L'ENEIDE

di Virgilio

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  1. gheagabry
     
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    ENEA





    Enea (greco: Αἰνείας; latino: Aenēās, -ae) è una figura della mitologia greca e romana. Figlio del mortale Anchise e di Afrodite/Venere, dea della bellezza. Suo padre era il cugino di Priamo, re della città di Troia. Principe dei Dardani, partecipò alla guerra di Troia dalla parte di Priamo e dei Troiani, durante la quale si distinse molto presto in battaglia. Guerriero valorosissimo, assume tuttavia un ruolo secondario all'interno dell'Iliade di Omero.

    Enea è il protagonista assoluto dell'Eneide di Virgilio: le vicende successive alla sua fuga da Troia, caratterizzate da lunghe peregrinazioni e da numerose perdite, favorite dall'ira di Giunone, si concluderanno con il suo approdo nel Lazio e col suo matrimonio con la principessa Lavinia, figlia del re locale Latino. Da questa unione sarebbe nato Silvio, futuro regnante di Albalonga e possibile capostipite dei re di Roma.

    La figura di Enea, prototipo dell'uomo sottomesso e obbediente agli dèi e umile di fronte alla loro volontà, è stata ripresa da numerosi autori antichi, posteriori a Virgilio e a Omero, come Quinto Smirneo nei Posthomerica.

    Un tempo Zeus, il padre degli dèi, stanco delle continue tentazioni che la magica cintura di Afrodite stimolava di continuo in lui, come in qualsiasi altro essere, mortale o divino che fosse, stabilì di punire la dea, facendola innamorare perdutamente di un comune mortale.
    Il prescelto fu Anchise, un giovane pastore frigio, figlio di Capi e di Temisto (oppure, secondo altre leggende, di Egesta), che di consueto faceva pascolare le sue vaste mandrie sui colli del monte Ida.
    Afrodite, rimasta sedotta dalla sua straordinaria bellezza, dopo averlo scorto a compiere il suo lavoro, decise di ottenere subito i suoi favori.
    Una notte, mentre egli giaceva nella sua capanna da mandriano, la dea assunse l'aspetto di una comune mortale e sotto tale travestimento si accostò a lui, sostenendo di essere una principessa, la quale, rapita dal dio Ermes, di lei perdutamente invaghito, era stata poi trasportata dal dio sui pascoli dell'Ida.
    Indossato poi un seducente peplo di colore rosso smagliante, la dea riuscì nel suo intento erotico e, sdraiatasi accanto al giovane, giacque con lui in un giaciglio di pelli animali. Accompagnati dal sereno ronzare delle api, per tutta la notte i due amanti godettero delle passioni amorose e proprio da questo amplesso la dea dell'amore rimase incinta di un bambino. Quando, al sorgere dell'alba, Afrodite rivelò all'uomo la sua vera natura, Anchise, temendo di essere punito per aver scoperto le nudità di una dea, la pregò di risparmiargli la vita.
    Tuttavia la dea lo rassicurò, predicendogli la nascita di un bambino che sarebbe stato capace di regnare sui Troiani, acquistando un potere straordinario che si sarebbe mantenuto anche con i suoi discendenti.
    Ma allo stesso tempo Afrodite mise in guardia il suo amante, esortandolo a nascondere la verità sulla nascita del bambino, ben sapendo che se Zeus ne fosse venuto a conoscenza, lo avrebbe senza dubbio fulminato.




    Afrodite, con l'aiuto del Tempo, partorisce Enea, opera di Giovanni Battista Tiepolo, 1754-1758 ca, Londra, National Gallery.

    « È molto che, in odio agli dèi, inutile, gli anni trascino,
    da quando il padre dei numi e sovrano degli uomini
    mi sfiorò con la vampa del fulmine, mi toccò col suo fuoco. »
    (Commento di Anchise, Virgilio, Eneide, libro II, versi 647-649)


    Alcuni giorni dopo, mentre Anchise si trovava presso una locanda in compagnia dei suoi amici, uno di essi gli chiese se avesse preferito passare una notte con la figlia del Tal dei Tali piuttosto che con Afrodite. Il giovane troiano, dimentico della promessa e stordito dall'ebbrezza, si vantò affermando di essere andato a letto con entrambe e giudicando un tale paragone impossibile.

    Udita la temibile vanteria, Zeus dall'alto dell'Olimpo si affrettò a punire un così sfrontato mortale, scagliando una folgore destinata ad incenerirlo.[8] Ma Afrodite, postasi in difesa del suo amato, lo protesse grazie alla sua cintura magica, di fronte alla quale la terribile arma di Zeus nulla poté fare; la folgore raggiunse comunque Anchise, ma invece di incenerirlo, scoppiò innocuamente sotto i suoi piedi.
    Il giovane mortale provò comunque un incredibile spavento alla vista di quelle scintille, tanto che da allora, egli non riuscì più a raddrizzare la schiena, traumatizzato com'era alla vista dell'ira divina.

    Il pargolo nacque sul monte Ida dove lo allevarono le ninfe e il centauro Chirone, la madre infatti, essendo dea, doveva vivere sul monte Olimpo e il padre, punito da Zeus, venne reso storpio per aver rivelato ad altri il suo rapporto con Afrodite. Sposò Creusa, figlia del re Priamo, cugino di suo padre, e da lei ebbe Ascanio.

    Guerra di Troia



    Primi combattimenti

    Achille assalì il monte Ida e depredò le mandrie di Enea, che fuggì. In seguito Enea parteciperà alla guerra di Troia dalla parte dei Troiani, ovviamente; sarà a capo di un contingente di Dardani.

    Contro Diomede e aiuto di Afrodite

    Fu eroe valoroso, secondo solo ad Ettore, e spesso supportato dagli dei. Nella battaglia che seguì al duello fra Paride e Menelao, combatté sul carro da guerra in compagnia di Pandaro. Quest'ultimo venne ucciso da Diomede ed Enea lasciò incustodito il carro (che verrà poi portato al campo greco da Stenelo, fedele compagno d'armi e auriga di Diomede) per difendere il corpo dell'amico dagli assalti greci.


    « Balzò a terra Enea, con la lunga lancia e lo scudo, temendo che gli Achei gli strappassero il morto. Gli si mise accanto come un leone che della sua forza si fida; teneva davanti a sé la lancia e lo scudo rotondo, pronto ad uccidere chiunque gli venisse di fronte, e gridava in modo terribile. »

    (Omero, Iliade, Canto V, vv. 299-302)


    Affrontò Diomede ma venne ferito a causa di un masso scagliato dal greco. Venne salvato dalla madre che lo avvolse nel suo velo. Diomede, non temendo l'ira della dea, la colpì costringendola alla fuga. Apollo scese dunque in soccorso del troiano, contro di lui non poterono nulla neanche i colpi di Diomede. Enea venne ricoverato nel tempio di Apollo, a Pergamo, e curato da Artemide e Latona. Al suo posto combatté sul campo un fantasma con le sue sembianze. Enea, benché non venga ricordato per altre imprese, combatté comunque anche in altre battaglie, come quella presso le navi greche, soccorrendo Ettore, ferito da un masso scagliato da Aiace, insieme agli altri comandanti troiani.

    Contro l'eroe Achille


    Dopo la morte di Patroclo, Achille decise di tornare a combattere. Enea volle affrontarlo a duello, scagliò la sua lancia contro il greco ma non riuscì a colpirlo.


    « Achille a sua volta scagliò l'asta dalla lunga ombra e colpì Enea nello scudo rotondo al bordo estremo dove il bronzo è più sottile e più sottile la pelle di bue. Da parte a parte passò, il frassino del Pelio, e lo scudo risuonò sotto il colpo. »

    (Omero, Iliade, Canto XX, vv. 273-277)



    Poseidone decise allora di salvare il figlio di Anchise avvolgendolo in una spessa nebbia e ponendolo fra le ultime file dell'esercito.

    Fuga da Troia


    La notte in cui i greci sarebbero usciti dal cavallo di legno, gli apparve in sogno Ettore, terribile d'aspetto, che gli annunciò l'inevitabile caduta di Troia e il suo arrivo in terra italica. Durante l'incendio della città tentò, insieme a pochi uomini, di difenderla ma dopo aver capito che tutto ciò era ormai inutile, decise di fuggire portando con sé il padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio.
    Enea
    Enea, enea ascanio venere didonePrincipe troiano figlio di Anchise e di Venere, da giovinetto rimase, per cinque anni. fra le ninfe del monte Ida sul quale era nato. Fu poi educato, come quasi tutti i maggiori eroi greci, dal centauro Chirone, finché sposò Creusa, figlia di Priamo re di Troia, dalla quale ebbe un figlio, Ascànio, detto anche Iùlo. Da Ascànio secondo la grande tradizione raccontata da Virgilio, sarebbe, poi, discesa la Gente Giulia, che fu signora di Roma.


    Quando il cognato Paride rapì la bella Elena e, con le favolose ricchezze di lei, la condusse a Troia, Enea biasimò severamente la violazione dell’ospitalità compiuta da Paride; prevedendo la guerra che, certamente, i greci avrebbero mosso alla sua patria.
    Enea non cessò mai di consigliare che Elena e la sua dote fossero restituite a Menelao.

    Come sappiamo dalle crnocahe omeriche non fu ascoltato: e benché fosse coraggioso e prode, quando la guerra prevista scoppiò, non vi prese direttamente parte.

    Solo quando Achille lo assalì coi suoi Mirmidoni sul monte Ida, dove egli seguitava a risiedere Enea divenne attivo nel conflitto bellico. Respinto Achille, partecipò valorosamente alla guerra, dove seppe tener testa ora a Diomede ed, ora, ad Achille, giovandosi anche della protezione e dell’aiuto della madre Venere e di Apollo protettore di Ilio.

    Nell’incendio di Troia sostenne animosamente, nelle vie, molti combattimenti con i greci: ma quando Venere gli mostrò che, fra i più accaniti distruttori della città vi era lo stesso Apollo ch’era stato uno di quelli che l’avevano edificata, decise di abbandonare la città e di porsi in salvo col padre, la moglie, il figlio e con gli dei Penati di Troia.




    Sulle prime, Anchise si oppose alla fuga, preferendo la morte nella sua città, ma un prodigio vinse la sua riluttanza. Mentre Enea seguitava ad implorarlo perché si salvasse, tenendo per mano il figlioletto Iulo, scese dal cielo una fiamma che avvolse, senza bruciarli i capelli del fanciullo.
    Il felice auspicio indusse Anchise a seguire nella fuga Enea il quale, caricato sulle poderose spalle il padre, s’avviò, col suo seguito, verso il porto d’ Antandro. Accortosi però, ad un tratto, d’avere smarrito la moglie Creusa, tornò a cercarla, ma l’ombra di lei, apparsagli, lo esortò a riprendere il cammino. Dal porto d’ Antandro cominciano le dolorose e numerose avventure di viaggio che, evidentemente, Virgilio, cantore d’ Enea, modellò in gran parte sul racconto delle peregrinazioni d’ Ulisse, cantate da Omero, nell’ Odissea. Secondo Omero Enea divenne fondatore di un grande regno nella Troade, la versione di Stesicoro, invece, consacrata da Virgilio, è quella più conosciuta.

    Approdo in Italia, eroe nell'Eneide


    Fuggito da Troia, Enea giunse, insieme a un drappello di compagni, in terra di Tracia, dove venne a conoscenza della terribile fine di Polidoro, figlio di Priamo, ucciso da Polimestore, che voleva appropriarsi delle sue ricchezze. A Delo, Enea chiese responso ad Apollo, che ordinò al troiano di recarsi nella terra natia del fondatore di Troia, Dardano. Ma Anchise pensò si riferisse a Teucro, un altro capostipite del loro popolo, originario di Creta. Si fece dunque rotta verso Creta. Lì i troiani vennero colpiti da una pestilenza, Enea ordinò di muovere verso Corito-Tarquinia (III, 170), in Italia, la terra di Dardano. Decisi a fare rifornimenti i troiani si fermarono nelle isole Strofadi dove vennero attaccati dalle Arpie che devastarono la loro mensa e li costrinsero alla fuga. Giunsero nell'Epiro dove incontrarono Eleno e Andromaca, fondatori della città di Butroto


    « M'incammino dal porto, lasciata la flotta e il lido, proprio mentre per caso nel bosco, davanti alla città, accanto all'onda d'un falso Simoenta, Andromaca libava annuali vivande e mesti doni ai morti e ne invocava i mani sopra il tumulo d'Ettore, che con un verde cespo, aveva, se pur vuoto, consacrato, e con due altari, causa di pianto. »

    (Virgilio, Eneide, Canto III)


    Eleno, dotato del dono della profezia, annunciò all'amico di recarsi in Italia, cercando di evitare la terra di Sicilia, patria dei ciclopi e di Scilla e Cariddi. Consigliò invece di sbarcare presso Cuma per chiedere responso alla sibilla che lì abitava. I troiani si salvarono per un pelo da quella minaccia e sbarcarono vicino l'Etna, dove si unì alla loro flotta Achemenide, un compagno di Ulisse abbandonato in quella terra. Enea sbarcò in Italia nell'attuale Salento, a Porto Badisco. Dopo aver assistito al terribile arrivo del ciclope Polifemo, Enea e i suoi uomini si fermarono ad Erice, benevolmente accolti dal re Aceste, dove il vecchio Anchise morì e fu sepolto. Era, piena d'odio per i troiani, scatenò una tempesta contro la flotta che venne trascinata verso l'Africa

    Lì Enea e i suoi uomini vennero accolti dalla regina Didone, a Cartagine dove l'eroe narrò le sue terribili vicende. I due si innamorarono perdutamente ma, per ordine di Zeus, Enea dovette ripartire. Seppure a malincuore dovette dire addio a Didone. Fu un terribile colpo per la povera regina


    « Le ancelle la accolgono, e riportano sul talamo marmoreo il corpo svenuto e lo adagiano sui cuscini. Ma il pio Enea, sebbene desideri calmare la dolente, e confortarla, e allontanare con parole le pene, molto gemendo e con l'animo vacillante per il grande amore, tuttavia esegue i comandi degli dei, e ritorna alla flotta. »

    (Virgilio, Eneide, Canto IV)


    Didone, guardando in lontananza la nave di Enea che si allontanava, si uccise. Sbarcarono di nuovo a Erice, dove per l'anniversario della morte del padre Anchise,furono celebrati, tra siciliani e troiani, i giochi in suo onore, i ludi novendiali (libro V). Nella vicina città di Drepano, alcune donne, fra le esuli, stanche per il peregrinare, decisero di dare fuoco alle navi. Enea ordinò dunque che chi non voleva continuare il viaggio sarebbe rimasto a Drepano, mentre gli altri avrebbero continuato il tragitto. Giunto a Cuma, Enea incontrò la sibilla con la quale scese nel regno dei morti. Lì incontrò Caronte e Cerbero, che cadde addormentato per un inganno della sibilla. Giunto ai campi del pianto vide poi il triste spirito di Didone.


    « Tra di esse, fresca della ferita, la fenicia Didone errava nella vasta selva; appena l'eroe troiano le ristette vicino e la riconobbe tra le ombre, indistinta, quale si vede sorgere la luna al principio del mese, o si crede di averla veduta tra le nubi, gli sgorgarono lacrime e parlò con dolce amore. »

    (Virgilio, Eneide, Canto VI)




    Incontrò in seguito l'anima di Deifobo, il cui cadavere era stato sfregiato da Menelao. Infine venne accolto dal padre Anchise che gli presentò le anime di coloro che avrebbero fatto grande il regno promesso ad Enea in Italia. Tornato nel mondo dei vivi, Enea sbarcò finalmente alle rive del Tevere, dopo aver visitato anche Gaeta e il Circeo. Il re del luogo, Latino, decise di affidargli la mano della figlia Lavinia, scatenando però così l'ira di Turno, il re dei Rutuli. Ascanio, senza saperlo, uccise una cerva domestica e per questo venne inseguito dai pastori del luogo. I troiani corsero in aiuto del figlio di Enea e uccisero uno degli inseguitori, Almone (Eneide), giovane cortigiano del re Latino. Questa fu la scintilla che fece scoppiare la guerra. Turno radunò i suoi uomini e mosse contro i troiani. Enea invece risalì il fiume Tevere, giungendo così nel territorio di Evandro, re degli Arcadi. Quest'ultimo consigliò inoltre all'eroe troiano di recarsi fra gli Etruschi per chiedere aiuto a Tarconte. Fra gli alleati di Turno vi era infatti Mezenzio, ex sovrano degli Etruschi, cacciato per la sua crudeltà. Durante l'assenza di Enea il campo troiano venne assediato dalle truppe di quattordici giovani condottieri rutuli, ognuno dei quali era seguito da altri cento giovani. Eurialo e Niso, due inseparabili amici troiani, decisero di raggiungere Enea, per avvertirlo del pericolo. Usciti di notte, penetrarono tra le linee nemiche dove sorpresero nel sonno due dei condottieri assedianti, Ramnete e Remo, e altri giovani che combattevano nei loro contingenti, uccidendoli con le spade; poi ripresero il loro cammino, ma intercettati da una pattuglia nemica vennero accerchiati e messi a morte. Dopo una dura battaglia, durante la quale Turno fece strage di troiani, Enea, tornato via mare da Corito-Tarquinia assieme agli Etruschi guidati da Tarconte, ed agli Arcadi guidati dal Pallante, figlio di Evandro, riuscì ad accorrere in aiuto dei compagni.Ma proprio Pallante, in quello scontro, cadde per mano di Turno. Enea andò su tutte le furie e la sete di vendetta riuscì perfino a soffocare la sua famosa pietà, decapitando il giovane semidio etrusco Tarquito, che vinto da lui in duello lo implorava di essere risparmiato, e gettando il suo busto in acqua. Allora Giunone, temendo per la vita di Turno, riuscì ad allontanarlo dal campo di battaglia. Enea affrontò Mezenzio a duello ferendolo: quindi uccise il figlio Lauso, intervenuto per difendere il padre. Commosso per il coraggio del giovane, Enea riconsegnò la salma e le armi a Mezenzio che, in uno scontro successivo, cadde sotto la spada del troiano. L'eroe, dopo aver sepolto il giovane Pallante, ordinò ai suoi uomini di marciare contro la città dei Latini. Turno e Camilla, regina guerriera dei Volsci, schierarono le proprie truppe. Il re rutulo decise di affrontare la fanteria troiana, Camilla la cavalleria etrusca. Nello scontro che ne seguì Camilla cadde in battaglia. Turno decise allora di affrontare a duello Enea. Il troiano ebbe presto il sopravvento e per qualche attimo si trattenne dall'ucciderlo; ma ricordando poi il dolore di Evandro per la morte di Pallante, conficcò la sua spada nel petto del nemico (...vitaque cum gemitu fugit indignata sub umbras).


    « Dicendo così gli affonda furioso il ferro in pieno petto; a quello le membra si sciolgono nel gelo, e la vita con un gemito fugge sdegnosa tra le ombre. »

    (Virgilio, Eneide, Canto XII)


    Edited by gheagabry - 14/7/2010, 00:54
     
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