FESTE PAGANE

riti e leggende

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    IMBOLC

    1-2. FEBBRAIO





    La ruota gira e non si ferma, siamo giunti ad Imbolc, festa celtica in onore della Dea Brigit. Ma partiamo dall’inizio, cosa vuol dire Imbolc? Gli studiosi in questo non sono concordi, per alcuni il significato è “nel grembo” per altri deriverebbe da “imb – folc” cioè “grande pioggia”, tant’è che in molte località di origine celtica la celebrazione è chiamata “Festa della Pioggia”. La Natura è ancora addormentata sotto il peso dell’inverno, ma nonostante tutto qualcosa comincia a muoversi, la Dea si sta pian piano riprendendo dalle fatiche del parto di Yule e il Dio comincia a diventare più forte.



    Le giornate si allungano prepotentemente, il primo di Febbraio il Sole resta sulle nostre teste 57 minuti in più, rispetto al primo di Gennaio. Per noi più che per i nostri avi è difficile accorgerci del cambiamento in atto, il freddo persiste e a volte si fa più forte, eppure la Natura ricomincia a prendere vita. Per i celti Imbolc (imbolg; Oimelc) è una delle quattro feste del fuoco, giorni in cui venivano accesi grandi falò, ma principalmente in questa celebrazione il fuoco assumeva autoritariamente il ruolo di Luce, meglio, di ritorno alla luce dopo il buio invernale. Brigit, (il cui nome significa Alta; Forza) che veniva onorata a Imbolc nei paesi celtici, è la Dea della Sapienza, del Fuoco, del focolare, della poesia e della Guarigione. Figlia del Dio Dagda, Brigit è colei che conserva le tradizioni, poiché la poesia era uno strumento che andava oltre il semplice fraseggio, ma che diveniva Magia, tant’è che non poteva venire scritta, ma solo tramandata oralmente, per i celti la poesia era lo strumento della memoria rituale. Brigit era anche la protettrice dei guaritori, quindi era a tutela dei misteri druidici della Guarigione, nelle isole Britanniche persistono tuttora molte fonti a Brigit consacrate, ritenute miracolose ancor oggi per le popolazioni locali, che appendono ai rami degli alberi, che intorno alla fonte crescono, dei nastri a simboleggiare le malattie di cui si vogliono disfare.



    Molti arnesi erano sacri a Brigit, ma i più importanti erano la Ruota del Filatoio, lo Specchio e la Coppa, quest’ultima rappresenta il Grembo della Dea, il Ventre della Madre da cui tutto nasce, lo Specchio è uno strumento di divinazione, molto simile all’acqua, ed è anche la porta verso “l’altro Mondo” luogo in cui solo chi ha meritato può dirigersi, quindi, Eroi ed Iniziati. La ruota del filatoio è il girare della Ruota dell’Anno, il centro del cosmo che gira, e non ultimo la ruota che fila i destini delle nostre vite. Così come per Estia per i greci e Vesta per i romani, al culto di Brigit potevano partecipare solo donne che tenevano perennemente acceso un fuoco, da qui anche Dea del focolare. Con l’arrivo del cristianesimo alla figura della Dea Brigit fu sostituita Santa Bridget, santa molto probabilmente mai esistita, che assume tutti i colori dell’antica Dea e ogni sua funzione, compreso il rituale del fuoco perenne che si protrae fino alla riforma Anglicana, con cui Enrico VIII sospende questo culto. Nelle isole Britanniche molte tradizioni sono rimaste nel festeggiare Santa Bridget, ovviamente il primo Febbraio, in Scozia viene preparata dalle donne dei villaggi una raffigurazione della Dea (o Santa) con le spighe di Avena, viene vestita e posta all’interno di un corba riempita di paglia (detto letto di Bride – Brigit) o avena in cui viene appoggiato un bastone, chiaramente di forma fallica, le donne, dopo aver fatto ciò, cantano per tre volte “Brid è venuta, Brid è Benvenuta!”, attorno al “letto” fanno bruciare candele e torce per tutta la notte, il mattino se trovano l’impronta del bastone all’interno delle ceneri nel focolare, traggono un presagio di prosperità per l’anno avvenire.



    Nel Nord dell’Inghilterra vengono preparate le croci di Brigit, croci a braccia uguali racchiuse in un cerchio, simbolo solare e della ruota del tempo e, nel frattempo, vengono bruciate gli emblemi preparati l’anno precedente. Questa usanza rappresenta l’indispensabilità del calore e della luce per il mondo vegetale e animale. In Italia, e successivamente nel mondo cristiano, si festeggia la Candelora, per i cristiani si tratta della festa della purificazione della vergine Maria e della presentazione di Gesù al tempio. Nel Medioevo, in questo giorno, venivano consacrate le candele utilizzate poi nel corso dell’anno liturgico (ovvio retaggio pagano). Queste candele rappresentano Gesù, detto anche “la luce del mondo”, ancora oggi la festeggiano i cattolici e gli anglicani. È probabile che la cerimonia delle candele sia una derivazione dell’antico uso romano di portare torce accese in onore di Giunone Februata.

    C’è un detto italiano che fa:

    “Se il dì di Candelora
    nevica o plora
    l’inverno è fora.
    Se invece il Sol risplende
    nuovo inverno ci attende.”

    Negli Stati uniti la festa della Candelora è stata sostituita dal “Giorno della Marmotta”.





    I LUPERCALI.....

    15 FEBBRAIO

    San Valentino, oggi nota come festa degli innamorati, è una delle tante ricorrenze ormai del tutto commercializzate, le cui origini pagane furono cancellate dalla tradizione cristiana con la sovrapposizione di un santo, e talvolta con la perdita del significato originale della festa.

    Come ben sappiamo i popoli antichi, per lo più dediti alla pastorizia e all'agricoltura, tenevano in grande considerazione i momenti più importanti del ciclo della natura, dal suo risveglio, al raccolto, alla nascita degli agnelli e dei vitelli e tutto quanto era connesso ai ritmi della terra e della vita agricola.
    Ne è dimostrazione la ruota dell'anno del calendario celtico, ove ogni festività segna un importante momento di passaggio nel ciclo della natura e come conseguenza nella vita dell'uomo che vive a contatto con essa.
    E così anche gli antichi romani avevano i loro riti e divinità, con cui celebravano i momenti più importanti del ciclo agricolo e pastorizio.

    Ebbene, Febbraio era un mese particolare, che segnava il passaggio dalla stagione invernale a quella primaverile.
    Un mese da molte culture dedicato alla purificazione, ma anche il mese in cui si manifestano i primi segni del risveglio della natura.
    Le prime gemme erano pronte a fiorire, mentre negli ovili già nascevano gli agnelli, e i lupi, affamati dal lungo inverno, scendevano a valle in cerca di cibo, minacciando i greggi.
    Così i romani, che con i lupi avevano indubbiamente un rapporto di odio e amore, per via della lupa che allattò i famosi gemelli, si rivolgevano al loro dio della natura selvaggia in cerca di protezione.
    Lupercus era il nome di questo dio, un fauno cacciatore di ninfe, sposo e fratello di Fauna, una delle tante rappresentazioni femminili di Madre Natura.
    Si narra che Lupercus proteggesse i greggi dai lupi e riscuotesse in cambio tributi di cacio e ricotta dai pastori.
    In suo onore gli antichi romani celebravano ogni anno un'importante festa, chiamata i lupercali, che guarda un po', si svolgeva proprio il 15 febbraio.



    Lupercus Faunus non è che uno dei volti del Fauno, un Dio della natura selvaggia e degli istinti, prima figlio e poi consorte di Fauna , Dea della natura che fece, come tutte le Dee Vergini, un figlio senza il concorso del marito, e che in seguito con lui si accoppiò.
    Veniva rappresentato col flauto, la cornucopia, abbigliato con pelli di capra e armato da una clava da pastore.
    La sua sposa dunque era Fauna, chiamata anche Fatua e in versioni più tarde fu associato al Dio greco Pan, oltre che al Satiro.
    Il nume di Luperco gli deriva dalla qualità di difensore delle greggi dagli assalti dei lupi e lupo egli stesso (Lupercus = lupus + hircus).
    Il Dio aveva doti profetiche e per questo era soprannominato Fatuus. Ma era anche nume ispiratore e invasante, che cacciava per possedere le sue prede, le Ninfe delle fonti e delle sorgenti, le quali, di conseguenza, divenivano simili alle Sibille nel loro profetare.
    A lui si attribuisce anche l’invenzione degli antichissimi versi saturnii su cui si fonda la poesia latina.
    E' dunque dio d’ispirazione profetica e poetica, come Pan e come le Ninfe a cui è connesso, anche associato al timor panico, con apparizioni spaventose e voci soprannaturali.
    Fauno nei secoli assunse significati diversi, da Dio dell’abbondanza, dipinto sulle pareti di quasi tutte le abitazioni greche e latine, simbolo di prosperità e della bella vita, cui si rivolgevano continuamente tutte le preghiere dei pastori e dei contadini, loro protettore e “lupercolo” benigno per i loro greggi.... fino ad essere considerato infimo demone dei campi che non dava consigli utili agli uomini ma li esortava solo al divertimento sfrenato.



    "Lupercalia dicta, quod in Lupercali Luperci sacra faciunt. Rex cum ferias menstruas Nonis Februariis edicit, hunc diem februatum appellat; februm Sabini purgamentum, et id in sacris nostris uerbum non ignotum: nam pellem capri, cuius de loro caeduntur puellae Lupercalibus, ueteres februm uocabant, et Lupercalia Februatio, ut in Antiquitatum libris demonstraui."

    I lupercali, come tutte le feste primaverili che celebrano il risveglio di Madre natura, era un'importante e godereccia festa attraverso cui le genti dell'antica Roma solevano festeggiare l'avvicinarsi della bella stagione e contemporaneamente propiziarsi buoni futuri raccolti e la fecondità della terra e dei suoi abitanti.
    Per fare questo essi si purificavano ed inscenavano un loro particolare rito.

    Pare che i lupercali si tenessero nei dintorni della grotta sacra a Luperco, ai piedi del Palatino, grotta in cui secondo la leggenda la famosa lupa trovò ed allattò i gemelli Romolo e Remo, fondatori di Roma.

    Qui i sacerdoti offrivano alla dea-lupa la mola salsa (tritello di farro misto con il sale) preparata dalle vergini Vestali, sacrificavano una capra (simbolo di fertilità) e un cane (simbolo di purificazione) e con il sangue degli animali battezzavano due fanciulli: il sacerdote ungeva le loro fronti con la lama insaguinata usata per i sacrifici per poi ripulirle con bende di lana bagnate nel latte mentre i pargoli ridevano fragorosamente, come prescritto dalla liturgia.

    I sacerdoti provvedevano infine a scuoiare gli animali sacrificati, indossarne le pelli e mangiarne le carni, per poi uscire dalla grotta seminudi, con i soli fianchi coperti da una pelle di capra, le membra spalmate di grasso e una maschera di fango sulla faccia, correndo per la Via Sacra armati di februa (lunghe fruste di cuoio ricavate dalla pelle di capro da cui deriva il nome del mese di febbraio) in cerca di giovani donne da “fecondare”. Tutti coloro che erano colpiti dalla februa venivano “purificati” e resi fertili, sia la terra che gli individui.


    In particolare le donne, per ottenere la fecondità, offrivano volontariamente il ventre (in seguito, al tempo di Giovenale ai colpi di frusta tendevano semplicemente le palme delle mani).
    I luperci erano essi stessi contemporaneamente capri e lupi: erano capri quando infondevano la fertilità dell'animale (considerato sessualmente potente) alla terra e alle donne attraverso la frusta, mentre erano lupi nel loro percorso intorno al Palatino.

    La festa prevedeva oltre alla rappresentazione nel lupercale anche una simpatica lotteria a sfondo amoroso e sessuale dove i nomi delle giovani vergini e quelli dei giovani aspiranti uomo-lupo erano posti in bigliettini dentro due appositi contenitori.
    Due fanciulli battezzati con il latte durante il rito lupercale pescavano un bigliettino formando così le coppie, che avevano a disposizione un anno per provvedere alla fertilitè di tutta la comunità, con la benedizione di tutti gli dei (marte, romolo, pan, fauno luperco) e delle grandi madri romane (ruma, rea silvia, fauna, acca laurentia) incarnatesi nel modello mitico universale noto come la lupa.
    Il culto di Luperco era molto sentito ed i Lupercali rimasero una ricorrenza significativa per i Romani , anche dopo l'avvento del Cristianesimo.
    L'antico rito pagano infatti fu celebrato fino al V° secolo dopo Cristo, quando subentrò la nuova festa cristiana nota come San Valentino, o Festa degli innamorati.



    I LUPERCI

    I luperci erano i sacerdoti del dio Lupercus e nell'antica Roma godevano di un gran prestigio.
    Diretti da un unico magister, essi erano divisi in due schiere di dodici membri ciascuna chiamate Luperci Fabiani -"dei Fabii", fondati da Remo, e Luperci Quinctiales -dei Quinctii", fondati da Romolo (ai quali per un breve periodo Gaio Giulio Cesare aggiunse una terza schiera chiamata Luperci Iulii, in onore di se stesso).
    In età repubblicana i Luperci erano scelti fra i giovani patrizi, mentre da Augusto in poi la cosa fu ritenuta sconveniente e ne fecero parte solo giovani appartenenti all'ordine equestre.
    Plutarco riferisce nella vita di Romolo che il giorno dei Lupercalia, venivano iniziati due nuovi luperci (uno per i Luperci Fabiani e uno per i Luperci Quinziali) nella grotta del Lupercale, con il rito sopra descritto del sacrificio della capra e del cane.
    Questa cerimonia è stata interpretata come un atto di morte e rinascita rituale, nel quale la "segnatura" con il coltello insanguinato rappresenta la morte della precedente condizione "profana", mentre la pulitura con il latte (nutrimento del neonato) e la risata rappresentano la rinascita alla nuova condizione sacerdotale.

    DAI FAUNI A SAN VALENTINO

    Sin dai primi secoli dell'era cristiana, molte divinità pagane vennero demonizzate e in particolare i Fauni, associati ai Satiri e ai Silvani, si trasformarono in orribili diavoli, precisamente con le corna, gli zoccoletti e la coda.
    Nel medioevo infatti, tutte queste divinità attirarono l’astio dei cristiani per il loro aspetto animalesco, per i loro doni profetici, ma soprattutto per il loro carattere istintivo ed erotico, connesso ai culti della fertilità.
    Infatti Agostino, in un celebre passo de «La città di Dio», scrisse che secondo testimoni degni di fede, Silvani e Fauni eran volgarmente chiamati «incubi» e avevano rapporti erotici con le donne umane.
    Successivamente, Marziano Capella aggiunse che le foreste inaccessibili agli umani, i boschi sacri, i laghi, le fonti e i fiumi erano popolati di Fauni, di Satiri, di Silvani e di Ninfe, di Fatui e di Fatue, esseri dotati di poteri profetici e talmente longevi da apparire agli umani immortali, sebbene tali non fossero.
    Naturalmente erano pericolosi per i cristiani, di cui risulta evidente, da questa descrizione, il terrore e l’orrore nutrito nei confronti della Natura selvaggia, viva, numinosa, e dunque, ai loro occhi, diabolica: la stessa Natura con cui la Strega era in armonia, e destinata, per questo, ad essere perseguitata.
    Fu così che la festa di Fauno fu gradualmente sostituita con la festa di S. Valentino, dedicata agli innamorati, ma senza connotazioni sessuali.



    A Roma si festeggiavano poco più tardi, il 15 Febbraio, i Lupercali. Si trattava molto probabilmente di una festa di origini antiche. Due giovani, scelti tra le famiglie di alta estrazione, venivano portati in una grotta posta all’interno del bosco consacrato al Dio Pan e, dopo aver sacrificato alcune capre in suo nome, veniva loro posto sulla fronte un pugnale insanguinato, immediatamente altri astanti detergevano il loro capo con lana imbevuta nel latte. Venivano tagliate le pelli delle capre in lunghe strisce, per essere usate come fruste dai giovani prescelti, questi ultimi dovevano ridere copiosamente e correre fuori del bosco verso le vie della città, riversando colpi di “frusta” a chi incontravano. Le donne in età fertile si esponevano volontariamente a questi colpi, poiché era credenza che le frustate avessero potere purificatorio e soprattutto che aumentassero la fertilità. Imbolc è il ritorno della luce, ed è una festa in cui vengono onorati il principio femminile della Grande Madre oltre che quello maschile che comincia a prendere sempre più confidenza col Mondo, questo è il momento in cui la Natura si prepara ad esplodere, sugli alberi si cominciano ad intravedere i primi piccoli e flebili germogli, è il periodo perfetto per la purificazione, per abbandonare i residui dell’inverno in onore di un periodo più vitale. Essendo la festa della Luce ad Imbolc è tradizione mettere una candela per ogni stanza della casa o accendere tutte le luci anche per poco tempo, illuminate questo giorno più che potete perché sarà il passo che porterà alla fertilità della primavera e dell’estate. Rendete onore al sommesso quanto inarrestabile risveglio della Madre Terra e al crescere vigoroso del Padre che ancora non è in grado di scaldare forte delle sue lunghe braccia, ma che prende forza ogni giorno di più. In alcune tradizioni Wicca è all’opposto una festa solare, celebrazione in cui il Dio Sole ottiene la sua vittoria contro il Dio dell’inverno, della morte e dell’oltretomba. Molti i modi per festeggiare Imbolc sicuramente i più lungimiranti potranno benedire e purificare tutte le candele che utilizzeranno fino a quando la ruota dell’anno tornerà a questa festa, poi c’è la purificazione della persona, delle cose e della casa, insomma le pulizie di primavera, in molti usano lasciarsi alle spalle il passato che non piace più per iniziare una nuova vita, aiutati dalla rinascita della Natura.





    fonti: speculumdeorum, cerchio della luna
     
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  4. gheagabry
     
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    La festa delle lanterne


    Quando la tradizionale Festa di primavera, da noi considerata il capodanno cinese, arriva verso la fine, le allegre manifestazioni proseguono fino al 15 del primo mese, il giorno appunto della Festa delle Lanterne. In occasione di questa festività, le famiglie si riuniscono ancora una volta e tutti, giovani e anziani, ricchi e poveri, dedicano questa giornata al divertimento.
    In molte cittadine, in occasione della festa delle lanterne, si possono ammirare straordinarie rappresentazioni culturali popolari, quali la danza con le lanterne a forma di drago, la danza del leone, la danza sui trampoli, la danza Yangee e la danza dei tamburi. La sera poi si assiste allo spettacolo dei fantastici fuochi d’artificio, di cui il popolo cinese è maestro. La notte della Festa delle lanterne è la prima notte di luna piena nel nuovo anno lunare. I fuochi d’artificio, le lanterne e la luna sembrano dar vita a una competizione per la creazione di una luminosità più particolare e splendente. I festeggiamenti che hanno luogo dopo la festa di primavera sembrano una preparazione alla festa delle lanterne e durano quasi un mese. Questo periodo è ancora un periodo d’inattività per l’agricoltura e ovunque si respira l’atmosfera della festa.
    Il giorno della festa delle lanterne in tutti i villaggi si possono ammirare le più varie esposizioni di lanterne, dalle forme più particolari. Al calar del sole i bambini giocano sorridenti per le strade con le lanterne costruite da loro. Le lanterne della festa sono realizzate con carta colorata, tra cui spiccano le lanterne dei cavalli in corsa, decisamente le più caratteristiche. Si tratta di un tipo di lanterna-giocattolo che si dice abbia una storia di più di mille anni. All’interno questa possiede un meccanismo rotante ed una candela, che una volta accesa crea aria calda che sale e fa muovere il meccanismo ed i cavalli di carta ivi applicati, che paiono quindi galoppare. L’ombra dei cavalli si riflette sulle pareti della lanterna, dando dall’esterno l’impressione di una mandria di cavalli sfreccianti.
    Trovare la soluzione agli indovinelli delle lanterne, è una delle attività principali durante le esposizioni. I proprietari delle lanterne attaccano degli indovinelli sulle loro lanterne e i visitatori possono staccarli, se ne hanno indovinata la risposta; inoltre ricevono un piccolo regalo. Questo gioco ha delle origini molto lontane: lo si trova già nella dinastia Song (960-1279). Il concetto del rilasciare le sky lanterns in cielo risale a circa due mila anni fa in Cina dove questa tradizione origina. All'inizio le sky lanterns venivano usate dagli eserciti che li usavano come metodo di segnalazione la luce della lanterna e' visibile per kilometri.Nei secoli il rilascio delle sky lanterns sono diventate un modo per celebrare festival e cerimonie e trasmettere i propri desideri al Cielo.
    Gli abitanti dell'antico Oriente ritengono che il lancio delle lanterne verso il cielo li avrebbe liberati da tutti i loro guai. La fiamma della lanterna simboleggia la conoscenza e la luce simboleggia la guida per la propria vita.

    Secondo la tradizione popolare, durante la festa si mangiano gli yuanxiao (al sud detti tangyuan), dolcetti tipici fatti con farina di riso glutinoso e ripieni di ingredienti dolci, che in Cina simboleggiano la riunione, l’affetto e la felicità familiare.Ad oggi esistono quasi 30 tipi di yuanxiao, con ripieni di pasta di giuggiole, pasta zuccherata di soia rossa, sesamo, cioccolato, ecc. Nelle diverse zone del paese i gusti sono vari, come nella provincia meridionale del Hunan, dove le palline sono di un bianco trasparente, e a Ningbo, nella provincia del Zhejiang, sulla costa orientale, dalla copertura sottile e dal ripieno compatto. A Shanghai sono chiamate “uova di colomba”, delicate e fresche, mentre a Pechino hanno ripieni di sesamo e burro, con un gusto molto speciale.

    ...storia, miti e leggende....


    Secondo la tradizione, nel 180 a.C. l’imperatore Wendi, degli Han occidentali, sarebbe salito al trono il quindicesimo giorno dopo l’inizio dell’anno e per commemorare l’evento avrebbe fissato quella data come giorno di festa. Ogni anno, nella sera della prima luna piena, egli lasciava il palazzo per festeggiare con la popolazione. Per l’occasione, tutte le famiglie appendevano lanterne multicolori di forma svariata lungo le strade. A partire dal 104 a.C. l’evento venne inserito fra le maggiori feste nazionali e divenne sempre più importante: vennero formalizzate vere e proprie regole che imponevano la presenza di lanterne in tutti i luoghi pubblici e davanti a ogni casa, in particolare nelle zone più animate o nei centri culturali delle città si dovevano tenere grandi mostre di lanterne, offerte all’ammirazione della popolazione, che poteva anche impegnarsi nella soluzione degli indovinelli ivi iscritti e danzare con le lanterne del drago. La manifestazione divenne così permanente, continuando nei secoli. Secondo i documenti storici, nel 713 al tempo della dinastia Tang nell’allora capitale Chang’an (l’attuale Xian), venne eretto un “monte di lanterne” alto sette metri, realizzato con più di 50.000 lanterne. Durante la dinastia Song (960-1279) la celebrazione della Festa delle lanterne diventò più popolare e fu prolungata fino a cinque giorni e durante la dinastia Ming (1368-1644) la festa arrivò a durare anche dieci giorni!
    Ma come sempre nella cultura cinese, vi sono anche varie leggende sulla festa che spesso hanno origine di carattere religioso: secondo la tradizione taoista, si dice che il 15 gennaio del calendario lunare fosse il compleanno di Tianguan, Dio della fortuna nelle credenze Taoiste. Essendo egli amante di ogni forma di intrattenimento, la festa delle lanterne fosse un modo per pregare per la fortuna. Un'altra leggenda narra che il divino Imperatore di Giada fosse un giorno molto arrabbiato nei confronti di una città per l’assassinio della sua oca preferita, quindi per punizione avesse deciso di bruciare l’intera città, ma una fata buona di cuore, sentendo ciò, aveva avvertito gli abitanti della città del pericolo, suggerendo loro di accendere nella notte migliaia di lanterne, tale che dal cielo, la città sarebbe parsa come arsa dal fuoco, così che l’Imperatore avrebbe creduto la sua oca vendicata e avrebbe lasciato perdere. Da qui la festa delle lanterne come un modo per ringraziare la fata.

    Per l’occasione si possono vedere lanterne multicolori e di ogni forma in ogni parte della Cina, dalle città alle campagne, dove spesso vengono organizzati appositamente eventi di intrattenimento che variano da sfilate di lanterne a vere e proprie festival che si concludono con il classico “drago in fiamme” a rappresentare la risalita del drago in cielo (enormi variopinte lanterne a forma di drago vengono bruciate). Lo spettacolo di lanterne è a dir poco sorprendente, sia per il numero che per la varietà delle forme e dimensioni, si passa dalle lanterne a forma di farfalla, pesce, uccelli, e animali vari (illuminate una volta da piccole candele all'interno, oggi da moderne lampade a led) a vere e proprie strutture complesse nella forma e perfette nei colori che rappresentano draghi, fenici, paesaggi, personaggi...
    (tao di Lao)

    .....i draghi....


    Tra i vari temi e motivi caratteristici dell'arte cinese, quello del drago è sicuramente il più sorprendente e quello che colpisce maggiormente l'immaginazione. È una delle figure simboliche o fantastiche più frequenti, e tra le più ricche di significato della tradizione cinese. Dalle terrecotte neolitiche, dai bronzi arcaici e dalle giade dell'epoca Shang (XVI-XI a.C.) fino ai ricami delle vesti dei mandarini dell'inizio del nostro secolo, questo tema è stato riprodotto con costanza instancabile ed evidenza continua; si trova sulle ceramiche, le lacche, gli abiti da cerimonia, le balaustre delle gradinate, le grandi pareti-schermo di ceramica policroma, lo si vede sui soffitti dei teatri, sui muri di recinzione dei giardini, ondeggiante, sui cloisonné, su disegni a inchiostro, sulla prua delle imbarcazioni, arrotolato intorno alle colonne all'entrata e sulle tende degli altari dei templi taoisti... In occasione delle festività, in città la gente del popolo si diverte a nascondersi sotto a lunghi draghi fatti a bruco, di carta dipinta, che spaventano i bambini. In breve, il drago è onnipresente ed è pane integrante della vita quotidiana cinese. Innanzitutto è caratterizzato dal suo aspetto soprannaturale, ibrido e composito. Di fatto nel corso di tre millenni il suo aspetto talvolta è variato, ma poco. Il drago più comune (detto "lungo"), prende a prestito le proprie caratteristiche da veri animali, nove, si diceva: la testa al cammello, le corna al cervo, gli occhi al coniglio (o al gamberetto, secondo altri), le orecchie alla mucca, il corpo alla lucertola, il ventre alla rana, le scaglie alla carpa, le zampe o le palme alla tigre, gli artigli all'aquila. Accade di rado che sia dotato d'ali (di pipistrello, in tal caso) e poteva essere di vari colori. Si credeva che fosse sordo e si nutrisse di carne di rondine. Infine, elemento importante per il nostro approccio: diversamente da quanto accadeva nell'occidente medievale, in cui rappresentava l'incarnazione del male e delle forze maligne, al contrario, in Cina, il drago è una creature benefica e di buon augurio. Annunciava la pioggia e distribuiva fertilità. Aveva il potere della metamorfosi, il dono di rendersi, a piacimento, visibile o invisibile, e le sue apparizioni in cielo - sempre folgoranti - erano accolte come presagi di messi abbondanti, garanzie di future ricchezze. Si riteneva che i draghi potessero nascondersi e annidarsi ovunque, nei cieli, in acqua, sulla terra e sottoterra.
    D'altronde, negli ultimi secoli, il drago venue anche associato al potere imperiale: divenne “l’animale emblematico dell'imperatore", detto "Figlio del Cielo", ma anche "Volto di Drago". In questo caso il nostro animale soprannaturale simboleggiava la funzione, che spettava all'imperatore, di assicurare i ritmi stagionali e lo scorrere armonioso della vita. L'Imperatore era garante dell'ordine e della prosperità dell'universo. Al collo dei draghi era spesso rappresentata una perla appesa, che ricordava il fulgore e la perfezione delle parole dell'imperatore, la precisione del suo pensiero e l'assennatezza degli ordini del sovrano. "Non si discute la perla del drago" soleva ripetere lo stesso Mao Zedong! Così, in Cina, nonostante il suo aspetto fantastico, il drago non ha mai assunto quelle caratteristiche paurose e bellicose che gli conferirono i nostri artisti, opponendolo a San Giorgio o a San Michele, per esempio. A1 contrario, in Cina lo vediamo spesso bonario, che gioca con un compagno a rincorrere una perla infiammata, il "rubino magico", una specie di pallina irta di una voluta, che si riteneva richiamasse la folgore e il rombo del tuono. Per altri, questa "perla lucente", spesso rossa, rappresenterebbe la luna, o ancore il sole, o perfino l'uovo cosmico, che si ritiene contenga tutta l'energia umana condensata. Di fatto, la voluta raffigurata su questa palla, riproduce il segno figurativo del tuono nella scrittura arcaica. Ed è indiscutibile che il drago fosse del resto strettamente connesso alla pioggia, all'acqua e alle nuvole. Di natura essenzialmente acquatica, il drago compariva regolarmente nel mezzo di nuvole o di flutti, e se spesso si contorce con veemenza, è più per manifestare la propria forza, foga e vitalità, che per esprimere aggressività o furore. In Cina veniva percepito come un animale bonario e giocherellone.
    Nelle raffigurazioni dei combattimenti tra draghi, questi non si mordono e non si dilaniano mai come si può invece vedere in Iran, nei manoscritti o sulle ceramiche. In Cina la loro fugace apparizione annunciava la pioggia o qualche felice avvenimento politico, per esempio la nascita di un futuro grande imperatore. Durante il regno di Jiaqing (1796-1821), nel corso di una siccità persistente, nessuna cerimonia in onore del drago era riuscita a produrre alcun effetto, perciò il sovrano ordinò di esiliare fino alle frontiere del Turkestan l'inflessibile drago che si ostinava a non far scendere la pioggia. Indubbiamente si trattava di un'immenso modellino conservato in qualche tempio (in Cina esistevano ovunque templi dedicate al Re dei Draghi, in cui il popolo pregava per ottenere abbondanti raccolti). Sconvolti per questa partenza in esilio e per la disgrazia di cui era vittima il paese, alcuni dignitari di Pechino intercessero presso il Figlio del Cielo, che si degnò di revocare la sentenza; e il drago, richiamato, fu reintegrato nelle proprie funzioni. Si ricorda che all'inizio del secolo scorso molti contadini si opposero alla costruzione delle vie ferrate, con il pretesto che i chiodi e le traversine indisponevano i draghi che vivevano nelle viscere della terra. Per loro, i draghi incarnavano le vene dell'energia cosmica percettibile, manifestatasi sotto forma di catene e di rilievi montani. Questi lavori, questi chiodi e queste rotaie, diceva la gente di campagna, importunano i draghi ferendo loro la spina dorsale.


    Di fatto, in Cina, ognuno, a seconda della posizione sociale e del grado di istruzione, aveva il proprio modo di percepire o di interpretare i draghi. Per l'uomo comune, della strada o dei campi, il drago era quindi, come abbiamo visto, una creatura benevola e di buon augurio, che annunciava la pioggia e la fertilità, e inoltre era l'emblema dell’imperatore. La sua natura yang, maschile, lo contrapponeva allo yin, di natura femminile e quindi alla fenice, l'emblema dell'imperatrice. Si spiega perché questa due animali emblematici molto spesso siano stati associati e riprodotti insieme. Ma per gli adepti della setta buddistica contemplativa Chan (o Zen in Giappone), il drago rappresentava infinitamente di più. Simboleggiava la visione fugace, istantanea, evanescente e illusoria della Verità, ed era quindi equiparato a una manifestazione cosmica. D'altra parte, per i taoisti il drago era il Tao stesso, incarnato, cioè la Via, la forza onnipresente che si rivela a noi in un baleno per svanire immediatamente. Perché su questo punto tutti i cinesi sono d'accordo: un drago si mostra soltanto in modo fugace, in una frazione di secondo e soltanto parzialmente; non lo si coglie mai nella sua interezza. Animale fantastico, il drago (di natura yang) abitualmente vive nascosto negli abissi mari, nelle viscere della terra o nelle nubi vaganti (di natura yin). Simboleggia quindi lo slancio spirituale, la potenza divina. Per cui, nel campo dell'arte, si hanno rappresentazioni nervose, gonfie di energia. Come se fossero colti da convulsioni, i draghi torcono e inarcano i loro corpi muscolosi. Nell'arte della Corte imperiale, il drago riveste un aspetto maestoso, brutale e temibile al tempo stesso. Deve esprimere la dignità del potere imperiale.
    (dal web)
     
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  5. gheagabry
     
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    "... è chiamato anche Festa degli Alberi, Anna Perenna :antichissima divinità romana femminile festeggiata nel bosco sacro a lei dedicato alle idi di marzo; o Lady Day, che significa giorno della Dea Luna. E' la festa degli opposti, della dualità delle forze maschili e femminili e dall’equilibrio cosmico che producono garantendo vita e abbondanza. La Terra si sta svegliando e germogli verdi stanno comparendo. I canti degli uccelli iniziano a riecheggiare e il sole è più caldo..."


    EQUINOZIO DI PRIMAVERA


    L'Equinozio di primavera, come quello d’autunno, è uno dei due momenti dell’anno in cui giorno e notte sono in perfetto equilibrio (la parola equinozio deriva dal latino “aequus nox”, notte uguale). Astronomicamente l’equinozio di primavera (in gallese “Alban Eiler”, luce della Terra) è il momento in cui il sole si trova al di sopra dell’equatore celeste. L’Equinozio d’autunno segna l’inizio della metà oscura dell’anno e quello di primavera l’esatto opposto: è l’inizio della metà luminosa, quando le ore di luce superano le ore di buio. E’ il primo giorno della primavera, la stagione della rinascita, associata presso varie culture a concetti come fertilità, resurrezione, inizio, o meglio, nuovo inizio. Alban Eiler è il momento della rinascita anche dei nuovi progetti, è il momento in cui è possibile realizzare quei sogni che sono nati nel periodo freddo. E’ il momento adatto per aprirsi ai sentimenti e viverli nella loro totalità,rinascere con la Natura e fondersi con la Madre Terra, celebrarla e gioire della Vita che sboccia e si manifesta in tutte le sue forme. Non dimentichiamo che le festività avevano sempre una duplice valenza: la prima riferita ai mutamenti ciclici stagionali della terra ai quali corrispondeva un ugual simbologia per i mutamenti nell’animo dell’umano. Le antiche tradizioni ci offrono tutta una serie di miti legati alla primavera, che hanno al loro centro l'idea di un sacrificio a cui succede una rinascita o resurrezione.
    Un mito che mostra bene l'idea di un sacrificio e di una successiva rinascita è quello frigio di Attis e Cibele: Attis, bellissimo giovane nato dal sangue della dea Cibele e da questa amato, voleva abbandonarla per sposare una donna mortale. Cibele lo fece impazzire ed egli si evirò morendo dissanguato. Dal suo sangue nacquero viole e mammole. Gli dei, non potendolo resuscitare, lo trasformarono in un pino sempreverde.Dopo l'Equinozio, si svolgevano nel mondo ellenico le Adonìe, feste della resurrezione di Adone, bellissimo giovane amato dalla dea Afrodite che venne ucciso da un cinghiale (forse il dio Ares ingelosito). Adone era in realtà il dio assiro-babilonese Tammuz, a cui i fedeli si rivolgevano chiamandolo "Adon" (Signore).Egli dimorava sei mesi all'anno negli inferi, come il sole quando si trova al di sotto dell'equatore celeste (autunno e inverno). Si festeggiava a primavera la sua risalita alla luce quando si ricongiungeva alla dea Ishtar, l'equivalente dell'Afrodite greca. Allo stesso modo si festeggiava Persefone che ritorna nel mondo dopo aver trascorso sei mesi nel regno dei morti.
    Tutti questi miti ci mostrano la morte, più o meno simbolica, del Dio e la sua rinascita /resurrezione ad un nuovo ciclo vitale nonché l'unione di un simbolismo celeste (il cammino del sole nel cielo) e un simbolismo terrestre (il risveglio della Natura) in cui riecheggia il tema del matrimonio fra una divinità maschile, celeste o solare, ed una femminile, legata alla terra o alla luna. La primavera era infatti la stagione degli accoppiamenti rituali, delle nozze sacre in cui il Dio e la Dea (personificati spesso da un sacerdote e da una sacerdotessa) si accoppiavano per propiziare la fertilità. Venivano accesi dei fuochi rituali sulle colline e, secondo la tradizione, che peraltro è rimasta ancora oggi nel folklore europeo, più a lungo rimanevano accesi, più fruttifera sarebbe stata la terra. Come per altre festività stagionali antiche, questo giorno è stato in parte assorbito dalla chiesa cristiana ed associato a due giorni santi cristiani: il primo è la festività dell’annunciazione della Vergine benedetta Maria, che cade il 25 marzo.
    Il secondo, naturalmente, è la Pasqua. Il termine "Easter" con cui in inglese si designa la Pasqua ci riporta ad una antica divinità pagana dei popoli nordici, la dea Eostre, assimilabile a Venere, Afrodite e Ishtar, la quale presiedeva ad antichi culti legati al sopraggiungere della primavera e alla fertilità dei campi. I popoli Celti denominavano l’equinozio di Primavera “Eostur-Monath” e successivamente “Ostara”. Il nome sembrerebbe provenire da aus o aes e cioè Est, e infatti si tratta di una divinità legata al sole nascente, anzi “risorto” e al suo calore. E del resto il tema dei fuochi e del ritorno dell’astro sarà un tema ricorrente nel prosieguo delle tradizioni pasquali. A Eostre era sacra la lepre, simbolo di fertilità e animale sacro in molte tradizioni. I Britanni associavano la lepre alle divinità della luna e della caccia e i Celti la consideravano un animale divinatorio. Nella tradizione buddhista le leggende narrano di come una lepre si sacrificasse per nutrire il Buddha affamato, balzando nel fuoco. In segno di gratitudine il Buddha impresse l'immagine dell'animale sulla luna. In Cina la lepre lunare ha un pestello ed un mortaio con cui prepara un elisir di immortalità. Gli Indiani Algonchini adoravano la Grande Lepre che si diceva avesse creato la Terra. Nell'antica Europa i Norvegesi rappresentavano le Divinità lunari accompagnate da una processione di lepri che portano lanterne. Anche la Dea Freya aveva come inservienti delle lepri e la stessa Dea Eostre era raffigurata con una testa di lepre. La lepre di Eostre, che deponeva l'uovo della nuova vita per annunciare la rinascita dell'anno, è diventata l'odierno coniglio di Pasqua che porta in dono le uova, altro simbolo di fertilità. Così le uova pasquali si ricollegano alle tradizioni pagane in cui si celebrava il ritorno della dea andando a scambiarsi uova “sacre” sotto l’albero ritenuto “magico” del villaggio, usanza che collega Eostre alle divinità arboree della fertilità. E l’UOVO non è scelto a caso ma è da sempre e per qualsiasi cultura, simbolo di vita, di creazione, di rinascita. Per il primitivo raccoglitore e cacciatore la primavera portava gli uccelli a deporre le proprie uova e dunque ad avere un nuovo sostentamento dopo l’austerità dell’inverno.
    E la nascita del mondo da un uovo cosmico è un'idea universalmente diffusa che veniva celebrata presso molte civiltà alla festa equinoziale di primavera, quando la natura risorge. Infatti in numerose mitologie un uovo primordiale, embrione e germe di vita, è il primo essere ad emergere dal Caos: è l'"Uovo del mondo" covato da una Grande Dea e dischiuso dal Dio Sole. L'Equinozio è il giorno in cui si commemora la discesa della giovane Dea nel mondo sotterraneo e il suo ritorno trionfante alla superficie della terra, portando con sé i doni della luce, del calore e della fertilità per tutta l’umanità, e cio’ fa pensare alle Dee Persephone, Kore, Blodeuwedd, Eostre, Aphrodite, Athena, Cybele, Gaia, Hera, Iside, Ishtar, Minerva e Venere.

    E’ inoltre la stagione del giovane dio che fa pensare ad Herne il cacciatore, il pettirosso del bosco, l’uomo verde, Cernunno, il signore della natura, Dagda, Attis, Tammuz, il dio cornuto, Mithras, Odino, Thoth, Osiride. Il motivo del sacrificio e della rinascita hanno un significato profondo per i cristiani, ma non solo, che commemorano la crocifissione, morte e resurrezione di Cristo con la Pasqua. Qualunque sia la nostra credenza, questo è un periodo in cui celebriamo il trionfo della luce sul buio e sulla morte, la rinascita a nuova vita.
    (Selendir Ellendhar, celtical.it)


    Sento la Primavera avvicinarsi,
    i fiori cercano il sole, come gli animali,
    il rinnovamento tocca la Natura.
    Il Grande Orso esce dalla sua tana
    alla ricerca di nuova Medicina di nostra Madre Terra
    il cambiamento ed il Dono della Farfalla è ora più acessibile...
    tocco la terra e prego....
    Io chiamo il Grande Falco Bianco, affinchè possiate vedere lontano,
    Io chiamo la Signora dei Cieli, L'Aquila,
    affinchè vi faccia assaporare la carezza del Grande spirito,
    sento il richiamo del Lupo ed il branco si unisce per scambiarsi
    la saggezza appresa, ascolto ancora la Madre Terra, la sua energia....
    il potere del Serpente e l'Antico Drago....
    ascolto nel silenzio e vedo....
    il Ragno tesse la sua tela ed il suo più grande dono,
    quello di farci comprendere che siamo tutti collegati da questa rete,
    la tela del Wird.
    --Daiko - White Fearn (Lupo Bianco)--

     
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  6. gheagabry
     
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    Il Noruz, il capodanno iraniano


    La storia del calendario solare iraniano, che oggi entra nell'anno 1391...
    Antiche memorie zoroastriane mai sopite si ripresentano nelle parole e nelle case degli iraniani. Il Noruz, ovvero il capodanno, è certamente la più evidente. È il primo giorno del calendario solare iraniano e coincide con l’arrivo della primavera.
    I persiani, come gli italiani, discendono dalle antiche popolazioni indoeuropee che forse dall’Asia centrale (il luogo d’origine è dubbio) si spostarono verso l’Europa, la Persia e poi l’India lasciando prove evidentissime delle migrazioni nelle lingue che, pur sembrando diversissime, discendono da un antenato comune e rivelano somiglianze inattese. Per esempio in avestico, l’antica lingua iranica in cui venne redatto l’Avesta, il testo sacro della religione zoroastriana, “madre” si dice mātar. Anche il Noruz, che cade il 20 o il 21 marzo a seconda degli anni (quest’anno è il 20), nasconde nel nome l’antico passato. No in persiano vuol dire infatti “nuovo” e ruz “giorno” (che, seppure a prima vista meno evidente, condivide lo stesso antenato del latino “lux” e dunque “luce”).
    Nel VII secolo avviene l’invasione araba: cadde l’Impero Sasanide (nato quattro secoli prima) e l’Islam divenne la nuova religione del Paese (ma piccole comunità zoroastriane riuscirono a conservare la fede degli antenati). I conquistatori imposero il calendario lunare. La tradizione però non si spense con l’invasione musulmana e Noruz sopravvisse tra i persiani. Circa novecento anni fa toccò ad Omar Khayyam, uno dei più grandi matematici e astronomi persiani (ma si dedicava con un certo successo anche a scrivere poesie) risistemare il calendario e lasciare gli antichi nomi dei mesi zoroastriani, rifiutandosi di usare quelli del calendario arabo-islamico. I persiani, d’altronde, non avevano mai avuto una grande simpatia verso gli arabi. I nuovi arrivati erano diversissimi, con una origine e una storia differenti e un sistema culturale troppo distante dalla vastità della civiltà persiana che aveva creato, con gli Achemenidi, un impero veramente “universale”, come testimoniato dalla liberazione degli ebrei per opera di Ciro il Grande, anche se per lungo tempo si presentò in Europa sotto la lente distorta della storiografia greca.
    Firdusi, il maggiore poeta persiano, vissuto tra il Decimo e l’Undicesimo secolo, per esempio, scrive nel suo poema epico “Il libro dei re” (che ripercorre la storia persiana fino all’invasione musulmana e venne tradotto in italiano da Italo Pizzi nell’Ottocento) che gli arabi, che miravano alla sovranità della Persia, si nutrivano di lucertole! Il primo mese del calendario, che corrisponde a marzo/aprile, si chiama Farvardin, in onore del Fravashi, l’angelo custode del mazdeismo (l’altro vocabolo per la religione zoroastriana, dal nome dell’unico Dio Ahura Mazda) da cui poi è derivato il concetto di angelo custode nella tradizione ebraica e cristiana. Khayyam fece un lavoro eccellente e riformò un calendario che è ora di gran lunga più preciso del nostro gregoriano. Pur utilizzando lo stesso anno di partenza (il 622 d.C., ovvero l’anno dell’egira, la “migrazione” di Maometto dalla Mecca a Yathrib, che venne poi chiamata Medina), il calendario lunare musulmano ha meno giorni del calendario solare. Così in Iran questo 20 marzo si entra nel 1391, mentre il mondo arabo-islamico è già nel 1433. Inoltre c’è un’altra grande differenza tra il calendario solare, sia esso gregoriano che iraniano, e il calendario musulmano. Quest’ultimo non è legato alle stagioni e dunque, con il passare degli anni lo stesso mese può trovarsi in estate o in inverno.
    Nel 1925 Reza Shah Pahlavi ripristinò ufficialmente il calendario iraniano con i nomi dei mesi zoroastriani nel paese. I Pahlavi, che regnarono sul paese fino alla Rivoluzione del 1979, non nascosero mai la propria ammirazione per la grandezza dell’antica civiltà persiana, riconoscendo nelle poche decine di migliaia di zoroastriani rimasti in Iran l’eredità del passato. Nel 1976 venne cambiato anche l’anno d’inizio. Al posto dell’egira venne scelta l’incoronazione di Ciro il Grande, passando così, da un giorno all’altro, dal 1355 al 2535 (d’altronde volevano portare l’Iran nel futuro). Poi, dopo la rivoluzione, si tornò all’egira, ma non si osò abolire il calendario solare.
    La sera della vigilia è l’occasione per riunire le famiglie, intorno al riso che si mangia con pesce ed erbe. I giorni successivi invece sono dedicati alla riconciliazione, a ritrovare l’amicizia perduta. Il tredicesimo giorno, l’ultimo dei festeggiamenti, si fa una gita. Il Noruz non è però festeggiato solo in Iran, ma la mappa delle celebrazioni disegna chiaramente l’immensa influenza culturale, linguistica e sociale della Persia, tra i curdi, nel Caucaso, in Asia centrale fino ai deserti dello Xinjiang, in Cina. Anche in India, ovviamente, tra le comunità parsi (ovvero “persiane”) zoroastriane che lasciarono l’Iran oltre mille anni fa per fuggire dalla persecuzione islamica. È inoltre celebrato dai fedeli della religione baha’i, nata in Persia nel Diciannovesimo secolo.
    (MATTEO MIELE, ROYAL UNIVERSITY OF BHUTAN, il post)
     
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  7. gheagabry
     
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    “...agli alberi tornano le foglie distaccate dal freddo
    e le gemme si gonfiano di linfa sul tenero tralcio …
    con ragione le madri latine per cui è voto e milizia il parto,
    onorano questa stagione feconda” (Ovidio)



    LA FESTA DI MATRONALIA



    Nell'antica Roma, alle calende di marzo, l'inizio dell'antico calendario romano, si celebrava una festa solenne in onore di Giunone, che prendeva il nome di Matronalia anche dette femineis kalendis. Era molto simile a quella che si celebrava col nome di Saturnalia nel dicembre, e per questo appunto era detta Saturnali delle donne.
    Le donne romane recavano fiori e incenso al tempio di Giunone Lucina sull'Esquilino, la cui costruzione era tradizionalmente fatta risalire al 1º marzo 375 a.C., e facevano dei voti per la gloria dei loro mariti. Il collegamento col culto di Giunone Lucina, protettrice delle nascite, trasformò la festività nella celebrazione delle nascite.

    L'altare del tempio era decorato con gigli e nastri bianchi e rosa; nei bracieri ardevanono le essenze di mirto.
    Le sacerdotesse, partendo dall'ingresso del Pantheon con delle ceste di fiori, spargevano i petali di dittamo e di rosa in terra fino all'altare della dea Giunone pronunciando questa preghiera:

    "Portate fiori alla dea;
    questa dea ama le piante in fiore;
    fate corone di fiori da mettere intorno alla testa.
    O Lucina, tu ci hai dato la luce.
    Tu sii propizia al desiderio delle partorienti".


    A quel punto, le donne ripetono le parole pronunciate dalle sacerdotesse e le seguivano verso l'altare. Una volta giunte davanti all'altare, le sacerdotesse si dividevano e si portavano ai lati di questo, lasciando che fossero le donne di Roma a riporre i doni offerti alla dea e ad elevare, una per una, la loro preghiera per gli uomini.

    Prima del tempio di Lucina sorgeva un albero di loto, il secondo albero più antico della città, che era sacro a Giunone. Il loto antico, chiamato Capillaria, ha preso il nome dalle Vestali che come offerta avrebbero appeso i loro capelli sui rami. Ogni volta che un bambino romano nasceva, dal un regio decreto del Rex Servio Tullio, i genitori facevano un'offerta al tempio di Giunone Lucina, di solito una sola una moneta, e il nome del bambino sarebbe poi stato aggiunto ai registri di tutte le nascite a verificarsi in città.
    La festa delle matrone prevedeva un’altra insolita usanza che consisteva nel temporaneo rovesciamento dei ruoli sociali: in quel giorno unico e speciale, infatti, le matrone dovevano servire a tavola la servitù, trasgredendo la regola consuetudinaria che valeva per tutto il resto dell’anno. Pare che il rituale avesse la funzione di rendere ancora più evidente il ristabilimento dei rispettivi ruoli sociali. E’ come se lo scambio delle parti per un giorno fosse servito a sottolineare e a ribadire che per tutto il resto dell’anno gli schiavi avrebbero dovuto agire da schiavi e i padroni da padroni.
    Si scambiavano in questa circostanza doni fra marito e moglie e fra genitori e figli. La festa si compiva in seno alla famiglia. Ne erano esclusi i celibi, e le donne di facili costumi.
     
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    Perù, la Festa della Quinoa



    di Barbara Oggero


    Dopo tre ore di oziosa navigazione sul lago Titicaca, si raggiunge l’isola di Taquile e subito si ha la certezza di esser sbarcati in un luogo speciale. Situata a 4.000 metri d’altezza, vi si respira un’aria pulita e rarefatta che taglia il fiato durante l’ascesa dal porto al pueblo, scalando rocce e gradini.

    Un crostone montuoso, costellato di antichi terrazzamenti, corre per tutta la lunghezza. Una divisione naturale tra lo scosceso lato ovest e il più morbido versante est, dove si trovano le abitazioni.

    Le poche strade asfaltate sembrano una ragnatela, che dalla piazza principale si dirama fino agli ultimi sparuti agglomerati di case. Oltre diventano una miriade di sentieri sterrati, che conducono a edifici solitari o a scorci panoramici di dura terra e acqua luccicante.

    Sulla sua superficie di circa sette chilometri quadrati vive una comunità di quasi 2.000 persone, organizzate in un sistema collettivistico basato sul rispetto dell’antico codice morale inca (non rubare, non mentire e non esser pigro).




    La popolazione è fedele alle proprie tradizioni. Le perpetua con orgoglio, a partire dall’uso quotidiano della lingua quechua (in grado di comunicare con la natura e le divinità pagane), nell’abbigliamento caratteristico e nei manufatti tessili ad opera principalmente degli uomini, oltre che nella celebrazione delle festività.

    Tra queste, la Fiesta de San Diego ha un posto molto importante nel calendario. A partire dal 25 Luglio (giorno di San Giacomo), e fino alla prima settimana di agosto, musica e danze coinvolgono la comunità, entrando nelle abitazioni e sprigionandosi all’aria aperta.

    L’origine della festa risale ai tempi antichi, quando la scoperta dei semi di una pianta sconosciuta salvò la popolazione da una mortale siccità. La pianta era la Quinoa (Puli è il nome generico), il cerale andino largamente impiegato nella cucina locale, soprattutto nelle zuppe.

    Sin dall’alba, gruppi di isolani riempiono i vicoli con la melodia ripetitiva di puli-pulis e wankharas (pifferi e tamburi). La loro cadenza viene portata dal vento anche negli angoli più distanti, tra i resti della civiltà incaica, fino alla vetta più alta dove normalmente è il silenzio a dominare.



    È sorprendente veder convergere uomini e donne nella piazza principale. Arrivano da più punti, si snodano e si sfiorano senza perdere mai il tempo né la direzione.

    Gli uomini indossano dei vistosi cappelli di foggia diversa, ciascuno ispirato ai momenti della coltivazione; suonano e avanzano a piccoli passi, tenendo il ritmo. Le donne, spesso scalze, ruotano su loro stesse. Procedono a balzelli, sollevando così le spesse gonne multistrato e colorate. Con i loro indumenti sembrano un arcobaleno nel cielo blu, intenso come le acque del lago. Sullo sfondo, a far da cornice, la Cordillera Real imbiancata.

    Il ritmo ossessivo della musica permette alla danza di protrarsi ininterrotta anche oltre il tramonto. I movimenti ondeggianti del corpo e delle braccia sono una parodia del ciclo di vita della pianta, partendo dalla semina e dal suo germogliare, passando per la crescita, la battitura e la ventilazione dei chicchi, concludendosi infine col loro risplendere nel sole.

    Una festa pagana che è anche il ringraziamento a Pachamama, la Terra Madre, in grado di provvedere e soddisfare tutte le necessità.

     
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  9. gheagabry
     
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    Con rami d’alloro hanno cosparso i loro beni in vendita e i loro capelli, con l’acqua di una fontana nei pressi della Porta Caperna chiamata aqua Mercurii. Hanno offerto preghiere a Mercurio, che nella leggenda era stato un ladro, per il perdono di spergiuri passati e futuri, a scopo di lucro, e per la costante capacità di ingannare i clienti! E’ ragionevole supporre che la gilda dei mercanti trascorra la sera del Idi di maggio con pranzi e feste insieme.
    (Ovidio)




    MERCURALIA

    Il giorno delle Idi di Maggio, il 15 del mese, si svolgevano i Mercuralia: festa natale di Mercurio – messaggero degli dei, datore di prosperità e ricchezza, dio del commercio, dell’astuzia e degli affari, tutelare delle strade, guida delle anime nell’Averno – era dedicata all’omonimo tempio ai piedi dell’Aventino e consisteva in una fiera di mercanti.

    « ...I consoli si contendevano l'onore di consacrare il tempio di Mercurio e il senato girò la questione al popolo: a chi dei due fosse toccato, per volontà del popolo stesso, l'onore della consacrazione, sarebbe andata anche l'amministrazione dell'annona e il compito di formare una corporazione di commercianti, nonché di celebrare i riti solenni di fronte al pontefice massimo. Il popolo assegnò la consacrazione del tempio a Marco Letorio, centurione primipilo, con un intento chiarissimo: non si trattava cioè tanto di onorare quest'uomo - troppo grande la sproporzione tra l'incarico e la sua posizione nella vita di tutti i giorni -, quanto di un'offesa alle persone dei consoli. ... »
    (Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. II, par. 27)



    Mercurio era il dio romano del commercio e, alle idi di maggio (il 15), i mercanti si radunavano presso una fontana a lui dedicata non lontana dalla Porta Capena. A causa del fatto che per la loro attività spesso dovessero fare ricorso all'imbroglio o a menzogne, dopo essersi purificati ed avendo indosso solo una tunica, si recavano alla fonte. Lì raccoglievano le acque in giare anch'esse purificate, che riportavano a casa per aspergere con rami di alloro il capo e gli oggetti prossimi alla vendita. Queste operazioni erano accompagnate da varie preghiere ed invocazioni.
    1. ^ Ovidio, Fasti, V, 670-690

    Nella mitologia romana Mercurio rappresenta non solo per la sua velocità i ladri ma è anche il dio degli scambi, del profitto del mercato e del commercio, il suo nome latino probabilmente deriva dal termine merx o mercator, che significa mercante. A Roma, un tempio a lui dedicato, nei pressi del Circo Massimo sul colle Aventino, nel 495 a.C. Ebbe dalla ninfa Carmenta Evandro, il mitologico fondatore della città di Pallante sul Palatino a Roma.

     
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  10. gheagabry
     
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    EQUINOZIO D'AUTUNNO





    Le foglie cominciano a cambiare colore e l'autunno avanza, il 23 settembre l'estate astronomica si conclude ufficialmente. Ogni anno, quando il Sole attraversa l'equatore celeste a marzo e a settembre, si verificano due momenti particolari: rispettivamente, l'equinozio di primavera e l'equinozio d'autunno. L' equatore celeste è la linea immaginaria nel cielo sopra l'equatore della Terra.
    Gli equinozi fin dall'antichità hanno rappresentato un momento "mistico", oltre che prettamente scientifico, un "passaggio" celebrato nel mondo e legato alle tradizioni popolari.


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    ...il significato nella religione cristiana...

    L'equinozio d'autunno è presieduto dall'Arcangelo Michele. Inizia un nuovo ciclo della vita. I frutti cadono dagli alberi, abbandonano i loro involucri, mentre i semi vengono selezionati per essere consumati o conservati per poi essere ripiantati dando vita ad un altro ennesimo ciclo. La separazione, di cernita che fa la natura riguarda anche l'essere umano. Come il frutto si separa dall'albero e il seme dal frutto, l'anima si separa dal corpo. Il corpo corrisponde all'involucro e l'anima al seme che viene seminato in alto, in Cielo. Il giorno in cui sarà maturo, il frutto che è l'uomo non dovrà cadere in terra come il seme di una pianta, ma volarsene verso il Cielo.
    E l'autunno è il periodo nel quale deve avvenire questa separazione di cui parla Ermete Trismegisto quando dice: «Tu separerai il sottile dal denso con grande abilità». Ovvero separare lo spirituale dal materiale. Durante l'autunno tale processo di separazione si realizza in tutta la natura per preparare la nuova vita. Come l'Arcangelo Michele viene a separare l'anima dal corpo, così l'Iniziato lascia morire in sé una materia per liberare la vita. L'Arcangelo Michele separa l'anima dal corpo perché l'anima deve viaggiare, visitare altri mondi dello spazio e non rimanere eternamente sulla terra. La separazione è una legge della vita. L''Arcangelo Michele insegna la selezione, il discernimento, l'apprendere a separare il puro dall'impuro, l'utile dall'inutile, il nocivo dal salutare, la cosa morta da quella viva.



    ..miti e leggende..

    Per molte culture l'Equinozio d'Autunno è un giorno di celebrazioni. Nella tradizione iniziatica questo momento rappresenta un passaggio, un tempo per la meditazione, per rivolgersi all'interno, durante il quale la separazione tra ciò che è visibile e ciò che è invisibile si assottiglia sin quasi a scomparire.
    Nel calendario agricolo contadino bisogna aspettare la fine di ottobre con Ognissanti per trovare gli antichi riti di passaggio rurali e pagani, quel momento che i Celti chiamavano Samhain.
    Nella memoria di queste antiche popolazioni l'Equinozio autunnale veniva festeggiato col nome di Mabon: il giovane dio della vegetazione e dei raccolti. Indicato col nome di Maponus nelle iscrizioni romano-britanne, è il figlio di Modron, la Dea Madre: rapito tre notti dopo la sua nascita, venne imprigionato per lunghi anni fino al giorno in cui venne liberato da Culhwch, cugino di Re Artù. A causa del suo soggiorno ad Annwn, Mabon rimase giovane per sempre.
    Il suo rapimento è l'equivalente celtico del rapimento greco di Persefone.

    Nella tradizione druidica l’Equinozio d’Autunno veniva chiamato Alban Elfed (Autunno, o «Elued», Luce dell’Acqua). Rappresentava la seconda festività del raccolto, segnando la fine della mietitura, così come Lughnasad ne aveva segnato l’inizio. Il giorno e la notte sono in perfetto equilibrio, come lo erano all’Equinozio di Primavera, ma ben presto le notti cresceranno fino ad essere più lunghe dei giorni, e sarà inverno.

    Nell'antica Grecia si celebravano i Grandi Misteri Eleusini, riti misterici che rievocavano il rapimento di Persefone, figlia della dea Demetra che regolava i cicli vitali della terra, condotta agli inferi dal dio Ade che ne fece la sua sposa. La leggenda racconta che Demetra, come segno di lutto e fin quando non riebbe sua figlia, rese impossibile il germogliare delle sementi e delle piante e sterile la terra.

    Il festival di mezzo autunno si celebra il 15º giorno dell' 8º mese lunare ed è una festa ufficiale in molti Paesi dell'est asiatico. Dato che il calendario lunare non è in sincrono con il calendario gregoriano questa data può cadere un giorno qualsiasi tra la metà di settembre e l'inizio di ottobre.

    L'equinozio di settembre segna il primo giorno del Mehr o della Bilancia nel calendario Iraniano. È una delle festività iraniane chiamate Jashne Mihragan, o il festival della condivisione dell'amore nello Zoroastrismo.

    L'equinozio di settembre era il primo giorno dell'anno nel calendario repubblicano francese, che venne usato dal 1793 al 1805. La Prima Repubblica Francese venne proclamata e la monarchia francese abolita il 22 settembre 1792 rendendo il giorno successivo il primo giorno dell'Era Repubblicana in Francia.

    Stonehenge, in Gran Bretagna, è il fulcro dei misteri legati al solstizio e all'equinozio: le pietre che lo compongono sono infatti allineate in corrispondenza dei punti in cui il Sole sorge in quei particolari giorni, motivo per cui è stato ipotizzato che il sito fosse un antico osservatorio astronomico. Il festival del raccolto nel Regno Unito si celebra la domenica della Luna piena più vicina all'equinozio di settembre.



    In Australia, gli aborigeni australiani avevano una buona conoscenza di astronomia e delle stagioni. L'equinozio di settembre, che avviene durante la primavera in Australia, ha giocato un ruolo importante nella tradizione orale della cultura indigena australiana.

    In Cina il Mid-Autumn Festival, noto anche come Festa della Luna, si celebra nel periodo dell'equinozio di settembre.
    Si festeggia l'abbondanza del raccolto dell'estate e uno degli alimenti principali è il mooncake, la torta lunare, che può essere ripiena di pasta di semi di loto, semi di sesamo, uovo di anatra, frutta secca e altre varianti.

    Higan, o Higan-e, è una settimana di servizi buddisti osservati in Giappone durante gli equinozi di settembre e marzo.
    Entrambi gli equinozi sono feste nazionali fin dal periodo Meiji (1868-1912). Higan significa "l'altra sponda" e si riferisce agli spiriti dei morti che raggiungono il Nirvana. E' un momento per ricordare i morti visitando, pulendo e decorando le loro tombe.

    Nell' equinozio d'autunno, molti pagani celebrano Mabon come uno degli otto Sabba, una festa basata sui cicli del Sole.
    Mabon celebra il secondo raccolto e l'inizio della preparazione invernale. E' il tempo di rispettare il buio imminente mentre si ringrazia la luce solare.

     
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