FRIULI VENEZIA GIULIA ... 1^ Parte

..TARVISIO..UDINE..TRIESTE..

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  1. tomiva57
     
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    Itinerari Turistici



    Il ricordo di Napoleone e del trattato "di Campoformido" corrono sotto al grande colonnato della cinquecentesca villa veneta dei conti Manin, atto finale dell'ultimo Doge e della Serenissima Repubblica. L'atmosfera di imponente architettura continua a Palmanova, la città fortezza stellata a nove punte, fondata sempre dalla Serenissima a difesa dei suoi confini contro i Turchi, battuti a Lepanto. Un filo della storia, quello dell'invasione Turca, che si trasforma in rievocazione a Chiasellis di Mortegliano.

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    Chiasiellis

    E' il più piccolo centro abitato del Comune di Mortegliano e anche qui il luogo che raccoglie il maggior numero di memorie storiche ed artistiche è la chiesa dedicata a S. Maria Annunziata. Ogni anno il giorno di S. Valentino, 14 febbraio, vi si celebrano solenni riti e viene distribuito il pane benedetto. Nel suo insieme l'edificio mostra un valido motivo di interesse con pale d'altare, paliotti, vetrate, mosaici e sacri ornamenti. Aziende agrituristiche e un complesso sportivo dove si possono praticare numerose attività all'aria aperta,fra le quali il golf, hanno dato nuova vitalità a questo antico possedimento delle monache di Santa Maria di Aquileia.

    Cenni storici

    Chiasiellis, invece, entrò a far parte nell'XI secolo del patrimonio delle monache di Santa Maria di Aquileia ad esse donata dal Patriarca Popone. Le monache governavano il paese con privilegi di extraterritorialità ed il Pievano era loro direttamente sottomesso anche dal punto di vista religioso. La casa del gastaldo delle monache è ancora visibile. Assieme a Chiasottis, dal primo Ottocento Lavariano e Chiasiellis furono unite al Comune di Mortegliano.



    MORTEGLIANO (Lavariano, Chiasiellis) -




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    Mortegliano, a sud di Udine, è nota per la straordinaria altezza del suo campanile, di ben 113,20 metri, primato indiscusso in Italia. A 41 metri sul livello del mare, a quindici chilometri dal capoluogo provinciale e a pari distanza da Codroipo e Palmanova, Mortegliano (3500 ab.), con le sue frazioni Lavariano ( 1000 ab.) e Chiasiellis (500 ab.), presenta il tipico paesaggio della media pianura friulana al di sopra della linea delle risorgive, con campi coltivati e ampie zone verdi lungo il tratto finale del torrente Cormor. Vi si arriva dalla strada statale che da Udine porta a Muzzana e Lignano Sabbiadoro (SS.353) come pure dalla scorrevole "Napoleonica", la Stradalta.
    Non molto distante dalla autostrada Tarvisio-Udine-Trieste-Venezia e dall'aeroporto regionale, già importante centro agricolo, conosciuto per la coltura del mais ("Blave di Mortean") è un vivace centro commerciale, artigianale e di servizi, riferimento tradizionale per l'economia di una vasta fascia di paesi circostanti. Ogni mercoledì vi si tiene un antico e rinomato mercato settimanale, mentre a settembre la sagra paesana richiama migliaia di persone da tutto il Friuli.
    E' un paese dalla storia antica di origini romane, ricca di vicende, come del resto Lavariano, già sede di una fara longobarda e Chiasiellis, possesso avito del Monastero benedettino di Aquileia. Tre Pievi ove esistevano vivaci vicinie sono state unite, ai primi dell'Ottocento, in un solo Comune che oggi ha una superficie di 30 chilometri quadrati e offre valide strutture d'accoglienza per il visitatore e per l'ospite nonché ottime ragioni per una sosta.

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    Municipio di Mortegliano
    Il capoluogo dalle caratteristiche vie larghe (4 borghi) nella centrale piazza Verdi accosta nell'edificio municipale diversi stili architettonici del secolo XX in relazione al contesto abitativo storico. La sobria facciata della seicentesca Chiesa parrocchiale della SS. Trinità preannuncia, al suo interno, una valida testimonianza dell'arte religiosa friulana dei secoli XVII e XVIII.

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    Chiesa della S.S.Trinità
    Sul soffitto dell'aula Gio Pietro Venier; pittore udinese di gusti barocchi, presenta la Trinità, al centro, S. Nicolò e S. Giacomo, mentre nel catino dell'abside, si esercita a riprodurre la visione del Paradiso secondo la profezia dell'Apocalisse con, agli angoli, i quattro padri della Chiesa occidentale. La pala dell'altar maggiore raffigura la Trinità mentre incorona la Vergine al di sopra di un paesaggio agreste ed è opera di Pietro Fariano del secolo XVIII. Pierre Bainville, francese di Palmanova, è l'autore della pala del transito di S. Giuseppe sull'omonimo altare settecentesco. Capolavoro in assoluto della Chiesa è l'organo Dacci con positivo tergale da poco restaurato, uno strumento unico e raro per la tecnica e la perfezione del suono.


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    Il Duomo arcipretale, costruito tra il XIX e il XX secolo in gotico moderno su pianta ottagonale e progettato da Andrea Scala, conserva in una cappella laterale la pala d'altare lignea di Giovanni Martini (1527). Capolavoro assoluto dell'arte rinascimentale in Friuli. L'altare, da poco restaurato, porta su tre piani ed una cimasa oltre 50 statue dorate e dipinte. Vi sono illustrati episodi della vita spirituale della Vergine Maria: il planctus, la dormitio, la gloria nel cielo. Tra eleganti cornici e colonne, l'una diversa dall'altra, l'autore, celebre pittore e intagliatore udinese, che fu alla scuola di Alvise Vivarini a Venezia ed erede dei "tolmezzini", pone Santi cari alla devozione popolare, mentre, dall'alto, domina il protettore della Pieve, S. Paolo. La pala, come il battistero cinquecentesco in pietra con lo stemma del Comune, ornava l'antica Chiesa di S. Paolo sulla cortina ove ora, appunto, sorge il Duomo. Tra le opere antiche nel luogo sacro si possono ammirare i quattro confessionali settecenteschi da poco restaurati. Interessanti le tematiche delle vetrate dell'aula che rappresentano il Credo, mentre le trifore del coro alcune tematiche religiose della prima metà del secolo XX.

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    scalata del campanile



    Accanto il Duomo svetta il campanile completato nel 1959 e restaurato nel 1990. L'elegante manufatto progettato dall'archrtetto Zanini è il simbolo di Mortegliano e della sua gente. In mezzo al verde della campagna l'antica chiesetta di S. Nicolò, appena restaurata, sito archeologico e meta di pellegrinaggi. Il centro del paese, con i suoi quattro borghi, di Sopra, Schiavi, Sottopozzo e Suvia, è stato completamente rinnovato e presenta numerose attività professionali e commerciali. Vi sono inoltre impianti sportivi e ricreativi, mentre le attività cutturali hanno sede presso la Villa di Varmo, ove è collocata la biblioteca comunale, edificio del XVII secolo.


    Cenni storici



    Le origini romane di Mortegliano, praedium mortilianum, sono confermate da numerosi reperti archeologici sia nelle campagne sia nell'attuale centro. All'alba dell'anno mille, dopo secoli di invasioni e di distruzioni la chiesa di San Paolo è pieve matrice di una vasta zona all'intorno. Il paese protetto da una Cortina fortificata che verrà più volte abbattuta e ricostruita. Nel XII secolo si hanno le prime notizie storiche sul paese, con le cronache dei conflitti feudali e le guerre per difendere dai paesi vicini il vasto territorio del Paludo. Donata dal Patriarca al Conte di Gorizia, Mortegliano fu infeudata dagli Strassoldo e fu il centro della rivalità fra Udinesi e Cividalesi per il predominio in Friuli, nell'ultimo periodo del patriarcato. In particolare si ricordano episodi della guerra del Babanich e le due distruzioni della cortina. Alleata tradizionale di Udine, tanto da conquistarne la cittadinanza, Mortegliano ne seguì le vicende con il passaggio al dominio della Serenissima; conservando, però, anche un legame con l'Arciducato d’Austria. Nel 1499 durante la IV invasione turchesca in Friuli Mortegliano fu assediata per due giorni e resistette vittoriosamente agli assalitori. Durante il conflitto fra Arciducali e Veneziani fu nota per aver dato i natali ed essere la parrocchia di Pre Bortolo, il traditore di Marano, di cui ampiamente tratta tutta la diaristica veneziana del Cinquecento. Sotto la giurisdizione degli Strassoldo e la dominazione della Serenissima sviluppò una solida economia agricola e una attiva amministrazione dei beni vicinali. Ebbe una intensa vita religiosa con eminenti figure plebanali. Al termine del XVIII secolo come tutto il Friuli subì grandi cambiamenti introdotti dai francesi prima e dagli austriaci poi. Nel 1866 con unanime plebiscito degli ammessi a votare entra a far parte del regno d'Italia. Nel 1917 fu al centro di un’importante battaglia, il 30 ottobre, fra le truppe degli Imperi centrali e gli italiani in ritirata da Caporetto. Nell'ultimo secolo ha conosciuto una positiva evoluzione economica e sociale trasformandosi da paese prettamente agricolo in un vivace centro di servizi.


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    Il PALIO DEI TURCHI è nato per ricordare la resistenza di Mortegliano all'invasione delle orde dei Turchi, avvenuta nel 1499. La popolazione di Mortegliano, asserragliata nella CORTINA del Paese, nei giorni 3 e 4 ottobre del 1499 resistette all'assedio, tanto da costringere gli invasori alla ritirata. Ventinove furono i morti tra la popolazione, un numero elevato in rapporto agli abitanti dell'epoca. Per ricordare i cinquecento anni da quell'avvenimento, la Pro Loco, l'Amministrazione Comunale e la Parrocchia di Mortegliano, hanno deciso di dar vita ad una serie di manifestazioni tra le quali appunto il PALIO: una sfida tra i BORGHI storici del Paese e le frazioni di Lavariano e Chiasiellis, con giochi popolari, culminanti con la CORSA DEI CAVALLI, nelle vicinanze della Cortina dove si svolsero gli eventi del 1499. Al BORGO vincitore al termine delle gare viene attribuito il PALIO.

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    (foto Viola - Mortegliano) dopo il 6 maggio 1976








    POZZUOLO DEL FRIULI




    L'Associazione Pro Loco Pozzuolo con sede in Pozzuolo del Friuli, P.zza Julia, nasce nel 1986 per iniziativa di alcuni cittadini di Pozzuolo inseriti in attività sociali e di volontariato.
    L'Associazione si prefigge di valorizzare turisticamente e culturalmente l'abitato di Pozzuolo e le Frazioni. Annualmente organizza manifestazioni culturali, sportive e ricreative che richiamano a Pozzuolo persone provenienti anche da altre località, come la "Sagra dello struzzo" (ultima di luglio).
    Pozzuolo è un centro di particolare interesse storico e ambientale.
    Recenti scoperte archeologiche in Paese e nella Frazione di Sammardenchia fanno risalire la presenza umana nella zona sin dal neolitico.
    I ritrovamenti di Sammardenchia hanno permesso agli studiosi di affermare che il villaggio neolitico scoperto è
    uno dei più grandi insediamenti preistorici mai portati alla luce. Di particolare interesse paesaggistico a Pozzuolo è la zona detta "Castellieri", una vasta area un tempo fortificata.


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    [Il monumento eretto a Pozzuolo del Friuli in memoria della battaglia del 30 ottobre 1917]



    Novantaotto anni fa, il 30 ottobre 1917, a Pozzuolo del Friuli l’azione della 2^ brigata di cavalleria (reggimenti Genova cavalleria e Lancieri di Novara) impediva alla 14a armata germanica di occupare i ponti sul Tagliamento prima che la 3^ armata italiana potesse ripiegare a est del fiume. Il bollettino di guerra del 1° novembre 1917 cita l’episodio con questa frase: “La 1^ e la 2^ divisione di cavalleria, specie i reggimenti Genova e Novara, eroicamente sacrificatisi, e gli aviatori, prodigatisi instancabilmente, meritano sopra tutti l’ammirazione e la gratitudine della Patria”. Tra gli aviatori c’era Francesco Baracca, ufficiale di Piemonte Reale cavalleria.

    Anche altri reggimenti dell’arma si sono distinti in episodi analoghi in diverse fasi della battaglia di Caporetto, fino dal suo inizio il 24 ottobre. Il fatto d’arme di Pozzuolo del Friuli ha assunto tuttavia un valore simbolico tanto che nella sua ricorrenza annuale si celebra la festa dell’arma di cavalleria. Agli Stendardi di Genova e Novara venne concessa la medaglia d’argento al valor militare; di più non si poteva – o non si è voluto – fare nelle tragiche circostanze di Caporetto.

    La stessa vicenda delle due versioni del bollettino di guerra del 28 ottobre dà la misura dello smarrimento morale di cui erano preda gli stessi vertici militari. Nella prima versione si leggeva: “La mancata resistenza di reparti della 2^ armata, vilmente ritiratisi senza combattere e ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra alla fronte Giulia”; in quella emendata fu eliminato l’inciso umiliante che i soldati italiani non meritavano: “La violenza dell’attacco e la deficiente resistenza di taluni reparti della 2^ armata, hanno permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra alla fronte Giulia”.

    Vittorio Emanuele III aveva invece più fiducia di quanta ne dimostrassero i suoi generali e rispose allo scetticismo degli alleati con la decisione di attestare la difesa sul Piave. Compiendo un vero gesto da re, al convegno di Peschiera dell’8 novembre 1917 Vittorio Emanuele esordì con la frase: “Lorsignori discuteranno in seguito se ce ne sarà bisogno. Ma sulla situazione militare desidero esporre e discutere io solo”. Forse il segnale dato dalla cavalleria nei giorni di Caporetto aveva contribuito ad alimentare la sua fiducia.

    La brigata di cavalleria Pozzuolo del Friuli oggi ricorda gli eroi del 30 ottobre di 90 anni fa presso il monumento nella piazza della cittadina da cui prende il nome. La cerimonia sarà forzatamente contenuta nelle dimensioni, a differenza di altre in passato in cui tutti gli Stendardi dei reparti dell’arma confluivano a Pozzuolo. Il raduno della Associazione nazionale arma di cavalleria (Anac) svolto a Pordenone dal 26 al 28 ottobre e onorato dalla presenza di numerosi Stendardi e reparti in armi ha indotto a semplificare, soprattutto per rispetto dei reparti già oberati da tanti impegni operativi.

    Se ne può trarre lo spunto per una riflessione sulla attualità ed efficacia di raduni e cerimonie. Il riferimento imprescindibile dovrebbe essere la memoria storica, senza la quale le associazioni d’arma diventano confraternite di nostalgici e i reparti in armi strumenti di un professionismo senz’anima. La memoria storica è comune, dunque è giusto unire le celebrazioni, visto anche che altrettanto comuni sono le ristrettezze di bilancio. Ciò che conta, però, è sapere di che cosa si sta parlando, conoscere gli eventi che si celebrano tenendo viva la memoria nello spirito di quella che per Benedetto Croce è “la storia come pensiero e come azione”.

    Gagliardetti, fanfare, discorsi e sfilate rischiano sempre più di diventare una coreografia vuota di significato se la memoria storica si diluisce nel tempo conservando solo qualche nome o qualche frase ripetuti per forza di abitudine. Le mille lance di Pozzuolo del Friuli (una delle frasi fatte sulla bocca di tutti) meritano che ci si ricordi di loro, del loro sacrificio, del perché e del come sono riuscite ad assolvere il compito lasciando sul campo oltre il 50 per cento degli effettivi. L’ufficialità dei discorsi, il protocollo delle cerimonie (talora confuso) e il frastuono dei ranci sociali possono anche essere un modo per ricordare, ma forse non basta.



    Archeologia


    Pozzuolo


    Il territorio di Pozzuolo è sede di due "Castellieri", siti posti su alture utilizzate come cinte difensive, delle quali sono ancor oggi ben visibili ai margini dell'altura le opere di fortificazione. Le sponde del fossato perimetrale furono più volte consolidate con un complesso sistema di pali e ciottoloni onde evitare il franare dei pavimenti delle abitazioni a causa delle infiltrazioni di acqua piovana. In queste zone, l'Università di Trieste, affiancata dalla Soprintendenza Archeologica del F.V.G. e dall'Ecòle Francaise di Roma, hanno rivelato l'esistenza di un insediamento che a partire dall'età del bronzo, è perdurato anche se non linearmente, fino all'alto Medio Evo. Il villaggio principale era sito sull'altura detta "dei Cjastiei", in questa zona sono stati ritrovati oggetti di bronzo, matrici di arenaria per la fusione di piccoli attrezzi anche ornamentali e una cospicua quantità di corna di cervo, di capra e di bue grezze o in corso di lavorazione. Nelle vicinanze delle case si trovavano officine di lavorazione dei metalli, botteghe per la lavorazione delle ossa e delle corna, utilizzate a completamento degli oggetti in metallo. All'interno delle abitazioni altro lavoro era costituito dalla filatura e la tessitura, testimoniate dal ritrovamento di utensili quali ciambellette e fusaiole di terracotta. Nelle vicinanze del castelliere il primo rilevamento del 1978, ha portato alla luce una tomba a cremazione del VII-VI secolo a. C. nella località detta "Braida Roggia", in prossimità della riva destra del torrente Cormor. Tale località non faceva propriamente parte di un villaggio, ma il rilievo di buche per l'impianto di pali probabilmente a sostegno di tettoie, fa pensare che la zona fosse un settore destinato a servizi, o attività di preparazione del cibo rimasto in uso dal XIII al X secolo a.C., allorquando un'inondazione del torrente Cormor particolarmente disastrosa causò l'abbandono di Braida Roggia. Fu riutilizzata solo tra il VII e VI secolo a.C. allo scopo di necropoli.

    Verso sud-ovest si trova il "terrazzo di Cùppari" una zona di particolare interesse archeologico posto al di fuori dell'area fortificata. Vi si sono trovati resti di dieci fosse scavate tra il VII e il VI sec. a.C. Verso l'estremità meridionale dell'area si sono rinvenute anche alcune sepolture altomedievali di inumati, due delle quali poste sul riempimento delle fosse protostoriche. Nelle fosse si sono rilevati ciottoli e frammenti di vasi e altri oggetti d'argilla poco cotta, i cosiddetti "concotti", ma anche resti ossei di bovino parzialmente bruciati e piccoli ornamenti di bronzo (fibule e pendagli). Per alcune di queste fosse si ipotizza fossero una specie di cantine di abitazioni, in epoca successiva furono probabilmente utilizzate quali forni di cottura per oggetti di terracotta o per la cottura o l'essiccazione della carne bovina.

    Meglio dell'insediamento documentano circa gli usi e i contatti degli abitanti, le necropoli sparse attorno al villaggio. Sono stati identificati ben quattro cimiteri di incinerati, posti nelle aree pianeggianti ai piedi dei Cjastiei. Nella necropoli di sud-ovest sono state individuate circa 200 sepolture dell'età del ferro (fine del VIII sec. a.C. e inizio del V sec. a.C.). Le ossa combuste venivano poste in piccole buche scavate nel terreno probabilmente all'interno di contenitori di materiale deperibile o in vasi di terracotta detti "dolio". I corredi erano costituiti da oggetti di bronzo di uso personale. Per gli uomini soprattutto spilloni a testa conica o fibule, per le donne fibule, braccialetti e pendagli, ma talvolta anche oggetti di filatura (fusaiole fittili), nelle tombe maschili talvolta si sono ritrovate anche corredi d'armi o utensili in ferro. L'uso di armi in ferro nelle tombe accomuna il Friuli alle regioni d'Austria e Slovenia e costituisce uno degli elementi più caratteristici della cultura friulana dell'età del ferro, periodo in cui il villaggio godette di una certa prosperità grazie alla sua favorevole posizione attraversata da vie di traffico che congiungevano territori alpini nord-orientali col mondo veneto e con l'Italia padana e peninsulare. La possibilità dell'approvvigionamento di materie prime consentirono un artigianato abbastanza fiorente e una cultura dagli aspetti variegati che durò fino all'epoca romana. Nel tessuto sociale si distingue una classe di guerrieri che probabilmente erano anche artigiani, ma la mancanza di oggetti di prestigio, quali vasi in bronzo decorato a sbalzo fa intuire la scarsa articolazione sociale dell'insediamento.

    In epoca romana (tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C.) avvennero interventi particolarmente devastanti che hanno altresì comportato il riutilizzo del sito mediante una completa e radicale ristrutturazione dello stesso. Fu eretta probabilmente una fattoria con la costruzione di magazzini per derrate alimentari, mentre la parte interna venne adibita alla coltivazione.

    La zona di Pozzuolo, nel periodo romano assume particolare interesse grazie al passaggio costituito dalla strada che da Marano Lagunare saliva attraverso Castions di Strada. Questa strada, certo molto antica, assume importanza soprattutto nella fase di trapasso dalla cultura veneta a quella romana e quindi nel periodo bizantino-longobardo, ovvero nel periodo in cui i centri costieri erano maggiormente fiorenti. Successivamente alla fondazione di Aquileia (181 a.C.) ebbe inizio una complessa serie di fenomeni che attraverso più generazioni comportarono il fondersi di elementi culturali e materiali appartenenti a popolazioni diverse influenzandosi reciprocamente. Lo testimonia la presenza a Pozzuolo di manufatti e materiali come la ceramica grigia, la vernice nera di buona qualità di provenienza dalla cultura materiale veneta. Numerose e di notevole importanza sono anche le monete rinvenute a Pozzuolo del Friuli. Nel mondo antico la loro circolazione poteva durare anche secoli dopo la coniazione in quanto il loro valore era intrinseco e costituito più propriamente dallo stesso valore del materiale con cui venivano realizzate. Tra i vari tipi di monete rinvenute vi è il gruppo degli assi repubblicani, coniati nel II e anche nel I sec. a.C. in circolazione fino al primo periodo imperiale. Di grande importanza la presenza di dracme venete. Fortemente suggestiva l'ipotesi suggerita dal ritrovamento di un tesoretto di dodici dracme che a Pozzuolo si trovassero dei mercenari verso la fine del II sec. a.C. La presenza romana è testimoniata anche dalle parti metalliche conservatesi dell'abbigliamento. In nessun altro luogo del territorio friulano infatti è stata ritrovata una così consistente quantità di fibule così indicativa dei fenomeni legati alla romanizzazione.

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    Sammardenchia

    Di particolare importanza nel territorio di Pozzuolo del Friuli, è la seconda metà del V millennio A.C. con l'avvento del Neolitico, allorquando l'area friulana, area cruciale posta sui tragitti dei nuovi colonizzatori del nord Europa, è ambiente di particolari mutamenti economici e culturali che mutano il modo di vivere dei precedenti colonizzatori formati da gruppi di raccoglitori - cacciatori mesolitici (8000 - 4500 a. C.). Si diffonde allora l'agricoltura e l'allevamento, da parte di comunità stanziali giunte dall'area danubiana e dai Balcani occidentali, con la conoscenza dell'uso della ceramica e di strumenti in pietra levigata. Tra i nuovi villaggi così formatisi in Friuli il più importante per estensione e ricchezza di reperti è senz'altro quello di Sammardenchia, ove sono stati raccolti oltre 300.000 manufatti in selce scheggiata, 250 asce e accette in pietra levigata e frammenti ceramici, su un'area di oltre 600 ettari, che con centro a Sammardenchia occupa un'ampia parte del territorio circostante formando uno dei più vasti insediamenti neolitici fino a oggi noti in Europa.

    Le ricerche partirono nel 1985 con l'apporto dell'Università di Trento e del Museo Friulano di Storia Naturale di Udine, con il sostegno finanziario dell'Amministrazione Comunale di Pozzuolo del Friuli. Tra i primi reperti un centinaio di pozzetti-silos per l'immagazinamento di derrate agricole nella zona detta "i Cueis", dove venivano immagazzinati i semi, successivamente trasformati in farina mediante macine in pietra. L'attività agricola del periodo comprendeva il disbosco mediante colpi d'ascia e probabilmente incendi provocati, realizzando poi campi di farro e orzo. L'allevamento, altra principale fonte di cibo, era realizzato all'interno di zone cintate fitte siepi spinose di "Pomoideae".

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    L'alimentazione generale delle popolazioni comunque veniva probabilmente integrata anche con l'uso della caccia. La ricomposizione dei reperti ceramici comprova la ricchezza del gusto decorativo delle popolazioni e lo scambio di merci con altre popolazioni anche molto distanti. Si sono ritrovati infatti vasi di cultura padana di Fiorano e sintassi decorative con affinità centrodanubiane (Ungheria), si sono inoltre rilevati rapporti con la cultura dalmata e materiali provenienti dai Carpazi, dal Veneto orientale, dal Piemonte.
     
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19 replies since 26/7/2010, 11:19   9255 views
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