TRIESTE e le altre

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  1. gheagabry
     
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    "Talvolta città diverse si succedono
    Sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome,
    nascono e muoiono senza essersi conosciute ,
    incomunicabili tra loro"
    Italo Calvino, Le città invisibili



    Vi è una città, la più meridionale dell'Europa del Nord "un luogo che coniuga la suggestione mediterranea con l'atmosfera di forme tipicamente nordiche".
    E' ............



    TRIESTE



    «Si si, xè Trieste»
    "Il primo impatto con la città giuliana è un dialogo che si consuma in una carrozza della seconda classe, lentamente, ci si avvicina a questa città ai confini nord-orientali di un’Italia che appare sempre molto più lontana, diversa, altra. Ancora prima di scendere dal treno ti accoglie un idioma sconosciuto che ti classifica come foresto, uno di fuori, «uno che parla in lingua» e non capisce nulla del dialetto locale. Ma se ti fermi ad ascoltare con attenzione capisci che quella parlata, apparentemente così astrusa, trasmette, invece, lo spirito stesso della città: termini veneti che si mischiano con parole slovene, mentre il tedesco e il croato, rielaborati e adattati, fanno la loro saltuaria comparsa in alcune frasi. Un’unione che a volte sembra trasformarsi in scontro, ma che dona una singolare armonia alla parlata: questa è Trieste, terra di confine in cui i popoli si incontrano e scontrano da sempre, ma riescono a dare vita a un’originale atmosfera di complicità che raramente è riscontrabile in altre città italiane...la prima statua che si incontra è quella di Sissi, imperatrice d’Austria: sembra quasi un messaggio destinato ai foresti abituati ai classici busti di Garibaldi o Mazzini. Qui la Storia ha lasciato un segno diverso da quello a cui siamo abituati: i fasti dell’Impero Asburgico, di cui Trieste era il porto, riecheggiano tra i palazzi e le vie del centro e può succedere di entrare in un bar e scoprire che al posto delle fotografie di calciatori ci siano quelle di Francesco Giuseppe o i simboli della glorioso passato austriaco.
    Trieste è una città impossibile da definire: il suo molteplice fascino di crocevia mitteleuropeo ha influenzato grandi scrittori come Italo Svevo, Umberto Saba e James Joyce.
    Trieste città di mare, ma diversa da ogni altra; città di confine, di palazzi, di storie di re e regine, di guerre e di etnie diverse che qui, quasi per magia, si uniscono in un delicato e armonioso connubio. Lo stesso che lo scrittore Italo Svevo aveva sublimato così efficacemente nel suo nome d’arte... Col mare che penetra nelle strade e nelle piazze.."



    Il nome di Trieste deriva da Tergeste. Così fu chiamata dai romani circa alla metà del I secolo la colonia romana che fu qui fondata...Il nome "Tergeste" consiste di due parole, che a loro volta derivano dal vecchio dialetto della regione: "Terg" significava mercato ed "este" significava città......la " città di mercato"


    Le origini della città di Trieste sono antichissime, tuttavia sono di modesta entità le tracce, giunte fino a noi, del suo più remoto passato....La leggenda vuole che anche il mitologico eroe greco Giasone, alla ricerca del “vello d’ora“, sbarcasse con gli Argonauti alle foci del Timavo. Un bosco sacro, alle pendici del monte Hermada, sarebbe inoltre dedicato agli eroi Antenore e Diomede.
    Nel 50 a.C. circa, il piccolo borgo di pescatori divenne colonia romana ed il nucleo abitativo venne cinto da forti mura e, successivamente, arricchito di importanti costruzioni quali il Foro ed il Teatro, i cui resti sono visibili ancora oggi sul colle di S.Giusto.
    A partire dall’inizio del III secolo d.C., l’urbe tergestina fu ripetutamente travolta dalle invasioni barbariche e soltanto a metà dell’800, quando il vescovo Giovanni acquista da Lotario, re dei Franchi, il potere sulla città cominciò una fase storica caratterizzata da maggior stabilità.
    Trieste riuscì ad affermarsi come libero comune appena nel 1300 ma, nel momento in cui venne nuovamente minacciata la tanto sospirata autonomia, la città, nel 1382, si pose spontaneamente sotto la protezione di Leopoldo III d’Austria, instaurando il lungo e fecondo rapporto con la dinastia asburgica.
    Il passaggio alla Trieste moderna avvenne nel 1719, quando Carlo VI decretò, con un editto, la libertà di navigazione, aprendo così le porte al commercio e assegnando alla città il privilegio di Porto Franco. Successivamente, sotto Maria Teresa e Giuseppe II, i benefici concessi alla città accrebbero i già prosperi traffici, attirando la contempo persone di varia provenienza e creando così quel cosmopolitismo che ancora oggi si ritrova nei luoghi di culto, nel dialetto e nei cognomi stessi dei triestini. Il vecchio borgo, all’interno del perimetro medioevale, non bastò più ad accogliere gli abitanti, il cui numero, in poco tempo, si era notevolmente accresciuto e, conseguentemente, la città si espanse guadagnando terreno sul fronte mare e collegando progressivamente i vari colli che si protendono a ventaglio dall’interno verso la costa.
    Nell’ ‘800, in un clima di prosperità generale, vennero fondati i grandi gruppi assicurativi, le compagnie di navigazione, si sviluppò la Borsa e crebbe la produzione artistica e culturale. La crescita della città, da un lato ne fece uno dei centri più importanti dell’allora impero asburgico, dall’altro ne rafforzò il sentimento di italianità, sia culturale che politica.
    Il ritorno all’Italia, così lungamente atteso, avvenne nel 1918, in un tripudio tricolore, ma tale annessione retrocesse Trieste al ruolo di “porto qualunque”, avendo perso, una volta svincolata dal contesto mitteleuropeo, la sua unicità.
    Il secondo conflitto mondiale comportò la perdita delle terre della penisola Istriana, passate alla neocostituita Jugoslavia. Solo nel 1954, con la firma del Memorandum di Londra, Trieste e il suo entroterra furono definitivamente restituiti all’Italia.



    ...luogo dell'anima....


    Da più di un secolo, scrittori di varie nazionalità hanno avuto Trieste come “luogo dell’anima”, da Rainer Maria Rilke che proprio durante il suo soggiorno al Castello di Duino, ospite della bisnonna principessa Marie von Thurn und Taxis, nel 1912, iniziò a comporre le famose Elegie Duinesi, a Richard Francis Burton che, in epoca asburgica, visse i suoi ultimi 18 anni di vita a Trieste. Jules Verne scrive La congiura di Trieste e descrive vie e giardini di questa città con estremo realismo.
    Jan Morris (Trieste o del nessun luogo), scrittrice gallese, lasciata Trieste subito dopo la ricongiunzione all'Italia, ha scelto di raccontare il genio della città evocando il fascino indefinibile che esercita sui viaggiatori, l'enigma che si cela dietro la sua compostezza, una città in nessun luogo, un luogo dove ciascuno è libero di vivere senza costrizioni, di scoprire la propria identità più autentica.
    Ma sicuramente lo scrittore che tutti ricollegano al capoluogo giuliano è James Joyce.



    ....soffia la Bora.....


    C' è il vento e c' è la bora. Il vento, dice Stendhal, è quando «si è costantemente occupati a tenere stretto il cappello». Bora è quando «si ha paura di rompersi un braccio». La bora desertifica strade, affonda barche, scoperchia case, rovescia treni, sradica alberi, sbriciola tegole e staccionate, trasforma i moli in banchisa e gli alberi in foreste di cristallo, prende di petto gli aerei e li fa atterrare da fermi come aquiloni. Quand' è gentile, si limita a rubare cappelli, a far volare ombrelli, alzare gonne e gonfiare pastrani. Così succede che quando torna, lei non si limita a rimettere le cose a posto, come ha fatto ieri, chiudendo i conti con uno schifoso autunno monsonico. Fa di più: racconta una leggenda.....Arriva improvvisa....scende dai ripidi pendii di montagna sul mare come se non avesse il tempo di fermarsi o come se volesse sorvolare il mare e andare in altro luogo. È capricciosa, soffia con buffi improvvisi a intervalli, c’è chi la ama, chi ne fa il simbolo di una città intera e chi, quando arriva, si rifugia nei caffè per non cadere tanta è la forza e la sua violenza.
    Nel 394 l' imperatore romano d' Oriente, Teodosio, battè l' usurpatore d' Occidente Flavio Eugenio e poté riunificare per pochi mesi l' impero, grazie al vento che venendo da dietro raddoppiò la portata dei suoi giavellotti. Vinse il buon Teodosio, e gioì, ma quella stessa bora lo uccise poche settimane dopo, con una polmonite presa sul campo di battaglia, nella valle del Vipacco, sulla storica soglia di Gorizia dove da millenni si scontrano i popoli e i venti. Che storie. Come quella di Fouché, il fosco poliziotto di Napoleone che a Trieste concluse la sua esistenza terrena e la cui bara fu rovesciata con il carro per una raffica di bora e neve. Fu così che, in una sera tempestosa, l' ex ministro della polizia napoleonica, l' uomo disprezzato da tutti, «scese tra le ire del cielo nei riposi eterni della tomba». Succede così, la bora è la bora. «La bora - scriveva Scipio Slataper - è il tuo respiro, fratello gigante». Essere triestini non è solo un' origine geografica. è una categoria dello spirito. I triestini sono una razza inquieta di esploratori di bettole e grandi spazi aperti. In entrambe le direzioni, la bora dà loro la spinta determinante, li obbliga a trovar rifugio al chiuso di una taverna piena di fumo, ma li invita anche al viaggio, ripulisce l' orizzonte e lo propone come meta. «Quando vidi il mare pulirsi - racconta Scipio Slataper - e sentii fremere intorno a me l' aria, giungendomi alla pelle un piacevole frizzo e alle nari un fresco e leggero odore di sassi e di pini, allora capii cos' era. Nasceva la bora». è un vento solido, quasi liquido. è alta poche decine di metri. Si forma nel vallone fra Trieste e Lubiana,si comprime come un proiettile nelle lande sotto il monte Nevoso, poi se ti becca son dolori. Devi aggrapparti all' erba secca per non volare come un vecchio barattolo. Talvolta comincia con un ululo cupo e la pioggia, poi il fischio diventa una nota continua, sempre più bassa. Allora la temperatura scende, impercettibile, ma regolare. I friulani ne hanno paura, la chiamano «Vent sclàf», vento slavo, facendo del vento una metafora demografica, simbolo della massa nomade e bellicosa che preme sulle pianure padane e dintorni. Il poeta triestino Umberto Saba amò la bora scura, quella che spacca tutto col cielo nero. Odiò invece quella solare, artica. «Conosco la bora, chiara e scura, la detesto quando scende fuori misura con cielo sereno. Amo l' altra che ha una buia violenza cattiva». E aggiunse: «Io devo recuperare la bora / oppure qui affondare / nel mio paese natale / nella mia triste Trieste / nella mia Trieste triste / che amare è impossibile / e odiare anche». E Tomizza, il poeta istriano di «Materada». La bora, scrisse, «porta ognuno a ritrovare una parte di se stesso rimasta immutata dai giorni dell' infanzia, e nel contempo uguaglia tutti, rendendoli anche solidali fra loro, fedelmente attaccati a questo unico e composto margine di terra che ogni tanto, con la bora appunto, dichiara la sua assolutezza e la sua irripetibilità».

    PAOLO RUMIZ



    ......una leggenda triestina......



    La leggenda narra che in un tempo assai remoto nella rocca di Duino abitava un cavaliere malvagio che disprezzava la sua sposa gentile e virtuosa.
    Questa lo amava a tal punto da perdonargli tutte le offese e sperava di poter intenerire il suo cuore con parole amorevoli. L'uomo, invece, infastidito dall'atteggiamento della moglie, aveva escogitato un piano per ucciderla. Una sera l'attirò su una roccia stretta sotto le muraglie del castello per spingerla in mare. Esterrefatta la castellana volse lo sguardo al cielo, domandandogli aiuto. Un grido appena soffocato le uscì dalla bocca e rimase interrotto: nel suo grande dolore era rimasta pietrificata.
    Da quel giorno verso l'ora degli spiriti la Dama Bianca si stacca dalla roccia e comincia a peregrinare. Per tre volte appare e per altrettante scompare nelle cupe sale del castello. Passa attraverso le porte chiuse, vaga di sala in sala finché non ritrova la culla in cui un tempo dormiva suo figlio.
    Lì la Dama Bianca rimane in un silenzio profondo fino all'alba, quando, abbandonata quella culla, ritorna alla sua roccia, dove il dolore la trasforma nuovamente in pietra.
    Altri, invece, raccontano di un candelabro romano che si trova in una sala del castello e che ogni notte arde ed attraversa i saloni, mentre le porte si aprono da sole.
    È la Dama Bianca che lo regge quando, invisibile, vaga disperata per il castello.



    "Ho attraversato tutta la città.
    Poi ho salita un'erta,popolosa in principio, in là deserta,chiusa da un muricciolo:
    un cantuccio in cui solo siedo; e mi pare che dove esso termina termini la città.
    Trieste ha una scontrosa grazia.
    Se piace,
    è come un ragazzaccio aspro e vorace,
    con gli occhi azzurri e mani troppo grandi per regalare un fiore;
    come un amore con gelosia.
    Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via scopro, se mena all'ingombrata spiaggia,
    o alla collina cui, sulla sassosa cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa.
    Intorno circola ad ogni cosa
    un'aria strana, un'aria tormentosa,l'aria natia.
    La mia città che in ogni parte è viva,
    ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
    pensosa e schiva."

    Umberto Saba





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  3. PrinceMichael88
     
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    io sono triestino :D ma che piacere leggere questa bella descrizione :D
     
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  4. tomiva57
     
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    Museo Ferroviario



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    Il Museo Ferroviario di Trieste Campo Marzio, la cui apertura al pubblico risale all'8 marzo 1984, occupa una parte del fabbricato dell'omonima antica stazione, costruita all'inizio del secolo scorso con funzioni di capolinea dei collegamento tra il porto di Trieste e l'entroterra austro-ungarico e bavarese, nonché della cosiddetta Ferrovia Istriana.

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    A seguito del declino della città dopo la seconda guerra mondiale, la stazione di Campo Marzio perse gradualmente ma significativamente importanza fino alla sua definitiva chiusura nel 1960.

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    Le sue sale, oggi perfettamente restaurate e riportate al loro originario splendore, ospitano una vasta collezione di foto, disegni, documenti e cimeli relativi alla storia dei trasporti ferroviari della provincia di Trieste, articolati in quattro sezioni: storia, tecnologia, movimento e trazione.

    Una parte dell'esposizione è riservata invece ai servizi su rotaia cittadini, cioè ai tram, oggi non più in uso.

    Di grande impatto anche sui visitatori più giovani sono i plastici, sui quali spicca la fedele riproduzione del nodo ferroviario di Opicina nel 1910.

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    Sui binari rimasti intatti si possono invece ammirare undici locomotive a vapore, una locomotiva elettrica ed una automotrice diesel oltre ad alcuni tram di Trieste, alcuni dei quali a cavalli ed altri elettrici.

    I saloni, nei quali aleggia ancora l'originaria atmosfera mitteleuropea, ospitano spesso mostre di carattere storico e sono stati scelte quali set per celebri film ambienti negli anni di massimo splendore della stazione di Campo Marzio a Trieste.

    Attualmente il Museo è gestito dalla Sezione Appassionati Trasporti del Dopolavoro Ferroviario in collaborazione con le Ferrovie dello Stato.

    da: trieste.com
    foto web


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    Museo postale e telegrafico della Mitteleuropa




    Museo Postale e Telegrafico della Mitteleuropa si trova a Trieste, in centro città, nel Borgo Teresiano, a poca distanza dalla Stazione ferroviaria di Trieste Centrale.


    Il palazzo

    Il museo si trova al pianoterra dello storico Palazzo delle Poste di Trieste, già sede dell'Imperial Regia Direzione delle Poste e Telegrafi dell'Impero Asburgico. L’edificio fu costruito negli anni 1890-1894 nel luogo precedentemente occupato dalla Dogana, ed è stato inaugurato il 28 ottobre 1894. La piazza su cui si affaccia il palazzo si chiamava infatti in origine Piazza della Dogana, per divenire poi Piazza delle Poste ed ora Piazza Vittorio Veneto.
    Il progetto si deve all'architetto austriaco Friedrich Setz, dipendente dell’Imperial Regio Ministero del Commercio di Vienna, che vanta la progettazione di ben ventisei edifici delle poste, tra i quali quelli di Trento, Graz, Lubiana e Cracovia. Il palazzo ha conservato le sue originali caratteristiche, ed oltre al pregio architettonico esterno presenta all’interno delle belle scalinate monumentali, un vasto salone con copertura in vetro, arcate, balaustre a colonnine, dipinti e statue.


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    Il contenuto


    Il museo si propone di ricordare e di valorizzare la storia del servizio postale nell’area della Mitteleuropa. È stato aperto al pubblico nel 1997 ed è gestito in forma congiunta dalle Poste Italiane e dal Comune di Trieste.
    Accanto all’entrata si trova un piccolo pezzo della nave-laboratorio Elettra di Guglielmo Marconi, della quale altri pezzi sono presenti a Trieste: la prua è esposta all’AREA Science Park ed un altro pezzo si trova al Museo del mare.
    Nella sala espositiva si trovano oggetti inerenti alla storia della posta, della filatelia, della cartografia postale, della posta militare, della telegrafia, della radiotelegrafia e dell’architettura postale, sino ad arrivare ai primi telefonini della nostra epoca. Di particolare interesse la ricostruzione di un ufficio postale della fine milleottocento e quella di un ufficio postale militare da campo.


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    museopostale




    da:wikipedia
    foto web
     
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  5. gheagabry
     
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    «È incredibile come le epoche convivano in un unico sito storico. Chi viene ad Aquileia percepisce la continuità con tutti i sensi. Nel mondo ci sono pochi altri posti del genere. Qui c’è silenzio, c’è storia, c’è poesia e c’è romanticismo»
    (Luigi Fozzati)



    AQUILEIA



    Aquileia si trova a circa 40 chilometri a sud dal capoluogo del Friuli Venezia Giulia, verso la Laguna di Grado, in una posizione strategica tra il porto e l'entroterra alla quale è in parte riconducibile la sua fama, consolidata già in età romana.
    Il territorio di Aquileia può essere raccontato seguendo il corso del Natissa, il fiume di risorgiva che circonda la città. In epoca romana, quando Aquileia era un porto di notevole importanza, nella Natissa confluivano le acque del Natisone e del Torre, rendendolo largo 48 metri.

    La città friulana di Aquileia vanta numerosi monumenti, il più famoso è la Basilica dei Patriarchi, risalente al 313 nel suo nucleo originario. Un capolavoro romanico che è stato profondamente rimaneggiato nei secoli, in particolare nel XI secolo su iniziativa del Patriarca Popone, per poi assumere forme gotiche in seguito ad un rovinoso terremoto della metà del XIV secolo e quindi durante il governo di Venezia quando venne arricchito con lo stile rinascimentale.
    Prima d'essere la sede del Patriarcato, Aquileia è stata un'importantissima città romana, una delle maggiori dell'Impero. Dell'antichissimo Foro e della sua Basilica sono riemerse durante gli scavi archeologici diverse colonne scanalate ed è stata recuperata anche una parte dei pavimenti. Sono emersi, inoltre, resti di abitazioni private, con i loro pavimenti, le evolute tubazioni romane, i pozzi e piccoli oratori, ed un Sepolcreto usato tra il I e il IV secolo d.C.

    «Ad Aquileia si scava da secoli, e da sempre le due realtà convivono, una sull’altra, una insieme all’altra, ed è questa la sua peculiarità: la città romana e quella venuta dopo, medievale, antica, attuale. Ha continuato a vivere su se stessa»
    (Luigi Fozzati)



    ..storia..



    Le posizione di Aquileja era felicissima, pratica-
    mente l'ombelico dell'Europa preistorica, in prossimità del mare ma riparata e vi confluivano e s'incro-
    ciavano le maggiori strade preistoriche e venete antiche. Quelle che poi furono le 'romane' via Postuma, l'Annia, la Gemina, la Julia Augusta, già esistevano da secoli. Fu fondata nel 181 a.C. da parte dei triumviri romani Lucio Manlio Acidino, Publio Scipione Nasica e Gaio Flaminio mandati dal Senato a sbarrare la strada ai barbari che minacciavano i confini orientali d'Italia. Fu dapprima una base militare per le campagne contro gli Istri, e contro vari popoli, fra cui i Carni e poi per l'espansione romana verso il Danubio. I primi coloni furono 3000 fanti seguiti dalle rispettive famiglie.
    La città, municipio, dopo l'89 a.C., si ingrandì in fasi successive, come attestano le diverse cinte murarie. Durante l'inverno tra il 59 ed il 58 a.C., come riportato nel De bello Gallico, Giulio Cesare pose gli accampamenti circum Aquileiam, intorno ad Aquileia e da Aquileia richiamò due legioni per affrontare gli Elvezi. Divenne centro politico-amministrativo (capitale della X Regione augustea, Venetia et Histria) e prospero emporio, avvantaggiata dal lungo sistema portuale e dalla raggiera di importanti strade che dipartivano sia verso il Nord, oltre le Alpi e fino al Baltico ("via dell'ambra"), sia in senso latitudinale, dalle Gallie all'Oriente. Fin da tarda età repubblicana e durante quasi tutta l'epoca imperiale Aquileia costituì uno dei grandi centri nevralgici dell'Impero Romano.

    L'Impero dal 165 al 189 venne afflitto da una pestilenza, probabilmente un'epidemia di vaiolo, conosciuta con il nome di Peste antonina o "peste di Galeno", che durò circa 15 anni. Secondo alcuni si trattò di uno di quegli eventi che cambiarono profondamente la storia romana, quasi da determinare una rottura epocale con il periodo precedente. La città di Aquileia vide a partire dal 168 ammassarsi nel suo territorio immense quantità di truppe e il timore che questo assembramento potesse trascinarsi dietro il pericoloso morbo si rilevò presto fondato. Nella primavera del 168 gli imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero decisero di recarsi nella zona danubiana per raggiungere Carnuntum; Aquileia fu la prima tappa. I due imperatori giunti ad Aquileia e preoccupati per l'epidemia, inviarono una lettera a Galeno richiedendolo quale medico personale per la campagna germanica. Finita l'estate dello stesso anno Marco Aurelio si ritira dalla campagna militare con le sue truppe per svernare ad Aquileia qui viene raggiunto da Galeno proprio con lo scoppio dei primi casi di peste in città. La sempre maggiore diffusione di casi di peste ad Aquileia induce gli imperatori a ritirarsi con la sola scorta personale a Roma.

    I sistemi difensivi, potenziati fra il II e il III secolo, le permisero di superare gli assedi dei Quadi e dei Marcomanni (170), e dell' imperatore Massimino il Trace, che in seguito all'elezione a suo discapito da parte del Senato romano degli imperatori Pupieno e Balbino che accettarono Gordiano come Cesare, scese in Italia dalla Pannonia con l'esercito (nel 238) ma la città di Aquileia dove contava di fare approvvigionamenti gli chiuse le porte, costringendolo all'assedio; Rutilio Crispino e Tullio Menofilo furono incaricati dal Senato di organizzare la difesa (bellum Aquileiensis), cosa che fecero egregiamente rinforzando le mura e accumulando cibo e acqua in quantità. Massimino mandò sotto le mura degli inviati per invitare la popolazione ad arrendersi; Crispino arringò il popolo (il discorso è riportato da Erodiano), invitandolo a confidare nel Senato romano e a guadagnarsi il titolo di liberatori d'Italia dalla tirannia di Massimino. Persi d'animo dal protrarsi dell'assedio, i soldati di Massimino lo uccisero. Menofilo e l'altro comandante della guarnigione, Tullio Menofilo, si recarono presso Cervignano dove l'esercito di Massimino era accampato lungo il fiume Ausa recando le effigi di Pupieno, Balbino e Gordiano coronate con alloro; dopo aver acclamato da soli gli imperatori, si voltarono e chiesero all'esercito di riconoscere per acclamazione gli imperatori scelti dal Senato e dal popolo di Roma. Nel 300 l'Imperatore Massimiano si stabilì nei palazzi imperiali di Mediolanum e Aquileia ed in queste città fece erigere costruzioni di enormi proporzioni tanto da farle apparire come una sorta di "seconda capitale". Nonostante la Crisi del III secolo vi si ripercuotesse dolorosamente, la città, sede di numerosi uffici e istituzioni autorevoli, risultava ancora, alla morte dell'Imperatore Teodosio I (395), la nona città dell'Impero e la quarta d'Italia, dopo Roma, Milano e Capua, celebre per le sue mura e per il porto.

    Aquileia esercitò una nuova funzione morale e culturale con l'avvento del Cristia-
    nesimo che, secondo la tradizione, fu predicato dall'apostolo san Marco. Nel 313 l'imperatore Costantino pose fine alle persecuzioni. Col vescovo Teodoro (319 circa) sorse un grande centro per il culto composto da tre aule splendidamente mosaicate, ciascuna delle quali conteneva oltre 2.000 fedeli. I vescovi di Aquileia crebbero di importanza nei secoli seguenti, dando un vigoroso contributo allo sviluppo del cristianesimo occidentale.
    Resistette alle ripetute incursioni di Alarico (401, 408) ma non ad Attila che in seguito all'incidentale crollo di un muro della fortificazione riuscì a penetrare nella città il 18 luglio del 452, devastandola e, si dice, spargendo il sale sulle rovine. Alla figura di Attila sono legate due leggende: una inerente al crollo delle mura di Aquileia ed un sogno premonitore grazie al quale Attila conquistò la città; l'altra sul tesoro di Aquileia, sepolto per evitare che fosse depredato. Sopravvissero l'autorità della sua chiesa e il mito di una città che era stata potente, benché ormai il suo dominio diretto si limitasse ad un territorio di ridotta estensione che aveva i suoi punti di forza nell'area urbana con lo scalo marittimo e nel borgo di Grado.
    Verso l'anno Mille vi fu la rinascita della città, che tornò ad avere grande prestigio con il patriarca Poppone (1019-42), che riportò la sede ad Aquileia. Il 1420 segnò la fine del potere temporale dei patriarchi ed Aquileia passò sotto il dominio della Serenissima. Aquileia tuttavia continuò a dare il suo nome al patriarcato omonimo. Nel 1509 fu conquistata dal Sacro Romano Impero durante la Guerra della Lega di Cambrai.
    Con il trattato di Noyon, poi confermato dalla pace di Worms (1521), Aquileia rimase sotto dominio imperiale, diventando uno dei 16 capitanati della Contea di Gorizia.Con il lodo arbitrale di Trento del 1535, Aquileia venne restituita al Patriarca.
    Nel 1543 Nicolò Della Torre, capitano di Gradisca, fece insediare un presidio austriaco ad Aquileia, ponendo fine al dominio temporale dei patriarchi sulla città, ripristinato solo da pochi anni. Nel 1647 la città di Gradisca d'Isonzo venne infeudata come contea a sé stante sotto i conti di Eggenberg, la quale ebbe giurisdizione anche su Aquileia; nel 1754, Gradisca fu riunificata a Gorizia creando la Contea di Gorizia e Gradisca. Dopo il Trattato di Campoformido e al successivo Trattato di Lunéville, rimase alla Monarchia asburgica. Con la pace di Pace di Presburgo passò al Regno d'Italia napoleonico. Col Congresso di Vienna nel 1815 rientrò in mano austriaca nel Regno d'Illiria. Dopo la prima guerra mondiale fu annessa al Regno d'Italia e venne congiunto alla Provincia di Gorizia.


    ..le leggende..



    "L'assedio". Aquileia stava opponendo una dura resistenza agli invasori. Attila stava quasi per ordinare ai suoi la ritirata, quando vide allontanarsi in volo delle cicogne con i loro piccoli. Compreso che ormai la città non aveva più le provviste necessarie per sfamare la popolazione, mantenne l'assedio ancora per qualche giorno e riuscì a conquistarla.
    "Il colle". Una volta incendiata la città, Attila, ormai lontano, diede ordine ai guerrieri di portare della terra nei loro elmi e di riversarla in un punto prestabilito. I soldati erano molto numerosi ed in breve tempo riuscirono a formare una collinetta con la terra riportata, dalla quale Attila poté osservare i fumi elevarsi dalla città incendiata. Si dice che il colle sia quello di Udine, su cui sorge il castello, ma anche altre località della regione rivendicano di avere la stessa origine.
    "Il pozzo d'oro". Alcuni abitanti di Aquileia erano riusciti a fuggire prima dell'incendio, trovando rifugio nell'isola di Grado. Prima della fuga però avevano fatto scavare ai loro schiavi un pozzo in cui avevano nascosto tutti i tesori e gli oggetti d'oro. Per mantenere il segreto, gli schiavi furono annegati; il pozzo d'oro non fu mai ritrovato. Questo mito era ritenuto talmente verosimile che, fino alla Prima guerra mondiale, i contratti di compravendita dei terreni includevano la clausola "Ti vendo il campo, ma non il pozzo d'oro", assicurando l'eventuale ritrovamento al precedente proprietario.
     
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