LOMBARDIA PARTE 1

Varese ..Como ed i laghi

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  1. tomiva57
     
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    Abbazia di Piona

    Il complesso architettonico costituente il Priorato di Piona, generalmente conosciuto come Abbazia di Piona, si trova sulla sponda lecchese del lago di Como nel territorio del comune di Colico.

    L'abbazia è inserita in un paesaggio di eccezionale e struggente bellezza, sulla punta di una piccola penisola, l'Olgiasca, che, come un dito adunco, si insinua nel lago creando un'insenatura che le aggiunge fascino. È un ambiente ancora incontaminato e ombroso che richiama tempi lontani, tempi di preghiere e meditazioni ma anche tempi di paure e lotte in cui fazioni avverse si contendevano un potere sempre effimero.


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    Lo scenario

    Era il medioevo più pieno, autentico ed antico quello in cui sorse la primitiva chiesa di Santa Giustina cui seguirà, alcuni secoli dopo, il priorato vero e proprio, con il suo complesso abbaziale, parte di quella rete politico-religiosa che faceva capo a Cluny ed al suo movimento riformatore.

    Il posto, per quanto decentrato si trovava lungo una rotta militare di capitale importanza nelle guerre dell'epoca, importanza che mantenne anche in età moderna e contemporanea e per il cui possesso si schierarono eserciti locali, regali ed imperiali.
    Abside della chiesa di San Nicola

    Si tratta della strada che collega, attraverso la Valtellina, il milanese e quindi l'Italia centro-settentrionale all'Europa e che per questo rivestiva un'importanza strategica decisiva. Il suo possesso assicurava a quanti ne avevano il controllo la porta d'accesso più agevole verso il cuore dell'Europa.
    Così fu per i Celti poi per i Romani, i Longobardi, i Franchi, gli Ottonidi per arrivare a Carlo V che attraverso essa univa la Spagna alle Fiandre, per finire con i napoleonici ed, in tempi più recenti, con le truppe naziste in rotta verso la Germania sconfitta.

    Tra questa strada ed il priorato si erge il promontorio del Montecchio che lo nasconde e ne rende difficile il raggiungimento. Forse il clangore degli eserciti riuscì a interrompere il silenzio mistico che circondava l'abbazia o forse questa non si era accorta di quanto la storia andava svolgendole attorno, quasi timorosa di disturbare quella quiete irreale in cui è tuttora immersa e di offendere le lodi e i canti gregoriani che, unici suoni, ne rompevano il silenzio o, per meglio dire, la taciturnitas della vita monastica.

    La storia

    Le prime notizie storiche risalgono al VII secolo, a un cippo coevo, ora sistemato sotto i portici dell'abbazia, che testimonia la costruzione di un oratorio voluto da Agrippino, tredicesimo vescovo di Como:
    « AGRIPPINUs
    FAMULUS Xpi
    COM CIVITATis
    EPS HUNC HORAto
    RIUM SCTAE Ius
    TINAE MARTYRis
    ANNO X ORDINa
    TIONIS SUAE A Fon
    DAMENTIS FABri
    CAVIT ET SEPOLtu
    RA SIBI ORDENA
    BIT ET IN OMNI
    EXPLEBIT ADQue
    DEDICABIT »

    (ex Marcora C. – Il priorato di Piona)


    Il rudere di un'abside che ancora svetta dietro l'attuale chiesa di San Nicola appartiene, molto probabilmente, a questo primitivo edificio cultuale.

    Gli storici si sono esercitati sulle reali intenzioni di Agrippino e sulla destinazione di quello che potrebbe essere stato un asceterio, ma tutte le ipotesi rimangono senza risposta affondando le loro radici nella nebbia dell'alto medioevo, in un periodo, peraltro, scosso dai dibattiti tricapitolini.

    Forse Agrippino voleva solamente erigere una chiesa in onore di Santa Giustina o creare un plesso monastico magari femminile o forse un posto dove ritirarsi in preghiera e meditazione in attesa dell'ultimo passaggio: noi non abbiamo la risposta, né aiuta il lemma Oratorium inciso nel cippo, dati i suoi molteplici significati.


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    Introzzo



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    Sueglio

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    Dervio

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    Dervio è situato proprio allo sbocco della Valvarrone ed è tagliato in due dal torrente che, scendendo dalla valle, ha formato nei secoli una vasta e verdeggiante piana prima di sfociare con ampio delta nelle acque del Lario.

    Attualmente il paese è costituito da quattro frazioni: Borgo, antica sede di pescatori, Villa, in posizione più elevata e panoramica, Castello dove si vedono ancora i resti di una torre trecentesca e segni di torri più antiche e Corenno Plinio. Quest’ultimo è uno dei paesi più caratteristici del Lario, e vi si trova un imponente castello, eretto nella seconda metà del Trecento dalla famiglia nobile Andreani, feudatari del luogo: attualmente è una delle opere di difesa meglio conservate tra le tante sorte sulle sponde del Lario.

    Dervio è caratterizzato da strette vie e case in pietra, e vi si trovano suggestive chiese, come quella dedicata ai Santi Quirico e Giulitta, di epoca romanica, e quella dei Santi Pietro e Paolo. Ma a Dervio si trovano anche una bella spiaggia, sentieri panoramici e tante possibilità di praticare diversi sport.


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    Bellano




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    L'orrido di Bellano



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    Ambiente unico di acqua, canyons e vegetazione rigogliosa creato dallo scorrere impetuoso del torrente Pioverna pochi metri prima di finire la sua corsa nel lago.
    Aperto tutto l'anno: da ottobre a maggio da martedì a sabato: 10 - 13 e 15 - 18; domenica dalle 10 alle 18.










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    Con un lungolago suggestivo, dove sboccano molte stradine del borgo antico, Bellano si presenta come un paese tranquillo e ridente. Per scoprire la vecchia Bellano bisogna addentrarsi a piedi nelle viuzze, dove il sole non riesce mai a filtrare e il panorama appare solo a scorci, tra i portici.

    Merita una visita la bella chiesa dei Santi Nazario e Celso, dalla caratteristica facciata a bande alterne bianche e nere; il paese di Bellano è noto soprattutto per una bellezza naturale, l'Orrido. L'Orrido è una stretta gola, formata dal torrente Pioverna: uno stretto passaggio fra alte rupi dove l'acqua scroscia fragorosamente, incantevole spettacolo naturale visitabile mediante passerelle sospese. Formatosi nei quindicimila anni dal ritiro dei ghiacciai, l’Orrido di Bellano è rimasto invariato nonostante il trascorrere dei secoli e il duraturo intervento umano.



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  2. gheagabry
     
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    Il lago di VARESE


    Inserito in una splendida posizione geografica, ai piedi del massiccio del Campo dei Fiori è lungo 8,8 Km e largo 4,5 Km. Percorrendo il tratto iniziale dell’autostrada Varese-Milano si gode uno dei più bei panorami, un’ampia e verdeggiante conca che ospita il lago, disseminata di ville ed insediamenti ben armonizzati nel paesaggio. Il massiccio del Campo dei Fiori digrada, con lieve pendio, verso lo specchio lacustre, mentre in lontananza la catena delle Alpi con il Monte Rosa che si staglia nitido, fa da sfondo. Sulla riva occidentale del lago si trova la piccola Isola Virginia, che rappresenta un importante insediamento palafitticolo tra i più importanti d'Europa.

    ...la storia...


    Il lago fu abitato già nel 4500 a.C., nel Neolitico Inferiore da comunità che vivevano su palafitte. L'uomo di allora costruiva oggetti utilizzando la selce, facilmente reperibile al Campo dei Fiori e per attraversare il lago si serviva di piroghe. L'insediamneto principale si trovava all'isolino Virginia, ma altre palafitte sono state rinvenute a Bardello, Bodio, Cazzago e nella torbiera Brabbia, che a quel tempo faceva parte del lago. In epoca romana e medievale divenne una importante risorsa economica per la pesca che vi veniva proficuamente esercitata e i cui proventi spettavano alle famiglie feudatarie alle quali appartenevano le rive. Nel 1423 la Ducale Camera di Milano emise un decreto con il quale si riservava i diritti patrimoniali sul lago (pesca, uccellagione, raccolta delle canne) ma i feudatari fecero ricorso e la Ducal Camera si vide obbligata a riconoscere il loro diritto costituito in forza della immemorabile consuetudine. Nel 1621 il governo spagnolo ritentò di appropriarsi dei diritti sui laghi varesini sostenendo che i laghi fossero da considerarsi pubblici. Di fatto nel 1630 i laghi furono messi in vendita e acquistati due anni più tardi dal vescovo Francesco Biglia, esponente di una ricca famiglia milanese che nel varesotto possedeva il castello di Caidate. Nel 1779 il conte Vitaliano Biglia vendette per 185 mila lire i laghi e i relativi diritti al marchese Giulio Pompeo Litta e a sua moglie Elisabetta Visconti Borromeo Arese, che avevano un palazzo a Gavirate, nell'attuale piazza del municipio. Nel 1806 nacque un consorzio per l'abbassamento del lago di Varese che si prefiggeva di abbassare il livello delle acque di m. 4,3 per guadagnare terre coltivabili.
    Nel 1809 venne effettuato solo un modesto abbassamento. Nel 1863 vennero scoperte le prime stazioni palafitticole e avviati i primi scavi archeologici. Nel 1865 i Litta vendettero i laghi ad Andrea Ponti, raccolse una ricca collezione di reperti preistorici, in seguito donata al museo di Varese.

    ...l'isolino VIRGINIA...


    L'isolino Virginia è collocato nel comune di Biandronno; un canale stretto, conosciuto come Ticinello, lo separa dalla terraferma, in un contesto paesaggistico di forte richiamo e suggestiva bellezza. L'isola, con una superficie di circa diecimila metri quadrati, si caratterizza per una vegetazione molto fitta, in cui trovano riparo numerose specie ornitiche, tra cui il tarabusino, la folaga, lo svasso maggiore e la gallinella d'acqua. La flora dell'isola presenta specie di particolare bellezza quali le ninfee e fitti canneti. Conosciuto nell'antichità con il nome di Isola di San Biagio, l'isolino venne acquistato nel 1822 dal duca Pompeo Litta, che ne cambiò il nome in Isola Camilla, in onore della moglie. Dopo l'acquisto, la vegetazione dell'isola venne ulteriormente arricchita dall'aggiunta di altre specie arboree; nel 1878, con il passaggio di proprietà al marchese Ponti, il nome dell'isola cambiò nuovamente, diventando l'attuale "isolino Virginia" in onore della marchesa. Alcune ricerche compiute nel corso del diciannovesimo secolo dall'abate Stoppani rivelarono la presenza di un insediamento preistorico sull'isola, e portò alla luce, poco alla volta, uno tra i più importanti insediamenti palafitticoli d'Europa.

    ....la leggenda....


    Ogni lago ha la sua leggenda: una leggenda che ricorda le sue origini con precisione fantastica, e si tramanda di padre in figlio finché vien fissata sulla carta e stampata, nera sul bianco, da qualche raccoglitore. Quanto al nostro lago, questo nostro magnifico lago di Varese, bianco sul nero se lo vedete nelle notti di luna, che si lascia comprendere d'un sol colpo d'occhio, non ha, ch'io mi sappia, una leggenda che ne racconti la nascita: nessuno dei buoni antichi ha trovato nipotini tanto poco amanti del sonno da dover inventare, per addormentarli, che gli Angeli riempirono con secchi d'oro tutta una valle, gli Angeli fecero spuntare l'isolotto, buon cane da guardia, e gli Angeli fecero questo, fecero quello. Che lago prosastico, direte voi. Adagio: c'è un compenso. Non avete mai visto, scendendo o salendo la strada così detta del Sasso, tra Comerio e Gavirate, a mano destra, una Chiesuola con un piccolo portico ed un campaniletto muto? No: voi non vi siete mai fermati. Se avete la macchina rombante, non vi siete accorti di nulla: se eravate pellegrini francescani, non vi siete fermati a guardare, attraverso una finestrella, nella penombra di questa chiesa dedicata alla Santissima Trinità. E nemmeno vi siete seduti sul muricciolo del portico a guardare quel po' di lago che trema lontanamente. Questa chiesa ha una leggenda. A me l'ha raccontata una vecchina di quelle che si incontrano nelle favole o negli angoli ignoti dei paesi. Dunque ai tempi dei tempi (quando, e chi lo sa!) avvenne ad un cavaliere che si trovasse a percorrere in pieno inverno questi paesi. La neve era tanta che pareva che tutti i mulini del cielo avessero rovesciato la loro farina, su questa piana terra di Lombardia. Si trova dunque d'un tratto il cavaliere davanti ad una distesa di neve dove non un arbusto, uno stecco ed un albero ischeletrito, drizzava le braccia al cielo. Una prateria che si allargava improvvisamente, come un miracolo. In fondo, lontano, poche casupole indicavano l'esistenza d'un villaggio. Il cavaliere affronta decisamente la pianura: sprona il cavallo, e sollevando turbini di neve vola a galoppo sfrenato. Gli sferza in volto un'aria più fredda: quasi direbbe gelida. In poco più di mezz'ora ha percorso tutto il prato di così insolite dimensioni. Eccolo ora davanti alle casupole in rovina del villaggio. Chiama, passando, perché qualcuno gli risponda. Chiama, chiama e nessuno risponde. Scalpita il cavallo ed egli batte ad una porta. "Buona gente!". S'apre finalmente la porticina cigolando sui cardini, ed emerge dall'ombra nera una vecchina piccina piccina (forse una delle nonne più lontane di quella che mi raccontò la storia). "Buon dì, cavaliere di Dio!". Egli l'interpella in modo deciso: "Dite: chi è il padrone di quel prato senz'alberi né stecchi che vedete laggiù? L'ho attraversato or ora e mi punge voglia di comprarmelo!". "Signore Iddio!" esclama la vecchia crocesegnandosi: "Passaste là sopra?". "Diamine, sì. Ma che avete che vi segnate su tutte le parti del corpo? Ho forse l'aria di un pagano?". La vecchina, commossa, accenna a rispondere: "Signor mio, no. Voi non siete un pagano: ché altrimenti il Signore non vi avrebbe fatto sì leggero da passare sul lago senza che il ghiaccio si rompesse sotto gli zoccoli del cavallo!".
    Ora è la volta del cavaliere ad essere stupito: ché molte avventure gli son capitate, ma giammai passò sui ghiacci di un lago scambiandoli per prati distesi sotto il cielo. Si fa gente e tutti lo guardano con meraviglia: il Cavaliere del miracolo egli è ormai per essi. Da le casupole le donne lo mostrano ai fantolini: il Cavaliere che passò sul lago. Quando infine egli si riebbe dalla sorpresa, trasse una borsa d'oro e parlò ai contadini: "Buoni terrieri, uditemi. Io voglio che in ringraziamento al Signore Nostro Uno e Trino, voi costruiate una Chiesa e vi facciate orazione". E come quelli annuirono, egli li ringraziò, diede loro il denaro e se ne partì, né fu più visto. Cominciarono essi a costruire la Chiesa della Santissima Trinità, secondo che dicono le storie. Poi cambiarono i tempi, Gavirate divenne un borgo popoloso ed industre, la Chiesa ebbe bisogno di essere rimessa a punto, forse non è più come a quei tempi. Ma il lago è sempre quello: a volte gela, a volte ride. È sempre il lago che noi amiamo, quello che alcuni vecchi dicono sia un avanzo delle acque del diluvio, che lasciarono sepolto un paese per volontà del Signore Uno e Trino. In verità un paese ci fu, dove ora le acque ondeggiano contro le molli rive. Come rimase sepolto e quando? Sedete sul muricciolo della Chiesa di cui vi ho raccontato la storia: guardate quel tratto di lago che trema al vostro sguardo e forse vi parrà di vedere tra le onde le risate dei ragazzi che furono sepolti un giorno, ma molto lontano, con le loro vecchie case di legno.
    Gianni Rodari
     
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  3. gheagabry
     
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    L'EREMO



    L'eremo è la definizione di luoghi isolati di preghiera è comune a numerose religioni, soprattutto nel Cristianesimo e il buddismo; sono infatti l'Italia, in particolare l'Abruzzo, e il Tibet ad avere la maggiore concentrazione di eremi. Sant'Antonio abate, insieme a San Paolo di Tebe, è considerato oltre che fondatore del monachesimo occidentale anche dell'eremitismo, essendosi ritirato nella condizione di anacoreta nel deserto. La figura dell'eremita è associata spesso a quella del monaco, ma non sempre è legata ai voti religiosi di castità, povertà e obbedienza, oltre che ad una particolare regola. Il primo eremo, dice San Francesco d'Assisi, è il nostro corpo, nel quale è racchiusa e costretta l'anima. Conservando questa accezione, taluni eremi si sono sviluppati fino a divenire dei veri e propri monasteri. Papa Celestino V, al secolo Pietro da Morrone, è stato il maggiore edificatore di eremi in Italia, soprattutto tra le montagne della Majella, legati all'ordine celestiniano, di cui era fondatore.

    Tante volte, rientrando in volo dalla pianura, avevo sbirciato di sottecchi e con la mente gia’ impegnata verso un atterraggio imminente, quella chiesina schiacciata contro la roccia, poco sopra le acque del lago Maggiore. Troppo pochi quindici metri dall’acqua, che in quella zona sprofonda fino a duecento metri, per azzardare un sorvolo e dare un occhio da vicino...


    L'EREMO di Santa CATERINA del SASSO



    Abbarbicato su uno strapiombo di parete rocciosa a picco sul lago, l'Eremo di Santa Caterina del Sasso è sicuramente uno degli scenari suggestivi del Lago Maggiore. Abbarbicato su di un costone roccioso del Lago Maggiore, l'Eremo di Santa Caterina si affaccia direttamente sul Lago. Può essere raggiunto solo a piedi, scendendo una ripida scalinata dal sovrastante agglomerato di case, oppure via lago. Nel 2010 è stato inaugurato un ascensore scavato nella roccia che rende meno difficoltoso l'accesso dal parcheggio sul piazzale sovrastante. Il vero e proprio complesso monastico risale al 1300, anche se le pitture più recenti sono del 1800. L'Eremo è composto di tre edifici: il Convento Meridionale, il Conventino e la chiesa. Alla sinistra di quest'ultima, a strapiombo sul lago, troviamo un fiero campanile del XIV secolo. Numerosi i cicli pittorici entro e fuori le mura della chiesa, che coprono un periodo che va dal XIV al XIX secolo. Arte e storia si integrano splendidamente in un quadro naturale dei più suggestivi, quasi una balconata che si protende verso le isole Borromee.

    L'Eremo di Santa Caterina compare anche se non viene nominato direttamente nel film del 1977 La stanza del vescovo, diretto da Dino Risi ed inoltre nello sceneggiato del 1989 I promessi sposi di Salvatore Nocita, in questo caso l'ambientazione è stata scelta per l'incanto del luogo, ma gli edifici e la storia manzoniana non hanno alcun rapporto tra loro.

    ...storia, miti e leggende....



    A picco sul lago, lungo la sponda "magra", quella cioè lombarda, è l'eremo di S. Caterina del Sasso "Bàllaro", le cui testimonianze documentarie più antiche risalgono al 1301, anno nel quale in una pergamena si attesta che si sta edificando una chiesa in onore di san Nicola. Nel 1308 è ricordata la chiesa di S. Maria Nuova, mentre nel 1315 una chiesa dedicata a santa Caterina è detta "constructa in domo fratrum S. Nicollai de Saxobalaro". Si dovette trattare, in origine, di un cenobio assai modesto, privo di una specifica subordinazione gerarchica e della disciplina di una regola ratificata, situazione sanata da una bolla dell'arcivescovo Aicardo del 1334 (in quell'anno, oltre al priore, vi erano tre confratelli che praticavano la regola agostiniana). Nel 1339 vengono consacrati gli altari di santa Maria e san Nicolao. Nel 1379, dopo un periodo caratterizzato da gravi difficoltà economiche, viene chiesta l'aggregazione alla domus milanese di S. Ambrogio ad Nemus (che durerà sino alla soppressione dell'ordine nel 1650).

    L'Eremo di Santa Caterina fu fondato da un ricco mercante, tale Alberto Besozzi. Ritrovatosi in mezzo a un naufragio il Besozzi si affidò a Santa Caterina d'Alessandria, facendo voto di penitenza qualora si fosse salvato. Il mercante si salvò aggrappandosi a delle rocce e lì si ritirò, come promesso, a fare l'eremita: in quel luogo ora sorge l'Eremo.


    Si racconta come costui fosse un bandito e che compiesse crimini spietati. Una sera del 1170 il Besozzi stava rientrando con lo sua barca portando con sè il bottino recuperato nel corso di una rapina. Una tempesta sorprese lui e i suoi due bravi, tanto che uno venne travolto dalle onde e l’altro, impietrito, lasciò l’imbarcazione in balia del lago. Il Besozzi, a quel punto, capì che la situazione volgeva al peggio e implorò il Signore di dargli la possibilità di rimediare ai suoi errori. La barca si schiantò con violenza ma Alberto riuscì ad afferrare una tavola e a raggiungere la salvezza. Tornato a casa decise di dare tutte le sue ricchezze ai bisognosi, abbandonando la villa di Arolo e scegliendo una vita dedita al sacrificio. Indossato un saio, tornò in barca ai piedi della rupe dove aveva rischiato di morire e si stabilì in una spelonca, vivendo grazie all’elemosina dei pescatori di passaggio. Pregò e soffrì in solitudine, resistendo con tenacia al richiamo del mondo di agi e ricchezze che aveva lasciato. Dopo venticinque anni vissuti da eremita un giorno il Besozzi ricevette la visita di alcuni uomini del Verbano che gli annunciarono le devastazioni provocate dalla peste. Egli pregò e dopo otto giorni Dio ordinò ad Alberto di erigere una chiesa dedicata alla Vergine delle stesse dimensioni di quella presente sul monte Sinai. Egli non ne conosceva le dimensioni ma il giorno dopo al risveglio le trovò disegnate sul terreno con del sangue. L’opera iniziò e Alberto capì di aver salvato la sua anima sentendo in lontananza le campane suonare a festa per la fine della pestilenza.

    Nel 1195 Alberto intervenne per contrastare la peste che aveva colpito le zone circostanti e, a seguito di una rivelazione angelica, fece costruire un sacello simile a quello che custodiva i resti di Santa Caterina d'Alessandria sul Sinai. Alla sua morte, avvenuta nel 1205, Alberto venne sepolto accanto alla cappella di Santa Caterina, ed in seguito venne proclamato Beato: il Beato Alberto Besozzi le cui spoglie riposano ancora oggi all'Eremo. L'Eremo vide successivamente un altro fatto miracoloso: quando nel Seicento dei massi franarono cadendo sulla volta che custodiva la tomba di Alberto, il fato volle che si fermassero poco distanti da terra, per poi adagiarsi lentamente sul pavimento anni dopo. Questo fatto contribuì ad associare in modo definitivo il luogo di preghiera con il miracolo. Durante il 1300 venne abitato da una comunità di monaci Agostiniani. Nel 1379 subentrarono i Romiti Ambrosiani e nel 1649 i Carmelitani. Dal 1970 l' Eremo di Santa Caterina è proprietà della Provincia di Varese, che ha provveduto al restauro i cui lavori sono terminati nel 1986: la struttura è stata quindi affidata ai Benedettini.
     
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  4. tomiva57
     
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    Sondrio

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    Sondrio, capoluogo di provincia dista da Milano 135 chilometri. E' una città con circa 25.000 abitanti, ricca di aspetti interessanti posta in posizione mediana del territorio valtellinese alla confluenza tra l'Adda ed il torrente Mallero che affluisce dalla laterale Valmalenco.
    Le origini di Sondrio sono rintracciabili in epoca romana, fino al 1500 l'abitato ebbe una dimensione modesta svolgendo le funzioni di capoluogo di pieve su di un territorio ridotto. Crebbe di dimensione e di ruolo durante il dominio grigionese (1512-1797) e consolidò il ruolo di centro sotto i domini napoleonico ed austriaco sino alla nascita della provincia di Sondrio conseguentemente a quella dello Stato unitario.



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    Il centro cittadino è caratterizzato dai palazzi Sertoli e Sassi collocati nei pressi di


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    Piazza Quadrivio,

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    il Castello Masegra (sec. XII-XIV) visibile dalla


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    Piazza Garibaldi,

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    la Collegiata dei Santi Gervasio e Protasio (sec. XII-XVIII) e la sede municipale di Palazzo Pretorio (sec. XVI). La città offre interessanti monumenti:

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    il Museo Valtellinese di Storia e Arte che ospita, oltre alle opere dei Ligari, affreschi, statue lignee, oreficeria, arte sacra e una tipica stua in legno.
    La Panoramica dei Castelli, antica strada che partendo da Sondrio attraversa meleti e vigneti (qui si producono infatti i rossi Grumello e Inferno), conduce a importanti fortificazioni medievali, tra cui il Castello Grumello (XIV sec.) a Montagna.
    Sulle pendici intorno al capoluogo sono localizzate le frazioni, fino al secondo dopoguerra sede di attività agricole ed oggi veri e propri sobborghi residenziali, caratterizzati da alcuni monumenti come la chiesa ed il

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    Convento di S. Lorenzo già Castello di S.Giorgio (sec. XI-XII) presso Sant'Anna,

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    la Chiesa di S. Bartolomeo Mossini,


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    la Chiesa della Madonna della Sassella (sec. XI) ricca di pregevoli affreschi di Andrea De Passeris, posta su uno sperone roccioso alle porte della città.

    Geografia: altitudine m. 307 s.l.m. superficie comunale kmq. 20,4. Sondrio è il capoluogo della Valtellina e della Chiavenna. E' centro vinicolo e turistico: basta ricordare i centri di Livigno e Bormio, famose località turistiche per gli sports invernali. Il periodo ideale per visitare la provincia è l'estate per la viabilità dei passi.

    Storia:

    Di origine longobarda, Sondrio fu governata da diverse signorie a partire dalla famiglia dei Capitanei di Vizzola a quella del Beccaria, passando ai Visconti, e poi agli Sforza che la tennero fino all'avvento dei francesi. Verso la metà del XVI secolo fu sotto il governo delle Tre Leghe Grigie fino al XVIII secolo. Divenuta capoluogo della Valtellina si sviluppò sia nel settore agricolo che commerciale e con l'avvento di Napoleone entrò a far parte della Repubblica Cisalpina. Nel XIX secolo combatté duramente contro il Regno del Lombardo Veneto per conquistare la propria indipendenza.


    Monumenti


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    Palazzo Pretorio del XVI secolo con stua del XVII secolo (sala foderata in legno intagliato e intarsiato).




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    Casa di Carbonera del XVI con portico e loggiato in stile valtellinese.

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    Casa Lavizzari con elegante portale del '500.

    Musei:

    Museo Valtellinese di Storia ed Arte (v. IV Novembre) contenente collezioni archeologiche, storiche-artistiche ed etnografiche. Museo Naturalistico Provinciale (p. Garibaldi).

    Gastronomia:


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    Pizzoccheri,


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    polenta taragna o in fiur, sciatt, lepre con la crostata, panon, bresaola, mortadella di fegato.

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    Vini: Sassella, Grumello, Inferno, Valgella.

    Artigianato: rame sbalzato, oggetti incisi e torniti in pietra, pezzotti.





    CENNI STORICI

    Il nome "Sondrio" ha origini longobarde e deriva da "Sundrium", termine che indicava un terreno speciale coltivato dal padrone. Il primo abitato di Sondrio risale al periodo romano e appartiene al municipio di Como. In età Longobarda il suo territorio viene organizzato in "arimannie", ovvero porzioni di terre affidate agli arimanni, uomini liberi di origine guerriera. Il potere politico comincia ad assumere stabilità della metà dell'XI sec., quando la famiglia De' Capitanei, originaria del Ticino, viene in possesso della Pieve di Sondrio e Berbenno. I Capitanei sono una famiglia filo papale e fondano qui il Monastero di San Lorenzo compreso entro il Castello di San Giorgio. Essi dominano su un ampio territorio sul quale costruiscono un sistema di rocche e castelli al fine di controllare le vie della Valmalenco, della Valcamonica e dell'Engadina. Fra il 1110 e il 1335 conosce una serie di alterne vicende legate alla lunga guerra fra Milano e Como e alle lotte interne tra i guelfi Vittani e i ghibellini Rusconi. Nel 1335, dopo la definitiva sconfitta di Como, Sondrio e la VAltellina cadono sotto il dominio milanese dei Visconti e successivamente degli Sforza. Il 27 giugno 1512, con il Giuramento di Teglio, passa sotto il governo grigione, di cui ne diviene la sede. Durante la prima metà del Seicento è uno dei maggiori centri degli scontri religiosi fra cattolici valtellinesi e protestanti grigioni. L'uccisione dell'arciprete di Sondrio, Nicola Rusca, è l'occasione che scatena il così detto Sacro Macello (1620), che vede l'ccisione di 180 protestanti solo a Sondrio. Durante il periodo tra il 1620 e il 1639 assume un governo indipendente. E' questo il duro periodo dell'Inquisizione e della caccia alle streghe. Nel 1639, con il Trattato di Milano, viene ristabilita la sovranità grigione, la quale porta solidità politico-istituzionale, dando il via ad un periodo di sviluppo che prosegue per tutto il Settecento. L'arrivo di Napoleone pone fine al dominio grigione. Il 14 giugno 1797 viene piantato a Sondrio l'albero della Libertà, e la Valtellina viene annessa alla Repubblica Cisalpina ed inserita nel Dipartimento dell'Adda e dell'Oglio. Nel 1798 la cittadina perde il proprio ruolo di capoluogo a vantaggio di Morbegno, riacquistandolo nel 1805. Nel 1839 l'Imperatore Ferdinando I la eleva al rango di Città Regia, dotata di Prefettura, Camera di Commercio, carceri e caserma militare. Nel 1859 viene annessa prima al Regno di Sardegna e successivamente al Regno d'Italia. E' un periodo di grande sviluppo dell'economia, della viabilità e della cultura, che si protrae a lungo trasformando Sondrio sotto ogni punto di vista. Da centro agricolo diventa centro industriale, pur mantenendo il connotato rurale per il forte peso nell'economia provinciale del vigneto.


    PASSEGGIANDO PER SONDRIO


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    Punto di partenza del nostro itinerario è la ricca Piazza Garibaldi, vero e proprio cuore della città, su cui si affacciano dignitosi palazzi ottocenteschi e da dove si può ammirare uno scenario suggestivo: dallo scorcio delle pareti di roccia a strapiombo sul torrente Mallero all'antico Castello Masegra, dal ritmo ondulato dei muretti a quello lineare dei vigneti, in alto fino ai ghiacciai che formano la testata della Valmalenco.
    La piazza, un tempo chiamata Piazza Nuova, deve il proprio nome alla statua di bronzo di Giuseppe Garibaldi che spicca al suo centro. Essa è opera di F. Confalonieri ed ha preso il posto di quella di Francesco I d'Austria nel 1909. Sul lato meridionale sorgono l'edificio della Banca d'Italia e il Teatro Pedretti costruito nel 1821; su quello occidentale troviamo la Casa Lambertenghi e, oltre la strada, il Palazzo Martinengo con facciata neoclassica, risalente al XVI sec., davanti al quale si eleva un obelisco adornato da quattro statue dello scultore Giuseppe Croff. L'obelisco è stato eretto in onore e in ringraziamento di Ferdinando I d'Austria, il quale, dopo la terribile inondazione del 1834, fece costruire gli argini del Mallero. Sul lato est ammiriamo l'edificio sede della Banca Popolare, all'interno del quale viene conservata una pregiata collezione d'arte contemporanea, e l'Albergo della Posta, costruito nel 1834, e a lungo salotto valtellinese dei più celebri ospiti della provincia.
    Il percorso prosegue verso il torrente Mallero e, una volta attraversato il ponte, si giunge alla piazzetta Carbonera. Qui sorge l'antica Casa Carbonera caratterizzata da un portico a tre archi e da loggiati ornati da eleganti colonne e capitelli rinascimentali. Prendiamo per via Romegialli e ci inoltriamo nella contrada Cantone, percorrendo un tratto di strada che in passato apparteneva all'importante strada Valeriana. In questo tratto è possibile ammirare alcune dimore antiche (tra le quali citiamo la ex-casa Romegialli al n.46, impreziosita da un portale settecentesco e dai battenti in legno intagliato e la casa ex-Sertoli-Rajna) e, sopra il portale al n. 12, un affresco raffigurante l'Incoronazione della Vergine, opera di P.Ligari, oggi in stato di abbandono. Giungiamo ad un nuovo ponte sul Mallero, lo attraversiamo, e svoltiamo subito sulla sinistra, dove, in un corridoio che si apre sotto laLa sala dei balli di palazzo Sertoli (Foto di V.Martegani - www.martegani.it/). roccia, troviamo la via Fracaiolo, la quale può a diritto essere definita una sorta di via-museo. Qui infatti ammiriamo i resti delle antiche ruote dei magli, il Malleretto (che oggi scorre sotto Sondrio) e l'antico lavatoio e da qui partivano le mura della città, fatte costruire nel 1325 per difendere l'abitato dai nemici Rusconi, potente famiglia ghibellina di Como in lotta con i guelfi Capitanei di Sondrio. Accediamo poi alla Piazza Cavour, chiamata in passato Piazza Vecchia e ci prepariamo alla salita Ligari che si apre verso est. All'inizio della salita incontriamo la casa in cui il pittore Gian Pietro Ligari trascorse gli ultimi 25 anni della sua vita. Terminata la scalinata imbocchiamo la via dei Capitanei di Sondrio, che sale fra vigneti e giardini. Si giunge infine ad uno spiazzo su cui sorge il Castello Masegra. Ripercorriamo a ritroso la via dei Capitanei e saliamo brevemente per poi ridiscendere per il vicolo S.Siro. Superata la casa Bosatta, il vicolo ci immette sulla piazzetta su cui sorge la chiesetta dell'Angelo Custode, una delle chiese più antiche di Sondrio. Risale agli inizi del Trecento e conosce un duro periodo di decadenza in seguito all'occupazione grigione. Questa zona era definita il "crap", e si dice che qui, un tempo, le streghe si incontrassero con il demonio. Per questo motivo la chiesetta di S.Siro fu abbattutta e quella dell'Angelo Custode sconsacrata. Da qui prendiamo ora per via Lavizzari, uno degli angoli più suggestivi della vecchia Sondrio, e ci immettiamo sulla graziosa piazza Quadrivio, impreziosita da una caratteristica fontana rotonda del XIX sec. e coronata da palazzi nobiliari, tra cui distinguiamo Palazzo Sertoli, Palazzo Giaccone e Palazzo Paribelli. Di fronte a Palazzo Sertoli si apre la via Scarpatetti, il cui nome deriva da quello di una antica famiglia grigione, caratterizzata da scorci di ambienti rustici, arcate, acciottolati, ballatoi in legno, tre cappellette dedicate alla Madonna ed alcune osterie. All'altezza della seconda cappella imbocchiamo, a destra, la salita Schenardi e raggiungiamo il Convitto Nazionale, il quale ha sostituito il convento dei Cappuccini durante il periodo napoleonico. Da qui scendiamo verso il giardino al cui centro sorge la Villa Quadrio, sede della biblioteca dedicata al filologo valtellinese Pio Rajna. Da Villa Quadrio, lungo la via Don Bosco, giungiamo alla piazzetta su cui sorge la Chiesa di San Rocco, preceduta da un ampio porticato e sorta nel 1513 in ringraziamento per la scampata peste. Nel 1630, dopo il passaggio dei lanzichenecchi, servì come lazzaretto per gli appestati, mentre nella seconda metà del Settecento divenne sede delle riunioni della arcadica Accademia dei Taciturni. L'interno presenta un'unica navata con tetto a capriate. Ripercorrendo la via Don Bosco, passiamo di nuovo per Piazza Quadrivio e proseguiamo per via M.Quadrio sbucando davanti al Palazzo Sassi de Lavizzari, un cinquecentesco e austero palazzo, donato nel 1930 da Francesco Sassi de Lavizzari al comune perchè ne facesse sede di istituzioni culturali. Oggi è sede del Museo Valtellinese di Storia ed Arte. La pinacoteca ospita, oltre alle opere dei Ligari, affreschi, statue lignee, oreficeria, arte sacra e una tradizionale stüa settecentesca in legno scolpito ed intagliato. Proseguiamo per Piazza Campello dove sorge la Collegiata dei S.S. Gervasio e Protasio di fronte alla quale ammiriamo il palazzo comunale, antico edificio nobiliare del '500. Infine, da Piazza Campello, attraverso la stretta via F.Cavallotti, si arriva in via Beccaria, dove è possibile vedere il più antico portico della città. Prendiamo via Dante e, attraverso il punto dove, un tempo, nelle mura, si apriva una porta detta di Cugnolo, ci ritroviamo in Piazza Garibaldi, punto di partenza del nostro itinerario.
    Al territorio di Sondrio appartengono altre testimonianze storiche di grande valore, le quali non sorgono nel centro cittadino bensì lungo le pendici delle alture che coronano l'abitato. Tra esse citiamo ed invitiamo a visitare il Santuario della Madonna della Sassella alle porte di Sondrio, su uno sperone roccioso, i resti del Castello Grumello del XIV sec., il Castello di Mancapane a Montagna in Valtellina, la torre e il Palazzo Paribelli ad Albosaggia.



    La riserva "Il Bosco dei Bordighi" (Foto di V.Martegani - www.martegani.it/).Per gli amanti della natura segnaliamo la Riserva Naturale del Bosco dei Bordighi sita sulla sponda sinistra dell'Adda in prossimità di Sondrio.


    MANIFESTAZIONI e GASTRONOMIA

    Le manifestazioni principali che si tengono a Sondrio e nelle sue frazioni hanno a che fare con la produzione artigianale caratteristica della zona e delle sue valli (i pezzotti e la pietra ollare), e con i prodotti della tipica enogastronomia locale (i vini rossi, la bresaola, i funghi, i pizzoccheri, la "besciola", il miele).
    Da ricordare è anche la Mostra Internazionale dei Documenti sui Parchi, occasione di incontro e di confronto tra coloro che operano, a livello mondiale, nella documentazione delle aree protette. Si svolge ogni anno ad ottobre ed è organizzata dal Centro Documentazione Aree Protette del Comune










    Bormio





    Mortirolo




    l Passo del Mortirolo (1.852 m), detto anche Passo della Foppa, mette in comunicazione l'alta Valtellina con l'alta Val Camonica, attraverso la Valle del Mortirolo. Collega anche la provincia di Brescia con quella di Sondrio.

    Si tratta di una strada poco frequentata, in quanto l'alternativa del Passo dell'Aprica è molto più agevole e sicura per raggiungere Bormio e la parte alta della Valtellina provenendo dal bresciano o dal Trentino.

    Nell'aprile del 1945, durante la Seconda guerra mondiale fu teatro di due battaglie tra i partigiani e le truppe tedesche in ritirata verso la Germania.

    Il Passo si può raggiungere da tre diversi versanti:
    * da Mazzo di Valtellina a nord (bivio sulla Strada Statale 38 dello Stelvio)
    * dalla Val Camonica, passando per Monno a sud (bivio sulla Strada Statale 42 del Tonale e della Mendola, a breve distanza da Edolo),
    * dall'Aprica (Strada Statale 39 dell'Aprica) attraverso Trivigno a ovest.


    Giro d'Italia

    Dopo essere rimasto per molti anni una strada secondaria di montagna, sterrata, il Mortirolo è salito alla ribalta a partire dal 1990, quando è stato inserito nel percorso del Giro d'Italia, a causa delle pendenze molto accentuate e costanti nel suo versante settentrionale. Dopo essere stato asfaltato, è stato percorso in più occasioni durante la corsa ciclistica, con imprese entrate nella leggenda del ciclismo: si ricorda in particolare la fuga solitaria dell'allora emergente Marco Pantani nel 1994, che staccò quotati avversari come Miguel Indurain, Evgeni Berzin e l'amico Claudio Chiappucci.

    Il versante nord, con inizio a Mazzo di Valtellina (552 m s.l.m.), oggi è considerato come una delle salite più dure d'Europa ed è meta di molti cicloamatori che si cimentano nella difficile scalata; presenta una lunghezza di circa 12,5 chilometri per un dislivello di 1300 metri: la pendenza media è superiore al 10% e vi sono diversi settori con punte fino al 18%. Nel tratto tra il terzo e il nono chilometro le pendenze non scendono mai sotto l'11%, salvo addolcirsi solamente negli ultimi chilometri. I migliori professionisti lo percorrono in meno di 45 minuti (Ivan Gotti che detiene il record impiegò 42'40" nel giro del 1996 e 43'10" nel Giro del 1997).

    L'altro versante, quello di Edolo, misura 17,2 chilometri, parte da quota 699 metri e ha una pendenza media del 6,7%; è più facile anche se più lungo. Si parte da Edolo e per il primo tratto di salita si segue la statale della Val Camonica per poi svoltare per Monno (1066 m s.l.m.), dove inizia la vera salita di 11,2 chilometri; vi sono alcuni tornanti abbastanza impegnativi ma poi la salita è regolare (circa al 6-7%) fino al quattordicesimo chilometro dove c'è addirittura un breve tratto in falsopiano. Il tratto più duro arriva in prossimità del sedicesimo chilometro, a quota 1720 m, con più di 500 metri abbondantemente sopra il 10%. Da questo versante il Giro transitò una sola volta, nel 1990 (la prima in assoluto sul Mortirolo), e vide transitare per primo sul passo Leonardo Sierra che poi vinse anche la tappa che si concludeva all'Aprica con partenza da Moena. Questo versante della salita verrà ripetuto dalla carovana rosa durante la diciannovesima tappa del giro d'Italia 2010.

    Nel mese di maggio 2006 è stata posata al km 8 della salita, in località "Piaz de l'acqua", una scultura, realizzata da Alberto Pasqual, dedicata a Marco Pantani. Il campione romagnolo è raffigurato durante uno scatto, con le mani basse sul manubrio, voltato a scrutare gli avversari.

    Sempre nel 2006 il Giro d'Italia è passato per le strade del Mortirolo (versante di Mazzo di Valtellina) col passaggio in vetta del vincitore di quel Giro Ivan Basso con a ruota Gilberto Simoni.













     
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  5. gheagabry
     
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    Io mi rammento ancora della prima gita che feci al Lago di Como, in una giornata soffocante di luglio, dopo una di quelle estati di lavoro e di orizzonti afosi che vi mettono in corpo la smania del verde e dei monti. La prima torre sgangherata che scorsi in cima alla montagna posta a guardia del lago mi si stampò dinanzi agli occhi come un faro di pace, di riposo, di freschi orizzonti. Il paesaggio era ancora uniforme. Tutt'a un tratto, dalle alture di Gallarate, vi si svolge davanti un panorama che è una festa degli occhi. Allorché vi trovate per la prima volta sul ponte del battello a vapore, rimanete un istante immobile, e colla sorpresa ingenua del piacere stampata in faccia, né più né meno di un contadino che capiti per sorpresa in una sala da ballo. L'ammirazione è ancora d'impressione, vaga e complessiva. Non è lo spettacolo grandioso del Lago Maggiore, né quello un po' teatrale del Lago di Lugano visto dalla Stazione. È qualche cosa di più raccolto e penetrante. Tutto il Lago di Como a prima vista è in quel bacino da Cernobbio a Blevio, e la prima idea netta che vi sorga è di sapere da che parte se n'esca. A poco a poco comincia a sorgere in voi come un'esuberanza di vita, quasi un'esultanza di sensazioni e di sentimenti, a misura che lo svariato panorama si va svolgendo ai vostri occhi. Sentite che il mondo è bello, e se mai non l'avete avuta, principia a spuntare in voi, come in un bambino, la curiosità di vederlo tutto, così grande e ricco e vario, di là di quelle cime brulle, oltre quei boschi che si arrampicano come un'immensa macchia bruna sui dossi arditi, dopo quei campanili che sorgono da un folto d'alberi, di quelle cascate che biancheggiano un istante nella fenditura di un burrone, di quelle ville posate come un gingillo, su di un cuscino di verdura, che vi creano in mente mille fantasie diverse, e la vostra immaginazione popola di figure leggiadre, dietro le stoie calate ed i vetri scintillanti, in quelle barchette leggiere che battono il remo silenzioso come un'ala, e si dileguano mollemente, con un cinguettìo lontano di voci fresche, strascinandosi dietro delle bandiere a colori vivaci. È come un sogno in mezzo a cui passate, e vi sfila dinanzi Villa d'Este elegante, Carate civettuolo, Torno severo, e Balbianello superbo. Poi come tutt'a un tratto vi si allarga dinanzi la Tremezzina quasi un riso di bella fanciulla, nell'ora in cui sulla Grigna digradano le ultime sfumature di un tramonto ricco di colori e Bellagio comincia a luccicare di fiammelle, e il ramo di Colico si fa smorto, di là di Varenna, e Lenno e San Giovanni vi mandano le prime squille dell'Avemaria, voi vi chinate sul parapetto a mirare le stelle che ad una ad una principiano a riflettersi sulla tranquilla superficie del lago, e appoggerete la fronte sulla mano sentendovi sorgere in petto del pari ad una ad una tutte le cose care e lontane che ci avete in cuore, e dalle quali non avreste voluto staccarvi mai."
    - Giovanni Verga, I dintorni di Milano -

     
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