VENETO ... 2^ Parte

TREVISO ... VERONA ...CORTINA...

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    grazie gabry
     
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    FELTRE (bl)




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    Feltre, e` una citta ricca di storia e tutta da scoprire. E` situata a 325 metri s.l.m.nella parte settentrionale del Veneto, inscritta nella montuosa Provincia di Belluno con a nord le Prealpi Venete considerate le porte di ingresso delle famose Dolomiti.
    Antichissimo crocevia di varie popolazioni e punto di snodo tra diverse culture, Feltre conserva tutt’oggi una’animo gentile dove si puo` respirare una forte commistione tra tradizione e innovazione passeggiando per il suo caratteristico ed esclusivo centro storico ricco di palazzi cinquecentisti dalle peculiari facciate decorate con preziosi affreschi di epoca rinascimentale.





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    Cavalieri al Palio di Feltre nel mese di Agosto

    L’apice del folklore viene raggiunto nella prima settimana di agosto, quando Feltre diventa la “Citta del Palio”. Una festa davvero spettacolare che coinvolge i quattro quartieri della città, impegnati in sfide entusiasmanti per aggiudicarsi l’ambito drappo. Il suggestivo Palio di Feltre ha una storia pluricentenaria e risale al 1404, anno in cui dopo 2 anni di libero governo, i Feltrini decisero di affidarsi spontaneamente sotto il buon governo della Serenissima Repubblica di Venezia. Si narra che in quel tempo, per celebrare l’importante occasione, vennero consegnate le chiavi della Citta` di Feltre alla Serenissima Repubblica di Venezia. A ricordo dell’evento venne posto in palio un premio di quindici ducati d’oro per la corsa dei cavalli. Oggi la “valuta” e` cambiata e il Palio prevede quattro stupende manifestazioni, tra cui il tiro alla fune, il tiro con l’arco, una prova di atletica leggera per chiudersi con la famosa corsa dei cavalli. Ancora oggi il sentimento e la passione del Palio si possono respirare nell’atmosfera magica che abbraccia l’estate Feltrina. Se si cercano Offerte Speciali Veneto per una vacanza, non si puo` fare a meno di visitare questa preziosa cittadina foriera di inedite emozioni. Tra i tanti posti che potrete visitare in queste zone vi segnaliamo le Prealpi Venete, situate a nord della città, che costituiscono la porta di ingresso delle famoso Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi; per non parlare del Piave, storico fiume della Grande Guerra, che funge da confine naturale verso est, mentre verso ovest spicca in lontananza il massiccio del Monte Grappa anch’esso scenario simbolo della Grande Guerra.


    CENNI STORICI
    Originariamente Feltre fu abitata da gruppi retici e paleoveneti; dopodiché fu territorio romano e le venne riconosciuto un ruolo di rilievo a causa della sua posizione di confine. Del periodo romano restano importanti tracce, non cancellate dalle successive discese di orde barbariche. Distrutta da Alboino, capo dei Longobardi, l'intera città di Feltre fu trasferita sul colle dove le fortificazioni avrebbero contribuito in maniera decisiva alla sua difesa. Fu sotto l'egemonia dei Franchi prima, e in seguito sotto quella dell'Impero germanico, soppiantata nei secoli dall'autorità dei Vescovi-Conti la cui giurisdizione divenne civile oltre che religiosa. Il Rinascimento la vide impegnata in aspre contese con la vicina Treviso, e governata dalle potenti famiglie dei Da Romano dapprima, e in seguito dei Da Camino e degli Scaligeri.
    Si è tramandata fino ad oggi una leggenda che riguarda proprio il periodo della dominazione ezzeliniana: si dice che Ezzelino da Romano fosse molto amico dell'imperatore Federico II, il quale fu suo ospite a Feltre per un certo periodo. Un giorno, durante una delle sue passeggiate, l'imperatore capitò al Santuario di San Vittore e fu preso dalla curiosità di vedere le spoglie del santo. A nulla valsero le inorridite proteste del custode: il sacrilegio venne commesso. Due operai accontentarono il sovrano, scoperchiando il sepolcro del santo; ma non appena la lastra fu alzata, i tre profanatori furono colpiti dal castigo divino e, come i due energumeni rimasero paralizzati, Federico II perse all'improvviso la vista. Del tutto vane furono le cure di Gherardo della Sabionetta, astrologo e medico di corte dei Da Romano: fu il custode del tempio a suggerire all'imperatore che, pentendosi, forse avrebbe riacquistato il lume degli occhi e avrebbe fatto tornare l'uso delle membra ai due operai. L'imperatore si pentì amaramente del proprio gesto sciagurato ed empio e, trascorsi tre giorni in preghiera, ricevette infine la benedizione del vescovo Alessandro da Foro. Il prodigio si compì una seconda volta, e i tre miscredenti riottennero la salute.
    Per tutto il Trecento, dunque, Feltre passò da una dominazione all'altra finché, nel Quattrocento, si unì alla Serenissima Repubblica di Venezia, sotto cui rimase per ben quattro secoli. Nel 1797 Feltre fu sotto il dominio austriaco, per poi unirsi al Regno d'Italia nel 1866.

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    Sotto il sagrato del Duomo di Feltre si sviluppa un'area archeologica di circa 1000 mq., frutto di campagne di scavo e restauri condotti dalla Soprintendenza Archeologica per il Veneto a partire dagli anni '70. La visita offre la possibilità di conoscere un ampio spaccato della storia della città, ripercorrendone le tappe per circa 2000 anni dalla seconda età del ferro, cioè dal V sec. a.C., fino all'età moderna. Le testimonianze preromane documentano la particolarità del popolamento del territorio feltrino, luogo di incontro tra la cultura retico-alpina e quella dei Veneti antichi. Le strutture meglio conservate si riferiscono ad un quartiere residenziale-commerciale del municipium di Feltria. Lungo una via lastricata si aprivano abitazioni, botteghe e un grande edificio con pavimentazioni in marmo e mosaico ed un cortile porticato, probabilmente sede di importanti associazioni professionali (schola). All'epoca medievale sono riferibili un edificio a corte centrale e un battistero a pianta circolare. Le strutture e i reperti trovati testimoniano una frequentazione ininterrotta dell'area fino all'età moderna.

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    La Chiesa di San Giacomo Maggiore

    PATRIMONIO ARTISTICO
    Edificio principale di Feltre è il Santuario dei Santissimi Vittore e Corona, che si trova lungo la cosiddetta "Chiusa". Il crociato Giovanni da Vidor volle iniziare nel 1096 la costruzione della chiesa, in stile romanico con influenze bizantine. All'interno sono conservate le spoglie dei martiri titolari; le pareti sono tutte ornate da pregevoli affreschi di epoca medievale e rinascimentale. Oggi restano frammenti del monumento funebre di Giovanni da Vidor, una cattedra vescovile del XIII secolo, una scultura quattrocentesca di S. Vittore e un pregiato tabernacolo lapideo tutto decorato con ornamenti gotici. Al volgere del Quattrocento alla chiesa fu affiancato un convento con chiostro interno, retto successivamente dai Fiesolani, dai Somaschi e dai Francescani. Ciascuno di questi ordini ha apportato delle migliorie agli ambienti della chiesa, che oggi contengono anche un'importante collezione di quadri fra cui si notano opere di Luca Giordano, Gaspare Diziani, Girolamo Pellegrini e altri. La Chiesa di San Giacomo, eretta probabilmente agli inizi del Quattrocento, aveva originariamente una pianta molto semplice, successivamente movimentata da interventi posteriori volti ad un suo abbellimento: a tale scopo furono apprestati lo splendido portale in pietra e la raffinata lunetta che lo sovrasta, decorata da un affresco della Madonna con Bambino tra San Giacomo e San Vittore. Il valore dell'affresco trascende la mera perizia stilistica ma è sostenuto dall'antichità della testimonianza e dal fatto che il devastante incendio che nel 1509 - 1510 danneggiò gravemente Feltre, e la contemporanea guerra di Cambrai, lo risparmiarono dalla distruzione. Alla fine dell'Ottocento lavori di restauro resero più sicura la chiesa, senza fortunatamente svisarne del tutto l'aspetto originario e conservando intatto il pregiato portale. La Chiesa dei S.S. Rocco e Sebastiano, fiancheggiata da due eleganti, lunghe scalinate e situata in una decisa posizione dominante è stata voluta dalla Comunità di Feltre come ringraziamento per lo scampato pericolo delle pestilenze e carestie dei secc. XVI e XVII. I lavori iniziarono nel 1594, per continuare fino al 1632, anno della consacrazione. Lungo la cinta muraria di Feltre si trova la Chiesa della S.S. Trinità, situata nella zona dove un tempo doveva probabilmente trovarsi una delle antiche torri delle mura, chiamata Torre della Rosa. La chiesa è decorata da un certo numero di pregiati affreschi: alcuni di un ignoto autore nordico che dipinse nel Quattrocento un Giudizio Universale, una Dormitio Virginia e una Deposizione di Cristo; altri attribuiti al "Maestro dei Battuti di Serravalle", che rappresentò una S.S. Trinità, un'Annunciazione e i S.S. Vittore e Corona. La maestosa Trinità affrescata sulla parete esterna dell'abside è oggi quasi completamente cancellata.
    Fra gli edifici civili si distingue Palazzo de Mezzan, edificato nei primi anni del Cinquecento. Durante i primi decenni del secolo venne inoltre decorato con pregiati cicli di affreschi attribuiti almeno in parte al Luzzo raffiguranti stemmi, elementi decorativi, paesaggi, figure mitologiche, bibliche ed allegoriche. L'interesse del palazzo è dovuto anche alle particolarissima architettura. Gravemente deteriorato è purtroppo Palazzo Tomitano, anch'esso cinquecentesco e sede del Monte di Pietà. Le pareti del palazzotto erano abbellite da fregi a graffito fra cui spiccavano i tre quadri raffiguranti Cristo in Pietà, S. Francesco che riceve le stimmate e una Madonna in trono con il Bambino e due angeli. Altre decorazioni di valore, alcune delle quali attribuite a Pietro Marescalchi, valorizzavano le pareti interne. Cinquecentesco è il bel Palazzo Zasio, conosciuto dai feltrini come Palazzo Zucco dal nome degli ultimi proprietari. Restaurato recentemente dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici e Ambientali del Veneto, il palazzo oggi presenta un'interessante facciata decorata con fasce blu su cui spiccano motivi bianchi, che incorniciano due begli affreschi, di ottima benché ignota fattura, raffiguranti l'uno una Madonna in trono con Bambino e l'altro un Santo a cavallo in cui si è creduto di riconoscere San Giorgio.


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    Porta Oria, una delle porte di accesso alla città vecchia


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    I Palazzetti Cingolani

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    La torre del Castello di Alboino (detta "Campanon"

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    il duomo

    Storia
    Di antichissima fondazione, nel 1510 fu devastata da un incendio appiccato dalle truppe di Massimiliano d'Austria e, tra il 1514 e il 1585, ricostruita in forme rinascimentali.
    Nel XVII secolo fu restaurata a spese del vescovo Bartolomeo Gera, del Capitolo, della Comunità, del Monte di Pietà e del nobile Francesco Angeli.
    Nel 1894 l'ingegner Giobatta Sanguinazzi ne modificò la facciata.
    Il campanile fu eretto nel 1392 e parzialmente rimaneggiato nel 1690.
    Già cattedrale dell'antica diocesi di Feltre, ha assunto il titolo di concattedrale a seguito della piena unione delle diocesi di Belluno e Feltre disposta dalla Congregazione per i Vescovi il 30 settembre 1986.

    Esterno
    La facciata è impreziosita da un graffito di Lorenzo Luzzo.
    Sotto il sagrato si sviluppa un'area archeologica che conserva resti monumentali di epoca romana e medievale.

    Interno

    Gli altari posti lungo le navate laterali custodiscono opere di Pietro Marescalchi, Francesco Terilli, Domenico Tintoretto, Domenico Falce, Francesco Frigimelica, Agostino Ridolfi e Francesco Agosti.
    L'abside gotica, poligonale, è inclinata rispetto all'asse dell'edificio, a simboleggiare il capo reclinato di Gesù Cristo crocifisso.
    Il presbiterio è impreziosito dalla cattedra vescovile del vescovo Adalgerio Villalta (cimelio monolitico del XIII secolo), da un monumento funebre di Tullio Lombardo, da un altare barocco che custodisce una pala settecentesca di Antonio Lazzarini e da un crocifisso intagliato probabilmente da Vittore Scienza e dipinto da Lorenzo Luzzo.
    La cappella del Santissimo, adibita a sepolcreto dei vescovi di Feltre dal vescovo Bartolomeo Gera, conserva opere di Giovanni Volpato.
    L'organo, posto in opera nel 1767, è del celebre organaro veneto Gaetano Callido.
    La cripta, a tre navate, risale alla seconda metà dell'XI secolo e conserva affreschi di Marco Damello.


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    ’Istituto Canossiano di Feltre,


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    Castel Lusa - Feltre BL

    Da castelliere preistorico a residenza
    rinascimentale


    Il castello sorge a pochi chilometri da Feltre, su un promontorio
    morenico alla confluenza dei torrenti Stien e
    Arnaul. La zona è sovrastata dalla catena delle Alpi
    compresa nel Parco Naturale delle Dolomiti Bellunesi,
    dalle Vette Feltrine e dal Monte San Mauro. Le caratteristiche
    morfologiche e le tracce affioranti del sito
    preistorico fanno supporre che questo primo insediamento
    fosse posto a guardia della Valle di San Martino
    e s’inserisse nel sistema dei villaggi fortificati legati
    all’estrazione metallifera. Vi sono buoni indizi per ipotizzare
    che il luogo sia stato occupato anche durante
    il periodo retico-paleoveneto e quello successivo della
    colonizzazione romana. La fortificazione feudale, sorta
    sui resti più arcaici, s’inserisce con buona probabilità
    nel sistema difensivo altomedioevale legato al dominio
    vescovile delle città di Feltre e Belluno. I documenti
    certi finora reperiti si riferiscono alla conquista avvenuta
    nel X secolo ad opera del vescovo Giovanni Tassina
    di Belluno del castello detto di Lusia facente parte
    di uno scacchiere strategico nel quale erano compresi
    anche i castelli di Fonzaso e Pietra Bulada. Lo stesso
    raggruppamento di fortilizi ricompare in un diploma
    imperiale stilato nel 1116 a Landriano, nei pressi di
    Pavia, nel quale Federico Barbarossa restituisce i tre
    presidi al vescovo Ottone di Belluno.

    Il nucleo fortificato
    Originariamente il complesso era difeso da due cinte
    murarie, di cui si riconoscono ancora i resti. L’attuale
    complesso abitativo, legato da precise fonti storiche
    alla famiglia feudale dei Lusa, è composto di due edifici:
    la parte residenziale da un lato, munita di torre
    ora decurtata in altezza, e da un’ala, posta nell’altro
    lato del cortile dove si trova una sala di rappresentanza
    affrescata ricavata in epoca rinascimentale.
    L’area che separa gli adiacenti corpi di fabbrica è
    cinta da mura; la cortina sud è tuttora merlata. Sono
    ancora rilevabili, in questo spazio, i resti di fondazione
    dell’antico mastio, la torre più possente della
    rocca. Il castello è passato attraverso vicende particolarmente
    travagliate dovute a ripetuti eventi sismici
    e consistenti trasformazioni. Ciò che ora sussiste
    delle strutture difensive è databile, per le parti
    murarie principali, alla seconda metà del XIV secolo,
    periodo nel quale il castello precedente subì una radicale
    distruzione dovuta al sisma del 1348. Il lento
    sovrapporsi di continue modifiche succedutesi tra la
    seconda metà del XIV e il XX secolo ha comportato
    notevoli mutamenti all’aspetto architettonico dell’assieme,
    rendendo quasi irriconoscibili le parti più antiche.
    L’abbandono e le pesanti manomissioni utilitarie
    avevano annullato la leggibilità della dimora.
    Unica testimonianza ancora decifrabile era il doppio
    ordine di logge sovrapposte dell’ala principale, pregevole
    intervento architettonico precedente al 1538,
    che nobilitava la residenza della famiglia Villalta, entrata
    in possesso dell’edificio nella prima metà del
    Cinquecento con l’estinzione di un ramo della famiglia
    Lusa. La falcidia degli edifici castellani dell’area
    bellunese fu causata, in gran parte, da un preciso
    editto della Repubblica Veneta che nel 1420 ne decretò
    la demolizione. Tale provvedimento non fu applicato
    ovunque con la stessa determinazione e Lusa
    ne è una chiara dimostrazione, tanto che i restauri
    strutturali iniziati nel 1970, e non del tutto completati,
    hanno permesso di leggere in filigrana la complessa
    genesi che ha portato il castello medioevale a mutarsi
    in una singolare residenza rinascimentale,
    senza che tali interventi abbiano totalmente cancellato
    l’interessante palinsesto costituito dai vari interventi
    architettonici.

    La Chiesa
    Il piccolo edificio religioso, originariamente racchiuso
    nella seconda cinta del castello, è il risultato della ristrutturazione
    di una precedente costruzione del XIII
    secolo, via via modificata a seguito dei già citati
    eventi sismici. Le murature, opportunamente liberate
    da interventi deturpanti, rivelano tutte le varie sequenze
    di trasformazione per finire con quello risalente
    al XVII secolo. In una zona attigua a tale luogo
    sacro sorgono le rovine della chiesa altomedioevale
    crollata, con buona probabilità, nel corso del violento
    sisma che colpì il bellunese durante il XIII secolo. Attualmente
    il castello di Lusa ospita l’Accademia del
    Melograno, un’associazione che si prefigge di studiare
    e valorizzare la cultura materiale e le arti applicate.
    Oltre a svolgere attività didattiche con scuole
    e gruppi, l’organizzazione cura pubblicazioni e manifestazioni
    culturali.

    Gli interni
    Gli ambienti del castello, ornati in più punti da affreschi,
    sono arredati con mobili, suppellettili, dipinti, oggetti
    d’arte applicata, strumentimusicali, costumi, ecc.
    volti a documentare la storia e la vita quotidiana nel
    Veneto in un periodo compreso tra il tardo medioevo
    e il XVIII secolo. Un nucleo di particolare pregio è costituito
    dal lascito librario generosamente donato dal
    Professor Terisio Pignatti, docente di Storia dell’Arte
    presso le Università di Padova e Venezia e presso la
    Wake Forest University diWinston Salem, North Carolina
    (USA), costituito da circa 3000 volumi, prevalentemente
    di Storia dell’Arte, consultabili a richiesta.


     
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  9. tomiva57
     
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    Centro Minerario di Valle Imperina



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    Accesso

    localizzato a circa 3 Km da Agordo vi si accede dalla strada statale n. 203 Agordina; si parcheggia in corrispondenza del centro minerario (loc. Le Campe) e si prosegue a piedi (ponte pedonale sul Torrente Cordevole).

    Contesto ambientale - Descrizione del sito

    l'ex Centro minerario rientra nei confini amministrativi del Comune di Rivamonte Agordino e nel perimetro del Parco del quale segna uno dei punti di confine a nord; si estende per circa 1 km nel tratto terminale della Valle Imperina (543m s.l.m.), dove questa si innesta perpendicolarmente nella Val Cordevole. La Valle, caratterizzata da ripidi versanti boscosi, ha andamento sud-ovest / nord-est e comprende l'intero corso del torrente omonimo. I boschi presenti sono di recente formazione; le numerose immagini storiche della valle mostrano, infatti, versanti completamente spogli. Ciò a causa delle gravissime forme di inquinamento ambientale provocate dalle lavorazioni che vi si svolgevano (in primo luogo dall'anidride solforosa prodotta nel processo metallurgico della "vitriolizzazione" e produzione dell'acido solforico) e, solo in parte, della necessità di approvvigionamento di combustibile (carbone di legno) per i processi di torrefazione e fusione del minerale.


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    Epoca di costruzione

    Le prime documentazioni che attestano della sua esistenza risalgono all'inizio del '400. Sfruttamento minerario: inizio presunto in epoca romana; edifici risalenti al periodo pre-industriale e industriale.

    Caratterizzazioni architettoniche
    architettura mineraria pre-industriale e industriale. Elevatissimo valore storico testimoniale.

    Tipologia insediativa (Descrizione dei fabbricati)

    i fabbricati si attestano lungo la vecchia strada comunale delle Miniere che corre in destra orografica del Torrente Cordevole e formano un nucleo più articolato in corrispondenza del tratto terminale del corso del Torrente Imperina dove la vallecola si apre e la morfologia del versante destro diviene meno aspra (un tempo tutto lo spazio disponibile nel piccolo fondovalle era occupato da costruzioni); altri fabbricati sono individuabili risalendo la Valle Imperina.

    Usi originari - Condizioni / usi attuali

    dall'inizio del '400 al 1962 destinato a estrazione e lavorazione del minerale di argento e rame, oggi in disuso e in cattivo stato di conservazione. Ancora presenti i resti di 16 fabbricati (i magazzini principali, i forni fusori, la centrale elettrica, le stalle, il carbonile, la polveriera, la villa del direttore, l'"ospedale", la fucina dei fabbri, l'impianto di lavaggio-frantumazione e lavorazione del minerale oltre a una serie di abitazioni ed uffici) 3 ingressi in sotterraneo, 2 sbocchi di gallerie di scolo acque. Da anni é in atto un articolato e ambizioso intervento di recupero delle principali strutture edilizie e dei percorsi per riconvertire il villaggio a funzioni di tipo museale e turistico-ricettive; già recuperati il monumentale complesso dei forni fusori (il cui impianto originario risale al sec. XVI), l'edificio degli ex magazzini principali (1730 circa, dal 1910 utilizzato come dormitorio e ritrovo per assemblee e cerimonie religiose) che è stato destinato ad Ostello, e l'ex centrale idroelettrica posta all'estremità sud del villaggio, che ospita un Centro Visitatori del Parco Nazionale. Ripristinato, inoltre, il sentiero che dalle miniere risale la valle per giungere a Forcella Franche e che un tempo era percorso quotidianamente dai minatori della zona.

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    Note

    Lo sfruttamento minerario (estrazione e lavorazione del minerale di argento e rame) ebbe inizio, si presume, in epoca romana e si sviluppò nel periodo pre-industriale e industriale risultando, per produzione e durata dell'attività, uno dei maggiori della regione. A partire dagli inizi del '400, sino al 1962, l'attività si è sviluppata ed è continuata senza interruzioni. Durante la Repubblica di Venezia, Valle Imperina rappresentava il maggior centro nazionale di estrazione del rame, coprendo alla fine del XVIII secolo il 50% del fabbisogno complessivo della Serenissima; all'epoca erano impiegate, attorno al complesso minerario e metallurgico, circa 1300 persone. In origine la proprietà del giacimento era suddivisa tra diverse famiglie, ognuna delle quali conduceva in proprio le escavazioni; in seguito, a causa di traversie familiari, all'iniziativa privata si affiancò la Serenissima Repubblica di Venezia, la quale, a partire dalla seconda metà del 1600, cominciò ad acquisire gradatamente tutti i diritti e gli edifici privati. In seguito l'azienda seguì le sorti politiche del territorio, passando prima al Regno di Napoleone, poi all'Impero d'Austria, quindi al Regno d'Italia, che nel 1899 la cede nuovamente a privati. Il complesso delle miniere venne poi ceduto dalla Montecatini al Comune di Rivamonte Agordino nel 1989. L'ingresso al sottosuolo è oggi impedito dalle "suole" di cemento fatte apporre, per motivi di sicurezza alla chiusura degli impianti nel 1962, agli ingressi delle gallerie ed al pozzo capitale (risalente al 1700). I segni della passata attività sono tuttora leggibili sia nell'intorno della miniera, dove si conservano notevoli esempi di architettura mineraria pre-industriale e industriale, che nell'intero territorio dove, ad esempio, è ancora ben riconoscibile il tracciato del tronco ferroviario Bribano-Agordo, costruito nel 1922-25 e smobilitato nel 1956, del quale si conservano i caselli e le piccole stazioni (ora residenze) lungo la Val Cordevole.

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    Cenni storici


    La scoperta dei giacimenti metalliferi della Valle Imperina è antica, ma purtroppo non ancora databile con sicurezza. Giorgio Piloni (1607) accenna alle ricchezze minerarie di Agordo, relativamente al XII secolo quando, infatti, vennero scoperti numerosi giacimenti di ferro, rame, piombo, zinco e argento nelle valli dell'Agordino, dello Zoldano e del Cadore.
    La prima notizia documentata riguardante la presenza di un'attività estrattiva in Valle Imperina risale al 1417, anno in cui una certa quantità di rame venne portata a Padova per essere lavorata. La pirite cuprifera da cui si ricavò tale metallo venne estratta da un enorme ammasso affiorante e contemporaneamente era stata avviata la coltivazione di filoni di galena argentifera.
    Sotto il dominio della Repubblica veneta, il rame diventò un metallo di importanza strategica, che serviva sia alla Zecca per la monetazione, sia all'Arsenale per far bronzo da cannoni.

    Il processo metallurgico antico prevedeva che il rame venisse estratto per via secca: la pirite cuprifera subiva una prima cernita manuale: il minerale più ricco veniva direttamente inviato ai forni per un prima fusione, mentre il restante, mescolato a legna, era sottoposto ad un arrostimento a fuoco lento in appositi cumuli coperti da tettoie (roste), per un periodo variabile da 4 a 10 mesi. Dal minerale torrefatto del nucleo interno (tazzone), si separava quindi la crosta esterna ossidata (terre vergini). Da queste, trattate con acqua calda, si otteneva il vetriolo (solfato di ferro), utilizzato nell'industria tintoria, mentre i tazzoni e il minerale ricco davano il rame, attraverso una serie di fusioni e ulteriori torrefazioni. Una innovazione nell'arricchimento del minerale fu introdotta nel 1690, con l'aggiunta di un processo per via umida (cementazione), che permetteva di ottenere rame anche dalle terre vergini, trattate con rottami di ferro (ferrazza).

    Fondamentale era poter disporre di grandi quantità di legno, necessarie ad armare le gallerie e ad alimentare roste e forni fusori. Attraverso una serie di provvedimenti, la Repubblica di Venezia volle garantire alle miniere la possibilità di ricavare legno e carbone dai boschi circostanti: a partire dal 1548, venne riservato alle miniere l'utilizzo dei boschi esistenti nel raggio di 10 miglia e vennero persino fatti chiudere forni e miniere situati in zone limitrofe, la cui attività sottraeva all'impresa agordina il prezioso combustibile.
    Già a partire dal 1488, Venezia stabilì un'organica legislazione mineraria che, con poche modifiche, rimase in vigore fino alla caduta della Repubblica. Il sottosuolo era considerato sempre demaniale, per cui i privati imprenditori dovevano richedere la concessione per la coltivazione (investitura) e avevano l'obbligo di corrispondere all'erario la decima parte del prodotto.
    In Valle Imperina, fino alla metà del XVII secolo, le miniere venivano lavorate esclusivamente da privati imprenditori, tra i quali meritano di essere ricordati alcuni membri della famiglia Crotta che nel '600 diedero grosso impulso alle attività minerarie, grazie anche all'introduzione dell'uso della polvere da sparo nell'attività estrattiva. Nella piazza di Agordo sorge la villa acquistata ed ampliata dai Crotta con i proventi dell'attività mineraria e metallurgica.
    Nel 1654 la Repubblica Veneta acquisì una miniera e fondò così il primo nucleo di una azienda di stato destinata ad una progressiva espansione. Alla fine del '600 si sviluppò, nelle miniere private, lo sfruttamento "di rapina", attuato mediante l'apertura di enormi cavità nel sottosuolo che non venivano sufficientemente armate. Una serie di conseguenti crolli e inondazioni costrinsero alcuni imprenditori ad abbandonare la coltivazione e si facilitò così l'assorbimento delle attività da parte dell'azienza di stato.
    Nel 1813, lo stabilimento minerario agordino passò all'erario austriaco che, tra il 1835 ed il 1845, completò le acquisizioni dai pochi imprenditori privati rimasti in zona.
    Fino all'inizio dell'800, questa miniera era considerata una delle principali d'Europa, ma in questo periodo i progressi avvenuti nelle tecniche di arricchimento dei minerali e la scoperta di immensi giacimenti in Sudamerica determinarono il deprezzamento del rame.
    La seconda metà del secolo fu quindi un'età di crisi e di riconversione e, nel 1866, il Regno d'Italia ereditò un'azienda di stato con un grosso deficit, che fu quindi venduta nel 1899 alla ditta Magni di Vicenza; la pirite estratta fu usata per produrre acido solforico e si interruppe il trattamento metallurgico locale del minerale.
    Attraverso alcuni passaggi di proprietà, la miniere di Valle Imperina furono acquisite nel 1910 dalla società Montecatini che le smobilitò nel 1962, non per esaurimento, ma per "scarsa produttività".
    Le miniere di Valle Imperina furono dunque attive per almeno otto secoli e costituirono, per circa trecento anni, il fulcro economico dell'Agordino: nel 1609, le miniere davano lavoro a circa 400 uomini tra minatori, rostitori e addetti ai forni e, nel 1801, essi erano diventati circa 600. A questa occupazione diretta si aggiungeva poi quella indotta, che interessava qualche centinaio di uomini tra boscaioli, carbonai, commercianti di legna, carbone, derrate alimentari, trasportatori delle stesse merci e altri ancora.
    Solo dalla seconda metà dell'800 furono limitate le assunzioni per contenere la passività dell'azienda.

    (G. Poloniato)
     
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    Belluno





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    Punto di interesse pubblicato Software Solutions

    Il nome della città deriva dal celtico belo-donum che significa collina splendente, proprio per la posizione favorevole che occupa l'abitato nel cuore della Valbelluna.

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    La parte antica della città di Belluno sorge su uno sperone di roccia in prossimità della confluenza del torrente Ardo con il fiume Piave. A nord si staglia verso il cielo l'imponente gruppo dolomitico della Schiara (2565 s.l.m) con la caratteristica Gusela del Vescovà, il monte Serva (2133 s.l.m) con la sua mole e il monte Talvena, mentre a sud le prealpi separano il Bellunese dalla pianura veneta. Sempre a sud, nella zona del Castionese, si erge il Nevegal (pronuncia: Nevegàl) sul quale sono situati impianti di risalita e piste da sci.

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    Storia


    Le origini romane

    La città fu fondata attorno al 200 - 220 a.C. e a partire dal 181 a.C. diventò una strategica base militare romana e il municipium Bellunum al tempo di Augusto entrò con un ruolo di primaria importanza nella Regio X Venetia et Histria. La particolare ubicazione geografica garantiva infatti un controllo assoluto su tutta l'attuale Valbelluna, anche grazie alla costruzione della prima torre di quello che oggi è il castello di Zumelle, sulla via di comunicazione più importante verso il nord, la Claudia Augusta Altinate, la resero una roccaforte inespugnabile.Ciononostante i barbari invasero più volte la città ed iniziò il lento ed inesorabile tramonto della città romana, malgrado la temporanea riconquista da parte di Giustiniano.

    Medioevo

    Belluno rimase a lungo sotto il dominio longobardo (VII secolo d.C.) e carolingio (VIII-IX secolo). Con il X secolo si affermarono i governi aristocratici dei Vescovi-Conti; fu in particolare il vescovo Giovanni II ad espandere il dominio della città lungo tutto il corso del Piave (dal Cadore a Jesolo e da Bassano del Grappa a Venzone). In questo periodo si definì la città medievale con castello, cinta di mura, porte e torri.

    Belluno è una delle località coinvolte nelle vicende che, tra l'XI secolo e il XIII secolo, vide come protagonista la potente famiglia degli Ezzelini, guidata da Ezzelino che la conquistò nel 1249. Il centro è citato nel computo delle proprietà della casata, stilato dopo la sua sconfitta avvenuta nel 1260.

    In seguito la città affronta un periodo di alterne vicende politiche che la vedono scontrarsi in sanguinose guerre contro i trevigianiNe è testimonianza un ritmo (genere poetico) bellunese del 1100 che recita: "De Casteldart havi li nostri bona part/i lo zettò intro lo flume d'Art/ e sex cavaler di Tarvis li plui fer/con se dusi li nostri presoner". Si accenna qui alla vittoria di alcuni cavalieri di Castel d' Ardo (castello in località Trichiana) contro le forze trevisane, vedi Ritmo Bellunese. e passare sotto numerose dominazioni (Caminesi, Scaligeri, Carraresi e Visconti). Ma ben presto la superiorità di Venezia obbligò il governo bellunese ad optare, non senza gravi divergenze interne, alla dedizione spontanea alla città lagunare nel 1404 anno in cui si conclusero guerre esterne contro i Trevigiani e le lotte interne fra le varie fazioni.

    Per un breve intervallo nel XIV secolo Belluno venne anche incorporata nell'immenso territorio della signoria veronese dei Della Scala, che si estendeva da Parma a Cividale del Friuli.

    La Repubblica di Venezia

    Si poté rinnovare il tessuto urbano grazie alla costruzione di case e palazzi dei nobili e della nascente borghesia, in un clima di nuova prosperità economica favorita dagli intensi rapporti con Venezia, cui si fornivano legname e spade. Il Piave fu in questi secoli l'importantissima via di navigazione delle zattere, prezioso legname che dai boschi del Cadore al mare riforniva la Serenissima e alimentava l'attività economica di artigiani, segherie, porti.

    Con la rivoluzione francese le truppe rebubblicane arrivano anche a Belluno nel 1797 e nel 1806 la città diventa capoluogo del Dipartimento della Piave, per passare poi all'Austria, all'interno dei domini del lombardo-veneto. Con l'annessione del Veneto nel 1866, anche Belluno entra nel Regno d'Italia.

    Prima guerra mondiale

    Durante la prima guerra mondiale Belluno è impegnata nella difesa del confine italo-austriaco, assieme ad altri centri del Veneto come Bassano del Grappa. Con la disfatta di Caporetto del 1917, l'esercito italiano arretra fino alla linea del Piave e città e provincia vengono a trovarsi ancora di più nel cuore dello scontro. È in queste circostanze che viene fatto saltare (per interrompere i collegamenti tra le due sponde del Piave) il Ponte Vecchio, di cui oggi restano i ruderi della prima arcata, sostituito alla fine della guerra dal Ponte della Vittoria, che ne commemora l'esito nel nome.

    Viene annessa all'Italia la parte settentrionale della provincia.

    Seconda guerra mondiale

    Belluno è tra le Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione perché è stata insignita della Medaglia d'Oro al Valor Militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per la sua attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale. La resistenza bellunese fu una delle prime ad organizzarsi tanto che già l'8 settembre 1943 si era costituito un Comitato che si trasformerà nelle prime settimane dell'occupazione nazista in CLN Belluno.

    Monumenti e luoghi d'interesse

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    Piazza Duomo è il cuore della città antica. In essa si affacciano i palazzi dell'antico potere cittadino: il palazzo dei Rettori del 1491 si dice su disegno di Lorenzo Ghiberti (oggi prefettura), il palazzo rosso (municipio) in stile neogotico, il palazzo dei Vescovi oggi sede dell'auditorium, eretto nel 1190 dal vescovo-conte Gerardo de' Taccoli e la torre civica abbellita nel '500 da Andrea Palladio. La cattedrale, elevata al rango di basilica minore da papa Giovanni Paolo II nel 1980 in onore del predecessore, il bellunese Giovanni Paolo I, si sviluppa su tre navate con l'abside rivolta verso occidente; il progetto dell'attuale Cattedrale è attribuito a Tullio Lombardo, architetto veneziano, che venne a Belluno nel 1517 quando i lavori di costruzione erano già stati iniziati da qualche tempo sotto la direzione di un capomastro del luogo, un certo Nicolò Tagliapietra, autore anche dell'orologio di Palazzo dei Rettori. L'interno, a tre navate, conserva opere di Andrea Schiavone, Cesare Vecellio, Jacopo Bassano, Palma il Giovane, Pietro Muttoni, Gaspare Diziani, Tullio Lombardo. Lo svettante campanile è stato progettato dall'architetto messinese Filippo Juvarra: misura 71,98 metri ed è il più alto della provincia. L'altare della cripta è formato da un'arca tombale degli Avoscano risalente al XIV secolo.Camminando per via Mezzaterra (l'antico decumano massimo della città romana) su cui si affacciano decine di palazzi tutti risalenti all'arco temporale incluso tra 1300 e 1600, si giunge alla chiesa di San Pietro collegata a uno dei chiostri dell'attiguo Seminario Gregoriano, come è documentato da un'iscrizione all'interno dell'attuale Cappella Fulcis,

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    la chiesa di S. Pietro fu terminata nel 1326, dopo più di quarant'anni di lavori, svoltisi in concomitanza con il Giubileo del 1300 indetto da Bonifacio VIII.La chiesa, costruita dai frati minori in stile gotico, oggi si presenta in stile barocco con numerose opere d'arte: quattro dipinti di Andrea Schiavone (San Pietro, San Paolo e l'Annunciazione), tre capolavori di Sebastiano Ricci (una "Sacra Conversazione" su tavola, collocata nell'abside e due affreschi, "Decollazione di San Giovanni Battista" e "Chiamata di San Pietro", nella Cappella Fulcis, costruita nel 1704 tra la chiesa e la sacrestia) e soprattutto due pale lignee di Andrea Brustolon.In alto, sul presbiterio, vi è uno dei pochissimi esempi di organo fonocromico a due manuali di Giovan Battista De Lorenzi (1860).

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    Ai due estremi della città antica si possono ammirare, pressoché integre, le due porte principali, l'imponente porta Dojona a nord e, con i suoi merletti in pietra e mattoni, porta Rugo a sud, nei pressi della quale si trova anche il Palazzo del Capitano di Giustizia.

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    Alcuni ruderi testimoniano la presenza di un castello che sorgeva nella parte superiore della città antica alle spalle della quale, appena fuori dalla cinta muraria, si apre l'antico "Campedel", dal 1945 Piazza dei Martiri, con la sua lunga passeggiata (detta "listòn"), i portici e la cinquecentesca chiesa di San Rocco con opere di Padre Santo da Venezia, Gaspare Diziani, Valentino Panciera Besarel e Luigi Cima.Proseguendo verso est e oltrepassando piazza Vittorio Emanuele II, su cui si affaccia il teatro Comunale, si giunge in via Roma e da lì si arriva alla chiesa di Santo Stefano.La chiesa, la cui costruzione viene deliberata nel 1463, sostituì l'antica chiesetta di Santa Maria delle Grazie. Nel 1480 durante i lavori di scavo viene portato alla luce il sarcofago di Flavio Ostilio, ora custodito nel cortile di palazzo Crepadona. Fra le opere d'arte più interessanti conservate nella chiesa vi sono due angeli lignei di Andrea Brustolon (autore anche di un crocifisso - sulla parete della navata sinistra). Nella Cappella Cesa (1485), a destra del presbiterio, spicca un altare ligneo intagliato, attribuito al bellunese Andrea di Foro (XV secolo), con piccoli affreschi nella cornice attribuiti a Matteo Cesa; gli affreschi, di Jacopo da Montagnana, raffiguranti il martirio di S.Stefano, la conversione di Paolo e scene della vita di Gesù, sono tornati alla luce in seguito al terremoto del 1873. Sembra che l'altare provenga dall'antica chiesetta di Santa Maria delle Grazie.Da segnalare inoltre il tabernacolo ligneo di frate Francesco della Dia; tele della scuola del Vecellio, una "Adorazione dei Magi", forse della bottega di Tiziano; una tela di Francesco Frigimelica nella cappella di sinistra; tele di Cesare Vecellio e del Frigimelica lungo la navata sinistra. A lato della chiesa sorge il convento dei Serviti con il chiostro gotico oggi sede dell'intendenza di finanza. Il campanile è impreziosito da un orologio con suddivisione in ventiquattro ore, secondo l'uso nordico del quattrocento.

    Percorrendo via Rivizzola si raggiunge la chiesa di San Biagio, l'edificio di culto più antico tutt'ora conservato in città.

    Da ricordare inoltre la chiesa di San Nicolò nel quartiere meridionale di Borgo Piave che lambisce le sponde dell'omonimo fiume e la chiesa di San Giuseppe "marangon" (falegname) a Borgo Prà che fino alla fine del medioevo fu la capitale europea della produzione di spade da battaglia assieme a ToloneMario Dal Mas, Spade Bellunesi.La città poi continua verso i quartieri residenziali di Cavarzano, Baldenich, Mussoi e San Lorenzo.

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    Museo civico

    Un po' arretrato rispetto alla piazza, il palazzo dei Giuristi (1664) accoglie le collezioni storico-artistiche cittadine, arricchitesi a partire dal 1873 su iniziali donazioni. Di grande interesse la Pinacoteca, che accoglie numerose opere di maestri locali: dipinti di Simon da Cusighe, Matteo Cesa, Bartolomeo Montagna, Giovanni Mel, e ancora tele di Cesare Vecellio, Palma il Giovane e Domenico Tintoretto. Di particolare rilievo il nucleo di opere che documenta il lavoro di Sebastiano Ricci. Tra gli scultori spicca Andrea Brustolon, nativo proprio di Belluno. La sezione preistorica annovera reperti dal Paleolitico medio all'età del Bronzo; la sezione archeologica infine comprende materiale paleoveneto e romano.


    Architetture civili


    * Palazzo dei Rettori
    * Palazzo Rosso
    * Palazzo dei Vescovi-Conti
    * Palazzo Crepadona
    * Palazzo dei Giuristi
    * Monte di Pietà
    * Palazzo Costantini
    * Palazzo Batti Vinanti
    * Palazzo Piloni
    * Palazzo Regozza Longana
    * Palazzo Reviviscar
    * Palazzo Doglioni Dal Mas
    * Palazzo Sammartini
    * Porta Rugo
    * Palazzo del Capitano di Giustizia
    * Ospedale dei Battuti
    * Palazzo Grini
    * Torrione
    * Palazzo Minerva
    * Porta Dojona
    * Teatro Comunale
    * Palazzo Fulcis
    * Palazzo De Faveri
    * Palazzo Pagani Cesa
    * Palazzo Barcelloni
    * Palazzo Bembo
    * Ponte della Vittoria
    * Ponte Vecchio

    Architetture sacre

    * Basilica Cattedrale di San Martino
    * Battistero
    * Chiesa di San Pietro

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    Decollazione di San Giovanni Battista

    Situata nel cuore del centro storico, la Chiesa di San Pietro, fondata nel 1325 – come testimonia una lapide conservata sulla parete del portale d’accesso – fu completamente ristrutturata verso la metà del XVIII secolo, assumendo l’aspetto attuale. Nella Cappella Fulcis, i cui lavori risultano dai documenti d’archivio già conclusi nel 1709, sono presenti i due affreschi eseguiti da Ricci, raffiguranti La chiamata di san Pietro e La decollazione di San Giovanni Battista e inseriti all’interno di una delicata decorazione. Il Maestro eseguì per la cappella anche la pala d’altare, che figura la Madonna col Bambino e i Santi Pietro e Giovanni Battista. Non è un caso la rappresentazione degli episodi salienti della vita dei due santi, poiché Pietro era il nome del committente Pietro Fulcis, mentre San Giovanni Battista è il patrono dei Cavalieri di Malta, ordine a cui Fulcis era stato ammesso.

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    * Seminario Gregoriano
    * Ex Chiesa di Santa Maria dei Battuti
    * Chiesa di San Rocco

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    Breve storia della chiesa di San Rocco
    Voluta per voto cittadino contro la peste, la chiesa venne iniziata nel 1530 e costruita a più riprese fino al 1561, come testimoniano gli stemmi dei rettori veneti Giacomo Salomon (1659) sulla colonna di sinistra e di Pietro Loredan (1561) sotto la statua di San Rocco inserita al centro della facciata.
    Venne officiata dai Cappuccini tra il 1605 e il 1769 assieme al retrostante convento, che dopo la chiusura in età napoleonica nel 1806, passò al demanio e fu acquistato dalla contessa Elisabetta Agosti nel 1856. Ristrutturato il complesso, la chiesa venne riaperta al culto nel 1860 e il convento fu trasformato in orfanotrofio da don Antonio Sperti. L'istituto fu poi affidato assieme alla chiesa ai Salesiani dal 1924 al 1957.
    All'esterno, sotto il portico, due affreschi datati 1564 con la Trinità e i SS. Rocco e Sebastiano, sulla destra, e i SS. Cosma e Damiano a sinistra. All'interno, dietro L 'altare maggiore, una copia cinquecentesca dell'Assunta di Tiziano, l'"Estasi di S. Francesco" del bellunese Gaspare Diziani (1689-1767), un grande tabernacolo ligneo di Valentino Panciera Besarel (1829-1902) ed altre pitture di Luigi Speranza (1819-1879), Luigi Cima (1860-1944) e Antonio Duodo.


    * Chiesa di Santo Stefano
    * Ex Convento dei Serviti
    * Chiesa di San Biagio
    * Ex Collegio dei Gesuiti
    * Chiesa di Santa Maria di Loreto
    * Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio
    * Chiesa di San Nicolò in Borgo Piave
    * Chiesa di San Giuseppe in Borgo Prà
    * Chiesa di San Francesco
    * Chiesa della Beata Vergine della Salute

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    Il Santuario Beata Maria Vergine della Salute si trova nel centro storico di Belluno, è anche conosciuto con i nomi di Chiesa della Salute, B.M.V. del Monte di Pietà, Chiesa del Monte di Pietà.
    In origine la chiesa naque come cappella privata del Monte di Pietà, attualmente è proprietà della Banca Cariverona. All’interno si venera una reliquia in legno particolare esistente nel muro della Casa della B. V. a Loreto e una piccola tela, opera di Francesco Frigimelica che rappresenta appunto la Madonna della Salute.
    La chiesa è attualmente sotto la custodia dei Frati Minori Cappuccini. Le origini della devozione per la Madonna della Salute nel Bellunese risalgono agli inizi del ’500 quando il culto arrivò fin qui da Venezia. L’edificio è semplice e modesto di forma ad aula rettangolare. All’interno di particolare interesse si possono trovare una Pala lignea di Andrea Brustolon e degli angeli sempre in legno dello stesso Brustolon, delle lunette e semilunette a olio che raffigurano Passione e Morte di Gesù, opere di Leonardo Ridolfi.
    Il bell’altare maggiore del ’500 in pietra lavorata. Ultimamenti durante interventi di restauro sono emersi degli affreschi con un Padreterno.


    Fontane storiche

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    * Fontana di San Gioatà
    * Fontana di San Lucano
    * Fontana della Motta
    * Fontana di Sant'Elena


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    La fontana di San Gioatà

    La fontana di San Gioatà (co-patrono della città insieme al più celebre San Martino), si trova in Piazza Duomo, davanti al Palazzo dei Vescovi. Posta su un basamento in ciottolato, è sormontata dalla scultura del santo a cui è intitolata.Le reliquie di questo santo sarebbero state portate dall'Africa dal primo Vescovo di Belluno, Teodoro.La fontana dal punto di vista stilistico assomiglia a quella di Piazza Mercato (dedicata a San Lucano) ed è stata costruita quasi contemporaneamente nel 1411.Al centro della vasca è collocata una colonna sormontata da un capitello a forma di parallelepipedo. Sul lato ovest della fontana troviamo una data in stile gotico M CCCC LXJ; tale scritta è situata sulla pietra da cui escono le canne.Nella parte superiore del parallelepipedo, sempre sul lato ovest, si trova lo stemma di Belluno e le lettere C e B indicanti la città di Belluno. Sul lato sud troviamo un leone scolpito e lo stemma del rettore Benedetto Trevisan; a nord un altro stemma con le lettere C e B.Una delle canne da cui sgorga l'acqua è decorata, mentre le altre tre sono semplici.

    Cultura

    Numerose le manifestazioni culturali organizzate. Palazzo Crepadona negli ultimi anni è divenuto il centro culturale cittadino per antonomasia ospitando grandi mostre: Marco Ricci e il paesaggio veneto del Settecento, Capolavori della pittura veneta dal Castello di Praga, Da Van Gogh a Picasso: capolavori del disegno francese del XIX e XX secolo dal Los Angeles County Museum of Art, Da Corot a Monet: opere impressioniste e post-impressioniste dalla Johannesburg Art Gallery, A nord di Venezia: scultura e pittura nelle vallate dolomitiche tra Gotico e Rinascimento, Caffi: luci del Mediterraneo, Andrea Brustolon: 1662-1732, il Michelangelo del legno. La mostra Tiziano: l'ultimo atto, dedicata al grande pittore cadorino, ha attirato oltre 100.000 visitatori da tutto il mondo.

    La città è sede di un'orchestra da camera, di numerosi cori polifonici e popolari. Nell'ottobre 2006 ha ospitato il IV Festival della Coralità Veneta.

    Ogni anno, in occasione della festa patronale di San Martino, viene organizzata un'ex tempore di scultura su legno, durante la quale degli scultori, sparsi negli angoli più suggestivi della città, si sfidano a colpi di scalpello.

    Ogni anno all'interno della manifestazione Oltre le vette: metafore, uomini, luoghi della montagna vengono effettuati incontri, concerti, convegni, mostre, rappresentazioni teatrali dedicati alla montagna.

    All'interno del Filo d'Arianna Festival si svolgono manifestazioni fra le più diverse che coinvolgono le arti della danza e del teatro, installazioni artistiche, mostre fotografiche, videoproiezioni e quanto altro abbiano da offrire singoli artisti (giovani proposte o scambi con altre città) o associazioni che vengano coinvolte dall'organizzazione.

    Eventi

    La "sagra de i fiŝciòt" ("dei fischietti") è senza dubbio la più caratteristica fiera della città: si svolge due domeniche prima di Pasqua. La consuetudine relativa alla festa, nata come religiosa, prevede una lunga processione con la statua della Madonna Addolorata che durante l'anno è custodita in una cappella laterale della chiesa di Santo Stefano. La festa prevede una fiera con numerosi stand gastronomici e di artigianato locale. Alla sera la città viene illuminata da una festa di fuochi pirotecnici.

    La Fiera di San Martino, patrono della città, si svolge a novembre e prevede, oltre alla già citata ex tempore internazionale di scultura su legno, un mercatino dell'antiquariato e di degustazione dei prodotti locali con le immancabili castagne accompagnate da vino novello (un motto bellunese legato a questa festa è infatti "San Martino castagne e vino").

    A Belluno, inoltre, analogamente a varie zone del Friuli e del Nord Europa, sono ancora vive la tradizioni legate al giorno di San Nicolò: la sera del 5 dicembre i bambini lasciano al santo un bicchiere di vino e un po' di fieno per il suo asinello e, il mattino successivo, trovano in cambio dolci o piccoli regali. Per l'occasione in piazza dei Martiri si tiene un mercatino di dolciumi.
     
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    LONGARONE



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    Storia


    Il territorio di Longarone era certamente abitato dai Romani. Cospicui, infatti, vi sono stati i ritrovamenti archeologici dell’epoca. A Fortogna si sono rinvenute tombe romane; altre, di periodo imprecisato, sono venute alla luce presso Pirago; Dogna ha dato un sepolcreto con monete, armille, anelli, vasi di terracotta scura, Longarone una lapide dedicata ad Asclepio. Resti di via romana, accertati a Roggia, testimoniano il passaggio per la valle di un’arteria di traffico, probabile variante alla Claudia Augusta Altinate.

    L’origine del nome è incerta, ma l’ipotesi più probabile è che derivi da “longaria”, da “longus”, nel senso di distesa striscia di terra.

    È certo che la storia primitiva di Longarone si confonde con quella del più importante centro vicino di Castellavazzo. La storia municipale si rende autonoma solo con la costituzione del Comune, avvenuta per opera di Napoleone nel 1806.

    Longarone seguì, nel medioevo e nell’epoca moderna, la storia di Belluno. Ebbe la dominazione dei Vescovi, nel 1250 di Ezzelino da Romano; nel 1300 subentrarono gli Scaligeri, poi i da Carrara e i Visconti. Col 1420 passò sotto il dominio dello Stato Veneto.

    Il paese nacque probabilmente intorno al 1300, centrato sulla chiesa di san Cristoforo. Singolarmente interessante e importante un’iscrizione che ricordava l’edificazione del luogo sacro. Scolpita a carattere gotico maiuscolo capitale era una delle prime testimonianze del volgare bellunese.

    Longarone divenne poi sede di Regola. Il 7 giugno 1623 la Repubblica di Venezia investì del bosco di Cajada la Regola di “Longarone-Igne-Pirago”, elevata a “Magnifica” nel 1712.

    Il secolo XVIII portò a Longarone famiglie facoltose che vi esercitarono il commercio, soprattutto del legname, elevando il piccolo centro a ben alti fastigi economici. In pari tempo la cittadina era onorata dell’opera di valenti artisti. Sorsero signorili palazzi, e, sulla fine del secolo, la famiglia Sartori iniziava l’erezione dei Murazzi, alle spalle del paese. Max Reinhardt, il grande regista teatrale germanico, avrebbe voluto allestire, tra gli spiazzi della scalea, le tragedie greche.

    Durante la campagna del 1848 Longarone diede largo contributo di uomini alla causa italiana. Fra tutti spicca il nome dell’avvocato Jacopo Tasso (1801-1849), fucilato a Treviso il 10 aprile 1849 e le cui spoglie riposano dal 1937 nella Chiesa-Ossario dei frati di Mussoi.


    Nella storia di Longarone si distinsero nel campo delle arti l’incisore Niccolò Cavalli (1730-1822) e il pittore e litografo Pietro Marchi (1810-186?), ma più di ogni altro si segnalò Pietro Gonzaga (1751-1831) figlio del pittore bellunese Francesco. Pietro Gonzaga fu scenografo tra i più grandi del ‘700 italiano e fu promosso pittore di corte da Caterina II, Imperatrice di tutte le Russie. A partire dagli inizi del ‘900 Longarone andò acquistando una tipica fisionomia industriale, che portò alla realizzazione di notevoli stabilimenti, quali, ad esempio, la Cartiera Protti e la Faesite.


    La Chiesa Arcipretale


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    Al centro di Longarone, pura nelle sue volute di cemento rosato, si erge la nuova chiesa parrocchiale, opera d’arte di pregevole valore, realizzata dall’architetto Giovanni Michelucci (1891-1990).

    È lo stesso luogo in cui, all’indomani del 9 ottobre 1963, l’onda di morte che in un alito di tempo ha cancellato la millenaria storia del paese, lasciava emergere dalla sterile e desolata pietraia il sacro pavimento appartenuto alla chiesa arcipretale del ‘700, consacrata all’Immacolata Concezione di Maria Vergine. Quel “magnifico tempio ... col bianco altissimo campanile” che i longaronesi, dopo secoli di appartenenza e sottomissione alla Pieve di Lavazzo, avevano costruito e abbellito con donazioni della locale Regola e di facoltose famiglie veneziane, ottenendo poi, nel 1799, dal Vescovo e Conte di Belluno Sebastiano Alcaini lo smembramento della Pieve e l’erezione della nuova autonoma parrocchia.

    Nel contesto drammatico di morte e distruzione, nella tabula rasa della valle, proprio intorno ai frammenti superstiti dell’edificio scomparso, incorporati come in un reliquiario, si sarebbe modellato, in una inscindibile identità di struttura e forma lo spazio sacro del nuovo tempio.

    L’opera-monumento di Michelucci, stupendo monolite di calcestruzzo, giunge a compimento dopo un faticoso e travagliato iter progettuale; i primi disegni risalgono al 1966, la benedizione solenne della prima pietra è del 9 ottobre 1975, la consacrazione avviene il 9 ottobre 1983.

    Le ragioni di una gestazione così lenta e sofferta stanno nella complessità e molteplicità dei concetti ispiratori di questo organismo architettonico che risultano di difficile comprensione per la popolazione, fortemente legata allo spazio e alla forma di quello preesistente.

    Il maestro di Fiesole è consapevole che “la sciagura di Longarone non è stata un fatto locale ma un avvenimento della situazione dell’uomo perché ha investito il rapporto di dominio dell’uomo sulla natura”.

    Perciò lo spazio specifico della sua chiesa deve contenere la testimonianza della tragicità dell’evento e al tempo stesso essere espressione della speranza di rinascita della comunità, nonché ammonimento per le future generazioni.

    Deve risultare il frutto di un dialogo con l’ambiente umano e la società tutta in armonia con le disposizioni del Concilio Vaticano Secondo, luogo di preghiera ma anche sublime punto d’incontro tra credenti e non credenti, in un ideale cammino verso la nascita di quella città ecumenica che rappresenta “il più importante approdo della speranza di tutti gli uomini della terra”.

    Ecco allora che la ricerca di simbiosi fra la vita religiosa e la vita civile è resa magistralmente dai diversi spazi interni ed esterni che, affacciandosi l’uno nell’altro, si compenetrano e si lasciano percorrere ed esplorare in modo creativo dal visitatore.

    L’anfiteatro superiore, a cielo aperto, come una piazza inglobata nella città, predispone al ritrovo dei cittadini per attività culturali e ricreative, mentre l’anfiteatro inferiore introduce all’ascolto della parola di Dio, davanti al sepolcro vuoto del Cristo risorto.

    Percorsi e camminamenti a spirale, rampe e gradinate, aule e spaccati improvvisi, sono i “rivoli” di una spazialità che si dilata e si avvolge verso l’alto (ideale salita al Golgota attraverso la Via Crucis) o si raccoglie nell’intimità del sacrificio eucaristico che richiama la Passione del paese distrutto





    La tragedia del Vajont



    LA FRANA

    La tragedia del Vajont ebbe luogo la notte del 9 ottobre 1963. La frana, causa del disastro, che si staccò alle ore 22.39 dalle pendici settentrionali del monte Toc e che precipitò nel bacino artificiale sottostante, aveva dimensioni gigantesche: con un fronte superiore a due chilometri, una larghezza di almeno 500 metri ed una altezza massima di circa 400, essa trasportò a valle oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e detriti. Tale massa, se venisse asportata da 100 camion, calerebbe di 1 mm al giorno: a tali ritmi, per rimuoverla tutta sarebbero necessari 7 secoli!

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    La frana aveva, oltre alle enormi dimensioni, anche un’elevata velocità: avanzando a circa 100 km/ora, tale fu l’accelerazione che, in pochi secondi, risalì lungo il versante per più di cento metri, sbarrando la valle e modificandola in maniera definitiva.

    Al momento del disastro, l’altezza dell’acqua in prossimità della diga era pari a 240 metri e il serbatoio conteneva poco più di un terzo dell’invaso totale. La forza d’urto della massa franata creò due ondate che si abbatterono una verso monte, spazzando i paesi lungo le rive del lago, e l’altra verso valle. Quest’ultima superò lo sbarramento artificiale innalzandosi sopra di esso fino a lambire le case più basse del paese di Casso, poste 240 metri sopra la diga; si incanalò quindi nella stretta gola del Vajont, acquistando sempre maggior velocità ed energia; all’uscita della gola, la massa d’acqua, alta 70 metri e con una velocità di circa 96 km/ora, si riversò nella valle del Piave radendo al suolo il paese di Longarone ed alcuni villaggi vicini.

    Le vittime del disastro furono 1910, di cui 1450 residenti nel comune di Longarone.

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    A Longarone furono distrutte 895 unità immobiliari, 205 unità produttive (ivi comprese anche le piccole aziende); la superficie devastata fu di 580 ha, riguardanti tutta la parte più abitata e sviluppata del Comune. Venne distrutto, per intero, il Capoluogo, nonché le frazioni di Pirago, Rivalta, Villanova e, parzialmente, Faé.

    LA DIGA

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    Già all’inizio del secolo alcune società private avevano intuito la possibilità di sfruttare in modo capillare le acque del bacino del Piave per produrre energia elettrica. Tra gli anni ’30 e ’60 vennero formulati e via via perfezionati vari progetti che portarono alla realizzazione di una serie di sbarramenti, laghi artificiali e relative centrali idroelettriche in più località lungo il corso del Piave e dei suoi principali affluenti. Venne pure avviata la costruzione di una complessa e grandiosa rete di condotte forzate che, collegando i vari invasi, consentiva di sfruttare più volte la stessa acqua. In questa logica di utilizzazione razionale e capillare del bacino del Piave, la diga del Vajont assumeva un ruolo chiave: essa riceveva infatti le acque provenienti da tutti i serbatoi situati nell’alta valle del fiume Piave, le quali venivano successivamente convogliate nel lago artificiale di Val Gallina, serbatoio di carico sovrastante la centrale di Soverzene. Proprio in relazione al suo importante ruolo la diga del Vajont fu ripensata ed ingrandita diventando il progetto “Grande Vajont”.


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    LA PREVEDIBILITÀ DELL’EVENTO

    Nel 1957 la società SADE di Venezia diede il via ai lavori che furono completati nel 1960.

    La diga, una costruzione ad arco alta 261,60 metri, era, nel suo genere, la più alta del mondo e, in assoluto, la seconda. Dal 1960 iniziò il collaudo della diga con il riempimento del serbatoio. Numerosi furono i fatti e le circostanze che dimostrarono come il disastro fosse prevedibile ed evitabile: la diga fu progettata e costruita nonostante varie perizie sfavorevoli sui luoghi (la zona era nota per la sua fragilità geologica); l’autorizzazione a costruire fu ottenuta il 15 ottobre 1943, in pieno periodo bellico. Nel periodo precedente il disastro si accavallavano segni premonitori e contemporaneamente cresceva la paura della gente.

    Il tutto veniva valutato con grandissima preoccupazione da parte di alcuni tecnici, e fu denunziato da una giornalista, Tina Merlin, citata in giudizio dalla Sade per turbamento dell’opinione pubblica, e assolta in tribunale. Già il primo invaso aveva messo in luce una generale instabilità del lago e soprattutto della sponda sinistra: il versante era infatti interessato da segni di movimento quali alberi inclinati, fessure nel terreno e fenditure sui muri delle abitazioni: il 4 novembre 1960 si staccò una frana di 600.000 mc che scivolò nel lago, mentre si delineò, in alto, una lunga frattura a forma di M che costituì la futura nicchia di distacco della frana del 9 ottobre 1963. I tecnici consultati formularono due ipotesi sul tipo di movimento: una prevedeva franamenti successivi di modeste dimensioni, l’altra un unico grande scivolamento, ma non si valutarono attentamente quali potevano essere le conseguenze della massa e della velocità della frana. Pertanto non si misero in atto adeguate misure di sicurezza e di protezione per le popolazioni rivierasche, né di fronte all’evidenza del pericolo si ebbe il coraggio di attuare la loro evacuazione.

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    IL PROCESSO PENALE

    Il processo per i fatti del Vajont ebbe luogo, in fasi successive, a partire dall’ottobre 1968 davanti al Tribunale de L’Aquila e si concluse il 25 marzo 1971, quindici giorni prima che maturasse la prescrizione, in Cassazione. La fase istruttoria, che aveva accertato le responsabilità, era stata condotta dal dottor Mario Fabbri, Giudice istruttore presso il Tribunale di Belluno. La Cassazione, pur nella mitezza delle pene inflitte agli imputati, accoglieva sul piano dei principi, l’accusa: si dichiarava la prevedibilità dell’evento, per cui frana e inondazione costituivano un disastro colposo.

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    IL PROCESSO CIVILE

    Se il processo penale ha visto accertate e condannate le responsabilità per la catastrofe in pochi anni, la vicenda giudiziaria civile ha avuto un lunghissimo e travagliato iter, giungendo alla sentenza di primo grado del Tribunale di Belluno solo nel febbraio del 1997.

    Relativamente breve è stato invece il tempo occorso alla Corte d’Appello di Venezia che in data 25 novembre 1998 - 22 febbraio 1999 confermava la sentenza di primo grado condannando la Montedison SpA a risarcire il Comune di Longarone per i danni materiali e morali patiti dalla comunità.

    Ma la svolta definitiva è avvenuta con la sottoscrizione dell’accordo transattivo tra il Comune e detta Società, che pose fine al secondo grado, evitando così il ricorso in Cassazione con l’incertezza dell’esito finale.

    Anche l’ultimo atto del difficile e complesso percorso giudiziario ha avuto una positiva conclusione con la rinuncia dell’Enel ad azioni di rivalsa nei confronti del Comune di Longarone, rendendo così definitiva la transazione Comune-Montedison del 23.06.1999.

    Ora l’evento Vajont può finalmente essere consegnato alla storia perché venga scandagliato nelle sue cause, nelle sue dinamiche e nella molteplicità delle sue implicanze e dei suoi aspetti storici, legislativi, scientifici e didattici.


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    LA RICOSTRUZIONE

    Grande e immediata fu l’azione di solidarietà che si manifestò in tutto il mondo: grazie ad essa, all’intervento dello Stato e alla tenace volontà dei superstiti, il paese fu rapidamente ricostruito.

    Per la ricostruzione del Vajont sono stati stanziati dallo Stato complessivamente, attraverso provvedimenti successivi, circa 800 milioni di euro (in valori attuali). Si tenga però presente che buona parte è stata impegnata anche al di fuori delle aree colpite, consentendo la legge il trasferimento delle attività altrove, costituendo pertanto un grosso volano per l’intera economia della Provincia di Belluno. Il grosso (61%) è stato impiegato nella ricostruzione e nel successivo sviluppo industriale (aree industriali attrezzate e contributi alle aziende); il residuo per le opere pubbliche (24%), per la gestione dell’emergenza (6 %), la ricostruzione delle abitazioni (5%), l’integrazione ai bilanci comunali (4%).

    In Comune di Longarone sono state ricostruite 761 unità immobiliari (di cui 112 provenienti da altri Comuni, mentre 127 sono state ricostruite fuori Longarone), attivate circa un centinaio di aziende di grandi o medie dimensioni, con circa 3.500 posti di lavoro, realizzate opere pubbliche per oltre 70 milioni di euro (in valori attuali).

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    Utilizzando le nuove risorse confluite nel bilancio comunale in seguito alla felice conclusione del contenzioso derivante dalla catastrofe del Vajont, Longarone ha realizzato i seguenti progetti:

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    - investimenti sulla memoria con la ristrutturazione del Cimitero delle Vittime del Vajont con annesso Memoriale; ristrutturazione della Chiesa Arcipretale di Longarone e contributi a tutte le chiese frazionali per ristrutturazioni varie; sistemazione e restauro dei resti della Chiesa di Pirago; realizzazione del Museo “Longarone Vajont - Attimi di storia”, in collaborazione con l’Associazione Pro Loco, in fase di apertura.

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    - Un rinnovo delle strutture pubbliche divenute obsolete: rifacimento via Roma, piazza IX Ottobre, piazza Caduti e Dispersi in Russia, piazza Umberto I° e piazza Mazzolà; ristrutturazione e adeguamento Centro Culturale, Palazzetto dello Sport e Piscina. Importanti lavori di manutenzione scolastica in tutte le scuole del territorio. Recupero ex scuole elementari di Fortogna, Igne e Soffranco; recupero ex latterie di Dogna e Provagna, rifacimento fognature, acquedotto e parco giochi a Roggia; nuova sede frazionale, campo sportivo e nuova strada Pian de Sedego a Faè-Desedan; adeguamento bocciodromo e parco giochi a Pirago; ristrutturazione Casa di Riposo; manutenzione e sistemazione di tutte le strade boschive. Realizzazione nuova sede Centro Regionale di Protezione Civile.

    - Importanti interventi a favore dei privati attraverso il Fondo Casa, Fondo contribuzione per ristrutturazioni, Piano colore per centro e frazioni, contributi ai nuovi nati, borse di studio, progetto lavoro estivo per studenti e contributi per apertura nuove attività commerciali.

    - Una riqualificazione socio-culturale e ambientale attraverso la costituzione della Fondazione Vajont 9 Ottobre 1963 - Onlus, volano di approfondite ricerche sui problemi idrogeologici ed ecologici della montagna, della sicurezza ambientale, della prevenzione dei grandi rischi.

    - L’adesione a organismi di carattere culturale, sportivo e sociale attraverso l’erogazione di contributi e l’organizzazione di iniziative.

     
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    Auronzo di Cadore


    Da Wikipedia


    “ Auronzo bella al piano stendentesi lunga tra l'acque,
    Sotto la fosca Ajàrnola ”

    —Giosuè Carducci, Ode Cadore

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    Auronzo di Cadore è un comune italiano della provincia di Belluno, in Veneto.


    Posto ad una quota di m. 864 sul livello del mare e con circa 4000 abitanti, il Comune di Auronzo si snoda per oltre 8 chilometri nel fondovalle più lungo del Cadore per una superficie complessiva di circa 220 Kmq. Il Comune di Auronzo di Cadore è una delle mete principali per il turismo estivo ed invernale ed è raggiungibile da sud percorrendo la direttrice da Venezia - Belluno (uscita Autostrada A27) per proseguire lungo la Strada Statale 51 bis "di Alemagna" immettendosi successivamente sulla Strada Statale 52 "Carnica". Da nord/nord-ovest si accede al territorio comunale attraverso il Passo Tre Croci (da Cortina), dalla Val Pusteria salendo da Carbonin e dal Comelico attraverso il P.sso di S.Antonio. Il paese ingloba ben 11 borgate e/o frazioni: Cima Gogna, Cella, Villapiccola, Villagrande, Riziò, Reane, Pause, Ligonto, Giralba, S. Marco e Misurina ed è delimitato a nord dalle pendici meridionali del monte Aiarnola ed a sud, in parte, dall'esistente lago di S.Caterina, alimentato dal torrente Ansiei e che si è formato negli anni '30 a seguito della costruzione della diga omonima. La presenza del predetto specchio d'acqua artificiale fa si che Auronzo di Cadore sia dotato di una spiaggia attrezzata e sia periodicamente cornice di importanti competizioni di motonautica e di canoa. Attorno al predetto lago si snodano peraltro vari percorsi pedonali e ciclabili che consentono effettuare salutari passeggiate senza dover spostarsi in automobile e di poter apprezzare il panorama circostante con particolare riguardo alle inimitabili Tre Cime di Lavaredo. Sotto il profilo architettonico vanno ricordate la settecentesca Chiesa parrocchiale di S.Giustina a Villagrande, l'edificio di culto più vasto del Cadore, la Chiesa di S.Lucano a Villapiccola di stile neoclassico e la cinquecentesca Chiesa di S. Caterina a Cella. Fanno da sfondo ad Auronzo montagne come appunto le Tre Cime di Lavaredo, i Cadini, la Croda dei Toni, il Corno del Doge, paradiso degli alpinisti e terreno di feroce contesa durante la Grande Guerra. Dirigendosi lungo la S.R. 48 "delle Dolomiti" che porta verso Misurina, si attraversa la località di Palus S.Marco ove ci si può addentrare nella Foresta di Somadida attualmente di proprietà del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e che fu donata nel 1463 dai Cadorini a Venezia per ricavarne il legname necessario alla costruzione delle sue navi. Sotto il dominio della Serenissima Auronzo fu celebre anche per le sue miniere di piombo, zinco e argento, oggi esaurite.


    Storia



    Dai Veneti ai Romani

    Le prime evidenze archeologiche in Val d'Ansiei che potessero far pensare ad un popolamento in età romana furono scoperte negli ultimi anni del XX secolo, benché uno storico, Giovanni Candido, avesse già scritto nel resoconto di un suo viaggio tra il Friuli e il Cadore avvenuto trecento anni prima, di un luogo chiamato “Auronzo, dove molte vestigia d'antichità veggonsi”.

    Nei secoli erano state ritrovate soltanto poche monete di fattura romana, raffiguranti il console Manlio Aquilio (129 a.C.) e l'imperatore Gallieno (260 d.C.-268 d.C.), senza però alcun contesto né informazioni aggiuntive. Grazie anche alla benevolenza del proprietario, negli anni novanta presso la casa Molin in via Tarin si trovarono le prime strutture di età romana. Da quel momento le scoperte si susseguirono con ritmo incalzante, fino a delineare un quadro assolutamente inedito: la val d'Ansiei è abitata sicuramente fin dal II secolo a.C. Sul monte Calvario, dietro la chiesa di Santa Giustina a Villagrande, è in corso di scavo uno dei siti archeologici più importanti del Veneto; un luogo di culto attivo dal II a.C. fino alIV d.C. Le iscrizioni del sito dimostrano l'uso della scrittura venetica fino almeno a tutto il I d.C., molto più tardi che in pianura, diventando l'anello mancante per la nascita della scrittura runica. Il sito è già stato presentato a Roma in una manifestazione nazionale sull'archeologia. Peraltro, il rinvenimento di alcuni frammenti di terracotta, probabilmente cocci di vasi risalenti a età preromana, hanno dato un senso ai racconti popolari che parlavano del porteà (cimitero) dei pagane in frazione Malon (1300 metri s.l.m.). Qui sono visibili imponenti muri a secco, a dominare le scarpate sottostanti, mentre su un lato si presentano imponenti terrazzamenti (anche di 3 metri di altezza), chiamati dai valligiani i altare dei pagane.

    In frazione Villapiccola furono poi trovate, nei pressi della chiesa, 6 monete di bronzo che coprono tre secoli (27 a.C.-211 d.C.), indizio di un tesoretto o di un abitato. Quasi di fronte alla chiesa, dall'altra parte del lago, venne ritrovata una moneta di Augusto durante i lavori di costruzione della strada che costeggia il bacino.

    Rilevanti anche i reperti scoperti a Cima Gogna che, ancora secondo le leggende locali, ospitava anticamente un centro abitato di notevoli dimensioni. Il patrimonio ambientale è proprietà delle Magnifiche Regole di Villagrande e Villapiccola, antichissime forme di gestione dei beni di proprietà collettiva dei "regolieri" titolari di un patrimonio inalienabile, indivisibile ed inusucapibile. Tale patrimonio ereditato dai nostri progenitori deve essere salvaguardato, migliorato e trasferito alle future generazioni. Con la venuta di Napoleone, nel 1806, tale patrimonio fu, con la scomparsa delle "regole" dato in amministrazione ai nascenti comuni.


    Cultura



    Musei

    Nel giugno 2008 è stato inaugurato il Museo Civico in via Dante presso il palazzo Corte Metto con quattro sezioni: Scienze della Vita e della Terra al primo piano, archeologia al secondo, la "Grande Guerra" al terzo e l'attività mineraria e mineralogica nell'ultimo. Il Palazzo è inoltre sede di mostre temporanee a tema vario: in passato ha ospitato mostre di Fotografia Naturalistica, Alpinismo, Storia dello Sci e Filatelia.




    MISURINA



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    Una non troppo antica leggenda narra di Misurina, la figlia di un gigante, il Re Sorapis. La bambina molto capricciosa pretendeva che il padre le donasse lo specchio "tuttosò" che apparteneva alla fata del Monte Cristallo. La fata propose un patto: avrebbe concesso lo specchio solo se il Re avesse accettato di trasformarsi in una montagna. Non appena Misurina afferrò lo specchio Re Sorapis subì l'eterna trasformazione. Solo allora la bimba si disperò e presa da improvviso capogiro precipitò dall'alto assieme allo specchio. Dagli occhi, ormai quasi spenti di Sorapis, cominciarono a scendere delle calde lacrime che formarono il Lago di Misurina. Questa leggenda sulle origini del lago della "perla del Cadore", come è stata soprannominata Misurina, senza dubbio la località più rinomata e famosa del Comune di Auronzo. Il nome "Misurina", in ladino "Mesorina", deriverebbe dall'unione dei termini "Meso ai Rin", cioè "in mezzo ai ruscelli". Nel XVI secolo si credeva infatti che sia il Piave che l'Adige nascessero dal suo lago. di origine glaciale. Il romantico specchio d'acqua lungo circa mille metri e largo trecento, giace alla quota di m. 1756 s.l.m. in una delle più solenni e maestose conche alpine, circondato da boschi nereggianti e dalle cime dolomitiche del Piz Popena (m. 3152), del Cristallino (m. 2775 - gruppo del Cristallo), delle Tre Cime di Lavaredo, del Sorapis (m. 3205), dei Cadini e delle Marmarole. Misurina fu contesa per secoli dai comuni limitrofi, dall'Impero austriaco e dalla Serenissima Repubblica di Venezia, sia perchè importante valico di confine, sia per i suoi pascoli alpini ancor oggi sfruttati da quattro malghe. Negli anni a cavallo tra il 1800 ed il 1900 conobbe il turismo con i primi grandi alpinisti come Paul Grohmann e con personaggi storici quali la Regina Margherita di Savoia ed il poeta Giosuè Carducci che tessè le sue lodi in diversi canti. A Misurina si accede da Cortina attraverso il Passo Tre Croci, da Auronzo attraverso la Val d'Ansiei e dalla Val Pusteria salendo da Carbonin. Per gli appassionati delle escursioni non c'è che l'imbarazzo della scelta. Si va dalle semplici camminate intorno al lago a piedi o in barca, fino alla salita delle pareti nord delle Tre Cime, simbolo che ha permesso a Misurina di essere conosciuta in tutto il mondo, senza peraltro dimenticare i già citati Cristallo, i Cadini, il Sorapis, la Croda dei Toni ed il Popena con la guglia intitolata ad Edmondo De Amicis. Tra le principali gite vanno menzionate la salita con la seggiovia a Col De Varda, con una magnifica vista sul Gruppo del Cristallo, l'ascesa a Monte Piana ed in particolare l'emozionante giro ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. In inverno e fino a primavera inoltrata è possibile sciare su piste da discesa, su piste di fondo e su tracciati adatti allo sci d'alpinismo che permettono di godersi lo stupendo panorama circostante sotto uno splendido sole. A circa sei chilometri da Misurina si trova il già menzionato e celebre Monte Piana (m. 2324), luogo dal quale è possibile ammirare le Dolomiti orientali fino ai ghiacciai della Valle Aurina. Su questo monte, nell'ottobre del 1917, si scontrarono in aspri combattimenti gli italiani e gli austriaci. Una lapide ed una croce ricordano i nostri caduti.

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    Una non troppo antica leggenda narra di Misurina, la figlia di un gigante, il Re Sorapis. La bambina molto capricciosa pretendeva che il padre le donasse lo specchio "tuttosò" che apparteneva alla fata del Monte Cristallo. La fata propose un patto: avrebbe concesso lo specchio solo se il Re avesse accettato di trasformarsi in una montagna. Non appena Misurina afferrò lo specchio Re Sorapis subì l'eterna trasformazione. Solo allora la bimba si disperò e presa da improvviso capogiro precipitò dall'alto assieme allo specchio. Dagli occhi, ormai quasi spenti di Sorapis, cominciarono a scendere delle calde lacrime che formarono il Lago di Misurina. Questa leggenda sulle origini del lago della "perla del Cadore", come è stata soprannominata Misurina, senza dubbio la località più rinomata e famosa del Comune di Auronzo. Il nome "Misurina", in ladino "Mesorina", deriverebbe dall'unione dei termini "Meso ai Rin", cioè "in mezzo ai ruscelli". Nel XVI secolo si credeva infatti che sia il Piave che l'Adige nascessero dal suo lago. di origine glaciale. Il romantico specchio d'acqua lungo circa mille metri e largo trecento, giace alla quota di m. 1756 s.l.m. in una delle più solenni e maestose conche alpine, circondato da boschi nereggianti e dalle cime dolomitiche del Piz Popena (m. 3152), del Cristallino (m. 2775 - gruppo del Cristallo), delle Tre Cime di Lavaredo, del Sorapis (m. 3205), dei Cadini e delle Marmarole. Per gli appassionati delle escursioni non c'è che l'imbarazzo della scelta. Si va dalle semplici camminate intorno al lago a piedi o in barca, fino alla salita delle pareti nord delle Tre Cime, simbolo che ha permesso a Misurina di essere conosciuta in tutto il mondo, senza peraltro dimenticare i già citati Cristallo, i Cadini, il Sorapis, la Croda dei Toni ed il Popena con la guglia intitolata ad Edmondo De Amicis. Il lago di Misurina si presta particolarmente per effettuare rilassanti passeggiate lungo il sentiero che lo costeggia ammirando il circostante panorama montano. E' inoltre possibile effettuare delle interessanti e rilassanti gite in barca attraverso l'incontaminato specchio d'acqua. Durante la stagione invernale e grazie alle rigide temperature, sulla superficie del lago si viene a formare un consistente strato di ghiaccio innevato sul quale è possibile passeggiare e che consente l'effettuazione di svariate manifestazioni turistiche come l'ormai consueto Torneo di Polo.

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    TRE CIME DI LAVAREDO



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    Superbamente isolate al margine sud-occidentale delle Dolomiti di Sesto, si elevano le Tre Cime di Lavaredo, le vette più famose delle Dolomiti, un mito nel mondo dell'alpinismo. A partire dalla metà del XIX secolo, tutta la zona delle Dolomiti cominciò a diventare un'ambita meta turistica anche se per molti anni, turisti e villeggianti si accontentarono di ammirare e ritrarre le splendide montagne solo dal basso. A quei tempi la montagna incuteva ancora paura e timoroso rispetto. Soltanto nella seconda metà del XIX secolo, alcune guide alpine cadorine ed altotesine, insieme ad alpinisti austriaci, svizzeri ed inglesi, mossi da coraggio e spirito d'avventura, cominciarono a scalare le vette fino ad allora inviolate. Il richiamo maggiore era proprio esercitato dalle mitiche Tre Cime di Lavaredo. Questo massiccio, noto per le sue ripide pareti è stato da sempre un'attrazione per alpinisti ed intrepidi scalatori provenienti da tutto il mondo e fino ad oggi non ha ancora perso il suo fascino. La storia dell'arrampicata delle Tre Cime parte nell'anno 1869, quando l'alpinista ed esploratore viennese Paul Grohmann e le guide altotesine Peter Salcher e Franz Innerkofler scalarono la Cima Grande (m. 2.999). Dieci anni dopo, Michl Innerkofler di Sesto e Georg Ploner di Dobbiaco riuscirono a conquistare la Cima Ovest (m. 2.973) passando attraverso la parete sud. Poi nell'anno 1881, i fratelli Michl ed Hans Innerkofler di Sesto conquistarono la parete sud della Cima Piccola di Lavaredo (m. 2.857). Nei decenni seguenti furono tantissimi gli alpinisti ed esploratori di tutta Europa a scrivere pagine memorabili e significative di questa continua sfida e confronto tra l'uomo e la montagna. Era l'ambizione di diventare protagonisti nella storia dell'alpinismo a spingere l'uomo a cimentarsi nella conquista di una cima o ad aprire nuove vie per raggiungerla. L'impresa più celebre e che suscitò ammirazione e partecipazione di centinaia di spettatori sui ghiaioni alla base delle tre vette avvenne nel 1959 quando i due studenti svizzeri Albin Schelbert e Hugo Weber e gli "Scoiattoli" , famosi alpinisti di Cortina, Candido Bellodis, Benjamino Franceschi, Albino Michielli e Claudio Zardini, si contesero la precedenza e la paternità di quella che sarebbe stata battezzata in seguito "via degli svizzeri e italiani" nella parete Nord di Cima Ovest. Si fanno notare ovviamente anche giovani alpinisti auronzani, appassionati conoscitori delle proprie montagne e che con gli anni diventeranno Guide esperte. Tra questi si possono annoverare Angelo Larese Filon che morì sulla Cima Piccola a soli 28 anni nel tentativo di salvare un compagno di cordata ed innumerevoli altri tra i quali Francesco Corte Colò, Valerio Quinz, Alziro Molin, Bruno Caldart, Armando Vecellio Galeno, Gianni Pais e Pacifico Zandegiacomo Orsolina, solo per citarne alcuni. Anche l'alpinismo moderno con il free climbing e l'arrampicata sportiva, ha trovato nelle Tre Cime il luogo ideale, dove nei mesi estivi di ogni anno, eccezionali alpinisti si cimentano in imprese estremamente impegnative ed affascinanti.Per chi invece volesse effettuare una comoda gita alle Tre Cime di Lavaredo, in circa mezzora d'auto da Misurina al Rifugio Auronzo, può usufruire dell'esistente strada asfaltata con parcheggio a pagamento che rappresenta l'accesso più comodo ai piedi delle Tre Cime. Anche dal Rifugio Fonda Savio, percorrendo in circa 2 ore il tratto settentrionale del Sentiero Bonacossa, si può accedere al Rifuglio Auronzo. Il giro del Gruppo è un'escursione facile e di eccezionale interesse perchè permettere di vedere le Tre Cime mutare sotto ogni angolo di visuale. Dal Rifugio Auronzo (antistante i parcheggi a pagamento) è poi possibile raggiungere la Forcella Lavaredo e da qui attraverso un sentiero ben tracciato che si snoda sotto le incombenti pareti delle Tre Cime, si giunge direttamente alla Forcella del Col di Mezzo e quindi con una bella passeggiata di circa 3 ore e mezza di nuovo al Rifugio Auronzo.

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    ALLEGHE



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    Alleghe si sviluppa lungo le coste dell'omonimo lago, che si è formato nel 1771 da un'enorme frana. Proprio grazie al suo lago, Alleghe, è divenuta una dei luoghi più famosi e conosciuti per le vacanze nelle Dolomiti, qui si possono trovare numerosi alberghi, ristoranti, bar e appartamenti in riva al lago. D'inverno il lago si trasforma in uno stadio di pattinaggio a cielo aperto!

    Alleghe ha una delle squadre di hockey più forti d'Italia.
    L'Hockey Club Alleghe è nato nel 1932, quando si sono svolte proprio ad Alleghe,le semifinali del campionato italiano. Dal 1945, l' Alleghe Hockey Club è una squadra di della Serie A.

    Chi ama gli sport invernali, oltre che a valle li può praticare certamente in montagna. Intorno al Monte Civetta si sviluppa, infatti, il "Comprensorio sciistico del Civetta", che dal 1993 fa parte anche del Dolomiti Superski. L'area comprende: Alleghe, Zoldo Alto, Palafavera e Selva di Cadore che sono collegati con un servizio autobus alla famosa Sellaronda. Inoltre ad Alleghe si può percorrere anche il "Tour della Grande Guerra", più di 77 km tra le Dolomiti, in cui scoprire la scena in cui si svolsero i combattimenti della1 ° Guerra Mondiale.

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    In estate, Alleghe, è punto di partenza ideale per escursioni a piedi o in mountain bike sul Monte Pelmo, il Civetta e la Marmolada. La famigerata parete nord del Civetta, attira centinaia di alpinisti ogni anno. Numerosi i laghi di alta montagna, che potrete scoprire durante le escursioni, i rifugi e il bellissimo panorama. Ad Alleghe e nei dintorni passa regolarmente anche Il Giro d'Italia, per tutti gli amanti delle due ruote. Alleghe e i passi dolomitici sono l'ideale anche per gli amanti della motocicletta.

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    Il lago di Alleghe



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    Il lago di Alleghe situato nell'alta valle del Cordevole, ha origini che risalgono all'anno 1771. Come per molti altri laghi alpini, la sua formazione è dovuta ad una grande frana staccatasi da una propaggine del monte Forca, che sorge di fronte al paese di Alleghe.

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    Caratteristiche - Il lago di Alleghe è posto tra i paesi di Cencenighe e Caprile ha una superficie di 0,5 Kmq e una profondità massima di 4,5 m.
    Il lago è nato artificialmente l'11 gennaio 1771, quando un'enorme frana precipitò dal monte Piz seppellendo i villaggi di Marin, Riete, Fusine.
    La colossale diga di detriti formatasi fermò l'affluenza inferiore dell'acqua del torrente, che si innalzò finché, sormontando le rovine medesime, potè riprendere il suo corso. Rialzandosi, quest'acqua, diede origine al lago attuale che in soli tre giorni raggiunse l'altezza di 35 metri, e la lunghezza di mezzo miglio, inondando e sommergendo i villaggi di Sommariva, Torre, Costa, Peron e Alleghe, villaggio posto sul punto più alto salvatosi dall'immane catastrofe.

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    L'ambito geografico

    Alleghe ovvero il lago, la Civetta, le piste da sci del grande comprensorio che, verso oriente, si collega alla Val di Zoldo e alla Val Fiorentina. Il capoluogo comunale a 979 m è contornato da numerose borgate e frazioni, prima fra tutte quella di Caprile situata poco a nord, appena a monte della confluenza della Fiorentina con il Cordevole.

    Il corso normale di questo torrente fu sconvolto, l'11 gennaio 1771, da un drammatico avvenimento: una frana enorme si staccò dal Monte Piz e sbarrò il corso del Cordevole causando così la formazione del lago, oggi ameno punto di attrazione per il turismo e per le attività sportive. Nei secoli precedenti la vita degli abitanti si era dipanata abbastanza tranquillamente legata all'economia agricola e forestale e alle fortune dell'attività di lavorazione del ferro svolta nelle fucine di Caprile. Il metallo proveniente dalle vicine miniere del Fursil, nei pressi di Colle Santa Lucia, costituiva la materia prima per la fabbricazione di armi, coltelli, oggetti vari. Tale attività continuò durante l'appartenenza alla Serenissima. Della notorietà e importanza delle armi forgiate a Caprile, una testimonianza è il bell'arazzo, conservato nella Sala consiliare del Municipio, del pittore tedesco Kurt Geibel Hellmeck, riportante una scena di trattative commerciali per l'acquisto di spade tra i rappresentanti veneziani e quelli locali.


    Da vedere - Nel fondovalle del Cordevole, il breve percorso da Caprile ad Alleghe corre tra la spettacolare vista della parete nord della Civetta e la sponda del lago di Alleghe, formatosi nel 1771 per uno sbarramento franoso tuttora riconoscibile. Una strada permette di percorrerne la pittoresca sponda occidentale, con belle viste su Alleghe, oggi accogliente centro turistico estivo e invernale, e la sovrastante Civetta. A valle del lago il solco del Cordevole si fa profondo, per riaprirsi un poco in corrispondenza della confluenza del Biois, dove sorge Cencenighe Agordino, centro turistico e di piccola industria.

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    MONTE CIVETTA




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    La storia
    La Civetta, 3218 m in vetta, è indubbiamente il simbolo dell'Agordino: per la sua mole imponente e per la sua bellezza. I primi a conquistarne la cima furono due inglesi Raynor e Phillimore. Accompagnati da altrettante guide di Cortina d'Ampezzo, Antonio Dimai e Giovanni Siorpaes, nell'estate del 1895 sconfissero la splendida verginità della montagna. Domenico Rudatis, ingegnere e alpinista, nel 1925 scoprì tre iscrizioni scolpite in punti diversi e formate dalle parole: FIN BEL-IUL quella sotto una cengia a nord del Monte Coldai, FIN BEL-IUL quella che dà sul versante zoldano e FIN-IUL-BEL quella sul Col Davagnin. Alcuni studiosi ritengono che si tratti di iscrizioni confinarie tra i possedimenti dei "Bellunati" e quelli cadorini appartenenti al territorio di "Iulium Carnicum".

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    Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi


    Da Wikipedia

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    Il Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi è un'area naturale protetta del Veneto, istituita nel 1990.

    Territorio
    Il parco ha una superficie di 31.512 ettari, interamente compresa nella provincia di Belluno, tra i fiumi Cismon ad ovest e Piave ad est, esteso a nord verso il bacino del Maè e a sud nel basso Agordino.

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    Gruppi montuosi

    Il Parco comprende i gruppi montuosi delle Alpi Feltrine (Vette di Feltre, Cimonega, Pizzocco, Brendol, Agnelezze), Monti del Sole, Schiara, Talvéna, Prampèr e Spiz di Mezzodì. Sono presenti aree carsiche d'alta quota e rupi e pendici detritiche, habitat ideale per numerose specie di alta montagna.


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    Fiumi e torrenti

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    Il territorio del parco, fatta eccezione per alcune aree carsiche di alta quota, si presenta estremamente ricco di risorse idriche: sorgenti, paludi e corsi d'acqua tra i quali: Cordevole, Mis, Caorame, Stién (affluente del Caorame), Falcìna (affluente del Mis), Ardo, Vescovà, Prampèra (affluente del Maè) che concorrono alla ricchezza biologica del Parco. Alcuni di questi torrenti scorrono in forre profonde, e tutti sono soggetti a variazioni stagionali imponenti di portata.

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    Comuni
    Belluno, Cesiomaggiore, Feltre, Forno di Zoldo, Gosaldo, La Valle Agordina, Longarone, Pedavena, Ponte nelle Alpi, Rivamonte Agordino, San Gregorio nelle Alpi, Santa Giustina, Sedico, Sospirolo, Sovramonte.


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    Flora
    La flora è composta da rododendri, cardi, stelle alpine e da altre piante montane. Vi sono boschi di latifoglie e di conifere, pascoli e immensi prati.



    Fauna
    La varietà territoriale del Parco, che comprende aree di alta montagna accanto a pascoli permette a numerose specie animali di trovare il proprio habitat all'interno dell'area.

    Tra le specie più importanti e rappresentate sono:

    Mammiferi:

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    Marmotta, Ermellino, Capriolo, Camoscio, Cervo, Muflone. Chirotteri: Vespertilio maggiore, Pipistrello nano, Orecchione austriaco, Orecchione bruno, Vespertilio di Daubenton.

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    Uccelli:

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    Picchio nero, Picchio muraiolo, Astore, Gheppio, Aquila reale, Civetta nana, Civetta capogrosso, Allocco, Gufo reale, Francolino di monte ( specie a rischio di estinzione), Gallo cedrone, Fagiano di monte, Pernice bianca, Coturnice, Upupa, Corvidi, Cincia, Re di quaglie, Codirosso spazzacamino, Fringuello alpino (anch'esso raro), Culbianco.


    Rettili e Anfibi:
    Tritone alpino, Tritone crestato italiano, Tritone punteggiato meridionale, Salamandra pezzata, salamandra nera o alpina, Ululone dal ventre giallo, Rospo comune, Rana montana, Rospo smeraldino.

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    La Storia
    I territori che oggi sono compresi nel Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi sono stati assiduamente frequentati per millenni e conservano preziose testimonianze della presenza umana.
    Tra le più importanti vanno ricordate i numerosi siti archeologici preistorici, il centro minerario di Valle Imperina, che vanta una storia di oltre mezzo millennio, la certosa di Vedana, le chiesette della fascia pedemontana, gli antichi ospizi medioevali della Val Cordevole, le strade militari, le malghe e tutti i segni cosiddetti "minori" dell'antico vivere dell'uomo in montagna.
    La storia del territorio del Parco è anche e soprattutto storia delle comunità che per secoli sono vissute e hanno lavorato in un ambiente difficile con il quale hanno saputo raggiungere delicati punti di equilibrio.


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    La Preistoria
    La presenza umana nel territorio del Parco risale a epoche molto antiche ed è documentata da reperti di grande valore.
    Le prime tracce datano al paleolitico medio: circa 40.000 anni fa gli Uomini di Neanderthal giunsero sul monte Avena per cacciare grandi mammiferi.
    Dopo circa 10.000 anni - nel Paleolitico superiore - l'Homo Sapiens Sapiens comparve nella zona per estrarre e lavorare la selce.
    Successive frequentazioni sono testimoniate dal ritrovamento in Val Cismon di alcuni ripari sottoroccia e di una sepoltura risalente a circa 12.000 anni fa.
    A partire da 6.000 anni fa (Neolitico), l'introduzione dell'agricoltura e dell'allevamento portò l'uomo verso la graduale sedentarietà e quindi alla costruzione dei primi villaggi.
    Testimonianze di questi insediamenti sono state rinvenute presso l'abitato di Vignui, a Pedavena e a Ponte nelle Alpi. I reperti trovati in Val Cordevole, Val Falcina e sul Monte Talvena evidenziano invece la presenza umana durante l'età del bronzo.
    L'età del Ferro fu caratterizzata da più popoli e culture. Influssi celtici interessarono Belluno, Cadore e Alpago, mentre a Mel e Cavarzano vi sono importamti testimonianze della presenza di genti provenienti dall'Asia Minore, i Paleoveneti.
    Il Feltrino fu soggetto a influenze retiche, come documentano gli oggetti ritrovati proprio nel cuore della cittadella di Feltre, fortificata già prima della dominazione romana.


    La Colonizzazione romana
    Negli ultimi decenni del II secolo a. C. inizia la penetrazione e la colonizzazione romana. Nel territorio dell'attuale provincia di Belluno sorgono i municipia di Bellunum e di Feltria.
    Il Cadore costituisce una grande appendice del municipium di Iulium Carnicum (l'attuale Zuglio), mentre la Sinistra Piave, gravitante sul centro del Mel, appartiene a quello di opitergium (oggi Oderzo).
    La più rilevante testimonianza di età romana dal punto di vista paesaggistico è la via Claudia Augusta-Altinate, la strada che da Altino, quindi dal Mare Adriatico, portava al Danubio.
    Questa arteria di transito, importantissima per l'organizzazione politica ed economica della zona, attraversa la pedemontana feltrina e, attraverso il Tesino, si dirigeva verso Ausugum (l'attuale Borgo Valsugana) da dove proseguiva verso la valle dell'Adige.
    L'esatta individuazione del suo tracciato e di quello dei suoi presunti diverticoli nella valle del Piave è oggetto di studi e contese.

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    Il Medioevo
    L'età tardo-antica e i primi secoli del medioevo sono caratterizzati dalla progressiva cristianizzazione della quale rimangono numerose testimonianze (Feltre e Belluno furono tra le più antiche sedi vescovili del Veneto).
    Soggetto alle dominazioni bizantina, longobarda e franca, il territorio bellunese nel corso dell'alto medioevo fa parte di quella che nel X secolo fu chiamata Marca Veronese e, dall'inizio del XIII Marca Veronese Trevigiana.
    Il governo anche politico, delle due città montane è affidato ai vescovi che, a partire probabilmente dall'inizio del XII secolo, esercitano poteri tipici di tutte le signorie territoriali.
    Nella seconda metà dello stesso secolo, entrambi le sedi vescovili sono oggetto delle mire espansionistiche del comune trevigiano che non riesce tuttavia ad alternare la fisionomia. Nel corso del duecento Belluno e Feltre subiscono gli effetti dell'espansione signorile di Ezzelino da Romano prima, dei Da Camino poi.
    Nel Trecento, mentre il potere temporale dei vescovi va inesorabilmente scemando, sono contese da Scaligeri, Carraresi, grandi casate Tedesche (Lussemburgo e Brandeburgo) e Visconti.
    Già a metà del XII secolo una notevole importanza hanno inoltre le iniziative dei due Capitoli Cattedrali connesse al ruolo degli ospizi di montagna già a metà del XII secolo e gli interventi di grandi enti ecclesiastici della pianura o della fascia pedemontana.
    Feltre e Belluno cadono sotto il dominio della Repubblica veneta una prima volta nel 1404 e definitivamente nel 1420.

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    La dominazione veneta
    Sotto il dominio della Serenissima (1420-1797), non assistiamo a mutamenti istituzionali significativi.
    Sia Feltre sia Belluno mantengono l'assetto amministrativo precedente che vede il potere cittadino saldamente in pugno ai due rispettivi Consigli Maggiori, la cui natura aristocratica non viene mai messa in discussione.
    I governi locali sono tuttavia posti sotto la tutela del rettore veneto, che ricopre la carica di podestà e di capitano, esercitando dunque funzioni giudiziarie, finanziare e militari.
    Un evento particolarmente significativo e traumatico è la distruzione subita dalla città di Feltre nel 1510 in seguito alla sconfitta veneziana di Agnadello ad opera della lega di Cambrai.
    Conseguentemente prende avvio una grandiosa opera di ricostruzione e sul preesistente impianto medioevale della città sorgono gli edifici rinascimentali che ancora oggi ammiriamo. Segue un periodo di pace e di prosperità nel quale fioriscono intense attività industriali e commerciali che coinvolgono i centri cittadini di Belluno e Feltre e tutto il territorio circostante. L
    e risorse naturali di questo territorio risultano preziose per le esigenze di Venezia: la foresta di Caiada fornisce legname necessario alla cantieristica di Stato, le miniere di Valle Imperina divengono importanti per l'industria del rame.
    Durante il dominio veneto, la fascia pedemontana della Val Belluna si arricchisce della presenza di un considerevole numero di ville ed edifici padronali che si fondano in maniera del tutto particolare con il paesaggio circostante.


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    L'età contemporanea
    La caduta della Repubblica di Venezia apre un ventennio tormentato in cui si susseguono occupazioni militari, mutamenti politici e amministrativi.
    Ad una prima dominazione francese tra il 1797 e il 1798 segue quella austriaca.
    Dopo la pace di Presburgo del 26 dicembre 1805, tutto il Veneto entra a far parte del regno d'Italia napoleonico. Feltre e Belluno danno vita al Dipartimento della Piave con capoluogo a Belluno. Dopo la sconfitta di Napoleone il congresso di Vienna, un nuovo cambiamento: nei domini dell'Impero asburgico Feltre e Belluno entrano a far parte del regno Lombardo-Veneto.
    Nel 1866, dopo la terza guerra d'indipendenza, sono annesse al regno sabaudo. Le loro vicende storiche, politiche e amministrative diventano quelle dell'Italia unita.
    Il paesaggio del Parco mostra ancora oggi diverse testimonianze dei passati eventi bellici. Ben riconoscibili sono, ad esempio, le strade militari che risalgono alla I Guerra Mondiale e che si sviluppano lungo i pendii con modesta e costante pendenza, spaziosi tornanti per le manovre dei pesanti pezzi di artiglieria e con imponenti muri di sostegno in pietra.
    Durante gli ultimi decenni dell'800 una massiccia emigrazione verso l'impero Austro-Ungarico e le Americhe fece allontanare dalla provincia oltre 22.500 persone.
    Questo fenomeno si verificò anche nei periodi successivi alle due guerre mondiali, con notevoli ripercussioni sull'economia locale, sullo stato sociale, sulla cultura.



     
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    Le Finalità del Parco
    Tutela di un complesso di valori naturalistici, storici, paesaggistici e ambientali e conservazione dei valori biogenetici della flora e della fauna nonchè degli attuali aspetti geomorfologici.
    Creazione di migliori condizioni di vita per le genti delle zone montane interessate.
    Promozione della ricerca scientifica e dell'educazione ambientale (divulgazione della cultura naturalistica).
    Favorire il ripristino delle attività agrosilvopastorali, compatibili con le finalità di tutela, nelle aree a più spiccata vocazione primaria.
    L'obiettivo fondamentale è la creazione di opportunità di sviluppo attraverso una seria politica di tutela dei valori naturalistici che rappresentano la vera risorsa del territorio.


    Caratteristiche generali del Parco
    Perché un Parco nelle Dolomiti



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    II Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi nasce per tutelare un territorio di straordinaria valenza paesaggistica e naturalistica. Le Vette di Feltre e il Monte Serva erano già molto celebri per la loro flora fin dal XVIII secolo. La presenza di specie rare e di una eccezionale varietà di ambienti è dovuta anzitutto alla localizzazione geografica. Si situa infatti sul margine delle Alpi sudorientali, in zone molto impervie, parte delle quali sono rimaste libere dai ghiacci nel corso dei periodi molto freddi (glaciazioni) che si sono succeduti nel Quaternario e l'ultimo dei quali si è esaurito circa 10.000-12.000 anni fa.
    Ambienti e culture diverse gravitano sull'area del Parco. Le frazioni dislocate sui declivi che si affacciano sulla Valle del Piave (Feltrino e Bellunese), si distinguono certamente dai centri agordini o della Val di Zoldo situati su versanti con caratteristiche climatiche e geologiche del tutto differenti.
    Le aree di massimo interesse naturalistico sono situate nelle zone più elevate, negli altipiani, nelle buse di origine glaciale, ma non mancano stazioni di notevole importanza anche presso i fondovalle e gli accessi più frequentati. La grande varietà di ambienti e di paesaggi è la caratteristica più evidente, particolarmente apprezzabile nella stagione estiva, caratterizzata da prorompenti fioriture.

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    Le Alpi Feltrine

    Il settore più occidentale, quello delle Vette propriamente dette, è caratterizzato da cime erbose (la più celebre è la piramide del Monte Pavione, 2335 m) ed estesi detriti di falda, circhi glaciali e conche carsiche.
    Vi si accede dalla zona collinare (Croce d'Aune, Col dei Mich, Val di San Martin) attraverso ripidi sentieri che aggirano versanti scoscesi ma di grande interesse, con ambienti che ricordano gli aspri paesaggi prealpini. II sottogruppo di Cimonega ha invece un'impronta tipicamente dolomitica e culmina nei 2550 m del Sass de Mura. E' accessibile dalla profonda Valle di Canzoi, dalla quale si raggiungono anche gli altopiani di Erera-Brendol e i Piani Eterni nel settore più orientale delle Alpi Feltrine. Aspetti dolomitici e prealpini sono mirabilmente fusi nei sottogruppi del Pizzocco e di Agnelezze.

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    I Monti del Sole
    I Monti del Sole (su entrambi i versanti, del Mis e del Cordevole) rappresentano il cuore selvaggio del Parco; superbi e quasi inaccessibili, si propongono quale santuario dove le forze degli agenti naturali, sembrano respingere i tentativi dell'uomo. Già da quote molto basse, profonde forre, canalini detritici, cascatelle, ripide creste e spuntoni rocciosi, dirupi boscati, delineano un paesaggio di rara suggestione che ricorda quello delle zone più orientali dell'arco alpino.
    Il settore orientale
    Anche sul versante bellunese si apprezza l'alternanza fra imponenti pareti dolomitiche (si pensi al Burel della Schiara) e cime erbose (Monte Serva). Di eccezionale pregio anche la bella foresta nella conca di Cajada e gli spalti erboso-rupestri del gruppo della Talvéna. Caratteristici delle Dolomiti più interne sono infine i freschi versanti sulla destra idrografica del torrente Maé (Val Pramper e del Grisol) che si differenziano nettamente dagli aridi e dirupati pendii che si osservano risalendo la Valle del Piave tra Ponte nelle Alpi e Longarone.

    All'interno del perimetro del Parco sono inclusi due laghi artificiali, quello del Mis e quello de La Stua in Val Canzoi.

    Le Montagne

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    Le Dolomiti Bellunesi, distretto sud-orientale delle Alpi Dolomitiche, costituiscono una complessa catena montuosa che decorre dalle Vette di Feltre alla Schiara e che si affaccia su una delle più grandi vallate alpine (media valle del Piave). La complessità strutturale e la relativa varietà delle rocce si riflettono in una spiccata frammentazione orografica, nella grande varietà di paesaggi e in una notevole diversità biologica.

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    Vette di Feltre
    Comprese fra la Val Cismon ad ovest, la Val di Canzoi ad est, la conca di Feltre a sud e la Val Noana a nord, le Vette di Feltre hanno un aspetto quasi prealpino con suggestive cime erbose che sottendono ampi circhi glaciali.
    Da ovest verso est le cime sono:
    • la Vallazza (2167 m)
    • il Pavione (2335 m)
    • il Col di Luna (2295 m)
    • Cima Dodici (2265 m)
    • Pietena (2195 m)
    • Ramezza (2250 m)
    • Sasso Scarnia (2226 m

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    Gruppo del Cimonega
    Ha aspetto tipicamente dolomitico, con pareti scoscese ed ampi conoidi detritici alla base; il paesaggio è dominato dalla mole del Sass de Mura che con i suoi 2550 metri è la vetta più alta delle Alpi Feltrine.
    A questo gruppo appartiene una serie di cime che, poste alla testata della Val di Canzoi, collegano le Vette di Feltre alla zona di Erera-Brendol.
    Le principali elevazioni sono:
    • il Sass de Mura (2250 m)
    • il Piz de Mez (2440 m)
    • il Piz de Sagron (2485 m)
    • il Comedon (2325 m).

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    Gruppo di Brendol
    Su un altipiano carsico racchiuso da un anfiteatro roccioso, si apre la splendida conca pascoliva di Erera-Brendol.
    I Piani Eterni, ricoperti da una coltre di mughi nascondono insidiosi crepacci e inghiottitoi carsici, il più profondo dei quali scende per oltre 960 metri.
    Il gruppo comprende le cime erbose del Col del Demonio (1919 m), del Brendol (2160 m), del Palon (2069 m) e del Monte Mondo (2039 m). Più ad est, oltre i pascoli di Campotorondo, si ergono il Col Dorin (2110 m), il Prabello (2073 m) e l'Agnelezze (2140 m).

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    Il Monte Pizzocco
    Cuspide dolomitica dalle alte pareti, panoramico osservatorio posto al margine meridionale delle Dolomiti. La serie di elevazioni comprese tra le Valli del Caorame e del Mis culminano nel monte Pizzocco (2186 m) dal quale, verso nord, si dirama la cresta di Cimia.
    Le valli principali che scendono da questo gruppo sono:
    la Val Falcina, in direzione della Valle del Mis
    la Val Scura e la Valle di San Agapito, entrambe verso sud (San Gregorio e Cesiomaggiore)
    la Val Casole verso il lago della Stua.

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    Monti del Sole
    Questo gruppo di montagne rappresenta la zona più inaccessibile del Parco, vero "cuore selvaggio" delle Dolomiti Bellunesi.
    La cima più elevata è il Piz de Mezzodì o Pizzon (2240 m).
    Numerose gole e strette valli laterali solcano i versanti dei Monti del Sole rendendone difficile l'accesso ed elevata la valenza naturalistico-paesaggistica.

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    Il lago del Mis
    Il lago del Mis è un lago artificiale, che si snoda all'interno della valle omonima per circa 4 km. Nelle sue circostanze vi si possono fare gradevoli passeggiate o anche impegnative escursioni come la salita ai Monti del Sole.
    Caratteristiche - Il lago del Mis è situato a Sospirolo poco distante da Belluno, copre una superficie di 1,6 Kmq e raggiunge una profondità massima di 70 m.


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    Gruppo della Schiara
    Le montagne di Belluno comprendono il caratteristico rilievo erboso del Monte Serva (2133 m) e i dolomitici Pelf (2502 m) e Schiara (2565 m), circondati da una serie di contrafforti che delimitano suggestive valli laterali; la Schiara, estremamente varia dal punto di vista paesaggistico è la cima più elevata del Parco.


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    Monte Pramper
    Posto all'estremità nord-orientale del Parco, presenta caratteristiche prettamente dolomitiche, unite al fascino di alcune zone umide nel fondovalle.
    Compresa nel Parco è la parte superiore della Val Pramper, delimitata a ovest dal Castello del Moschesin (2499 m), a sud dalle Balanzole (2080 m) e ad est dagli Spiz di Mezzodì (2324 m) e dal Pramper (2409 m).

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    Monte Talvena

    Il gruppo della Talvena (2542 m) è delimitato a sud dalla Val Vescovà e dalla Val dei Ross, a est dalla Val Costa dei Nass, a ovest dalla Val Clusa e a nord dalla Val Pramperet-F.la Moschesin.
    Questa imponente montagna è particolarmente interessante per le sue particolarità geologiche, geomorfologiche e floristiche.



    Il Parco delle Dolomiti fa scuola negli Stati Uniti sulle energie green

    C’è anche un Parco nel grande patrimonio delle Dolomiti inserito sotto la campana di vetro dell’Unesco. Un sistema green, anche per il tipo di energia utilizzata dalle sue strutture, che incuriosisce gli Stati Uniti. È il Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi, competente su circa 32mila ettari di territorio.
    Ora, grazie al progetto “Parco fossil free” messo a punto in collaborazione con l’Apat del Veneto, l’area protetta è diventata una vetrina tecnologica a cielo aperto. Tutte le infrastrutture realizzate e ristrutturate dal Parco utilizzano fonti rinnovabili: solare fotovoltaico, microidroelettrico, biomasse, cogenerazione a biodiesel.
    Il progetto è già stato “esportato” al Parco nazionale del Pollino, in Basilicata, per iniziativa del ministero per lo Sviluppo economico, e le Dolomiti bellunesi sono state invitate a presentare le proprie esperienze di tutela e sviluppo anche al National park service statunitense.

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87 replies since 6/8/2010, 09:29   51408 views
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