FESTE PAGANE

riti e leggende

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted


    SOLSTIZIO D'ESTATE



    FESTE PAGANE ESTIVE DEL NORD RUSSO
    Kupala o la Festa di San Giovanni e i suoi riti


    di Aldo Marturano






    "Il contadino russo è molto sensibile alle vicissitudini del sole nel firmamento. Ogni strana variazione come un’eclissi o la vista di macchie o una cometa etc. è vista come una minaccia per la propria esistenza e questi fenomeni eccezionali, talvolta unici, sono guardati come una punizione a lui inflitta per aver forse sbagliato o peccato e quindi questa è la punizione meritata.



    Al contrario il Solstizio d’Estate, che oggigiorno cade fra nella notte fra il 24 e il 25 giugno, rappresenta un fenomeno astronomico abbastanza caratteristico, periodico e molto favorevole alle attività umane perché il sole ha rallentato la sua corsa attraverso il firmamento e proprio in questo periodo addirittura “si ferma”. E’ vero, anche la notte si accorcia e, come a Novgorod o a Pskov, il sole rimane quasi senza interruzione nel cielo lasciando che le messi imbiondiscano e la natura goda della luce vivificatrice. Dunque il Solstizio è un miracolo che si ripete. Potrebbe però mai accadere che una cosa talmente straordinaria non si ripeta più?




    La spiegazione contemporanea che conosciamo perché l’abbiamo imparato a scuola, ci assicura di no. Il Solstizio si ripete. Tale sicurezza scientifica tuttavia non corrisponde assolutamente a quella che circolava nel Medioevo e qui nei villaggi russi. Se ci sono gli dèi del sole e del cielo, ecco che questa è una loro decisione di concedere più luce e più a lungo all’umanità oppure di non concederla affatto. E’ un segno e una conferma in più della loro potenza sugli uomini…



    Anche nello Stoglav per il Solstizio d’Estate abbiamo una menzione speciale, come Festa di Kupala. Qui si dice che essa è in onore del fuoco che purifica e che libera dai mali del corpo oltre a portare la fecondità alle donne.



    Con questa impostazione malgrado tutto la Festa del Solstizio è comunissima in tutta l’Europa e i suoi riti dall’Atlantico agli Urali hanno un fondo mitologico comune forse risalente ai primi popoli che invasero l’Europa o che nacquero proprio qui e che oggi parlano ancora, fra le altre, una lingua indoeuropea. Non è dunque una peculiarità esclusiva dei riti pagani “russi”. Tuttavia non esiste folclore conservatosi più ricco di quello delle genti “russe” dove il sole domina qualsiasi espressione artistica, dalla pittura all’intaglio, dal ricamo alle forme dei cibi solidi. E questo dobbiamo ammetterlo, come storici e testimoni di una cultura unica…







    Fra tutte le leggende e le spiegazioni religioso-magiche che circolano sul Solstizio, ne abbiamo preferita una di provenienza bielorussa che narra come Dazhbog, il dio dominante queste celebrazioni, avendo visto la figlia del Re del Mare, una bellissima ragazza a nome Lada, se ne fosse innamorato. Costei però aveva rifiutato tutte le sue profferte per cui Dazhbog pensò bene di ricorrere all’inganno.



    Per riuscire a tenerla lontana dall’acqua del mare dove suo padre l’avrebbe sempre potuto difendere, ricorse ai metodi in voga nel Mar Baltico, il commercio muto. Si procurò così delle scarpe dal tacco altissimo e le pose ad una certa distanza dalla riva e si ritirò nel cielo. Lada, attirata dalle lucenti calzature, venne a riva per provarle e, mentre era impacciata a causa dei tacchi, Dazhbog rapidamente scese dal suo carro di fuoco, la ghermì e la portò via con sé nel suo palazzo. Il carro del sole lasciato a sé, si fermò in attesa che i due amanti consumassero i loro amplessi. Ecco perché c’è il Solstizio ed ecco perché ogni anno Dazhbog, a ricordo di questo suo grande amore, rinnova il fenomeno. Ammettiamo che questa leggenda in realtà non ha grande attinenza con la nostra ricerca, ma l’abbiamo riportata qui affinché il nostro lettore capisca come nascono i miti e i personaggi che diventano a volte degli dèi.



    L’analisi etimologica della parola Kupala ci riporta ad una radice indoeuropea *kup- che originariamente significa ardo, bollo dal desiderio ed è quindi collegata con il verbo latino cupio di uguale significato (da cui l’italiano, concupiscenza o il russo antico kipiti, bollire) e col nome del dio Cupido. Dunque il collegamento è chiarissimo col il sole che arde per un’intera notte fino al mattino seguente e con il desiderio “ardente” di celebrare il rito dell’amore evitando il buio negativo della notte.



    Per Kupala c’era tutta una serie di riti speciali e periodici che andavano eseguiti con attenzione e con devozione. Il più importante, in un mondo dove accendere il fuoco era sempre un’operazione faticosa e lunga, era quello di spegnere la pec’ka, di svuotarla dalle ceneri raccoltesi per tutto l’anno e di riaccenderla. Il fuoco come in qualsiasi altra cultura pagana del passato rappresentava non solo la distruzione degli oggetti, ma anche la loro purificazione e quindi la loro rinascita. Gli Slavi conoscevano certamente il rito di passaggio fra le fiamme come metodo di purificazione corporale sebbene poi quando Michele, principe di Cernìgov, fu costretto a compierlo presso i Tatari di Sarai il 20 settembre 1246 costui lo sentì come un atto di ritorno al paganesimo e per essersi rifiutato di compierlo fu ucciso dai Tatari. Per questo suo stoico sacrificio fu fatto santo martire della fede dalla Chiesa Ortodossa.



    Il fuoco era caduto una prima volta dal cielo in tempi remotissimi per azione del fulmine che si era abbattuto su qualche albero della foresta e lo aveva dato alle fiamme. Come fare allora a riprodurlo? Sfregando fra loro due oggetti magici, sempre donati agli uomini dagli dèi (rammentate il mito di Prometeo?), lo si poteva riottenere come fiamma viva.

    Evidentemente il fuoco causato dal fulmine era considerato però più sacro di qualsiasi altro e se una casa andava in fiamme per questo, nessuno avrebbe mai osato spegnerlo, perché era contrario al volere del padrone del fulmine: il dio Perun.



    Accendere con acciarino e pietra focaia (due oggetti di natura magica) era il più complicato dei metodi per ottenere la fiamma perché non tutti possedevano questi oggetti costosissimi nei tempi ai quali ci riferiamo e poi un fuoco così generato non era accettato in una celebrazione divina come Kupala e l’unico modo “canonico” era invece lo strofinamento fra legni secchi “benedetti”.



    Nella Russia Occidentale si sceglieva dunque uno spiazzo lungo il fiume e qui si innalzava una specie di palo della cuccagna intorno al quale si raccoglievano tutti quegli oggetti di legno ormai inservibili per farne legna per il falò che sarebbe poi stato accesso dal fuoco “sacro”. Più in là si montava invece l’armamentario per la sacra accensione. Questo consisteva in un grosso tronco ben secco, tagliato e appuntito sui due estremi opposti. Una punta doveva poggiare su un altro tronco posto adagiato sul suolo. Questo tronco orizzontale aveva una buca scavata apposta per accogliere il tronco verticale che vi avrebbe dovuto ruotare ed in essa si era avuta la cura di mettere paglia ben macinata e un fungo particolare il Fomes fomentarius che seccato aveva una particolare “infiammabilità”.





    Il tronco a terra era fissato fra quattro pali che sostenevano, a loro volta, degli altri pali trasversi dove si imperniava il tronco rotante, una volta posto in posizione verticale. A questo punto il tronco in piedi era ravvolto con un paio di giri di fune di canapa. Si erano poi scelti dei baldi giovani in piena forza i quali con in mano un capo della fune, in egual numero dall’uno e dall’altro lato, tiravano alternativamente facendo ruotare il tronco che un arbitro raddrizzava appena era necessario, incitati dagli astanti e dalle ragazze che facevano il tifo per i loro idoli maschili. Finalmente un filo di fumo si levava e subito si accorreva con un tubo fatto da un osso cavo di uccello a soffiare per far la fiamma viva…



    La fiamma una volta ottenuta (e non era una cosa facile e rapida, lo ripetiamo) si portava al palo e si dava fuoco al mucchio di legno. Ognuno poi aveva diritto di prendere un po’ di questo fuoco dal falò per riaccendere la propria pec’ka.

    Kupala era però sicuramente la festa dell’amore. Sono registrati moltissimi riti indirizzati a far incontrare ragazzi e ragazze e persino a permettere incontri omosessuali. Noi ne segnaleremo solo qualcuno più caratteristico o curioso che sembra essere più vicino a quelli dell’epoca che stiamo studiando (secc. X-XIII d.C.).



    Dalla Synopsis di Innocenzo Ghizel’, archimandrita del Monastero delle Grotte di Kiev, ca. 1870, tradotto da ACM.

    “Alla vigilia della festa per la nascita di San Giovanni Battista si raccolgono i giovani, maschi e femmine, e si intrecciano ghirlande di rami e di fiori e se le pongono sulla testa e intorno alla vita. Ed ancora in questo rito demoniaco mettono su un falò e attraverso il fuoco tenendosi per mano disonoratamente saltano e cantano canzoni oscene su questo Kupala e ripetono spesso questi salti.”



    Si diceva ad esempio che la felce (in russo paparotnik) fa il fiore proprio in questa Notte di Mezza-estate e chi trovasse questo fiore e riuscisse a portarselo a casa, avrebbe avuto la fortuna assicurata per il resto della vita. Addirittura si diceva che mentre la felce fiorisce spande una luce accecante intorno per cui bisognerebbe cogliere il fiore senza esserne abbagliati e, una volta strappatolo, correre via immediatamente senza mai voltarsi anche se si udisse una voce che chiama. In realtà tutti sappiamo che la felce non fiorisce, ma sappiamo anche che c’è un fungo (Mycena sp.) il cui micelio è fosforescente (fenomeno della bioluminescenza) che si usava addirittura per segnare i sentieri nella foresta di notte e forse la leggenda è nata di qui.



    Probabilmente (secondo un’interpretazione di I. Pankeev che non ci soddisfa) Kupala è da far risalire ad una festa analoga bulgara in cui la coppia divina, chiamata Kupalo e Kupalniza, sono personificazioni di Perun e della dea dell’Alba, Zarjà. In questa mitologia si racconta come Perun col suo carro del Sole si fermi e perciò gli venga in aiuto la Dea Alba affinché il ciclo della natura non si sconvolga.



    Con l’introduzione del Cristianesimo, come già era avvenuto in altre parti d’Europa, Kupala fu assimilata alla festa della nascita di san Giovanni Battista e il nome cambiò in quello di Festa di Jan (Giovanni.) Kupala. Le ninfe silvicole, le Rusalke, probabilmente erano legate a questa festa poiché la mitologia popolare racconta che quando arrivava Jan Kupala, dopo il Solstizio, non trovando più spazio sulla terra questo dio era costretto a ritornare nel suo regno sotterraneo accompagnato proprio dalle Rusalke. Qui è evidente il parallelismo col mito di Proserpina-Persefone e con quello di Adone.

    E non solo. La Mezza-Estate era la stagione e il momento giusto per raccogliere tantissimi doni “commestibili” della foresta (compreso il pesce.) che variavano e abbellivano la tavola degli smjerdy.



    Ad ogni buon conto nella notte di Kupala si vanno a cercare soprattutto erbe speciali ed efficacissime come medicamenti proprio come il Verbasco (Verbascum sp. o Tasso Barabasso e in russo Orecchio d’orso) ottimo per curare l’ulcera dello stomaco e del duodeno (secondo la ricercatrice bulgara, prof. V. Petkova) o l’Erba di Kupala (Kupalenka o Trollius europaeus).



    Addirittura nella regione di Novgorod la Grande si coglievano tante piante di Erigeron acer, una pianta magica, e le si appendevano sulla porta di ogni famiglia e si diceva che il primo fiore che fosse appassito anzitempo indicava che ci sarebbe stata una morte in quella famiglia. Tutte queste credenze in verità a volta curiose racchiudono il modo di vedere della gente della campagna che nelle piante vedeva un’espressione degli esseri divini che vi abitavano da sempre. E’ logico anche che possiamo tranquillamente immaginare che le vecchie, le znaharke, non più interessate alle celebrazioni orgiastiche, vagassero per la foresta alla raccolta di queste erbe che gli esseri divini mettevano a disposizione soltanto ora e che solo una znaharka sapeva utilizzare nel modo corretto. Naturalmente queste znaharke, mezzo donne e mezzo streghe malvagie, non avrebbero mai svelato a chicchessia dove e come queste piante si trovavano né alcuno dei loro segreti poteri, se non a chi avrebbe poi preso il loro posto. Di qui nacque forse la leggenda di un’erba misteriosa che soltanto le streghe sapevano trovare e che si faceva toccare soltanto da loro nel fitto della foresta: la pianta della fortuna: l’arhilin.



    Insomma questa festività potrebbe benissimo essere chiamata la Festa degli Erboristi e i vari Erbari russi editi intorno al XVI sec. (travniki) raccomandavano ai raccoglitori di fare la raccolta nella foresta proprio per Kupala poiché è in questa magica notte-giorno che le parti utili delle piante sono pronte per essere colte dalla mano dell’uomo. E poi la foresta è anche più illuminata e chi si accinge a questo lavoro notturno trova un ambiente più favorevole ai propri vecchi occhi attenti…"


     
    Top
    .
24 replies since 10/7/2010, 19:44   3929 views
  Share  
.