavori cominciarono nel luglio del 1891 e si conclusero nel 1892. Ma del progetto fu eseguita solo la parte essenziale (non fu completato l’esterno) e l’inaugurazione avvenne il 23 ottobre 1892, col “Ballo in maschera” di Giuseppe Verdi. Sul palcoscenico del Teatro Comunale si alternarono spettacoli lirici e di prosa fino al 1977, con la partecipazione di importanti nomi del mondo della lirica e della prosa. Purtroppo il Teatro fu poi trasformato in sala cinematografica, cosa che portò l’edificio ad un tale stato di degrado da renderne necessaria la chiusura per procedere alle opere di restauro. I lavori per il restauro durarono oltre dieci anni e finalmente il 22 ottobre 1993 il Teatro Comunale riaprì i suoi battenti con un grosso concerto lirico. E’ da ricordare che il Comunale di Lonigo è l’unico Teatro storico dell ’Ottocento della Provincia di Vicenza.


    Edited by tomiva57 - 7/1/2011, 18:50
     
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    VILLA GIOVANELLI - appartenente all'Ordine dei Pavoniani



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    La villa, con una breve facciata tra le due torrette a spigoli smussati, è notevole per gli ambienti di rappresentanza: il salone d'onore che vanta un monumentale caminetto in marmo nero, si possono ammirare tre grandi tele allegoriche di Mosè Bianchi, al quale spettano anche il soffitto della Biblioteca quello della Sala della Musica. Nel Salone degli stucchi si può ammirare il soffitto che eseguì lo Scrosati nel 1855-57. Il complesso architettonico comprende anche l'antica abbazia benedettina dedicata ai S.S. Fermo e Rustico. Interessante l'ingresso, opera di Francesco Bagnara.
    Quella che oggi viene riconosciuta come l'ultima, in ordine cronologico, villa del territorio vicentino ha origini esclusivamente religiose e tale rimase per molti secoli, fino all’arrivo dei Contarini, prima e poi dei principi Giovanelli, che dopo lunghi e importanti lavori di abbellimento la lasciarono come oggi la vediamo.
    La chiesa di San Fermo era legata a Lonigo da una ripida ma comoda via che la rendeva parte integrante del borgo murato: infatti, nel sagrato c’era il cimitero come alla Pieve e parte del bosco era di uso pubblico.
    La badia benedettina passò sotto la giurisdizione dei Canonici di San Giorgio in Alga di Venezia che tra i tanti priori ebbero anche San Lorenzo Giustiniani, primo patriarca di Venezia fino alla soppressione della Congregazione avvenuta nel 1668 per un accordo tra la Repubblica Veneta e la Santa Sede onde sopperire alle ingenti spese della guerra di Creta.
    Acquistata dai Venier, l’abbazia passò ai Contarini e per eredità, nel 1834, ad Andrea Giovanelli, patrizio veneto ma non ancora principe. Se con i Contarini il convento più ricco di Lonigo prese l'aspetto di un rustico palazzo sempre dominato dalla ingente mole della chiesa di San Fermo, fu con Andrea Giovanelli, diventato principe nel 1846, che lentamente il complesso assunse chiaramente l'aspetto di villa acropolica, quasi un castello dominante il borgo ormai diventato città.
    I Giovanelli tennero la villa di San Fermo fino al 1933 quando, passata in proprietà della Compagnia di Gesù, diventò sede di un noviziato dell'Ordine. Ai Gesuiti subentrarono nel 1968 i Figli di Maria Immacolata, Congregazione religiosa fondata dal venerabile Lodovico Pavoni.
    Dopo anni di abbandono l’intero complesso della villa e dell'Abbazia ha avuto un radicale restauro (1983-1985), che ha dato notevoli risultati per la comprensione storica dei vari edifici. L'inaugurazione e la ripresa della vita di Villa San Fermo è avvenuta la domenica 8 giugno 1986, alla presenza di S.E. Monsignor Arnoldo Onisto vescovo di Vicenza.

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    Il monumentale ingresso alla Villa San Fermo prende il nome dalle statue dei fiumi che fanno corona all'Italia sulle arcate dello sfondo. L'idea è dovuta allo scenografo Francesco Bagnara, vicentino, operante in particolare alla Fenice di Venezia. Al compimento dell'opera, avvenuto come si rileva dalla data (1868) e dallo stemma Giovanelli posto sotto la statua dell'Italia, l'ingresso prese un significato storico e patriottico che all'origine forse non aveva.
    Il Bagnara pose ai limiti della strada due edifici che richiamano alla memoria le 'torrette' poste ad ingresso delle ville vicentine, che servono da abitazione del giardiniere e del portinaio. Il gusto è quello eclettico del tempo, che unisce richiami medioevali e rinascimentali, arricchito di trafori marmorei e di sculture.
    Un’alta cancellata con lo stemma dei Giovanelli congiunge le due fabbriche. Lo sfondo della collina viene usato dal Bagnara come se fosse la cavea di un teatro, ove al posto dei gradini sta la scritta in siepe di bosso «San Fermo» a ricordo dell'antica abbazia benedettina. La cavea è limitata dalla forte loggia a bugnato rustico con le statue dei fiumi e dell'Italia, opera di un modesto lapicida locale che rievoca le antiche divinità fluviali sdraiate, e con un otre tra le mani, da cui doveva sgorgare l'acqua. L'Italia, al centro, con la corona turrita, richiama le immagini della Dea Roma. Il gusto romantico del Bagnara esige la presenza delle piante e delle piccole grotte che con le scale divergenti s'inerpicano sulla costa del colle.
    Un altro ingresso della villa, che di solito veniva usato dai frequentatori della chiesa, si apre in via San Fermo. La strada, ancora oggi selciata, ma anticamente gradinata, si apre un varco tra gli altissimi muraglioni che sostengono il terrapieno per condurre ad un piccolo spiazzo da dove parte la scalea limitata da edicole con medaglioni di Santi e Sante venerati a Lonigo.
    Nel Chiostro Grande, al centro, la vera del pozzo porta la data 1556 che dovrebbe indicare la fine dei lavori. Nell'Ottocento l'elegante proporzione del portico venne alterata con la sopraelevazione di un piano. Sotto le arcate del portico sono stati collocati alcuni reperti di scultura trovati durante gli ultimi lavori di restauro: da ricordare un frammento di pluteo anteriore al Mille, un rozzo rilievo di epoca romanica con un cane che morde l'osso, una lapide con iscrizione cinquecentesca.

    Il vicino chiostro quattrocentesco è stato molto manomesso, un fianco è stato inglobato nella villa, alcune arcate dei lati brevi sono finite nei muri di sostegno.
    I tondi alle pareti con i busti dei Santi provengono dalle crociere della chiesa romanica, alcuni dei quali furono utilizzati dallo Zanella e si trovano ancora nelle chiavi di volta della navata. I resti dell'antica abbazia sono ancora visibili nell'interrato e nel piano terra del fianco settentrionale della villa: è probabile che l'andito a quattro colonne con il soffitto a travature sia stato il refettorio del convento o l'aula capitolare. Ogni piccolo elemento è stato messo in luce nella recente ristrutturazione, pur nel nuovo uso assegnato a questi locali.

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    Nel piccolo atrio che immette al Refettorio è stato collocato il cancello in ferro della Porta Maggiore della chiesa. Compiuto al tempo del rifacimento della chiesa dovuto allo Zanella, è un ottimo esempio del lavoro dei battitori del ferro leoniceni. Ottimo il disegno a ricchissimi racemi e nervature. Sulle pareti delle sale di attesa o di conversazione, qualche buona stampa; l'arredo è tutto moderno.
    Dal piano terra, dopo i chiostri, dietro l'abside della chiesa di San Fermo, si entra nella piazza pavimentata di porfido che nell'Ottocento fu sede di memorabili feste con la celebre Filarmonica leonicena diretta dal maestro Angelo Parodi. Limitata sullo sfondo dalla scalea che porta al parco, a destra dai locali per la servitù e il fabbricato della Cavallerizza e a sinistra, sopra le serre, dal teatrino «C. Goldoni».
    Tutti questi locali hanno subito trasformazioni radicali fin dal tempo dei Gesuiti; il recente restauro non ha potuto che prendere atto di una situazione ormai gravemente compromessa. Se la perdita della Cavallerizza trasformata in palestra non è stata grave per la villa, anche perché l'involucro esterno con i suoi finestroni era rimasto intatto, particolarmente dolorosa è stata la distruzione dell'interno del teatro che aveva platea, loggia e palcoscenico e un soffitto dipinto dallo Scrosati. Il Marangoni scrive di un tondo con la figura della Fortuna, non specificando se su tela o ad affresco. Ora il locale privo di ogni ornamento serve come sala di riunioni o per il cinema. Superata la breve gradinata si può godere in tutta la sua ampiezza il parco di Villa San Fermo, celebrato come uno dei più belli delle ville italiane dell'Ottocento.

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    L'idea di mettere a parco tutto il colle di San Fermo con gli eremi dei Cappuccini e di Santa Colomba venne al principe Giuseppe Giovanelli che affidò i grandi lavori di progettazione a Gaetano Balzaretto «il mago dei giardini milanesi». Il Balzaretto inventò la scalea a duplice rampa che idealmente collega la villa all'abitato sottostante e sistemò ad aiuole lo spiazzo a sud della villa; il resto è un parco all'inglese, romantico e pieno di suggestive invenzioni, come i sentieri che si perdono tra le alte piante, aerei ponticelli e grotte artificiali, tutti collegati da un ampio viale percorribile comodamente in carrozza. Dal fiumicello Brendola, che scorre lungo la strada ai piedi del colle il Balzaretto, mediante un bocchettone, prese l'acqua necessaria a alimentare il laghetto, ora prosciugato, molto romantico, con la vicina pista di pattinaggio circondata da un anello di acacie. Il viale, salendo la costa del colle, sbocca in un largo pianoro ove su un alto anello in pietra sorgeva il celebre Cafèhaus, una costruzione orientaleggiantein legno, distrutta da una incursione aerea ed ora sostituita da un gruppo scultoreo rappresentante la Sacra Famiglia.
    Sul versante a mezzogiorno del colle, con ingresso autonomo dalla strada comunale, c'è l'antico convento dei Cappuccini, ora lasciato in completo abbandono, ma fin dal tempo dei Giovanelli immesso nel parco del Balzaretto come un rudere romantico. Con le rovine della chiesa secentesca ad unica navata e del piccolo convento si notano i resti del cosiddetto giardino d'inverno per la coltivazione, delle piante rare e preziose che dovevano abbellire gli interni della villa entro preziosi vasi di ceramica provenienti dalle più note fabbriche d'Europa. Il parco del Balzaretto, impreziosito da macchie di conifere, finiva presso Santa Colomba, sede di un antico eremo del tutto distrutto e sostituito dalla fattoria in stile svizzero costruita dai Giovanelli per i servizi agricoli di villa San Fermo. Scendendo, si può ammirare l'ingegnoso sistema delle pompe che sollevavano l'acqua dal laghetto artificiale fino ai giardini posti sui vari ripiani del colle. Purtroppo malattie, parassiti, il freddo invernale e disboscamenti del tempo bellico hanno assai impoverito l'idea originale del Balzaretto, che solo di tratto in tratto si può cogliere tra le nuove piantagioni di colore diverso da quello originale.
    (da: Remo Schiavo - VILLA S.FERMO DI LONIGO - Guida storico-artistica, 1988)

    Dal chiostro, per un piccolo atrio colonnato si sale al primo piano alla Sala detta del Doge per il corno ducale e gli stemmi che ricordano le famiglie imparentate con i Giovanelli. Le sculture lignee del soffitto sono opera del leoniceno Giuseppe Regagioli.

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    Alle pareti: Le quattro parti del mondo, dipinto ricco di colore e di elegante composizione, è attribuibile a scuola genovese, sec. XVII; e Giobbe deriso dalla moglie, di un caravaggesco lombardo, opera piena di drammatico pathos; un elegante Gesù tra Marta e Maria ambientato in una cucina italiana cinquecentesca, di scuola fiamminga; di fronte un dipinto di ignoto significato ma chiaramente di gusto neoclassico.
    Da questa sala si passa alle stanze dell'ala Nord della villa, che al tempo dei Giovanelli servivano come soggiorno per il pranzo e per i ricevimenti degli amici. Erano qui esposti quadri del Tiepolo e di paesaggisti ottocenteschi, un busto di donna del Canova e, forse entro un armadio portatile, la Tempesta del Giorgione.
    La sala delle colombe prende il nome dall'affresco del soffitto, che dovrebbe essere una delle prime opere eseguite a villa San Fermo da Luigi Scrosati negli anni immediatamente successivi al rinnovamento della villa. Di solito si crede che lo Scrosati sia soprattutto un pittore di fiori, dimenticando che prima della malattia che gli tolse l'uso delle gambe intraprese notevoli decorazioni ad affresco nei palazzi milanesi. L'infelice proporzione della sala viene corretta dal soffitto illusionistico, che sopra una balaustra apre un cielo sereno con un volo di colombe. Agli angoli pregevoli chiaroscuri entro sinuose cornici barocche. Alle pareti un paesaggio piemontese del Settecento e un bozzetto con San Carlo Borromeo in gloria, del Cerano.
    La sala vicina, separata un tempo da una vetrata, ha un soffitto ligneo riccamente intagliato e, anticamente, dorato. Tra il leone di San Marco, gli stemmi a colori delle quattro grandi famiglie imparentate con matrimoni ai Giovanelli. Segue la sala più bella dell'appartamento, per lo splendido soffitto decorato dai bianchi stucchi del Caremi e affrescato dal pennello di Luigi Scrosati. Il Caremi, nei giochi e scherzi di bambini, riprende il tema tiepolesco della Foresteria di Villa Valmarana ai Nani, mentre lo Scrosati dispone i suoi cespi di fiori eleganti e sempre un poco sbocciati tra un tondo e l'altro. Alle pareti elegante caminetto settecentesco e due tele di gusto neoclassico con episodi dell'Antico Testamento.
    La vicina sala, detta delle sei porte per le vetrate che si aprono sul parco e sul cortiletto interno, presenta alle pareti due quadri attribuiti a Mosè Bianchi: quello di una famiglia, pieno di pungente realismo lombardo; più sontuoso il ritratto di un canonico, incompiuto nelle mani ma ben delineato nella fisionomia e nella intuizione psicologica. Di una certa forza un ritratto abbastanza antico di Torquato Tasso e un incisivo ritratto di nobiluomo, forse cinquecentesco. La sala immette nel corridoio degli appartamenti monumentali, completamente rifatti dopo l'incendio del 1855 che devastò la villa. Autori del progetto dovrebbero essere stati G. Battista e Tomaso Meduna, architetti e ingegneri veneziani impegnati nella ristrutturazione degli interni di palazzo Giovanelli in rio de Noal a Venezia. I Meduna diedero alla villa San Fermo la forma di un castello con le torri angolari, quasi ad indicare la funzione acropolica che la dimora gentilizia veniva ad assumere nei confronti della città di Lonigo. L'eclettismo dei Meduna ottiene i migliori risultati nella impostazione del gigantesco scalone che campeggia autonomo al centro della villa, collegando ben quattro piani, dall'ingresso alle torrette.
    Il primo vano dello scalone ha una volta a botte ed è decorato da finissimi stucchi a rosoni con gli stemmi delle famiglie imparentate coi Giovanelli; sopra il portale lo stemma della casa principesca con i due giovanetti sulla barca. Dopo ampio portale che immette al piano terra della villa, si vede l'elegante snodarsi dello scalone che, sostenuto dalla parete, sale mediante tre rampe al piano nobile. Gli scalini sono in marmo finemente lavorato, le pareti in delicata marmorina ocra, il corrimano della elaborata ringhiera era in pelle variegata e una rossa stuoia ricopriva i gradini. Le piccole borchie in ottone delle pareti sostenevano le lampade della illuminazione a gas. Dal soffitto, decorato a stucchi, pende un fanale in bronzo dorato. Il ripiano porta agli appartamenti già illustrati e alla biblioteca del principe: nel corridoio due copie di affreschi di Pietro da Cortona a Palazzo Pitti a Firenze; sul vano scale grande specchiera ottocentesca.
    L'esterno chiaramente rispetta la funzionalità degli spazi interni: se la facciata tra le due torrette presenta appena cinque grandi porte e balconate, i fianchi sono tutti traforati da numerose finestre e porte con pergolo, corrispondenti alle piccole sale della villa. Dalla porta che si apre sotto la pensilina si vedono i due grandi vani che un tempo erano cedraia e arancera della villa; ora la sala a settentrione è stata trasformata in cappella: l'arredo è stato costituito recentemente; sulla vetrata di fondo la testa di Gesù «via, verità e vita», eseguita dal pittore Alberto Bogani di Como, che ha dipinto anche le piccole finestre e la grande icona lignea di un attiguo seminterrato, trasformato ora in cripta per la preghiera.
    Risalito lo scalone un corridoio introduce alle sale del Piano Nobile.

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    La biblioteca del Principe, usata anche come sala di ricevimento e per le udienze, è una delle tre grandi sale della facciata da cui si domina Lonigo e il bellissimo paesaggio che dai Bericí spazia alle Alpi, alla pianura padana e in certe giornate fino all'Appennino modenese. Dei mobili manca il tavolo centrale, ma rimane ancora sul posto la splendida libreria in legno di ciliegio intagliato con le aquile che reggono nel becco la campanula per l'illuminazione. Anche il pavimento, in legno come quelli delle altre due sale che seguono, è un ottimo lavoro delle maestranze leonicene, specializzate nel cosiddetto parquet finemente lavorato e disposto secondo un elegante disegno e con straordinari caldi effetti di colore. Il soffitto a stucchi dorati su fondo bianco, tra i medaglioni di Dante e Beatrice, Petrarca e Laura, porta al centro il tondo di Paolo e Francesca eseguito da Mosè Bianchi nel 1877 con gli affreschi delle altre sale. Per la rappresentazione dei celebri amanti danteschi colti nella «bufera infernal che mai non resta», il Bianchi eseguì alcuni bozzetti con il corpo di Francesca rovesciato sulla spalla di Paolo, quasi ad indicare la disperazione della donna e la pacata sofferenza dell'uomo. L'affresco di Lonigo riprende esattamente il bozzetto conservato nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano, anche se la resa è meno drammatica. Purtroppo l'affresco ha perduto quel cielo grigio e tempestoso tanto celebrato dalla critica del tempo, ma resta il famoso incarnato roseo del corpo di Francesca che ben risalta a contatto del bruno e nerboruto petto di Paolo. La sciarpa azzurra e i drappi che avvolgono i due corpi sono chiamati come note di colore a rompere la coltre delle nubi.

    La porta a doppio battente immette nel Salone d'onore, detto un tempo degli Arazzi per i due arazzi con le Storie di Semiramide posti sulla parete accanto al caminetto. A prima vista il salone appare disarmonico, troppo lungo e troppo basso, illuminato solo da tre grandi porte finestre e comunicante con le altre sale con due porte a cornici di prezioso marmo rosso. Ma i grandi ovati del soffitto dipinti da Mosè Bianchi con i larghi squarci di cielo riescono a equilibrare illusionisticamente le proporzioni della sala.
    Per questo ricchissimo soffitto in legno intagliato e a stucchi dorati è stato detto che i modelli sono quelli del palazzo Ducale di Venezia; e infatti il Bianchi, prima di accingersi alla decorazione di villa San Fermo, volle fare uno studio accurato sul Veronese di Palazzo Ducale e sul Tiepolo delle chiese veneziane. Anche per questi tre ovati esistono i bozzetti preparatori, ove il Bianchi dispiega una mano felice nell'impaginare un discorso sempre ricco d'inventiva tra audaci scorci prospettici da sotto in su e preziosi particolari di vesti, fiori, nuvole. il tema, che potrebbe essere stato suggerito dal principe Giuseppe Giovanelli, riflette il momento storico dell'Italia e dell'Europa subito dopo la guerra franco prussiana, che aveva portato i tedeschi a Parigi e gli italiani a Roma. I dipinti auspicano il trionfo delle attività commerciali, rappresentate dal dio Mercurio, e il dissolversi dell'incubo della guerra, mentre la Pace esaltata dalla Storia domina e diffonde la sua luce benefica nelle varie parti del mondo.

    Erano questi i fabbricati che ospitavano la numerosa servitù e il corpo dei pompieri. Il viale di accesso con entrata autonoma è quello che viene normalmente usato oggi.
    All'ingresso, piccolo monumento in vetroresina dedicato al Fondatore della Congregazione, il beato Lodovico Pavoni. Sulla parete un frammento di affresco settecentesco proveniente dal Castello Stroppa di Tradate, in Lombardia.
    Nella vicina sala di ricevimento sono degni di nota i due busti di bambini di scuola napoletana e sul gusto di Vincenzo Gemito. Alle pareti: Agar, Ismaele e L’Angelo, dipinto secentesco molto offuscato e di difficile attribuzione e altre piccole tele di autori contemporanei. Ritornati nel corridoio si può visitare la cappella dell'Istituto ricavata in una sala da dove si gode una veduta dell'abside e della chiesa di San Fermo con l'abside ad archetti gotici della cappella di Sant’Orsola e le finestre rinascimentali della Sacrestia. Dietro l'altare di recente costruzione, è posto il grande crocefisso a mosaico di Mino Buttafava eseguito nel 1969 e sulla parete opposta la splendida Adorazione dei Magi di scuola lombarda, certamente di artista che aveva ben capito la rivoluzione caravaggesca. Il paesaggio è appena indicato per lasciare a protagonisti della scena la Sacra Famiglia e i Re Magi. Vivacissima la presenza del fanciullo reggistrascico che guarda lo spettatore


     
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  15. tomiva57
     
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    Moto Club Lonigo - 60 anni di Storia e Successi



    Lo Speedway. Nato negli Stati Uniti all’inizio del secolo scorso, trasferitosi poi in Australia, è esploso in tutto il suo successo in Inghilterra, dove attualmente la sua popolarità è inferiore soltanto al gioco del calcio.

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    Lo Speedway, approdò in Italia dopo la seconda guerra mondiale con le prime apparizioni negli ippodromi in disuso di Udine e Trieste, grazie all’interessamento dei soldati piloti inglesi, i quali organizzarono le prime gare con moto stradali adattate alla pista.

    Fu assistendo ad una di queste manifestazioni, che un gruppo di sportivi leoniceni, attratti da quel fascino sottile che alimentava uno sport completamente sconosciuto, pensarono di tentare di organizzare anche a Lonigo una di queste gare, avendo la nostra città una pista in un parco denominato Ippodromo (circolo per i leoniceni) tuttora esistente, il quale per la sua configurazione si prestava a questa tipologia denominata a quei tempi Dirt - Track, ossia pista sporca come era chiamata a quel tempo questa disciplina sportiva.

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    Invitarono a Lonigo un grande pilota motociclistico della velocità Dario Basso, il quale presentatosi con la sua fedele Gilera, dopo aver provato l’anello dell’Ippodromo, espresse lusinghieri giudizi sulla stessa, dichiarando che poteva essere adatta alle gare.

    Il Moto Club Lonigo, diventò realtà come associazione sportiva il 1° Gennaio 1947 con l’affiliazione alla F.M.I. e la sua prima sede fu la trattoria al Duomo di Lonigo ed accanto al primo Presidente eletto, Giovanni Panozzo ed al segretario nominato Mario Colombo, fecero parte del primo consiglio direttivo alcuni giovani e varie figure dell’ambiente imprenditoriale e commerciale leoniceno, tutti animati dello stesso grande entusiasmo.

    Fu così che l’Ippodromo leoniceno, tempio incontrastato delle corse dei cavalli, vide la fine di un’epoca e fu testimone della nuova realtà motociclistica, anche se sempre di cavalli si trattava.

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    Corsero in quei tempi nell’anello dell’Ippodromo i migliori piloti nazionali dell’epoca quali: Dario Basso, Giordano Bon, Mario Rupil, Domenico Pietrogrande, i leoniceni Francesco Lovato ed Iliade Melotto, Luigi Fantuzzi, Gino Marchezzolo, Antonio Girelli, Carlo Mazzuccato e tanti altri, mentre tra i tanti campioni stranieri misuratisi , ricordiamo il pluri vittorioso Manfred Poschenrieder, il mitico Ole Olsen 5 volte campione del mondo, il baronetto Barry Briggs, Gunter Valla, Runo Vedin, Otto Lantenhamer, i sidecaristi R. Kolb e K. Bold.

    Per molti anni, Luglio diventò lo “Speedway Day” , un appuntamento che richiamava migliaia di appassionati da ogni parte d’Italia, come succedeva molto prima con la fiera dei cavalli, che addirittura richiamava gente da tutta Europa.

    Assaporato fino in fondo il successo del periodo pionieristico, il Moto Club prende coscienza della sua professionalità e del desiderio di organizzare gare a livello mondiale e pertanto si organizza per dare vita a quel salto di qualità da tutti auspicato.


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    Essendo la pista del Circolo non più adatta al progetto mondiale, il Moto Club emigrò in quel di Monticello di Fara, costruendo assieme alla parrocchia di quella frazione, un impianto consono alla nuova realtà organizzativa, fra le proteste di parte della cittadinanza leonicena, alla quale veniva sottratto un pezzo di storia.

    Pur arrivando le prove di campionato del mondo, il sogno dell’allora Presidente Cav. Luigi Ugo Manega e di tutto il consiglio direttivo del Moto Club, era quello di tornare in patria e cioè a Lonigo e costruire una nuova pista iridata.


    La “terra promessa” fu trovata in via S. Marina ed il grande sogno divenne realtà, con un miracolo di grande volontà e dedizione da parte di tutti i soci, i quali prestarono la loro opera gratuitamente in tutti i momenti liberi dai loro interessi personali e dal loro lavoro.

    image la pista nuova agli inizi
    I lavori iniziarono nei primi giorni di Gennaio 1977 e l’impianto fu pronto il 12 Giugno 1977, collaudato con l’organizzazione della semifinale del campionato del mondo a coppie, con uno strepitoso successo di pubblico e con il plauso delle autorità civili e sportive della Federazione Nazionale ed Internazionale, i quali avevano considerato il complesso sportivo come uno dei più belli d’Europa.

    Da quel fatidico giorno, la nostra associazione sportiva ha incamerato sempre maggiori successi, organizzando manifestazioni nazionali ed internazionali e ben 5 finali mondiali delle varie categorie, tre Grand Prix, ricevendo inoltre dal C.O.N.I. la medaglia d’oro al merito sportivo nel 1996, anche per l’attivita mai interrotta nei suoi primi 50 anni.

    Il binomio Lonigo - Speedway, si impone prepotentemente anche a livello di risultati sportivi conquistati dai suoi piloti nelle varie discipline a cominciare da Annibale Pretto, primo grande pilota leoniceno, il quale conquistò due titoli nazionali, proseguendo con Francesco Bigiato che conquistò tre titoli nazionale e fu il primo pilota nazionale a conquistare una finale del campionato del mondo, arrivando ad Armando Dal Chiele, premiato con la medaglia F.I.M. per il suo terzo posto conseguito nella finale mondiale di grass - track nel 1993.


    Dal club di Lonigo, il quale conta circa 10 piloti iscritti, sono usciti anche tanti altri bravi piloti, tra i quali: l’astro nascente Paolo Noro, ritiratosi prematuramente dalle competizioni per un brutto incidente in gara; Valentino Furlanetto vincitore di due titoli nazionali; Giorgio Zaramella ed Ottaviano Righetto, facenti parte per molto tempo del gruppo della nazionale di Speedway; Giuseppe Scalzolaro, anche lui ritiratosi per un grave incidente e tanti altri tra i quali Stefano Alfonso e Andrea Maestrelli, campioni nazionali senior ed junior nel 1998; Marco Salmistraro campione junior a soli 15 anni.


    Dopo la vittoria degli Internazionali d’Italia (campionato italiano a squadre) nel 2004, l’associazione ha visto trionfare i suoi piloti nel 2006 in tutte le categorie dello Speedway, vincendo gli Internazionali d’Italia a squadre, facendo sue tutte le 5 gare programmate con notevoli distacchi sugli avversari ed i titoli individuali senior open ed under 21 con Mattia Carpanese.


    I nomi nuovi e futuri campioni del Moto Club Lonigo oltre a Mattia Carpanese, sono i fratelli Daniele e Denis Tessari, tutti giovanissimi, coadiuvati dagli esperti Cristian Miotello e Simone Tadiello.

     
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