FATE..FOLLETTI..ELFI e GNOMI....

UN MONDO FANTASTICO

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  1. gheagabry
     
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    La ninfa delle farfalle

    ... Met si alzò molto presto quella mattina per andare a raccogliere funghi, uscì di casa che era ancora buio. Decise di cercare nella zona dello stagno. Non c'era mai stato lì, era abbastanza lontano dalla sua piccola dimora estiva, sulla collina. Ogni tanto sentiva il bisogno di passare una giornata in modo diverso, sentiva l'esigenza di immergersi nei colori, nei suoni e nella spensierata libertà della natura. Giunse nei pressi del piccolo laghetto continuando a frugare sotto le foglie secche aiutandosi col bastone. Non aveva raccolto ancora nulla, ma non si preoccupò più di tanto. Quella dei funghi era solo una scusa, era lì per riposare. Un riposo fisico, ma soprattutto un riposo dei sensi... Tutti.
    Improvvisamente un inaspettato frusciare delle foglie di un albero attirò la sua attenzione. Strano evento quello. Non vi era neppure un fil di vento quella mattina e l'acqua dello stagno rifletteva il cielo a specchio rilasciando un effetto adamantino. Pensò ad uno scoiattolo o comunque ad un abitante del bosco. Decise di avvicinarsi.
    - Che strana forma ha il tronco di quell'albero. Si direbbe... il corpo di una fanciulla. -
    Pensò fra sé. Ma gli era impossibile attribuire tutta quella perfezione alla sola casualità della natura. Anche l'effetto generato dalla rugiada che avvolgeva tutto il tronco, colpita dai primi raggi del sole, sembrava irreale. Una miriade di gocce che riflettevano un luccichio animato, ponevano in essere quasi una rottura con la normale armonia della natura. Stava avvenendo qualcosa irreale, di magico.
    Lui si fermò all'istante e trattenne il fiato per alcuni secondi. Voleva illudersi che quello strano sfavillio era dovuto al suo spostamento che ne determinava un diverso riflesso riprodotto dai raggi del sole. Ma si sbagliava. Al contrario, col trascorrere del tempo l'intensità delle luci aumentò così tanto che quel tronco speciale pareva prender vita. La sua paura prevalse sulla curiosità, gli tremavano le mani. Lasciò cadere il cestino e il bastone per poi scappare a nascondersi dietro ad una vicina roccia. Un fremito innaturale scosse tutto l'albero provocando la caduta di alcune foglie, e poi di nuovo il silenzio. Stranamente una splendida farfalla gli sfiorò il viso. Aveva dei colori bellissimi che si stemperavano fra di loro col batter delle ali, generando un effetto straordinario. Era diretta verso quell'albero, ma non era la sola. Altre due, cinque... Decine e decine di farfalle una più bella dell'altra accorsero da tutte le direzioni per riunirsi intorno a quell'albero, come api attratte dal miele. Non aveva mai assistito ad una danza di farfalle, era ben consapevole che si trattava di un evento fuori dal comune.
    ... E il tronco prese vita, o meglio: una vita trasparì dal quel tronco, che ora ritornò con le sue originarie forme. Era una donna bellissima, con due grandi occhi che solo a posarne lo sguardo si rimaneva incantati. Aveva dei lunghi capelli color castano che ne ricoprivano gran parte del petto e nell'insieme formavano una splendida cornice per il suo volto, rendendolo ancora più affascinante. Dapprima la parte inferiore del suo corpo era arabescata come un tronco d'albero. Ma dopo alcuni passi si rivelò per intero nella sua forma umana, con un lungo vestito particolarmente verde che ne richiamava la natura fiabesca. La sua bellezza così indescrivibile faceva passare in secondo piano quanto di più bello potesse esserci in quel postò già di per sé fantastico.
    Era una Driade. Una ninfa abitatrice dei boschi. Si dice che quelle essenze di vita così straordinarie, passino quasi tutta la loro esistenza con gli alberi che le ospitano. Da un vicino cespuglio sbucarono due piccoli cerbiatti che si avvicinarono a lei senza alcun timore. Pochi saltelli per ritrovarsi davanti ai suoi piedi e poi giocare col suo lungo vestito. Lei si chinò, prese qualcosa dall'interno di un sacchetto che aveva in una mano e lo diede da mangiare ai suoi piccoli amici.
    - Perché... Aver paura di colei che sa solo amare? -
    La sua voce risuonava di melodia suscitando benessere e serenità a chi aveva la fortuna di darle ascolto.
    - Loro sono più deboli ed indifesi di te, eppure si sono avvicinati. Sa... Vivere qui non consente di conoscere l'odio e la cattiveria. Non sarei mai in grado di fare del male... -
    Quella voce così rassicurante gli fece allontanare tutte le paure. Così trovò il coraggio di mettersi in piedi ed avvicinarsi. Lentamente.
    Alla sua vista i due cuccioli si allontanarono spaventati lasciando i due giovani, così diversi fra di loro ma probabilmente così eguali, soltanto in compagnia delle farfalle che per nulla infastidite continuavano a danzare.
    - Ma... Sei bellissima! Come ti chiami? -
    Le chiese con tono di voce timido e spaventato. Lei allungò la mano per invitarlo ad aiutarla per rialzarsi. Era evidente che non ne aveva bisogno, ma era un modo per dargli più sicurezza. Sorrideva...
    - Come mi chiamo? Che cosa strana... Mai nessuno mi ha posto questa domanda. Noi driadi comunichiamo in modo diverso con il resto delle creature della natura, ci basta soltanto il pensiero per comprenderci. Parlare con gli umani si, ci è concesso. Ma solo con quelli nobili di animo, e tu lo sei. Ecco perché ho deciso di mostrarmi a te. In questi secoli della mia giovane esistenza, ho avuto non poche occasioni di parlare con umani, ma non ne sentivo l'esigenza. Con te invece è diverso, hai qualcosa di speciale nello spirito. Dal nostro incontro nascerà qualcosa di positivo, lo sento... Avere un nome. Il mio. Nessuno mai mi ha chiamata, dammelo tu un nome se credi che sia giusto averlo. -
    Stringendo la sua esile mano, continuava a fissarla negli occhi. Era incantevole. Per lui, distogliere l'attenzione da quello sguardo sarebbe impossibile. Una bellezza così perfetta che neanche il miglior artista sarebbe stato in grado di dipingere o scolpire.
    - Mell... Mi piacerebbe sentirti chiamare così, se in futuro qualche altro uomo avrà la fortuna di parlare con te. -
    - Mell, mi piace... E così sia. Ora anche io ho un nome, e tutto ciò mi fa sentire più vicina a voi umani. -
    Lasciò cadere il sacchetto per prendere l'altra mano del suo nuovo amico. Sorrideva Mell, divenendo inevitabilmente ancora più bella. Passarono tutto il giorno insieme, intorno al laghetto. Mell gli insegnò i profumi, i colori, i segreti e la vita di ogni piccola creatura che abitava quella parte del bosco.
    - Mell è stata molto felice di averti conosciuto, ma ora devo andare. -
    Lentamente la parte bassa del suo vestito riprendeva, con leggero rilievo, gli arabeschi di tronco d'albero. Il sole stava per tramontare. I suoi raggi che riuscivano ad infiltrarsi fra i rami degli alberi del bosco, formavano come delle tende di luce che quasi racchiudevano i due amici in una soprannaturale intimità.
    - Sei una persona meravigliosa, cerca di trasmettere la tua nobiltà d'animo a tanti uomini, finché ti è possibile. Madre natura si sta ammalando, purtroppo... I miei amici del bosco dicono che è stata colpa di voi umani. Ma ora questo non ha importanza. Tutti noi abbiamo bisogno di persone come te per cercare di guarirla. Non è tardi... -
    - Dolce Mell, potrò mai un giorno rivederti? -
    - Rivedermi? Non c'è necessità che tu venga qui per rivedermi. Oggi ti sei illuso di toccarmi, ma vedi... Io sono fatta di spirito. Spirito un po' magico che sicuramente è presente anche dentro di voi umani. Basta saper riconoscere che fa parte del vostro essere. Se desideri così tanto rivedere Mell, inizia a guardarti intorno. Soprattutto quando senti il bisogno di credere in qualcuno. Guardale dentro le persone, fino in fondo al proprio animo. Troverai tante e tanti Mell che hanno bisogno di te e anche tu avrai bisogno di loro. Aiutali a cambiare, tu già lo stai facendo... Non è tardi! -
    Gli diede un bacio sulle labbra e sparì all'interno della corteccia, mentre il tronco riprese le sembianze di un'incantevole fanciulla. Tutte le farfalle diedero fine alla magica danza e pian piano fecero ritorno da dove erano venute. Il giovane raccolse il cestino ed il bastone per poi prendere il sentiero che lo conduceva a casa, senza voltarsi indietro.
    - Seguirò il tuo consiglio Mell. -
    Disse fra sé. Però da quel momento non fece altro che desiderare così tanto di diventare un albero... uno in particolare.
     
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  2. gheagabry
     
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    fata%20richiamo

    Dai luoghi selvaggi venite o fate

    e per qualche istante a questa terra badate;

    venite danzanti dall'irreale collina

    per risvegliare il potere e compiere

    la volontà divina;

    nel mio giardino gioite e danzate,

    possa la sua terra pullulare di fate!

    Erbe, fiori, piante del giardino,

    liberate ogni spirito divino!

    Brillio ovunque sfere di luce fluttuanti

    dalle terre degli Elfi belle e lucenti.

    Fate, accogliete il patto che vi detto,

    di onorarvi e trattarvi con rispetto!

    ("Parola di Fata"- Claire Nahmad)

     
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  3. gheagabry
     
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    Quello che vorrei

    non appartiene

    al regno delle cose.

    Vorrei respirare il vento

    seduto sulle colline

    la mattina presto

    mentre tutto attorno

    è ancora silenzio.

    Vorrei farmi sedurre

    dalla voce del mare immobile

    lasciare che la marea

    mi corteggi

    avanzando lentamente.

    Vorrei dimorare

    sulla vetta più alta

    illudendomi di poter

    accarezzare il cielo.

    Vorrei camminare senza meta

    raccogliendo pezzi di me

    strada facendo.

    Quello che vorrei non appartiene

    al regno delle cose.

    (dal web)

     
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  4. gheagabry
     
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    FAVOLA

    Federico Garcia Lorca



    Unicorni e ciclopi.

    Corni d'oro

    e occhi verdi.

    Sulla scogliera,

    in ressa gigantesca,

    illustrano lo stagno

    senza vetro del mare.

    Unicorni e ciclopi.

    Una pupilla

    e una virile potenza.

    Chi dubita dell'efficacia

    tremenda degli unicorni?

    Nascondi i tuoi bersagli,

    Natura!

     
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  5. gheagabry
     
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    1226071620219_tinkerbell_scene_29



    ...Favole...


    Un mondo infantile
    d'elfi
    di fate
    di streghe,
    narrato
    su tronchi di legno
    e bevuto
    dall'innocenza
    di occhi attoniti.
    Ero condotta per mano
    in luoghi inesistenti,
    nei prati ricamati sui lenzuoli
    ed il principe azzurro
    aspettavo
    sopra bianchi cavalli...
    Grido di civetta sinistro,
    latrato di volpe cacciata.
    Diventai principessa
    milioni di volte
    in barba
    al destino ignoto,
    tra lampade magiche,
    orchi mostruosi e
    gnomi burloni.
    Sono tempi lontani,
    finiti,
    coperti di polvere,
    ma il c'era una volta
    può riaprire la storia!!!


    FG-donna_farfalla_4

     
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  6. gheagabry
     
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    I guriùz
    (provincia di Udine )



    Sono gli spiritelli curiosi e molto spesso molesti che da sempre abitano i luoghi meno accessibili della Valle di Paularo. Il nome degli stranissimi personaggi, forniti della facoltà di rendersi invisibili, deriva dal latino: curiosus. Dedicano il loro tempo libero nel seguire ogni attività dei laboriosi abitanti della lussureggiante vallata, molto spesso intralciando il loro lavoro, organizzando dispetti e furti a danno degli ignari valligiani. Vivono in piccoli gruppi in strette e profonde grotte, celate lungo i dirupi che affiancano i rii: Turriee, Tamôsjas, Malinfièr, il Pic di Pala, La Busja di Cacèl, Cjarandauàrc, tra le forre delle Cjaràndas, delle Ruvisjàtas, di Strangois, negli anfratti inaccessibili del Monte Serenâ (Monte Sernio), del Monte Salincjee ed in altri siti della Vallata del Chiarsò.
    Il loro aspetto è tutt'altro che gradevole; gli adulti non superano i sessanta centimetri d'altezza e la descrizione che gli anziani di Paularo fanno delle loro membra sgraziate, invoglia i bambini in ascolto a deridere queste loro caratteristiche fisiche: attenti che spesso la reazione di questi esseri evanescenti può diventare pericolosa, introducendo nei sogni di questi fanciulli spaventose figure di "orcolàts" ed orribili "streghe".
    I guriùz si alimentano con i prodotti spontanei del territorio: fragole, lamponi, mirtilli, noccioline e svariate verdure che, molto spesso, rubano nei campi coltivati dagli abitanti del luogo. Le persone più anziane di Ravinis, il panoramico villaggio che sovrasta il Capoluogo, assicurano che i capienti magazzini dei guriùz, sistemati nei punti più asciutti delle loro caverne, conservano abbondanti scorte d'ogni specie di sementi per il loro fabbisogno, ma anche a garanzia del patrimonio genetico a disposizione dell'umanità e di tutte le specie viventi, in caso di grosse carestie. I nostri simpatici personaggi non si cibano mai di carne, neppure durante i rigidi inverni. Sono profondi conoscitori della natura che li circonda, fanno largo uso d'erbe officinali e di prodotti naturali per curare ogni loro malanno. Nelle loro dimore si dedicano all'alchimia e a riti propiziatori che dedicano al dio Beleno, protettore dei boschi e della selvaggina.
    Si racconta che la grappa, un pregiato distillato nell'Incarojo, è una loro scoperta e che. durante le celebrazioni folcloristiche della "Femenàta" e delle "Cidulas" la loro presenza invisibile porti grande scompiglio tra la gente festante, a causa delle loro sonore sbronze di grappa. I piccoli esseri, presi da un'incontenibile euforia, inciampano sovente, urtando gli ignari spettatori che finiscono a terra per una causa a loro sconosciuta; spesso tra il pubblico c'è chi, scherzosamente, invita gli sfortunati spettatori a prestare attenzione ai guriùz!
    I minuscoli ambientalisti della Valle di Paularo sono in continua lotta con un altro mitologico personaggio del luogo: il "Maltòn", uno scontroso dannato costretto a scavare per l'eternità i fianchi franosi dell'irruente Rio Orteglàs. I nostri minuscoli ecologisti intervengono quotidianamente al ripristino dei danni provocati dal furibondo demolitore.
    I nostri guriùz amano profondamente la musica e si racconta che "La Stajare", un famoso saltarello friulano, sia il loro ballo preferito.
    Tutti gli sposalizi celebrati nei religiosi villaggi del Chiarsò fruiscono della loro invisibile presenza e: guai se la coppia di sposi non organizza, a proprie spese, il "Ballo Nuziale", con accesso libero a tutti gli abitanti del Canale; se la regola non viene rispettata "Gli sposi non avranno figli maschi! "
    I guriùz sono anche i garanti "amministratori" dell'intero patrimonio del nostro territorio: boschi, torrenti, fauna, flora, miniere ancora nascoste, ed anche dei numerosi reperti archeologici ancora celati in questo meraviglioso "Angolo di Paradiso".



    IL BOSCO SUSSURRA
     
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  7. gheagabry
     
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    LO GNOMO LUCILLO



    Lo gnomo Lucillo è originario dell'Inghilterra. Fa parte della famiglia degli Gnomi contadini, è molto riservato e solitario, ama prendersi cura dei bambini e fare scherzi innocenti. Lucillo diventa invisibile, conosce i pensieri degli uomini e si trasforma in zucca. Vive nei solai pieni di ragnatele, tra vecchi libri, oppure nei campi dove si coltivano le zucche e in dimore sotterranee.
    Nei mesi che precedono la festa di Halloween, questo piccolo Gnomo non ha un attimo di sosta: fa arrivare dai giardini e dai campi di tutto il mondo le zucche più strane e grandi e studia nuovi disegni e decorazioni con cui intagliarle. Lucillo è riconoscibile per il grande cappello arancione decorato alla sommità con una foglia. Il suo portafortuna è una piccola zucca che porta sempre con sè. Lo Gnomo si fa aiutare dagli amici Elfi per realizzare addobbi per la festa.

    Talvolta capita che Lucillo si diverta ad imitare le api, diventa piccolo piccolo e vola con loro di fiore in fiore. Lo Gnomo regala enormi mazzi di fiori rossi, alle fanciulle più belle che partecipano alla festa. Anche quando dorme Lucillo lascia sempre accesa sul comodino una candela. Porta sempre con sè una campanella, si dice che ogni volta che se ne senta il suono si potrà vedere esaudito un desiderio. Sembra che questo strano Gnomo si faccia vedere solamente nei giorni precedenti o immediatamente successivi alla festa di Halloween, per poi scomparire misteriosamente. Si dice, però, che i bambini che hanno paura del buio possano chiedere aiuto allo Gnomo che provvederà a portare loro un po' di rassicurante luce.




    dal web
     
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  8. gheagabry
     
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    LE FATE DELLA MUSICA

    C’era una volta (ma in realtà c’è ancora!) una magica Valle, nascosta agli esseri umani, che può essere raggiunta solo da persone capaci di guardare con il cuore oltre che con gli occhi; è una Valle speciale, nella quale è possibile udire migliaia di belle melodie, che aleggiano nell’aria come foglie portate dal vento. È la Valle della Musica.
    Questa Valle meravigliosa è abitata da migliaia di minuscole fate colorate dalle ali di farfalla. Ogni volta che una fatina si sposta volando sbatte le ali, e questo movimento produce una melodia dolce e delicata, oppure vivace e frizzante, o ancora calma e rilassante. Proprio così: ogni fata è accompagnata da una musica che la caratterizza, prodotta dal suo frenetico batter d’ali, che la rende riconoscibile in mezzo a tante altre fate. Ogni fatina è unica, e unica e speciale è la musica che l’accompagna.
    Puoi quindi immaginare quanto sia meraviglioso passeggiare nella Valle della Musica, immersi tra fiori, colori e fantastiche melodie.
    Ogni primavera la Valle della Musica è attraversata da un’ondata di eccitazione: bisogna organizzare la Grande Festa di Primavera, durante la quale nascono le nuove fate della musica, che escono dai fiori appena sbocciati; inoltre viene scelta la fata la cui musica accompagnerà l’arrivo della bella stagione sulla Terra! Tutte le fate desiderano essere la Fata Prescelta, poiché si tratta di un grande onore: la Prescelta deve volare per il mondo insieme alle fate della Primavera, e risvegliare con la melodia prodotta dal suo batter d’ali tutti i fiori, le piante e gli animali.
    Tutte le fate si esercitano con impegno in vista della Grande Festa, e nel frattempo si danno un gran daffare per preparare i festeggiamenti.
    Anche quell’anno la Valle della Musica era in gran fermento! Fate che svolazzavano qua e là, fate che trasportavano bacche e nocciole, fate che trascinavano vasi ricolmi di succo di more e miele.
    In mezzo a tanto viavai quasi nessuno si accorgeva di una piccola fata dall’aria piuttosto triste, che anziché volare si limitava a camminare, senza mai battere le ali. Come mai? Eppure aveva due belle alucce argentate, brillanti di polvere fatata, che è un po’ come la polverina speciale che si trova sulle ali delle farfalle.
    Si trattava di Cora, nata l’anno precedente da una magnifica margherita, che appena uscita dal suo fiore aveva messo in subbuglio l’intera Valle! Come mai? È presto detto: il suo battito d’ali non generava una bella melodia, ma un rumore inaudito! Tutte le fate erano costrette a tapparsi le orecchie quando lei passava loro accanto, per questo Cora aveva smesso di volare: non voleva disturbare nessuno con tutto il chiasso che riusciva a produrre. Piano piano si era ritrovata da sola, un po’ perché non era in grado di stare dietro alle sue compagne, che grazie al volo riuscivano a spostarsi molto più velocemente di lei, un po’ perché non aveva una musica che la distinguesse. Cora si sentiva sola, ma non sapeva davvero che cosa fare.
    Quella mattina la piccola Cora stava passeggiando sconsolata nei pressi di un ruscello: era molto annoiata, perché non riusciva a rendersi utile nei preparativi per la Grande festa di Primavera, e si sentiva un po’ triste perché era esclusa dalla gara per diventare Fata Prescelta. Era tanto assorta che quasi non si accorse dell’arrivo di una delle fate più importanti della Valle: Pitia, la Fata della Parola.
    Il compito di Pitia era molto importante: sceglieva le giuste parole da accompagnare alla musica della Fata Prescelta, cosicché tutte le Fate della Primavera, incaricate di portare la nuova stagione sulla Terra, potessero cantare sulla sua melodia. Un lavoro piuttosto difficile, a dire il vero, ma che Pitia portava a compimento ogni anno con precisione… e con un sorriso.
    Quando Pitia vide Cora, triste e sconsolata, le si avvicinò e le disse:
    “Ciao, se non sbaglio tu sei Cora, vero?”
    La fatina sobbalzò, colta di sorpresa, e poi sgranò gli occhi rendendosi conto che la Fata della Parola si ricordava di lei. Incredibile!
    “Sai chi sono?”
    “Certo! Ricordo anche che tu possiedi una capacità molto particolare…”
    Cora fece spallucce e rispose:
    “Altro che particolare! Sono la fata più rumorosa che esista, non posso volare senza produrre una serie di suoni fastidiosi e chiassosi! In effetti, finisco per rimanere sempre da sola.”
    “Capisco…”
    “Davvero?”
    “Certo! Non è piacevole essere soli. Eppure… fammi pensare…”
    Pitia aggrottò le sopracciglia e picchiettò il piedino sull’erba, riflettendo. Le dispiaceva vedere le fate tristi o di cattivo umore, e in questo caso in particolare desiderava restituire a quella fatina sconsolata un po’ di gioia. Cora la fissava intimorita, senza osare aprire bocca: era già incredibile che la mitica Fata della Parola si ricordasse di lei, anche solo sperare che potesse aiutarla le pareva troppo!
    Tutto ad un tratto Pitia esclamò:
    “Trovato! Vieni con me!” e spiccò il volo. Subito Cora le gridò:
    “Aspetta, dimentichi che io non posso volare!”
    L’altra si voltò e le rispose:
    “Ma certo che puoi! Coraggio, per una volta le altre fate potranno sopportare un po’ di baccano! Andiamo!”
    Cora fece un profondo respiro e via! Si alzò in volo, accompagnata dal solito rumore. Molte fate si voltarono a guardarla, alcune con disapprovazione, ma lei cercò di non notarle e tirò dritto per la sua strada, seguendo Pitia.
    Giunsero in poco tempo ad una grande quercia, forse la più antica della Valle, i cui rami appena mossi dal vento producevano un fruscìo tanto dolce da sembrare una canzone. Atterrarono ai piedi dell’albero, e Cora quasi sospirò di sollievo nel momento in cui il chiasso prodotto dalle sue ali cessò. Le due fate camminarono svelte per un breve tratto, e giunsero ad una piccola casetta seminascosta tra le radici nodose. Pitia chiamò dolcemente:
    “Siria, ci sei?”
    Dopo pochi secondi una graziosissima fata si affacciò alla porta, quasi stupita di ricevere visite.
    “Ciao Pitia! Come mai da queste parti?”
    “Ti ho portato qualcuno: Siria, lei è Cora.”
    Le due fatine si guardarono incuriosite, e si salutarono educatamente. Poi però si voltarono verso Pitia, senza capire: perché la Fata della Parola aveva voluto farle incontrare?
    “Sentite, mi è venuta un’idea: Cora non può volare perché appena batte le ali produce un gran rumore, per lo più fastidioso per le altre fate; Siria invece non può volare, perché è nata senza ali, e quindi anche lei non ha una musica che la contraddistingue.”
    Solo in quel momento Cora notò che Siria effettivamente non aveva ali. Si dispiacque moltissimo per lei, e le lanciò uno sguardo carico di simpatia, cui lei rispose con un timido sorriso.
    “Mi è venuta in mente un’antica formula magica capace di legare gli opposti per creare un’ Unione Perfetta. Vorrei provarla con voi! Non capite? Se tu, Cora, produci rumore, e tu, Siria, non sei in grado di emettere nessun suono, insieme potreste creare qualcosa di unico e perfetto!”
    Le due fatine parvero riflettere per un attimo, ma appena capirono le intenzioni di Pitia i loro visini s’illuminarono all’istante! Si presero per mano e dichiararono:
    “Siamo pronte!”
    Pitia si schiarì la voce, sollevò le braccia ed esclamò solenne:
    “Ciò che è chiaro non è scuro,
    ciò che è grande non è piccolo,
    ciò che è alto non è basso;
    ma se guardi con il cuore
    scoprirai senza timore
    che non c’è ombra senza luce
    e non c’è Luna senza Sole.”
    Ci fu un gran bagliore, che avvolse le due fatine, e poi svanì, senza lasciare traccia. Cora e Siria si guardarono incerte, poi fissarono Pitia. Siria chiese titubante:
    “Dovrebbe capitare qualcosa?”
    La Fata della Parola sorrise e rispose:
    “Perché non provate a volare?”
    “Ma io non ho ali!”
    “E io faccio troppo rumore!”
    Pitia scosse una mano con noncuranza ed esclamò:
    “Vi basterà tenervi per mano. Coraggio!”
    Cora e Siria si strinsero la mano, saltarono… e riuscirono a spiccare il volo! Cora notò con gioia che il suo rumore, regolato dal silenzio di Siria, non era più così assordante, era anzi quasi piacevole, e Siria si accorse che grazie alle ali di Cora poteva volare anche lei! Un’unione perfetta!
    Così anche Cora e Siria poterono prendere parte ai preparativi per la Grande Festa, e poterono volare a piacere in giro per la Valle, senza disturbare nessuno. Pitia le osservava felice, soddisfatta di essere stata utile alle due piccole, dolcissime fate. Lei, che era una Fata della Parola, riusciva a sentire nel rumore di Cora e nel silenzio di Siria ciò che per le altre fate era impossibile udire: la musica dell’amicizia.
    Quell’anno ci fu una Festa di Primavera grandiosa, come non se ne vedevano da anni! Perché finalmente nella Valle della Musica c’era spazio per tutti: per la musica, come per il rumore e il silenzio.
    Antonella Arietano

     
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  9. gheagabry
     
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    FATE & FOLLETTI


    by DandDDigitalDelights

    La mia mente
    si tinge di sogno oggi,
    alberi azzurri,
    prati rosa,
    girasoli verdi.
    L'aria si colora di nebbia felice.
    Fate si rincorrono in volo,
    in lontananza odo
    i loro gridolini di gioia,
    hanno nomi incomprensibili,
    un linguaggio da burla.
    La mia mente
    si tinge di sogno oggi,
    cielo viola,
    nuvole magenta,
    cespugli arancioni.
    Pensieri gialli.
    Folletti birbanti
    fanno capolino
    da tronchi nodosi,
    sorridono felici,
    inseguono scherzosi i loro compagni.
    La mia mente
    si tinge di sogno oggi.
    Colori vivi
    donano l'irrealtà,
    donano la pazzia più dolce
    a questa mente
    così confusa…
    Fate e folletti.
    Si nascondono
    nelle stanze più buie e inaccessibili,
    sono come bimbi indifesi…
    ignari di tutto.





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  10. gheagabry
     
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    FATA DEI FIORI...


    ill Cicely Mary Barker

    agica Dea della fantasia, ruba dal
    libro delle fiabe disegni di folletti e fate, di ghiaccio
    e di faville d’oro. Regala mondi colorati d’arcobaleno
    e muovi una danza, al suono della tua Musica. Fata
    dei Fiori, che affondi scalza orme leggere su candida
    neve, innalza fiamme d’amore e mentre avanzi, alita
    fiori sull’immacolato manto. Fata di calde carezze di
    vento, sciogli la gelida coltre, e vola nella luce
    dell’Aurora a infuocare le lingue del sole.

    (Filodiseta)

     
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  11. gheagabry
     
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    ...Favole...
    Un mondo infantile
    d'elfi, di fate, di streghe,
    narrato su tronchi di legno
    e bevuto dall'innocenza di occhi attoniti.
    Ero condotta per mano in luoghi inesistenti,
    nei prati ricamati sui lenzuoli
    ed il principe azzurro
    aspettavo sopra bianchi cavalli...
    Grido di civetta sinistro,
    latrato di volpe cacciata.
    Diventai principessa
    milioni di volte in barba
    al destino ignoto,
    tra lampade magiche,
    orchi mostruosi e gnomi burloni.
    Sono tempi lontani,
    finiti,
    coperti di polvere,
    ma il c'era una volta
    può riaprire la storia!!


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  12. gheagabry
     
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    Spirito di Fata.

    Volerò lungo il filo d’argento.
    Mi attendono i figli
    Laggiù sui campi lontani,
    filando sulle loro rocche.
    Io sono lo spirito
    Della seta.
    Vengo da un’arca misteriosa,
    vado verso la nebbia.
    Che canti il ragno
    Nella sua tana;
    mediti l’usignolo
    la mia leggenda;



    che la goccia di pioggia stupisca
    scivolando lulle mie ali morte.
    Ho filato il mio cuore sulla carne
    Per pregare nelle tenebre
    E mi ha dato la morte bianche ali
    Ma ha accecato la fonte della seta.
    Ora comprendo il lamento dell’acqua
    Ed il lamento delle stelle
    Ed il lamento del vento sui monti
    Ed il pungente ronzio dell’ape.
    Perché sono la morte e la bellezza.
    Quel che dice la neve sul prato



    Il fuoco lo ripete;
    le canzoni del fumo dei mattini
    ripeton le radici sotto terra.
    Volerò lungo il filo d’argento;
    mi attendono i figli.
    Che canti il ragno
    Nella sua tana;
    mediti l’usignolo
    la mia leggenda;
    che la goccia di pioggia stupisca
    scivolando sulle mie ali morte.

    (Garcia Lorca)

     
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  13. gheagabry
     
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    Le belle fate
    dove saranno andate?
    Non se ne sente più parlare.
    Io dico che sono scappate:
    si nascondono in fondo al mare,
    oppure sono in viaggio per la luna in cerca di fortuna.
    Ma che cosa potevano fare?
    Erano disoccupate!
    Nessuno le voleva ascoltare.
    Tutto il giorno se ne stavano imbronciate
    nel castello diroccato ad aspettare
    che qualcuno le mandasse a chiamare.



    Girava il mondo per loro in cerca di lavoro
    una streghina piccina picciò, col naso a becco,
    magra come uno stecco,
    che tremava di freddo perché era senza paltò.
    E quando la vedevano arrivare
    si facevano tutte a domandare:
    “Ebbene com’è andata? Avremo un impiego?”
    “Lasciatemi, vi prego, lasciatemi respirare, sono tutta affannata…”
    “Ma com’è andata?”
    “Male! C’è una crisi generale.
    Ho salito tutte le scale, bussato a tutti i portoni,
    mendicato sui bastioni,
    e dappertutto mi hanno risposto che per noi non c’è posto.
    Vi dico, una cosa seria, altro che storie!
    Fame, freddo, miseria…
    La gente ha un sacco di guai:
    i debiti, le tasse, la pigione, la bolletta del gas,
    i nonni aspettano la pensione che non arriva mai…



    Chi volete che pensi a noi?
    E poi, e poi, c’è sempre per aria la guerra:
    ho visto certi generaloni,
    con certi speroni, con certi galloni, con certi cannoni
    dalla bocca spalancata…figuratevi come sono scappata.
    Per noi su questa terra non c’è posto.
    Ci vogliono cacciare ad ogni costo.
    Voi se non mi credete, fate come volete.
    Io per me, faccio il bagaglio e me la squaglio”.
    E le povere fate ve le immaginate a fare le valige?
    Per l’emozione le trecce
    della fata turchina son diventate grige.
    Il mago nella fretta si scorda la bacchetta
    e Cappuccetto perde la berretta.
    Che spavento!
    Biancaneve ha uno svenimento.



    Il castello si vuota in un momento.
    A bordo di una nuvola la compagnia se ne va…
    Dove, nessuno lo sa.
    Forse in qualche paese
    dove si sentono sicure, dove anche i generali
    vogliono bene alle fate
    e le circondano di premure perché sono così delicate.
    Allora io mi domando: torneranno? Ma quando?
    Nella selva incantata ci crescono le ortiche,
    sul naso della Bella Addormentata
    ci passeggiano le formiche,
    la porta del Castello è sempre chiusa
    e quando i bimbi chiedono una storia
    i nonni trovano la scusa che hanno perso la memoria…
    Ma allora torneranno?
    Io dico di sì.



    Sapete che si fa?
    Si va dai generali con gli stivali
    incapricciati di fare la guerra
    e si dice così:
    “Signori, per cortesia andatevene via da questa terra,
    andate sulla luna o anche più lontano
    in un posto fuori mano,
    dove potrete sparare a tutto spiano
    e non si sentirà il baccano.
    La mattina vi farete svegliare con un bombardamento
    o un cannoneggiamento, a vostro piacimento
    e di sera direte la preghiera con la mitragliatrice.
    La gente sarà più felice.
    Si potrà stare in pace tutti i giorni dell’anno,
    e di certo così le fate torneranno”.

    (di Gianni Rodari)

    ill Arthur Rackham

     
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  14. gheagabry
     
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    Leprechaun, il folletto irlandese


    Leprechaun è un folletto irlandese, chiamato anche Leith Bhrogan o con il termine irlandese Leipreachán e fa parte del piccolo popolo della mitologia irlandese. E' una figura molto diffusa in Irlanda. In italiano viene chiamato leprecauno, leprecano, lepricauno o lepricano.
    Ci sono diverse teorie sull'etimologia del nome, tra le più accreditate è quella in si dice che derivi dal gaelico moderno, dove la parola leipreachán significa "piccolo spirito", a sua volta derivato da luchorpán, cioè "spiritello acquatico". Quest'ultima parola può significare anche "mezzo corpo" o "piccolo corpo" in quanto il folletto è per metà fisico e per l'altra metà spirituali. La Oxford English Dictionary, lo fa derivare da leath bhrógan, cioè "ciabattino", perché sono spesso considerati i "calzolai fatati" d'Irlanda. Un'altra provenienza del termine potrebbe essere da luch-chromain, "piccolo storpio Lugh", dove Lugh è il nome del capo del mitico popolo gaelico dei Túatha Dé Danann.
    La parola "Leprechaun" compare per la prima volta nella lingua inglese nel 1604 nell'opera di Thomas Middleton e Thomas Dekker The Honest Whore, come lubrican. Nell'opera stava a indicare un tipo di spiritello anche se non era strettamente legato alla mitologia irlandese.
    I folletti godono di un passato tra mito e superstizione, credenze pagane ed arti magiche. I leprechaun sono considerati appartenenti al "popolo delle fate" e la tradizione vuole che abitassero l'Irlanda prima dell'arrivo dei Celti, per questo sono spesso associati a luoghi chiamati "anelli magici", ruderi di costruzioni di epoca pre-celtica.
    Popolarmente vengono rappresentati come elfi anziani, alto meno di un metro piccoli, in abito del XVIII secolo con una giacca a falde color verde smeraldo o rossa, che indossa un cappello a tricorno o un cilindro, un grembiule da lavoro in pelle, un panciotto di lana, pantaloni alla zuava, calze al ginocchio, scarpe di pelle con fibbie d'argento e redingote. Ha la barba, fuma la pipa. Innocui e schivi, vivono in solitudine in località sperdute ma, anche se sono sostanzialmente solitari, hanno un ottima capacità di conversazione. Il loro passatempo è costruire scarpe per il popolo delle fate e per sé stessi.
    Sono dediti alle burle e agli scherzi soprattutto con i ladri e le persone avare. Si dice che non possano scappare se li si guarda fissi, ma se ci si distrae svaniscono immedia-
    tamente. Comune-
    mente, il Leprechaun appare come un un minuscolo calzolaio che porta sempre con sé due borse di cuoio. Nella prima c’è uno scellino d’argento, una moneta magica che il Leprechaun fa riapparrire nella borsa ogni volta che viene spesa. Nell’altra custodisce una una moneta d’oro, che utilizza per tentare di corrompere gli umani; questa moneta solitamente, quando viene liberato, si tramuta istantaneamente in una foglia o in cenere. Lo si incontra appena prima dell’alba o poco dopo il crepuscolo. Di solito vive sottoterra o in profonde caverne mentre alcuni vivono allegramente nelle cantine di antiche e nobili famiglie, finché le cantine sono rifornite di Vino.
    Si pensa, siano estremamente ricchi e che siano soliti occultare tesori in località nascoste, numerosi tesori seppelliti durante i periodi di guerra.
    Si dice che se catturati, spesso acconsentono a rivelare l'ubicazione delle loro ricchezze ma solo a coloro che riescono a catturare e interrogare il leprechaun con domande specifiche. Ma in seguito trovano il modo di confondere chi ha ottenuto questa informazione e salvare il proprio oro in extremis. All'occasione, infatti, sanno essere subdoli e scaltri, con una mente acuta: molti racconti presentano storie di eroi umani superati in arguzia da queste creature.Molti racconti narrano della sua abilità di imitare le voci delle persone care di chi lo cattura, per distrarlo e mettersi in salvo.
    In Irlanda dicono che, quando in cielo appare un arcobaleno, a una delle sue basi sia sepolto uno dei loro tesori, perciò questi tesori sono introvabili.
    La loro simpatia, ispira gli addii al celibato e tante altre matte idee durante le varie celebrazioni che ogni anno si tengono in Irlanda.

    Il leprechaun è accomunato al Clurichaun e un'altra creatura chiamata far darrig dall'abitudine di essere un solitario. Alcuni scrittori scambiano tra loro queste creature, per raggiungere un pubblico maggiore. Il clurichaun è considerato spesso semplicemente un leprechaun alticcio. Nella mitologia folklorica europea, il Leprechaun può essere accostato al Brownie dei territori inglesi, al Tomte scandinavo, al Mazzamurello marchigiano o salentino.

    ... storie raccontate ...



    Una nota leggenda sui Leprechaun racconta di un uomo che sorprende un Leprechaun mentre lavora ad una calzatura e lo cattura. Finché non svelerà dove si trova l’oro, il Leprechaun non verrà liberato. Il prigioniero accompagna pertanto l’uomo ad un antico fortino circolare dove vivono le Fate, gli mostra una grande erba di San Giacomo e gli dice: «Scava qui sotto domattina e troverai una miniera d’oro.» «Aspetta» poi aggiunge «meglio lasciarci un segno. Prendi la mia giarrettiera e annodala attorno all’erba (di San Giacomo), così domani saprai dove scavare.» L’uomo segue le sue istruzioni e lo lascia andare, ma quando torna la mattina dopo, trova una giarrettiera rossa annodata ad ogni erba di San Giacomo del campo, praticamente migliaia di giarrettiere della stessa misura e dello stesso colore.

    Un contadino (o un ragazzo) cattura un leprechaun e lo obbliga a rivelargli la posizione del tesoro nascosto. Il leprechaun gli assicura che il tesoro è seppellito in un campo dietro una particolare pianta. Il contadino lega un nastro rosso alla pianta e strappa alla creatura la promessa che non toglierà il nastro, poi va a prendere un badile. Al suo ritorno, vede che ogni albero nel campo ha un nastro identico, rendendo impossibile il recupero del tesoro.

    Una ragazza trova un leprechaun e ottiene di sapere dove si trova il tesoro. Lo prende in mano e si fa guidare sul posto, ma all'improvviso sente un rumore alle sue spalle. Il leprechaun le urla di scappare, perché è inseguita da un nugolo di vespe, ma appena la ragazza si volta, lo spiritello sparisce nel nulla.


    ...in letteratura...


    I Leprechaun appaiono raramente nelle fiabe, e in quasi tutti i casi queste storie si incentrano su un eroe umano. Le storie sui leprechaun sono solitamente corte e collegate a particolari nomi e zone geografiche. Sono state tramandate per mezzo orale, e si caratterizzano per essere solitamente legate a situazioni informali, nonostante permanga una certa ritualità in questo tipo di racconti.
    Il leprechaun in origine aveva diverse caratteristiche a seconda della zona di provenienza delle opere. Prima del XX secolo era solitamente vestito di rosso, non di verde. Altra caratteristica tipica dei leprechaun è la borsa che portano a tracolla, che contiene un unico scellino che ricompare subito dopo essere stato speso.
    Samuel Lover nel 1831 lo descriveva come:

    « ... piuttosto elegante nel suo vestito, nonostante tutto,
    perché indossa un cappotto rosso dal taglio squadrato,
    riccamente decorato con oro, un panciotto, e incredibilmente,
    un cappello a tricorno, e scarpe con fibbie »



    Yeats, nella sua opera del 1888 dal titolo Fairy and Folk Tales of the Irish Peasantry lo descrive così:

    « È in qualche modo un elegantone,
    vestito di una giacca rossa con sette file di bottoni,
    sette bottoni per fila, e porta un cappello a tricorno,
    e nelle regioni del nord-est, secondo McAnally,
    si dice che sia solito girare come una trottola sulla punta del cappello
    quando ne trova uno della misura adatta »



    In un poema intitolato The Lepracaun o Fairy Shoemaker ,"Il leprechaun, calzolaio delle fate", il poeta irlandese del XIX secolo William Allingham li descrive come:

    « ...un elfo barbuto, rugoso e raggrinzito
    Occhiali infilati sul naso a punta,
    Fibbie d'argento alle braghe,
    Grembiale di cuoio - Una scarpa sulle ginocchia »


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  15. gheagabry
     
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    Hellenic_Words___John_Duncan___Riders_of_the_Sidhe

    "Come tutto cominciò…

    Mille e mille anni fa, una lunga schiera di uomini e donne bellissime uscirono dalle fitte nebbie che circondavano il Grande Nord. Erano i Tuatha de Danaan, gli “Uomini della Dea”.
    Saggi, forti ed esperti di magia, i Tuatha conquistarono ben presto tutta l’Irlanda. Regnarono indisturbati e felici per secoli, fino a quando arrivò dal Sud un popolo dai capelli rossi: i Gaeli.
    I Tuatha nascosero le spiagge dell’isola dietro una grande nuvola nera e scatenarono una tremenda tempesta. I Gaeli furono così ricacciati indietro, non riuscendo ad approdare. Tra le loro fila però, c’era un Druido dotato di grandi poteri magici che comandò alla tempesta di cessare. I Gaeli poterono così sbarcare sulle coste dell’Irlanda, e i Tuatha persero una battaglia dopo l’altra, passando da re e padroni, a miseri servi.
    Ma piuttosto che obbedire ai Gaeli, gli orgogliosi Tuatha preferirono scomparire e nascondersi, chiedendo aiuto al grandissimo Mago Manannan, conoscitore di tutti gli incantesimi di questo e dell’Altro Mondo. Manannan esplorò tutta l’Irlanda per cercare le colline e le vallate più verdi e più belle, affinché diventassero la dimora segreta del suo popolo, poi lo circondò fa mura invisibili, che nessuno poteva attraversare.
    I Tuatha impararono a rendersi invisibili per entrare ed uscire dal loro Regno. Da allora i Tuatha si trasformarono in creature fatate potentissime, chiamate dagli uomini Sidhe o Piccolo Popolo…"

     
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74 replies since 17/7/2010, 18:53   64715 views
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