FATE..FOLLETTI..ELFI e GNOMI....

UN MONDO FANTASTICO

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  1. gheagabry
     
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    Il fiume delle fate



    Speleologi baschi hanno trovato il Fiume delle Fate, un sotterraneo corso d'acqua dalla particolarità unica al mondo: trasporta una grande quantità di minerali, perlopiù di carbonati. Un misterioso fenomeno naturale che è chiamato anche Latte di luna (moonmilk). Antiche leggende parlano di bagni di fate e creature fantastiche.
    Il corso d'acqua è formato da una sostanza bianca e densa originata da precipitazioni di acque sotterranee con un componente che ne previene la cristallizzazione. La spiegazione tecnica è: minerali dispersi in una fase liquida, che di solito sono piccole quantità, spesso di pochi millimetri, e in forma solida lungo le pareti delle caverne sotterranee.
    Nel Paese Basco, invece, l'incredibile fiume, se illuminato da torce, scorre brillante per centinaia di metri.

    Terra mitica di giganti e altri esseri magici, il Paese Basco è stato nell'antichità centro della venerazione di divinità legate soprattutto alla Natura nel cui ventre albergava il "paradiso" dei primitivi abitanti e dove, raccontano le leggende, "i fiumi erano di latte" e vi si bagnavano dee e fate. Una delle principali divinità era Ilargi, "la luce dei morti", ovvero la Luna, che governava tutto quanto è nascosto: dalle anime fino ai luoghi segreti nelle viscere della terra. C'erano poi, e per molti ci sono tuttora, le Lamiak, le piccole fate dai piedini di uccello e i corpi di pesce che vivevano nei fiumi sotterranei o della superficie terrestre sulle cui sponde si potevano vedere mentre si spazzolavano i lucenti capelli. Ma la Grande Dea del pantheon basco è Mari, versione pirenaica della Dea Madre che fu venerata in tutta l'Europa prima dell'arrivo dei popoli indoeuropei. Mari è la regina del cielo e del mondo sotterraneo, e vive nelle caverne che sono collegate al Paradiso sotterraneo la cui entrata è segreta. Tutte le altre divinità, spiriti e fate sono in realtà manifestazioni di Mari sposata al gran serpente-drago Maju il quale, secondo la tradizione, è il capostipite di molte antiche famiglie basche.


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  2. gheagabry
     
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    La fata del torrente





    Il torrente scendeva rumoroso dalle montagne attraverso boschi verdi di grandi alberi, e si placava nei prati, al centro di una valle che in primavera ed estate si coprivano di ranuncoli e rododendri selvatici .Appoggiato alle pendici di una montagna, sempre protetto dai venti freddi, c’era un paese ; i bambini andavo al torrente a giocare con i piedi nell’acqua , le ragazze raccoglievano sassi che l’usura aveva resi lucidi come cristalli per metterli sotto al cuscino e sognare viso del loro innamorato; le donne si raccoglievano in chiacchiere , le mamme portavano i bimbi , i fidanzati sedevano sui massi tenendosi per mano, le persone che avevano perduto una persona cara portavano lì il loro dolore.

    Il torrente aveva una fata ; lei sorvegliava quello che accadeva nei pressi : i bimbi perché non si facessero male, i sogni degli innamorati ; quelli delle ragazze che raccoglievano i sassi, e, accarezzava i capelli di coloro che piangevano sulla riva del torrente mentre le lacrime correvano a valle assieme all’acqua . Aveva un amico con cui faceva lunghe passeggiate , un capriolo nato da poco che aveva chiamato Bambi , perché anche le fate vanno talvolta al cinema.Era sempre stata felice , ma ad un certo momento cominciò a sentirsi strana : il sole non le pareva più così luminoso mentre guardava i bambini e le mamme , i fiori così belli , mentre osservava gli innamorati : ma non ricuciva a capire cosa le accedesse .

    Un mattino mentre liberava una trota rimasta intrappolata in una pozza, vide arrivare un giovane che sedutosi, prese dallo zaino pane e formaggio, dell’acqua e dopo avere mangiato ripulì dalle carte e si stese con al testa sullo zaino per dormire al sole .

    La fata si avvicino con cautela : non lo aveva mai visto lì; aveva gli occhi scuri i capelli schiariti dal sole ,le mani di chi lavorava , la corporatura robusta di chi fa tanto sport .. e nel frattempo lui apri gli occhi e la vide .

    “ciao, ma non hai freddo vestita così , almeno un golfino di lana :non è ancora estate“ ma mentre parlava sorrideva.
    La fata chinò lo sguardo sul suo abito di velo lucente e si smarrì un poco ; non era sua abitudine farsi vedere .

    “ Sono uscita in fretta di casa . Sei un villeggiante ?”

    “ mi chiamo Antonio sono un intagliatore ; ho trovato un lavoro in paese e mi fermerò qui , mi pare si stia bene ; quando sono libero mi piace andare per i boschi a fare lunghe passeggiate .”

    Da quel giorno ,quando Antonio non lavorava andava nel prato e parlavano ; lui si stupiva che lei non avesse mai fame e rifiutasse le merende ; la fata temendo di essere fuori moda si era procurata un golfino fatto con fili d’erba e dei jeans su cui aveva applicato dei fiori colorati dei campi .

    Era felice ma si sentiva inquieta e ansiosa . Una sera si sdraiò sul suo materasso di erba , tirò fin sotto al mento la coperta di muschio e si accinse a leggere un vecchio libro alla luce che le offrivano gentilmente tre lucciole quando sulla pagina si proiettò un’ombra e vide lei, la fata sovrintendente .

    “ Fata madrina , è tanto che non ci si vede “
    “ vero bambina , ma ho avuto tanto da fare al consiglio delle fate , lassù “ e fece un gesto vago ad indicare un luogo ;
    “ ma ora sono dovuta venire , sono tutti in agitazione , cosa stai combinando ragazza mia ? non puoi vestirti come una umana , chiacchierare con un umano e passare tutto il tempo con lui ; stai dimenticando chi sei ?”

    “ madrina nons o cosa accade , ma io sono felice solo quando sto con Antonio e parliamo e mi racconta dei suoi progetti . Io non avrò mai una casa , dei bambini , una famiglia .”

    “ La tua famiglia è tutto quello che hai intorno ;le persone che vengono qui e affidano al bosco le loro gioie , i sogni e i dolori , che non ti vedono ma sentono che ci sei ; questa è la tua famiglia .Se andrai con lui non potrai più essere una fata , i capelli diventeranno bianchi, perderai le persone care , morirai . Bambi non correrà più con te .”

    “ ma io non posso stare senza di lui ; aiutami madrina ;”La Madrina era addolorata , ma quello che vedeva negli occhi della fata la colpì ; sospirò e..

    “ Va bene porterò il tuo caso al Consiglio delle Fate , ma ad un patto ¨per una settimana vivrai da umana , poi ci rivedremo e se sei sicura che lui accetterà la tua natura e tu sarai sicura di quello che vuoi, quando tornerò decideremo “

    La Fata al mattino si alzò e per la prima volta sentì il freddo e aveva fame ; non aveva danaro né abiti pesanti ; ma era felice .Corse nel bosco e trovò una capanna ; fece una scopa con i rami e cominciò a pulirla , poi tutta sudata si infilò il golfino di fili di erba e i jeans con i fiori che nel frattempo erano avvizziti e corse in paese a vendere del miele che aveva raccolto e con il ricavato comprò altre cose .

    Alla sera si accorse che non aveva pensato di raccogliere legna per il fuoco ma si addormentò ugual,mente felice .

    Il giorno dopo andò al torrente ; le mamme che sedevano nel prato la guardarono diffidenti e parlottavano fra loro :” non so che abbia questo posto, mi piaceva tanto” diceva una “ ora mi pare freddo, l’erba sembra secca , che sia l’inquinamento ?”

    Non so ma anche il fiume è diventato così chiassoso, prima mi addormentavo qui e il rumore non mi infastidiva ora fa un tale fracasso! Forse è il buco dell’ozono “

    Nel pomeriggio arrivò Antonio .

    “debbo parlarti , le disse ,questi giorni con te sono stati bellissimi , sono felice di averti conosciuta ma vorrei potessimo stare sempre assieme ; io guadagno bene ora e posso permettermi una bella casetta e una famiglia ; vorresti pensarci?”

    la fata fu presa dal panico non sapeva se lui avrebbe accatta la sua natura o si sarebbe spaventato, ma era anche tanto felice e così , sebbene preda di ansia gli parlò. Gli disse che anche lei avrebbe voluto stare con lui, ma che era una fata e solo se glielo avessero permesso sarebbe stato possibile .

    Il giovane sorrise:” lo sapevo, lo ho sempre saputo ; non potevi essere che una fata .Ma io ti voglio bene e non posso pensare che debba rinunciare alla tua vita per poi pentirtene .”

    La fata ruotò su se stessa entusiasta lo abbracciò e gli promise che di li a pochi giorni si sarebbero ritrovati .

    Quella sera due innamorati che erano andati a sedersi su di un masso si misero a litigare e si separarono ; più tardi la Fata vide una anziana donna che coprendosi il viso con le mani singhiozzava disperata ; si avvicinò e le mise una mano sulla spalla, ma la donna continuò a piangere :”che ti è successo ?”

    “ Ho perso mio figlio : non è giusto che un figlio muoia prima della madre ; è contro natura ;”

    La fata cercò di consolarla ma capì che le sue parole non raggiungevano il cuore della madre e si allontanò.

    Il giorno successivo incontrò Bambi che beveva al torrente e tutta felice lo chiamò, ma il capriolo drizzate le orecchie, con un fremito di paura fuggì.

    La gente del paese era perplessa e spaventata : non voleva più andare al torrente dove non trovava la pace e la serenità cui era abituata , la pausa dalle fatiche e dai dolori e si cominciò a pensare di fare un parco dalla parte del monte .

    A sentire tutto questo la Fata si addolorò e una sera , nella sua capanna dove oramai aveva imparato ad accendere il fuoco, chiamò la fata supervisore :Madrina per favore , vieni , Madrina !!!!!!”

    “ eccomi , ma è mai possibile ragazza che tu sia sempre così agitata ! che succede ?”

    “la gente non vuole più andare alk torrente sono contenti e infelici , Bambi non mi riconosce più”

    La Madrina si sedette sul letto e le prese la mano : “bimba mia non si può avere tutto; se divieni umana , il torrente resta senza fata ; vedremo di farne venire un’altra ma ci vorrà tempo prima che impari a conosce il lungo e faccia esperienza .”

    “ madrina , forse sono stata egoista e ho anteposto la mia felicità a quella degli altri che è più importante “

    “ no ,non lo è ,puoi anche decidere di lasciare il torrente , ma sei tu che devi sapere leggere dentro di te cosa senti come più importante solo tu ti puoi rispondere, conoscere la tua vera natura per essere in apce con te stessa.”

    E la Fata decise .

    Il giorno successivo un pescatore che da tre giorni stava tutto arrabbiato sulla riva del torrente percepì un buon profumo di erba e soddisfatto ributtò nel fiume la trota che aveva pescatoe tornò in apese ; la voce si sparse e la gente ricominciò ad andare al fiune , proponendosi di tenere il posto ben ordinato e non inquinato affinché non accadesse di nuovo quelloc eh era già successo .

    La sera della domenica Antonio era seduto su un masso ; era triste ma quando vide la Fata le sorrise ; si presero per mano e .” ho capito sai , hai deciso di restare ; io so che ho avuto un grande dono a conoscerti sono un poco triste ma so che qui cis arai sempre come sarai sempre nella mia vita .”

    La fata piangeva lacrime di rugiada ma il suo sorriso era sereno : accarrezò Antonio e corse via saltando sui massi del
    torrente con Bambi alle calcagna



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  3. gheagabry
     
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    La Danza delle Fate








    Notte di luna piena...
    Il bosco risplende di un'aerea fosforescenza.
    Avanzano le fate verso il centro del Cerchio
    in sincronia, avvolte dai riflessi delle stelle sulle loro ali.
    Una nota di flauto rompe il silenzio, colpi sordi di tamburi
    le fate alzano le mani al cielo, piano inizia il loro ballo
    in onde flessuose i loro piccoli corpi si muovono al ritmo di suoni dimenticati;
    battono i piedi leggeri sull'erba passi cadenzati per la Danza delle Fate.




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  4. gheagabry
     
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    Dal libro segreto degli gnomi.

    Tantissimo tempo fa, tanto che nessuno ricorda
    quando fosse, ecco quel che successe...
    Un lungo inverno si era impadronito della terra.
    Erano già mesi e anni che il sole non brillava nel
    cielo.


    Le nuvole lo ricoprivano interamente.
    Dal cielo arrivavano solo sulla terra pioggia, nevi
    e grandinate.
    Un giorno lo scoiattolo disse: "E' impossibile andare
    avanti in questo modo. L'orso ci ha rubato il Bel
    tempo e se n'è scappato con lui in cielo.







    Ora tocca a noi salire in cielo e restituire il Bel
    tempo alla terra ".
    In quel preciso istante si squarciarono due nubi
    e tutti gli animali, con lo scoiattolo in testa, si
    arrampicarono fino in cielo, attraverso
    quell'improvvisata porta.
    L'orso non c'era, ma il Bel tempo si, racchiuso
    in un sacco e nascosto nel punto più profondo della
    caverna in cui viveva l'orso.
    Lo scoiattolo si impadronì del sacco e si mise a
    correre rapido verso la breccia fra le nuvole,seguito
    da tutti gli animali.
    Dietro a loro, ecco arrivare l'orso.Lo scoiattolo
    correva tanto forte perché non lo raggiungesse,e
    vicinissimo alla nube squarciata inciampò,il sacco si
    ruppe e il Bel tempo cominciò a spargersi sotto il
    cielo come una cascata di luce.








    E lì dove cadeva, cominciavano a fiorire piante e
    la terra si ricopriva di verde.
    Così il Bel tempo fece ritorno sulla terra e tutti
    gli animali furono felici e contenti.



    Edited by gheagabry - 8/4/2011, 22:24
     
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  6. gheagabry
     
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    I Folletti


    Lassù sulle cime ventose,
    Laggiù nelle valli di giunchi,
    Non osiamo andare a caccia
    Per paura dei piccoli uomini;
    Buona gente, piccola gente,
    che si raccoglie insieme a frotte;
    Verde giacca, rosso berretto,
    E bianca penna di gufo!

    Lungo le spiagge rocciose
    Alcuni hanno posto loro dimora,
    Vivon di frittelle croccanti
    Di gialla schiuma marina;
    Alcuni tra le canne
    Del nero lago di montagna,
    Con rane per loro cani da guardia,
    Tutta la notte in veglia.

    Lassù sulla cima della collina
    Il vecchio Re siede;
    Ormai è vecchio e grigio
    Ha perduto ormai il suo spirito arguto.
    Con un ponte di bianca nebbia
    Attraversa Columbkill,
    Nei suoi nobili viaggi
    Da Slieveleague a Rosses;
    O salendo tra la musica
    In fredde notti stellate,
    Per pranzare con la Regina
    Delle allegre Luci del Nord.

    Hanno rapito la piccola Bridget
    Per sette lunghi anni;
    Quando lei fece ritorno alla valle
    I suoi amici se ne erano tutti andati.
    Loro l'hanno riportata leggermente indietro,
    Tra la notte e l'alba,
    Pensavano che fosse rapidamente addormentata,
    Ma lei era morta per il dolore.
    Loro l'hanno custodita da allora
    Nel profondo del lago,
    Su un letto di foglie di iris,
    Vegliando finchè non si risvegliasse.

    Sulle colline scoscese,
    Tra spoglie distese di torba,
    Loro hanno piantato biancospini
    Per piacere qui e là.
    Se qualche uomo fosse così dispettoso
    Da osare estirparli,
    Egli ne troverebbe le spine pungenti
    Nel suo letto la notte.

    Lassù sulle cime ventose,
    Laggiù nelle valli di giunchi,
    Non osiamo andare a caccia
    Per paura dei piccoli uomini;
    Buona gente, piccola gente,
    che si raccoglie insieme a frotte;
    Verde giacca, rosso berretto,
    E bianca penna di gufo!

    William Butler Yeats
    Dall'antologia "Fairy And Folk Tales Of Ireland" (1973).

     
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  7. gheagabry
     
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    Ogni paese, ogni terra del mondo degli uomini
    conosce le Fate.

    "Piccole creature dall'aria pensosa,
    sedute sulle rive erbose,
    piccole creature dagli occhi ammaliatori,
    che osservavano stupite mentre i marinai navigano."


    I popoli, nel tempo e nei luoghi, le hanno chiamate con nomi diversi, diversi sono stati i poteri a loro attribuiti e tante le leggende che di loro parlano, ma il Piccolo Popolo ed il Mondo di Mezzo sono stati, da sempre, compagni nel cammino dell'umanità.







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  8. gheagabry
     
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    Una volta, raccontano, sul monte Ineu vivevano dodici fate. La cittadella entro cui vivevano era tutta d'ambra; le porte avevano stipiti d'oro e d'argento ed erano adorne di belle sculture.
    Le fate erano così belle, che chiunque le guardasse in viso diventava folle d'amore e vagava sulle loro tracce finchè non era completamente fuori di sè. La loro signora, la principessa delle fate, non aveva pari: la sua voce era così dolce e incantevole, che i pastori, quando guidavano le greggi alle falde del monte e le udivano cantare nelle sere di luna piena, rimanevano ammaliati e non potevano più dormire la notte. Da quelle parti abitava anche un cacciatore, giovane ma molto famoso, di nome Valer. Questi fece una scomessa con altri giovani, vantandosi d'essere in grado di rapire la principessa delle fate e farla moglie. Ma il suo desiderio restava un semplice desiderio, perchè le fate erano custodite da due giganti, ciascuno dei quali aveva un solo occhio sulla fronte; erano brutti e deformi entrambi, ma abbastanza forti per rompere il tronco d'un albero senza sforzarsi troppo.

    Giorno e notte facevano la guardia intorno alla cittadella, a turno, e ogni essere umano era minacciato di morte, qualora avesse osato accostarsi alle mura. Le dodici fate rapivano dai villaggi vicini dodici giovanotti ogni anno e danzavano con loro per tutta la notte, fino al primo canto del gallo. Quando erano esauste per la danza, arrivavano i giganti, con l'ordine di scagliare i giovanotti oltre le mura della cittadella, affinchè dei loro corpi restasse solo qualche brano. Alcuni, i più fortunati, ne uscivano sciancati, con la spina dorsale rotta e variamente mutilati, tanto che suscitavano pietà e commiserazione. Valer, visto come andavano le cose, decise di stare in agguato, finchè i giganti dal petto taurino non fossero colpiti dalla punta avvelenata delle sue frecce. E questa occasione non tardò a presentarsi.
    Un giorno di calda estate, le fate erano uscite per bagnarsi nelle acque del lago Lala e i due giganti ricevettero l'ordine di vigilare fuori dalle mura della cittadella; così non le avrebbero viste mentre giocavano e sguazzavano nude nelle onde.



    Valer non esitò. Si appressò alla cittadella più che potè, fermandosi ad ogni passo dietro un tronco di un albero per non farsi vedere; quandi pensò che fosse il momento opportuno, incoccò una freccia aguzza, con la punta d'acciaio, e saettò il gigante di destra nel bel mezzo del petto. Il dardo penetrò direttamente nel cuore, sicchè il gigante, senza poter dire nè ai nè bai, rovinò a terra in un lago di sangue. Adattò un'altra freccia alla corda dell'arco e scoccò pure questa nel petto del secondo gigante. Ebbe identica fortuna e uccise anche quello. Se non li avesse centrati giusto nel cuore, guai a lui: lo avrebbero soffocato come una cornacchia appena nata.
    Poi entrò nella cittadella e dalla riva del lago spiò le fate che si bagnavano, con gli occho sgranati per la loro bellezza; poi, di soppiatto, veloce come un fulmine, rubò la veste della pricipessa. Le altre fate, accortesi del pericolo, si trasformarono in colombe e spiccarono il volo verso occidente; rimase lì soltanto la principessa, la quale non cessava di implorare Valer che le restituisse le vesti, promettendogli in cambio tesori e beni di grande valore.

    Ma lui non la ascoltava neppure. Non gli importava nulla nè della sua preghiera nè delle sue lacrime e della sua angoscia e non rispondeva a nessuna domanda. Così gli avevano insegnato le vecchie del villaggio, esperte di magia: non bisogna parlare con le fate nè restituire loro le vesti, se le si vuole privare del potere di nuocere. Visto che col giovane non c'era da scherzare, la fata alla fine si calmò.
    Sembrava che si fosse abituata a vivere con lui, tanto più che Valer era un ragazzo molto bello e bravo, la aiutava, faceva di tutto per lei, le portava selvaggina fresca, le dava una mano a cucinare; soltanto, non parlava e non mostrava il luogo in cui aveva nascosto la veste incantata. Provvide lui a confezionarle altre vesti graziose; ma con quelle essa non poteva stregare a nessuno, perchè non avevano nessun potere magico.
    Così passarono i giorni, le settimane, i mesi. Dopo nove mesi, la pricipessa delle fate diede alla luce un bimbo dai capelli d'oro, bello come un sogno. Valer era molto felice; e sembrava felice anche lei, quando vedeva cinguettare quella creaturina leggiadra che le assomigliava perfettamente nel viso e in tutta la figura.



    Tuttavia a volte veniva improvvisamente colta da una grande tristezza, da una gran pena; allora cominciava a cantare finchè valli e monti risonavano del suo canto. Quando cantava con più ardore, venivano le undici colombe, le sue sorelle, a posarsi sulle mura della cittadella; la principessa di un tempo usciva a mostrar loro il bambino, dentro una cuna d'abete.
    Esse lo osservavano a lungo, come se si tratasse di un'apparizione, poi scuotevano il capo e ripartivano verso li loro paese. Una sera Valer tornò a casa più stanco del solito. Era corso dietro ad alcune capre nere ed era riuscito a colpirne una sola, mentre le altre si erano dileguate all'ombra delle rupi montane. Andò a coricarsi subito, dimenticando di cingersi per bene alla vita la veste della fata, che portava addosso notte e dì affinchè lei non gliela rubasse. La principessa delle fate, vedendo ai fianchi di Valer la veste dal magico potere, trasalì. Le rinacque nell’anima il desiderio di andarsene nel mondo dell’isola marina, dai genitori e dalle sorelle che la aspettavano, a vivere nel fasto e nello sfarzo, perché suo padre era il re del mare.

    Lo accarezzò e si diede da fare, finchè riuscì a svolgere la veste e ad indossarla. Adesso era potente. Poteva ucciderlo con un solo cenno; ma il bimbo le sorrideva nel sonno, così dolcemente che essa perdonò Valer per tutto il male che le aveva fatto. Gli lasciò un biglietto: "Ti lascio il bimbo e la vita. Vado dai miei genitori. Non potrai ritrovarmi, mai più. Con la mia paretenza, la cittadella sprofonda nelle tenebre. Fatti una capanna o trova una grotta, e rifugiatevi là dentro. Quando avrò nostalgia del bimbo, verrò a vedervi."La cittadella fu inghiottita dalla terra, e fu come se non fosse mai esistita.
    La principessa delle fate si trasformò in una colomba e si diresse in volo verso il paese dei suoi genitori. Il povero Valer, destandosi il giorno seguente sulla riva del lago Lala con il bambino accanto a sé, rimase atterrito. Lesse il biglietto e si percosse la fronte col palmo della mano, rimproverandosi di non aver bruciato la veste di lei, per impedirle di abbandonarlo. Cercò una grotta come rifugio per il bambino e gli approntò un lettuccio fatto di morbide pelli di animali. Trovò poi una capretta e la portò nella grotta col suo caprettino, affinchè allattasse, oltre al suo piccolo, anche il bambino. I due piccoli poppavano quindi l’uno accanto all’altro e Valer correva tutto il giorno per procurare il cibo alla mite capretta. I giorni passavano gli uni dopo gli altri, ma la pena del cacciatore era sempre infinita. Non aveva voglia di dormire né di mangiare e la sua anima era colma di amarezza. Aveva nostalgia della sua sposa.

    Ma non era ancora trascorso un mese, che la principessa delle fate capitò da lui e gli disse:"Da oggi puoi parlare con me. La nostalgia del mio bimbo mi ha piegata e mi ha indotto a lasciare i miei genitori. A partire da oggi resterò sempre accanto a voi".Valer cadde in ginocchio e le baciò la mano ringraziandola. Con le pietre preziose che essa aveva portate costruirono un bellissimo castello, dove vissero fino alla tarda vecchiaia, nella felicità e nell’amore perfetto.
    Le undici colombe venivano una volta all’anno, portando regali al bambino e lettere del padre a lei; il bambino cantava belle canzoni, perché aveva ereditato dalla mamma il dono del canto.






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  10. gheagabry
     
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    "Noi siamo esseri semplici con credenze semplici.
    Adoriamo il Sole, la Luna e le stelle per il loro splendore lucente.
    Crediamo nel fuoco per il suo calore improvviso;
    e anche nell'acqua e nella terra perché nutrono tutte le cose..."


    IL PICCOLO POPOLO



    Un regno segreto di spiriti invisibili che vivono intorno a noi… Un regno in cui possiamo recarci ogni volta che vogliamo e in cui viaggiare senza limiti.
    Fate e folletti, gnomi ed elfi, fate e ninfe …
    C’è chi afferma di averli visti, c’è chi dice che sono il frutto della millenaria fantasia di noi uomini… In ogni caso “esistono”….
    Vivono nelle nostre tradizioni, nella nostra cultura, nella nostra letteratura…
    Ma il mondo del Piccolo Popolo è anche ricchezza, è un patrimonio di tutte le genti, finalmente unite sotto un unico segno, sotto un unico sentimento...


    C’era una volta, è così che iniziano tutte le fiabe, ma mi dispiace questa non lo è!
    Da piccolo pensavo che gli abitanti del regno di luce vivessero nei libri, nelle leggende e nel passato.
    Questo prima che questi esseri vibranti e luminosi entrassero nella mia vita, cambiandola radicalmente. Ora sono vivi in ogni mio piccolo gesto quotidiano.
    Gli anni delle mie vite passate mi appaiono più indistinti e sbiaditi.
    Come se ogni vita fosse una foglia, ogni volta una nuova.
    Tutto ebbe inizio nella lontana infanzia della quale conservo immagini nette e vivide. In quel tempo lontano conobbi la luce del Piccolo Popolo.
    Le immagini disegnate sui libri di favole venivano trasposte nella realtà
    del grande parco della mia città. Crescevo con una consapevolezza diversa nel cuore. Il mio amore profondo per gli alberi fece il resto.
    Unì uno ad uno i pezzi di questo quadro in cui sto vivendo.
    Eppure il ricordo senza tempo della mia terra d'origine mi parlava attraverso sogni e sensazioni. I ricordi mi toccavano come l'aria che accarezza la pelle di un neonato, ricordi di un tempo antico in cui la terra era il cuore del sapere
    e le sue creature si conoscevano come noi possiamo conoscere i nostri amici.
    Animali, alberi, piante e spiriti mi invitavano a sperimentare la loro realtà in cui niente è perduto, perché loro rammentano anche quando noi dimentichiamo.
    - Myrddn il mezzo Elfo -
    (elfland.it)



    ..........ipotesi di storia............


    La mitologia irlandese possiede una mole impressionante di miti e leggende legati al piccolo popolo, come anche tutto il nord e il centro Europa, pentole magiche e quadrifogli, corti di esseri celestiali e dannati. Ma che cos'è il piccolo popolo? Tra le creature leggendarie sorte nel medioevo essi si discostano poiché nascono agli albori dei tempi, già nel periodo classico la mitologia greca e romana possedevano tracce di queste creature fatate protettrici del mondo naturale. In origine grandi quanto un uomo, con regni ed eroi, essi calcavano la terra e lottavano o si univano agli uomini in un mondo al di là della storia. Con l'avvento del cristianesimo e la fine del paganesimo il piccolo popolo si indebolì a tal punto da iniziare ad estinguersi, rimpicciolirsi e nascondersi ed inoltre come simbolo di un mondo pagano che la chiesa puntava a combattere anch'essi vennero demonizzati e considerati stirpe del male....Sin dai tempi più antichi sembra che uomini ed esseri fatati abbiano convissuto fianco a fianco. I miti e le leggende del passato raccontano di come, nella loro veste di Sidhe, (il popolo dei Tumuli), essi influenzassero i grandi eroi nei loro sforzi oppure di come vi si opponessero favorendo i loro nemici. Inizialmente queste creature erano probabilmente solo la personificazione di forze elementali, che i Celti credevano dimorare nell'ambiente che li circondava. In un secondo tempo, essi vennero considerati esseri di razza non umana, noti con una grande varietà di nomi. Ad esempio, come Tuatha de Danaan (il popolo della Dea Danu), erano conosciuti nell'antica Irlanda nelle vesti di grandi guaritori, ma anche temuti in quanto maghi potenti...Gli esseri fatati possiedono, in Galles ad esempio, almeno tre nomi comuni e distintivi, oltre ad altri che attualmente non sono in uso.
    Il primo nome, e il più generale, attribuito loro è Y Tylwyth Teg, o la Bella Tribù. Si parla di loro come popolo, e non come esseri mitologici o folletti, e di loro si afferma che sono una razza di creature gentili e di bell'aspetto. Un altro nome comune per le creature incantate è Bendyth Y Mamau o "Benedizione di una Madre". E' un modo di dire assai singolare, e difficile da spiegare. Forse allude all'origine fatata, da parte di madre, di alcuni individui fortunati.
    Il terzo nome attribuito alle creature magiche è Ellyll, che indica un elfo, un demone o un folletto. Questo consegna detti esseri al mondo degli spiriti, e li rende simili ai Geni orientali, e agli allegri spiritelli di Shakespeare.
    Nel Pembrokeshire gli esseri magici sono chiamati Dynon Bach Teg, o Piccolo Popolo Fatato.Tutti i racconti che narrano di uomini che si uniscono in matrimonio a fate hanno un particolare in comune: in tali narrazioni la fata sposa l'uomo che ama, ponendo una condizione, e quando tale condizione viene infranta ella abbandona il marito ed i figli per tornare a rifugiarsi nel mondo incantato.
    In altre narrazioni l'uomo può legare a se stesso una fata soltanto se riesce ad indovinare il suo nome.
    Ciò è dovuto al fatto che i Celti, come accade per altre popolazioni, credevano nell'importanza e nel potere del nome proprio - che rappresentava, dopo tutto, l'identità di un individuo - e pronunciare il nome di una persona dava loro potere su di lei.
    Da una leggenda, sembrerebbe che un sacerdote di nome Elidorus abbia vissuto in mezzo agi esseri fatati, nella loro dimora nelle viscere della terra, e ciò sarebbe avvenuto nella prima parte del dodicesimo secolo. La leggenda parla di come un ragazzo, Elidorus appunto, che stava studiando da prete ed era ansioso di sfuggire ai suoi rigidi maestri, trovò rifugio in un mondo sotterraneo abitato da una razza di donne e di uomini di piccole dimensioni e che parlavano un linguaggio simile al greco.
    Per un certo tempo egli visse con loro, ritornando al proprio ambiente solo di tanto in tanto, ma alla fine venne persuaso da amici e parenti a tornare definitivamente a casa e a riprendere i suoi studi per il sacerdozio. Cambrensis cita come fonte di questo racconto Davide II, ex vescovo di St David, morto nel 1176, e che secondo quanto si asserisce, aveva parlato ad Elidorus quando il sacerdote era ormai anziano e che aveva anche appreso da lui alcuni elementi del linguaggio del mondo sotterraneo.



    ....la Terra di Luce....


    In quella terra sono giardini, paradisi, animali, minerali... ogni cosa che sia reperibile in quella terra, assolutamente ogni cosa: è viva e parla, ha una vita analoga a quella di ciascun essere vivente dotato di pensiero e parola. Gli esseri di quella terra corrispondono a ciò che sono quaggiù, con la differenza che in quel luogo celestiale le cose sono permanenti, imperiture, immutabili; il loro universo non muore...Così nella Terra di luce, in Feerilandia, gli animali parlano. E parlano anche le pietre! Inoltre, ci sono molte specie di animali che non abbiamo mai visto sulla nostra terra. Ogni qualvolta uno di noi tenta di avvicinarsi alla Terra di luce, ecco che subito uno dei suoi abitanti gli si affretta incontro, ed è «un alleato di incommensurabile benevolenza»....Noi stessi, in effetti, siamo parte della terra celestiale, perché il nostro omologo (sembianza o immagine vivente) vi esiste in un corpo di fibre luminose, fibre dotate di sottili, delicati prolungamenti che giungono ai confini del mondo verde. Questo «doppio vivente» è il «compagno di strada» di cui si parla negli insegnamenti feerici. Feerilandia è una dimensione parallela alla nostra. Siamo intimamente legati a essa dalle fibre luminose che si irradiano dai nostri corpi di luce.



    ..tutti hanno un paio di ali, ma solo chi sogna impara a volare..


    .......le fate.......


    A moltissime persone la parola «fata» fa venire in mente immediatamente un minuscolo spiritello alato....l' etimologia della parola inglese faerie e dei suoi equivalenti scozzesi-irlandesi sith e sidhe. Gli studiosi, a quanto sembra, concordano nel ritenere che faerie derivi primariamente da tre parole antiche. La prima di queste è fatum ovvero fato, con riferimento alle dee (le fatae) che governavano o controllavano gli eventi umani secondo luogo, si ha un forte legame con la parola fatare, che significa «incantare». In terzo luogo, ed è forse l'aspetto più importante, c'è un nesso con le fauae una specie di ninfe note nella mitologia latina come «una razza di fanciulle immortali». Le fatuae frequentavano luoghi inaccessibili agli esseri umani come remote cascate, laghi, boschi, fonti.
    All'epoca dei grandi poeti medievali, Chaucer, Gower e Langland, il termine faerie aveva acquisito un più ampio significato. Il poeta scozzese Dunbar consiglia i suoi lettori di «essere sempre sul chi vive e di passare alla larga da questa ingannevole fatagione» (cioè, lo spettacolo vano ed effimero del mondo). Le creature fatate vengono associate in particolare con il crepuscolo, momento della giornata in cuì più spesso compaiono parlano un misterioso «linguaggio crepuscolare» non razionale, che può essere compreso soltanto tramite un' altra modalità di conoscenza. Le fate sono «creature intermedie» che compaiono e scompaiono nella misteriosa radiazione di un altro mondo.



    "Piccole creature dall'aria pensosa,
    sedute sulle rive erbose,
    piccole creature dagli occhi ammaliatori,
    mi osservavano stupite mentre navigavo."


    .......gli elfi........


    Gli Elfi sono miti creature che amano gli esseri umani e che, spesso, decidono di viverci accanto. Gli esseri umani però non possono vedere gli Elfi, a meno che non siano gli Elfi stessi a volerlo.
    Gli Elfi della Luce sono esseri benevoli ed utili; dotati di grande sapienza, hanno un aspetto armonioso e portano coroncine di fiori sulla testa. Vivono di buon grado insieme agli esseri umani, ai quali insegnano molti segreti della natura.
    Gli Elfi del Crepuscolo sono diffusi ovunque e cavalcano gli ultimi raggi di sole del giorno, facendo nascere il sentimento della nostalgia in chi è lontano da casa.
    Gli Elfi dell'Oscurità sono i Signori della Terra e vivono nelle foreste o in cunicoli sotterranei; aiutano gli esseri umani che vivono in montagna facendo trovare loro tesori nascosti ed aiutando coloro che si sono smarriti a ritrovare la strada. Il loro aspetto è caratterizzato da capelli e carnagione scuri e sono generalmente dolci anche se, tra loro, alcuni sono decisamente malvagi. Altra caratteristica degli Elfi dell'oscurità è quella di portare i sogni agli uomini.
    Gli Elfi hanno un nome diverso a seconda del Paese in cui hanno scelto di abitare; si chiamano quindi Brownie in Scozia, Cluricaune in Irlanda, Coboldi in Germania e Gobelin in Inghilterra .
    Esistono anche Elfi dei Monti, dell'Acqua e della Foresta; costoro prendono il nome a seconda dell'ambiente naturale in cui vivono.
    Tutti gli Elfi adorano cantare e ballare e, nelle notti estive di luna piena, si ritrovano insieme alle Fate ai margini dei boschi, nei luoghi ricoperti di muschio, per cantare, suonare e ballare insieme, formando un cerchio e tenendosi per mano. Qualora durante questi loro incontri, dovesse arrivare qualcuno di non desiderato, gli Elfi si trasformano in lucciole, per non farsi scoprire...Infatti, a causa della crudeltà che alcune persone hanno avuto nei loro confronti, gli Elfi non abitano più fra gli umani ma nella Terra di mezzo, un luogo al di là del tempo e dello spazio, in contatto con la Terra degli Uomini solo attraverso dei punti di passaggio tra i monti e le colline, nei pressi dei cerchi di pietre.
    Queste porte, che permettono agli Elfi di passare dalla Terra di Mezzo alla Terra degli uomini,sono riconoscibili per il fatto che vi cresce il biancospino, la loro pianta magica.
    Nella loro Terra, la stirpe degli Elfi viene chiamata " sidhe " che significa Popolo delle Colline.



    .....gli gnomi.....


    Paracelso fu fra i primi a menzionare gli gnomi, facendone derivare il nome dalla radice greca gnosis (“conoscenza“). Paracelso considerava gli gnomi spiriti della terra e del sottosuolo, e sosteneva che potessero spostarsi all’interno del terreno con la stessa facilità con cui gli uomini camminano sopra di esso. Inoltre, sempre secondo Paracelso, i raggi del Sole hanno il potere di trasformare gli gnomi in pietra. Tutti questi elementi sono anche tipici dei nani della mitologia nordica; queste due figure sono in effetti spesso sovrapposte e difficilmente distinguibili anche nel folklore e nella letteratura fantasy. Talune fonti confondono anche gli gnomi con altre creature fantastiche (soprattutto dei boschi), per esempio elfi e goblin. Gli gnomi appaiono frequentemente nelle fiabe della tradizione folcloristica germanica (e, per esempio, nei racconti dei fratelli Grimm); sono generalmente rappresentati come vecchietti minuscoli e burberi, che vivono sottoterra e custodiscono tesori.


    Per monti e burroni, per siepi e giardini, tra fiori e tra spini, tra flutti e tra tuoni,
    più lieve d'un raggio del sole di maggio volando
    viaggio al comando della divina che delle Fate è la regina.
    D'una primula dorata nella campanula fatata troverò nascosta la stilla incantata.
    (Shakespeare)


    Ero in un bosco incantato
    dove una piccola fanciulla
    dolce bella e alata
    leggeva parole d'amore
    che si espandevano nell'aria
    come un dolce suono
    che lieve saliva al cielo
    mentre farfalle variopinte
    si posavano sui fiori profumati
    e la mia mente volava con loro
    in cerca di ricordi colorati...
    ....poi mi son destata
    e tutto è svanito... peccato
    era solo un bel sogno...
    (dal web)





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  11. gheagabry
     
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    La danza degli gnomi



    Una vedova maritata ad un vedovo. E il vedovo aveva una figlia della sua prima moglie e la vedova aveva una figlia del suo primo marito. La figlia del vedovo si chiamava Serena, la figlia della vedova si chiamava Gordiana. la matrigna odiava Serena ch'era bella e buona e concedeva ogni cosa a Gordiana, brutta e perversa.
    La famiglia abitava un castello principesco, a tre miglia dal villaggio, e la strada attraversava un crocevia, tra i faggi millenari di un bosco; nelle notti di plenilunio i piccoli gnomi vi danzavano in tondo e facevano beffe terribili ai viaggiatori notturni.
    La matrigna che sapeva questo, una domenica sera, dopo cena, disse alla figlia:
    - Serena, ho dimenticato il mio libro di preghiere nella chiesa del villaggio: vammelo a cercare.
    - Mamma, perdonate... è notte.
    - C'è la luna più chiara del sole!
    - Mamma, ho paura! Andrò domattina all'alba...
    - Ti ripeto d'andare! - replicò la matrigna.
    - Mamma, lasciate venire Gordiana con me...
    - Gordiana resta qui a tenermi compagnia. E tu va'!
    Serena tacque rassegnata e si pose in cammino. Giunse nel bosco e rallentò il passo, premendosi lo scapolare sul petto, con le due mani.
    Ed ecco apparire fra gli alberi il crocevia spazioso, illuminato dalla luna piena.
    E gli gnomi danzavano in mezzo alla strada.
    Serena li osservò fra i tronchi, trattenendo il respiro. Erano gobbi e sciancati come vecchietti, piccoli come fanciulli, avevano barbe lunghe e rossigne, giubbini buffi, rossi e verdi, e cappucci fantastici. Danzavano in tondo, con una cantilena stridula accompagnata dal grido degli uccelli notturni. Serena allibiva al pensiero di passare fra loro; eppure non c'era altra via e non poteva ritornare indietro senza il libro della matrigna. Fece violenza al tremito che la scuoteva, e s'avanzò con passo tranquillo.
    Appena la videro, gli gnomi verdi si separarono da quelli rossi e fecero ala ai lati della strada, come per darle il passo. E quando la bimba si trovò fra loro la chiusero in cerchio, danzando. E uno gnomo le porse un fungo e una felce.
    - Bella bimba, danza con noi!
    - Volentieri, se questo può farvi piacere...
    E Serena danzò al chiaro della luna, con tanta grazia soave che gli gnomi si fermarono in cerchio, estatici ad ammirarla.
    - Oh! Che bella graziosa bambina! - disse uno gnomo.
    Un secondo disse: - Ch'ella divenga della metà più bella e più graziosa ancora.
    Disse un terzo:
    - Oh! Che bimba soave e buona!
    Un quarto disse: - Ch'ella divenga della metà più ancora bella e soave!
    Disse un quinto: - E che una perla le cada dall'orecchio sinistro ad ogni parola della sua bocca.
    Un sesto disse: - E che si converta in oro ogni cosa ch'ella vorrà.
    - Così sia! Così sia! Così sia!... - gridarono tutti con voce lieta e crepitante.
    Ripresero la danza vertiginosa, tenendosi per mano, poi spezzarono il cerchio e disparvero. Serena proseguì il cammino, giunse al villaggio e fece alzare il sacrestano perché la chiesa era chiusa.
    Ed ecco che ad ogni parola una perla le usciva dall'orecchio sinistro, le rimbalzava sulla spalla e cadeva per terra. Il sagrestano si mise a raccoglierle nella palma della mano. Serena ebbe il libro e ritornò al castello paterno. La matrigna la guardò stupita. Serena splendeva di una bellezza mai veduta:
    - Non t'è occorso nessun guaio, per via?
    - Nessuno, mamma.
    - E raccontò esattamente ogni cosa. E ad ogni parola una perla le cadeva dall'orecchio sinistro.
    La matrigna si rodeva d'invidia.
    - E il mio libro di preghiere?
    - Eccolo, mamma.
    La logora rilegatura di cuoio e di rame s'era convertita in oro tempestato di brillanti.
    La matrigna trasecolava.
    Poi decise di tentare la stessa sorte per la figlia Gordiana. La domenica dopo, alla stessa ora, disse alla figlia di recarsi a prendere il libro nella chiesa del villaggio.
    - Così sola? Di notte? Mamma, siete pazza?
    E Gordiana scrollò le spalle.
    - Devi ubbidire, cara, e sarò un gran bene per te, te lo prometto.
    - Andateci voi!
    Gordiana, non avvezza ad ubbidire, smaniò furibonda e la madre fu costretta a cacciarla con le busse, per deciderla a partire.
    Quando giunse al crocevia, inargentato dalla luna, i piccoli gnomi che danzavano in tondo si divisero in due schiere ai lati della strada, poi la chiusero in cerchio; e uno si avanzò porgendole il fungo e la felce e invitandola garbatamente a danzare.
    - Io danzo con principi e con baroni: non danzo con brutti rospi come voi.
    E gettò la felce e il fungo e tentò di aprire la catena dei piccoli ballerini con pugni e con calci.
    - Che bimba brutta e deforme! - disse uno gnomo.
    Un secondo disse: - Ch'ella diventi della metà più ancora cattiva e villana.
    - E che sia gobba!
    - E che sia zoppa!
    - E che uno scorpione le esca dall'orecchio sinistro ad ogni parola della sua bocca.
    - E che si copra di bava ogni cosa ch'ella toccherà.
    - Così sia! Così sia! Così sia!... - gridarono tutti con voce irosa e crepitante.
    Ripresero la danza prendendosi per mano, poi spezzarono la catena e disparvero.
    Gordiana scrollò le spalle, giunse alla chiesa, prese il libro e ritornò al castello.
    Quando la madre la vide dié un urlo:
    - Gordiana, figlia mia! Chi t'ha conciata così?
    - Voi, madre snaturata, che mi esponete alla mala ventura.
    E ad ogni parola, uno scorpione dalla coda forcuta le scendeva lungo la persona.
    Trasse il libro di tasca e lo diede alla madre; ma questa lo lasciò cadere con un grido d'orrore.
    - Che schifezza! È tutto lordo di bava!
    La madre era disperata di quella figlia zoppa e gobba, più brutta e più perversa di prima. E la condusse nelle sue stanze, affidandola alle cure di medici che s'adoprarono inutilmente per risanarla.
    Si era intanto sparsa pel mondo la fama della bellezza sfolgorante e della bontà di serena, e da tutte le parti giungevano richieste di principi e di baroni; ma la matrigna perversa si opponeva ad ogni partito.
    Il Re di Persegonia non si fidò degli ambasciatori, e volle recarsi in persona al castello della bellezza famosa. Fu così rapito dal fascino soave di Serena che fece all'istante richiesta della sua mano.
    La matrigna soffocava dalla bile; ma si mostrò ossequiosa al re e lieta di quella fortuna. E già macchinava in mente di sostituire a Serena la figlia Gordiana.
    Furono fissate le nozze per la settimana seguente. Il giorno dopo il Re mandò alla fidanzata orecchini, smaniglie, monili di valore inestimabile.
    Giunse il corteo reale per prendere la fidanzata. La matrigna coprì dei gioielli la figlia Gordiana e rinchiuse Serena in un cofano di cedro.
    Il Re scese dalla carrozza dorata e aprì lo sportello per farvi salire la fidanzata. Gordiana aveva il volto coperto d'un velo fitto e restava muta alle dolci parole dello sposo.
    - Signora mia suocera, perché la sposa non mi risponde?
    - È timida, Maestà.
    - Eppure l'altro giorno fu così garbata con me...
    - La solennità di questo giorno la rende muta...
    Il Re guardava con affetto la sposa.
    - Serena, scopritevi il volto, ch'io vi veda un solo istante!
    - Non è possibile, Maestà - interruppe la matrigna - il fresco della carrozza la sciuperebbe! Dopo le nozze si scoprirà.
    il Re cominciava ad inquietarsi.
    Proseguirono verso la chiesa e già la madre si rallegrava di veder giungere a compimento la sua frode perversa.
    Ma passando vicino ad un ruscello, Gordiana, smemorata ed impaziente, si protese dicendo:
    - Mamma, ho sete!
    Non aveva detto tre parole che tre scorpioni neri scesero correndo sulla veste di seta candida.
    Il Re e il suocero balzarono in piedi, inorriditi, e strapparono il velo alla sposa. Apparve il volto orribile e feroce di Gordiana.
    - Maestà, queste due perfide volevano ingannarci.
    Il suocero e il Re fecero arrestare il corteo a mezza strada. Il Re salì a cavallo e volle ritornare, solo, di gran galoppo, al castello della fidanzata.
    Salì le scale e prese ad aggirarsi per le sale chiamando ad alta voce.
    - Serena! Serena! Dove siete?
    - Qui, Maestà!
    - Dove?
    - Nel cofano di cedro!
    Il Re forzò il cofano con la punta della spada e sollevò il coperchio. Serena balzò in piedi, pallida e bella. Il re la sollevò fra le braccia, la pose sul suo cavallo e ritornò dove il corteo l'aspettava. Serena prese posto nella berlina reale, tra il padre e il fidanzato.
    Furono celebrate le nozze regali.
    Della matrigna e della figlia perversa, fuggite attraverso i boschi, non si ebbe più alcuna novella.

    Guido Gozzano
     
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  12. gheagabry
     
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    ... RACCONTI D’ESTATE ...
    … Dopo una giornata di sole o di passeggiate, la sera d’estate dopo la doccia e la cena, con i cuginetti ci ritrovavamo, insieme agli altri amichetti del paese nativo dei miei, nella piazza principale e, tra una risata e l’altra, col passare delle ore e l’avvicinarsi della notte, si faceva, a volte, a gara a chi raccontava la storia più incredibile, più avvincente. Così nascevano storie che erano un misto di fantasia e favole sentite ed era bellissimo vedere come pian piano i sensi di tutti i partecipanti a quelle serate divenivano attentissimi e si scattava ad ogni minimo rumore sospetto risuonasse al nostro fianco. Erano sere di draghi, fate e castelli, dove la fantasia si scatenava per comporre mosaici irreali e affascinanti. Anche oggi siamo seduti in quella piazza e vi voglio raccontare una storia … Amici miei, buon risveglio … Vi abbraccio fortissimo … e, ovviamente, Buona Estate a tutti ….
    (Claudio)



    ... La fata Melusina ...

    Come Merlino, o la Signora del Lago, nelle saghe di Re Artù, Melusina è un personaggio delle più antiche storie della Vandea e di Poitou.
    Melusina era infatti una fata che aveva il corpo metà donna e metà pesce.
    La parte principale di queste storie narra del matrimonio di Melusina con un mortale che si chiamava Raimondino de Lusignan, il quale era inconsapevole della vera natura della sua sposa, fata-sirena delle vicine coste e acquitrini.
    Sebbene desiderasse vivere la sua vita sulla terraferma come un normale essere umano, Melusina era condannata a ritornare almeno un giorno alla settimana al suo corpo acquatico e ad immergersi nell'acqua. E questo lei faceva il sabato, chiedendo a suo marito di non cercarla mai in questo giorno che lei avrebbe sempre trascorso in solitudine nella sua torre.
    Nel corso degli anni Melusina e Raimondino ebbero molti figli, ognuno dei quali aveva delle fattezze fisiche eccezionali.
    Un giorno, avendo pazientato a lungo, il marito di Melusina divenne probabilmente geloso del suo Sabbath solitario nella torre. Così, sospettando qualche tradimento o infedeltà, irruppe improvvisamente nelle sue stanze e la scoprì mentre si faceva il bagno – vedendola così in un corpo per metà donna e per metà pesce con una coda di serpente...
    Melusina, con il cuore spezzato e piena di vergogna, sgusciò dall’acqua e volò via dalla finestra della torre. Il suo corpo si librò un momento nell’aria, come sospeso tra le sue opposte nature. Poi scomparve e si dissipò nel nulla.
    Oggi, nella Vandea, quando l’aria è proprio perfetta, si possono vedere le squame di Melusina nella luce delle acque increspate ed udire il suo lieve gemito nella brezza che filtra tra gli alberi. Alcuni dicono pure che la sabbia scintillante di queste spiagge sia il brillio delle squame di Melusina.


    (Dal Web)

    Per Melusina
    Guarda, assisa, la vaga Melusina,
    Tenendo il capo tra le ceree mani,
    La Luna in arco da' boschi lontani
    Salir vermiglia il ciel di Palestina.
    Da l'alto de la torre saracina,
    Ella sogna il destin de' Lusignani;
    E innanzi al tristo rosseggiar de' piani,
    Sente de 'l suo finir l'ora vicina.
    Già, già, viscida e lunga, ella le braccia
    Vede coprirsi di pallida squama,
    Le braccia che fiorian sì dolcemente.
    Scintilla inrigidita la sua faccia
    E bilingue la sua bocca in van chiama
    Poi che a 'l cuor giunge il freddo de 'l serpente.

    (G. D’Annunzio)




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  13. gheagabry
     
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  14. gheagabry
     
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    Nel paese delle fate parlan tutti anche le rane. Leprotti bianchi saltano siepi, casatte bianche si stringono insieme. Gnomi a cavallo, comete paese per bimbi che amano i giochi regno incantato dove è bello sostare quando si ha, solo un anno di età. Una fiaba, un sogno chi lo sa?… Solo qualcuno, che è stato là.
    (Mirella Narducci)





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  15. gheagabry
     
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    Quando il primo bambino rise, la sua risata si infranse
    in mille e mille piccoli pezzi,
    che si dispersero scintillando per tutto il mondo: così nacquero le fate.


    ( da "Peter Pan" di James M. Barrie )








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74 replies since 17/7/2010, 18:53   64715 views
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