LOMBARDIA parte 3°

PO..IL MINCIO..L’OGLIO..IL SECCHIA..MANTOVA E IL LAGO DI GARDA..

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  1. tomiva57
     
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    STASERA IN DIARIO DI BORDO SI PARLA DI ASTRONOMIA E MI SONO RICORDATA....CHE....

    OSSERVATORIO ASTRONOMICO

    GORGO DI SAN BENEDETTO PO


    L`Osservatorio Astronomico Pubblico é dotato di un telescopio principale Cassegrain f/10-f/5 da 40 cm e un rifrattore in parallelo di 18 cm apocromatico f/9. Il telescopio è controllato dal computer per consentire il puntamento automatico degli oggetti celesti. Gli strumenti sono sistemati in una cupola d`acciaio motorizzata da 5 metri di diametro, permettendo la visione alternata ad un discreto gruppo di osservatori.

    Con 50 posti a sedere, è arredata con modelli e strumenti didattici e con una mostra permanente di fotografie di oggetti celesti


    Sfera celeste in plexiglas


    Al centro c’è la Terra e il piano dell'orizzonte alla latitudine di 45° nord. Sono indicate le 88 costellazioni e le principali stelle (fluorescenti, quindi ben visibili con buio in sala).

    È ben evidenziata l’eclittica, l’equatore celeste e i relativi incroci (equinozi).

    Sono collocati anche il Sole, la Luna e i pianeti, e le loro posizioni vengono continuamente aggiornate per rispondere alle continue variazioni delle rispet-tive coordinate celesti, variabili col passare dei giorni.

    Questo modello è molto efficace:

    1) per la comprensione delle coordinate celesti (AR e D);

    2) per vedere il percorso del Sole nei differenti giorni dell'anno;

    3) per verificare l'ora del sorgere e del tramontare dei diversi oggetti celesti;

    4) per vedere i punti degli equinozi e dei solstizi;

    5) per verificare i punti dell’orizzonte dove sorge e tramonta il Sole nei diversi periodi

    dell’anno;

    6) per vedere i confini delle costellazioni così come definiti dall’Unione Astronomica

    Internazi0onale nel 1930.

    Visita all’osservatorio

    L’osservatorio viene aperto:

    · ai soci: il venerdì sera, dalle ore 21;

    · al pubblico: il sabato sera, ore 21-24;

    · alle scuole e ai gruppi organizzati: di giorno (dal lunedì al sabato) e di sera

    (dalla domenica al giovedì), previo appuntamento (tel. 0376 615156).

    Durante il mese di agosto l’osservatorio rimane chiuso.

    Visita serale

    Nella visita serale, si osservano al telescopio gli oggetti celesti “disponibili” quella sera: possono essere Luna, pianeti, nebulose, ammassi globulari, galassie. Di solito l’osservazione telescopica viene preceduta da una breve “presentazione” teorica degli oggetti da osservare.

    Parallelamente all’osservazione al telescopio viene fatta anche l’osservazione a occhio nudo della volta celeste per il riconoscimento delle stelle e delle costellazioni.


    Visita di giorno

    Nella visita di giorno – mattino e pomeriggio – si fa una vera e propria lezione su argomenti concordati con gli insegnanti. Le lezioni vengono fatte con l’uso di diversi modelli – sole e pianeti in scala, geoplanetario motorizzato, sfera armillare, terra-sole-luna e fasi lunari, sfera celeste in plexiglas diametro 70 centimetri – e con diversi strumenti multimediali che consentono una facile comprensione degli argomenti trattati.


    Edited by gheagabry1 - 5/3/2024, 17:07
     
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  2. tomiva57
     
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    Borgofranco su Po
    in Provincia di Mantova




    stemma-borgofranco-sul-po
    foto:images.tuttitalia.it

    Lo sviluppo di Borgofranco risale al XII e al XIII secolo, periodo in cui si affidava ai "borghi franchi", cioè a borghi liberi da tasse, il compito di controllare le strade e l’attraversamento del fiume. Nel 1100 in paese fu costruita una rocca fortilizia, distrutta nel 1207 durante una delle tante lotte fra Mantova e Verona e Ferrara. Borgofranco entrò poi a far parte del territorio dell’Isola di Revere; nel 1232 lo si trova citato in un inventario del vescovo di Reggio sotto la cui amministrazione cadeva appunto anche l’isola. Il comune aveva allora due consoli, due compari, due "treguani" (magistrati), un massaro. Nel 1479 Borgofranco prestò fedeltà a Federico Gonzaga. La parrocchia di Bonizzo comprendeva già a partire dal 1500 vari territori al di qua e al di là del Po (Borgofranco, Bonizzo, una parte di Carbonara e di Magnacavallo, Zello, Ronchi (ora nel comune di Revere), e Correggioli, ora frazione di Ostiglia.
    A Bonizzo si conserva l’ultimo dei mulini del Po: oggi vi sono raccolti attrezzi e testimonianze della cultura contadina locale e i reperti archeologici romani e medievali rinvenuti in loco.
    Con Borgofranco Po si entra nella cosiddetta "valle del tartufo bianco mantovano", un'area compresa tra Quistello e Felonica dove il terreno sabbioso e le radici degli alberi hanno creato l'humus adatto alla crescita del prezioso fungo ipogeo.


    Il destra Po sinistra Secchia è la zona del Mantovano con una grande vocazione per il tartufo, il prezioso e gustosissimo fungo ipogeo a forma di tubero nodoso.

    E in questa zona, così delimitata, si snoda la “Strada del Tartufo Mantovano”, e dell’Associazione, costituitasi alla fine del 2003, fanno parte ristoranti, attività commerciali, enti, comuni e associazioni che intendono promuovere, attraverso il tartufo, lo sviluppo di tutta questa area con un’offerta turistica integrata.

    La qualità dei prodotti tipici , le specifiche tradizioni gastronomiche e servizi di elevati standard soni i cardini su cui si è basata e si basa l’Associazione “Strada del Tartufo Mantovano”.

    Non solo tartufo, quindi, ma anche un’offerta di percorsi storico culturali, le Pievi Matildiche, e naturalistici, gli argini del Grande Fiume e le isole trasformate in oasi naturalistiche.

    Tartufo bianco dell'Oltrepo MantovanoRiconoscimento importante a livello nazionale è l’inserimento di Borgofranco sul Po, sede dell’Associazione, nel ristretto gruppo delle Città del Tartufo.


    La Storia



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    Il tartufo é un frutto della terra conosciuto dai tempi più antichi.
    Si hanno testimonianze della sua presenza nella dieta del popolo
    dei sumeri ed al tempo del patriarca Giacobbe intorno al
    1700-1600 a.C. (Apprezzato dal faraone Cheope, sembra cotti
    nel grasso d'oca, ma, appunto, anche, secondo azzardate
    interpretazioni bibliche, dal pastore Giacobbe nelle pause delle
    sue battaglie spirituali).
    I greci lo chiamavano Hydnon (da cui deriva il termine
    "idnologia" la scienza che si occupa dei tartufi) oppure Idra;
    i latini lo denominavano Tuber, dal verbo tumere (gonfiare);
    gli arabi Ramech Alchamech Tufus oppure Tomer e Kemas; gli
    spagnoli Turma de tierra o Cadilla de tierra; i francesi Truffe
    (derivante dal significato di frode collegato alla rappresentazione
    teatrale di Molière "Tartufe" del 1664; gli inglesi Truffle; infine i
    tedeschi Hirstbrunst,oppure Truffel.
    Gli antichi Sumeri utilizzavano il tartufo mischiandolo ad altri
    vegetali quali orzo, ceci, lenticchie e senape, gli antichi ateniesi
    si dice che lo adorassero al punto di conferire la cittadinanza ai
    figli di Cherippo per aver inventato una nuova ricetta. Plinio il
    Vecchio nel libro della Hystoria Naturale ci narra la storia di un
    pretore, tale Lartio Licinio, che si trovò nella situazione di
    emettere una sentenza che gli creava un enorme imbarazzo.
    Un ricco cittadino chiedeva un risarcimento da una persona che
    gli aveva donato un tartufo contenente una moneta che gli si
    rivelò solo quando addentato il tartufo gli si spezzarono i denti
    incisivi. L'opinione del Plinio nella sua veste di naturalista era che
    il tartufo "sta fra quelle cose che nascono ma non si possono
    seminare". Plutarco azzardò l'affermazione alquanto originale
    che il "Tubero" nasceva dall'azione combinata dell'acqua, del
    calore e dei fulmini. Simili teorie erano condivise o contestate
    da (tra i più noti) Plinio, Marziale, Giovenale e Galeno ed
    avevano come unico risultato lunghe diatribe. Non essendo
    quindi ancora stabilita l'origine dei tartufi, la scienza unita alle
    credenze popolari coprirono il tartufo di mistero al punto che non
    si sapeva definire se fosse una pianta o un animale. Oppure
    venne definito come una escrescenza degenerativa del terreno,
    più in là addirittura cibo del diavolo o delle streghe. Si credeva
    che contenesse veleni che portavano alla morte. Ma il rischio di
    avvelenamento non era collegato all'organismo tartufo in sé, ma
    al luogo in cui cresceva, quindi la possibile vicinanza nel terreno
    di nidi di serpi, tane di animali velenosi, ferri arrugginiti e cadaveri.
    Infatti il Guainerio nel suo manuale "Pratica Medicinae" tratta tra
    gli altri argomenti gli avvelenamenti da funghi e da tartufi e dopo
    aver descritto in modo dettagliato le sofferenze riportate
    dall'intossicazione, consiglia di far cuocere i funghi e quindi anche
    i tartufi con delle pere che secondo questa teoria avrebbero assorbito
    i veleni. In realtà la validità di questa pratica non è da attribuire
    all'azione delle pere ma al semplice fatto che i funghi contengono
    sostanze tossiche tremolabili, ad una temperatura pari a 60-70 gradi
    centigradi ed in questo modo la cottura permette di eliminarle
    completamente. Altre ricette ci vengono fornite da Dioscoride che nella
    sua opera "De materia medica" (I° sec.) suggeriva per l'avvelenamento da funghi l'aceto, pozioni salate e sterco di pollo.
    Il primo trattato unicamente dedicato al tartufo risale al 1564 scritto da Alfonso Ciccarelli medico umbro ("Opusculum de tuberibus").
    Un unico episodio nella storia del tartufo collegata ad una morte probabilmente per congestione è riportata da un cronista del 1368. Si parla del duca di Clarence, figlio di Edoardo III Plantageneto giunto in visita ad Alba che dopo un abbondante banchetto comprendente tra le altre cose il suddetto tartufo "...Grande copia di trifole havendo manducato per modo di pane, volse con vini diversi donare refrigerio alle interiora, hautene un forte calore que lo addusse a trapasso".
    Diversamente procedeva invece la storia gastronomica del tartufo perché non c'era teoria scientifica o no che ne limitasse l'uso in cucina. E' noto che papa Gregorio IV ne fece largo uso ufficialmente per compensare le energie spese nel fronteggiare i Saraceni. Sant'Ambrogio ringraziava il vescovo di Como San Felice per la bontà dei tartufi ricevuti.
    Molto ricco è il florilegio di aneddoti che coinvolgono grandi perso¬naggi, da Caterina de' Medici, cui si attribuisce il merito di aver portato il tartufo alla corte di Francia, alla perfida Lucrezia Borgia, che pare se ne servisse per accrescere il suo fascino luciferino.
    Nell'Europa del passato il tartufo era anche chiamato "aglio del ricco" per il suo leggero sentore agliaceo e naturalmente perché se ne trovavano in abbondanza. In Piemonte se ne fa un consumo rilevante intorno al XVII secolo ad imitazione della Francia. C'é anche da aggiungere che i tartufi in questione non erano quelli neri per lo più utilizzati per farcire carni e pesci, ma i tartufi bianchi di cui si faceva un impiego massiccio.
    Nel '700 il tartufo Piemontese era considerato presso tutte le Corti una delle cose più pregiate. La ricerca del tartufo costituiva un divertimento di palazzo per cui gli ospiti ed ambasciatori stranieri a Torino erano invitati ad assistervi. Da qui forse nasce l'usanza dell'utilizzo di un animale elegante come il cane per la cerca. Tra la fine del XVII ed inizio del XVIII sec. i sovrani Italiani Vittorio Amedeo II e Carlo Emanuele III si prodigavano in vere e proprie battute di raccolta. Un episodio interessante riguarda una spedizione tartufiera avvenuta nel 1751 organizzata per l'appunto da Carlo Emanuele III nella Casa Reale d'Inghilterra nel tentativo di tartufizzare la cucina britannica. In quel frangente furono trovati tartufi nel suolo Inglese ma di valore estremamente inferiore a quelli Piemontesi.





    Riserva-naturale-Isola-Boscone-8
    foto:sipom.eu


    Riserva Naturale Regionale Isola Boscone -



    La Riserva Naturale Regionale Isola Boscone occupa tutta l’ansa che il fiume Po forma nel tratto prospiciente l’abitato di Carbonara. L'Isola ha un fronte di circa 2500 m ed una larghezza massima di 550 m con le due estremità, a monte e a valle, larghe mediamente 60-70 m, assumendo quindi la forma di una mezzaluna. Occupa una superficie di 132 ettari e ospita uno tra i più grandi boschi naturali della Pianura Padana (67 ettari). L’eccezionale importanza di un bosco di pianura è legata alla sua rarità in un contesto fortemente antropizzato come quello padano (in Lombardia questi boschi rappresentano appena il 3,5 % della superficie regionale). Il bosco dell’Isola Boscone è espressione dell’evoluzione geomorfologica dell’area legata alla presenza del Po. Interessa i territori comunali di Borgofranco sul Po e Carbonara Po. in provincia di Mantova. E' una Zona umida di interesse internazionale. Nel 2003 la Regione Lombardia ha affidato la gestione della riserva al Comune di Carbonara di Po (MN).


    Riserva-naturale-Isola-Boscone-7
    foto:sipom.eu

    Descrizione

    L'Isola boscone si trova nell'alveo del Po; un "pennello" la collega artificialmente alla riva, deviando la corrente del fiume e originando tre lanche d'acqua ferma, incluse nella riserva.
    L’Isola Boscone compare sulle mappe già alla fine del XIX secolo. Negli anni la sua posizione e i suoi confini sono più volte mutati a causa dell’azione di deposito ed erosione del fiume.
    Fu a partire dalla fine degli anni ’70 che la forma della riserva andò progressivamente stabilizzandosi aumentando di dimensione e saldandosi progressivamente alla sponda destra del fiume, tanto da perdere definitivamente il carattere di insularità.

    Flora

    L’Isola Boscone ospita ambienti forestali di diversa tipologia. I più caratteristici sono certamente i Saliceti a Salice bianco (Salix alba L.) di origine naturale, presenti a diversi stadi di sviluppo nelle porzioni perimetrali dell’area.
    Il saliceto rappresenta la caratteristica formazione pioniera in grado di colonizzare le alluvioni sabbiose depositate dal fiume. Si tratta tuttavia di cenosi transitorie e scarsamente longeve, destinate ad essere sostituite nel giro di pochi decenni da formazioni climaciche rappresentate nella bassa pianura dai querco-ulmeti (boschi a prevalenza di Farnia e Olmo campestre).
    Verso la fine degli anni ’90 i saliceti più antichi dell’Isola Boscone iniziarono a mostrare preoccupanti sintomi di degrado. Negli ultimi anni si è posto rimedio con una serie di interventi di impianto operati dall’ente gestore, attraverso la sostituzione di oltre 20 ettari di saliceto senescente con formazioni del querco-ulmeto.

    Fauna

    La componente faunistica più rilevante dell’Isola Boscone è rappresentata dagli uccelli, con un’ottantina di specie segnalate. Il fitto bosco di salici che copre l'isola ospita una grande garzaia con centinaia di nidi di garzette e nitticore.
    Tra i nidificanti degni di nota, vi sono il Picchio rosso maggiore, il Picchio verde, la Sterpazzola, la Cinciarella e la Cinciallegra, oltre ad alcuni rapaci diurni quali lo Sparviere, il Lodolaio e il Nibbio bruno. Inoltre sono moltissime le specie che frequentano l'area nel periodo invernale, tra cui numerosi anatidi.


    Edited by gheagabry1 - 5/3/2024, 17:08
     
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  3. tomiva57
     
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    PARCHI DELL'OLTREPÒ MANTOVANO

    Parco Locale di Interesse Sovracomunale (PLIS) ‘Parco golenale del Gruccione; ; la Riserva Naturale Regionale ‘Paludi di Ostiglia’, la Riserva Naturale Regionale ‘Isola Boschina’, la Riserva Naturale Regionale ‘Isola Boscone’, il PLIS ‘San Lorenzo’, il PLIS ‘Golene foce Secchia’, e il PLIS ‘San Colombano’ hanno aderito in modo congiunto a un progetto sperimentale inerente l’adesione alla CARTA EUROPEA DEL TURISMO SOSTENIBILE NELLE AREE PROTETTE.



    Cos’è la Carta Europea del Turismo Sostenibile nelle Aree Protette?


    Il turismo oggi non viene più accusato di rappresentare una minaccia per la natura, anzi viene considerato un fondamentale fattore di sviluppo socio-economico e un possibile strumento per rivitalizzare le aree protette.
    In considerazione delle sue potenzialità e al tempo stesso dei rischi insiti in forme di turismo indiscriminato, è iniziato, a livello internazionale, un lavoro di riflessione diretto a fissare delle linee guida alle politiche di turismo sostenibile.
    Questa elaborazione ha avuto un’importante conclusione, con l’adozione di alcuni principi generali, nella Conferenza Mondiale del turismo sostenibile, svoltasi nel 1995 a Lanzarote nelle Isole Canarie, su iniziativa dell’Organizzazione Mondiale del Turismo.

    In attuazione di tali principi, su iniziativa di EUROPARC, è stata elaborata La Carta Europea del Turismo Sostenibile nelle Aree Protette.
    La Carta, che è sostenuta dalla Commissione Europea DG XI, su un programma Life-Ambiente, rappresenta il riferimento obbligatorio della politica turistica delle aree protette dell’Unione Europea.
    L’adesione alla Carta, come dimostrano le esperienze nazionali e internazionali (ad oggi sono una ventina i parchi che hanno ottenuto la Carta Europea e molti attendono la valutazione della commissione di Europarc), permette di armonizzare e valorizzare le forme di economia presenti sul territorio e di garantire un’adeguata qualità della vita della popolazione locale.

    La Carta Europea del Turismo Sostenibile nelle Aree Protette è prima di tutto uno strumento di metodo per la definizione delle linee di indirizzo e del giusto procedimento per incoraggiare un turismo che sia sostenibile per le aree protette e, al contempo, attraente per il mercato. Obiettivo ambizioso della Carta è quello di far dialogare insieme, per condividere un progetto, i gestori di un Parco, gli enti territoriali coinvolti nel suo territorio, le aziende turistiche locali e i tour operator. Si tratta quindi di una vera e propria sfida...



    Il progetto del Turismo Sostenibile nel Sistema Parchi dell'Oltrepò mantovano

    Il progetto realizzato nel corso del biennio 2005-2007 dal Sistema Parchi dell'Oltrepò Mantovano ha quale obiettivo generale la preparazione del Rapporto di Candidatura per l'ottenimento della Carta, che dovrà passare il vaglio dell’organismo internazionale deputato a rilasciarla, EUROPARC FEDERATION.

    Il Rapporto di Candidatura presuppone la definizione di una Strategia quinquennale di sviluppo turistico sostenibile e del relativo Piano d’Azione (le azioni concrete da portare avanti nel quinquennio, insieme agli attori locali). In caso di ottenimento della Carta, Strategia e Piano d’Azione dovranno essere attuati nel corso dei cinque anni seguenti, fino al 2013.
    La realizzazione del progetto presuppone la creazione di una RETE tra gli enti gestori delle aree protette e le associazioni che partecipano alla loro gestione, gli enti territoriali, pubblici e non, le aziende turistiche locali, le aziende produttive locali, la popolazione ed ogni altro attore rilevante del territorio, al fine di attuare un PROGETTO CONDIVISO PER IL TURISMO


    Edited by gheagabry1 - 5/3/2024, 17:09
     
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    Strada dei Vini e dei Sapori Mantovani



    Denominazione Strada:
    Strada dei Vini e dei Sapori Mantovani
    Ente Promotore:
    Associazione Strada dei Vini e dei Sapori Mantovani
    Enti Partecipanti:
    Comuni di Mantova, Cavriana, Goito, Ponti sul Mincio, Volta Mantovana, Roncoferraro, San Benedetto Po, Bagnolo San Vito; Pro Loco di Volta Mantovana, Pro Loco Centro Parco Rivalta-Rodigo, Provincia di Mantova, Cciaa di Mantova, Mantova Expo, Federazione Coltivatori Diretti, Consorzio Provinciale per la tutela dei Vini Mantovani.

    Descrizione:
    Il territorio è incuneato fra due province di diverse regioni con una ricca tradizione enologica. E i vini non possono che riflettere queste condizioni di passaggio: da un lato con un Lambrusco Mantovano Doc e tre Igt che annunciano l’Emilia, dall’altro con vini che segnano la transizione fra Brescia e Verona: la Doc Garda Colli Mantovani e la Igt Alto Mincio. La storia e la tradizione hanno lasciato impronte profonde in questo territorio. La leggendaria indovina Manto, il poeta latino Virgilio, i mecenate Gonzaga, con la ricca corte di artisti rinascimentali e un santo fra loro, danno lustro al capoluogo, Mantova.
    Il piccolo centro di Governolo, alla confluenza del Mincio nel Po, è ricordato, invece per il miracolo di un altro santo, papa Leone Magno, che osò sfidare il “flagello di Dio”, Attila, fermando le sue orde. All’alba del basso Medioevo, inoltre, il paesaggio e la storia dell’Oltrepò mantovano vennero trasformati dalla fondazione di un monastero benedettino donato al papa da Matilde di Canossa e affidato all’Abbazia di Cluny. Bonifiche, canalizzazioni, opere agrarie avrebbero cambiato volto alle paludi e agli acquitrini che accompagnavano l’antico corso del Po e di un suo braccio ora scomparso, il Lirone, e fatto diventare questa terra un crocevia dell’Europa. Resta, a testimone, l’attraente imponenza dell’abbazia di Polirone, a S.Benedetto Po, rifatta, nel XVI secolo, da Giulio Romano.


    Prodotti tutelati:
    Vini: Lambrusco Mantovano Doc, Garda Colli Mantovani Doc, Alto Mincio Igt, Provincia di Mantova Igt.
    Altri prodotti: Grana Padano Dop, Parmigiano Reggiano Dop, Prosciutto Crudo Mantovano (o Colline Mantovane (Prodotto tradizionale), Pancetta (Prodotto tradizionale), Salame mantovano (Prodotto tradizionale), Salamelle di Mantova (Prodotto tradizionale), Tartufo Mantovano, Cipolla di Sermide, Trigoli (o Castagne d'acqua), Melone di Casteldidone (Prodotto tradizionale), Melone di Viadana (Prodotto tradizionale), Zucca (Prodotto tradizionale), Tortelli di zucca (Prodotto tradizionale), Capunsei, Bigoli con le Sardelle, Stracotto d'asino, Torta Sbrisolona (Prodotto tradizionale), Savor (Prodotto tradizionale), Mostarda di Mantova (Prodotto tradizionale).

    Comuni coinvolti:
    MN - Bagnolo San Vito
    MN - Cavriana
    MN - Goito
    MN - Mantova
    MN - Ponti Sul Mincio
    MN - Roncoferraro
    MN - San Benedetto Po
    MN - Volta Mantovana






    CASTIGLIONE DELLE STIVIERE




    La città di San Luigi e della Croce Rossa

    Nel verde delle colline moreniche mantovane, a due passi dal Lago di Garda, Castiglione ti accoglie con il fascino della storia millenaria e con il richiamo del suo territorio, ricco di percorsi in bicicletta e di panorami inaspettati, tutti da scoprire. Gli itinerari a piedi o in bicicletta nella natura intorno alla città, che spaziano dal verde delle colline all'azzurro del lago, dai boschi ai piccoli borghi, offrono per tutte le esigenze relax e divertimento, per assaporare scorci e panorami di assoluta bellezza.


    Altitudine e paesaggio
    Nel Territorio comunale si possono distinguere due zone una che si estende a Nord in dolce declivo dalla frazione di Esenta di Lonato (BS) fino al confine di Solferino; una pianeggiante che abbraccia la parte a Sud del territorio di Castiglione fra i confini di Medole, Carpenedolo e Montichiari. Il punto più elevato è la Zona Belvedere (202 m.) e quello più depresso si trova in grazione S. Vigilio (62 m.).
    La conformazione del territorio determina un paesaggio di imprevedibile bellezza e varietà, con il susseguirsi e alternarsi di collinette e ondulazioni, di prati aridi e boschi, di pianori coltivati e specchi d'acqua. Un vero paradiso per gli amanti delle passeggiate, della bicicletta e dell'equitazione.

    CLIMA - Castiglione delle Stiviere, grazie alla vicinanza del Lago di Garda, gode di un clima mite in tutte le stagioni, offrendo anche d'inverso lo spettacolo di panorami cristallini.

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    Fu fatto costruire fra il XV e il XVI secolo da Luigi Alessandro Gonzaga, Signore di Castiglione, per ospitarvi gli Eremiti di Santa Maria.

    Il complesso conventuale presenta un nucleo centrale costituito da un elegante edificio quattrocentesco con porticato a due ordini sovrapposti e colonne di marmo. I documenti dell'epoca sostengono che sul luogo già esistesse un edificio: di fatto è presente ancora oggi un pozzo apparentemente di origini romane o, forse, etrusche.
    Nel 1533 agli Eremiti subentrò l'ordine dei Minori Osservanti detti gli Zoccolanti. Presso di loro si rifugiò nel 1584 Luigi Gonzaga per sfuggire ai familiari che volevano impedirgli di dedicarsi alla vita religiosa.
    Ancora oggi chi giunge nella borgata di Santa Maria, può vedere, in contrasto con l'esterno spoglio e grigio, uno splendido loggiato rinascimentale con colonne in marmo a due ordini sovrapposti.

    Basilica di San Luigi a Castiglione delle Stiviere

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    foto:sdamy.com

    La Basilica, posta sul lato meridionale della piazza san Luigi (il cuore della città e vivace punto di incontro per cittadini e turisti ), una delle più significative tra le numerose erette dai Gesuiti nell'Italia Settentrionale, venne eretta nel 1608 - 1625 e ultimata nel corso del'700 secondo i dettami architettonici tipici dell'architettura gesuita: aula unica, cappelle laterali ( 3 per ciascun lato ), severa sobrietà degli esterni cui si contrappone la ricca esuberanza decorativa degli interni.
    Entrati in Basilica, insieme a importanti opere d'arte, fra cui segnaliamo una " Pietà " del Guercino e un "S.Luigi in preghiera davanti alla Madonna"di A.Balestra, è possibile ammirare dietro l'imponente e scenografica mole dell'altare maggiore l'urna d'argento contenente il Teschio di San Luigi Gonzaga, preziosa reliquia donata alla città di Castiglione nel 1610 dalla Compagnia dei Gesuiti di Roma.
    A lato della Basilica è l'elegante prospetto del Collegio dei Gesuiti, imponente costruzione seicentesca, oggi sede del Comune.

    Alla sommità di una scenografica scalinata si erge la possente mole del Duomo, eretto nel 1762 su una preesistente chiesa del '500, in severe forme neoclassiche.
    Al suo interno spicca per bellezza la Pala di S.Rosalia ( 1 Altare a destra ) del pittore siciliano P.Novelli detto il Monrealese ( 1603 - 1647).

    Il Duomo riveste una grande importanza sia da un punto di vista religioso che storico in quanto al suo interno si trovano significative testimonianze della vita di S.Luigi e dell'Istituzione della Croce Rossa.

    Museo Internazionale della Croce Rossa



    In seguito alla grande prova di solidarietà e pietà umana che vide molti cittadini castiglionesi e non, impegnati a soccorrere un gran numero di soldati rimasti feriti nella battaglia di Solferino del 1859, il ricco ginevrino Henry Dunant ( I° Premio Nobel per la pace ), da questa immane prova di generosità e altruismo, trasse l'idea della fondazione di un organismo internazionale per la cura e il soccorso dei malati. Nasceva così la Croce Rossa. Il Museo, ospitato nell'elegante cornice del Palazzo Triulzi - Longhi, conserva una serie di cimeli, reperti, documenti e foto attestanti le fasi salienti dell'Istituzione della C.R.I e del suo operato a tutt'oggi.



    Museo Storico Aloisiano Ospitato


    Castiglione è oggi conosciuta in tutto il mondo come la città di San Luigi Gonzaga, che qui ebbe i natali nel 1568, e della Croce Rossa Internazionale la cui idea della nascita avvenne proprio qui a Castiglione nel 1859, per volontà di un giovane uomo di affari ginevrino Henry Dunant, in seguito ai dolorosi episodi della cruenta battaglia combattutasi a Solferino nel 1859 ( II Guerra di Indipendenza ).La città, comunque, conserva altresì diversi monumenti, palazzi, chiese,segni tangibili di un glorioso passato; passeggiando per il centro, osservando i suoi portici, i suoi eleganti monumenti e antichi palazzi, non sfuggono la sua storia ed il suo ruolo, le tracce della nobile influenza dei Gonzaga, che qui regnarono per ben tre secoli. Ospitato nei piani nobili del Collegio delle Vergini del Gesù, austero edificio fondato nel 1608 dalle tre nipoti di S.Luigi Gonzaga - Cinzia , Olimpia e Gridonia - comprende una serie di egregie opere d'arte ( suppellettile sacra, ritratti del santo e dei Gonzaga, quadri e paramenti sacri ) importanti per la comprensione della storia della vita di S.Luigi e del nobile casato dei Gonzaga del ramo di Castiglione. Da segnalare alcune tele di celebri autori quali F.Barocci, Bassano, G.Carpioni e un orologio in bronzo dorato del 1567.


    LE FONTANE

    La fontana è una struttura architettonica che non può essere disgiunta dalla configurazione stessa di Castiglione e che ha sempre costituito parte integrante della vita che un tempo vi si svolgeva.
    Nel corso dei secoli le fontane sono cresciute numerose (grazie anche alla abbondanza delle sorgenti di acqua dolce delle colline moreniche), da quella più antica della Palazzina, di epoca medieovale, posta nel nucleo antico di quello che fu il primo abitato in epoca comunale, a quelle più moderne del secolo scorso che impreziosiscono nobili cortili privati di sontuosi palazzi del centro storico odierno.
    Purtroppo col passare degli anni, soprattutto nel secolo scorso, alcune fontane sono state abbattute per motivi di viabilità, come quella esagonale seicentesca della Buona Morte in fondo a via Chiassi o il rinascimentale Fontanino dei Muti datato 1421 di via Zanardelli di fronte al Collegio delle Vergini. Diverse le tipologie di costruzione: a prospetto monumentale, come quella che si erge imponente nel centro della Piazza san Luigi Gonzaga caratterizzata da una linea architettonica vivace e fantasiosa; dalla rara forma ettagonale come la seicentesca fontana celebrativa eretta in memoria di Madonna Domenica Calubini posta al centro di Piazza Ugo Dallò; dalla semplice architettura della fonte a vasca come quella di via Sinigaglia ai piedi del Convento dei Cappuccini e quella delle Prigioni in via Pretorio, peraltro ingentilite da eleganti e sobri mascheroni; alle innumerevoli fontane – lavatoio (sono quelle che si contano in maggior numero), semplici e monumentali, costruite nel corso del XVIII° e XIX° secolo.

    Fra quest’ultime spicca per singolarità la settecentesca fontana delle Tre Torri di via Sinigaglia, l’unica coperta fin dalle origini da un porticato ricavato al piano terra di una antica stazione di posta denominata “l’Albergo delle Tre Torri”.


    La "Città di San Luigi e della Croce Rossa",


    Erede di un glorioso passato che le permise di dare i natali al protettore mondiale della gioventù, San Luigi Gonzaga, mantiene ancor oggi il fascino della storia, che grazie alla casata gonzaghesca ha foggiato una città ricca di testimonianze rinascimentali. Al Santo è dedicata la maestosa Basilica, mentre il Museo Aloisiano ne custodisce le preziose memorie. Ricca altresì di celeberrime memorie risorgimentali, Castiglione delle Stiviere, in seguito alla famosa battaglia di Solferino e San Martino del 1859, ha segnato la storia ispirando la nascita della Croce Rossa Internazionale.
    Durante questa sanguinosa battaglia infatti, gli straordinari esempi di umanità e generosità indistintamente offerti a tutti i feriti del conflitto dalla gente comune di Castiglione delle Stiviere animata da Don Lorenzo Barzizza infonderanno ad Henry Dunant lo spirito per dar vita all'organizzazione mondiale per il soccorso di tutti i popoli. Il Museo Internazionale della Croce Rossa, nel cuore della città, fa vivere ancor oggi queste pagine di intensa storia segnate da profonda passione e forte sentimento. Castiglione delle Stiviere, una città che, dal glorioso passato, merita oggi una visita da tutti gli amanti della storia, della natura, del cicloturismo e del buon vivere, anche per gustare la tipica cucina del territorio che offre, tra le varie golosità, una raffinata specialità di pasticceria, l' "Anello di San Luigi", dolce tipico castiglionese.



    Il Castello
    Dell'antico Castello, posto sulla sommità di un modesto colle nella parte alta del centro storico, rimane oggi visibile solamente la possente torre d'ingresso di epoca medioevale che ancora si erge imponente a difesa del borgo cittadino,e alcuni resti delle mura perimetrali con un torrione. Il Castello venne costruito al tempo delle invasioni barbariche a difesa della città , su un preesistente castrum romano; raggiunse il suo massimo splendore nel corso del XVI secolo quando Ferrante Gonzaga, padre di San Luigi, lo scelse come dimora della sua corte. Nel 1568, in uno degli appartamenti residenziali del castello, la contessa Marta Tana di Santena diede alla luce il piccolo Luigi, il futuro San Luigi Gonzaga. ...altri in: monumenti Bagnolo San Vito Cavriana Curtatone Goito Home di sezione Mantova Ponti sul Mincio Rodigo Roncoferraro San Benedetto Po Volta Mantovana





    La Storia del Lambrusco Mantovano



    La coltivazione della "vitis vinifera sativa" nei territori agricoli della provincia di Mantova è documentata già negli scritti del poeta latino Virgilio che proclamava il vino della collina mantovana secondo solo al celebrato Falerno. Per quanto riguarda le coltivazioni nelle zone di pianura, invece ci sono documenti che parlano di viticoltura già nell'anno 765 d.C..

    Il vero sviluppo della coltivazione però, è iniziato intorno al 1100, mentre la nascita della viticoltura "moderna" può essere datata all'inizio di questo secolo, dopo l'invasione della fillossera. Fino agli anni '50 investimenti a vite esistevano, in superfici più o meno consistenti, in quasi tutte le aziende agricole della pianura mantovana. In quest'area, i produttori avevano costituito ben sette società cooperative per la gestione di altrettante cantine sociali la cui costituzione data in un ventaglio di anni che vanno dal 1902 al 1958.
    Queste due aree rappresentano attualmente la zona di produzione del Lambrusco Mantovano che si è affiancato solo recentemente, come vino a Denominazione di Origine Controllata, ai Colli Morenici Mantovani del Garda, prodotti nella zona collinare della provincia.



    MONZAMBANO





    IL TERRITORIO
    Qui inizia la dolce passeggiata lungo la valle dei Mincio che conduce fino a Mantova e quindi al Po. Ulivi e cipressi si scorgono tra i vigneti rendendo al paesaggio una particolare bellezza. L'antico borgo di Monzambano, su una collina alta circa 90 metri, si annuncia con torri e mura di un antico castello. Il Castello, che si erge sul paese, è ancora come nel dodicesimo secolo, quando fu costruito.



    La chiesa, che insieme al castello offre uno splendido panorama, è stata costruita tra il 1743 e il 1777. Costruita al margine dell’altopiano, il suo stile barocco dona al paesaggio circostante una leggera armonia. Finissimi intarsi in marmo e la pala dell’altar maggiore, che rappresenta il trionfo di S. Michele Arcangelo a cui è dedicata, la rendono particolarmente preziosa. L’agricoltura, insieme ai vigneti, è la risorsa principale del paese, condotta con mezzi modesti su un terreno arido e sassoso. Tra le manifestazioni di interesse turistico c'è la Festa dell'uva, la terza domenica di settembre.
    Si tratta di una sagra molto affollata, con numerosi chioschi per la vendita dell'uva. Si svolgono manifestazioni collaterali quali un convegno viti-vinicolo e mostre sui sistemi di lavorazione dell'uva.


    CASTELLARO LAGUSELLO
    fa parte di uno dei borghi più belli d'Italia


    Castellaro Lagusello nasce nell'XI secolo come semplice "castelliere", cioè come cinta muraria ancora senza case all'interno: un temporaneo rifugio affacciato su un "lagusello", un piccolo lago.
    Fasi storiche del borgo:
    • Era del bronzo: sono presenti insediamenti su palafitte intorno al lago.
    • Era romana: tracce di un abitato sono state rinvenute in una località vicina.
    • 1145: da un documento di Papa Eugenio che riporta l'elenco delle pievi dipendenti dalla diocesi di Verona, viene citata per la prima volta la plebem de Castellaro
    • 1391: Gian Galeazzo Visconti cede il fortilizio a Francesco Gonzaga, ma se lo riprende l'anno dopo e lo tiene fino al 1405, quando Castellaro passa di nuovo ai Gonzaga restando in loro possesso sino al 1441.
    • 1637: la Serenissima si disfa della piccola fortezza che agli inizi del '600 aveva perso del tutto la sua funzione difensiva. Castellaro e il lago vengono messi all'asta e comprati, per 545 ducati, dai conti Arrighi. La struttura rimane quella della corte medievale, con mura merlate atte a contenere le case dei contadini con i loro orti, e la curtis alta, la residenza gentilizia, al posto del presidio militare.
    • 1815: Castellaro entra a far parte del Regno del Lombardo-Veneto.
    Curiosità: il laghetto a forma di cuore
    Le chiese di Monzambano


    Diverse sono le chiese di Monzambano che hanno un'importanza storica. Di seguito ne citiamo alcune
    • Chiesa di San Michele: costruita nel 1700, si presenta in stile barocco, armonico senza pesantezza. L'interno ha dei finissimi intarsi in marmo con un S.Michele Arcangelo all'altare maggiore che rappresenta al trionfo.
    • Chiesetta della Disciplina: risale all'epoca romanica
    • Chiesa della Santissima Trinità: risale al XII secolo della frazione Olfino




    CAVRIANA



    l nome di questa piccola cittadina mantovana, un tempo Capriana, oggi Cavriana, deriva dalla dedizione delle persone del posto alla pastorizia. Il borgo è piuttosto piccolo: da una piazza centrale, scendono le strade che si collegano ai paesi circostanti. E’ inevitabile, passeggiando per le strade di Cavriana notare Villa Mirra, una delle residenze estive di campagna dei Gonzaga di Mantova, nella quale dal 1966 viene allestito il Museo Archeologico dell’Alto Mantovano che, organizzato su otto sale espositive, raccoglie 7.000 anni di storia degli insediamenti sul territorio mantovano, che ebbe inizio in queste zone, quasi cinquemila anni prima di Cristo.

    Se trai monumenti religiosi sono da ricordare la Chiesa parrocchiale di Santa Maria Nova (edificata nel XVIII° secolo su una precedente del 1400-1500), Santa Maria della Pieve (dedicata alla Madonna Immacolata), l’Oratorio di San Sebastiano (dedicato a San Sebastiano Martire, IV sec.), l'antica rocca fortezza e la Pieve Romanica, che un tempo fu la più ampia fortificazione dello stato mantovano, nel periodo estivo ricorre, la seconda domenica di Luglio, il Palio della Capra d'Oro.
    Il Palio, rifacendosi alle leggende del luogo, vede contrapposte le borgate del paese in una gara all’abbellimento dei propri rioni. Interamente vestiti in abito rinascimentale, il Palio è occasione di incontro e banchetto per le contrade del paese.

    Oratorio di San Sebastiano


    Dedicato a San Sebastiano Martire (IV° sec.). Fu costruito, come la Pieve e S. Biagio in Castello nel XII° sec., a ridosso e sul lato sud esterno all'antica rocca fortezza di Cavriana. All'interno sono presenti importanti lacerti di sinopie ed affreschi del XI°-XVI° sec.


    Villa Mirra a Cavriana

    Era un tempo la più ampia fortificazione dello stato mantovano. A testimonianza dell'antico maniero sono rimasti i ruderi della cinta muraria, una delle porte di accesso e una torre di avvistamento e difesa trasformata in campanaria nel XVII° secolo.
    E' dimostrato che il complesso fino a metà del XVII° secolo era dotato di fortificazioni, con torri, muraglioni merlati e ponte levatoio. Il fortilizio era abitato, con al suo interno un oratorio del XII° secolo a servizio della corte e denominato S. Biagio in Castello.

    CHIESA PARROCCHIALE DI SANTA MARIA NOVA



    Edificata nel XVIII° secolo su una precedente del 1400-1500 della quale è rimasto soltanto l'abside. Progettata da Giovanni Maria Borsotti è stilisticamente collocabile nel tardo Barocco Lombardo. All'interno, di particolare pregio, si possono ammirare le tarsie marmoree, gli arredi lignei e un grande e raffinatissimo baldacchino coevo dell'edificio. Un cenno particolare al trittico raffigurante la Madonna col Bambino fra i Santi Rocco e Sebastiano; opera molto importante dipinta da Zenone da Verona nel 1512.




    MUSEO ARCHEOLOGICO DELL'ALTO MANTOVANO
    Ha sede nella Villa Mirra a Cavriana e venne fondato nel 1966 per iniziativa del Gruppo Archeologico "Cavriana". Inaugurato nel 1969 ebbe la prima sede nella torre medioevale adiacente alla facciata della Chiesa Parrocchiale. Nel 1983 fu trasferito nella sede attuale ed oggi disponendo di una più vasta superficie espositiva e di moderne attrezzature e infrastutture si colloca tra i primi e più interessanti Musei Archeologici della Lombardia.
    Il percorso di visita è articolato in tre sezioni: > Pre/protostorica; > Romana, > Medioevo/Rinascimentale.

    Distribuite su otto sale d'esposizione; nelle prime quattro sono illustrati gli orizzonti preistorici, la quinta e la sesta sala sono dedicate al periodo della romanizzazione, nella settima sala sono state raccolte le testimonianze dei periodo più recenti.
    L'ottava sala riveste invece un particolare interesse storico dato che è la stanza dove soggiornò l'Imperatore Napoleone III durante e alla conclusione della Battaglia di Solferino. La visita al Museo consente di ricostruire 7.000 anni di vita nelle terre altomantovane.




    CALICI DI STELLE A CAVRIANA

    calici-di-stelle-2014
    foto:viadeigourmet.it


    La magica atmosfera della notte di San Lorenzo, sorseggiando e gustando quanto di meglio offre la nostra tradizione enogastronomica. Cena in piazza (su prenotazione) con degustazione di prodotti tipici e vini di Cavriana. Spettacolo musicale del gruppo Hippie Tendencies.


    Edited by gheagabry1 - 5/3/2024, 17:16
     
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    CURTATONE







    Notizie
    Curtatone copre la zona estesa nella pianura a dx del Mincio. Oltre ad essere famosa, come molte altre zone mantovane, per la sua storia è conosciuta in tutto il mondo per un evento che si ripete annualmente e a cui partecipano artisti di tutto il mondo: la fiera dei Madonnari ovvero l'arte della pittura sull'asfalto. Le Grazie di Curtatone nella storia erano il fulcro della vita del borgo con pellegrini, fedeli, ma anche ricchi mercanti, principi e papi, in eessa Ginfranco Gonzaga nell' agosto del 1945 istituì il libero mercato delle merci e conseguentemente vista la grande presenza di artisti di "strada" a ferragosto nasce il raduno internazionale dei Madonnari.

    Un coccodrillo all'interno del Santuario
    La presenza di un coccodrillo (nel medioevo simboleggiava il demonio)in un posto come Mantova porta a svariaziate leggende e teorie.
    Una di queste è data dalla fuga di questo coccodrillo dallo zoo esotico dei , mentre un’altra teoria è quella di un miracoloso evento mantovano: due fratelli barcaioli stavano riposando sulla sponda del fiume, a un tratto uno dei due venne assalito dal coccodrillo.L'altro, chiedendo l'intercessione divina, si armò di coltello e riuscì a uccidere il predatore. Sono stati ipotizzati anche altri significati e collegamenti (anche tra altre strutture architettoniche – simbolismi presenti nella chiesa e i versetti sull’Apocalisse) ben più elaborati si pensano riconducibili ai Francescani Minori Osservanti (guardiani della chiesa proprio durante il secolo in cui venne esposta la reliquia del coccodrillo) e all’alchimia medievale che attuavano.

    Il "Santuario delle Grazie" si trova a circa otto chilometri da Mantova,
    è aperto tutti i giorni ed è centro di grande devozione. Le sue origini sono molto antiche ed un'epigrafe, all'ingresso, testimonia che, verso la fine del secolo XIV, Francesco Gonzaga ordinò la costruzione del santuario là dove già esisteva un piccolo oratorio o un'edicola contenente l'immagine della Vergine. Infatti nel 1399 si era diffusa un'epidemia di peste che si ritenne miracolosamente fermata.

    La costruzione iniziò nel 1399 e fu consacrata nel 1406.
    Favorito dalla vicinanza con la città, dalla quale si poteva giungere in barca, il santuario divenne il più importante centro di devozione della zona. Per secoli, a motivo dei numerosi miracoli che avvenivano per intercessione della Madonna, la chiesa fu visitata da umili e potenti, finché la decadenza dei Gonzaga segnò anche il suo declino. Nel '600 fu riadattata, ma in epoca napoleonica venne saccheggiata e solamente nel 1825 si iniziò a ripristinarla.

    320px-Le_Grazie_Curtatone_1

    Il santuario ha un'elegante facciata con cornici in cotto e pinnacoli.
    Un lungo portico si offre al visitatore e, superato il bel portale rinascimentale, l'interno si presenta ricco di enorme suggestione: la semplicità della struttura, a navata rettangolare senza transetto, tripartita da volte a crociera decorate da splendidi affreschi, è arricchita da opere d'arte mirabili. Dieci cappelle (cinque per lato) mostrano tutta la loro bellezza ed un ampio coro fa da corona all'altare maggiore. Il tabernacolo a tempietto contiene l'immagine della Madonna ritenuta miracolosa, dipinta a tempera su tavola da mano ignota nel '400.

    La festa del santuario si celebra solennemente il 15 agosto, festa dell'Assunta. Si ricorda che nel 1521 si tenne per la prima volta, sull'ampio sagrato, una fiera annuale. Ancora oggi essa attira molti visitatori, richiamati anche dallo spettacolo dei "madonnari", gli artisti che usano il gessetto per disegnare sull'asfalto immagini sacre.


    Goito



    Il borgo di Goito è situato in larga parte sulla sponda destra del fiume Mincio.
    Goito attuale si adagia su una superficie di 78,82 km quadrati con un circuito di circa 50 chilometri. La popolazione si aggira a tutt'oggi sui 9.700 abitanti, residenti, oltre che nel capoluogo, nelle frazioni di Cerlongo, Solarolo, Sacca, Vasto, Marsiletti, Torre, Massimbona, Maglio, Calliera. La configurazione panoramica del territorio goitese si presenta molto varia ed è dovuta sia alla catena di colline moreniche sia alla lunga e larga vallata del Mincio. La configurazione orizzontale offre la vista della figura di un cerchio irregolare con due allungamenti verso Vasto e Solarolo. Sui suoi confini si trovano i comuni di Guidizzolo, Marmirolo, Rodigo, Porto Mantovano e Ceresara. Sedici chilometri lo separano da Mantova, 32 da Verona e 50 da Brescia. Il suolo si presenta sassoso ma con i nuovi sistemi di irrigazione oggi si possono avviare colture di cereali, foraggi, viti, frutta, etc. Paese di scarsa resa industriale ha sviluppato il comparto artigiano (legno, marmo, tessile) che offre lavoro a più di 1.000 addetti, vi è inoltre la presenza di diversi caseifìci per la lavorazione del latte, di grosse cave di ghiaia e di molte aziende agricole. Goito fa parte del distretto di Castiglione D/S, ecclesiasticamente dipende dalla Curia di Mantova.

    Fondata dai Romani
    all'inizio del II secolo a.C. ha carattere di insediamento difensivo, in prossimità della via Postumia. Nel territorio comunale, in località Sacca, è presente una necropoli altomedievale, in parte ascrivibile a popolazioni longobarde. Sono i Gonzaga, nel Quattrocento, a determinare lo sviluppo urbanistico e territoriale di Goito. Il Naviglio, progettato da Bertola da Novate e Giovanni da Padova, permette il trasporto delle merci, della corte ducale e l'irrigazione delle campagne, con magri suoli dal substrato ghiaioso, prossime al Mincio. Comincia così la stagione dei prati irrigui che Bartolomeo Manfredi, astrologo e scienziato di corte, nel 1461 racconterà scrivendo del "grasso trifoglio alto fino al zenochio".

    Dopo la fine della famiglia Gonzaga la città passa alternativamente dai Francesi agli Austriaci ed è luogo di battaglie nel Risorgimento. Il 30 maggio 1848 l'esercito sardo sconfigge gli Austriaci proprio sulle sponde del Mincio tanto che il ponte sul fiume è ancor oggi chiamato "Ponte della gloria". Fra i cittadini più illustri è Sordello, trovatore italiano in lingua provenzale, nato a Goito nel 1200 circa. Dante, nella Divina Commedia, canta il suo incontro con Virgilio: " O Mantoano, io son Sordello de la tua terra!".

    goito-3

    La Basilica di Goito
    La Basilica in sitle barocco, fu realizzata dell'artista Borsetti nel 1729. La facciata si presenta di elegante fattura con colonne e lesene che formano otto riquadri .
    Sopra il portale principale dedicato alla Vergine, opera di notevole pregio artistico dello scultore Giuseppe Menozzi con scolpite immagini di illustri personaggi che parteciparono alla storia di Goito, si ammira un mosaico riproducente l'immagine della Madonna della Salute.
    Le due porte laterali d'ingresso e, sul lato sinistro all'altezza del presbiterio, il campanile e la sagrestia completano la vista dell'edificio. Chiesa solenne, con arredo d'arte importante, con un'unica navata e quattro cappelle a volta (dedicate a S. Antonio Abate, al Sacro Cuore, alla Madonna della Salute, a Gesù Crocefìsso), all'interno si può ammirare la grande tela di Giuseppe Bazzani "Consegna delle chiavi a San Pietro" del 1739, la pregevole opera "San Francesco" di Domenico Petti e la piccola tela de "La Natività", attribuita alla scuola del Correggio. Sempre di stile bazzaniano sono le quindici piccole tele con i Misteri del Rosario, racchiuse in fastosi decori lignei intagliati, della prima metà del 700.
    Il "Crocefisso tra i Santi" (1769) è invece opera dell'artista Giovanni Ghirlandini. Significative sono le opere "San Francesco che riceve il viatico" e il "Miracolo Eucaristico", opera, quest'ultima, di Francesco Borgani. Presente anche il seicentesco veneziano Domenico Celesti con "La Croce portata in trionfo dagli Angeli", l'opera di Giovanni Cadiali "La Pala di S. Antonio Abate", posta sul fondale dell'altare e nell' abside il "Cristo che appare a S. Margherita Maria Alacoque".
    Nell'arredo inoltre si possono ammirare le opere di scultura del casteldariese Giuseppe Menozzi (due grandi candelabri in bronzo con scene della vita di Sordello e Virgilio, pannelli bronzei dell'altare raffiguranti "L'Ultima Cena", "II Battesimo di Cristo" e "L'Annunciazione", il grande bronzo di Cristo Crocefisso, dietro il tabernacolo, il Battistero con fonte battesimale), il coro seicentesco proveniente dall'Eremo della Fontana e il ricchissimo pulpito.


    Edited by gheagabry1 - 5/3/2024, 17:45
     
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    Ponti sul Mincio






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    foto:parcodelmincio.it

    Ponti sul Mincio, paesino di origini medioevali, raccolto ai piedi del Castello Scaligero, di cui oggi restano il perimetro, quattro torri ed il mastio, tra il XIII ed il XIV secolo controllava i ponti e i guardi sul Mincio insieme ai castelli di Monzambano, Peschiera e Valeggio. Per la storia che si respira, per i paesaggi naturali incantevoli, per la possibilità di praticare sport all’aria aperta e di gustare i prodotti tipici della gastronomia locale, annaffiati da buon vino, risulta quasi d’obbligo una visita a Ponti sul Mincio, meta ideale per trascorrere momenti piacevoli e rilassanti. Il piccolo borgo si presta ad accogliere anche chi cerca la pace delle sue colline come punto di partenza per vacanze più lunghe, infatti Ponti è situato a pochi chilometri da Mantova, dal Lago di Garda, da Verona e dalle Piccole Dolomiti. Varie sono le piste ciclabili che permettono al turista di addentrarsi in un paesaggio che sa offrire scorci indimenticabili. Gli amanti della mountain bike potranno, percorrendo le strade sterrate, salire sino al Monte Casale. In alternativa il Parco Naturale del Mincio ha predisposto un percorso ciclabile che permette di arrivare fino a Mantova, costeggiando il fiume e addentrandosi nei borghi medioevali e nelle splendide corti rurali che si incontrano lungo il tragitto. Per la conformazione del territorio Ponti si presta particolarmente per percorsi a cavallo, oppure in canoa lungo il Mincio



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    foto:gardatourism.it


    Sala delle Colonne

    Situata vicino alla piazza centrale del paese, si tratta di un antico edificio ristrutturato, risalente in parte al 1600 e attualmente sede dell'associazione culturale "Il Castello" e di numerose mostre di pittura, fotografia e d'arte in genere.
    All'interno della sala vengono anche organizzate serate culturali, anche a sfondo enogastronomico e di valorizzazione dei prodotti locali, recuperati dalle antiche ricette medioevali.

    PontiSulMincio_castello

    Le notizie storiche relative al Castello di Ponti sul Mincio, ricavabili unicamente da studi di carattere generale, in mancanza di indagini monografiche e di ricerche d'archivio, sono poco certe.
    La sua costruzione viene fatta risalire ad un periodo che va dal XII al XIV secolo e che, molto probabilmente, coincide con il XIII secolo, e viene attribuita alla iniziativa degli Scaligeri, che, in questa zona, unitamente con i Castelli di Monzambano, Valeggio, Nogarole, Peschiera, Sirmione e altri ancora, costituirono il proprio sistema sud-occidentale, a confine con i territori viscontei e gonzagheschi.

    ponti-sul-mincio

    L' impianto del castello corrisponde in modo elementare al tipo del castello scaligero ossia al tipo del castello-recinto, che si conforma alle condizioni naturali del sito, in cui sorge.
    La forma generale è infatti quella di un semplice recinto murario intervallato da torri che si adattano alla sommità di un piccolo colle ed alle sue curve di livello, assumendone la forma planimetrica "a fuso". La cinta muraria è in ciottoli di fiume, con merli a capanna, oggi in gran parte crollati, e con camminamenti di sponda sporgenti su mensole di mattoni, anch'esse in gran parte crollate.



    Lungo la cinta muraria in posizioni tra loro quasi equidistanti si collocano le torri di difesa. Una torre scudata occupa la punta nord e due torri a "C" aperte verso l'interno si trovano sui lati, in posizione mediana e simmetrica; mentre a sud del castello, simmetricamente rispetto all'asse longitudinale si trovano due torri chiuse a pianta quadrata, una più piccola oggi adibita a torre dell'orologio, ed una più alta, il mastio, posta accanto all'antica porta di ingresso dal borgo. Tale porta è custodita da un revellino a camera che un ponte levatoio collegava un tempo con la strada sopraelevata proveniente dal borgo; strada che oggi risulta invasa dalla vegetazione ed inglobata nel giardino della canonica.








    Rodigo





    Nel paese di Rodigo si trovano diversi palazzi e ville che risalgono al secolo scorso o all’inizio del ‘900; la più antica, Villa Balestra, è datata fra fine Cinquecento e primo Seicento. La torre dell’orologio, di epoca sicuramente precedente, è tutto quel che resta di un castello che ne possedeva quattro, ai quattro angoli delle mura di cinta. Del ‘700 è la bella chiesa di S. Maria delle Rose.

    Di alcune corti si ha testimonianza già nel tardo Medioevo, ma è probabile che siano ancora più antiche: corte Samafeia, corte Retenago, corte Fornace, corte Camerlenga, corte Sette Frati. L’economia della zona è prevalentemente agricola, con aziende di piccole e medie dimensioni a conduzione familiare. Firore all'occhiello è la ProLoco e la gestione del Centro PArco di Rivalta sul Mincio

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    la chiesa

    storia di Rodigo


    L'origine di Rodigo si situa nel secolo XI, tra il 1050 e il 1100. Il nome Rodigo deve probabilmente le sue origini al nome del fondatore 'Roto', ovvero 'del popolo dei Roti'. In latino questa formula veniva scritta 'Rodingum', cioè 'Roti vicus', che per elisione e scambio di lettere si sarebbe mutato in Rodi igo, cioè 'Luogo di Roto'.
    Lo stemma del Comune, raffigurante una ruota, risale all'epoca in cui Rodigo era Contea (1479-1587): esso riportava il motto Rotat Omnia Secum.


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    Tradizioni Rodigo




    Gli insediamenti abitativi si articolano su tre centri: Rodigo capoluogo, Rivalta sul Mincio e Fossato. Nel paese di Rodigo si trovano diversi palazzi e ville che risalgono al secolo scorso o all’inizio del ‘900; la più antica, Villa Balestra, è datata fra fine Cinquecento e primo Seicento. La torre dell’orologio, di epoca sicuramente precedente, è tutto quel che resta di un castello che ne possedeva quattro, ai quattro angoli delle mura di cinta. Del ‘700 è la bella chiesa di S. Maria delle Rose.



    Di alcune corti si ha testimonianza già nel tardo Medioevo, ma è probabile che siano ancora più antiche: corte Samafeia, corte Retenago, corte Fornace, corte Camerlenga, corte Sette Frati. L’economia della zona è prevalentemente agricola, con aziende di piccole e medie dimensioni a conduzione familiare. Firore all'occhiello è la ProLoco e la gestione del Centro PArco di Rivalta sul Mincio


    La riserva naturale Valli del Mincio


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    foto:terredelmincio.it

    La Riserva Naturale “Valli del Mincio”
    E' costituita in prevalenza da paludi che si snodano lungo il corso medio del fiume Mincio, a monte della città di Mantova, tra gli abitati di Borgo Angeli e Rivalta.

    Il sistema palustre si estende su una superficie di circa 1100 ettari, interessando un tratto di fiume di 7-8 km. Dichiarata Riserva Naturale dalla Regione Lombardia nel 1984, essa rappresenta una “Zona Umida di Importanza Internazionale specialmente per gli Uccelli Acquatici”, così come definita e classificata dalla Convenzione Internazionale di Ramsar del 1971. Essa rientra inoltre nella “Rete Natura 2000”, costituita dalle più rilevanti aree naturali d’Europa, denominate “Siti d’Importanza Comunitaria”.


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    Gli ambienti naturali

    Nelle Valli del Mincio sono presenti tutte le formazioni vegetali tipiche degli ambienti palustri di pianura, disposte in successione seguendo il grado di umidità del suolo. I canneti Una distesa uniforme di canneti, composti dalla comunissima cannuccia di palude e da poche altre specie, costituisce la caratteristica più appariscente delle Valli. Questi bordano il fiume, a destra e sinistra, per tutta la lunghezza della Riserva, ricoprendo completamente le isole che i vari rami del Mincio lasciano al loro interno. Il canneto è molto importante per alcuni uccelli che vi nidificano, come il Tarabuso, l'Airone rosso, il Falco di palude, il Porciglione, il Voltolino e la Schiribilla; altri lo utilizzano, spesso in gran numero (ad esempio lo Storno e gli Irundinidi) come ambiente protetto per il riposo. Ma è dove il canneto incontra l'acqua che l'ambiente si arricchisce di colori, suoni e movimento; qui insieme alla cannuccia trovano posto molte erbe e fiori, tra cui le carici, le tife, la salcerella, l'epilobio, l'ibisco di palude; ed è qui che molti uccelli costruiscono il nido: appeso alle canne quello di Cannaiole e Cannareccioni, nascosto nel groviglio delle erbe e delle canne piegate quello di Tarabusini, Basettini, Salciaiole e Forapaglie costagnoli, galleggiante tra le canne rade quello di Tuffetti e Svassi maggiori, su piattaforme rialzate di erbe palustri quello di Folaghe e Gallinelle d'acqua.




    Altri uccelli, tra cui Nitticore, Sgarze ciuffetto, Garzette, Aironi cenerini, Cigni reali e molte anatre, vengono qua alla ricerca di cibo, più abbondante che altrove; il Martin pescatore si tuffa dalle canne protese sull'acqua per catturare piccoli pesci; il Falco di palude e le Albanelle, i principali rapaci che vivono nelle Valli, perlustrano il bordo del canneto raccogliendo uccelli e piccoli mammiferi, che qui più facilmente escono allo scoperto.I chiari, cosiddetti "ex-giochi", sono specchi d'acqua libera, ricoperti in estate da vegetazione galleggiante, completamente circondati e protetti dalle erbe del canneto. Realizzati un tempo come appostamenti di caccia, la loro origine artificiale è testimoniata anche dai nomi localmente attribuiti: il "Vignale", la "Baracca", le "Teste", il "Bascone", il "Mulinello", il "Lusièn", la "Puntassa", "Le Arse" ed altri.Queste superfici aperte rivestono notevole importanza per gli aspetti ecologici oltre che paesaggistici e sono indispensabili per la sosta, l'alimentazione e la nidificazione di numerosi uccelli. Sono frequentate da molte anatre, da Folaghe e Gallinelle d'acqua, da Svassi e Tuffetti, da Sterne e Mignattini; in gran numero vi sostano d'inverno Gabbiani comuni e reali, Gavine e Cormorani.Le praterie a carice La prateria a carice rappresenta una delle formazioni vegetali più ricche ed importanti delle Valli del Mincio. In ogni stagione si possono cogliere sfumature diverse: il verde tappeto uniforme si colora in primavera e in estate con la fioritura delle orchidee e con le bianche infruttescenze degli eriofori; nella tarda estate si scorgono tra le alte erbe i fiori della genziana di palude e dell'aglio selvatico. Ambienti di transizione delicati e facilmente trasformabili, le praterie a carice, un tempo estese lungo tutta la riva sinistra delle Valli del Mincio, sono state drasticamente ridotte dalle bonifiche a scopo agricolo. Come il canneto anche il cariceto è sempre stato utilizzato dall'uomo, in quanto le foglie sottili e resistenti forniscono ottimo materiale per impagliare sedie e panche. Tra gli uccelli che vi costruiscono il nido c'è anzitutto il Forapaglie che proprio in queste praterie, con un numero di coppie nidificanti compreso tra 20 e 30, conserva probabilmente la sua più importante popolazione italiana; la specie, localizzata stabilmente in Italia soltanto in un altro sito della Pianura Padana, è considerata a rischio d'estinzione. Altre specie che nidificano in queste praterie sono la Cutrettola, il Migliarino di palude, il Beccamoschino, lo Strillozzo, l'Allodola, la Marzaiola, la Pavoncella, l'Albanella minore e il Falco di palude. Tra gli anfibi, oltre alla Rana verde comune ovunque, incontriamo molte Raganelle e la rara Rana di Lataste, qui presente in numero rilevante.



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    La fruizione.

    Il Centro Parco di Rivalta Museo Etnografico dei Mestieri del fiume La conoscenza e la didattica ambientale sono strumenti indispensabili per ottenere dagli abitanti e dai visitatori la collaborazione nella salvaguardia della natura. A tal fine è stato realizzato dal Parco e dal Comune di Rodigo il Centro Parco, presso cui si possono ottenere informazioni scientifiche sul “funzionamento” della palude e conoscere l’origine, la storia e le attività tradizionali legate alla valle. La struttura si raggiunge seguendo le indicazioni all’ingresso del paese di Rivalta; è aperto la domenica e i giorni festivi da marzo ad ottobre; nei giorni feriali l’apertura è su prenotazione rivolgendosi alla Pro Loco di Rivalta.


    Il comune di Rodigo ha il suo centro di attività turistiche presso il centro Parco di Rivalta sul Mincio.
    Qui un'attivissima ProLoco gestisce un Centro PArco, l'ostello, l'ufficio turistico e le varie attività sportive. Corte Mincio, Centro visite Parco del Mincio L'antica corte fluviale, un tempo animata dai pescatori e dai lavoratori del carice e della canna palustre, accoglie ora servizi e strutture rivolte allo sport e all'escursionismo naturalistico.In una casa di pescatori, invece, è ospitato il Centro Parco " Museo etnografico dei mestieri del fiume" particolarmente adatto alle famiglie ed alle scolaresche, approfondisce gli aspetti naturalistici e popolari delle valli del Mincio.Il museo si pone due obiettivi fondamentali:uno ambientale, favorendo la conoscenza della palude nelle sue molteplici forme, ed uno etnologico conservando la testimonianza dei lavori della Valle e dell'interazione tra uomo e palude. A tal scopo sono presenti nelle sale del museo plastici, pannelli descrittivi e ricostruzioni di ambienti e raccolte di utensili. Le attività In canoa tra canneti:attraversando la ricca rete di laghetti, canali e canneti vi accompagneremo in canoa alla scoperta delle zone più segrete.Il Parco in bicicletta: Con le nostre biciclette potrete raggiungere la ciclabile che unisce Mantova a Peschiera del GArda, attraversando la riserva di Bosco Fontana e il Centro Parco delle Bertone. Ostello del Mincio :Per il vivistatore amante della natura, si affaccia sul fiume una moderna costruzione caratterizzata da un'alta torre per l'osservazione della palude.


    I barcaioli delle Valli

    E' possibile anche il noleggio di barche per escursioni guidate Proncipali manifestazioni:Il Mincio in Canoa 2006:discese, risalite non competitive in canoa del fiume Mincio e dei laghi di Mantova (Domenica 2 lugio-discesa da Pozzolo a Rivalta; Domenica 16 luglio- risalita da Mantova a Rivalta; Domenica 3 settembre- discesa da Goito a Mantova) Pagaiando con la luna piena: suggestiva escursione guidata alla scoperta della riserva naturale delle VAlli del Mincio nell'ora che precede il tramonto fino alla comparsa della luna piena ( Sabato 9 luglio; Sabato 5 agosto e sabato 9 settembre) Festa del pesce dal 14 al 24 luglio: sulla riva del fiume si svolge la venticinquesima edizione della tradizionale manifestazione gastronomica rivaltese nella quale vengono riproposti i tipici piatti della cucina di pesce d'acqua dolce, come il luccio alla Rivaltese, il luccio in salsa e la frittura di saltarei con polenta. Il Natale degli artisti: sospeso sull'acqua e sulle rive del fiume viene allestito un singolare presepe accompagnato da un'esposizione di opere pittoriche di importanti artisti italiani e mantovani.Alla vigila è prevista la fiaccolata in canoa, le fontane sul fiume ed il tradizionale Buriel dell'epifania.









    Viadana




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    foto:comune.viadana.mn.it




    Il territorio di Viadana, parte integrante dell'agro cremonese, conserva ancora molte testimonianze delle sue antiche origini.
    Legata per un periodo a Mantova a seguito della conquista di Gian Francesco Gonzaga, passò agli inizi del 1700 all’impero asburgico, quando, dichiarata decaduta la gloriosa famiglia mantovana, prese possesso dei suoi feudi e aggregò Viadana alla Lombardia Austriaca.

    Viadana e il suo territorio nei secoli hanno dovuto affrontare le corrosioni e le alluvioni causate dal Po e dall'Oglio, che fecero scomparire intere aeree fino ad arrivare all'attuale assetto territoriale, di circa 102 Kmq, protetto da possenti arginature anche di recente rafforzate.

    Numerose sono le chiese e le ville che si possono ammirare nell’intero comune che cosituiscono una vera e propria pinacoteca sia di opere locali, che di provenienze diverse rappresentando la memoria storico-religiosa della città Mu.Vi. - Musei Viadana Mu.Vi. - Musei Viadana - è il nome del Centro culturale polifunzionale di Viadana.

    La sigla, che sta per Musei Viadana, pone l'accento sulla ricchezza dell'offerta culturale del Comune di Viadana: un insieme di musei di grande interesse artistico e culturale che ospita importanti Istituti culturali cittadini oltre che eventi ed appuntamenti interessanti. Presso il Mu.Vi. trova collocazione il Museo Civico 'A.Parazzi' articolato in Museo della Città "Adolfo Ghinzelli" e il Museo Civico "A.Parazzi" con le sue sezioni dedicate all'archeologia, alla pinacoteca, ai tessuti, e alle ceramiche e terrecotte antiche, alla paleontologia e sede altresì della neo-costituita Fondazione "Daniele Ponchiroli".

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    foto: turismo.mantova.it

    Il Centro ospita attualmente la Galleria civica d'arte moderna e contemporanea, di cui è stata recentemente inaugurata la "Permanente" oltre che il Circolo fotografico "Fratelli Azzolini" e la Biblioteca Comunale "Luigi Parazzi". Quest'ultima, collocata su due piani, raccoglie il fondo librario antico, uno tra i più importanti della provincia, l'archivio storico del Comune, i laboratori, la sede del Centro Bibliotecario Ovest.

    Santa Maria Assunta

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    foto:lombardiabeniculturali.it

    Più conosciuta come Santa Maria in Castello, la chiesa, di origini antiche, fu rifatta certamente nel XVI secolo sotto i Gonzaga e quindi nel XIX secolo.
    Si tratta di una vera e propria chiesa-museo che conserva al suo interno numerose sculture e dipinti quattro-cinquecenteschi di importanti artisti cremonesi, parmensi, veneziani, veronesi e mantovani. Di estremo interesse lo splendido polittico di Bartolomeo Vivarini (1432-1499) rappresentante la Madonna e i Santi protettori.



    Il Museo Civico


    Mons. Antonio Parazzi, da poco nominato Ispettore degli Scavi e Monumenti di Antichità, propose, con lettera del 29 maggio 1879 al Sindaco Pietro Grazzi, l'istituzione di un piccolo museo archeologico dove esporre i reperti che si stavano raccogliendo numerosi. Il progetto divenne esecutivo con atto Consolare del 9 ottobre successivo: all'unanimità ne fu deliberata la fondazione e lo stanziamento in bilancio di lire cento per tre anni. Finalmente il 4 ottobre 1880, anche col contributo finanziario di trenta soci fondatori e l'offerta da parte di privati, il museo fu inaugurato in un locale del Monte di Pietà.
    Aumentati nel tempo i reperti e le collezioni, frutto degli scavi e delle raccolte del Parazzi, vi si rese necessaria una più ampia collocazione che trovò spazio in alcune stanze del palazzo Verdi di proprietà comunale, era il 27 dicembre 1885. Nello stesso giorno di quattordici anni dopo morì il fondatore Antonio Parazzi. Gli successe nella carica di direttore il fratello Luigi, che mantenne tale ufficio fino all'estate del 1912, anno precedente la sua scomparsa. Il museo, ormai privo dei primi animatori, rimase chiuso fino al 1925 e dopo aver subito impoverimenti e collocazione poco dignitose, fu riaperto nella chiesa di Santa Croce già nel monastero delle benedettine, dove fu lasciato fino al 1956. Da quella data fu trasferito in via Grossi in alcune camere del palazzo della pretura. Nel 1976, a cura dell'Amministrazione Comunale e del compianto direttore Prof. Luigi Rinetti, fu riportato nell'edificio d'origine ove parte delle raccolte furono ordinate in tre stanze aperte al pubblico. A seguito della acquisizione di due nuove sale è stato possibile riorganizzare, nel 1990, il percorso cronologico con l'aggiunta di raccolte da decenni giacenti nei magazzini. Contemporaneamente alle opere che hanno comportato la nuova sistemazione si è reso necessario anche recuperare dal lato conservativo numerosi oggetti facenti parte della nostra tradizione artistica. Nuove donazioni pubbliche (IRAB, USSL) e private (Aroldi-Soncini, Arisi, Araldi, Seresini) sono andate a aumentare il patrimonio museale a cui si aggiungono i reperti, in deposito dallo Stato, derivanti dagli scavi dei fratelli Anghinelli.
    Per vocazione il Museo Civico Parazzi si può definire 'Museo zonale' in quanto custode non solo degli antichi manufatti del viadanese ma anche di quelli ritrovati nelle località limitrofe con visite guidate, messe a disposizione da sempre dall'Amministrazione Comunale, offre soprattutto alle scolaresche un valido contributo) culturale a sostegno dei programmi di insegnamento.
    Il Museo è dedicato al fondatore Don Antonio Parazzi (Viadana 12 maggio 1823 - 27 dicembre 1899) arciprete di Viadana, illustre storico e archeologo, autore della pregevole opera "Origini e vicende di Viadana e suo Distretto". Mons. Parazzi operò attivamente nel territorio viadanese e nelle province limitrofe mantenendo costanti rapporti con illustri studiosi del tempo, quali Pigorini, Strobel, Chierici e molti altri.
    Grazie alle numerose scoperte di siti archeologici da lui effettuate in zona, nel 1878 fu nominato Ispettore dei monumenti e scavi di antichità per il distretto di Viadana. Molti furono infatti i rinvenimenti e gli scavi da lui realizzati in necropoli del periodo romano e in abitati della media età del Bronzo, condotti con criteri stratigrafici rigorosamente scientifici e d'avanguardia, tuttora adottati dagli archeologi. Lo dimostrano gli accurati rilievi effettuati durante gli scavi della media età del bronzo a Casale Zaffanella, Cogozzo, Sabbioneta, Ronchi Cantoni e Possioncella Levi, oltre alle precise relazioni pubblicate nel "Bullettino di Paleontologia Italiana' e in "Notizie e Scavi".
    La conoscenza profonda della complessa rete idrografica antica della zona gli permise di intuire lo stretto rapporto intercorso fra essa e la distribuzione degli insediamenti umani, di cui elaborò e pubblicò una cartina archeologica.

    Le Chiese di Viadana

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    foto:gazzettadimantova.gelocal.it

    A nord del Comune sulle rive del grande fiume, vi è a Cizzolo la chiesa dedicata a San Giacomo Maggiore; già legata ecclesiasticamente al vescovo di Reggio Emilia fino al 1813, passò dopo questa data alla Diocesi di Mantova. È infatti l'unica parrocchia del territorio viadanese a non appartenere alla diocesi di Cremona. Le chiese costituiscono una vera e propria pinacoteca sia di opere locali, che di provenienze diverse. Percorrendo l'argine da occidente, si incontra per prima Cicognara, cara a Grazia Deledda e Don Primo Mazzolari, dove la chiesa di Santa Giulia custodisce importanti dipinti di scuola cremonese.

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    foto:voxorganalis.it

    Segue Cogozzo con la chiesa di San Filippo e Giacomo con buoni dipinti di artisti locali. A Viadana sorge la chiesa di Santa Maria Ass. e San Cristoforo, detta anche del Castello, che fu trasformata in quadreria da Monsignor Antonio Parazzi nella seconda metà del secolo XIX. Al suo interno sono conservate opere di varie scuole padane. Di notevole drammaticità è la "Deposizione di N.S." terracotta di influenza mantegnesca. Questo percorso artistico prosegue con la chiesa di Santa Maria Ann. con opere dei secoli XVI - XVII e la volta affrescata nel 1930 da Giuseppe Tomè. La chiesa di San Martino e Nicola rappresenta la memoria storico-religiosa della città e custodisce opere provenienti dalla Chiesa di San Giovanni Battista in Portiolo, villa sommersa dal Po e dal soppresso convento dei padri Agostiniani.

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    foto:geoplan.it

    La chiesa di San Pietro spicca per la mole e per le dimensioni interne del monumento; costruzione della prima metà del secolo XVIII, ebbe a operarvi Pietro Antonio Maggi, architetto viadanese. Di questo è anche la chiesa di San Martino cit., mentre l'oratorio di San Rocco e San Sebastiano, un tempo sede dei Confratelli neri, ne è il capolavoro. Quattro gli ordini religiosi presenti: gli Agostiniani dal 25 maggio 1444 con chiesa e convento di San Nicola da Tolentino protettore di Viadana; Minori Osservanti dal 1492; Benedettine dal 1515; Cappuccini dal 1598. Soppressi tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento, ebbero anche compiti di istruzione ed educazione e coltivarono una tradizione musicale che dalla fine del Cinquecento, portò grande fama a Viadana. Numerose ed importanti per il tessuto sociale erano le confraternite vestite, riservate ai laici.


    Va anche ricordata la comunità israelitica, la quale svolgeva le sue tradizionali attività di traffici commerciali e finanziari graditissimi ai Gonzaga per i maggiori proventi che portavano alle casse ducali e per il benessere che ne derivava alla popolazione locale.












    Volta Mantovana





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    foto:parcodelmincio.it

    IL TERRITORIO
    Il territorio del Comune di Volta Mantovana fa parte di quella vasta porzione settentrionale della Provincia di Mantova il cui paesaggio è caratterizzato dalla presenza di rilievi collinari di una certa importanza altimetrica, soprattutto se la si pone in relazione con il restante territorio quasi completamente pianeggiante.
    Tali colline sono i resti delle morene frontali del grande ghiacciaio benacense, spinte verso meridione nei periodi di massima espansione, esse fanno parte del più vasto apparato morenico italiano.


    Il territorio di Volta Mantovana è caratterizzato da una topografia estremamente variabile, in esso sono rappresentati tutti gli ambienti morfologici tipici dell'area morenica, quali le aree più rilevate dei cordoni morenici con orientamento prevalente est-ovest, le aree infossate e le incisioni scavate dall'azione erosiva dei torrenti glaciali (scaricatori secondari), le piane e le depressioni intermoreniche, le aree di risorgiva, le superfici terrazzate del Fiume Mincio che rappresenti il massimo scaricatore del grande ghiacciaio benacense ed attualmente asse idrologico principale.

    Storia Volta Mantovana


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    foto:mw1.google.com

    I primi insediamenti si possono far risalire alla fase di Polada e alla media età del bronzo, quando si formarono piccole comunità sulle colline moreniche e lungo il corso del fiume Mincio (Isolone del Mincio). Il territorio, intensamente abitato da popolazioni celtiche, non sfuggì alla penetrazione degli Etruschi ed alla colonizzazione dei Romani, come ci documentano molte testimonianze e vari reperti archeologici riferibili a quelle epoche ed ora custoditi, in prevalenza, nel museo archeologico di Cavriana. Tale situazione è dovuta alla particolare posizione geografica del territorio, posto sulle colline tra il lago di Garda e la pianura, solcato dal fiume Mincio e situato vicino alla Postumia e ai margini settentrionali della centuriazione triumvirale.

    Le origini e l'antichità Durante questi secoli ed anche dopo le invasioni delle popolazioni germaniche, gli insediamenti si svilupparono gradualmente, acquistando anche una certa consistenza e importanza tanto che a protezione dei suoi abitanti e delle loro attività economiche sorsero, probabilmente nel IX o X secolo, alcune fortificazioni. Fin dall'alto medioevo, certamente prima del Mille, si andarono strutturando quella curtis e quel castrum che tra la fine del X e gli inizi dell'XI secolo vennero inclusi nel sistema economico e difensivo della potente famiglia Canossa, che estendeva il suo dominio dalla Toscana alle colline moreniche mantovane. Con le donazioni di Beatrice e Matilde di Canossa (1053 e 1073) la corte, il castrum e le terre di Volta, nonché il borgo di Cereta, passarono tra i beni del Vescovo e dei Canonici della Cattedrale di Mantova che ne mantennero il possesso per moltissimi anni.




    La curtis e il castrum Nei secoli XI, XII e XIII il paese di Volta risulta formato dal centro fortificato, stretto attorno al mastio e difeso da una cinta di mura, dalla curtis prima canossiana e poi vescovile, dalla Pieve e da alcuni gruppi di case sorte sia dentro che attorno alle mura e lungo le direttrici di accesso al castello. Sparsi nella campagna vi sono piccolissimi agglomerati di case, fattorie abitate da coloni intenti a dissodare e far produrre la terra. In questo periodo si va organizzando come comunità distinta il paese di Cereta, con una propria chiesa e con proprie magistrature: infatti, i due borghi formano due comuni, o meglio "Communitates", e sono governati da consoli e sindaci diversi Entrambi, comunque, sono politicamente sottomessi al comune di Mantova che, alla morte della Gran Contessa nel 1115, assume il potere e la gestione politica gestione del territorio mantovano. Costretto a subire anche distruzioni e devastazioni in conseguenza delle lotte interne tra le varie famiglie nobili mantovane, Volta rimane comunque sotto il dominio della signoria dei Bonacolsi e poi dei Gonzaga, come parte integrante dello stato mantovano; unica eccezione è costituita dalla cessione, per brevissimo tempo, al dominio veneto, assieme ad altri castelli, come pegno per un prestito concesso ai Gonzaga. Questi procedono, varie volte alla riorganizzazione del centro fortificato, risistemando le mura e le torri e organizzando la difesa del territorio: nel centro fortificato risiede il vicario che controlla e amministra tutta la zona per conto dei signori di Mantova. A ricoprire questo incarico, nei primi anni del 1500 viene chiamato Giovanni Battista, di quella nobile famiglia dei Guerrieri che per molti secoli manterrà un fortissimo legame con Volta

    Monumento Volta Mantovana


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    foto:archivioscultura.blogspot.com


    IL Castello

    Sorto prima del Mille a protezione delle attività economiche e degli abitanti della zona, fu incluso nel sistema difensivo degli stati canossiani come uno dei caposaldi a difesa dei confini settentrionali. Ristrutturato più volte anche dai Gonzaga raggiunge la sua definitiva sistemazione nei secoli XIV e XV. Formato da una cinta muraria attorno cui correva un fossato, esso comprendeva, oltre alla chiesa e ad un piccolo borgo, una fortezza più interna stretta attorno al mastio e ad un'altra torre posta a sud. Fortificate sono anche le porte d'ingresso, in particolare la "porta mantovana" sulla quale si staglia un arco gotico di una certa eleganza.


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    foto:.incamminoperfrancesco.it


    Chiesetta della Madonnina a Cereta


    Nella frazione di Cereta c'è una bellissima chiesa parrocchiale ristrutturata nel 1700, con uno splendido altare in marmo intarsiato, opera dei Baroncini, celebri marmoristi bresciani:nella chiesa possiamo ammirata la pala d'altare, raffigurante S. Nicola e un dipinto di pregevole fattura del pittore settecentesco Giorgio Anselmi, raffigurante S. Luigi Gonzaga. Sorge poi in mezzo alla campagna la Chiesetta della Madonnina: edificata prima della fine del 1200, è composta da un'unica navata con facciata a capanna e tetto a capriate: l'incuria degli anni e alcuni interventi di ampliamento e sopraelevazione operati nel tempo non hanno alterato la semplicità e la linearità della struttura originaria. Sulle pareti, in parte coperto da uno strato di calce, si trova un ciclo di affreschi risalenti al 1400/1500, di indubbio interesse anche come testimonianza dell'arte popolare di quei secoli. Borghi e castelli :In alcuni borghi, nella campagna di Volta, sono rimaste delle cascine di struttura medioevale: torre, con muri spessi, volti a botte al piano terra, finestre piccole e un cortile chiuso con un pozzo per l'acqua. Sono costruite di sassi, materiale di cui abbonda il territorio morenico. Un tipico esempio è costituito dal Fienile Urangia appena fuori dal paese verso il lago di Garda.


    Chiesa Parrocchiale

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    foto:comune-italia.it

    Menzionata in un diploma di Corrado II del 31 marzo 1037, la pieve, dedicata a S. Pietro, si innalza sul colle prospiciente la pianura, entro la cinta delle mura del centro fortificato. Di stile romanico, era originariamente composta da un'unica navata; trasformata nel XV secolo, venne ristrutturata nel 1700, quando fu portata a tre navate e arricchita di cappelle e altari. Il Vergani, nel 1800 ne progetta un allungamento e una risistemazione, ma i lavori rimangono incompiuti. Solo molto recentemente e precisamente attorno al 1960 viene realizzata la nuova facciata che completa l'allungamento dell'edificio. Nella chiesa si venera il corpo della Beata Paola Montaldi (1400), giovane del luogo, morta in convento a Mantova, dopo una vita di preghiera e di penitenza..
    Nella chiesa si può ammirare il settecentesco altare maggiore, di marmo intarsiato, opera di marmoristi bresciani e diverse tele ad olio tra cui la pala dell'altare maggiore del pittore veronese Pietro Rotari (1749) raffigurante l'incontro tra la Maddalena e il Cristo nella casa del fariseo. Interessante è anche il quadro (posto sulla parete di destra della cappella della B. Paola) che raffigura l'assunzione della Vergine, attribuito al Guercino; di pregio anche altre tele, soprattutto quelle di scuola bresciana. Durante un recente restauro sono stati rinvenuti affreschi del '400/'500, staccati e collocati in una cappella di sinistra.


    Palazzo Gonzaga

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    foto:rete.comuni-italiani.it

    Il palazzo venne fatto edificare dai marchesi di Mantova Ludovico Gonzaga e Barbara di Brandeburgo come villa di campagna, verso la metà del 1400: vi lavorarono come capomastri un certo "mastro Juliano" e un "mastro Giovanni" che innalzarono la nuova costruzione sfruttando precedenti abitazioni nonchè una torre e un tratto delle mura di cinta. Passato in proprietà a Rodolfo Gonzaga e poi ai suoi figli Aluigi e Gianfrancesco, fu da questi donato il 28-2-1515 a Ludovico Guerrieri. Ristrutturato e ampliato, rimase proprietà della nobile famiglia dei Guerrieri fino alla metà del 1800, quando venne ceduto ad Achille Gonzaga di Vescovato: passa a Carlo Cavriani nel 1929 e viene acquistato, a metà degli anni '80, dal Comune di Volta che ne fa la sede municipale.
    Il palazzo ha una facciata asimmetrica con portale in pietra e due file di finestre: sui tetti si innalzano tre comignoli dalla struttura veramente originale. All'interno vi sono alcuni soffitti lignei di pregevole fattura, con decorazioni cinquecentesche; affreschi sono conservati al piano terreno ma soprattutto nelle sale del primo piano. Di particolare interesse sono gli affreschi posti sulla volta dell'abside dell'antico Oratorio dedicato alla Madonna, poi trasformato agli inizi del 1900: un'opera di indiscusso valore. Suggestivo è il giardino della villa, costruito a partire dal 1500 sulle fosse del centro fortificato e abbellito nei secoli successivi dalla famiglia Guerrieri. Nel piazzale antistante vi sono le antiche scuderie del palazzo, dove attualmente vengono allestite mostre di vari artisti e sono organizzate manifestazioni culturali.

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    foto:originalitaly.it


    I Conventi dei Francescani e delle Domenicane


    Agli inizi del 1600 sorgono a Volta due conventi: quello dei francescani, viene costruito sul mante da sera e comprende ampi locali adatti ad ospitare una ventina di religiosi, un chiostro ed una bella chiesa, ricca di altari e di quadri. Nel centro del paese, entro le mura del castello, viene invece eretto il monastero delle Orsoline: iniziato con molta difficoltà, viene gradualmente ampliato per ospitare una comunità di 20 religiose: queste assumeranno più tardi la regola domenicana diventando, nel 1731, suore di clausura. La chiesa conventuale, dedicata in origine a S. Domenico, venne iniziata nel 1626 e ristrutturata nella prima metà del 1700. Entrambi i conventi vennero soppressi alla fine del 1700: L'edificio dei Francescani passò a vari privati che ne demolirono ben presto la chiesa, mentre quello delle domenicane venne acquistato da Tullo Guerrieri nel 1813 e passò poi nel 1929 ai Venier che lo trasformarono in villa su progetto del Vergani.



    Chiesa di San Rocco e Francesco




    BAGNOLO SAN VITO









    Il territorio di Bagnolo San Vito è compreso tra i fiumi Mincio e Po, prima della confluenza dei due corsi d’acqua presso Governolo . Quindi terra e acqua sono i segni che caratterizzano l’area comunale. In centro a Bagnolo, vicino alla sede Municipale, parte una nuova pista ciclopedonale che raggiunge l'abitato di S.Biagio dopo alcuni Km tra il verde dei campi e il canale "Gherardo", fino al "Forcello".
    Il comune di Bagnolo offre vari percorsi storici e naturalistici avendo sul suo territorio ville antiche e molte zone verdi.
    Ogni percorso può essere organizzato con guida su prenotazione per gruppi fino a 20 persone.

    La Parrocchiale di SS.Vito, Modestio e Crescenzio



    Conserva un campanile romanico mentre il corpo principale è settecentesco. La chiesa è meta di pellegrinaggio dei malati di Chorea (il ballo di San Vito). Il nome deriva dal latino "balneum" cioè aquitrino dall'origine paludosa deli suoi terreni. Non è certo ma si pensa che la sua fondazione abbia origine a metà del VI secolo a.c. come conseguenza della presenza degli etruschi e in seguito dai Galli Cenomani nel 153 a.c . Testimonianze di questi insediamenti sono soprattutto a Forcello di s. Biagio ove è stato istituito un Parco archeologico. La chiesa del paese è dedicata ai Santi Vito, Modesto e Crescenzina, martiri. La chiesa risale al XVI secolo mentre il campanile e alcuni achetti con antichi fregi all'interno sono del periodo Romanico. Paese prevalentemente orientato all'agricoltura, cacci, pesca e allevamento ovini, dal XVII secolo si altalena tra il dominio austriaco a quello napoleonico. Nel 1986 rientrerà nei territori sottoposti al processo di unificazione d'Italia. A Bagnolo S. vito possiamo visitare l'Antiquarium Civico ove si trovano reperti etruschi.

    Idrovora della Travata

    Costruita tra il 1920 e il 1930 è uno dei tanti monumenti alla millenaria lotta dei mantovani con l'acqua

    Il Forcello


    Per la posizione strategica ha portato gli etruschi a stabilirsi su una piccola isola sul Mincio, per commerciare agevolmente le mercanzie greche e celtiche: l’abitato etrusco del Forcello (sesto secolo a.C.) si trova presso San Biagio, frazione di Bagnolo, ed è considerato di grande rilevanza, in quanto probabile prima fondazione della città di Mantova. L’università di Milano svolge periodicamente importanti campagne di scavo e avanzate ricerche scientifiche. I reperti archeologici sono conservati presso l’Antiquarium di Bagnolo.


    Territorio limite tra acqua e terra, Bagnolo offre al visitatore altre testimonianze di interesse, riguardanti soprattutto l’impegno dell’uomo nel governo delle acque: si segnalano i manufatti idraulici presso l’isola Matildica (con la bella torre medioevale) e l’impianto idrovoro “tardo liberty” della Travata.

    Parco archeologico di Bagnolo San Vito

    A pochi km a sud est di Mantova, sorge intorno ai resti di un importante abitato etrusco di VI-IV sec a. C..

    Gli scavi archeologici condotti nel sito dal 1981 ad oggi, con la direzione scientifica del prof. de Marinis dell'Università degli Studi di Milano, hanno portato alla luce, anno dopo anno, una piccola porzione di questo abitato, ma con una lunga sequenza stratigrafica, articolata in otto fasi insediative principali.




    Il progetto del Parco Archeologico, nasce dall'esigenza di salvaguardare almeno una porzione dell'abitato dagli insistenti e distruttivi lavori agricoli e al fine di valorizzazione e divulgare i risultati scientifici conseguiti con gli scavi.



    Le scoperte effettuate nell'abitato etrusco del Forcello, la cui ricchezza ed importanza sono già da lungo tempo note in ambito scientifico, hanno finalmente un efficace strumento per essere messe al servizio della divulgazione e della didattica.
    Il primo lotto di lavori, conclusosi nel settembre 2004, ha interessato la costruzione di strutture di accesso all'area, una sala multimediale, una sala laboratorio per i ricercatori e alcune postazioni coperte per i futuri centri di animazione e atelier di archeologia sperimentale.

    Il secondo lotto di lavori, che si conclude con l'inaugurazione del 29-30 settembre 2006, ha previsto l'allestimento degli atelier con pannelli didattici, l'attivazione della sala multimediale con apparecchiature idonee e la ricostruzione di un forno per la cottura della ceramica e di un telaio, esemplificativi delle attività artigianali attestate al Forcello.
    La visita al parco Archeologico del Forcello prevede una parte introduttiva nella quale i visitatori potranno avvicinarsi, con l'ausilio di pannelli didattici, alla storia dell'Etruria padana e dell'abitato del Forcello in particolare. All'interno degli atelier si potrà quindi osservare una ricostruzione del telaio e all'esterno del forno per la cottura dei vasi, entrambi realizzati sulla base delle testimonianze archeologiche e anch'essi corredati da pannelli didattici.

    Per le scuole, di ogni ordine e grado, saranno inoltre attivi laboratori su vari temi inerenti le attività artigianali al tempo degli etruschi e sul mestiere dell'archeologo. Inoltre visitando il Parco nei periodi di apertura dello scavo, sarà possibile assistere al lavoro sul campo e di inventariazione dei reperti, da parte dell'equipe di archeologi dell'Università degli Studi di Milano.


    Museo Civiltà Contadina


    Il museo racchiude centinaia e centinaia di oggetti relativi al mondo contadino locale del secolo scorso. Collocato tra la zona indrustriale e la città della moda, il museo è visitabile su prenotazione.


    bagnolo-museo
    foto:ecomuseorisofiumipaesaggio.it


    Oltre alla storia del secolo passato, Bagnolo offre anche la storia degli antichi Etruschi grazie al sito archeologico del Forcello.
    Tale località, nel territorio del Comune di Bagnolo, è un'importante sito archeologico sede di una innominata città Etrusca del VI secolo a.c.
    Periodicamente studenti ed esperti di archeologia dell'università di Milano svolgono esercitazioni e visite.


    VILLA LUISA



    Villa Ottocentesca di linee neorinascimentaliPregevoli le decorazioni all'esterno, la grande scalinata di accesso e tutt'intorno il grande parco con piante secolari corona questo luogo.
    Stile: neorinascimentale
    Visite a richiesta




    VILLA RIVA BERNI




    Villa Riva Berni è una villa seicentesca di proprietà della nobile famiglia dei marchesi Riva-Berni di Mantova, già di proprietà della famiglia Lanzoni. La villa sorge a Bagnolo San Vito (MN) nel cuore dell'agro mantovano. La villa è costruita in stile barocco, con influenze giuliesche, edificata nel XVII secolo, è stata recentemente oggetto di un restauro conservativo. Il giardino all'italiana antistante la villa ne fa apprezzare la sontuosità e la bellezza, dietro la Villa sorge un maestoso parco. Ad un'estremità del muro di recinzione è posta la cappella privata dedicata alla Vergine Assunta con una maestosa pala d'altare coeva all'edificazioen della stessa. Il complesso padronale è caratterizzato da due ampi scaloni di accesso alla porta principale. La parte superiore della facciata è decorata con bassorilievi in cotto che riproducono luoghi mantovani, simili a quelli presenti sulla facciata "Casa del Rabbino" in Via Bertani a Mantova. Dal 1995 al 1999 è stata la prima sede ufficiale del "Parlamento del Nord".




    Edited by gheagabry1 - 5/3/2024, 17:48
     
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    grazie
     
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  8. tomiva57
     
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    Comune di San Benedetto Po


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    San Benedetto Po ha certamente origini molto antiche: alcuni scavi hanno riportato alla luce la presenza di abitazioni del IV° e V° sec. d.C. e di fondazioni ecclesiastiche anteriori al 1007. Il suo nome deriverebbe dalla fondazione del nucleo originario su di un’isola fra il Po e Lirone un antico fiume poi inglobato dal maggiore. Qui, intorno all’anno Mille, Tedaldo di Canossa creò un nuovo monastero, trasformando una più antica chiesa, e più tardi, con Matilde di Canossa, il paese conobbe un periodo felice e ricco di imprese culturali, artistiche ed economiche. Nel 1077 per volere di Gregorio VII, che lo aveva ricevuto in dono dalla Contessa, l’abbazia è riformata da Cluny. Il patrimonio artistico della chiesa abbaziale, oggi parrocchiale, è ciò che si è salvato dalle invasioni francesi e austriache. Troviamo all’interno della Basilica di S. Benedetto, riedificata nell’attuale forma da Giulio Romano, numerosi affreschi della scuola giuliesca oltre ad opere realizzate da quegli artisti che soggiornarono nel complesso monastico tra il ‘400 e il ‘700. Qui è collocata la tomba di Matilde di Canossa, le cui spoglie furono trasferite a Roma nel XVII° sec. e in alcuni ambienti del complesso il Museo della Cultura Popolare Padana che conserva ed espone una ricca collezione di oggetti demoetnoantropologici e propone un recupero dell’immenso patrimonio della tradizione popolare e dell’identità culturale della zona a sud del Po. Notevole, inoltre, l’affresco del Correggio all’interno del Refettorio. Nel territorio circostante sono di particolare interesse le corti monastiche: la corte S. Biagio, la corte di Brede, la corte di Mirasole, la corte Bonifacia, la corte Bugno Martino, la corte di Zovo, la corte Crema, la corte Vedova, la corte Bardella e la corte Gonfo. Altro edificio interessante nei dintorni è chiesa romanica di S. Maria di Valverde che risale all'XI° sec. Da S. Benedetto Po parte un interessante percorso cicloturistico che segue l’argine destro del Po e attraversa le frazioni di Portiolo, Motteggiana, Torricella e giunge a Luzzara. L’attracco fluviale del paese è il punto di partenza per escursioni in motonave verso Mantova e lungo il Po. rimane a disposizione per informazioni su: • Visite guidate ai musei civici e al complesso monastico, per singoli e gruppi.
    • Visite guidate nei percorsi tematici.
    . Laboratori didattici
    • Itinerari di visita a San Benedetto Po e dintorni
    . Ospitalità, ristoranti, alberghi, bed&breakfast e agriturismi Navigazione fluviale, Eventi e manifestazioni



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    Monumento San Benedetto


    Nel 1007, nel territorio compreso tra il Po ed il suo antico affluente Lirone, Tedaldo di Canossa, nonno della celebre Matilde, fece costruire il vasto complesso monastico di San Benedetto, dando le terre in usufrutto ai monaci benedettini.
    Papa Gregorio VII affidò il monastero alla Congregazione Cluniacense, così che, fino al 1120, gli abati arrivarono direttamente da Cluny.
    Famoso per la produzione di libri miniati e per la prestigiosa biblioteca, benemerito per aver bonificato vaste terre e per la costruzione di argini e canali, il complesso acquistò sempre maggiore importanza ed accrebbe il suo raggio di influenza sino a divenire organismo sovranazionale.
    Il Polirone raggiunse il massimo dello splendore nel '500, quando, fra gli altri, furono ospiti del monastero Martin Lutero (1510-11), Giorgio Vasari (1566), Andrea Palladio (1567), Torquato Tasso (1582), nonché Giulio Romano e Paolo Veronese che in esso lavorarono.
    Nel '600, con le guerre e la peste, iniziò il declino del monastero, finché nel 1797 Napoleone ne determinò la soppressione.
    Dalla conseguente decadenza il complesso è stato riscattato di recente, ricuperando tre chiostri, il refettorio ornato da un grandioso affresco del Correggio, l'infermeria nuova ed altri ambienti in cui sono stati allestiti un Museo dell'Abbazia ed un ricco Museo della civiltà contadina.
    Dalla decadenza si salvò la basilica, divenuta chiesa parrocchiale.
    Essa si presenta nella veste smagliante datale da Giulio Romano nel '500, a tre navate con cappelle, deambulatorio e cupola ottagonale; del secolo XVI sono anche le statue in cotto di Antonio Begarelli, lo splendido coro ligneo e la monumentale sagrestia. Vi sono annessi un piccolo museo e l'oratorio di Santa Maria, in cui si ammira il mosaico pavimentale figurato del 1151.

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    Sabbioneta

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    Piccolo ma al contempo vero gioiello del Rinascimento, il Comune di Sabbioneta con i suoi oltre 4000 abitanti si situa in Lombardia, nella provincia di Mantova da cui dista 30Km; ha una superficie di 38 chilometri quadrati per una densità di circa 113 abitanti per chilometro quadrato.
    Le origini del suo nome vanno ricondotte alla sabbia pulita che ha sostituito quella che un tempo era un'umida palude.
    Vespasiano Gonzaga, ricordato per essere il fondatore di Sabbioneta, volle che questa presentasse i tratti della città perfetta e riuscì nell'impresa nell'arco di 35 anni creando una sorta di piccola Roma, luogo che lui stesso da soldato aveva strenuamente difeso; vi tracciò l'impianto urbano e le mura e il suo ricordo permase anche dopo la sua morte.
    L'economia si basa sull'agricoltura e sulle industrie alimentari; se fate un salto a Sabbioneta potrete coniugare i piaceri della gola (con le molte specialità gastronomiche che questa cittadina offre) a quelli dell'occhio (gli artisti che vi hanno lavorato hanno prodotto dei veri e propri capolavori).

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    Storia di Sabbioneta
    Le origini di Sabbioneta
    I primi insediamenti in quella zona dove sarebbe stata edificata Sabbioneta risalgono al I secolo a.C., come testimoniano i reperti archeologici ritrovati nel suo sottosuolo.
    Fu contesa dalle famiglie cremonesi Persico e Dovara per passare infine sotto la diretta giurisdizione del Vescovo di Cremona; nel 1371, dopo una lunga serie di vicessitudini che vide implicata anche la famiglia Visconti di Milano, fu definitavamente conquistata dai Gonzaga di Mantova.
    L'artefice della sua fondazione fu Vespasiano Gonzaga che la edificò tra il 1556 e il 1591, data della sua morte; per lui Sabbioneta avrebbe dovuto, e così di fatto fu, una fortezza con un'avanzata struttura difensiva contro le mire espansionistiche dello stato della Chiesa e il Ducato di Mantova.
    A succedergli furono la figlia Isabella e suo marito Luigi Carafa. Finì sotto diverse signorie fino a che, in seguito alla cacciata dei Gonzaga di Mantova, venne unita a Guastalla e passò sotto il diretto dominio asburgico nel 1799; dall'anno successivo entrò nel Regno di Italia e durante il periodo della Restaurazione fu annessa al Lombardo Veneto. Con l'Unità di Italia venne assorbita nel Regno di Italia.


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    ....fine ..strada dei sapori e dei vini mantovani..



    Edited by tomiva57 - 27/5/2011, 19:07
     
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  9. gheagabry
     
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    “Per questa sera mi sarei già potuto trovare a Verona, ma a pochi passi da me c’era questo maestoso spettacolo della natura, questo delizioso quadro che è il lago di Garda, ed io non ho voluto rinunciarvi; mi trovo generosamente compensato di aver allungato il cammino”. “Con che ardente desiderio vorrei che i miei amici si trovassero un momento qui con me per poter gioire alla vista che mi sta innanzi”.
    (J. W. v. Goethe, 12 Settembre 1786)



    IL LAGO DI GARDA




    Quando la natura decise di creare il lago di Garda, non lesinò certo le sue energie e dalla sua tavolozza estrasse tutti i colori di cui disponeva. E li distribuì, a piene mani, ora sulle colline ora sulla montagna. Li distribuì nelle cangianti tonalità degli azzurri delle acque, li distribuì nelle mille varietà di colori della ricca e rigogliosa vegetazione. Ogni stagione, tutte le stagioni hanno sul lago di Garda il loro fascinoso libro dei colori da squadernarci davanti agli occhi, riempiendoci di emozioni e sensazioni sempre nuove e diverse.




    ..........la storia..........



    La storia del Garda ha inizio con le prime genti che popolarono l'Italia; sulla sponda di questo lago, infatti, si trovano caverne primitive e cospicui resti di palafitte sia sotto la Rocca di Garda, come a Lazise, a Pacengo e a Peschiera. Nel 225 a.C. gli eserciti romani passarono il Po, sconfissero i Galli Insubri, soggiogarono il territorio e vi fondarono le loro prime colonie. Di questo periodo non si hanno notizie sicure. Le prime notizie appartengono al 15 a.C., anno in cui Augusto diede mandato ai suoi luogotenenti di sottomettere i Reti trentini che si erano ribellati. In quell'anno i Romani con navi da trasporto attraversarono il lago...Con il dominio di Roma ebbe nuovo impulso anche la vita economica e sociale: i Romani, infatti, costruirono le strade: principali fra tutte la Gallica e la Claudia Augusta.Col decadere dell'impero romano, anche il territorio lacuale subì le vicissitudini delle invasioni e delle guerre. Prima Odoacre e poi Teodorico fecero sentire la loro sovranità ed agli Ostrogoti si opposero i Bizantini, guidati da Belisario e poi da Narsete. Nel 568 i Longobardi guidati dal re Alboino s'impossessarono di gran parte del territorio italiano che fu diviso in 36 ducati e, tra questi quello che comprendeva le città e i territori di Verona, Brescia e Trento. Nel 774, con la disfatta di Desiderio, ultimo re dei Longobardi, sottentrò il dominio di Carlo Magno, re dei Franchi, che divise il territorio veronese in distretti giudiziari retti da un giudice o gastaldione. A Verona poneva la sua reggia Pipino, il primogenito dell'imperatore, che visitò il Lago spingendosi sino a Malcesine. Col cessare della dinastia carolingia l'Italia, ed anche le varie contee, cercarono di riconquistare l'indipendenza ed elessero proprio re Berengario, duca del Friuli che pose la sede in Verona. In questo periodo, avvenne la terribile invasione degli Ungari, onde la necessità di innalzare fortificazioni nuove e di rinforzare le preesistenti. Dopo Berengario la corona d'Italia passò ad Ugo di Provenza e poi al di lui figlio Lotario che, nel 947, sposerà Adelaide di Borgogna. Lotario fu avvelenato dal proprio tutore, Berengario duca d’Ivrea, il quale inoltre imprigionò Adelaide nella rocca di Garda perché aveva rifiutato di sposare Alberto, figlio ed erede di Berengario stesso..... Il dominio visconteo durò diciassette anni e – dopo la breve parentesi dei Carraresi – nell’anno 1405 ebbe inizio il dominio veneziano, che durò ininterrotto quasi per quattro secoli (1405-1797). Fu il periodo aureo della storia del lago: con la saggezza politica e l’abilità amministrativa di Venezia...Il dominio di Venezia venne a cessare quando le terre del lago furono occupate dalle truppe napoleoniche (1796) cui subentrarono le austriache. Dopo il «Trattato di Luneville» (1801) la «Gardesana dell'Acqua» fu incorporata nella Repubblica Cisalpina e poi nella Repubblica Italiana (1802). Alterne vicende seguirono sino al «Trattato di Parigi» (1814) col quale ebbe origine il Regno Lombardo-Veneto sotto il dominio dell’Austria.





    ......miti e leggende........



    Vi sono luoghi attorno ai quali la fantasia popolare fa nascere leggende e miti e nel tempo li tramanda rivestendoli di suggestioni che ne accrescono il fascino. Il lago di Garda, già bello di suo, di quel fascino di cui la solarità mediterranea lo ha dotato, ha visto fiorire innumerevoli leggende, ispirate a personaggi mitologici e a santi, a protagonisti della storia, o a figure della più semplice e ordinaria quotidianità. Costruendo quasi una trama che, come in un itinerario, conduce ai luoghi più intriganti del paesaggio gardesano, quasi a una riscoperta del territorio in modo magicamente nuovo. Luogo più facile da raggiungere dal lago che via terra è l'eremo campestre di San Sivino che sorge sulla dorsale costiera tra Moniga e Manerba del Garda. Qui, nello stipite della porta è murata la pietra che porta incisi una mano, una croce ed un piede, memoria di quel patto che attorno al 1200, come vuole la leggenda, il mugnaio Marco che attraversava un difficile periodo, strinse con il diavolo che gli promise ricchezza e benessere.
    Poco oltre, percorrendo la riviera occidentale, quasi ai piedi della Rocca di Manerba, è l'Isola di San Biagio, o dei Conigli, come più comunemente è conosciuta, che ricorda d'una leggendaria attraversata camminando sulle acque dell'abate Ermoaldo che intese così dimostrare la sua innocenza di fronte alle accuse ingiustamente rivoltegli.
    Forse un po' meno leggendaria è la vicenda che dà il nome al "Prà de la fam", il prato della fame, oltre l'abitato di Gargnano, in territorio di Tignale, a livello del lago di Garda. Qualche casa, una trattoria, un porticciolo, una serra di limoni, un torrente che sfocia lì presso e un impervio sentiero fiancheggiato di cipressi che sale erto sul monte, fino al paese. Si narra di pescatori che sorpresi dalla bufera, una di quelle improvvise bufere di cui il Garda è capace, ed impossibilitati di far ritorno al porto da cui erano partiti, la barca capovolta e distrutta, finirono spinti su quella spiaggia all'epoca isolata e deserta. E qui rimasero esausti, infreddoliti e senza cibo per più giorni, fino a quando dal lago di Garda non furono avvistati da altri barcaioli che li trassero in salvo quando ormai disperavano per la loro vita.
    Si potrebbe, proseguendo, sostare a Campione, in quello che dall'Ottocento è stato, fino a qualche decennio fa, il paese fabbrica, oggi in via di trasformazione, regno di surfisti e velisti. Qui, secondo una antica leggenda si sarebbe ritirato in romitaggio Erculiano, che in precedenza era stato vescovo di Brescia. Ed avendo una sera, al termine di un periodo di digiuno, chiesto al suo fedele servitore di andare a pescare un pesce che avrebbero poi condiviso per la cena, il servitore se ne tornò con quattro bei carpioni che subito mise a cuocere sulla graticola. Ma per l'eremita quei carpioni erano troppi così diede ordine di tenerne uno e di ributtare in acqua, benché già abbrustoliti gli altri tre che come toccarono l'acqua tornarono in vita, guizzarono via veloci e scomparvero.
    Più mito che leggenda quello che si racconta circa l'origine del nome di Limone sul Garda. Figli del dio Benaco e della ninfa Fillide, Limone e Grineo erano due giovani amanti della vita e ribelli ad ogni freno che non volevano saperne dell'agricoltura e della pesca cui il padre li aveva destinati. Preferivano dedicarsi alla caccia scorazzando sul Baldo ad inseguire orsi, cinghiali, cervi e daini. Accadde che un cinghiale uccidesse il giovane Limone e la madre Fillide ottenuto un prodigioso medicamento dalle foglie e dalle radici d'una pianta dai fiori turchini raccolta sulle pendici del monte Baldo, riusci a riportarlo in vita. Il giovane Limone, sotto la guida della madre, si dedicò interamente all'agricoltura, ponendo la sua dimora in una località situata sulla sponda di fronte al Monte Baldo, curando in particolare la coltivazione del frutto che da lui prese il nome. Quanto al fratello Grineo che per volere del padre si dedicò alla pesca scelse come punto di partenza per la sua attività un luogo più a sud a cui diede il suo nome, trasformatosi nel tempo in Gargnano.
    Doppiato il Sommolago e raggiunto Malcesine, da Cassone, chi abbia voglia di inerpicarsi sui fianchi del monte Baldo tra ulivi e boschi, camminando per circa due ore raggiunge l'eremo dei santi Benigno e Caro. Secondo la leggenda i due eremiti che vivevano in solitudine cibandosi di erbe, frutti selvatici e latte di capra, erano accuditi da una santa donna che viveva in una grotta vicina. La cosa destò malevole insinuazioni da parte degli abitanti del paese. Invitati a giustificarsi davanti al vescovo di Verona, per non presentarsi da lui a mani vuote seminarono nella notte delle rape raccogliendone i frutti il mattino successivo. Ma delle loro miracolose virtù e della santità della loro vita diedero prova davanti allo stesso vescovo appendendo i loro fradici mantelli ad un raggio di sole che entrava da una finestra.
    Non poteva non ispirare leggende e fantastiche narrazioni uno dei luoghi più belli del lago, Punta San Vigilio, dove lo Scoglio della Stella sarebbe la pietrificata testimonianza d'un amore non corrisposto tra il giovane Vigilio, nipote del dio dei boschi Fauno e la ninfa Stella, punita così dall'irato amante. E infine, la Rocca di Garda, così come la sua dirimpettaia Rocca di Manerba, con la sua storia e le sue leggende fu in tutti i tempi fonte di ispirazione per scrittori e poeti. E certo è la leggenda della regina Adelaide qui rinchiusa e tenuta prigioniera ad avere massima popolarità.



    C'era una volta un lago, e uno scolaro un po' somaro, un po' mago,
    con un piccolo apostrofo lo trasformò in un ago.
    "Oh, guarda, guarda - la gente diceva - l'ago di Garda!"
    "Un ago importante: è segnato perfino sull'atlante".
    "Dicono che è pescoso. Il fatto è misterioso: dove staranno i pesci, nella cruna?"
    "E dove si specchierà la luna?" "Sulla punta si pungerà, si farà male..."
    "Ho letto che ci naviga un battello". "Sarà piuttosto un ditale".
    Da tante critiche punto sul vivo mago distratto cancellò l'errore,
    ma lo fece con tanta furia che per colmo d'ingiuria,
    si rovesciò l'inchiostro formando un lago nero e senza apostrofo.
    (Gianni Rodari)





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  10. tomiva57
     
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    SOLFERINO


    Solferino prende il nome da un ruscello, il Sulfero, che scorreva ai piedi del paese e si gettava nel Mincio. E' un paese ricco di storia e di tradizioni religiose. Nel territorio è stato trovato vario materiale risalente all'età del ferro. Nell'anno 1016 fu costruita la grande torre che ancora oggi domina il paese. Durante il medioevo ha mutato signoria molte volte a causa della sua posizione strategica in quanto al centro del sistema difensivo costituito dalle colline che si aprono verso la pianura.
    Ogni anno si ricorda l'epica battaglia del 24 giugno 1859 avvenuta tra i Franco-Piemontesi e gli Austriaci, nella quale ci furono molti morti, i cui resti sono pietosamente raccolti nell'Ossario. Tra i volontari soccorritori vi era anche un giovane genevrino Henri Dunant che, sconvolto da tanto orrore, maturò l'idea di fondare la Croce Rossa.
    I solferinesi sono molto legati alle loro tradizioni storiche e si impegnano con coraggio nella difesa e nella protezione della bellezza dell'ambiente
    La parrocchiale è dedicata a San Nicola di Bari; secentesca, già cappella del palazzo dei Gonzaga. Nell'arredo c'è una pregevole pala settecentesca del Santo, quadri della stessa epoca, un'icona bizantina di provenienza russa raffigurante la discesa dello Spirito Santo.








    Solferino, Museo del Risorgimento


    Museo del Risorgimento- Solferino e San Martino Il Museo Risorgimentale di Solferino, che sorge ai piedi del viale che porta all’antica chiesa di San Pietro in Vincoli, oggi Ossario, è stato fondato nel 1931 e ospita, nelle tre sale che lo compongono, documenti, cimeli, armi e quadri riferiti alla battaglia del 24 giugno 1859 e al Risorgimento in generale. Nella prima sala, oltre al busto di Gaudenzio Carlotti di Cavriana e ad un ritratto ad olio di Carlo Alberto, si trova un ritratto del fondatore della Società Solferino e San Martino, conte Luigi Torelli.
    Nelle due grandi vetrine documenti, armi, elmetti e buffetterie riferite al periodo del Risorgimento. La vasta sala centrale è quella dedicata ala battaglia di Solferino. Vi si trovano infatti i ritratti dei generali francesi (opera di G.Carlini) che vi parteciparono ed i cannoni, l’uno a canna liscia del tipo in dotazione sia all’esercito piemontese che a quello austriaco, l’altro a canna rigata usato per la prima volta dai francesi sul campo di battaglia di Solferino. La sala ospita inoltre due importanti dipinti: uno di Carlo Bossoli che ritrae il Castello e la Rocca di Solferino, l’altro di Malerba e Salvadori riproducente l’assalto degli Zuavi al colle della Rocca. Due grandi vetrine ospitano le divise degli Zuavi e quelle austriache. Particolarmente toccanti sono i libricini di devozione e i libretti militari rinvenuti nell’opera di disseppellimento dei caduti. Nella terza sala infine un ritratto della famiglia imperiale francese, un ritratto ad olio di Garibaldi, armi e documenti molto interessanti.



    La Cappella Ossario, posta nella zona bassa del paese, all’interno dell’omonimo parco ed a cento metri circa dal museo, è la più antica chiesa del paese. Dal giugno 1870 adibita a Ossario custodisce circa 7.300 resti dei soldati degli eserciti francese e austriaco. Alle pareti molte corone in ferro battuto, risalenti al giorno del memorabile funerale avvenuto il 24 giugno 1870, data in cui dai comuni limitrofi, dopo un’opera che durò parecchi mesi che mise in luce i resti di coloro che combatterono la tragica battaglia, qui vi convennero le spoglie dei Caduti.
    La Rocca fu eretta nel 1022 come torre di guardia sulla collina più alta dell’Anfiteatro morenico del Garda. In seguito restaurata, nel 1870 fu adibita a museo. Percorrendo le rampe di legno, vero capolavoro di carpenteria, si sale sulla terrazza panoramica, dalla quale, in giornate molto serene, si possono vedere le Prealpi, le prime montagne degli Appennini e un vasto territorio della pianura padana. All’interno sono custoditi piccoli cimeli, quadri, carte topografiche della battaglia, riproduzioni di quadri d’autore e stampe d’epoca.


    Il Memoriale della Croce Rossa Internazionale fu eretto nell’anno del centenario della battaglia. Conserva ricordi del suo fondatore, Henry Dunant, e le piastre marmoree con incisi i nomi delle nazioni che fanno parte della più grande associazione umanitaria del mondo. Da questo monumento, in occasione dell’anniversario della battaglia, delegazioni provenienti da tutto il mondo arrivano per partecipare alla nota “Fiaccolata della pace” che vuole ricordare il soccorso dato dalle donne di Solferino e Castiglione delle Stiviere ai soldati feriti e il loro cammino alla ricerca di cure per le loro ferite.




    LA Battaglia di Solferino e San Martino è un episodio militare del nostro Risorgimento, di enorme rilievo a beneficio dell’unificazione e indipendenza nazionale, verificatosi il 24 giugno 1859. Le forze alleate di Francia e Regno di Sardegna, 118.600 uomini, al comando dell’imperatore Napoleone III e di Vittorio Emanuele II entrarono in conflitto armato non previsto nei pressi di Mantova con le truppe austriache, 120.000 uomini, capeggiate dall’imperatore Francesco Giuseppe. Lo scontro fu veemente e incessante per quattordici eterne ore, superiore alla battaglia napoleonica di Waterloo; Cecco Beppe, schiacciato da tre fronti, resosi conto della carneficina, 22.000 dei suoi e 17.300 alleati, ordinò infine la ritirata.
    Forse fu il furioso temporale, pareva l’ira di Dio, scatenatosi sul campo, che influenzò la decisione dell’imperatore. Il nostro complice francese Napoleone, pur vincitore ma atterrito dalla strage, si adattò all’armistizio di Villafranca. Jean-Henry Dunant, aggirandosi nel campo di battaglia fra i lamenti degli agonizzanti, fu allora che concepì l’idea della Croce Rossa.
    Occorre però ricordare che tutto il merito della vittoria, come accade ancora sovente in ogni esercito, è da assegnare esclusivamente ai ragazzi combattenti, poiché, almeno nelle file sabaude, i trentanove alti ufficiali fecero di tutto per vanificare le loro potenzialità strategiche e tattiche catturati da eccessivo individualismo. \…\ Sono venuto su questi campi di Lombardia – aveva detto il Presidente Ciampi nel 2001 – dove si è combattuta una delle battaglie che hanno fondato la Nazione. Uomini con storie, provenienze diverse si trovarono a combattere per una stessa bandiera, disposti a rischiare tutto per costruire l’Italia. La passione di quella generazione era arricchita dal senso di responsabilità, formatosi sulla conoscenza della storia e della nostra cultura. Ne sono testimonianza i tanti studenti universitari che hanno combattuto e sono morti. I patrioti italiani furono coraggiosi – mai violenti – perché avevano ideali. Erano pronti a rischiare tutto per il bene comune\…\. Oggi, affannarsi nello schierarsi tra gli egoismi di parte inneggiante alla secessione, vuol dire per davvero buttare nel c**, insieme al tricolore, le ossa di quei poveri giovani, nostri padri.
    La storia si omologa, non c’è scampo finché l’umanità continua a esaltare le risposte mondoquestistiche. Il significato di straordinaria positività e il valore operativo dei nostri figli caduti in Iraq, in Afganistan, non si attenueranno mai, pur tra le odierne e future recriminazioni su queste guerre.

    (testo su gentile concessione per Stato dallo studioso e pensatore critico Ferruccio Gemmellaro)
    da:statoquotidiano.it



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    Sarca/Mincio
    Da Wikipedia



    Regioni
    Trentino-Alto Adige
    Veneto
    Lombardia

    Lunghezza 194 km complessivi di cui:
    Sarca: 78 km. lago di Garda: 41 km. Mincio: 75 km

    Portata media 60 m³/s

    Bacino idrografico
    2.859 km²

    Nasce (Sarca) Pinzolo
    (Mincio) Peschiera del Garda

    Sfocia Po presso Governolo

    Il Sarca/Mincio è un importante fiume dell'Italia settentrionale, ultimo affluente di sinistra del Po, che attraversa il Trentino-Alto Adige, il Veneto e la Lombardia.






    Descrizione
    Il fiume è diviso in due tratti distinti dal Lago di Garda che hanno anche denominazioni diverse: Il Sarca (78 km) immissario del lago ed il Mincio (75 km) emissario. La lunghezza complessiva dell'asse fluviale Sarca/Mincio, includendo anche il tratto interno al Lago di Garda lungo 41 km, è di 194 km il che ne fa l'undicesimo fiume italiano per lunghezza, dopo il Reno. Così viene classificato sulla maggior parte della letteratura geografica coerentemente alla convenzione universale secondo la quale la lunghezza di un'asta fluviale che attraversa un lago si misura sommando il tratto immissario, quello emissario e quello interno al lago. Il caso del Sarca/Mincio, tuttavia, è singolare, poiché esiste una nettissima differenza fra le caratteristiche idrauliche e morfologiche del corso del Sarca e quelle del Mincio propriamente detti, in quanto, a parte le pendenze medie dell'alveo e ovviamente la morfologia del territorio attraversata, è il regime idraulico ad essere completamente diverso: sotto molti aspetti si tratta dunque di due fiumi ben distinti, assai più differenziati di quanto non accada per i corsi immissari ed emissari dai rispettivi laghi prealpini nel caso di Ticino, Adda e Oglio. Infatti, mentre il Sarca ha un regime sì alpino ma essenzialmente torrentizio (con massime portate nella primavera e nella prima parte dell'estate a causa dello scioglimento dei ghiacciai e accentuate magre in inverno), il Mincio è caratterizzato da un regime idraulico assai regolare in virtù del fondamentale ruolo di volano idraulico svolto dal Lago di Garda e dai tre laghi mantovani.



    vista invernale del fiume Sarca nei pressi di Dro


    Il Sarca


    vista invernale del fiume Sarca nei pressi di Dro

    Il Sarca (detto anche, al femminile, la Sarca), nasce in Trentino a Pinzolo (770 m s.l.m.), dalla confluenza, quasi a squadro, del Sarca di Campiglio (proveniente dalle Dolomiti di Brenta), del Sarca di Nambrone (che nasce a 2.612 m s.l.m. dal Lago Vedretta sotto il Gruppo della Presanella) e del Sarca di Genova (proveniente dal Lago Scuro a 2.668 m s.l.m. sotto la Punta di Lago Scuro facente parte del gruppo della Presanella). Da notare che l'ultimo ramo viene alimentato anche, dopo appena 2 km, da un altro ramo minore proveniente dal Lago Nuovo, situato sotto al ghiacciaio del Mandrone (gruppo dell'Adamello) e che, secondo la maggior parte della letteratura geografica, è considerata la vera sorgente dell'asta fluviale Sarca/Mincio.
    Percorre la Val Rendena fino a Tione di Trento con andamento circa N-S, poi, con andamento E-O, attraversa le Giudicarie esteriori entrando, dopo un corso assai tortuoso ed incassato (a volte in vere e proprie anguste gole, come quella della Scaletta e quella del Limarò), nel Lago di Garda presso Torbole sul Garda. Il suo percorso di più bassa quota definisce la cosiddetta valle del Basso Sarca. La lunghezza reale è di 60 km da Pinzolo, ma aumenta a 78 km se si calcola sul ramo della Sarca di Genova, in quanto la sua sorgente è quella più distante dalla foce. La superficie di bacino imbrifero preso la foce nel Lago di Garda è di 1.291 km².
    Nel tratto interno al Lago di Garda affluiscono nel bacino anche alcuni torrenti, soprattutto da destra in quanto la sponda di sinistra del lago è dominata quasi totalmente dalla lunga catena del Monte Baldo che, incombendo quasi verticale sul lago, non consente la formazione di convalli sufficientemente ampie ed articolate da poter generare bacini idrografici di apprezzabile rilevanza. Tra i corsi degni di nota di questo versante v'è il Fiume Aril con lunghezza di soli 175 metri che sfocia a Cassone di Malcesine.
    Importante per l'afflusso idrografico il fiume Magnone sulle cui sponde sorge Riva del Garda e che presso la località di Varone forma un imponente cascata alta ben 108 metri. Importante è anche il torrente Albola, noto anche come Gamella, che confluisce nel Magnone a pochi metri dalla foce nel Garda.
    Merita menzione anche un torrente che nasce presso Ledro (detto nell'alto corso torrente Massangla e nel basso corso Ponale) che forma il Lago di Ledro (2,1 km² di superficie, 48 m di profondità) e che, un tempo, prima dello sfruttamento idroelettrico, formava la Cascata del Ponale, alta oltre 30 metri.





    Mincio a Valleggio sul Mincio

    Il Mincio

    Uscito dal Lago di Garda presso Peschiera, il Sarca muta nome in Mincio prendendo a scorrere prima tra le colline moreniche del Garda fino a Valeggio sul Mincio poi nella Pianura Padana con un certo dislivello (da Peschiera a Goito 34 m in 28 km), bagnando lungo il suo corso inferiore la città di Mantova, dove forma tre piccoli laghi (Superiore, di Mezzo e Inferiore). A sud della città entra nel Po come affluente di sinistra presso Governolo, dove è regolato da alcune dighe per consentirne la navigazione.
    Tra le località attraversate dal fiume v'è da ricordare: Ponti sul Mincio, Monzambano, Valeggio sul Mincio, Volta Mantovana, Goito, Marmirolo, Porto Mantovano, Rivalta sul Mincio, Grazie di Curtatone, Curtatone, Virgilio, Bagnolo San Vito e Roncoferraro. Presso il comune di Valeggio il fiume attraversa Borghetto sul Mincio, dove esiste un canale artificiale costruito per deviare l’eccesso d’acqua del fiume in caso di piena. Per rallentare il flusso del canale, prima del ritorno nel Mincio, si costruirono due scivoli ad imbuto con interposta una vasca di contenimento. Da citare che questo punto del fiume è pericolosissimo tanto che vi hanno perso la vita parecchie persone (l'ultimo incidente mortale risale al 25/06/06). L’imboccatura di tale canale artificiale infatti appare ingannevolmente per chi è in navigazione come il proseguimento naturale del Mincio, mentre in realtà il percorso originario del fiume passa attraverso la chiusa di uno sbarramento che sembra una diga, spesso in parte chiusa alla navigazione.



    Il fiume è navigabile con imbarcazioni piccole dal Lago di Garda ai Laghi di Mantova e da questi fino all'immissione nel Po anche con imbarcazioni pesanti (bettoline), in località Borghetto molta attenzione va dedicata ad una deviazione pericolosa
    Il corso in Pianura Padana fino al Lago Superiore è caratterizzato dal non essere arginato, questo perché è al centro in una ampia depressione rispetto al livello della pianura circostante detta Valle del Mincio (valle di pianura)
    Dal Lago di Garda fino a qualche chilometro a monte di Mantova scorre in suoli marcatamente calcarei, caratteristica unica nella Pianura Padana, queste concrezioni calcaree sono chiamate dagli agricoltori bambole o castracan .
    Nel periodo etrusco probabilmente il Mincio si univa con il Tartaro e sboccava nel Mar Adriatico nella fossa Filistina , in epoca romana fu fatto confluire nel Po con tre rami da Mantova ad opera di Quinto Curio Ostilio (Quinto Curio Hostilio), successivamente riuniti in un tronco unico arginato nel 1198 su progetto di Alberto Pitentino e regimato il suo corso con diverse dighe (Ponte dei Molini e sbarramento di Governolo) per renderlo navigabile, per evitare che la Città di Mantova fosse inondata dai regurgiti del fiume Po in piena e per migliorare la qualità dell'aria.


    Chiusa di Governolo


    In particolare il Ponte dei Molini è una vera e propria diga tra il Lago Superiore ed il Lago di Mezzo, fondamentale nel creare il lago Superiore. Al tempo della creazione del Ponte il salto d'acqua era di circa 3 metri e veniva utilizzato per azionare numerosi mulini per gli opifici situati sul ponte stesso, ad oggi il dislivello complessivo tra Lago Superiore ed Inferiore è di circa 5 metri.
    Fino alla fine del 1700 creava 4 laghi con al centro la città di Mantova: Lago Superiore, Lago di Mezzo, Lago Inferiore e Lago Paiolo oggi non più esistente, inoltre da Curtatone si staccava un ramo che dopo essersi sdoppiato all'altezza di Montanara entrava in Po poco a monte di Borgoforte. L'area così delimitata dai Laghi di Mantova, da questi rami del Mincio e dal Po aveva una alta valenza di protezione militare e veniva chiamata il Serraglio.



    Prima di entrare nei laghi di Mantova il Mincio curva bruscamente verso Est, tale piega è parallela all'anticlinale di Piadena ed è probabilmente dovuta allo spostamento di questa faglia.
    Regime idrico
    Il Sarca presenta un modulo medio annuo a Torbole (in corrispondenza dell'immissione nel Lago di Garda) di circa 30 m3/s su base annua che in realtà non è affatto disprezzabile ma lo scarto fra portate minime e massime a causa del suo carattere torrentizio può variare anche di 20 volte.
    Da precisare che gli altri affluenti che s'immettono direttamente nel lago forniscono il contributo differenziale, ma con regimi torrentizi misti, di tipo alpino/subalpino.
    Il Mincio invece, con una portata minima assoluta 30 m3/s, una massima di 150 m3/s e un modulo medio annuo di 56,8 m3/s presso Peschiera del Garda (i dati, misurati all'uscita del Lago di Garda sono praticamente gli stessi che si hanno alla foce, in quanto il fiume non riceve più affluenti di rilievo nel tratto in pianura), è un fiume assai regolare e anzi, sicuramente il più regolare fra gli affluenti di sinistra del Po, con scarti di sole 5 volte fra la portata massima e quella minima.
    Circa il 60% dell'intera portata del Fiume viene deviato nel Canale Scaricatore di Mincio a Pozzolo e a Marengo di Pozzolo nel Canale Fossa di Pozzolo (Bonifica Fossa di Pozzolo).
    La portata del Mincio è inoltre influenzata anche dal ruolo assunto negli ultimi decenni dal Lago di Garda quale occasionale collettore dell'Adige a seguito della costruzione della galleria Adige-Garda. Tale galleria, lunga 9873 metri, si stacca dall'Adige in località Mori e termina nel lago a Torbole ed è capace di una portata di 500 m3/s. Essa viene usata solamente in casi eccezionali come canale scolmatore - ad esempio è stata usata in occasione della piena del 2001 - ed ha la funzione di salvaguardare dalle inondazioni la città di Verona e tutto il basso corso del secondo fiume italiano.



    Citazioni

    Il Mincio è citato diverse volte da Virgilio, nelle Georgiche, nell'Eneide e nelle Bucoliche, nelle Georgiche lo descrive come ingens, ossia immenso, enorme. Tito Livio nella raccolta di libri sulla storia di Roma parla del Mincio e di Mantova. Come per il fiume Secchia vengono probabilmente descritte antiche vicende idro-geologiche:
    (LA)
    « primus ego in patriam mecum, modo uita supersit,
    Aonio rediens deducam uertice Musas;
    primus Idumaeas referam tibi, Mantua, palmas,
    et uiridi in campo templum de marmore ponam
    propter aquam, tardis ingens ubi flexibus errat
    Mincius et tenera praetexit harundine ripas. » (IT)
    « »
    (Verg. Georg. III, 10-15)


    (LA)
    « Ille etiam patriis agmen ciet Ocnus ab oris,
    fatidicae Mantus et Tusci filius amnis,
    qui muros matrisque dedit tibi, Mantua, nomen,
    Mantua diues auis, sed non genus omnibus unum:
    gens illi triplex, populi sub gente quaterni,
    ipsa caput populis, Tusco de sanguine uires.
    hinc quoque quingentos in se Mezentius armat,
    quos patre Benaco uelatus harundine glauca
    Mincius infesta ducebat in aequora pinu. » (IT)
    « »
    (Verg. Aen. X, 198-206)


    Tito Livio racconta del Mincio nella Decade III, Libro III, della raccolta Ab Urbe condita libri:
    (LA)
    « Mantuae stagnum, effuso Mincio amni cruentum visum » (IT)
    « »
    (Tito Livio, Decad III, L.III, XX, vv. 73-81)


    Anche Dante Alighieri cita il Mincio nell'Inferno:
    (IT)
    « Ivi convien che tutto quanto caschi
    ciò che 'n grembo a Benaco star non pò,
    e fassi fiume giú per verdi paschi.
    Tosto che l'acqua a correr mette co,
    non piú Benaco, ma Mencio si chiama
    fino a Governol, dove cade in Po.
    Non molto ha corso, ch'el trova una lama,
    nella qual si distende e la 'mpaluda;
    e suol di state talor esser grama. » (IT)
    « »
    (Dante Alighieri, Inferno, XX, vv. 73-81)




    Altro

    Il Mincio attraversa una zona di confine fra Veneto e Lombardia e presso le sue rive sono avvenute molte delle grandi battaglie e altri importanti eventi storici risorgimentali.
    Nelle vicinanze del suo corso si trovano importanti industrie pesanti e raffinerie, in particolare in prossimità di Mantova.
    Nel 1984 è stato costituito il Parco regionale del Mincio.



    Parco regionale del Mincio


    Il Parco regionale del Mincio è un'area naturale protetta della Lombardia situato nella provincia di Mantova. Interessa la valle del fiume Mincio, dal Lago di Garda alla confluenza col Po.


    Storia

    Il Parco del Mincio è stato istituito grazie alla legge regionale n. 47 datata 8 settembre 1984. Giuridicamente è un consorzio di Enti locali.
    Territorio
    Il Parco ha un'estensione territoriale molto ampia, circa 16.000 ettari tra cui spiccano la Riserva naturale Complesso morenico di Castellaro Lagusello, la Riserva naturale Bosco Fontana, la Riserva naturale Vallazza e la Riserva naturale Valli del Mincio.
    Spazia dalle colline moreniche alla pianura terrazzata, dalla zona meandriforme a paleoalvei al complesso dei laghi di Mantova.
    Un'eccezionale varietà di situazioni, in cui si trovano anche notevoli elementi architettonici ed artistici, tra cui il Santuario di S. Maria delle Grazie, la palazzina di caccia di Bosco Fontana e numerose ville dei tempi dei Gonzaga.
    Il territorio del Parco è attraversato dalla pista ciclabile Mantova-Peschiera, che si snoda per quasi 40 km, gran parte dei quali in sede propria con tratti non asfaltati, costeggiando il corso del fiume Mincio.
    Comuni
    Vi fanno parte i Comuni di Mantova, Ponti sul Mincio, Monzambano, Volta Mantovana, Goito, Marmirolo, Porto Mantovano, Rodigo, Curtatone, Virgilio, Bagnolo San Vito, Roncoferraro e Sustinente.





    Edited by gheagabry1 - 5/3/2024, 17:05
     
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