AQUILE,FALCHI E GUFI

.....ED ALTRI RAPACI

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    Lophaetus occipitalis





    L'aquila crestalunga (Lophaetus occipitalis) è un uccello da preda. Come tutte le aquile, appartiene alla famiglia degli Accipitridi. Attualmente viene inclusa nel genere monotipico Lophaetus.
    L'aquila crestalunga ha dimensioni minori dell'aquila marziale. La lunghezza si aggira sui 55 cm, con una apertura alare di 1,15 cm. Il piumaggio è di colore bruno scuro, più chiaro sul petto.
    È diffusa in tutta l'Africa sub-sahariana.
    Si ciba di roditori ed uccelli.
    La femmina depone normalmente due uova rotonde e di colore pallido.







    Stephanoaetus coronatus





    L'aquila coronata (Stephanoaetus coronatus Linnaeus, 1766) è un uccello rapace della famiglia degli Accipitridi diffuso in Africa, avendo bisogno di una vasta area per procurarsi il cibo non si ritrovano mai in gruppi numerosi. Per le sue piume, in alcune tribù dell'Africa occidentale è spesso oggetto di caccia.

    La sua lunghezza varia da 65 a 75 cm, le pime gli copre gran parte del corpo, lasciando scoperto gli artigli, il becco grigio-bluastro e le zampe gialle oltre alla tipica cresta da cui prende il nome.

    Diffusa nei paesi dell' Africa sub-sahariana, dal Ghana al Sudan, l' habitat naturale di questa specie varia dalle foreste con forti precipitazioni alle aperte savane.

    Si cibano di piccoli mammiferi, come le scimmie, quali i colobi ed i cercopitechi, ma a volte riescono a catturare anche antilopi, uccelli e rettili.

    Durante la stagione degli amori volano insieme (anche ad altezze che possono arrivare quasi a 1500 metri).
    CaratterisTica dei nidi dell'aquila coronata è che vengono utilizzati per più di una stagione e ogni volta gli uccelli aggiungono altro materiale, raccolto dall'esemplare maschio, creando nidi molto grandi.
    La cova delle due uova dura da 6 a 7 settimane, anche se è stato osservato come solo un esemplare sopravviva alla fine, il ciclo di riproduzione dura 17-18 mesi. Se lasciati vuoti i nidi vengono depredati dai babbuini.










    Polemaetus bellicosus





    L'aquila marziale (Polemaetus bellicosus) è la più grande aquila dell'Africa ed è l'unico membro del genere Polemaetus.

    Questa specie possiede notevoli dimensioni: è lunga 76-90 cm, pesa approssimativamente 5.2 kg ed ha una apertura alare di 190-260 cm.
    La colorazione del piumaggio è bruna sulla parte dorsale e sulla testa, mentre è bianca sul ventre.

    L'aquila marziale è diffusa nell'Africa centrale e meridionale. Dimora su alberi isolati di boschi non fitti.

    Dotata di una egregia forza e di considerevole ferocia, questa aquila caccia prevalentemente nelle prime ore del mattino ed in quelle serali e si ciba soprattutto di lepri, di antilopi e di gallinacei.

    La femmina depone nel nido, costruito sugli alberi più alti o negli anfratti delle pareti rocciose, due uova bianchissime.



     
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  3. gheagabry
     
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    Hieraaetus fasciatus



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    L'Aquila del Bonelli (Hieraaetus fasciatus, Vieillot 1822) è un uccello rapace della famiglia degli Accipitridae.

    Se ne conoscono due sottospecie:
    Hieraaetus fasciatus fasciatus
    Hieraaetus fasciatus renschi

    In volo è riconoscibile da altri rapaci per la macchia bianca che ha sul dorso, per il rimanente ha una colorazione, variabile con l'età, prevalemente di bruno rossiccio e con ventre chiaro striato di macchie più scure.
    La specie presenta un discreto dimorfismo sessuale: la femmina ha una taglia media di 70 cm, un'apertura alare di quasi 180 cm, per un peso di quasi 2000 grammi. Il maschio ha dimensioni inferiori, non supera i 1500 grammi di peso e la taglia di 65 cm.In volo è riconoscibile da altri rapaci per la macchia bianca che ha sul dorso, per il rimanente ha una colorazione, variabile con l'età, prevalemente di bruno rossiccio e con ventre chiaro striato di macchie più scure.
    La specie presenta un discreto dimorfismo sessuale: la femmina ha una taglia media di 70 cm, un'apertura alare di quasi 180 cm, per un peso di quasi 2000 grammi. Il maschio ha dimensioni inferiori, non supera i 1500 grammi di peso e la taglia di 65 cm.


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    È diffuso in Africa, Europa, Asia meridionale e in alcune isole del nord dell'Oceania.
    In Italia si trova solo in Sicilia e probabilmente in Sardegna, con segnalazioni storiche ed attuali in Calabria.
    Il suo habitat è costituito da una commistione di praterie naturali, aree agricole estensive e pascoli, intercalati da aree a vegetazione arbustiva mediterranea.

    Si ciba prevalentemente di piccoli mammiferi, ma anche di uccelli che riesce a prendere in volo con grande abilità. Durante il periodo riproduttivo la sua dieta è costituita per quasi il 50% da conigli selvatici

    Piuttosto precoce, inizia il corteggiamento in dicembre. La deposizione avviene solitamente entro la seconda decade di febbraio, mentre gli involi tra fine maggio ed inizio giugno.

    È specie protetta ai sensi della legge 157/92 . La sua sopravvivenza è a rischio elevato. I pericoli maggiori sono rappresentati dal bracconaggio, dalle trasformazioni degli habitat, spesso causate dall'abbandono delle colture tradizionali, dalla sempre maggiore presenza umana nelle aree vocazionali per la specie e dai frequenti incendi dolosi. La popolazione italiana è pressoché concentrata in Sicilia, in cui nidificano 16-19 coppie .

     
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    Aquila pennata




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    Aquila di dimensioni simili a quelle di una poiana con coda lunga e squadrata, è possibile osservare esemplari chiari e scuri.

    Lunghezza da 45 a 55 cm. Peso tra i 0,7 e 0,9 kg Apertura alare sino da 110 a 132


    Vive nel sud Europa, Nord Africa e in tutta l'Asia, è un uccello migratore che sverna in Africa ed Asia


    Caccia piccoli mammiferi, roditori ed altri uccelli
     
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  7. gheagabry
     
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    Storia della Falconeria


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    Alla domanda dove sia nata la Falconeria non possiamo ancora rispondere con certezza. Le ipotesi presentano come culla della Falconeria la Cina o addirittura la Mesopotamia, tra il Tigri e l'Eufrate.

    Per quanto riguarda gli Egizi si é attualmente a conoscenza della loro adorazione del Falco sacro in base alla testimonianza riportata nella tavolozza di Narmer risalente alla prima dinastia (probabilmente la più antica rappresentazione in pietra di un falco). E' comunque da ricordare che gli egizi riconoscevano però il Falco sacro come una divinità, quella del dio Horus, non facendone quindi oggetto di caccia nonostante avessero già addomesticato numerosi animali.

    Nelle regioni mesopotamiche esiste la rappresentazione del dio Aura Mazda come un toro dotato di doppie ali. Tale dio rappresentava la simbologia del potere. Mai appaiono però rappresentazioni di falchi addestrati o meno.

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    Negli scritti di Arpa si può notare come non sia mai stata osservata la presenza di tracce dell'addestra-mento dei falchi nei reperti ar-cheologici persiani e nord-africani.

    La più antica informazione risale quindi ad un sovrano cinese vissuto nel VII secolo a.c.. All'epoca la Cina appariva culturalmente avanzata rispetto allo situazione europea del tempo. Già con altri animali i cinesi erano giunti a buoni risultati nel-l'opera di addomesticamento. Non é escluso che essi stessi abbiano po-tuto creare una situazione favore-vole alla nascita di quest'arte. Nei reperti cinesi della dinastia Han (206 a.c.) sono riscontrabili disegni e dipinti murali rappresentanti scene di caccia con il falco.



    Arpa riferisce inoltre di aver in prima persona visionato tali reperti e di essere a conoscenza di altri dipinti risalenti però alla più recente dina-stia T'ang (618d.c.).

    Importante é sottolineare la presen-za di un elemento probabilmente fondamentale per la diffusione della Falconeria. Chang-an, l'attuale X'ian, rappresentava sotto la dinastia Hang, una fiorente presenza di attività commerciali con l'estero e contava già allora circa due milioni di abitanti, avendo quindi il primato della città più popolosa del mondo. Da lì partiva appunto la via della seta, probabilmente primo veicolo di diffusione della Falconeria. Da Chang-an partivano quindi collegamenti commerciali verso Wuwei, Kashgar, Samarcanda, Baghdad, Palmira e Antiochia. In tal modo la Falconeria di diffuse nel mondo arabo, mentre un'altra via, all'altezza di Samarcanda, si staccava costeggiando il lago d'Aral e il mar Caspio verso nord. La via procedeva poi verso il Kazakistan, la Russia bianca e da Kiev arrivò fino in Cecoslovacchia, Austria, Germania, Italia, Francia e Spagna. L'Europa fu così raggiunta dall'arte della Falconeria, soprattutto ad opera delle ondate degli Unni che si rivelavano abili cacciatori.




    Quindi il flusso di diffusione ebbe origine dalla Cina con due diret-trici: una che portava verso l'Euro-pa, e l'altra verso l'Asia minore.

    Altre informazioni più tardive sono riportate per cercare di spiegare la diffusione della Falconeria.

    Nel 506 d.c. il Concilio di Agda proibisce agli ecclesiastici la Falco-neria, proibizione poi ribadita nei concili di Epaon (517) e di Macon (585). Anche nella legislazione lon-gobarda appaiono legislazioni ver-so la Falconeria. Carlo Magno pub-blica un editto in cui viene punito il furto di un falco addestrato con una sanzione, oltre alla restituzio-ne di un altro falco di eguale bra-vura.

    La Falconeria si diffonde sempre di più, tuttavia, prima del 1000, ebbe un modesto sviluppo soprattutto per quanto riguarda il ceto medio, mentre precedentemente era pre-rogativa del ceto elevato. Ipotesi e supposizioni vengono fatte nei ri-guardi della Francia, della Germa-nia e dell'Inghilterra, dove si pen-sa che la Falconeria fosse già pra-ticata fin dal IV secolo, mentre nella Spagna fosse praticata dal V secolo.

    La direttrice "europea" si consolidò verso l'800 con i Franchi di Carlo Magno, mentre la direttrice asiatica, portata da Attila fino a Costantinopoli, si consolidò verso il 700 con gli arabi che la portarono fino in Spagna.


    Importante fu la diffusione delle tecniche arabe per la Falconeria, più raffinate di quelle europee e portate in occidente soprattutto con le Crociate. D'esempio é l'utilizzo del cappuccio in sostituzione della cigliatura, cappuccio che si presentava differente dall'attuale, ma che era comunque importante per tranquillizzare l'animale. Si pensa addirittura che durante le Crociate la Falconeria fosse una funzione di fraternizzazione tra i signori combattenti che arrivarono addirittura a cacciare assieme nei periodi di tregua.


    Per quanto riguarda l'Italia, la Falconeria giunge da noi attra-verso due strade. Dalla Sicilia per opera di arabi e normanni, e dal-la Germania. L'unione di svevi e normanni fonde le due correnti di Falconeria. Primo cultore norman-no della Falconeria in Sicilia fu Ruggero II, ma anche Federico Barbarossa fu un ottimo Falconiere




    Ma il massimo esponente della Falconeria fu Federico II imperatore (1194-1250), nipote di Federico Barbarossa. Imperatore di fertile intellingenza, scrisse anche uno dei migliori Trattati di Falconeria sui temi etologici e naturalistici riguardante i volatili in genere ed i falconi in particolare: il "De Arti Venandi cum Avibus". L'importanza di questo libro in ambito di Falconeria é tuttora di fondamentale importanza. Nel corso di Falconeria organizzato annualmente dall'Associazione Italiana per la Falconeria, tale scritto è utilizzato come "libro di testo".

    Federico dava un'estrema importanza all'arte della Falconeria. Nel suo scritto, affrontato in modo scientifico, si può notare come tutto ciò che dica sia caratterizzato da un profondo interesse per questa attività.

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    Per l'imperatore, una giornata sen-za Falconeria era una giornata persa. Anche quando era in bat-taglia riusciva a ritrovare ritagli di tempo in cui andare a caccia col falco. Durante l'assedio di Parma, però, i parmensi si accorsero della sua assenza e approfittarono del-l'occasione per uscire dalle mura e massacrare il suo esercito.

    Idea di Federico era che il Falco-niere praticasse questa attività non per il carniere, ma per addes-trare il suo falco meglio degli altri e per farsi onore durante la caccia.

    La visione della Falconeria da par-te dei mongoli era parte integra-nte della loro vita. Volevano con-quistare il mondo a cavallo, con l'arco a tracolla e sulla sinistra il falcone o l'aquila. Temujin, nato nel 1203, sosteneva che "quando i mongoli non sono occupati nella guerra, si devono dedicare alla caccia".


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    Nel XIII secolo Brunetto Latini dava alcune nozioni di falconeria nel suo "Tesoro". Dante Alighieri, sempre nel XIII secolo, verseggia:

    "L'anima che corre al richiamo
    si assomiglia al falcone che vola al logoro

    quale il falcone che prima à piè' il mira

    indi si volge al grido e si protende

    per lo desio del pasto che là il tira

    lo spirito disdegnoso si paragona al falcone disilluso

    come il falcon, ch'è stato assai sull'ali

    che senza veder logoro od uccello

    fa dire al falconiere. oimè tu cali,

    discende basso onde si mosse snello

    per cento ruote e da lungi si pone

    del suo maestro disdegnoso e fello"


    Nel Medioevo e nel Rinascimento la falconeria non rimane prerogativa dei signori e delle dame, ma viene praticata anche da vescovi ed abati. Un'usanza era quella di portare i falchi in Chiesa durante le sacre funzioni. Gli eccelsiastici posavano i falchi dal lato dell'evangelo, i nobili dell'epistola.


    L'antica Via della Seta
    In questo periodo la falconeria é sempre più diffusa sia nei paesi euro-pei che arabi.

    Per sottolineare comunque l'estremo peso dato alla Falconeria, basti pen-sare che nel 1422, sotto il doganato di Francesco Foscari, un ambsciatore del conte Lazzero trattò la ribellione degli Scutari donando al doge, tra l'altro, quattro astori e quattro falconi bianchi d'Islanda.

    Invece nel 1498 la Repubblica di San Marco inviava tre ambasciatori al re di Francia con in dono sessanta falconi presi nell'isola di Candia.

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    Ancora, in un decreto della signo-ria del 7 novembre del 1500 é detto di pagare al nobil uomo Gianfrancesco Veniero la somma di 400 ducati d'oro per i quaranta fal-coni che lo stesso aveva procurato alla Serenissima per inviarli sem-pre al re di Francia.

    Un altro scritto di Falconeria é sta-to prodotto nel 1500 da Francesco Sforzino da Carcano (si chiamava Sforzino per aver avuto un suo avo goduto dei favori di Francesco sforza). Si può dire che dopo il Trattato di FedericoII sia il migliore nell'esposizione della caccia con gli astori. Tre sono i suoi libri sugli uccelli da rapina. Nel suo libro par-la di tutti i tipi di astore, dall'astore schiavo a quello armeno e sardo, calabrese, genovese, del Cadore. A parte qualche ingenuità nell'e-sposizione, tutto sommato la sua competenza in merito é credibile.

    La Falconeria ebbe nella vita delle casate più illustri, per lo spazio di circa quattro secoli, un'importanza quale oggi sarebbe difficile da immagiare , poiché niente vi é di simile nei nostri costumi moderni.





     
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  8. gheagabry
     
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    L'aquila gigante e quella nana





    Sembrano uscite dalla fantasia di uno scrittore, ma sono realmente esistite: enormi e rapacissime. Sono le aquile di Haast, estintesi 500 anni fa. E parenti delle aquile più piccole della Terra.

    L'aquila attaccava di lato.
    Illustrazione: © John Megahan/PLoS
    Le abbiamo viste volare nella trilogia del Signore degli Anelli, frutto della fantasia di J.R.R. Tolkien e del regista Peter Jackson. Ma in Nuova Zelanda, luogo delle riprese del kolossal, le aquile giganti sono esistite davvero. Pesavano fino a 14 kg, per un'apertura alare di 3 metri, e si sono estinte appena 500 anni fa, due secoli dopo l'arrivo dell'uomo. I rapaci in questione sono le aquile di Haast, oggetto di un complesso studio condotto da un'équipe dell'università inglese di Oxford, guidata dal professor Alan Cooper.
    Collezionista di ossa. Cooper è riuscito a estrarre, da ossa dell'uccello vecchie almeno 2.000 anni, un tratto completo di Dna che è stato confrontato con quello di altre aquile viventi, per verificare la più prossima parentela del colosso scomparso. Ed ecco la sorpresa: l'aquila di Haast, più grande del 40% rispetto al maggiore rapace vivente, l'arpia dell'America Latina, è parente stretta della più piccola aquila conosciuta, l'aquila minore australiana (Hieraaetus morphnoides), che vive tra Australia e Nuova Guinea e non raggiunge il peso di 1 kg. I due uccelli, per quanto così diversi, hanno avuto un antenato comune, anch'esso di piccole dimensioni, meno di un milione di anni fa.
    Crescita veloce. E secondo Michael Bunce, uno degli studiosi impegnati nella ricerca, «questo significa che dopo il suo arrivo in Nuova Zelanda, l'aquila ha accresciuto le sue dimensioni di 10-15 volte in un periodo relativamente breve. Un cambiamento evolutivo che non ha precedenti per gli uccelli». L'aquila di Haast ha anche un altro primato: «È l'unico rapace divenuto il predatore di punta nella catena alimentare di un ecosistema terrestre», dice il paleobiologo Richard Holdaway dell'Università di Caterbury, anche lui impegnato nella ricerca. Cacciava anche il gigantesco moa, un uccello terrestre simile agli struzzi che pesava fino a 200 kg.


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    Molto prima che gli umani colonizzassero la Nuova Zelanda, circa 750 anni fa, aquile giganti ormai estinte dominavano i cieli della zona, piombando a piacimento sulle loro prede, solitamente uccelli incapaci di volare. Lo ha rivelato oggi un nuovo studio in materia.

    Gli scienziati erano già a conoscenza da oltre un secolo dell'esistenza dell'aquila di Haast, grazie ai resti rinvenuti sul luogo, però non era mai stato effettivamente chiarito il comportamento di questi animali giganti.

    Per via delle loro dimensioni -- arrivavano a pesare anche 18 chili -- alcuni scienziati avevano stabilito che questi animali fossero più cacciatori che predatori.

    Ma questo nuovo studio non solo sostiene che l'aquila di Haast fosse un temibile predatore, che attaccava le sue prede attendendole sulla vetta di una montagna, ma anche che il suo corpo si è progressivamente evoluto rispetto ad antenati di ben più limitate dimensioni.

    I ricercatori Paul Scofield del Canterbury Museum, in Nuova Zelanda, e Ken Ashwell dell'University of New South Wales hanno utilizzato tomografie computerizzate e a raggi X per ricostruire cranio, occhi, orecchie e spina dorsale dell'antica aquila.

    Questi dati sono poi stati messi a confronto con quelli relativi ai moderni predatori e agli uccelli di terra per determinare le abitudini dell'animale.

    "Questo lavoro è un brillante esempio di come le nuove attrezzature e tecniche mediche possano essere utilizzate per risolvere i misteri del passato", ha detto Ashwell, uno degli autori dello studio. E' anche la dimostrazione che la tradizione orale di popoli antichi può unirsi alla ricerca scientifica per giungere alle medesime conclusioni, secondo l'altro autore Scofield.

    "Infatti questo studio valorizza la mitologia Maori dei leggendari pouakai o hokioi, uccelli giganti in grado di aggredire anche gli essere umani".

    L'aquila di Haast si è estinta circa 500 anni fa, probabilmente per via della distruzione del suo habitat naturale e per l'estinzione delle prede di cui si cibava.

    Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Vertebrate Paleontology.


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  12. gheagabry
     
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    Nottambulo guardiano della notte, silenzioso ed attento, vegli sulla foresta dall'alto del tuo rifugio.


    IL GUFO





    Esistono due tipi di gufi, il gufo comune e il gufo reale.

    Il gufo comune o selvatico, è un rapace notturno, lungo 35 cm, con un'apertura alare tra gli 87 e i 94 cm, è caratterizzato da occhi di colore giallo arancio e da due vistosi ciuffi.
    Vive di preferenza nelle foreste di conifere e nei boschi misti alternati a zone aperte, dove occupa cavità d'alberi, nidi di corvi, gazze e scoiattoli. In questi nidi la femmina depone 4-5 uova bianche e rotonde (verso marzo aprile) che dopo un periodo d'incubazione di 25-30 giorni si schiudono. Il maschio nutre la femmina: i piccoli non abbandonano il nido che ad un mese e mezzo d'età; dovrà passare ancora un mese prima che siano in grado di volare...Il gufo ha abitudini strettamente notturne (vede anche di notte, i suoi occhi approfittano del minimo bagliore) e se ne sta ben nascosto e immobile nelle ore di luce fino al crepuscolo; in quel momento inizia il suo volo silenzioso a non molta altezza dal suolo in cerca di preda. E' un eccezionale distruttore di animali nocivi. Può volare in pieno giorno quando è stato disturbato e riesce a catturare degli uccelli anche se il sole brilla sulla neve.
    Sebbene gli occhi siano immobili nelle orbite, la visione notturna è buona e l'angolo visivo ridotto è compensato dalla grande mobilità del collo: il gufo comune per esempio può ruotare il capo di 270°.

    Il gufo reale, simile a quello precedente, è il più grande rapace notturno italiano ed europeo vive nei boschi con scarpate rocciose...Oggi è piuttosto raro anche perché, essendo un predatore al vertice della catena alimentare, risente prima degli altri di ogni alterazione dell'ecosistema in cui vive.
    Il gufo reale è un uccello solitario; non migra e resta sempre all'interno del suo territorio personale. Trascorre le sue giornate nel nido, ricavato in genere dentro un grande albero cavo o in un anfratto roccioso, più raramente sul terreno, ed esce a caccia all'alba e poi di nuovo al crepuscolo.
    Ha grandi dimensioni: fino a 180 centimetri di apertura alare per quasi tre chilogrammi di peso e misura anche settanta centimetri di lunghezza.. Non facile da vedere, il gufo reale si può però sentire in febbraio, all'epoca degli amori.Non ha nemici e quindi uniformano la loro popolazione adeguando il numero delle uova deposte alla disponibilità di cibo. I nuovi nati che riescono a sopravvivere i primi mesi possono aspettarsi una vita anche molto lunga... alcuni gufi reali allevati in cattività sono vissuti fino a sessant'anni...In Italia il gufo reale è dovunque presente e nell'Abruzzo sembra un pò più comune che altrove.



    .....nei tempi remoti...


    Durante il Medioevo, molte persone credevano che i gufi avessere a che fare con la stregoneria. Si credeva che la notte di Halloween, demoni in forma di gufi viaggassero assieme alle streghe e ai loro gatti a bordo di manici di scopa per andare al Sabba delle Streghe. I gufi erano quindi anch'essi dei famigli, e di alcuni si credeva addirittura che fossero streghe travestite. Ragion per cui vedere o sentire un gufo era fonte di paura per molte persone. Anche nell'antica Roma il gufo era uccello di malaugurio: la loro presenza indicava cattiva fortuna, il gufo era chiamato STRIX dai Romani, parola che significa STREGA e a tutt'oggi c'è chi pensa che sentire un gufo nel buio della notte indichi morte o cattivi presagi. Ma non tutti mettevano in relazione il gufo e i cattivi presagi: gli antichi Greci lo ritenevano un uccello sacro, accompagnatore di Atena la dea della saggezza e patrona della città di Atene. Ecco perchè il gufo è anche definito un uccello "vecchio e saggio". Il gufo accompagnava anche la dea della guerra degli antichi Romani, Minerva. Il gufo è un simbolo molto fortunato per le streghe, e per le persone nate sotto uno dei tre segni di Terra Toro, Vergine e Capricorno. Gli Indiani d'America credono ancora oggi che il gufo sia il messaggero dei morti, mentre i maghi Peruviani lo usano nei loro incantesimi per combattere la magia nera.



    .....la simbologia.....



    Per i mortali legati alla terra e amanti del sole, il gufo - con la sua abilità di girovagare di notte perfettamente a suo agio e in silenzio - era temuto, anche perchè possedeva capacità che l'uomo primitivo poteva rispettare, ma non necessariamente capire. Tutto ciò che l'uomo teme come il buio e la notte - viene visto con sospetto. Così il gufo veniva adorato come conquistatore della notte, ma non sempre gli uomini si fidavano di lui.
    Il suo richiamo può essere imitato facilmente, quindi era il presagio di morte che risuonava subito prima di un attacco. In segno di rispetto molte tribù lo chiamavano anche "aquila della notte", mentre da altre parti ci si riferiva a lui come al grande ingannatore e le sue piume silenziose e folte erano "piume del mentitore", cioè di colui che ingannava la preda con un falso senso di sicurezza.
    Il gufo e il corvo/cornacchia hanno molti tratti in comune. Il gufo, con la sua capacità di individuare la preda in condizioni in cui l'uomo è praticamente cieco, viene associato simbolicamente alla chiaroveggenza, alla proiezione astrale e alla magia. Di certo i tre uccelli venivano trattati con la stessa mescolanza di ammirazione e apprensione. A livello sciamanico, i loro poteri sono facilmente corruttibili (in altre parole possono essere facilmente usati per scopi malvagi). La magia porta con se un'innata tentazione.
    Il gufo viene paragonato anche alla saggezza. Come le dee dell'antichità, permette di vedere la verità dietro la bugia. Analogamente, è in grado di sentire anche le parole non dette. Nota sfumature che altri perdono, è l'essenza della saggezza. Può essere invocato per guardare il mondo attraverso gli occhi di un' altra persona o per la visione a distanza. Per orientarsi, ecco una breve lista dei tratti specifici delle diverse specie:
    Il gufo delle nevi è bianco ed è messaggero di Wazi, il vecchio mago del nord, associato alla determinazione. E uno dei gufi diurni. Segue per istinto, a volte addirittura precedendola, la selvaggina migratoria. Parla di tempo, profezia e silenzio.
    Molti credono che il gufo rappresenti la saggezza. Può essere invocato per individuare oggetti perduti. Invocarlo significa agire con visione interiore e può essere chiamato anche nel momento in cui si ha bisogno di vedere chiaro nelle tenebre, sia a livello spirituale sia fisico. Rende quindi in grado di affrontare i problemi della vita. Quando appare, può significare che si sta brancolando nel buio. Porta quindi ammonimento, insieme alla visione notturna necessaria per penetrare l'oscurità. Il suo arrivo suggerisce che c'è bisogno di discrezione e osservazione per tenere lontano un attacco. A seconda della specie che appare, può essere il momento di dare un segnale di allarme (gufo comune), o di sedersi, confondersi con l'ambiente, aspettare e vedere quello che succede dopo (gufo delle nevi).



    ..........nelle leggende...........


    Narra la leggenda popolare che, Dio, creò il mondo con tutti gli animali, ma che poi, riguardando il gufo, un po’ si pentì di averlo fatto così strano, con occhi così grandi, abitudini bizzarre e notturne. Allora, gli volle fare un grande dono: sarebbe diventato l’animale della buona sorte, quello che avrebbe sempre portato con se i buoni auspici per migliorare la vita di coloro che se lo sarebbero tenuto vicino, senza averne paura. Così si racconta anche in una antica filastrocca popolare di montagna: “Gufo, gufo della notte scura, che porti via fame e paura.. veglia su tutte le nostre genti, vecchi, bimbi e sugli armenti. Col tuo canto, che può far paura, proteggi gli amici con madre natura... Fate, gnomi fastidiosi folletti, non potranno più farci dispetti.”




    .......una favola....



    Il gufo guardava la luna. Ogni notte la stessa cosa. Lui le chiedeva di venir giù, ma lei era timida, e si nascondeva dietro le nuvole. Allora il gufo imprecava disperato. L’amore è una brutta malattia...Un giorno capitò uno straniero. Si assopì proprio sotto l’albero in cui dormiva il gufo. Il gufo si svegliò come al solito, dopo il tramonto, e si accorse di questo viandante, un tipo vestito di stracci e con un cappello a tesa larga.
    - Lei cosa ci fa qui? – gli chiese, sporgendosi dal buco nel tronco che era l’ingresso della sua umile dimora....- Cerco la sorgente… – rispose lo straniero, alzandosi e togliendosi il cappello.
    - La sorgente del tempo? – chiese il gufo, che la sapeva lunga....- Si. Ho barattato una pentola d’oro per sapere dove si trova. Spero di non essere stato ingannato – disse preoccupato il viandante.
    Il gufo lo guardò con i suoi occhi giallissimi. Ormai era buio, e presto sarebbe dovuto uscire per cacciare. Ma quell’uomo lo incuriosiva. Un altro sognatore alla ricerca della mitica sorgente. Come se si potesse seguire semplicemente un sentiero per arrivarvi. La sorgente del tempo….
    - No, al contrario. È sulla strada giusta. Ma permettetemi una domanda ancora. - ..- Prego, signor Gufo. -..- Lei mi sembra un giovane in gamba. Come posso spiegare… Mi piace il suo cappello, ecco qua! Comunque, un tipo in gamba con un cappello come il suo perché dovrebbe barattare una pentola d’oro per sapere dove si trova la sorgente del tempo? –
    - Beh, tutti vogliono sapere dove si trova la sorgente, no? - .. - Appunto. E crede che una pentola d’oro possa bastare? -
    Allo straniero sfuggì un mezzo sorriso. Il gufo si augurò che avesse capito. Poi si alzò in volo, scomparendo nel cielo scuro. La caccia iniziava…
    Con l’oro non si compra la conoscenza. Al massimo si può rimediare una botte di vino, che non è male...Lo straniero tornò a casa, deluso ma non affranto...Il gufo invece tornò a guardare la luna.



    « "Oh, che bel gufo impagliato!"
    "I-i-i-impagliato? Bada a come parli!"
    "Ma è vivo! E parla!"
    "E sicuramente molto meglio di te." »

    (Scambio di battute tra Artù ed Anacleto all'inizio del film La spada nella roccia)


    Anacleto è un personaggio disney del film d'animazione La spada nella roccia della Walt Disney Company (1963). È il gufo parlante di Mago Merlino. Nell'originale in lingua inglese il suo nome è Archimedes...Anacleto è un gufo dal piumaggio marrone, gli occhi gialli ed un carattere piuttosto difficile e scontroso, benché gran parte delle vicende che lo riguardano risultino coincidere con le scene più comiche del film. Il suo cuore però è nobile, e lo dimostra quando salva Semola (il futuro Re Artù), tramutato in un pesce da Merlino, dai denti di un grosso luccio nello stagno circondante il castello di Ser Ettore. Quando inoltre Merlino perde la pazienza cercando di istruire Semola (in quanto aveva intuito l'onorevole futuro che lo aspettava), è Anacleto che prende sotto la sua custodia il giovane e gli insegna l'alfabeto. Quando poi il mago trasforma Semola in un uccello, Anacleto si presta a fargli da insegnante di volo.
    Anacleto viene utilizzato da Merlino come spia per seguire l'addestramento di Semola da parte di Ser Ettore, una sorta di patrigno di quest'ultimo, oppure accade che il gufo parlante ricordi al mago qualche formula magica ("Aquarius, aquaticus, aqualitus"...). Anacleto è spesso in contrasto di idee con Merlino per quanto riguarda i progressi dell'umanità nei secoli a venire, che il mago riesce a prevedere. In particolare Anacleto non crede che l'uomo riuscirà mai a volare, in quanto non dotato di ali dalla natura. Una delle scene più celebri del cartone animato vede Merlino minacciare Anacleto di trasformarlo in un uomo, con gran terrore del gufo.
    Anacleto è passato alla storia, nella versione italiana del film, per una storica risata e per la battuta in risposta a Merlino


    « "Ah, ah, ah! Cala, cala! Merlino" »

    (Anacleto risponde a Merlino che esagera nella descrizione dei suoi poteri di prevedere il futuro La spada nella roccia)




    ........ nella poesia............


    I gufi
    Sotto i neri tassi che li coprono..i gufi stanno in fila come divinità straniere..Con occhi di fuoco. Essi meditano.
    Immobili se ne stanno fino all'ora melanconica in cui spingendo via il sole pendente, si stabilirà la tenebra.
    Il loro insegnamento insegna al savio che bisogna evitare in questo mondo il tumulto e i sommovimenti;
    l'uomo ebbro per una fuggevole ombra porta per sempre il castigo d'aver voluto muoversi per lei.
    C. Baudelaire



    Riflessi d'oro negli occhi di un gufo tra i bagliori di una luce artificiale m'han fatto intendere di essere ormai stufo delle scintille di una vita virtuale. Da dove arrivi,gufo reale, invisibile re delta notte, ingannato da un faro o da un gatto che si arrampica lungo le scale? Portami nei regni della fantasia tra maghi, streghe, folletti e fate, regalami un sorso d'euforia dove non c 'e nè fame nè sete. Chi ti ha parlato del mio sogno, di navigar sulle ali del silenzio per regalare al mondo forse un segno e saper dare un degno giudizio? Forse hai colto un disagio esistenziale di una vita tra il monte e il mare, forse hai sentito,o gufo reale, inesprimibili parole amare! Da dove arrivi, fantasma alato, sulle agili correnti della gloria come l'ala d'un nobile fato come voce d'un'insolita storia!





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  13. gheagabry
     
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    Un’ombra scura vola nell’aria, possente e maestosa, è l’aquila, superbamente libera nei cieli, dove la natura trasmette ancora i suoi valori. Ne seguo l’ascesa con riverente ammirazione, osservo l’ampiezza delle sue ali spiegate nel volo, la sua simulata danza nella brezza leggera, ne ammiro la grazia finche la vedo posarsi lontano e la sua figura stagliarsi sullo sfondo imponente d’una vetta.Anonimo



    L'AQUILA



    L'aquila può essere di diversi tipi: l'aquila dal ciuffo, l'aquila bellicosa, l'aquila del Bonelli, l'aquila reale, l'aquila della lunga coda e l'aquila di mare. L'aquila dal ciuffo misura circa 60 centimetri di lunghezza. Il suo piumaggio è bruno scuro, con parti inferiori delle ali bianche. Un alto e largo ciuffo verticale e triangolare orna il capo di questo rapace. E' diffusa in tutta l'Africa, a sud del Sahara, dove la si incontra nelle regioni boscose in particolare lungo i corsi d'acqua. Posata sulla cima di una mimosa, raggrinza la fronte, socchiude gli occhi e drizza verticalmente il ciuffo, e allarga le penne dei fianchi, raddrizza tutte le altre e abbassa il ciuffo. Trascorre intere giornate a fare ciò. Ma non appena scorge una preda la sua apparente sonnolenza scompare e si lancia sulla preda.

    L'aquila bellicosa
    è la più robusta delle aquile indigene dell'Africa. E' riconoscibile per il corto e largo ciuffo sull'occipite e può misurare sino a un metro di lunghezza. Il suo piumaggio è nero con riflessi bruni nelle parti superiori del corpo e del petto, e bianco macchiato di nero nelle parti inferiori. Si stabilisce prevalentemente sugli alberi isolati, dato che la sua innata diffidenza la sollecita a tenere tutto sotto controllo.
    Il nido è costituito da rami robusti, da muschio, erica e steli ed ha un diametro variabile tra un metro e mezzo e due metri ed è moto saldo che viene utilizzato per anni. La covata si limita quasi sempre ad un uovo solo.

    L'aquila del Bonelli
    fu chiamata così in onore di un celebre naturalista italiano del secolo scorso. Lunga circa settanta centimetri, ha un'apertura alare di metri 1,70 e può pesare da 1,6 a 2 chilogrammi. E' più agile delle altre aquile. La parte superiore del suo corpo e le ali sono di colore bruno scuro, mentre le parti inferiori sono bianche striate di nero.Essa vive sulle montagne rocciose. In inverno scende nelle pianure, ma non compie migrazioni. Alla velocità del falco, unisce l'agilità della sparviere e il coraggio dell'Aquila reale.Il nido è generalmente situato nella spaccatura di una roccia, sulla sommità di una parete scoscesa, ma in Africa se ne trovano anche sugli alberi. Il nido viene costruito con ramoscelli, mentre la cavità interna è tappezzata da piume dell'uccello stesso. La femmina depone due uova bianche a volte punteggiate.

    L'aquila reale
    è la più grossa e la più forte delle aquile: la protagonista delle più antiche leggende, il simbolo della forza e della potenza invincibile. E' lunga circa 95 centimetri, ha un'apertura alare di 2 metri, e pesa da 3 ai 6 chilogrammi. Il suo piumaggio è di colore bruno più o meno rossiccio. La sua area di diffusione ricopre l'Europa e gran parte dell'Asia e dell'America settentrionale. Essa si trattiene soprattutto in montagna, sulle pareti rocciose inaccessibili. Si può dire che l'aquila reale non ha nemico eccetto l'uomo. Il diametro dei nidi può raggiungere i 2 metri. Le uova dell'aquila reale somo piccole, rugose, e di colore biancastro, punteggiate di grigio e bruno. Il nido ospita due uova.

    L'aquila dalla lunga coda
    misura circa un metro di lunghezza e la sua apertura alare raggiunge i 2,40 metri. Ha un piumaggio color cioccolato sul dorso e nero nelle parti del corpo. Vive nelle foreste e nelle pianure dell'Austrialia, della Tasmania e della nuova Guinea meridionale.Costruisce i nidi sugli alberi nascosti e questo è composto da ramoscelli e all'interno è tappezzato di erba e steli.

    L'aquila di mare
    si distingue dalle altre aquile per l'assenza di piume nella parte inferiore del tarso. Essa è detta anche aquila nera, e può misurare sino a un metro di lunghezza, ed avere un'apertura alare di metri 2,65. Il piumaggio degli adulti acquisita all'età dei 6 anni, è bruno scuro, con testa, collo e coda di colore bianco giallastro. Nidifica nell'Europa orientale e settentrionale, in Islanda e lungo la costa meridionale della Groenlandia. E' un uccello tipicamente marino, che frequenta coste e rive dei fiumi. Nidifica lungo le spiagge del Mar Glaciale Artico.

    L'aquila calva
    è il simbolo degli Stati Uniti d'Amerca.Sia gli adulti maschi che le femmine hanno corporatura marrone solida e grande, la testa, il collo e la coda bianchi, zampe e becco gialli. Il piumaggio delle aquile calve giovani è una miscela di marrone e di bianco. Le piume dell'adulto si sviluppano quando è sessualmente maturo, ovvero a circa 4 o 5 anni... i loro nidi, a forma di scodella, in grandi alberi vicino ai fiumi o ai litorali. Un nido tipico è intorno 5 piedi di diametro. Le aquile usano spesso lo stesso nido anno dopo anno. Nel corso degli anni, alcuni nidi diventano enormi, fino a 9 piedi di diametro, pesanti due tonnellate.Il nido può essere costruito su di un albero, su una scogliera, o persino sulla terra se non ci sono altre opzioni disponibili.




    ................in cielo.................



    Ritroviamo l’Aquila in Cielo raffigurata nella Costellazione....Presenta una stella brillante ed altre di media luminosità. E' in parte attraversata dalla Via Lattea...l'Aquila caratterizza i cieli estivi. La sua culminazione a mezzanotte avviene infatti intorno a metà luglio. La sua stella principale, Altair, forma con Vega della Lira e Deneb del Cigno il celebre triangolo estivo che domina appunto il cielo dell'estate .

    ........mitologia.......

    .

    Era l’animale che identificava Zeus, insieme alla folgore e alla quercia, rappresentandone la regalità e la potenza. Ci sono vari miti legati al re degli uccelli e tutti riferiti a Giove; in uno di questi un ancora giovane Zeus, relegato sull’isola di Creta per sfuggire al padre Crono/Saturno, incaricò un’aquila di rapire un ancor più giovane Ettore in modo da poterlo istruire nell’arte della guerra e farlo diventare così invincibile. Ed in effetti il principe troiano diventò un grande guerriero anche se ebbe la sfortuna di trovare sulla sua strada un guerriero altrettanto forte di nome Achille. Secondo un altro racconto Zeus dall’Olimpo, incaricò un’aquila di rapire i bel Ganimede, di cui il dio si era invaghito, e di portarlo nella sua dimora celeste. Qui Giove decise che sarebbe diventato il nuovo coppiere degli dei; ma dopo una serie di disavventure (vd. Costellazione dell’Acquario) il giovane fu collocato in cielo (e infatti l’Acquario non è lontano dall’Aquila). Un’altra variante vuole l’aquila come inviata da Zeus per infliggere il quotidiano supplizio a Prometeo che fu legato ad una roccia del Caucaso per aver osato sfidare gli dei e aver regalato il fuoco agli uomini; il volatile tutti i giorni col suo becco aguzzo dilaniava il fegato del titano che magicamente ricresceva nella notte per far si che il tremendo supplizio non avesse mai fine. Queste sono le varianti mitiche più famose e tramandate riguardanti il sacro animale. Nell’antichità esso venne usato non solo per raffigurare Giove ma, ad esempio, i Romani lo adottarono, dal I sec. a.C. con Caio Mario, come insegna dell’esercito, passando quindi ad indicare il potere imperiale, di solito sulla sommità dello scettro degli imperatori era posta un’aquila, l’impero e la potenza stessa di Roma il cui dio protettore era proprio Giove. L’aquila come simbolo dell’impero si tramanderà nei secoli venendo adottata da Carlo Magno e da tutti i grandi imperi, e purtroppo anche dai regimi nazifascisti di inizio ‘900, che si rifacevano all’originaria grandezza di Roma. Basti vedere il VI canto del Paradiso, nella Divina Commedia, in cui Dante fa coincidere la storia di Roma con il volo di un’aquila.


    L’identificazione dell’aquila con le supreme divinità è riscontrabile anche nelle antiche tradizione degli indiani d’America... proprio nel corso delle loro danze rituali era operata attraverso l’estasi religiosa la personificazione tra i danzatori e questo volatile, sia sotto il profilo spirituale sia in quello propriamente fisico.
    Il fischietto d’osso e il mitico casco di penne d’aquila, il leggendario “War bonnet”, indicativo del massimo riconoscimento a cui loro aspiravano, .erano usati nella propiziatoria e spesso sciamanica, “danza del sole”. comune a molte etnie pellerossa, azteche e perfino nipponiche.


    ........LA PROFEZIA DELLA LUNA......



    Si sono cercati lungo gli orizzonti del mare e hanno recitato, insieme, la profezia della luna.
    Amami perdendomi. Gli pronunciò, proprio nel momento in cui il faro illuminava, in un mezzo giro, l’ansa del porto.
    Le mani non si intrecciarono.
    Lei guardò fisso il fascio di raggi. Luci nel tramonto. Tutto finì? In ogni fine c’è un inizio.
    Lei era una indiana della tribù degli Arrapaho e si lasciava andare nelle Danze dello Scalpo.
    Bella, con gli occhi penetranti nel verde dei giorni marini.
    Lui apparteneva agli antichi sciamani Navajo e si raccontava ritrovandosi nei giorni dell’infanzia tra il lancio delle frecce e i riposi lungo le sponde dei fiumi. Ogni freccia lanciata somigliava ad una parola portata via dal vento.
    Ogni passo nel cerchio della danza sembrava un gesto per sfuggire il presente.
    Ma può esistere il presente nel filo smagliato che intreccia il passato con ciò che sarà?
    “Vedi quel raggio di luce? È un’incisione nella tua memoria. Si perde e ricompare. Un gioco nel girotondo. I bambini hanno fretta di crescere. E quella luce gira, gira velocemente senza mai infrangersi. Di giorno non c’è, soltanto perché non la vediamo con il chiarore. La si ritrova se il giorno cede alle tenebre, al buio, alle tempeste che scuriscono. Ma il faro gira. Gira sempre. Io sto qui seduto da anni. Potrei dirti da una vita. Anche se spesso sono andato via. Ma è come se non fossi mai partito. E forse non sono mai partito. Resto qui perché ho bisogno di leggere fino in fondo i fasci di questi raggi che il faro proietta. Ecco perché sono un maestro nel lanciare frecce. Ho passato il mio tempo nella pazienza di trovare la freccia più bella. Forse l’ho trovata ma adesso è come se mi mancasse la forza di tirare l’arco. Mi alleno come quando ero ragazzo. Ascolto. Leggo nello scorrere del fiume e cerco i tuoi passi. Anzi chiedo ai tuoi passi di farsi sentire nella danza dei sogni”. Così disse lo sciamano Navajo.
    “Io non danzo la danza dei sogni. La mia storia tu la conosci. Ho cercato sempre i sogni ma molte volte hanno incendiato i miei capelli tanto che porto ancora delle strisce rosse e mi ricordano il fuoco, la cenere, il pianto. Ho sempre creduto o forse sperato nella possibilità che in ogni fine ci possa essere un inizio. Io non credo al caso. Appartengo alla famiglia degli Arrapato e mi porto dentro i riti e le tradizioni. Come te che sei sciamano negli occhi. Un po’ guaritore, un po’ fingitore, un po’ sognatore, un po’ viandante. Anch’io ho avuto tanta pazienza nel disegnare i passi nelle danze. E le mie non sono state danze dei sogni ma io sono stata la danzatrice degli Scalpi. Un rito che tu conosci bene. Non puoi non conoscerlo. Ma so che ci vuole molta pazienza”. Così parlò la danzatrice Arrapato.
    Ma un amore può vivere di foglie gialle perse tra i viali del tramonto?
    “L’amore non vive nei tramonti. E neppure tra le ore della nostalgia. Il tramonto e la nostalgia segnano la fine di un amore. Io resto, comunque, un tiratore di frecce. Non lo dimenticare. E ho bisogno della perfezione. Ancora oggi. Ma tu sei la mia freccia o il mio arco?”.
    “Io sono il tuo incantesimo. Ti meravigli? Sotto la luna continuo a recitare le danze. Le mie gambe hanno l’agilità delle tue frecce. Dirti che ti amo soltanto non è possibile. Dirti che mi appartieni è sconvolgente. Dirti che sei la mia pazzia è poco. Ma resto nel mio campo. A sera danzerò. Come un tempo i canti sono portati dal vento ed è il vento che modula le voci”.
    “Ogni parola è una lacerazione”.
    “Sì, le parole sono passi”.
    “Il mio sguardo è una freccia che si perde nella tua danza”.
    “La mia danza è fatta di passi che mi portano a te”.
    “Ma non possiamo intrecciare i nostri destini sino a smarrirci oltre il fascio di luci del faro. Come fare a congiungere le nostre attese alle nostre pazienze consumate? Io parto.Lascio l’arco e le frecce sono, quelle che rimangono, nella faretra. Non porto nulla con me se non la tua danza. La tua danza dentro di me”.
    “Lanciami la freccia. L’ultima. Poi giocherò la mia ultima danza e consegnerò ai crepuscoli gli intrecci della mia vita. La mia vita con te. Tu sciamano, io danzatrice. Tu lanciatore di frecce. Io danzo il Ballo dello Scalpo per assentarmi e guarire tra le tue mani”.
    Si sono cercati e si sono ritrovati. Ci sono gli orizzonti del mare e il mare all’imbrunire è un orizzonte.
    I deserti sono distanze e le praterie sono spazi lasciati agli allevatori di bisonti e cavalli.
    “Porto con me lo spirito del mio popolo. Porto con me il sogno. Gli uomini bianchi non conoscono la verità del mistero. Mi lascio guidare dal falco e ti vengo incontro lanciando l’ultima mia freccia sotto una luna di vento”.
    “Aspettami. Mi conduce a te la mia aquila. Ho sciolto i miei capelli e sono radici che hanno odore di erba e di terra. Penetro i tuoi segreti. I tuoi segreti che sono anche miei. Stasera danzerò solo per te. Sul tuo scialle ci ameremo.
    Il falco e l’aquila intrecceranno i loro voli nel vento della luna”.
    Così l’uomo falco Navajo e la donna aquila Arrapaho hanno recitato la profezia della luna.
    Nel cerchio dei falò la recita ha voci antiche.


    - leggenda nativi americani -



     
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