VENETO ... 2^ Parte

TREVISO ... VERONA ...CORTINA...

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. tomiva57
     
    .

    User deleted




    MASER

    image



    Collocazione: ai piedi dei colli asolani, sulla strada che da Cornuda conduce ad Asolo
    Frazioni: Coste, Crespignaga

    Cenni storici:
    Ritrovamenti di insediamenti paleolitici nelle grotte alle pendici dei colli circostanti. Importanti reperti di insediamenti romani di una colonia detta 'agrocenturio'.
    Maser subì le invasioni barbariche, e al tempo dei comuni divenne feudo di Feltre. Seguirono: Ezzelino da Romano, Iacopo Castelli; con la Serenissima arrivo il benessere al seguito della famigli Barbaro che qui si insediò ed avvio commerci. In seguito altre nobili famiglie veneziane investirono nella zona in attività agricole e fecero costruire splendide ville.

    Luoghi da visitare:

    La Parrocchiale di Maser(1739),
    la Parrocchiale di Crespignaga
    (1706) ospita un affresco di Giovan Battista Canal

    image



    la Parrocchiale di Coste ospita una notevole statua in legno dorato raffigurante S.Tommaso Apostolo

    image



    Villa Barbaro Volpi(1560) il Tempio Palladiano

    image



    Villa: Cà Nanni(1500) sede municipale, Pelizzari(XVI sec.), Querini(XVII sec.), Favaro, Pastega, Mazzarolo, Balza



    image
    il tempio




    Villa Barbaro

    image

    La Villa di Maser fu disegnata nel 1550 da Andrea Palladio per i fratelli Barbaro. Decorata con il ciclo di affreschi di Paolo Veronese e con gli stucchi di Alessandro Vittoria, l'edificio costituisce uno dei gioielli dell'arte veneziana del Cinquecento. E' circondata dal verde dei suoi vigneti e mantiene viva l'antica vocazione di Villa-azienda agricola grazie alla sua cantina.
    Nel 1996 è stata dichiarata dall'UNESCO monumento patrimonio dell'umanità.
    Attualmente abitata dai proprietari, la Villa ospita in un' adiacenza la Collezione di Carrozze.


    image



    Servizi e visite
    Le sale affrescate dal Veronese, la Collezione di carrozze, i vigneti e la cantina sono visitabili tutto l'anno.

    image


    image

    image

    image

    image



     
    Top
    .
  2. tomiva57
     
    .

    User deleted


    Possagno


    Da Wikipedia

    image




    Possagno è un comune italiano di 2.260 abitanti della provincia di Treviso, nascosto fra il Pareton e il monte Palon. Possagno si distingue dai paesi limitrofi per due motivi, uno storico, l'aver visto i natali dello scultore Antonio Canova, e uno economico, dato dalle industrie di laterizi presenti.


    image
    museo Canoviano


    Geografia

    Dal punto di vista geografico Possagno si trova circondato dai monti a nord e a sud, mentre nelle altre due direzioni si apre verso i paesi di Cavaso del Tomba e Paderno del Grappa (località Fietta). Si tratta di un piccolo agglomerato di case immerse nel verde in cui spicca il Tempio, posto in alto rispetto al resto del paese e l'imponente complesso degli istituti Cavanis.

    Nonostante il comune si estenda fino alla cima dei monti a nord e a sud, tutto il paese è disegnato attorno alle due strade che lo attraversano da est ad ovest, lasciando il fianco del monte Pallone (a nord) ricoperto dalla vegetazione, mentre quello del Pareton (a sud) mostra le conseguenze dell'attività estrattiva della creta dalle sue pendici.



    Storia
    Le origini del nome

    Un'ipotesi legherebbe il toponimo Possagno, attestato nel 1079 come Pusagno, al latino *pausaneus "luogo di sosta" (da pausa).

    La civiltà è presente a Possagno e in generale nella Valcavasia almeno dal neolitico o dall'eneolitico. Altri reperti testimoniano riguardano i Paleoveneti, mentre è possibile l'esistenza di un castrum romano e di un castelliere medievale.

    La prima citazione scritta è del 1076, quando la località era feudo dei Rover, famiglia di origine germanica. Dopo gli eventi bellici che hanno colpito il Trevigiano tra il XIII e il XIV secolo, dal 1388 anche Possagno è stato incluso tra i domini della Serenissima.

    Dalla fine del XVIII secolo la storia del comune è legata al celebre nome di Antonio Canova, delle cui opere spicca il tempio Tempio Canoviano, una chiesa progettata dallo scultore ispiratosi al Pantheon di Roma, e dalla Gipsoteca canoviana, raccolta di calchi e gessi presso la casa dell'artista.

    Durante la ricostruzione nazionale anche Possagno ha avuto un suo ruolo: nel comune nascono le fornaci che, sfruttando la creta delle colline vicine, riescono a produrre laterizi per tutta Italia, esportando l'80% della loro produzione. Con le fornaci arrivano le risorse economiche, ma Possagno non perde la sua identità di piccolo paese di campagna, in cui ogni piccola contrada ha la sua chiesetta.

    È in questo periodo, stimolati dal Monsignor Giovanni Battista Sartori-Canova (1775-1858, vescovo di Mindo e fratellastro del più celebre Antonio di cui ereditò un consistente patrimonio), che i padri Cavanis fondano il loro collegio in Possagno. Destinato inizialmente ai bambini poveri, ad oggi il collegio (che ha mantenuto questa denominazione nonostante gli interni siano più unici che rari) conta elementari, medie e quattro tipi diversi di superiori ed è uno degli istituti privati più importanti della zona.

    Nella prima guerra mondiale la linea italiana era nei pressi di Possagno. A sud del monte Pallone il 5 novembre 1925 i possagnesi hanno posto una grande croce per ricordare quanti hanno perso la vita durante la guerra: una presenza che da allora sovrasta il paese. Fino ad oggi è possibile rinvenire residui bellici nelle montagne vicine (spesso con l'ausilio di metal detector) e le trincee sono da poco state rese visitabili ai turisti.

    Durante la seconda guerra mondiale Possagno ospitò alcune decine di famiglie di profughi ebrei in domicilio coatto dalla vicina Croazia, i quali fraternizzarono con la popolazione locale. Dopo l'8 settembre 1943 e l'occupazione tedesca, l'intero paese si mobilitò a nasconderli ed a evitare la deportazione, pur essendo la zona soggetta a rastrellamenti alla ricerca di partigiani. In quest'opera di soccorso agli ebrei si distinsero in particolare, la famiglia Isotton (che tenne nascosti nella propria casa i cinque componenti della famiglia Garti), e Fausto Cunial e il giovane partigiano Alessandro Bastianon (che protessero le famiglie Errera, Rakover e Gredinger). Per questo loro impegno di solidarietà, l'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme ha conferito il 31 maggio 1990 l'alta onorificenza dei Giusti tra le Nazioni a Ferdinando Isotton, Domenica De Biasio Isotton e Elvira Furlan Isotton, e il 4 agosto 1997 a Alessandro Bastianon e Fausto Cunia.



    image



    Monumenti e luoghi d'interesse

    Dal punto di vista turistico Possagno offre, oltre all'imponente Tempio Canoviano, il museo della Gipsoteca canoviana dedicato allo scultore e costruito attorno alla sua casa natale, in cui sono conservati vari bozzetti e gessi delle sue celebri opere oltre a molti suoi quadri. L'ampliamento della gipsoteca fu realizzato dall'architetto Carlo Scarpa.

    Aree naturali

    Per gli appassionati di montagna le pendici dei monti che si affacciano su Possagno possono offrire motivi di interesse.

    Siti paleontologici

    In località Steggio sono state rinvenute le tracce di un bacino lacustre risalente al periodo villafranchiano superiore, considerato la più antica area paleontologica quaternaria del Nordest. Sono stati individuati i resti di alcuni grandi erbivori, quali Archidiskodon meridionalis, Stephanorhinus etruscus e due cervidi dei generi Eucladoceros e Pseudodama; a questi si aggiungono due micromammiferi, l'uno del genere Mimomys, l'altro Glis minor, e diversi altri reperti faunistici ancora in studio. Le ricerche effettuate suggerirebbero la presenza di una foresta temperata alternata a radure cespugliate e spazi aperti.




    image



    image





    Tempio Canoviano


    image



    Il Tempio Canoviano è una chiesa neoclassica situata a Possagno (Provincia di Treviso), progettata da Antonio Canova e disegnata da Pietro Bosio e Giovanni Zardo con la collaborazione dell'architetto Giannantonio Selva e Luigi Rossini. La costruzione fu cominciata l'11 luglio 1819 e il Tempio fu inaugurato nel 1830. Il tempio si trova ai piedi del Col Draga a 342 metri sul livello del mare.

    Nel tempio si riconoscono tre elementi d'architettura, sul colonnato lo stile greco, ad ispirazione del Partenone ateniese, il corpo centrale ricorda il Pantheon romano e l'abside con l'altare maggiore, così Canova canta la grandezza di tre civiltà che eccellono nell'arte: l'arte cristiana, l'arte romana e l'arte greca.

    Canova “aveva deciso di spendere tutto il suo patrimonio per la costruzione del Tempio e chiedeva ai concittadini soltanto la somministrazione di calce, mavieri (sassi) e sabbione, la popolazione offrì di lavorare di sera e di festa”.



    image



    Esterno del Tempio

    La costruzione si trova a 70 metri sopra Possagno, paese natale del Canova. L'atrio esterno del Tempio ha una lunghezza uguale al diametro interno della chiesa e la sua profondità corrisponde ad un terzo del diametro stesso. L'architrave è sostenuto da otto colonne di ordine dorico. Il frontone porta scolpite le parole latine DEO OPT MAX UNI AC TRINO: "Tempio dedicato a Dio ottimo e massimo, uno e trino".

    Il pronao è in pietra viva, lungo 27.816 metri, colonne alte 10.14 metri, sono di lumachella, una pietra locale fornita dai possagnesi. Il fregio è impreziosito da sette metope degli allievi del Canova.

    Interno del Tempio



    image




    La cupola è divisa in sette file di 32 cassettoni ognuno con un rosone dorato al centro, e questi sono di 14 tipi diversi. L'occhio della cupola, chiave di volta della stessa, ha un diametro di 5,33 metri.



    image



    A destra dell'entrata si trova la tela di Luca Giordano "Altare di S. Francesco di Paola". Ai lati vi sono metope del Canova che rappresentano la Creazione e la Spirazione dell'anima. Nella nicchia di sinistra è presente la Pietà che Canova modellò in gesso, ma che non riuscì a scolpire in marmo e venne poi fusa in bronzo da Bartolomeo Ferrari. Al centro dietro l'altare maggiore si trova il dipinto di Canova Deposizione del Cristo dalla Croce. Nella nicchia di sinistra si trova la tomba in cui riposano Antonio Canova e il fratellastro mons. Sartori Canova, Vescovo di Mindo.

    Nell'altare maggiore è presente l'organo di Gaetano Callido rifatto nell'Ottocento da Malvestio.

    Altre tele:

    * Gesù nell'orto (Palma il Giovane)
    * Stendardo processionale della Madonna della Misericordia (Moretto)
    * Madonna tra santi con Bambino in gloria (Andrea Vicentino).



    image




    Gipsoteca canoviana



    image



    La Gipsoteca canoviana è un museo situato a Possagno (Provincia di Treviso) dedicato alle opere dello scultore Antonio Canova (1757-1822). Del museo fa parte anche la casa dell'artista.

    La Gipsoteca è ospitata in un enorme edificio a forma basilicale che raccoglie modelli in gesso (gipsoteca infatti significa letteralmente "raccolta dei gessi"), bozzetti in terracotta, marmi del celebre artista. Accanto alla gipsoteca, la casa natale dell'artista raccoglie la pinacoteca (oli su tela e tempere), alcuni disegni, le incisioni delle opere e numerosi cimeli.



    image



    La raccolta delle centinaia di gessi conservati nella Gipsoteca di Possagno è la testimonianza di un lavoro continuo e gravoso che Canova profondeva nelle sue opere: le statue canoviane infatti non nascevano quasi mai dalla lavorazione diretta e intuitiva del marmo, ma dopo un metodico e precisissimo studio, dal disegno all'argilla, dal gesso al marmo. Il modello in gesso, in particolare, veniva realizzato con una colata in un calco ricavato dalla precedente opera in argilla; nel gesso venivano applicate le "repère", i chiodini di bronzo tuttora visibili nelle statue di Possagno, che consentivano - con un apposito pantografo - di trasferire le misure e le proporzioni dal gesso al marmo.

    Nel giardino davanti alla casa, tuttora coltivato secondo le modalità e con le essenze arboree del tardo Settecento, vive ancora una grande "pignera", un Pino italico, piantato dallo stesso Canova nel 1799.

    Storia

    La Gipsoteca fu voluta dal fratellastro dell'artista, Giovanni Battista Sartori (1775-1858), per raccogliere i modelli in gesso, i bozzetti in terracotta, alcuni marmi che si trovavano nello studio dell'artista a Roma al momento della sua morte (1822). L'edificio venne progettato nel 1836 dall'architetto veneziano Francesco Lazzari (1791-1871).

    A Possagno, nella Casa natale, Canova trovò spesso l'ambiente adatto per riposarsi dall'enorme mole di lavoro che gli veniva continuamente commissionata a Roma; si ritemprava all'aria fresca e dolce della sua terra natìa.

    Nei suoi "ritiri" di Possagno, mancandogli il marmo, l'artista si dedicava alla pittura per risollevare lo spirito (definiva le tempere, che dipingeva nella "torretta" della Casa, i suoi "ozii"), mentre i Possagnesi erano soliti riservargli feste e "luminarie" quando ritornava a Possagno dai suoi viaggi a Vienna, Parigi e Roma.

    Quattro anni dopo la morte dell'artista, nel 1826 lo studio romano fu chiuso da Sartori e le opere in esso contenute furono trasferite a Possagno dopo settimane di trasporto per terra (con carri trainati da buoi) e per mare. Nel 1853 tutti gli edifici e le collezioni della Gipsoteca e della casa furono ceduti da Sartori al Comune di Possagno.

    La Gipsoteca canoviana fu ampliata nel 1957, nell'occasione delle celebrazioni del 200º anniversario della nascita dell'artista, con una nuova e modernissima ala progettata dall'architetto veneziano Carlo Scarpa (1906-1978).



    image








    Antonio Canova


    image

    Antonio Canova nacque a Possagno (Treviso), a circa 80 km da Venezia, il primo novembre 1757: a soli quattro anni rimase orfano del padre, Pietro; la madre, Angela Zardo, si risposò poco dopo con Francesco Sartori e si trasferì nel vicino paese di Crespano, ma Antonio rimase a Possagno, con il nonno Pasino Canova, tagliapietre e scultore locale di discreta fama. Questi eventi segnarono la sensibilità di Antonio Canova per tutta la vita.
    Fin da giovanissimo, egli dimostrò una naturale inclinazione alla scultura: eseguiva piccole opere con l’argilla di Possagno; si racconta che, all’età di sei o sette anni, durante una cena di nobili veneziani, in una villa di Asolo, abbia eseguito un leone di burro con tale bravura che tutti gli invitati ne rimasero meravigliati: il padrone di casa, il Senatore Giovanni Falier, intuì la capacità artistica di Antonio Canova e lo volle avviare allo studio e alla formazione professionale.
    Nel 1768, Canova cominciò a lavorare nello studio della scultura dei Torretti, a Pagnano d’Asolo, poco distante da Possagno: quell’ambiente fu per il piccolo Antonio (che tutti chiamavo “Tonin”) una vera e propria scuola d’arte. Furono i Torretti ad introdurlo nel mondo veneziano, ricco di tanti fermenti culturali e artistici. A Venezia, Canova frequentò la scuola di nudo all’Accademia e studiò disegno traendo spunto dai calchi in gesso della Galleria di Filippo Farsetti.
    Dopo aver lasciato lo studio dei Torretti, avviò una bottega in proprio: eseguì le prime opere che lo resero famoso a Venezia e nel Veneto: Orfeo e Euridice (1776), Dedalo e Icaro (1779).
    Nel 1779, Canova compì il suo primo viaggio a Roma, dove produrrà le sue opere più belle (dalle Grazie ad Amore e Psiche, dai Monumenti funebri dei Papi Clemente XIII e XIV e a Maria Cristina d’Austria ai numerosi soggetti mitologici, come Venere e Marte, Perseo vincitore della Medusa, Ettore e Aiace) e lavorerà per sovrani, principi, papi ed imperatori di tutto il mondo. A Roma, era ospite dell’ambasciatore veneto, a Palazzo Venezia, Gerolamo Zulian che fu grande mecenate degli artisti veneti, da Pier Antonio Novelli a Gianantonio Selva, da Giacomo Quarenghi a Francesco Piranesi, da Raffaello Morghen a Giovanni Volpato. Lo stesso Zulian procurò a Canova le prime commissioni a Roma e direttamente gli ordinò Teseo sul Minotauro (1781) e Psiche (1793).
    Nel frattempo conobbe Domenica Volpato, figlia dell’incisore Giovanni, con la quale ebbe un’amicizia travagliata; la sua fama cresceva in Italia e all’estero: riceveva sempre nuove e impegnative commissioni da ogni parte d’Europa. Ben presto, la sua arte, organizzata secondo la tecnica degli antichi greci, dal disegno all’argilla, dal gesso al marmo, sviluppò un lavoro formidabile e una vicinanza sempre più forte ai temi della mitologia classica: “lavoro tutto il giorno come una bestia” – scrisse al suo amico Cesarotti – “ma è vero altresì che quasi tutto il giorno ascolto a leggere i tomi sopra Omero”.
    Quando i Francesi occuparono Roma, nel 1798, egli preferì abbandonare la città e ritornare a Possagno dove si dedicò alla pittura: in due anni, egli dipinse molte delle tele e quasi tutte le tempere che oggi sono custodite nella sua Casa natale di Possagno.
    Nel 1800, tornò a Roma dove la situazione si era fatta meno disordinata: lo accompagnava il fratellastro Giovanni Battista Sartori che gli sarà fedele segretario per tutta la vita.

    L’avvento di Napoleone sulla scena politica europea (1804, incoronazione ad imperatore) determinò un periodo fecondo della produzione artistica di Canova (dal Napoleone di Apsley House ai busti dei Napoleonici, dal marmo di Letizia Ramolino alla famosissima Paolina di villa Borghese) e contemporaneamente resiste alle lusinghe di diventare l’artista della Corte dell’imperatore francese; anzi, nel 1815, subito dopo la disfatta di Waterloo, Canova è a Parigi, con il fratellastro Giovanni Battista Sartori: grazie ad una abile azione diplomatica riesce a riportare in Italia numerose e preziose opere artistiche trafugate da Napoleone in Francia. Pio VII, per questa sua grande opere in difesa dell’arte italiana, gli conferì il titolo di Marchese d’Ischia, con un vitalizio di tremila scudi che egli volle elargire a sostegno delle accademie d’arte.
    Nel luglio del 1819, Canova era a Possagno per porre la prima pietra del Tempio che volle progettare e donare alla sua comunità come chiesa parrocchiale: il maestoso edificio sarà completato solo dieci anni dopo la sua morte, avvenuta il 13 ottobre 1822, a Venezia, in casa dell’amico Francesconi. Il suo corpo, per volere del fratellastro, fu traslato prima nella vecchia parrocchiale e, dal 1832, nel Tempio.

    Oggi, a Possagno, chi visita gli ambienti che furono di Antonio Canova, il Tinello, il Giardino, il Porticato, la grande “pignera” da lui stesso piantata, la Scuderia, la Cucina, la “Torretta”… parlano ancora di lui, dei suoi “ozi” dediti alla pittura, delle feste semplici e rustiche che i compaesani gli dedicavano quando tornava da Roma o da Parigi o da Vienna e si immergeva nella pace della sua contrada e della sua Casa.



    image




    La storia della chiesa di S.Giustina nei documenti antichi
    Della chiesetta la più antica notizia di cui si è a conoscenza si deve a due documenti dell'anno 1172, con cui i da Rovèro, signori del vicino castello omonimo, rinunciano a tutti i diritti che detenevano sulla chiesa di Santa Giustina in favore del priorato di Santa Maria Maggiore o Santa Fosca di Treviso, dipendenza del famosissimo monastero di San Silvestro di Nonantola. e in favore della chiesa di San Teonisto di Possagno, anche questa di obbedienza nonantolana. Opportuno ascoltare questi documenti nei loro enunciati essenziali. Essi vengono redatti il 21 maggio di quell'anno in due luoghi, in due momenti e da attori diversi. In un primo tempo la cerimonia dell'investitura - investivit - si compie « nel cimitero sotto il portico della chiesa di San Giorgio di Castelcucco », l'antenata della odierna parrocchiale del paese. Donatori sono Odorico di Rovèro e i suoi fratelli Zanca e Villano, figli del fu Solimano di Rovèro, - che agiscono anche a nome del fratello Solimano, probabilmente assente. Beneficiari risultano «dòmino Costantino, priore dei monastero [nonantolano] di Santa Fosca di Treviso, e dòmino Gerardo, prete della chiesa dei Santi Teonisto, Tabra e Tàbrata [di Possagno] , che ricevono, a titolo di proprietà, tutti i diritti - rationes - che [i donatori] detenevano sulla cappella di Santa Giustina e, per intero, di tutti i diritti che già vi deteneva ed esercitava Nicola Zancario»: quest'ultimo probabilmente predecessore di Gerardo e già investito di simili o uguali diritti. Poiché il priorato trevigiano di Santa Fosca e la chiesa possagnese erano soggetti al monastero di Nonantola, tanto il priore trevigiano che prete Gerardo ritengono l'investitura come accettata «a nome del monastero di San Silvestro di Nonantola, di modo che da quel momento in poi sia il predetto monastero di San Silvestro sia la chiesa di Possagno abbiano pieno possesso, a titolo di proprietà, della sunnominata cappella di Santa Giustina». Sempre nello stesso giorno, ma in un secondo momento, nel castello di Rovèr - in Castro Rovarii ‑, alla presenza di vari testimoni, «Endrigeto - Inrigitus -, [pure] figlio del fu Solimano e fratello dei suddetti, cioè di Zanca e Villano, procedette alla medesima investitura sempre nelle mani del priore Costantino e di prete Gerardo, che [ancora] la ricevono a nome del monastero di San Silvestro di Nonantola e della chiesa di Possagno». Divengono così beneficiari «totalmente - in integrum - di tutti i diritti che egli deteneva sulla cappella di Santa Giustina e pure totalmente di quelli che [anteriormente] vi deteneva ed esercitava Nicola [Zancario]». Anche in questo caso l'investitura si intende accettata a nome del monastero di Nonantola: in modo.che «da quel momento in poi il predetto monastero e la chiesa di Possagno abbiano ed esercitino, a titolo di proprietà, [ogni diritto su Santa Giustina] e agiscano nei riguardi della chiesa nel modo che riterranno più opportuno». Un terzo atto di donazione si compie il giorno successivo, 22 maggio, quando in una pubblica via nei pressi di Castagnole di Paese, vicino a Treviso, alla presenza di vari testimoni Alessandro di Rovèro, probabilmente non presente ai due atti precedenti, compie la medesima investitura. Anche qui il donatore rinuncia ai suoi personali diritti su Santa Giustina e a quelli che vi deteneva ed esercitava il suo associato - per consorthiam - Nicola [Zancario] nelle mani del priore Costantino «che riceve a nome del [superiore] monastero di Nonantola e della chiesa di Possagno», concludendo con la medesima formula: «d'ora in poi il monastero nonantolano e la chiesa di Possagno detengano il possesso della chiesa di Santa Giustina e facciano di essa quello che ritengono opportuno secondo diritto di proprietà». Non meraviglino la molteplicità degli atti e il numero dei donatori: poiché, secondo il diritto feudale, le successioni ereditarie ripartivano le quote tra tutti i famigliari aventi diritto. Esattamente vent'anni dopo, cioè nel 1192, si stipula un altro atto tra i da Rovèro, da una parte, e, dall'altra, il priore Silvestro della chiesa di Santa Maria Maggiore di Treviso - che è poi la già riferita Santa Fosca - e prete Gerardo. Alessandrino di Rovèro, chiaramente discendente ed erede dei personaggi sopra nominati, «a titolo di permuta e di reciproco scambio» cede in proprietà alcuni beni terrieri «a dòmino Silvestro, priore della chiesa di Santa Maria [Maggiore] di Treviso e a prete Gerardo di San Teonisto di Possagno, che li ricevono a nome della chiesa di San Teonisto di Possagno», soggetta - de obedientia - al monastero di Nonantola. I beni ceduti sono così enumerati: anzitutto un'area - sedimen - situata a Possagno «in luogo detto estremità delle vigne» - in Possagno in loco qui dicitur Capud (cioè Caput) vinearum -; poi un piccolo appezzamento - sors - nella montagna che sovrasta il paese - de sorte una in Monte Possagni -; in terzo luogo «due porzioni del bosco di Castagneto, situato nel colle di Valdrado» (forse l'odierno Còl Draga?); quindi «un prato sui declivi pianeggianti del colle Valdrado» - in planellis de colle Valdrado -; infine «cinque appezzamenti in territorio di Possagno e nelle sue pertinenze». Dei cinque appezzamenti, il primo confina in parte con terreni della chiesa di Possagno - ab ambobus lateribus possidet Ecclesia S. Teonisti de Possagno -; il secondo rientra nell'ambito dell'odierno colmello di Cuniàl - in loco qui dicitur Cuniale -; il terzo si trova in località denominata Valle de subpalada; il quarto è alle Masière, pure odierno colmello possagnese - in loco qui dicítur Masería -; il quinto è sito in loco qui vocatur freza, adiacente a una proprietà del figlio del fu Valperto di Cavaso, personaggio tra i più noti nelle cronache medioevali trevigiane. Da parte sua il priore dì Treviso e prete Gerardo, sempre a titolo di compenso di quanto avevano ricevuto, cedono in proprietà ad Alessandrino una cesura a Possagno; inoltre un appezzamento di terreno che penetrava in una cesura di Alessandrino, come livello perpetuo per una somma simbolica di un denaro annuo; infine gli consegnavano la somma di lire 106. Non dunque atti di generosità e munificenza, quelli compiuti dai da Rovèro - come ritiene l'Agnoletti -; ma operazioni finanziarie e pèrmute regolari di beni: tanto più che i da Rovèro possedevano il giuspatronato sul San Teonisto, con diritto di sceglierne i rettori. (Luigi Melchiori, La Valcavasia)



    Edited by tomiva57 - 11/5/2011, 13:15
     
    Top
    .
  3. tomiva57
     
    .

    User deleted


    Piave


    Da Wikipedia

    Lunghezza 231,25 km
    Portata media presso Nervesa della Battaglia 125 m³/s
    Bacino idrografico 4126.84 km²
    Altitudine sorgente 2.037 m s.l.m.
    Nasce Monte Peralba
    Sfocia Mare Adriatico presso Cortellazzo

    image



    Il Piave è un fiume italiano, che scorre interamente in Veneto. È noto in tutta la Penisola come il "Fiume Sacro alla Patria" in memoria dei combattimenti di cui fu teatro durante la prima guerra mondiale (Offensiva del Piave, 1917-18).

    Geografia
    Il Piave nasce nelle Alpi Orientali e più precisamente nelle Alpi Carniche, alle pendici meridionali del Monte Peralba, nel comune di Sappada, in provincia di Belluno, a quota 2.037 m s.l.m. La sua foce è nel Mar Adriatico, a nord-est di Venezia, presso il porto di Cortellazzo fra Eraclea e Jesolo. Sulla sinistra della foce è collocata la Laguna del Mort, enclave di acqua marina sorta nell'area di un braccio morto del fiume. È il quinto fiume d'Italia per lunghezza fra quelli direttamente sfocianti in mare.

    Il fiume è interamente contenuto entro i confini del Veneto. Attraversa il Comelico, il Cadore e la Valbelluna in Provincia di Belluno e la pianura veneta nelle province di Treviso e di Venezia toccando le cittadine di Valdobbiadene, Nervesa della Battaglia, Colfosco, Ponte della Priula, Ponte di Piave, San Donà di Piave, Musile di Piave, Eraclea e Jesolo.

    image
    il piave a S. Donà



    Già pochi chilometri dopo la sorgente il Piave assume una notevole portata dovuta all'afflusso di numerosi torrenti, limitata in epoca recente dalla costruzione di bacini idroelettrici artificiali e da opere di canalizzazione agricola. Dopo aver percorso i primi chilometri in direzione sud, all'altezza di Cima Sappada il fiume piega ad ovest, attraversando Sappada e successivamente ricevendo l'apporto di importanti torrenti quali il Piave di Visdende, il quale sorge a pochi metri dalle sorgenti del Piave ma scende lungo la Val Visdende. Passata Sappada si inoltra in una profonda forra (l'orrido di Acquatona) e poi continua la sua corsa fino a Santo Stefano di Cadore, a valle del quale si incontra col Padola. Comincia qui un tratto che lo riporterà (dalla località di Cima Gogna, dove riceve l'Ansiei) a scorrere in direzione sud fino a Ponte nelle Alpi. In questo lungo tratto il fiume attraversa i territori dei comuni del Centro Cadore (Lozzo, Domegge, Calalzo e Pieve) formando il grande lago omonimo. A valle della diga, a Perarolo di Cadore, riceve le acque del Boite. Il fiume rimane in una valle complessivamente stretta percorsa dalla ferrovia che porta a Calalzo e dalla strada statale di Alemagna.
    All'altezza di Castellavazzo sbuca nell'ampia Valbelluna e subito dopo, a Longarone, riceve da sinistra il Vajont e da destra il Maè che scende dalla valle di Zoldo. All'altezza di Soverzene (dove si trova una delle centrali idroelettriche più importanti d'Europa) il corso viene sbarrato e in parte deviato in canale che regimenta il lago di Santa Croce (altro bacino di interesse idroelettrico). In seguito a Ponte nelle Alpi piega in direzione sud-ovest, attraversa Belluno e a nord di Mel riceve le copiose acque del Cordevole. Prosegue poi la sua corsa attraverso Busche (comune di Cesiomaggiore) e a valle del ponte-diga che forma il lago omonimo riceve le acque del Caorame. Qui esce dalla Valbelluna e si immette in una valle più stretta, lungo la quale riceve la Sonna, il corso d'acqua che attraversa Feltre. In questa parte il corso del fiume piega a sud-est e manterrà questa direzione fino a Cortellazzo, dove si getta nel mare Adriatico. Tra Segusino e Pederobba esce dalla zona compresa tra le Alpi e le Prealpi, costeggia il Montello ed entra nella pianura veneta. L'unico affluente importante che riceve fuori dalla provincia di Belluno è il Soligo. Nel tratto pianeggiante il fiume perde molta della sua acqua a causa dei prelievi idrici e dell'infiltrazione (il letto può allargarsi fino a diversi chilometri). Nell'ultimo tratto il Piave è come canalizzato, a seguito degli interventi dei veneziani che ne deviarono il corso a est per salvare la laguna, e giunge al Mare all'altezza di Cortellazzo. Il vecchio ramo del Piave esiste ancora oggi, giunge alla laguna di Venezia e si mescola con le acque del Sile.

    image



    I suoi principali affluenti sono (D=destra, S=sinistra):
    • Padola (D)
    • Ansiei (D)
    • Boite (D)
    • Maè (D)
    • Terche (S)
    • Cordevole (D)
    • Ardo (D)
    • Cicogna (S)
    • Limana (S)
    • Ardo della Sinistra Piave (S)
    • Rimonta (S)
    • Soligo (S)
    • Sonna (D)
    • Caorame (D)
    • Piave Vecchia (S)
    • Revedoli (D)
    • Cavetta (S)
    il più importante dei quali è il Cordevole, con un bacino imbrifero di 866.77 km2.


    image




    Laghi del bacino del Piave
    Lungo l'asta del fiume e dei suoi principali tributari vi sono numerose dighe che danno origine a laghi artificiali (le cui acque vengono utilizzate per scopi idroelettrici) tra i quali:
    (lungo il Cordevole e il Mis)
    • lago di Alleghe
    • lago del Ghirlo (a Cencenighe Agordino)
    • lago del Mis
    (lungo l'Ansiei)
    • lago di Misurina
    • lago di Santa Caterina (ad Auronzo di Cadore)
    (lungo il Piave)
    • lago del Comelico
    • lago di Centro Cadore
    (lungo il Vajont)
    • lago del Vajont (non più utilizzato), tristemente famoso per l'omonimo disastro
    (lungo il Boite)
    • lago di Vodo di Cadore
    • lago di Valle di Cadore
    (lungo il Maè)
    • lago di Pontesei
    (lungo il Caorame)
    • lago della Stua
    • lago di Santa Croce sul Tesa (una derivazione del Piave a Soverzene regimenta il lago più un numero di bacini artificiali).
    (lungo il Soligo)
    • laghi di Revine Lago
    A Busche uno sbarramento preleva acqua che viene utilizzata per alimentare le centrali di Quero e Pederobba e poi per scopi irrigui.

    image
    vajont



    Storia
    Noto per la turbolenza del suo corso, il Piave fino a tutta l'età romana sfociava in corrispondenza dell'estremità settentrionale dell'odierna laguna di Venezia, unendo le proprie acque a quelle del Brenta e del Sile e raggiungendo il mare attraverso l'odierno canale di San Felice in corrispondenza del porto di Lido.
    In seguito alla spaventosa alluvione di Paolo Diacono del 589 il fiume deviò verso nord il tratto finale del proprio corso, sfociando poco a sud di Jesolo, in corrispondenza dell'attuale foce del Sile, detta anche per l'appunto Piave Vecchia. Tale nuovo corso venne successivamente prima irregimentato dalla Repubblica di Venezia e quindi definitivamente deviato per allontanare i cospicui sedimenti trasportati dal fiume e dal vicino Sile dalle rotte navigabili da e per Venezia e per bonificare la circostante zona malarica.
    Nel 1680, dunque, venne realizzato un taglio che spostò ancora più a nord la foce, lasciando il vecchio letto ad accogliere le acque del Sile. L’insufficiente arginamento del fiume causò tuttavia già pochi anni dopo l'allagamento delle campagne tra Bagaggiolo e Ca' Tron, con la creazione di un vasto lago poi prosciugato in epoca successiva grazie alla creazione di nuovi argini.
    Il fiume Piave è considerato sacro alla patria, in virtù degli avvenimenti storici accaduti sulle sue sponde durante la prima guerra mondiale.

    image



    La parte meridionale del corso del Piave divenne una linea strategica importante nel novembre 1917 in corrispondenza della ritirata avvenuta in seguito a Caporetto. Dopo il passaggio sulla riva destra del resto delle armate italiane e la distruzione dei ponti, il fiume divenne la linea di difesa contro le truppe austriache e tedesche che, nonostante svariati tentativi, non riuscirono mai ad attestarsi stabilmente oltre la sponda destra del fiume, pur riuscendo a varcarla in più punti, penetrando in profondità in territorio "destra Piave" in particolare presso Meolo. La linea di difesa italiana resistette fino all'ottobre 1918 quando, in seguito alla battaglia di Vittorio Veneto, gli avversari furono sconfitti e si giunse all'armistizio.
    Dopo l'armistizio del 4 novembre 1918, il generale Lorenzo Barco si occupò del problema della riparazione e del ripristino degli argini del Piave e di altri fiumi veneti e friulani (Monticano, Livenza, Tagliamento), danneggiati in seguito alle vicende belliche. L'opera di ricostruzione, che si mantiene ancora ai giorni nostri, fu terminata in tempo per proteggere le popolazioni dalle possibili inondazioni a seguito delle piene invernali e primaverili. Furono impiegati circa 9500 uomini e 330 ufficiali.

    image



    Problematiche ambientali
    « Fiume simbolo del coraggio, dell'eroismo, del patriottismo degli italiani. Fiume simbolo, oggi, della loro cecità »
    (Gian Antonio Stella, Corriere della Sera, 11 agosto 2003)


    Il forte sfruttamento idrico e il conseguente parziale abbandono del letto naturale del fiume fanno del Piave uno dei corsi d'acqua più artificializzati d'Europa. Così, a partire dalla seconda metà degli anni '90, ha cominciato a sorgere una questione ambientale legata al Piave, che ha portato alla richiesta, rivolta in particolare all'ENEL, di assicurare il minimo deflusso vitale del fiume. Il "caso Piave" è stato sollevato e promosso, tra l'altro, dall'amministrazione della provincia di Belluno, dal suo presidente Sergio Reolon e dal Centro Internazionale Civiltà dell'Acqua di Mogliano Veneto (in particolar modo dallo scrittore e giornalista Renzo Franzin, cofondatore del Centro). Nel 2007, inoltre, è a Belluno che, con il supporto delle azioni Marie Curie della Commissione Europea, si è tenuto un convegno di ricerca sul tema dell'artificializzazione del fiume Piave e dello sfruttamento sostenibile dell'acqua.

    image




    Feste e leggende

    Il patto d'amistà (amicizia in lingua veneta)
    A circa 30 km da Venezia ci sono due Comuni, tra di loro confinanti e divisi dal fiume Piave: San Donà di Piave e Musile di Piave. San Donà (il toponimo significa San Donato) e Musile (il toponimo di diga, argine) sette secoli fa, in pieno medio evo, erano due piccole comunità di una zona paludosa, aggregate attorno alle loro rispettive chiese e Santi patroni.
    Secondo le origini della leggenda "il patto d’amistà", ovvero il patto d’amicizia, tra le due comunità risale a quegli anni quando, secondo la leggenda, avvenne una deviazione naturale del corso del fiume Piave (nel 1258 per lo storico Plateo, nel 1383 secondo altri studiosi). Fu un fatto così straordinario tanto che dovettero essere ridefiniti i confini territoriali. La piccola chiesa di San Donato segnava il confine tra due diocesi: il Patriarcato di Aquileia da lato e dall’altro il Vescovo di Torcello (Venezia). La chiesetta, già in Sinistra Piave, quindi dal lato sandonatese, si ritrovò sulla destra del fiume, in territorio di Musile.
    Il paese San Donà si ritrovava così un paese privato della sua identità perché la chiesa, dedicata al suo patrono, si ritrovava dall’altra parte del Piave. Da qui il compromesso: lasciare il nome di San Donato all’attuale centro urbano di San Donà, con il diritto di festeggiare il santo a Musile. A compenso un patto solenne: che la "bagauda", ovvero la comunità di San Donà dovrà offrire agli abitanti di Musile, per sempre il 7 agosto di ogni anno due capponi ("gallos eviratos duos") vivi, pingui e ottimi. A uno il nome, all’altro i due capponi. Questa è la sintesi dello storico e leggendario "patto d’amistà" tra i Comuni di Musile e San Donà. Si rinnova così, ogni 7 agosto, il pagamento del tributo da parte del Sindaco di San Donà al Sindaco di Musile. La leggenda è stata ripristinata, con un cerimoniale arricchito con grande attenzione ai particolari storico evocativi con il patrocinio dei due Comuni e della Regione Veneto.

    image



    La canzone del Piave
    La canzone probabilmente più famosa della prima guerra mondiale fu La leggenda del Piave di Giovanni Gaeta, autore famoso di canzoni napoletane, meglio noto con lo pseudonimo di E.A. Mario Tale inno fu pubblicato nel 1918, ma probabilmente giunse ai combattenti prima a mezzo di tradotta postale.


    (Inno dal 1946 al 1947)

    Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio

    dei primi fanti il ventiquattro maggio;
    l'esercito marciava per raggiunger la frontiera
    per far contro il nemico una barriera!
    Muti passaron quella notte i fanti,
    tacere bisognava e andare avanti.
    S'udiva intanto dalle amate sponde
    sommesso e lieve il tripudiar de l'onde.
    Era un presagio dolce e lusinghiero.
    il Piave mormorò: "Non passa lo straniero!"
    Ma in una notte triste si parlò di tradimento
    e il Piave udiva l'ira e lo sgomento.
    Ahi, quanta gente ha visto venir giù, lasciare il tetto,
    per l'onta consumata a Caporetto.
    Profughi ovunque dai lontani monti,
    venivano a gremir tutti i ponti.
    S'udiva allor dalle violate sponde
    sommesso e triste il mormorio de l'onde.
    Come un singhiozzo in quell'autunno nero
    il Piave mormorò: "Ritorna lo straniero!"
    E ritornò il nemico per l'orgoglio e per la fame
    voleva sfogar tutte le sue brame,
    vedeva il piano aprico di lassù: voleva ancora
    sfamarsi e tripudiare come allora!
    No, disse il Piave, no, dissero i fanti,
    mai più il nemico faccia un passo avanti!
    Si vide il Piave rigonfiar le sponde
    e come i fanti combattevan l'onde.
    Rosso del sangue del nemico altero,
    il Piave comandò: "Indietro va', straniero!"
    Indietreggiò il nemico fino a Trieste fino a Trento
    e la Vittoria sciolse l'ali al vento!
    Fu sacro il patto antico, tra le schiere furon visti
    risorgere Oberdan, Sauro e Battisti!
    Infranse alfin l'italico valore
    le forche e l'armi dell'Impiccatore!
    Sicure l'Alpi, libere le sponde,
    e tacque il Piave, si placaron l'onde.
    Sul patrio suol vinti i torvi Imperi,
    la Pace non trovò né oppressi, né stranieri!





    image
    a cima d'olmo



    image
    comune di eraclea


    image
    ponte di piave



    image



    image
    bacino aperto del piave -3- 11-2010



    image

    In gita sul fiume Piave

    E' davvero un modo diverso per passare una domenica ammirando il belllissimo panorama che offrono le verdissime sponde dello storico fiume Piave nel suo ultimo tratto, prima di sfociare nel mare Adriatico.
    E vi è inoltre la possibilità di portare al seguito la bicicletta per raggiungere le spiagge di Jesolo e di Eraclea Mare o fare escursioni nell'entroterra.

    image


     
    Top
    .
  4.  
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Quelli di sempre
    Posts
    9,662

    Status
    Offline
    Grazie Ivana.... :36_2_18.gif: :36_1_3.gif: :36_1_58.gif: :36_1_40.gif:
     
    Top
    .
  5. tomiva57
     
    .

    User deleted


    Adige


    Da Wikipedia

    jpg



    Regioni: Trentino-Alto Adige- Veneto
    Lunghezza 410 km
    Portata media alla foce 235 m³/s
    Bacino idrografico
    12.200 km²
    Altitudine sorgente 1.550 m s.l.m.
    Nasce nei pressi del lago di Resia
    Sfocia Mare Adriatico, Chioggia

    cer06




    L'Adige (Etsch in tedesco e in dialetto sudtirolese, Adiç in ladino, Ades in trentino, Adexe in veneto) è un fiume dell'Italia nordorientale. Sorge presso il Passo Resia (Reschenpass) nella Alta Val Venosta (Hochvinschgau) in Alto Adige e sfocia nel Mar Adriatico presso Cavanella d'Adige (Chioggia). È per lunghezza - circa 410 km - il secondo fiume italiano dopo il Po, il 3º per ampiezza di bacino dopo Po e Tevere e in assoluto il 4º per volume d'acque dopo Po, Ticino e Tevere con 235 m3/s di portata media annua presso la foce.
    Attraversa le città di Trento, Verona, Legnago, Cavarzere, Chioggia e lambisce Merano, Bolzano e Rovereto.
    La valle in cui scorre assume vari nomi: Val Venosta tra la sorgente e Merano, Val d'Adige tra Merano e Rovereto, Vallagarina tra Rovereto e Verona, e quindi Val Padana tra Verona e la foce.

    Sorgente_Adige_falsa

    La falsa sorgente dell'Adige

    Complessivamente il suo bacino idrografico è di 12.200 km² (che lo rendono il terzo per ampiezza dopo il Po e il Tevere): di questi ben 7.200 sono in Alto Adige, nel cui territorio scorre per 140 km (oltre 1/3 del suo percorso complessivo), mentre i restanti sono suddivisi tra Trentino e Provincia di Verona.

    lagoresia
    lago di resia



    I suoi principali affluenti sono:

    • il Rio Ram (Rambach) presso Glorenza (Glurns) (BZ),
    • il Passirio (Passer) presso Merano (Meran) (BZ),
    • l'Isarco (Eisack) presso Bolzano (Bozen) (BZ),
    • il Noce presso Zambana (TN),
    • l'Avisio presso Lavis (TN),
    • il Fersina presso Trento (TN),
    • il Leno presso Rovereto (TN)
    La curiosità è che la sorgente dell'Adige, non è quella visibile al Passo Resia, indicata sulle tabelle, ma è posta qualche metro prima, all'interno di un bunker del Vallo Alpino in Alto Adige, presso lo Sbarramento Passo Resia

    fiume_adige





    Storia


    Il fiume è stato protagonista di alcune devastanti alluvioni. Già in epoca romana la sua idrografia subì una variazione: Plinio il Vecchio; non cita più il Po di Adria perché l'Adige aveva subito una rotta ed era confluito nella Filistina e in altri due canali, chiamati il Fossone e la Carbonaria (Po di Goro).
    Successivamente la rotta della Cucca, la catastrofica alluvione del VI secolo (589, secondo le cronache di Paolo Diacono, provocò morte e distruzione a Verona e nelle campagne. Si ha notizia di altri fenomeni di questo tipo in passato: tra i più recenti e gravi ricordiamo le inondazioni del 1882, del 1966 e del 1981.
    Nel settembre 1882 il fiume ruppe gli argini in 9 punti tra Bolzano e San Michele all'Adige, e inondò la parte nord della città di Trento; la piena provocò anche una alluvione a Verona e una alluvione in Polesine. Proprio per salvare la città di Verona da possibili inondazioni, nella prima metà del XX secolo fu costruito un tunnel che congiunge l'Adige in località Mori con il lago di Garda e che è in grado di convogliare le acque in eccesso dal fiume al lago. A causa della notevole differenza di temperatura e qualità delle acque, si fece ricorso al travaso delle acque molto raramente, soltanto se strettamente necessario. Il tunnel fu usato infatti soltanto 11 volte tra il 1960 ed il 2002: 1960, 1965, 1966 (tre volte) 1976, 1980, 1981, 1983, 2000 e 2002. Inoltre l'utilizzo dello SCOLMATORE deve essere coordinato con il livello del lago di Garda e del fiume Mincio per evitare problemi da altre parti.
    Nel novembre 1966 la città di Trento conobbe la più grande alluvione che la storia ricordi: buona parte della città e circa 5000 ha di campagna furono sommersi da circa due metri d'acqua. Nell'agosto del 1981 gli argini cedettero nei pressi di Salorno che fu sommersa assieme alle campagne circostanti.


    8-cavarzere-aerea-generale1
    adige a cavarzere


    jpg
    a legnago

    Verona_1
    a verona

    Adige-Verona01

    3723949164_6934f12616
    a trento

    ezio-consoli083


    Pg19_1
    estuario dell'adige

    foce0119

    coverPanoramiche
    a badia polesine



    Edited by tomiva57 - 14/1/2012, 18:22
     
    Top
    .
  6.  
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    moderatori
    Posts
    43,236

    Status
    Offline
    grazie
     
    Top
    .
  7. tomiva57
     
    .

    User deleted


    crespano


    CRESPANO DEL GRAPPA


    Crespano del Grappa (Crespan in veneto) è un comune di 4.767 abitanti della provincia di Treviso. Si trova alle pendici del Monte Grappa.

    Cenni storici: Zona importante per i ritrovamenti preistorici, in quanto la zona era rifugio naturale per i paleolitici data presenza di molte grotte nella zona e per la montagna, luogo ideale per nascondersi o per avvistare.
    La zona non subì le invasioni barbariche in quanto era decentrata rispetto i centri di Asolo e Bassano, pero fu zona di rifugio delle genti scampate alle orde barbariche. Nel medioevo fu territorio degli Ezzelini e ne subì le stese tristi sorti. In seguito la Serenissima la fece rifiorire, soprattutto dopo il devastante terremoto del 1695.


    250px-Campanili_San_Marco_(Crespano_del_Grappa)



    jpg
    il duomo


    Luoghi da visitare:

    La Chiesa Arcipretale di S.Marco, e Villa Fietta (oggi Collegio Filippin) sono opere settecentesche su disegni del Giorgio Masari. All'interno dell'imponente chiesa Parrocchiale si possono vedere opere di A.Canova, G.Bernardi e Jacopo Guarana discepolo del Tiepolo. Poco distante dal centro, l'antica chiesa di S.Pancrazio sorge su un caratteristico sperone di roccia sporgente sullo strapiombo della valle dell'Arsego, per accedere alla chiesa bisogna valicare il caratteristico Ponte del Diavolo. Da non perdere, una passeggiata al Santuario della Madonna del Covolo, opera neoclassica su disegni di Antonio Canova.




    cima_grappa_-_lOssarioR

    Appuntamenti:
    La prima domenica di agosto con la festa della Madonna del Grappa a Cima Grappa

    Crespano, è centro di villeggiatura, punto di partenza per le passeggiate sul monte Grappa. Nel sei-settecento fu centro importante per la produzione della lana.

    11-Santuario_Crespano



    La Madonna del Covolo

    Nel territorio del comune alle pendici del Monte Grappa a 600 metri d'altezza si trova il santuario della Madonna del Covolo, frequentato tutto l'anno da fedeli dell'alto trevigiano e padovano.

    Secondo la tradizione, nel XII secolo, la Madonna apparve ad una pastorella sordomuta, guarendola. Si dice anche che Nostra Signora, nella zona detta "Tre busi", appena più sotto del Covolo, infilò tre dita nella roccia facendo sgorgare l'acqua. Si iniziò quindi con la costruzione di una chiesetta in onore della Vergine, in un prato vicino all'attuale Santuario. Tradizione vuole che di giorno costruissero i muri e di notte questi cadessero, nel '300 venne così eretto in loco un capitello a ricordo di questi tentativi. I crespanesi decisero così di costruire il Santuario più a Nord, a ridosso della roccia del monte Grappa. Verso il 1500 venne ampliata questa prima chiesetta che ebbe però vita relativamente breve; agli inizi del '800 infatti, un masso staccatosi dalla roccia, distrusse l'altare della Madonna. Venne così affidato il progetto del Santuario tuttora esistente al celeberrimo Antonio Canova. A fine agosto e per tutta la prima settimana di settembre si tiene un'articolata e sentita festa organizzata dall'AVIS comunale di Crespano.


    Il ponte del Diavolo

    La costruzione di un ponte sul Lastego era stata pensata già verso la metà del XVIII secolo, quando si presentò la necessità di trasportare i tronchi provenienti dalla Germania per realizzare il tetto del Duomo, allora in costruzione. Il ponte attraversa il torrente Lastego che divide Crespano dalla vicina Paderno e sorge in un punto dove le due sponde sono vicine, separate da una gola profonda. All'epoca esistevano (ed esistono tuttora) altri due passaggi, una è la passerella a sud del paese e l'altro è il terrapieno che sorge nei pressi della Piazza, però del tutto inadeguato a sopportare grossi carichi in quanto costruito su terreno argilloso e frequentemente soggetto a fenomeni di franamento.

    Il ponte venne però cominciato solo nel 1811, sotto il governo napoleonico e su progetto dell'ing. Casarotti. L'opera fu terminata nel 1829 e inaugurata nell'aprile 1830. Il 2 maggio dello stesso anno crollò a causa della scarsa qualità dei materiali impiegati: vennero usate infatti grosse lastre di pietra locale, denominata Mavier, totalmente inadeguata allo scopo, mentre il progetto prevedeva i laterizi.

    Poco dopo, su iniziativa del vescovo Giovanni Battista Sartori, il progetto fu recuperato e venne realizzato un nuovo ponte dall'ing. Tommaso Coronini. Realizzato con muratura in cotto invece che in pietra, resiste tuttora, nonostante la crescita del traffico (anche pesante) in quanto passaggio obbligato per collegare le cave di Possagno alle principali vie di comunicazione.

    Negli anni ottanta, il ponte fu restaurato dal Genio Civile realizzando una nuova struttura all'interno, in modo che l'opera originale funga solo da copertura.

    Dal 2006 al 2008, visto il continuo aumentare del traffico pesante, il ponte è stato chiuso a causa dei cedimenti e completamente ricostruito secondo il medesimo principio di vent'anni prima, ma con tecniche più all'avanguardia e durevoli.


    4c318c5e0a45d_l6a


    Il Sacrario militare italiano, inaugurato nel 1935, si offre imponente al visitatore con una serie di cerchi concentrici aperti verso sud, come a mettere in relazione visiva la pianura, strenuamente difesa per un anno, con il ricordo celebrativo dei difensori caduti.
    L’emozionante e struggente sequenza di nomi e di loculi lascia posto alla tomba del Generale Giardino, che chiese di essere sepolto “tra i suoi soldatini”, conscio del tremendo sacrificio di vite e di sofferenze che aveva dovuto chiedere ai giovani combattenti di allora. Il sacello sommitale ospita la Madonnina del Grappa, oggetto di devozione già prima del conflitto.
    Verso nord si allunga la “Via Eroica” che celebra i nomi delle principali cime del massiccio, ferocemente coinvolte dalla guerra. Subito dopo si erge il Sacrario Austriaco che accoglie i resti di circa 10.000 caduti, tra i quali spicca il commovente loculo del soldato Peter Pan.


    64958-799x599-500x374




    Edited by tomiva57 - 6/7/2014, 17:43
     
    Top
    .
  8. tomiva57
     
    .

    User deleted


    Cansiglio


    Da Wikipedia


    image




    Il Cansiglio (Canséi o Canséjo in veneto locale) è un vasto altopiano prealpino situato tra le province di Belluno, Treviso e Pordenone.


    image
    Il pian del Cansiglio



    La foresta del Cansiglio in autunno: da notare la differenza tra i faggi, autoctoni, e le conifere, introdotte dall'uomo.

    Geografia e clima

    L'altopiano si eleva rapidamente dalla pianura sottostante oltre i 1.000 m d'altitudine. Si tratta invero di una conca "coronata" da alcune cime rocciose: ad sud-ovest il Costa, la Cima Valsotta, il Millifret e il Pizzoc, che lo dividono dalla Val Lapisina, ad est il gruppo del Cavallo, oltre il quale si trova il Piancavallo.

    Sull'altopiano sono presenti vari fenomeni di origine carsica, in particolar modo doline e inghiottitoi. I più celebri sono il Bus de la Lum, il Bus della Genziana e l'Abisso del Col della Rizza; sono tutti e tre molto profondi, -180 m il primo, -585 m il secondo e -794 il terzo.

    image
    Il Bus della Genziana




    image
    L'imboccatura del Bus de la Lum.



    Quasi tutto il suo territorio è ricoperto da selve che prendono nell'insieme il nome di bosco o foresta del Cansiglio. Predomina soprattutto la faggeta, autoctona, sviluppatasi su substrati carbonatici, ma sono presenti ampiamente specie non autoctone, come le aghifoglie (soprattutto abete rosso). Le particolarità climatiche della conca, inoltre, fanno sì che la distribuzione delle specie vegetali sia invertita, per cui piante tipiche degli ambienti più freddi si trovano a basse altitudini e viceversa.
    Vasti spazi, ubicati soprattutto nella conca, sono adibiti a pascolo e ancor oggi vi si pratica la pastorizia (ovini e bovini soprattutto).

    Nel 2005, nella parte bellunese del Cansiglio, precisamente nella località detta "Val Menera" è stata misurata la temperatura minima di -35,4 °C all'altitudine di 905 metri slm



    image
    Scorcio della faggeta.




    image
    La foresta del Cansiglio



    Storia

    Numerose punte di selce fanno risalire le prime presenze umane ad oltre 10.000 anni fa, quando l'altopiano era utilizzato come riserva di caccia.

    Il Cansiglio non è citato né nei testi di età romana, né in quelli altomedioevali. La prima menzione risale al 923: in un diploma, l'imperatore Berengario I donava al vescovo di Belluno alcuni territori nei dintorni del Cansillo. Nel 1185, invece, papa Lucio III ribadisce in una bolla i precedenti diritti riferendosi anche al Campum silium. Sulla base di ciò, l'ipotesi più accreditata fa derivare il toponimo da campum in riferimento ad uno spazio coltivato o adibito a pascolo, e concilium, termine latino medievale che indicava non solo un'assemblea locale, ma anche i terreni di uso comune. Si ritiene infatti che le risorse del Cansiglio fossero liberamente sfruttabili da tutta la comunità locale sin dall'epoca longobarda. Altre supposizioni, mantenendo la radice campum, lo mettono in relazione al latino silva (selva, bosco) o al nome di personaggio di epoca romana di spicco, forse un proprietario terriero.

    In seguito il Cansiglio fu amministrato dalle regole d'Alpago e queste, nel 1404, passarono con Belluno alla Serenissima. Nel 1548 la Repubblica di Venezia vi insediò un Capitano Forestale che controllasse attentamente lo sfruttamento delle risorse boschive, utili soprattutto alla realizzazione di remi. La cosa ostacolò particolarmente le attività tradizionali, basate sulla pastorizia, e le continue lamentele dei locali portarono alla creazione del Mezzomiglio, un'area dove era permesso il pascolo. In seguito furono emanati provvedimenti sempre meno rigidi, cosa che tuttavia provocò il degrado della foresta.

    A titolo di curiosità ed a testimonianza dell'enorme importanza della zona boschiva per la Serenissima: di ogni albero veniva annotata l'età e la previsione di taglio; erano previste pene severe per i trasgressori; inoltre, era legislativamente statuito che la figlia del guardiaboschi del Cansiglio, pur non appartenendo alla nobiltà, potesse maritarsi con l'aristocrazia veneziana.

    Caduta Venezia, nel 1797, il bosco decadde ulteriormente perché del tutto indifeso e preda di abusi e sciacallaggi. Passato poi al Regno d'Italia, il Cansiglio divenne proprietà demaniale.


    La seconda guerra mondiale: la resistenza partigiana e l'eccidio del Bus de la Lum



    Il Cansiglio fu uno dei luoghi della resistenza durante la seconda guerra mondiale. Nel 1944, tra gli ultimi di agosto e i primi di settembre, le truppe tedesche compirono una vasto rastrellamento contro le brigate partigiane che vi operavano, i quali tentarono un'inutile resistenza. Il 10 settembre la situazione era compromessa e la gran parte dei gruppi riuscì a fuggire. Non trovando i partigiani, i Tedeschi colpirono la popolazione locale incendiando malghe e casere. La "battaglia", che tuttavia provocò un numero relativamente basso di perdite, fu vista allora come un'autentica sconfitta che suscitò sconforto e malumori tra le formazioni partigiane della zona, le quali riuscirono a riorganizzarsi solo la primavera successiva.

    D'altra parte, la resistenza sul Cansiglio è un fatto molto controverso: il già citato Bus de la Lum fu infatti utilizzato dai partigiani come fossa dove vennero gettati soldati della Repubblica Sociale Italiana, tedeschi e molti civili inermi.

    La comunità cimbra

    Sul Pian del Cansiglio sopravvive una minuscola isola linguistica cimbra. Fanno parte della stessa stirpe dei cimbri dell'Altopiano di Asiago poiché i loro antenati si mossero dal villaggio di Roana. Essi raggiunsero per la prima volta il bosco nel 1707, prosperando grazie alle loro abilità di scatoleri (costruttori di scatoi, scatole generalmente in legno di faggio). Le migrazioni si fecero stabili dall'inizio dell'Ottocento, quando, con l'arrivo di Napoleone, la comunità cimbra dei Settecomuni si trovò in difficoltà a causa della perdita degli antichi privilegi che, sin dal medioevo, le avevano garantito una certa autonomia. Attualmente il loro numero, dalle 280 unità censite nel 1877 (ma dovevano avere toccato un picco di oltre 500), è fortemente diminuito e la sopravvivenza della comunità è messa a repentaglio soprattutto a causa della scarsa tutela culturale.

    I villaggi cimbri dell'altopiano sono Vallorch e Le Rotte nel comune di Fregona (TV), Val Bona, Pian dei Lovi, Canaie Vecio, e Pian Canaie nel comune di Tambre (BL), Campon, Pian Osteria e I Pich nel comune di Farra d'Alpago (BL). Molti di questi villaggi sono costituiti da pochi fabbricati talvolta ridotti allo stato di ruderi e la maggior parte sono abitati solo stagionalmente

    Dal 2004, nel mese di settembre (terza domenica) l'altipiano è attraversato dall'Ecomaratona dei Cimbri, una gara nata per far conoscere il popolo cimbro ed il suo territorio.


    image

    image

    image


    image

    image




    Bus de la Lum

    image
    L'imboccatura del Bus de la Lum.



    Il Bus de la Lum (in dialetto locale "Buco della Luce") è un inghiottitoio carsico situato sull'altopiano del Cansiglio. È compreso nel territorio del comune di Caneva (PN).


    Descrizione

    La principale caratteristica del Bus de la Lum non è tanto la profondità (circa -180 m) ma il fatto di essere costituito da un unico pozzo che si apre a strapiombo, senza particolari deviazioni o diramazioni.

    Alla profondità di -60 m vi è un accumulo di materiale detritico pericolante, per cui le esplorazioni risultano difficoltose. Sul fondo si apre una caverna laterale il cui accesso è attualmente ostruito da detriti.

    Nel 1981 è stato scoperto un secondo inghiottitoio adiacente, detto Pozzo dei Bellunesi, che, anzi, comunica con il Bus de la Lum alla profondità di -80 m. Si è inoltre appurato che il Pozzo dei Bellunesi è in realtà costituito da più pozzi comunicanti, motivo per cui si è deciso di denominare l'intero complesso speleologico come "Bus de la Lum - Pozzo dei Bellunesi".

    Sembra inoltre probabile che la cavità sia in comunicazione con alcune sorgenti poste ai piedi dell'altopiano (Gorgazzo e Livenza), come già dimostrato per il vicino Abisso del Col della Rizza. Sarebbe dunque veritiera la diceria popolare che ricordava come il sangue delle carcasse gettate sul fondo della cavità ricomparisse nelle sorgenti del Gorgazzo


    image



    Esplorazioni

    Le prime misurazioni della profondità dell'inghiottitoio furono condotte ai primi del Novecento. Nel 1924, nonostante la rudimentalità dei mezzi, fu raggiunto per la prima volta il fondo: gli speleologi stimarono una profondità di -225 m e posero una targa a memoria dell'impresa.

    Le successive spedizioni (1949 e 1972) corressero però il valore a -180 m.
    Folklore

    La tradizione popolare vuole il Bus de la Lum abitato dalle Anguane o Anduane, streghe feroci e malvagie, senza denti, con lunghi chiodi arrugginiti al posto dei capelli e zanne affilate. Queste terribili creature, uscivano spesso dalla grotta per raccogliere legna, bacche e funghi, o per lavare i panni presso il lago di Santa Croce e, durante queste escursioni, rapivano e poi mangiavano i bambini trovati da soli nella foresta. Quando si riunivano, le Anguane accendevano un fuoco che produceva all'imboccatura del pozzo delle fiammelle, tant'è che i pastori locali presero a nominarlo Bus de la Lum ("Buco della Luce").
    La leggenda ha un fondo di verità. Infatti, nelle calde notti d'estate, si potevano effettivamente formare dei fuochi fatui dovuti alla consuetudine di gettare nel Bus de la Lum le carcasse del bestiame morto per malattia.

    Il Bus de la Lum ha rappresentato un luogo misterioso sin dall'epoca antica, quando era forse considerato una porta di accesso alle profondità della terra, da cui scaturivano energie magiche e potenti. Nei dintorni sono infatti emerse numerose testimonianze archeologiche.

    L'eccidio del Bus de la Lum


    image
    Il monumento eretto a ricordo del massacro.




    image
    La targa posta sul ciglio del pozzo.



    Il Bus de la Lum è tristemente noto per i tragici eventi avvenuti durante la seconda guerra mondiale. L'inghiottitoio fu infatti utilizzato dai partigiani (la resistenza era particolarmente attiva nel Cansiglio) come fossa dove vennero gettati soldati della Repubblica Sociale Italiana, militari tedeschi e molti civili inermi, spinti all'interno "con i polsi legati con il fil di ferro rinserrato con le pinze". Le stime parlano di centinaia di morti: una relazione del 1949 compilata dai carabinieri di Vittorio Veneto conta «oltre 300» vittime, mentre gli speleologi del Centro Italiano Soccorso Grotte, durante le ricerche degli anni sessanta, ne hanno valutato circa 500 (200 soldati tedeschi, 100 militari della Rsi, 200 civili).

    Nei primi anni cinquanta furono recuperati i resti di 26 persone, mentre l'ultima ricerca, effettuata nel 1992, ne ha riportati 68 (sono sepolti presso il cimitero di Caneva). Da allora non sono state effettuate ulteriori operazioni del genere a causa degli elevati costi economici.

    Ben diverse le valutazioni delle sezioni ANPI locali: le vittime non sarebbero che una quindicina.

    Nel 2005 il pm militare di Padova ha aperto un fascicolo per accertare fatti e responsabilità. L'indagine riguarda anche altri due avvenimenti controversi: la strage di Lamosano e l'eccidio di Valdobbiadene.

    Il Bus de la Lum è stato dichiarato monumento nazionale su proposta di Onorcaduti, a cui ne è affidata la gestione. Il comitato, assieme all'associazione Silentes Loquimur, ha di recente realizzato un monumento sul ciglio della grotta, costituito da una croce di tre metri e mezzo, un Tricolore e una targa che ricorda "1943-1945 ai Caduti senza nome".



    image

    image


     
    Top
    .
  9. tomiva57
     
    .

    User deleted


    Cison di Valmarino



    image



    Cison di Valmarino (Cison in veneto) è un comune di 2.553 abitanti della provincia di Treviso. La denominazione del comune fino al 1867 era Cison.


    Geografia

    Si trova verso la fine della Valmareno, la vallata che da Vittorio Veneto arriva a Follina seguendo il corso del Soligo.

    Storia
    Preistoria


    Fu certamente abitata fin dalla preistoria come testimoniano i ritrovamenti paleolitici a Follina, mesolitici a Valmareno e frammenti embrici dell’età del bronzo.

    L'età antica

    Pochi sono i reperti che testimoniano la presenza umana nel periodo precristiano. Forse in età romana di qui passava la via Claudia Augusta Altinate che collegava Altino alla Germania attraverso l'attuale passo di Resia. L'arteria, fondamentale sia dal punto di vista civile che militare, in questa zona valicava il passo di Praderadego e raggiungeva la Valbelluna.

    Il medioevo

    Degli abitati stabili dovettero svilupparsi solo durante le invasioni barbariche (a questo periodo risale il primo nucleo dell'attuale Castelbrando, poi sede della signorie locali) e in particolare sotto il dominio dei Longobardi, la cui influenza era molto forte vista la vicinanza alla sede del Ducato di Ceneda. Secondo la tradizione, proprio allora fu costituito il feudo della Valmareno che, oltre a Cison, comprendeva anche le attuali Miane e Follina; sarebbe stato poi concesso ai vescovi di Ceneda dalla regina Teodolinda (fine VI secolo) e rimase sotto la loro autorità sia sotto il Regno dei Franchi, che durante il Sacro Romano Impero.

    Attorno all'XI secolo, ai vescovi successero le famiglie nobiliari. Il feudo passò ai conti di Porcia e, in seguito al matrimonio tra Sofia di Colfosco e Guecello Da Camino (XII secolo), ai Caminesi. Quando morì senza eredi Rizzardo VI, ultimo dei Caminesi "di Sopra" (1335), il territorio passò per un breve periodo di nuovo ai vescovi, i quali infine lo diedero alla Repubblica di Venezia.

    La Serenissima

    Solo nel 1421, tuttavia, Venezia poté imporre definitivamente la propria podestà a causa di una serie di eventi, come le rivendicazioni da parte dei Da Camino.
    Il 18 febbraio 1436 il doge Francesco Foscari affidò il territorio a Erasmo da Narni (meglio conosciuto come Gattamelata) e Brandolino da Bagnacavallo, noti condottieri che combatterono per la causa di Venezia. Tuttavia i conti erano costretti a pagare una gravosa tassa per i diritti feudali, sicché nel 1439 il primo rinunciò ai suoi diritti cedendo tutta la signoria al secondo. I suoi discendenti, detti Brandolini e in seguito Brandolini D'Adda, tennero la Valmareno sino al 1797, quando la Serenissima cadde per mano di Napoleone.


    image
    il municipio



    Dall'Ottocento ad oggi

    Cison seguì le sorti di tutto il Veneto e, dopo essere passata dai francesi agli austriaci e viceversa, fu definitivamente austriaca divenendo parte del Regno Lombardo Veneto. Dal 1866 fu comune del Regno d'Italia.


    Luoghi d'interesse

    image



    La Chiesa dei santi Giovanni Battista e Maria Assunta

    image
    La chiesa e il campanile di Cison

    Si tratta di una pieve antichissima: un documento del 1170 asserisce che già allora era parrocchia. L'attuale chiesa fu iniziata nel 1683, completata attorno al 1740 e consacrata il 31 maggio 1746 dal Vescovo Lorenzo Da Ponte.

    Sarebbe stata progettata da un architetto locale, un certo Paolo Crempsen. Il campanile non fu mai ultimato e rimane tuttora tronco. Cosa molto peculiare, presenta due facciate, una rivolta ad ovest (la più antica) e ornata da tre statue di Marco Casagrande (la Fede, la Speranza e la Carità) e l’altra ad est con la statua di San Giovanni attorniata dalla Prudenza, dalla Giustizia, dalla Fortezza e dalla Temperanza, disposte in coppia ai lati. C'è probabilmente in questa un significato allegorico, con riferimento alle virtù politiche di chi esercita il potere civile, visto che si affaccia sulla loggia, sede del potere amministrativo e giudiziario.

    All'interno, a navata unica, si trovano altre statue del Casagrande (ancora Fede e Giustizia) e, presso l’altare maggiore, due angeli di Antonio Bianchi. Di Egidio Dall'Oglio, pittore locale, sono un'Assunzione (copiata da una pala del Piazzetta ora conservata al Louvre) e una Nascita e morte del Battista, mentre la pala con il Transito di San Giuseppe è attribuita a Francesco Fontebasso. Del primo Settecento è il monumento funebre a Guido VIII Brandolini, nella cappella della Beata Vergine del Rosario. Opera di Pietro Baratta, è completato da tre sculture raffiguranti la Religione, la Prudenza e la Pazienza.

    Il palazzo di Montalbano

    La costruzione era deputata all’esercizio di attività politico-amministrative di Cison e conservò questo ruolo per secoli nonostante la presenza del castello. Quando nel 1337, il vicario generale del vescovo di Ceneda, Piero de Moxo, investe del feudo di Valmareno, i Caminesi Gerardo e Rizzardo tramite il loro procuratore Gaiacino di Aicardo, ha luogo una particolare cerimonia di consegna delle chiavi del feudo. La cerimonia si ripete tre volte, una presso il Castello di Costa di Cison, una presso la casa chiamata “Mons Albanus” ed una presso la Chiesa Parrocchiale dei SS. Maria e Giovanni. Questo testimonia che il Palazzo di Montalbano era politicamente importante, paragonabile in termini giuridici e simbolici, alla Chiesa Parrocchiale ed al presidio militare del Castello. Quando nel 1349 il Castello e la curia di Valmareno sono venduti a Marin Faliero, costui affida ad un capitano la sorveglianza militare e ad un Gastaldo l’amministrazione civile (con i compiti di riscossione di rendite, decime, mude, e l’amministrazione della giustizia anche criminale). Il Gastaldo, notaio Enrico della Valmareno ha l’obbligo di abitare nel “Palacium” di Montalban e di curarne la manutenzione. Il palazzo di Montalbano è stato distrutto quasi certamente dalle truppe di Francesco da Carrara, 200 padovani che nel mese di Febbraio del 1383 stazionano nella valle per tre giorni e bruciano tutte le case assediando il Castello di Costa e andandosene solo dopo averne distrutto la porta e i belfredi.

    Già da fine ‘200 su un lato della piazza è attestata la presenza di strutture provvisorie e mobili (una tenda o una tettoia in legno) per l’espletamento degli atti amministrativi, queste strutture diventate col tempo solide strutture in muratura che assumono il nome di “loggia”. Così com’è oggi la Loggia : “Luogo deputato all’esercizio del potere feudale e allo scontro politico, la cancelleria. Nel 1599 gli abitanti di Cison e delle altre 11 regole del feudo di Valmareno, richiedono che gli statuti delle leggi fossero tradotti dal latino e pubblicati, la loro richiesta ebbe seguito nell’anno 1600. Viene costruita tra 1647 e 1648 su progetto dell’architetto Michel Zambianco di Farra di Soligo oltre che da centro amministrativo, doveva funzionare da tribunale, dove, tre giorni alla settimana, il podestà coadiuvato dal cancelliere doveva rendere giustizia penale e civile. Ai piani superiori aveva la sua residenza il Cancellier e il Cavalier di corte; nei sotterranei c’erano le carceri. È nella sala delle udienze, riservata alle riunioni dei “dodeci”.

    Nel 1653, in un momento di grave tensione politica tra i comuni e il podestà Piccoli, questi tiene sotto sequestro i dodici rappresentanti per molte ore, minacciandoli “di voler far alla peggio” e aggiungendo che gli abitanti del feudo “sino allora havevano bevuto vin dolce, ma che in avenire volevano farli bever vin garbo, di quel bestiale, et voglio mortificarvi tutti”. Inoltre la piazza si trasformava, all’occorrenza, in triste palcoscenico per le esecuzioni delle condanne a morte, invero non molte.

    image



    Castelbrando

    image



    È la fortezza che si erge sopra il paese e le sue aree rurali e industriali, dominando l'intera vallata.

    Storia

    Il castello ha origini assai antiche e il primo nucleo dovrebbe risalire all'epoca delle invasioni barbariche, quando c'era la necessità di difendere la vicina Ceneda - che pure ospitava un castrum - con una fortificazione rivolta verso la pianura. Come testimoniano i reperti, già allora si era formato negli immediati dintorni un centro abitato stabile ma il tutto decadde con l'arrivo dei Goti non potevano essere avvistati perché giungevano dai valichi a nord.

    Il castello fu però recuperato dai Longobardi, la cui presenza era qui molto forte vista l'istituzione del Ducato di Ceneda. Tuttavia, essi ne fecero ben presto dono, con tutta la Valmareno, ai vescovi locali (forse per iniziativa della regina Teodolinda) che la tennero anche sotto i Franchi e, successivamente, il Sacro Romano Impero.

    A partire dall'XI secolo castello e feudo appartennero ad alcune signorie locali. Nel 1154 finì ai Caminesi e, nel 1343, tornò per un brevissimo periodo alla diocesi. Con la morte del vescovo Ramponi, infatti, il feudo fu assoggettato alla Repubblica Veneta che lo diede a Marin Faliero, futuro doge. Questi però fu più tardi giustiziato e la fortezza ritornò alla Repubblica. Nel 1436 quest'ultima lo donò a Brandolino IV Brandolini e al Gattamelata, condottieri di ventura al servizio della Serenissima. In seguito, a causa di una promozione militare del Gattamelata egli lo cedette totalmente al primo.

    La dominazione veneziana portò un lungo periodo di pace e Castelbrando, cessate le funzioni militari, fu adattato tra il XVI e il XVIII secolo alle esigenze dei Brandolini che lo trasformarono in un palazzo signorile applicandovi lo stile delle ville venete e creando un interessante nonché innovativo per l'epoca sistema di "riscaldamento". I conti tennero il castello sino al 1959, quando lo vendettero ai Salesiani che lo utilizzarono come seminario e luogo di ritiro. Rivenduto da questi nel 1997all'imprenditore Massimo Colomban, è stato restaurato di recente e ospita oggi un albergo.

    I giorni 18, 19 e 20 aprile 2009 è stato sede internazionale del primo G8 dell'agricoltura, presieduto dal ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Luca Zaia.

    image



    Lo stemma

    image



    Originariamente lo stemma della famiglia Brandolini consisteva in strisce bianche e rosse nella parte inferiore e bianche e gialle nella parte superiore con raffigurati degli scorpioni. Successivamente, come documentano le immagini che seguono (scattate nel grande salone degli stemmi), lo stemma acquisì nella parte superiore al posto delle strisce gialle e bianche una corda annodata in tre punti simbolo del compagno d'armi il Gattamelata.



    Economia

    Sin dal XVI secolo i Brandolini intrapresero una politica volta al potenziamento economico del feudo, intrattenendo rapporti commerciali con il Trevigiano, il Bellunese, il Friuli e la stessa Venezia. Negli anni venti del Settecento si tentò di introdurre la produzione di tessuti di qualità che imitassero le tipologie straniere. Più volte, inoltre, si cercò di istituire un mercato stabile nella contea. Ampiamente documentate sono le attività artigianali e industriali, dalla lavorazione di lana e seta alla presenza di vari opifici (mulini, folli, segherie, fucina, fornaci), in gran parte mossi da un complesso sistema di canalizzazione. Il ruolo predominate dei conti nella vita economica e sociale di Cison era ben presente ancora nell'Ottocento, essendo ancora proprietari di gran parte dei terreni e degli opifici. In questo senso, si ricorda il ruolo Luigi Alpago Novello, giovane medico condotto noto per le denunce rivolte contro i Brandolini, accusati di non curarsi della salute dei mezzadri.

    Sull'esempio delle latterie bellunesi, nel 1882 fu aperta una latteria sociale con cui gestire al meglio questo genere di economia.

    Fra le due guerre, il settore primario è rappresentato ancora da un'agricoltura di sussistenza, basata sull'allevamento, la viticultura e lo sfruttamento dei boschi. Le donne erano in gran parte occupate stagionalmente nelle filande. Come tutta la zona, tuttavia, molti abitanti furono costretti a trovare lavoro altrove, specie nella zona del Triangolo Industriale e nell'Europa centrale.


    image


    image
    il paese visto dal castello





    La Via dell'Acqua lungo il torrente Rujo a Cison di Valmarino


    La Via dei Mulini e del Comune di Cison di Valmarino.

    La via dei Mulini
    Cison era nota in passato per la presenza di una serie di mulini alimentati da un sistema idraulico che deviava le acque dal torrente Rujo In questi ultimi anni il paese è al centro di manifestazioni di riscoperta dell'Artigianato e di recupero della Via dei Mulini.
    Il percorso inizia dalla bella piazza di Cison di Valmarino e risale la valle del torrente Rujo. Al primo bellissimo 'Ponte dei Sassi' (recentemente restaurato) si attraversa il torrente e si seguono le evidenti indicazioni e tabellonistica descrittiva. La passeggiata presenta alcune diramazioni ed è possibile arrivare fino al 'Bosco delle Penne Mozze'.

    image
    bosco delle penne mozze

    image
    ponte dei sassi

    image

    image

    image



    Da Wikipedia
    dal web
     
    Top
    .
  10. tomiva57
     
    .

    User deleted


    Veneto • Città murate


    01_Castelfranco-Veneto-canale

    Mattone su mattone

    castelfranco-veneto


    Il Veneto è la regione italiana che conserva il maggior numero di centri storici difesi da cinte murarie costruite in laterizio: opere magnifiche e imponenti dell'ingegneria militare medioevale, che hanno resistito per secoli (e a volte per più di un millennio) ad assedi, conquiste e all'impietoso trascorrere del tempo. Siamo andati a visitarne cinque – Castelfranco Veneto, Lazise, Soave, Marostica e Montagnana – seguendo non solo il richiamo della storia, ma anche quello di un pleinair che in ognuna di queste città trova degna accoglienza.

    726_castelfranco_veneto_monumento_a_giorgione


    La statua di un grande pittore del Rinascimento sorge ai piedi di una delle più belle cinte di mura del Veneto. L’artista è Giorgione, che lasciò un segno inconfondibile nella storia dell'arte prima di morire nel 1510, a soli trentaquattro anni, durante un’epidemia di peste. Un pittore nelle cui opere domina incontrastato il colore, e che ebbe rapporti con Leonardo, Raffaello e Tiziano; un uomo di cui sappiamo assai poco, che si chiamava Giorgio o Zorzi e veniva indicato in dialetto come Zorzòn. Gabriele d’Annunzio, grande estimatore dei suoi quadri, lo considerava “piuttosto un mito che un uomo”, e gli fa eco il giornalista Virgilio Lilli affermando che “Giorgione è una di quelle figure d’artisti che confinano con le figure degli eroi”. Lo storico dell’arte Pietro Zampetti ha scritto che nei quadri di Giorgione “il segno di contorno scompare, tutto diventa più morbido e permeato di luce. Una luce che sembra scaturire dalle cose stesse, mutevole, instabile, trepidante come il sentimento umano”.
    Tra il 2009 e il 2010, una mostra che è diventata rapidamente un evento (e alla quale hanno contribuito grandi musei come l’Ermitage di San Pietroburgo, gli Uffizi di Firenze, il Louvre di Parigi e la National Gallery di Londra) ha fatto conoscere Giorgione anche ai profani e ha portato alla ribalta Castelfranco Veneto, la città dove l’artista era nato e si spense cinque secoli fa.

    castelfranco_veneto_Museo_casa-giorgione-da-visitare



    Le opere giovanili si possono ammirare nel Museo Casa Giorgione, inaugurato nel 2009, mentre nel duomo della cittadina fa bella mostra di sé la Madonna in trono con i santi Nicasio e Francesco, uno dei suoi dipinti più belli.
    Ma Castelfranco merita una visita anche a prescindere da Giorgione. Oggi circondata da estese aree industriali, la città è la dimostrazione che in Veneto, anche nei luoghi in cui le attività artigianali e manifatturiere sembrano regnare sovrane e i centri commerciali continuano a spuntare come funghi, la storia e l'arte sono sempre presenti. Per secoli il territorio fu sconvolto dalle lotte per il potere tra le signorie di Padova, Verona, Treviso, Vicenza, Venezia: agli eserciti degli Scaligeri, dei da Romano, dei Carraresi, degli altri signori locali e dei Dogi si affiancavano quelli dei Visconti di Milano, dei Gonzaga di Mantova, degli Estensi di Ferrara e milizie provenienti dal resto d’Italia o dal Nordeuropa, e poiché nella pianura non esistono ostacoli naturali con la sola eccezione del Po, dell’Adige e degli altri fiumi più importanti, molte furono le città che si dotarono di mura e torri per proteggersi dagli attacchi del nemico di turno.
    Proprio la presenza di queste spettacolari cinte murarie costruite in mattoni, che spiccano anche a distanza con i toni accesi del rosso fuoco, accomuna i centri storici di località come Soave, Lazise, Marostica e Montagnana che, insieme alla stessa Castelfranco (e alle oltre quaranta località della regione che presentano un analogo impianto urbanistico), offrono lo spunto a un itinerario tematico capace di offrire qualche sorpresa – speriamo – anche a chi ha già percorso questa parte del Veneto in lungo e in largo.


    Libero castello

    Al contrario di molti centri della regione, che hanno origini piuttosto antiche, Castelfranco Veneto nacque nel 1195 quando la città di Treviso decise di edificare una fortezza al confine con Vicenza e Padova, nel punto in cui si incontravano le vie Postumia e Aurelia, in una zona dove l’unico confine naturale era rappresentato dal fiume Musone. A popolare il nuovo insediamento non furono però soldati ma liberi cittadini che ottennero l’esenzione dalle imposte, come testimonia quel “franco” che conclude il toponimo.
    Il castello passò nel 1246 ad Ezzelino III da Romano, che lo rafforzò con una torre sul lato meridionale, e tornò a Treviso dopo la sua morte nel 1259. Nel 1329 passò a Verona, e solo dieci anni più tardi seguì le sorti di gran parte del Veneto entrando nei possedimenti della Serenissima.

    castlefranco1



    Il '400 e il '500, gli anni di Giorgione, furono di grande prosperità economica, e a quell'epoca risalgono gli edifici mercantili con portici e magazzini, il mercato, le ville delle famiglie nobili. Le mura del borgo medioevale, che datano ai primi anni della città, sono affiancate da un fossato, da aree verdi e da statue (come la citata effigie del pittore).

    187px-CastelfrancoV_porta


    La Porta di Treviso e la sua torre vennero impreziosite nel '400 da un orologio e da un grande Leone di San Marco, mentre la torre della porta meridionale, chiusa nel 1665, fu trasformata nel campanile del duomo neoclassico: all'interno della chiesa sopravvivono i resti di un edificio di culto più antico, sui quali spicca la celebre Madonna di Giorgione. Nel vicino museo, allestito in quella che era la casa dell’artista, sono i Simboli delle arti liberali e meccaniche. Provengono invece dalla smantellata Villa Corner del Paradiso le statue di Piazza San Liberale, che si apre nel cuore del borgo.


    4253884262_bf4fcdb704_z

    03_Castelfranco-Ven-Giorgione
    Castelfranco Veneto, piazza del Giorgione

    Affaccio sul Garda


    p-lazise02


    Se Castelfranco Veneto è una sorpresa per molti, lo stesso non vale per Lazise, il borgo fortificato che si affaccia lungo la sponda veronese del Lago di Garda. A portata di mano per chi raggiunge il Veneto lungo la A4 Milano-Venezia o la A22 del Brennero, la cittadina è oggi frequentata da migliaia di turisti, spesso di lingua tedesca. Molti arrivano in bici sulla pista ciclabile che corre sulla sponda del bacino, altri in barca a vela sfruttando il vento teso che batte spesso il più grande lago italiano. I battelli di linea permettono inoltre di arrivare comodamente da Peschiera, da Sirmione e da varie altre località rivierasche.

    Lazise3



    Fortificata nell’Alto Medioevo, Lazise divenne più tardi una piazzaforte degli Scaligeri, i signori di Verona. Le sue mura vennero ricostruite nel XIV secolo per volere di Alberto II e Mastino II della Scala, mentre la Rocca, che sorveglia ancora oggi l’abitato, assunse le forme attuali tra il 1375 e il 1381 per volontà di Cansignorio e Antonio della Scala: una scelta opportuna visto che pochi anni dopo, nel 1387, Lazise fu posta sotto assedio dalle truppe dei Visconti, signori di Milano. Nel 1439 l'attacco giunse invece da Venezia, nella guerra che si concluse con l’ingresso di Verona e dei centri vicini sotto l'egida della Repubblica lagunare, ma i veneziani si trovarono a difendere il borgo nel 1529, quando ad attaccare furono le milizie dell'impero germanico al comando del duca di Brunswick.

    Lazise



    Cuore di Lazise è l’elegante porto antico, parte della darsena che ospitava le galee di Verona e poi di Venezia (oggi sostituite perlopiù dalle barche dei pescatori) e che uno stretto passaggio mette in comunicazione con il Garda. Il molo che separa il porto vecchio dal lago è intitolato a un personaggio locale che meriterebbe di essere meglio conosciuto, il farmacista e botanico Francesco Fontana che scoprì nel 1824 l’acido acetilsalicilico, il principio attivo dell’aspirina.

    04_Lazise-campanile-Nicol%C3%B2
    Lazise, il campanile di S. Nicolò



    Si affaccia sul bacino la semplice chiesa romanica di San Nicolò, del XII secolo, affiancata da un campanile settecentesco; tra gli affreschi della navata è una Madonna che allatta, del '300, mentre risale all'800 il Crocifisso. Alle spalle della chiesa è la Dogana veneta, dove in passato dovevano pagare un dazio i viaggiatori e le merci provenienti dalla sponda lombarda e da quella trentina, che per secoli fu austro-ungarica.
    Nella darsena, al termine di un complesso restauro, verrà sistemato il relitto di una galea veneziana lunga 30 metri e larga 6, affondata dal suo stesso equipaggio nel 1509 affinché non cadesse in mano delle truppe della Lega di Cambrai, e recuperata proprio di fronte a Lazise.

    jpg



    Solo in occasione di mostre ed eventi, invece, è possibile visitare la Rocca che il conte Giovan Battista Buri fece restaurare a metà dell’800, completandola con un parco ricco di piante rare. Accanto alla Rocca è la cinquecentesca chiesetta di Santa Maria delle Grazie, mentre ai piedi della fortificazione si trovano le porte di San Zeno e del Lion e il tratto meglio conservato delle mura.

    IMG_Lazise_porta_San_Zeno-mosaico_Anna_Righeblu_idee_weekend_Anna_Marrocco_1e


    porta_cansignorio-web



    Vista sulle torri

    Meno di 30 chilometri ad est di Verona, chi viaggia sull'autostrada o in treno verso Vicenza e Venezia scopre, ai piedi delle colline rivestite da vigneti e uliveti, una delle più belle città fortificate del Veneto.

    06_Soave-le-mura-3
    Soave




    Nata ai tempi di Roma come presidio lungo la via Postumia e ricostruita nell’Alto Medioevo da Berengario I, Soave appartenne ai conti di San Bonifacio sino ai primi anni del '200. Nel 1226 fu conquistata dal condottiero Ezzelino da Romano, nel 1270 passò a Verona e divenne un'importante piazzaforte sul confine con i possedimenti vicentini: risale a quegli anni l’imponente cinta muraria che circonda l’abitato anche oggi. Nel 1338 venne attaccata da un esercito di Venezia, che fu respinto dalle truppe di Mastino della Scala; il suo successore Cansignorio, fra il 1369 e il 1375, fece rafforzare la cerchia. Alla caduta degli Scaligeri, come tutto il territorio veronese anche Soave passò ai Visconti, quindi ai Carraresi di Padova e infine ai Gonzaga. Nei primi anni del '400, quando il Veneto venne unificato sotto Venezia, la cittadina perse la sua importanza, le mura non furono più restaurate e vaste aree furono cedute a privati. Più tardi, nel 1556, il castello divenne residenza di campagna e fattoria della famiglia veneziana dei Gritti, fino all'abbandono nel XVIII secolo. Il restauro dell'edificio fu avviato nel 1889 dal senatore Giulio Camuzzoni, bisnonno dell'attuale proprietaria.

    07_Soave-Porta-Verona



    Porta Verona
    è l'imponente ingresso al centro storico. Una salita conduce alla parrocchiale di San Lorenzo, di origine medioevale ma rifatta in forme neoclassiche, e poi alla piazzetta sulla quale si affaccia il Palazzo Cavalli, eretto nel 1411 in stile gotico veneziano, con notevoli affreschi in facciata e un grande scalone d'onore.

    08_Soave-Palazzo-Scaligero-2



    12SoaveS_MariadiMonteSanto-vi



    Continuando a salire si tocca la chiesa di Santa Maria di Montesanto, anch’essa del secolo XV, e si raggiunge l’ingresso del Castello Scaligero, il monumento più importante della città.
    Prima di ripartire vale senz'altro la pena assaggiare l’ottimo vino bianco locale, uno dei DOC più importanti del Veneto: visitando una delle numerose cantine della zona si potranno scoprire le differenze tra il Soave, il Soave Classico, il Soave Superiore e il Recioto di Soave, tutti prodotti con uve Garganega e Trebbiano di Soave.




    Non solo scacchi

    bassano-del-grappa



    Da Vicenza, piegando a nord in direzione di Bassano del Grappa e dei pendii che salgono all’altopiano di Asiago, una deviazione fra le più battute è quella che conduce a Marostica. Celebre in Italia e nel mondo per la partita a scacchi con pezzi viventi che va in scena negli anni pari, la cittadina conserva impressionanti opere difensive medioevali: il Castello Inferiore o da Basso, oggi sede comunale, e il Castello Superiore, che sorge sul Monte Pausolino a 256 metri di quota, sono collegati da ben 2 chilometri di mura ottimamente preservate.


    CastelloInferiore-101


    Oltre alla frequentatissima rievocazione in costume, un folto calendario di appuntamenti culturali, feste e sagre attira visitatori durante tutto l'arco dell'anno, ma la notorietà di Marostica è da sempre legata al suo ruolo di piazzaforte militare. La storia della città inizia con i Celti e gli Euganei, per proseguire con l’occupazione da parte delle legioni di Roma (il toponimo, secondo l’ipotesi più accreditata, deriva dalla fusione del vocabolo celtico mar, sopra, e del romano hosticum, accampamento). Nel V e nel VI secolo si scontrarono qui Ostrogoti e Bizantini, e più tardi la città fu contesa tra il re longobardo Berengario e Guido di Spoleto, appoggiato dagli Ungari. Nell'XI secolo Marostica passò agli Ezzelini, poi appartenne ai Vicentini, ai Carraresi e agli Scaligeri, che si scontrarono duramente con Padova: risale alla loro dominazione, intorno alla metà del '300, la struttura odierna delle mura, una cerchia di nitido disegno scandita dalle porte Bassanese, Vicentina e Breganzina e da venti torricelle minori. A completare l'opera, tra la fine del XIV e il XV secolo, furono i Visconti e poi Venezia.
    Il Castello da Basso, trasformato sotto gli Austriaci, ha ripreso le sue forme medioevali nel 1935 e conserva affreschi del '400. Raggiunta la vicina Piazza Castello, si attraversa il centro e si incrocia Via Mazzini, per poi salire alla chiesa di Sant’Antonio Abate e alla barocca chiesa del Carmine, del 1618.

    scacchi-marostica


    8870690_l

    hpim0532



    09_Marostica-di-San-Marco
    Marostica il leone di S. Marco




    Il Veneto è la regione italiana che conserva il maggior numero di centri storici difesi da cinte murarie costruite in laterizio: opere magnifiche e imponenti dell'ingegneria militare medioevale, che hanno resistito per secoli (e a volte per più di un millennio) ad assedi, conquiste e all'impietoso trascorrere del tempo. Siamo andati a visitarne cinque – Castelfranco Veneto, Lazise, Soave, Marostica e Montagnana – seguendo non solo il richiamo della storia, ma anche quello di un pleinair che in ognuna di queste città trova degna accoglienza.

    montagnana_danesin


    A sinistra di quest'ultima inizia il viottolo selciato che sale tra gli ulivi e conduce in una ventina di minuti al Castello Superiore, offrendo un magnifico panorama su Marostica e le sue mura già dopo pochi minuti di cammino.

    foto-1_67418



    Tra le nebbie della Bassa


    14_Montagnana-le-mura




    Nel cuore della Pianura Padana, a sud dei Colli Euganei e in vista del corso dell’Adige, si alzano le mura e le torri di Montagnana, costruite nel '300 dai signori di Padova. Lo sviluppo di circa 2 chilometri, le ventiquattro torri e l’altezza di oltre 10 metri ne fanno un'opera straordinaria, che solo la foschia della Bassa riesce a velare nelle giornate più umide.
    Abitata fin dal Neolitico, Montagnana divenne importante ai tempi di Roma, quando controllava l’accesso da nord al ponte con il quale la Via Emilia Altinate scavalcava l’Adige. Nel 589 la deviazione del fiume a seguito di una catastrofica alluvione spinse però il traffico in direzione di Este, e Montagnana iniziò a riprendersi solo poco prima del Mille, quando vennero costruite le mura. Fu invece Ezzelino da Romano, signore della città dal 1242 al 1257, a far erigere il poderoso castello di San Zeno, il più antico tra i monumenti cittadini che sono arrivati fino a noi.


    montagnana-from_castello_san_zeno



    Più tardi Montagnana passò a Padova, e le mura furono rafforzate in vista di una guerra contro Verona. Nei primi anni del '400, come gran parte del Veneto, la cittadina entrò fra i possedimenti di Venezia, divenne snodo di commerci e conobbe una nuova ricchezza: lo ricordano

    30910-800x579-500x361

    il duomo di Santa Maria Assunta,

    IM000916

    il Palazzo dei Pisani, disegnato dal Palladio, e

    montagnana_palazzo_del_comune


    il nuovo Palazzo del Comune, progettato dal veronese Michele Sanmicheli.


    jpg



    La visita inizia da Porta Padova, sovrastata dal mastio alto 44 metri, fatto edificare da Ezzelino da Romano insieme al castello di San Zeno, che oggi ospita il Museo Civico; all'esterno delle mura è il Palazzo dei Pisani. Via Carrarese conduce al Palazzo Comunale, affiancato da un portico dove si conserva qualche affresco. Il duomo, in posizione obliqua rispetto al piano ortogonale della città, sorveglia la Piazza Maggiore al centro della quale, dopo l’Unità d’Italia, venne sistemata una statua di Vittorio Emanuele II. L’interno della chiesa è opera dell’architetto Lorenzo da Bologna, mentre sull’altare maggiore spicca la pala della Trasfigurazione, di Paolo Veronese. Notevoli anche i dipinti dedicati alla battaglia di Lepanto e l’Assunzione della Vergine, del vicentino Giovanni Buonconsiglio.

    58072-800x600



    Proseguendo dall’altro lato della piazza si raggiunge in breve la Porta Vicenza o Porta Nuova, del 1504. Seguendo Via Matteotti, scandita da eleganti palazzi, si arriva infine alla Rocca degli Alberi, protetta da un fossato anche verso l’interno, che fu costruita dai Carraresi intorno al 1260 e che ospita da qualche anno un ostello per la gioventù. Una nuova destinazione di pace per una delle tante storiche architetture di guerra del Veneto.

    013634-1237914639




    Testo e foto di Stefano Ardito
    PleinAir 459 – ottobre 2010
    foto web
     
    Top
    .
  11. tomiva57
     
    .

    User deleted


    Parco delle Dolomiti Bellunesi


    La parte più meridionale delle Dolomiti, sconosciuta al grande pubblico, è protetta dal Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi: un ambiente con tesori naturali di inestimabile valore, tutti da scoprire.
    Le montagne, con la loro silenziosa bellezza hanno incantato lo scrittore, giornalista e pittore bellunese Dino Buzzati, che le ha definite in uno dei suoi scritti "enigmatiche, intime, segrete (...) commoventi per le storie che raccontano, per l'aria d'altri secoli, per la solitudine paragonabile a quella dei deserti".
    La varietà dei paesaggi offerta da queste montagne diventa particolarmente suggestiva in estate, quando i dolci altipiani e le cime erbose, per le prorompenti fioriture, diventano una tavolozza di colori. Su tutte le specie floreali spicca la Campanula Morettiana, divenuta il simbolo stesso del Parco. I Monti del Sole rappresentano il cuore più selvaggio e misterioso delle Dolomiti Bellunesi e riservano spettacoli di grande bellezza come le cascate della Soffia e gli straordinari Cadini del Brenton. Attraggono il visitatore, in modo particolare, i fenomeni geologici e geomorfologici di cui il Parco è ricchissimo, come le caratteristiche "marmitte" del torrente Brenton, e i "circhi" delle vette Feltrine, tracce di antichi ghiacciai oggi scomparsi.

    Non mancano, nonostante il carattere incontaminato e selvaggio di queste montagne, i siti di interesse storico. L'antichissimo complesso della Certosa di Vedana, nei pressi dell'omonimo lago, è uno dei monumenti più importanti della provincia di Belluno ed ospita ancora oggi una piccola comunità di monache. Elevato valore testimoniale hanno anche le Miniere di Valle Imperina, antico centro minerario che ha segnato per secoli l'economia agordina.


    Marmitte%20Canal%20del%20Mis%20-%20PNDB.%2013%20Giugno%202009.jpg_200977162822_Marmitte%20Canal%20del%20Mis%20-%20PNDB.%2013%20Giugno%202009
    Marmitte Canal del Mis (Belluno)



    La valle del Mis, che si sviluppa attorno l’omonimo torrente, taglia trasversalmente
    il Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi, da Gosaldo a Sospirolo.
    Nei pressi del Lago del Mis è possibile ammirare due delle formazioni geologiche
    più spettacolari del parco. Si tratta della cascata della Soffia.. La forte azione erosiva
    di questi luoghi creata dalle acque del canale Mis ha influenzato l’andamento anche
    delle valli circostanti generando una serie di fenomeni particolari e altamente
    suggestivi lungo i vari sistemi di faglie trasversali.
    La cascata della Soffia, alta 12 metrisi genera all’incrocio del torrente Soffia con il
    lago del Mis, sul lato nord orientale. Qui la diversa velocità erosiva tra il Mis e il
    torrente Soffia, oltre alle particolari condizioni geologiche hanno creato un
    suggestivo e spettacolare salto d’acqua che ora è uno dei luoghi più visitati del
    Parco. L’alveo del torrente Soffia scorre scavato in rocce sospese rispetto la valle
    Mis creando uno spettacolo splendido sia prima della cascata che subito dopo il salto
    d’acqua dove si generano alcune marmitte di evorsione



    Parco%20Naturale%20Dolomiti%20Bellu.jpg_200977162347_Parco%20Naturale%20Dolomiti%20Bellu

    Cascate della Soffia (Belluno)



    Un budello spaventoso, e l'acqua che vi s'insinua con una potenza incontenibile. Milioni di anni per questo scavo incuneato tra le rocce che ha il fascino di una grotta. Un fragore incessante, che stordisce, ma che è musica inebriante. Infine l'acqua che si mescola alle calme acque del lago, ma che anche in questo dà spettacolo: una immensa marmitta subacquea incassata tra due quinte rocciose. E la luce che finalmente illumina quell'acqua che esce da quel buio inghiottitoio e regala un'infinita sfumatura di verdissimi colori.


    Soffia-102

    Cascate della Soffia, spettacolo della natura, collettore della linfa distillata tra i misteriosi valloni e le spaventose crepe dei solitari ed austeri Monti del Sole.


    Soffia-107


    Valle%20Candaten.jpg_200977172312_Valle%20Candaten

    Val Candaten. (Belluno)


    3_Dolomiti_bellunesi_Parco_300_200

    Dolomiti Bellunesi


    Monti del Sole


    I Monti del Sole costituiscono un gruppo montuoso situato nel territorio del Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Fanno parte della provincia di Belluno e si affacciano sulla Valbelluna, la valle media del Piave compresa fra le Prealpi Bellunesi e le Dolomiti meridionali. Rispetto ad altri gruppi dolomitici le cime dei Monti del Sole raggiungono altitudini limitate a circa 2000 metri; nonostante la relativa bassa quota queste montagne sono ripide e difficilmente praticabili, persino inaccessibili in alcuni punti, ma proprio questi ostacoli costituiscono un'attrattiva per gli escursionisti esperti, desiderosi di godere dei paesaggi senza la ressa del turismo di massa.

    435_1_PNDBL

    Grazie all'ambiente selvatico che caratterizza l'area, i Monti del Sole hanno mantenuto un paesaggio intatto, ricco di formazioni boschive naturali di pino silvestre, faggio e larice. La roccia dolomitica domina l'ambiente con pareti verticali, guglie, forre e dirupi. Dalla cittadina di Agordo è possibile scorgere il Bus de le Neole, un camino di roccia naturale profondo 180 metri e largo 30, capace di aspirare le nuvole che si addensano sui fianchi della montagna per farle fuoriuscire dall'apertura superiore creando suggestivi effetti di fumo.Spingendosi nelle poche valli accessibili si può notare una tipica flora rupestre sia sulle pareti umide sia sui massi, come la primula tirolese e il giglio dorato.
    Il ricco patrimonio faunistico, favorito dalla quasi totale assenza dell'uomo, conta tra gli altri, camosci, cervi,volpi, aquile reali, nibbi bruni, scoiattoli, ermellini e tassi.
    Inoltre all'interno della riserva Monti del Sole si trova il centro di Selezione Equestre di Salet di Sedico, una struttura in cui vengono allevati e addestrati i cavalli impiegati nei servizi istituzionali del Corpo forestale dello Stato.


    i%20monti%20del%20sole%20001

    dal web

    torrente%20mis

    torrente Mis

    “ Esistono da noi valli
    che non ho mai visto da nessun altra parte…
    Invece esistono: con la stessa solitudine,
    gli stessi inverosimili dirupi
    mezzo nascosti da alberi e cespugli
    pencolanti sull’abisso le cascate d’acqua…

    La valle del Mis per esempio con le sue vallette laterali
    che si addentrano in un intrico di monti selvaggi e senza gloria,
    dove sì e no passa un pazzo ogni trecento anni,
    non allegre, se volete, alquanto arcigne forse, e cupe.
    Eppure commoventi per le storie che raccontano,
    per l’aria d’altri secoli, per la solitudine paragonabile a quella dei deserti ”


    (tratto da “La mia Belluno”)

    Le Dolomiti, rifugio del cronista Buzzati





    giannallachannel.info



    “ Le impressioni più forti che ho avute da bambino appartengono alla terra dove sono nato, la valle di Belluno, le selvatiche montagne che la circondano e le vicinissime Dolomiti ”




    Così scriveva Dino Buzzati (1906-1972), cronista del Corriere della Sera e scrittore, autore di romanzi immortali come Il deserto dei tartari e Bàrnabo delle montagne. Oggi quella valle e quelle cime a lui così care (e che furono la sua prima fonte d’ispirazione: prima fra tutte la Schiara, che definì “la montagna della mia vita” e il monte Serva) fanno parte del Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi e del Parco naturale di Paneveggio – Pale di San Martino e ad esse dedica uno sguardo poetico Vittorio Giannella in questa terza tappa del suo viaggio per Giannella Channel dedicato all’Europa che ha emozionato scrittori, poeti e artisti (le prime due tappe sono state dedicate alle Azzorre di Antonio Tabucchi e all’Irlanda di Yeats).

    Ancora oggi, a distanza di due secoli dall’acquisizione della villa da parte della famiglia Buzzati (1811) attualmente diventata un bed & breakfast, le montagne restituiscono intatta l’immagine che ne riportava Buzzati, per esempio in Bàrnabo delle montagne: “Con i valloni deserti, con le gole tenebrose, con i crolli improvvisi di sassi, con le mille antichissime storie e tutte le altre cose che nessuno potrà dire mai“.
     
    Top
    .
  12. tomiva57
     
    .

    User deleted


    grotte-del-caglieron-P1100870
    foto:montagnando.it


    Grotte del Caglieron



    Le Grotte del Caglieron sono situate in località Breda di Fregona, in Provincia di Treviso.
    Il complesso consta di una serie di cavità, parte delle quali di origine artificiale e parte di origine naturale; per la parte naturale, si tratta di una profonda forra incisa dal torrente Caglieron su strati alternati di conglomerato calcareo, di arenarie e di marne del Miocene medio (da 16 a 10 milioni di anni fa).

    Numerose sono le cascate, alte parecchi metri, con grandi marmitte alla base.
    Nella parte più profonda della forra, si notano sulle pareti grandi concrezioni calcaree che chiudono per un tratto e in parte la volta, dando all’insieme l’aspetto di una grotta.
    Sulle pareti della forra si aprono delle grandi cavità artificiali, ottenute dall’estrazione dell’arenaria, la tipica “piera dolza” (pietra tenera).

    L’attività estrattiva, che risale al 1500 e forse anche prima, forniva il materiale per la costruzione di stipiti, architravi, ecc., che si possono ancora osservare sulle vecchie case e i palazzi di Vittorio Veneto e dintorni.
    Interessante il metodo di estrazione praticato: essendo gli strati inclinati anche oltre i 45°, il distacco del materiale, provocato utilizzando grossi scalpelli che hanno lasciato segni ancora visibili, avveniva a blocchi, con l’avvertenza però di lasciare delle colonne inclinate a sostegno della volta. Ne è derivato così un insieme di suggestive cavità artificiali, distribuite lungo l’orrido, sul cui fondo scorre vorticoso e rumoroso il torrente, tanto da portare alla costruzione di un percorso attrezzato.

    41152-1222702155-0
    foto:photoblog.com

    Attualmente il complesso delle Grotte è interessato dai lavori di realizzazione del Parco delle Grotte del Caglieron, in buona parte completati. L’inizio del percorso, lungo circa 1 km, è situato in via Ronzon, poco dopo il costruendo Centro Visite; tramite una passerella pedonale che attraversa il torrente Caglieron, si scende su di un largo sentiero, passando sotto al ponte della strada Provinciale.
    Lungo il percorso si incontrano numerosi pannelli descrittivi e, sulla destra, si apre una grotta molto ampia (grotta dei Breda), caratterizzata dalle colonne inclinate che sostengono gli strati di arenaria formanti il soffitto. Poco più avanti, sulla sinistra, una passerella in legno conduce alla grotta per l’affinamento del formaggio di grotta (grotta di San Lucio) del caseificio Agricansiglio.
    Ritornando appena sui propri passi, si incontra un belvedere a forma di prua, dal quale si può ammirare la splendida forra naturale e, proseguendo, percorrerla su passerelle a tratti sospese.
    Dato il notevole contenuto in calcare delle acque, si ha la sua rideposizione con formazioni di ampie superfici concrezionate, stalattiti e stalagmiti, delle più varie forme e colori.
    Nelle zone più illuminate è notevole la presenza di travertino, con alternanza di muschi ed altri residui vegetali. All’interno delle cavità artificiali, ci sono alcuni tratti di cunicoli esplorabili dagli speleologi.

    Data la costanza della temperatura nelle parti più profonde delle grotte, e la progressiva diminuzione della luce, si possono osservare una serie di microambienti di notevole interesse botanico e zoologico.


    foto:clubmototuristi.forumfree.it

    Al termine del percorso nella forra, il sentiero attrezzato ci conduce ad un antico mulino (ristorante) e, seguendo le segnalazioni in loco, si procede risalendo verso la parte terminale del parco.
    Lungo il sentiero, dapprima ripido e poi pianeggiante, incontriamo sulla destra due piccole case ristrutturate, destinate a diventare Museo dello Scalpellino, a memoria dell’antico mestiere.


    grotte-caglieron-6
    foto:diarioinviaggio.it

    Il percorso si conclude uscendo direttamente sulla Provinciale 151, quasi difronte ad una grotta (grotta di Santa Barbara), in precedenza utilizzata come fungaia e ora in sistemazione per l’utilizzo futuro come laboratorio didattico. In realtà quelle qui visitabili sono solo una parte delle cavità esistenti; altre “grotte” analoghe sono scaglionate per tutta la parte alta del territorio, fino al Masarè sopra borgo Ciser. Una di queste, passato il ponte sulla provinciale, è stata dedicata dalla devozione degli abitanti alla Madonna.

    Le Grotte del Caglieron, apprezzate sia in estate per la frescura che in inverno per le stupende cascate di ghiacci, sono punto di riferimento per laboratori di educazione ambientale e meta ogni anno di migliaia di visitatori.


    image
    foto:tribunatreviso.gelocal.it




    fonte:prolocofregona.it
     
    Top
    .
  13. tomiva57
     
    .

    User deleted


    101176_verona_parco_delle_cascate_di_molina
    foto:paesionline.it


    Parco Delle Cascate di Molina (VR)



    Il Parco delle Cascate di Molina è situato a Sud-Est del Paese in località Vaccarole, e si estende su una superficie di circa 80.000 mq..
    Comprende l'ultimo tratto della Valle di Molina e la zona di confluenza con la Val Cesara ed il Vaio delle Scalucce. La definitiva emersione della regione lessinea avvenne durante l'era Terziaria, circa 25 - 30 milioni di anni fa, e le rocce di questo territorio, dal momento della loro esposizione in ambiente subaereo, vennero sottoposte all'azione costante degli agenti atmosferici che causarono, nel tempo, la loro alterazione e la loro frammentazione.


    mappa1
    foto:2.on-ice.it

    Il sistema idrografico dell'alta valle di Fumane, ha avuto un'origine fluviale e presenta morfologie giovanili, con vai dai ripidi versanti e stretti fondovalle dal profili a "V". Le Cascate si sono formate lungo i corsi d'acqua per la presenza di rocce a diversa erodibilità.
    I livelli argillosi impermeabili dei calcari cretacei del Biancone impediscono alle acque meteoritiche di filtrare nel sottosuolo, originando così delle sorgenti.
    Forme caratteristiche legate all'azione della corrente sono solchi,nicchie e marmitte d'erosione visibili oltre che sul corso attuale, anche sulle pareti rocciose laterali, a testimonianza dei passati percorsi.
    La particolarità di questo territorio è la ricchezza d'acqua, grazie all'esistenza di sorgenti perenni poste a Nord del paese di Molina. Il Parco oltre alle spumeggianti Cascate, offre al visitatore anche un paesaggio segnato dai boschi e prati, interrotti frequentemente da torrenti e rivi d'acqua che accosta la dolcezza del verde, nell'infinita varietà della vegetazione, al grigio degli speroni rocciosi.
    E' ritrovabile nel Parco una sintesi del paesaggio della bassa montagna, dove sentieri ed itinerari offrono al visitatore ora la serena solennità di una cascata d'acqua spumeggiante, ora la distesa di fiori multicolori tra un bosco ed un dirupo, ora la forra abitata da un vorticoso torrente.



    fonte:parcodellecascate.it

    Cascate-Molina-04
    foto:magicoveneto.it

    jpg
    foto:verona.net


    parco-delle-cascate-di
    foto:tripadvisor.com


    parco-delle-cascate-di
    foto:tripadvisor.com



    Video

     
    Top
    .
87 replies since 6/8/2010, 09:29   51408 views
  Share  
.