FAVOLE DELLA BUONANOTTE

.....prima che il sonno ci raggiunga...

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  1. gheagabry
     
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    La tredicesima costellazione

    Sulle sponde del lago d'Argento sorgeva un castello sfarzoso, ricco e imponente, ma la sua fama non poteva superare la nobiltà d'animo e di cuore che il suo re, Ofiuco, aveva impresso in quella regione e nel regno.
    Egli era, infatti, giusto, generoso e misericordioso con i suoi sudditi, leale con i suoi amici, ma tenace e risoluto con i nemici della corona. Tutti ne lodavano le doti, i poeti cantavano le sue gesta in battaglia riempiendo interi manoscritti con miniature d'oro; gli scultori imprimevano i suoi lineamenti nel marmo bianco che come cera si lasciava modellare, cesellare e rifinire. Sembrava che la pietra, a prima vista inerme, potesse racchiudere in sé, ancora allo stato grezzo, le fattezze di Ofiuco e il risultato finale era stupefacente. Quadri, affreschi, arazzi, stucchi erano i soli lussi di cui amava attorniarsi. La ricchezza eccessiva e lo sfarzo lo lasciavano indifferente. L'unico privilegio era l'amore incondizionato e totale di sua moglie Cassandra. Ofiuco, non avendo figli, era dedito completamente a lei e il cuore della regina donato completamente al re. Ma questo, un giorno, finì. La regina, che amava passeggiare lungo il lago rimirando le sue acque specchiate, argentate come il cielo di primavera prima di una tempesta, si sporse troppo per vedere un'ombra appena sotto il livello dell'acqua. Nuotava sinuosa come una sirena, ma non era così aggraziata come la ninfa dell'oceano.
    Questo incuriosì a tal punto Cassandra che quando si chinò per avvicinare il viso al pelo dell'acqua, perse incredibilmente l'equilibrio e, senza che potesse emettere alcun suono o lamento d'aiuto o urlo, scomparve sotto le acque color argento che l'avvolsero come le sete che amava indossare per Ofiuco, l’amato marito. Quando il re non la vide tornare prima della calata delle tenebre, ordinò alle guardie di cercarla presso il lago, poiché sapeva che amava camminare là. Per tutta la notte la ricerca andò avanti, ma invano. Ofiuco pianse tanto e senza tregua per tre giorni e tre notti e tutto il reame pianse con lui. Le piante rifiutarono il nutrimento dal sole, gli animali placarono la loro aggressività, i fringuelli tacquero il loro canto di ringraziamento alla vita, tutti ebbero compassione del dolore del loro re. Dopo una settimana di lutto, i funerali vennero officiati, ma il cuore di Ofiuco straripava con immutato dolore. Il re non si sapeva dar pace e decise di sostare perennemente presso le rive del lago che l'aveva visto crescere sin da piccolo, poi da principe, e infine da re. Ora lo poteva vedere anche da vedovo. Passato un mese, durante una notte di luna piena, triste anch'essa per il dolore, mentre un poco di sonno si era impadronito del re, qualcosa scosse la superficie dell'acqua e questo lo destò.
    “Chi va là?” disse Ofiuco.
    Nessuno gli rispose.
    Si addormentò di nuovo e ancora una volta fu destato dal rumore dell'acqua.
    “Chi va là?” disse più deciso. “È il re che vi parla, rispondete”.
    Nulla, silenzio.
    Il re allora si nascose dietro dei rami e osservò attentamente qualcosa sorgere dalle acque. Era una dea, pensò Ofiuco. Solo i raggi della luna la vestivano e i suoi capelli la coronavano come una regina. Il re poté notare una straordinaria somiglianza con Cassandra. Non ebbe timori di mostrarsi a lei, che di risposta non si spaventò. Il suo cuore batteva come alla prematura morte di Cassandra.
    “Chi sei, visione celestiale?” La donna non parlò. Ofiuco le sfiorò le braccia e i capelli e le gote e le labbra. La baciò. Venne colto da improvvisa passione e le strinse le mani in segno d’affetto, ma la ragazza le ritrasse.
    “Ti amo, ti voglio rivedere”, le disse bramoso d’amore e di desiderio. “Tra una settimana e per tre settimane se sarai qui, quando la luna splende alta nel cielo, mi vedrai”.
    “Mi troverai come è certo che la luna sosti in cielo tutte le notti, anche con le nuvole ad oscurarla”, le disse in risposta.
    Ofiuco fu colto così da un insostenibile sonno e si accasciò a terra dove rimase fino al mattino seguente. La ragazza dalla pelle di perla e dai capelli argentati scomparve così com'era venuta. Chi vide il re nei giorni seguenti ebbe l’impressione che il dolore per la morte della sua regina fosse scomparso come la patina di grigio sull’argento da troppo tempo non lucidato. Era solare, il sorriso era tornato a incorniciargli il volto e gli occhi avevano ritrovato la lucentezza di un tempo.
    Nelle settimane seguenti Ofiuco non mancò mai agli appuntamenti con la sua amata donna del lago. Quando la luna era alta nel cielo e rischiarava tutta la valle e il regno, l'amato attendeva sulla riva del lago e dopo essersi addormentato la vedeva comparire al proprio fianco con la pelle di perla e i capelli d’argento. Alla quarta settimana, il giorno precedente al loro incontro, Ofiuco annunciò a tutti i suoi sudditi che avrebbe presentato una nuova regina a breve e che la felicità, come la conoscevano prima, sarebbe tornata.
    Indisse dieci giorni di festa reale e tutto il popolo poté usufruire della gioia del re. Ofiuco, la sera, prima di dirigersi al lago, guardò il cielo, ma la luna non gli sorrise. Non c’era. Pensò di essersi sbagliato, forse la troppa gioia l’aveva distolto dalla promessa fatta. Quella notte dormì profondamente e il risveglio fu altrettanto riposante.
    La mattina seguente vide i preparativi avanzare con velocità e il suo animo si rallegrò. Arrivò sino al lago e ne toccò le acque chiare e calme, il suo spirito entrò in simbiosi con la Natura. La sera, Ofiuco si recò al lago in attesa di incontrarla, come promesso. Questa volta la luna era incastonata nel cielo stellato.
    Ma quando arrivò capì subito che c’era qualcosa di diverso e qualcuno steso a terra esanime. Era un’enorme serpente morto con la coda che galleggiava in acqua, mentre il corpo deforme era adagiato sull’erba bagnata. Tra le fauci stringeva capelli d’argento.
    Quando si inginocchiò notò qualcosa che non si sarebbe mai aspettato. La coda, o quella che credeva tale, iniziò a trasformarsi in piedi, poi in ginocchia e gambe. Anche il busto cambiò forma e infine il volto divenne quello della ragazza di cui si era innamorato. La pelle, prima squamosa, divenne candida come la perla e liscia, mentre i capelli ne adornarono il viso. Ofiuco la strinse a sé e pianse. Il dolore era insopportabile.
    Per il troppo amore, morì di crepacuore senza però lasciar cadere il corpo della ragazza.
    La dea del lago, sentendo prima il pianto di Ofiuco, e ora il grande dolore che si spandeva sulle sue rive, prelevò i due corpi e chiese una grazia a Madre Natura affinché il loro ricordo durasse nei secoli e nei cuori di tutti gli amanti che in futuro avrebbero guardato il cielo.
    Lei acconsentì e trasformò i due amanti in costellazioni, nella fascia che viaggia tra lo Scorpione e il Sagittario, per ricordare che l’amore può far soffrire come il pungiglione dello scorpione, ma raggiungere alte mire e vette come la freccia scoccata dall’arciere. Da quella notte tutti gli amanti poterono vedere Ofiuco sorreggere un grande serpente morente, simbolo dell’amore fuggevole ma eterno e redentore.
    La nuova costellazione, la tredicesima, fu chiamata “del Serpentario”.

    (Ramsis Deif Bentivoglio)
     
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    Sulle Ali del Vento…

    La sera è bellissimo stare sdraiati sulla spiaggia sotto un meraviglioso soffitto di stelle, piccoli punti lontani che brillano di tanto splendore davanti ai nostri occhi affascinati. La brezza fresca soffia leggera e la luna, con la sua dolce eleganza, e le stelle, sembrano sorridere nella loro consapevolezza di essere uno dei tanti motivi per cui vale la pena di vivere.

    Il fresco venticello bisbiglia dolci canzoni che meritano di essere ascoltate e solleva con tanta delicatezza leggeri granelli di sabbia che, minuscoli, si fanno cullare dolcemente per poi ricadere piano.

    Quei piccoli corpicelli posseggono un tesoro immenso. La luna e le stelle sorridono teneramente, il vento li culla e il mare racconta loro le storie più incantevoli, storie di posti e uomini lontani, che loro non hanno mai visto.

    Tra i tantissimi granellini di sabbia ce n’era uno in particolare che amava ascoltare la mite voce del mare, che apprezzava la luna, le stelle, il vento e al mattino parlava con il sole. Rimaneva incantato da tutte le cose belle che lo circondavano e capiva il loro enorme valore.

    E ogni giorno, dopo i primi raggi di sole, guardava la vita e le meraviglie che questa gli aveva donato.

    Eppure non si sentiva del tutto felice. C’era qualcosa dentro di lui che non gli dava pace; la curiosità. Voleva andare nei posti fantastici di cui gli parlava il mare, voleva imparare le canzoni del vento e, soprattutto voleva scoprire tutto ciò che non aveva mai visto, perché non si era mai allontanato dalla sua spiaggia.

    La sua voglia di apprendere era tanta, che un giorno chiese al vento di portarlo lontano, in luoghi a lui sconosciuti, dove avrebbe potuto vedere tante cose nuove.

    “Ti porterò dove vuoi”, gli sussurrò in risposta il vento, “ma ti accorgerai che, per te, non ci sarà posto migliore di quello dove stai ora”.

    “Può darsi che questo sia vero, ma vorrei visitare luoghi diversi, magari più belli di questa spiaggia, vorrei guardare la vita di altre persone e altri animali, vorrei scoprire come sono incantevoli le cose del mondo”, disse il granellino.

    Il vento gli sorrise e soffiò dolcemente per condurlo lontano. Lo sollevò delicatamente e il granellino si lasciò cullare dai morbidi sussurri.

    Dopo un po’ di tempo giunsero in una grande città con palazzi altissimi e strade molto trafficate.

    “Ti lascerò qui”, bisbigliò il vento al granellino, “ma tornerò a prenderti presto”. E il granellino rimase solo in quell’enorme città.

    Si guardò intorno, ma fu triste; il sole non si vedeva perché i palazzi erano troppo alti e la vita gli passava sotto gli occhi così velocemente da non riuscire ad osservarla. Tutto era troppo grande per lui.

    Si sollevò una brezza leggera e fu trasportato in una via buia e solitaria, dove alcuni ragazzi si divertivano a giocare con una palla.

    Il granellino rise a fior di labbra perché sulla spiaggia aveva visto spesso i ragazzi giocare, ma questi non si curavano di lui.

    Si chiese se fossero felici laggiù, ma non poteva saperlo.

    Poi la brezza lo portò in un parco bellissimo e il granellino rimase stupito davanti a quella distesa verde che stava sotto i suoi occhi.

    Là il sole splendeva di tutta la sua luminosità e lo salutò allegramente.

    Lui si guardò intorno e si accorse di trovarsi in un luogo meraviglioso con alberi alti e freschi che cantavano piano insieme al venticello vivace e tanti fili d’erba che ascoltavano.

    Rimase incantato di fronte a tanta bellezza, ma si rattristò quando vide che poco lontano da lì alcuni uomini, pian piano, buttavano giù quegli alberi alti e freschi.

    Il granellino chiese al sole perché quelle persone distruggessero in quel modo un tale tesoro, ma il sole, che da sempre vedeva gli uomini compiere azioni del genere, non riusciva a capirne la motivazione.

    Dopo poco il vento si sollevò nuovamente e trascinò con delicatezza il granellino lontano da lì.

    Viaggiarono insieme per giorni. Visitarono luoghi aridi e tristi dove tantissimi uomini combattevano con odio, visitarono luoghi freddi e caldissimi, visitarono foreste, boschi, città, spiagge, visitarono luoghi poveri e desolati dove le persone vivevano a stento e luoghi ricchi dove le persone sprecavano il loro denaro.

    Era sera e si fermarono per riposare. Il granellino era sbalordito e affascinato da tutto ciò che aveva potuto osservare con meraviglia. Sollevò gli occhi al cielo per ammirare la luna e le stelle, ma non le vide. Il vento era andato via e lui era rimasto solo.

    Per la prima volta in quel viaggio sentì di voler tornare a casa, per stare insieme a tutti gli altri granellini di sabbia che gli tenevano compagnia; e sognò.

    Sognò il mare che gli raccontava le storie, la luna e le stelle, che facevano da meraviglioso soffitto dorato, e la sua splendida spiaggia.

    Poi la realtà apparve sotto i suoi occhi con i primi raggi del sole: niente mare, stelle, luna e niente sabbia.

    Il granellino si sentì davvero solo e chiese al vento di riportarlo a casa; si era reso conto che alla fine, pur avendo visto posti favolosi, la spiaggia dove era sempre stato era il luogo più bello e confortevole.

    E aveva bisogno di tornare ad ascoltare il mare, di guardare il cielo luminoso, di farsi cullare dal vento insieme agli altri granellini.

    Così il vento lo riportò alla spiaggia soffiando teneramente.

    Il granellino capì di possedere un tesoro preziosissimo, che molti non si rendono conto di avere.

    E rimase a guardare, sdraiato su un tappeto di sabbia, quel mare che luccicava dei raggi della luna, quel soffitto che brillava di tanti puntini dorati e quella luna che gli sorrideva.
    (frenkevita)

     
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211 replies since 9/7/2010, 23:56   12506 views
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