FAVOLE DEL BUONGIORNO

.... per un buon inizio di giornata....

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  1. gheagabry
     
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    La meravigliosa storia dell'elefante





    Un tempo antico in un paese dell'Arabia regnava il califfo Omar, ricco e benvoluto perché era saggio. Era di larghe vedute e non si arrestava all'apparenza delle cose. Prima di esprimere dei giudizi si sforzava sempre di comprendere le relazioni e i legami che ci sono tra i fatti anche se a prima vista potevano apparire isolati e diversi.
    Egli era perciò rattristato per la grettezza di spirito dei suoi ministri che non vedevano più in là del loro naso.
    "Va in giro per il mio regno" disse un giorno il califfo ad un servo fidato "e trova, se ti riesce, tutti gli uomini sfortunati dalla nascita che non hanno mai potuto vedere e che non hanno mai sentito parlare degli elefanti".
    Il servo fedele eseguì l'ordine e dopo qualche tempo ritornò con alcuni ciechi fin dalla nascita. Essi erano cresciuti sperduti in piccoli villaggi tra le montagne perciò degli elefanti non avevano mai sentito parlare e non ne supponevano nemmeno l'esistenza.
    Il califfo fece un gran ricevimento con tutti i suoi ministri e alla fine del banchetto fece entrare un grosso elefante da una porta di bronzo e i ciechi da un'altra porta più piccola.
    "Mi sapreste dire che cosa è un elefante?" chiese il califfo ai ciechi.
    "No, mai sentita questa parola", risposero i ciechi.
    "Ebbene, davanti a voi c'è un elefante: toccatelo, cercate di comprendere di che cosa si tratta. Colui che darà la risposta esatta riceverà in premio 100 monete d'oro".
    I ciechi si affollarono intorno all'animale e cominciarono a toccarlo con attenzione soffermandosi sulle sensazioni che ricevevano. Un cieco stava lisciando da cima a fondo una zampa, la pelle dura e rugosa gli sembrava pietra e la forma era di un lungo e grosso cilindro.
    "L'elefante è una colonna!" esclamò soddisfatto.
    "No, è una tromba!" disse il cieco che aveva toccato solo la proboscide.
    "Niente affatto, è una corda!" esclamò il cieco che aveva toccato la coda.
    "Ma no, è un grosso ventaglio" ribattè chi aveva toccato l'orecchio.
    "Vi sbagliate tutti: è un grosso pallone gonfiato!" urlò il cieco che aveva toccato la pancia.
    Tra loro c'era il più grande scompiglio e disaccordo perché ciascuno, pur toccando soltanto una parte credeva di conoscere l'intero elefante.
    Il califfo, soddisfatto, si rivolse ai suoi ministri:
    "Chi non si sforza di avere della realtà una visione più ampia possibile, ma si accontenta degli aspetti separati e parziali senza metterli in relazione tra loro, si comporta come questi ciechi.
    Egli potrà conoscere a fondo tutte le righe della zampa dell'elefante, ma non vedrà mai l'animale intero, anzi, non saprà mai che esiste un siffatto animale".



    Fiaba Araba
     
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  3. gheagabry
     
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    C'era una volta una coppia, lui tagliaboschi e lei lavandaia, che viveva in una casetta in fondo a un dirupo, l'unico posto che i due poveretti potessero permettersi. Questa coppia non aveva altro che la loro piccola casina e il loro amore, ma erano felici.
    Cléa e Mathieu da tanto desideravano condividere la loro fortuna con un figlio o una figlia a cui dare la possibilità di provare la loro stessa gioia di stare al mondo e di amarsi, e dopo tante preghiere e tanti tentativi, gli dei fecero loro il dono di una piccola e sensibile bimba: Nuage.
    Essendo Nuage così piccina e delicata Cléa e Mathieu decisero che sarebbe cresciuta e vissuta sempre nella casetta, che, pensavano, essendo in fondo al dirupo era al sicuro da qualsiasi teremoto o angheria. Fu così che la piccola crebbe senza mai vedere un raggio di sole o un'altra fetta di mondo che non fosse l'oscuro dirupo in cui era nata.
    Nuage, tuttavia, era una bimba che aveva ereditato da mamma e papà una grande capacità di amare e sentiva il bisogno di dare affetto al mondo. Forse per questo motivo e un po' per il desiderio di scoprire come effettivamente fosse questo mondo, Nuage crescendo trovò il coraggio di seguire la madre di nascosto, la mattina quando usciva per andare a lavorare.
    La prima volta che Nuage ebbe quest'idea, seguì la madre per i primi dieci minuti di cammino, ma poi tornò indietro a fantasticare su quanto avesse imparato. Era ancora buio quando Cléa lasciava la casina, ma Nuage quella notte potè già cogliere qualcosa che i suoi occhi non avevano mai visto: seguendo il sentiero si usciva dall'oscurità del dirupo e si poteva scorgere un po' di cielo, le stelle e la luna.. quale fu la meraviglia della fanciulla!
    Il giorno seguente Nuage osò di più e seguì la madre fino ai primi albori. Al colorarsi del cielo la ragazza si commosse e il cuore prese a batterle più velocemente, spaventata, la ragazza tornò a casa.
    Fu il terzo giorno che Nuage si innamorò. Seguì la madre fino a dove poteva osservare bene il cielo e poi, silenziosamente, si sedette su un masso e la lasciò proseguire sola sul sentiero. Lei era presa da altro: i suoi occhi si riempirono di arancio e di oro e di giallo, e tutto il giorno la ragazza restò a guardare il cielo. Al calar della notte la fanciulla fu colta dalla tristezza per la scomparsa del sole e cominciò a piangere.
    Fu così che Cléa e Mathieu la trovarono: seduta su una roccia, il viso bagnato dalle lacrime e ancora rivolto a Occidente. Nuage pianse tutta la notte, disperata per il suo amore. La coppia di sposi le spiegò chi fosse il sole e le raccontò che per lei c'erano cento bei ragazzi che l'aspettavano in paese, ma Nuage era inconsolabile e non smetteva di piangere.
    Presi da compassione, gli dei decisero di aiutare Nuage e la trasformarono in una piccola nube perchè potesse stare più vicina al sole e diventare la sua sposa.
    Ora, quando Nuage è sola, sulla terra piovono le sue lacrime e se si ascolta la pioggia che cade si sente la fanciulla che chiama il suo amore.

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  4. gheagabry
     
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    ACQUERELLO

    sopra un foglio di carta
    lo vedi il sole e' giallo
    ma se piove due segni di biro
    ti danno un ombrello

    gli alberi non sono altro
    che fiaschi di vino girati
    se ci metti due tipi la' sotto
    saranno ubriachi

    l'erba e' sempre verde e se vedi
    un punto lontano
    non si scappa o e' il buon dio
    o e' un gabbiano e va. . .
    verso il mare a volare
    ed il mare e' tutto blu
    e una nave a navigare
    ha una vela non di piu'
    ma sott'acqua i pesci
    sanno dove andare
    dove gli pare non dove vuoi tu
    ed il cielo sta a guardare
    ed il cielo e' sempre blu
    c'e' un aereo lassu' in alto
    e l'aereo scende giu'
    c'e' chi a terra lo saluta con la mano
    va piano piano fuori da un bar,
    chissa' dove va...

    sopra un foglio di carta
    lo vedi chi viaggia in un treno
    sono tre buoni amici che
    mangiano e parlano piano

    da un'america all'altra
    e' uno scherzo, ci vuole un secondo
    basta fare un bel cerchio
    ed ecco che hai tutto il mondo

    un ragazzo cammina cammina,
    arriva ad un muro
    chiude gli occhi un momento
    e davanti si vede il futuro gia'

    e il futuro e' un'astronave
    che non ha tempo ne' pieta'
    va su marte va dove vuole
    niente mai, lo sai, la fermera'

    se ci viene incontro non fa rumore,
    non chiede amore e non ne da'
    continuiamo a suonare,
    lavorare in citta'
    noi che abbiamo un po' paura

    ma la paura passera'
    siamo tutti in ballo,
    siamo sul piu' bello
    in un acquarello che scolorira',
    che scolorira'.





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    grazie
     
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  6. gheagabry
     
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    Nessuno e nulla

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    Lo zero assoluto, il silenzio assoluto ed il buio assoluto erano gli unici compagni di Nessuno e di Nulla. Girovagavano nell'infinito, soli e senza meta. Il tempo non esisteva e nemmeno lo spazio. Grande beatitudine dalla loro solitudine: la contemplazione di Nessuno e quella di Nulla.
    Si sa che Nulla è così infinito e Nessuno è così solo che anche l'infinito stesso non possa creare fortuitamente l'incontro fra Nessuno e Nulla. Così accadde che prima o dopo i due s'incontrarono. Nessuno non appena la vide esclamò: "Come sei bella Nulla!" Nulla come appena lo vide esclamò: "Come sei bello Nessuno!"
    Furono irresistibilmente attratti. Si raccontarono in un infinitesimo di secondo e cominciò a nascere il tempo. Rimasero estasiati l'uno dell'altra. Si sentirono risucchiati l'uno nell'altra. Si conoscevano da sempre e non si erano incontrati mai anche se l'uno stava nell'altra e viceversa da sempre.
    Lo zero assoluto cominciò a non esserlo più. Il silenzio assoluto cominciò ad avere un sibilo di fondo. Il buio assoluto cominciò a mescolarsi con una luce dal colore blu elettrico. Col passare di pochi milionesimi di secondi Nessuno e Nulla percepirono qualcosa di nuovo: era materiale, fisico e provocava loro un grande piacere talmente intenso che ...rasentava il dolore. Storditi da questa inquietante nuova presenza in loro non si accorsero che si stavano compenetrando reciprocamente. Un flusso bidirezionale di calore, suoni e luce li colse di sorpresa; non capivano ma percepivano che tutto era diverso e cambiato.
    Prepotentemente il calore divenne fuoco; il suono divenne musica e la luce urtò violentemente il buio. Esplosero fusi in una grande emissione d'energia.
    In un miliardesimo di secondo il tempo divenne eterno e lo spazio infinito.
    Nacquero le idee, l'amore e l'odio, il bene ed il male.
    Quando guardo, lassù, il cielo in una notte fra quelle tante luci d'idee osservo il buio fra esse e scorgo impercettibilmente quel che rimane di Nessuno e di Nulla. So che sono lì, Titani che generano vita.
     
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  7. gheagabry
     
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    L' Autunno, quel mattino, era assai indaffarato nei preparativi della festa in onore dell'arrivo dell'Inverno suo amico. Soffiava via col suo fresco respiro gli ultimi pensieri sfrenati... turbinosi, per lasciar posto a paesaggi d'anima pacati... silenziosi, fatti di pochi colori... di suoni appena accennati... sotto lo sguardo di nubi sfuggenti... di un sole invecchiato, che camminava lento nel cielo appoggiandosi sui suoi deboli raggi... Quel mattino, dicevo, da un nido posato sulle braccia stanche di una vecchia quercia che cresceva al limitaredel bosco, un passero infreddolito si soffermò ad ascoltare un brusio di vite, un insolito rumore, provenire da un ciuffo di sterpi e d'erba ingiallita, poco distante dalla sua casetta sotto il cielo.

    Incuriosito, scese dal ramo e saltellando silenzioso, s'addentrò in quel cespuglio. Grandi pruni spinosi si chiudevano sopra quel sentiero a formare quasi un altro bosco, dove la luce filtrava appena, e dove, a lui che era così piccino, tutto apparve così grande, che il sassolino diventò montagna ed una goccia d'acqua lago.

    Fra gli steli d'erba, lo zufolare del vento si fondeva a quel brusio, che crebbe a poco a poco, fino a che il passero riconobbe in esso delle voci... o almeno così gli parve, ed il suo piccolo cuore cominciò a battere veloce. Strane creature sparivano veloci ad ogni bivio, tuffandosi nel fitto di quel bosco, ma lui non si fermò e continuò per quel sentiero che cominciava ad arrampicarsi, a salire verso il cielo... Era così intento ad ascoltare ogni rumore, ad afferrare con lo sguardo i mille color delicati di quel luogo avvolto di magia, che quasi non s'accorse che stava nevicando. A poco a poco tutto il muschio che cresceva ai lati di quella stradina si coprì di un soffice manto candido. Allora, e solo allora, si fermò per guardarsi indietro... ma il sentiero sembrava finire alle sue spalle... era come se la realtà fosse svanita dietro di lui... Ricordo che sentii una lieve paura scuoterlo appena... ma, dopo un istante, riprese a saltellare... Aveva varcato l'Azzurra Porta d'Autunno... ora esisteva soltanto l'attimo... scandito unicamente dal suo frullar d'ali e dai battiti d'amore del suo cuore.

    D'improvviso, vide aprirsi avanti a sè una radura, dove la luce sembrava essere più intensa... ed il freddo che aveva dentro svanì e con esso anche la stanchezza per il lungo camminare. Nell'aria c'era un'agre fragranza di legna bruciata, un insolito tepore e, come per incanto, si trovò di fronte una casetta che sembrava essere apparsa dal nulla... e di nulla essere fatta... coperta da un sottile velo di neve candida, che rendeva più tenui i suoi colori, che mangiava pigramente i rumori che giungevano dall'interno e da quel bosco. Era così piccola che l'uccellino si chiese chi ci vivesse dentro e, per un istante, pensò ad un gioco caduto dalle mani di un bimbo... ma un roseo bagliore uscì dalle finestrelle e un filo di fumo sfuggì dal camino... Si accorse che anche il cielo sopra di lui era cambiato... e un po' d'azzurro scendeva a dipingere quel quadro... Sembrerà strano, ma non si chiese altro, e restò incantato a guardare quel sogno... poi, si avvicinò a quella casetta di legno, che era poco più alta di lui e cominciò a guardare attraverso i vetri, per vedere chi l'abitasse.

    Dall'interno giungevano suoni, parole, quasi melodie, che l'uccellino non riuscì subito a capire... e, sulle prime, all'interno vide soltanto un fuoco acceso che brillava intenso... poi, finalmente, sedute avanti al fuoco, vide due creature tutte intente a ritagliare delle lamine colorate. Guardò allora se c'era qualcun altro, ma non vide nessuno oltre loro. Saltellò sulla finestrella accanto e, finalmente, vide in volto quelle strane creature. Un'espressione di immensa gioia illuminava i loro visi. Sembrava stessero giocando al gioco più bello del mondo... e in fondo, non si stava sbagliando... era vero ! Ma non lo capì subito. Li udì pronunciare parole che gli sembrarono senza senso... e li sentì ridere e cantare... erano il sogno più bello che avesse mai fatto, e per la prima volta nella vita, si sentì felice senza un perché... gli bastò guardarli, sentire il loro amore riempire ogni spazio di quella casa. D'improvviso, la creatura delle due, che indossava un cappellino rosso, scoppiò in un'esclamazione di stupore e l'altra le sorrise e l'abbraccio dicendo: "E' stupenda... sarà il nostro regalo di Natale" .

    Su alcuni scaffali, illuminati dalla fioca luce di qualche candela colorata, c'erano accatastate tante foglie dalle forme più diverse... alcune erano grandi e palmate, altre lunghe e ovali, altre a forma di cuore... Quelle creature le prendevano e ritagliandole, formavano delle lettere... l'uccellino riconobbe una grande A ricavata da una foglia di pioppo e tanti punti esclamativi fatti con aghi di pino. Continuava a non capire... ma poi, d'un tratto, vide le due creature gettare fra le fiamme grosse manciate di quelle lettere appena ritagliate... e, come per magia, le spire di fumo divennero parole e salirono su per il camino e uscirono dal comignolo di quella casetta, accompagnate dal canto più dolce che avesse mai udito. Poi, dopo un ultimo indugio, volarono nel cielo... e finalmente il passerotto capì, quando tutto quell'azzurro sopra di lui divenne la favola più bella che avesse mai letto. Ricordo ancora, che non nascose quella lacrima di gioia che gli sfuggì dal cuore, mentre all'interno di quella piccola immensa casa, le due creature avevano ricominciato con pazienza a ritagliare nuove foglie, cantando e ridendo felici.

    L'uccellino non poteva sapere che a lui, sì, proprio a lui era stato concesso di sapere dove nascevano le favole e le poesie più belle, di conoscere quel luogo che non esiste, se non nei pensieri delle creature più pure, se non nell'anima delle cose più semplici, più vicine al cuore. E, dalla Casa delle Favole, costruita in quel luogo distante da ogni realtà del mondo, non volle più tornare al suo nido e restò lì accanto, portando lui stesso, ogni giorno, nuove foglie sull'uscio di quella dimora per poter essere anche lui un poeta.

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  8. gheagabry
     
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    C’era una volta una foglia di basilico

    C’era una volta un chicco di caffè

    C’era una volta un terrazzino sgangherato ma sempre affacciato al sole.

    C’era una volta una primavera che si fece attendere per troppe stagioni.

    E c’erano una volta la menta fresca e un bicchiere di limonata.

    C’erano una ragazza con i capelli marroni e le labbra rosse e sempre screpolate

    C’era la sabbia sotto le unghie e la pelle scottata

    C’era una volta una fragolina di bosco e una tazza di panna

    C’era una volta una stecca di liquirizia e un ginocchio sbucciato e una gonnina a quadretti bianchi e celesti

    C’era una volta una pianta di magnolia e un libro di poesie di Emily Dickinson

    C’era una volta una coperta a quadrettini,un gatto rosso e un caminetto scoppiettante sempre acceso

    C’era una volta Lisbona e l odore del pesce fritto che si infila in mezzo alle azulejos

    C’era una volta un pezzo di pane caldo e la nonna col grembiule bianco e i capelli celestini e pochi denti un seno grandissimo pieno d’amore per tutti i nipoti del mondo

    C’era una volta la calura estiva bollente fremente tremante e l’asfalto squagliato sotto i piedi impolverati e un unico angolo fresco dove poter chiudere gli occhi

    C’era una volta Daniela che faceva il riso coi piselli e aveva sempre un pezzetto di cioccolata e una carezza morbida ,come la sua pelle profumata di cocco e di latte.

    C’era una volta un bacio lento,sussurrato,accennato e sfiorato sulle labbra rosse screpolate della ragazza coi capelli marroni

    C’era una volta un film alle due di notte e un paio di birre e sette ,otto sigarette una dietro l’altra e l’incenso bruciato sopra il cuscino.

    C’era una volta una storia mai raccontata,mai vissuta ,mai immaginata,mai guardata che timida si è sempre nascosta in un angolo della tua e della mia mente…che fa capolino solo quando chiudi per un attimo la scatola della ragione

    E lasci volare via il pensiero bambino con un palloncino colorato e legato con un filo giallo alla piccola sedia di legno nella soffitta della Casa Rossa.


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  10. gheagabry
     
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    "A mille ce n'è nel mio cuore di fiabe da narrar (da narrar)
    venite con me nel mio mondo fatato per sognar (per sognar)
    non serve l'ombrello, il cappottino rosso o la cartella bella per venire con me
    basta un po'di fantasia e di bontà (e di bontà)

    ..


    Finisce così, questa favola breve se ne va (se ne va)
    Ma aspettate e un'altra ne avrete
    C'era una volta il cantafiabe dirà, e un'altra favola comincerà"

    Chi di voi non ricorda la bellissima collana della Fabbri Editore che conteneva le più belle.



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  11. tappi
     
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  12. arca1959
     
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  14. gheagabry
     
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    Migliaia di anni fa, in una terra lontana lontana, ma non poi lontanissima, vivevano un uomo e una donna. A volte erano allegri, a volte tristi e spesso l’umore dell’uno influenzava l’altro.
    Capitava infatti che lei guardasse il cielo, poi gli alberi, poi l’erba, e sussurrasse qualche segreto al ruscello che scorreva dietro la loro casa, sorridendo. Allora lui prendeva i suoi attrezzi e costruiva una canoa e remava tra mille pericoli fino alla cascata, catturando pesci prelibati, cantando e ridendo.
    A volte invece lei rimaneva in silenzio nella tempesta e lasciava che i rami dei salici piangenti sconvolti dal vento le frustassero il viso, e i suoi occhi erano scuri. Allora lui si disperava, dimenticava di essere vivo e rompeva la canoa in mille pezzi, metteva in disordine il bosco e impauriva gli animali, gridando.
    Lui non capiva i silenzi della donna e si convinse che lei fosse fragile.
    Lei capiva le buone intenzioni dell’uomo ma non ne sentiva l’anima.
    Eppure si volevano bene, lo sapevano, e si proteggevano a vicenda.

    Proprio per questa ragione una strega decise di aiutarli.

    Li portò nella sua barchetta magica oltre la cascata, fino al mare e disse loro di rimanere in silenzio.
    Pian piano lo spirito della donna si manifestò all’uomo, così come l’anima dell’uomo apparve alla donna.
    Allora lei vide il sole di mezzogiorno e ne sentì l’energia. Vide i suoi raggi stendersi sul mondo come forti braccia industriose. Lui per la prima volta vide il sole dell’alba, assonnato e arruffato, vagamente cosciente dei propri sogni e pieno di propositi per la giornata, e vide anche il sole del tramonto, riflessivo come la brace e assorto nel pensiero di come essere ancor più sole l’indomani.
    Poi lei guardò il mare e vide in riflesso i giochi di caccia, i villaggi, le dighe, e la guerra... ma vide anche la superficie giocare a nascondino col cielo... e rise. Lui anche guardò il mare e vide la bellezza delle profondità, e spiò i sogni farsi da specchio a vicenda...e sorrise.

    Ognuno capì che il mondo era grande.

    Quella sera lui non parlò, lei gli raccontò una fiaba e insieme guardarono le stesse stelle



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  15. gheagabry
     
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    L'UCCELLO D'ORO




    C'era una volta un re che abitava in una reggia circondata da un bellissimo giardino. In quel giardino cresceva un albero fatato, il quale a ogni estate si caricava di mele tutte d'oro massiccio. Il re era così geloso di quel tesoro, che pretendeva che ogni giorno il suo ciambellano contasse le mele per essere sicuro che nemmeno un frutto fosse stato rubato durante la notte.
    Immaginarsi come rimase male il mattino in cui seppe che mancava una mela! Incollerito, pregò il suo figliolo maggiore di montare la guardia durante la notte, e il principe ubbidì.
    Si munì di arco e frecce e andò a sedersi ai piedi dell'albero; ma verso mezzanotte fu colto da un gran sonno e quasi senza avvedersene si assopì. Quando riaperse gli occhi al mattino, si accorse che mancava un'altra mela.
    Il re, molto contrariato, pregò allora il figlio secondogenito di vegliare presso l'albero. Ma anche questo principe si addormentò e al mattino dopo mancava una terza mela.
    Allora l'ultimo figlio si offerse di fare la guardia all'albero, ma il re si dimostrò molto perplesso, perché giudicava poco intelligente questo figlio minore. Tuttavia acconsentì, e il giovane principe andò a sedersi in giardino, ai piedi dell'albero. Verso mezzanotte si sentì preso da un gran sonno, ma incominciò a darsi dei pizzicotti per rimanere sveglio. Così poté vedere un uccello meraviglioso, dalle piume tutte d'oro, che stava volando via con una mela nel becco. Subito incoccò la freccia all'arco e la scagliò; ma non riuscì a colpire l'uccello, il quale perdette soltanto una penna e sparì. Il principe rientrò nella reggia con quella penna e la mostro al re, che radunò i ministri affinché l'esaminassero tutti insieme.
    - Questa penna vale un regno - decretarono i ministri .
    Ma il re commentò:- In questo caso voglio l'uccello tutto intero; una penna sola non mi serve.
    Il figlio maggiore si offerse di andare in cerca dell'uccello, e, ottenuto il permesso e un bel cavallo, subito si mise in viaggio. Cammina cammina, giunse in una foresta dove improvvisamente gli apparve una volpe dal pelo rosso. Subito tirò l'arco giù dalla spalla, ma la volpe gridò:
    - Non uccidermi, e in compenso ti darò un buon consiglio; so che vai alla ricerca dell'uccello d'oro: ascoltami: stasera arriverai a un villaggio dove vedrai due locande. Una sarà tutta illuminata e piena di gente; l'altra ti apparirà buia e misera, ma tu sii saggio e scegli quest'ultima: altrimenti te ne pentirai.
    " Una volpe che osa darmi dei consigli!" pensò il giovane sdegnosamente; e subito le lanciò contro una freccia, ma non riuscì a colpirla. Verso sera il principe giunse davvero al villaggio e vide le due locande: una illuminata e l'altra silenziosa e buia. " Perché dovrei andare in quella brutta stamberga?" pensò il giovane; e subito si diresse verso l'albergo pieno di luce dove trovò allegra compagnia; incominciò a mangiare, a bere e a giocare ai dadi, e dimenticò l'uccello d'oro e tutto il resto.
    Vedendo che non tornava, il re mandò alla sua ricerca il secondo figliolo. Anche lui incontrò la volpe che gli diede lo stesso consiglio; anche lui disubbidì ed entro nella locanda chiassosa e illuminata dove trovò il fratello e molti nuovi amici; anche lui incominciò a bere e a giocare e presto dimenticò tutto quando.
    Non restava che il terzo figlio, il quale si offerse di partire alla ricerca degli altri due, ma il padre esitava:
    - Se si sono smarriti i tuoi fratelli così intelligenti, come riuscirai a cavartela tu, il meno sveglio di tutti?- borbottava.
    Ma il ragazzo tanto disse e tanto fece che finalmente il re lo lasciò partire.

    Cammina cammina, anche lui trovò la volpe rossa seduta al margine della foresta, ma nemmeno per un attimo pensò di ucciderla. Ricevette da lei il medesimo consiglio, e, poiché era umile e non considerava con disprezzo le parole di nessuno, ubbidì e andò dritto filato alla locanda buia.
    Al mattino dopo, uscendo dal villaggio, incontrò ancora la volpe che gli disse:
    - Tra non molto arriverai a un castello dove vedrai molti soldati addormentati. Passa in mezzo a loro senza paura, attraversa tutte le stanze: nell'ultima troverai l'uccello d'oro chiuso in una gabbia di legno. Prendilo e portalo via, ma non toccare l'altra gabbia che vedrai, tutta d'oro massiccio! E ora monta sulla mia coda.
    Incominciarono a viaggiare con la velocità del vento e in un baleno furono davanti al castello. Il giovane entrò, passò di sala in sala, fino a quando giunse nell'ultima e vide le tre mele d'oro e l'uccello d'oro chiuso in una gabbia di legno.
    Accanto ve n'era un'altra d'oro massiccio. " Perché dovrei lasciare questo magnifico uccello in quella gabbia sudicia e rozza? " pensò il giovane, e mise l'uccello nella gabbia d'oro, ma subito l'animale lanciò uno strido tanto acuto che i soldati si svegliarono, afferrarono il giovane e lo condussero davanti al re.
    - Meriteresti la morte - disse il re - tuttavia ti perdonerò e ti regalerò l'uccello d'oro se mi porterai il cavallo d'oro che galoppa più veloce del vento.
    Il giovane si considerò fortunato, ringrazio il re e uscì dal castello; ma non sapeva quale direzione dovesse prendere.
    Per fortuna, dopo aver fatto pochi passi, incontrò la sua amica volpe.
    - Meriteresti che ti abbandonassi - disse la volpe- ma ti voglio bene e ti aiuterò ancora. Sali sulla mia coda e io ti porterò fino al castello dove vive il cavallo d'oro. Nella sua scuderia vedrai molti garzoni addormentati, i quali non si sveglieranno. Troverai anche due selle: una d'oro, e una di cuoio; sella il cavallo con quest'ultima e non toccare quella d'oro.
    Il giovane promise di ubbidire; salì sulla coda della volpe e viaggiarono veloci come il vento; giunto al castello il principe entrò e vide il cavallo d'oro; ma al momento di sellarlo non seppe resistere alla tentazione, e gli mise sulla groppa la sella d'oro. Immediatamente il cavallo lanciò un alto nitrito, i garzoni si svegliarono, afferrarono il principe e lo condussero davanti al re.
    - Dovrei tagliarti la testa- gli disse il re. - Ma ti perdonerò e ti darò anche il cavallo , se mi porterai la principessa del castello d'oro -
    Uscito, il giovane incontrò di nuovo la volpe :
    [principe e volpe] - Sei proprio disubbidiente ! - esclamò l'animale.- Doveri lasciarti alle tue disgrazie, ma ti voglio bene e ti aiuterò. Quando arriverai al castello d'oro ti nasconderai nel giardino e aspetterai che venga buio, perché è soltanto di notte che la principessa va a fare il bagno. Non appena uscirà di casa l'avvicinerai e le darai un bacio. Ella verrà con te...Ma non permettere che vada a salutare i suoi genitori, prima di partire, altrimenti avrai di che pentirti.
    Protese la coda e il giovane montò a cavalcioni: e prima di sera erano giunti al castello d'oro. Il principe si nascose nel giardino e aspetto fino a mezzanotte; a quell'ora il portone del castello si aperse e la principessa uscì.
    Era bella come un angelo; il giovane le si avvicinò e le baciò sulla guancia. La fanciulla gli sorrise e disse:
    - Verrò dove tu vorrai, ma lasciami salutare i miei genitori.
    Il principe, che ricordava le raccomandazioni della volpe, rispose di no, di no, ma la fanciulla lo pregava a mani giunte, e si inginocchiò ai suoi piedi piangendo.
    Vedendola così angosciata egli non seppe più resistere e finalmente acconsentì. Ma la principessa era appena entrata nella camera di suo padre che il re si risvegliò, chiamò le guardie e fece arrestare il giovanotto.
    - Meriti la morte - gli disse. - Tuttavia ti perdonerò se toglierai quella montagna che sorge davanti alle mie finestre. Ma devi far questo entro otto giorni. Se avrai eseguito quando ti chiedo, a nono giorno sarai libero, e ti darò anche mia figlia in moglie, altrimenti ti faro tagliare la testa.
    Il principe non aveva la minima speranza di riuscire quell'impresa; tuttavia prese un badile e incominciò a spalare la terra. Lavorava giorno e notte, ma al termine dell'ottavo giorno la montagna sembrava più alta di prima.
    Allora sedette a terra sconsolato. In quel momento gli apparve la volpe.
    - Non meriti che io ti aiuti ancora - gli disse la buona bestia - Ma non posso dimenticare che tu non hai teso il tuo arco contro di me, quando mi hai incontrato al limite della foresta, come invece hanno fatto i tuoi fratelli. Riposati e dormi: al resto penserò io.
    Il giovane si addormentò subito, e quando aperse gli occhi al mattino vide che la montagna era sparita. Felice corse dal re ad annunciargli che il lavoro era compiuto, e questi permise al giovane e alla figlia di partire. Salirono insieme in groppa a un cavallo, erano in viaggio da poco, quando si accorsero che la volpe galoppava a loro fianco.
    - Hai avuto il premio più bello - disse l'animale, - ma devi conquistare anche il cavallo d'oro che appartiene alla principessa.
    - Come posso impadronirmene?
    - Conduci la principessa davanti al re che ti aveva mandato al castello d'oro ed egli ti consegnerà il cavallo. Monta in sella, poi saluta i presenti stringendo a tutti la mano: ma lascia la principessa per ultima. Quando avrai nella tua la mano di lei, tirala in groppa e sprona. Nessuno potrà raggiungervi perché il cavallo galoppa come il vento.
    Il principe ubbidì: giunse al castello del re e fece tutto quando la volpe gli aveva suggerito. Poco dopo i due principi erano di nuovo in viaggio in groppa al cavallo d'oro. A un tratto si accorsero che la volpe galoppava ancora al loro fianco.
    - Adesso devi prendere anche l'uccello d'oro - disse . - Quando giungerai al castello di quel re, nascondi la principessa in un boschetto vicino, poi entra nel cortile. Il re ti farà consegnare la gabbia, e allora sprona: nessuno ti raggiungerà più.
    Il giovane fece come la volpe gli aveva detto, e poco dopo i principi volavano come il vento sul cavallo d'oro e la volpe galoppava al loro fianco.
    - Adesso dovresti ricompensarmi per l'aiuto che ti ho dato - esclamò.
    - Farò tutto ciò che vorrai !- disse il principe pieno di riconoscenza.
    - Ebbene, voglio che tu mi uccida e che mi tagli la testa e le zampe.
    - Non lo farò mai!
    - In questo caso dovrò lasciarti - commentò la volpe, ma prima voglio darti un ultimo consiglio: non comperare carne da patibolo, e non sederti sull'orlo di un pozzo - Quindi sparì.
    Il giovane scosse la testa:
    - Che strano consiglio! - esclamò. - Perché mai dovrei comprare carne da patibolo? E non capisco nemmeno perché dovrei sedermi sull'orlo di un pozzo!

    Continuarono a galoppare e finalmente giunsero al villaggio che il principe aveva già attraversato e dove i suoi fratelli erano rimasti a bere e a giocare. Giunti nella piazza principale videro che vi era stato eretto un patibolo, e che un corteo si stava avvicinando per accompagnare alla morte due condannati.
    Con orrore il giovane riconobbe che si trattava dei suoi fratelli i quali, sperperato tutto il loro denaro, avevano commesso diversi furti per procurarsene dell'altro.
    - E' possibile perdonarli e liberarli? - chiese al giudice.
    - Si, se voi risarcite il danno pagando per loro.
    Senza esitare il giovane consegnò al giudice tutto il denaro che possedeva e i due fratelli furono liberati. Ripresero tutti insieme e poco dopo giunsero alla foresta dove avevano incontrato la volpe.
    - Fermiamoci qui - proposero i due fratelli. - Facciamo uno spuntino mentre ci riposiamo un poco.
    Il principe acconsentì; scese da cavallo e senza pensarci sedette proprio sull'orlo di un pozzo.
    Mangiavano e chiacchieravano, quando uno dei fratelli gli diede un colpo a tradimento e lo fecero cadere nel fondo. Poi i due malvagi si rivolsero alla principessa e le dissero:
    - Tu verrai con noi al castello di nostro padre. Gli dirai che abbiamo conquistato il cavallo d'oro, l'uccello d'oro e te: se tu dirai la verità ti uccideremo -
    La principessa non rispose, ma divenne pensierosa e triste. Ripresero il viaggio, in breve giunsero al castello e il re li accolse con grandi feste.
    - Non solo ti riportiamo le tre mele che mancano all'albero - gli dissero - ma anche l'uccello d'oro, un cavallo d'oro e la figlia del re del castello d'oro.
    Il re, tutto fiero di avere due figli tanto valorosi, ordinò danze e banchetti, e mostrava agli invitati l'uccello, il cavallo e la bellissima principessa.
    Ma l'uccello non cantava, il cavallo non voleva mangiare e la principessa piangeva e sospirava.
    Intanto il fratello minore giaceva in fondo al pozzo tutto stordito, ma vivo.
    Il pozzo infatti non era molto profondo ed era senz'acqua. Il poveretto aveva cercato di arrampicarsi su per le pareti, ma esse erano troppo ripide e scivolose. Stava quasi per disperarsi quando vide affacciarsi all'orlo del pozzo la volpe.
    - Ti voglio aiutare ancora una volta - gli disse. - Attaccati saldamente alla mia coda. Adesso torna a casa, dove la tua fidanzata ti aspetta - aggiunse la volpe appena il giovane fu uscito dal pozzo. - Ma bada che i tuoi fratelli hanno disseminato nel bosco molte spie. Essi non sono sicuri che tu sia morto, perciò i loro servi hanno l'incarico di ucciderti.
    Il principe ringraziò e si incamminò verso casa con molta preoccupazione; poco dopo incontrò un mendicante, gli propose di scambiare gli abiti. L'altro ne fu contento, e il principe, camuffato da straccione, poté arrivare al castello del re senza che alcuno lo riconoscesse.
    Ma, non appena entrò nel cortile, l'uccello si mise a gorgheggiare, il cavallo a scalpitare e la principessa a ridere e battere le mani.
    - Perché tutto questo cambiamento? - chiese il re tutto sorpreso.
    [principe e principessa ] - Non so - rispose la fanciulla - Ma io, che ero triste, ora mi sento allegra come se il mio vero sposo fosse arrivato. E senza più paura raccontò tutto quando era successo.
    Allora il re comandò che tutti gli abitanti del castello si adunassero alla sua presenza, e fra gli altri si presentò anche il giovane mendicante. Non appena lo vide, la principessa gli si gettò fra le braccia, l'uccello gli volò sulla spalla e il cavallo venne a strofinargli il muso sulle mani.
    Il re allora ordinò che i due cattivi fratelli fossero messi in prigione e abbraccio con trasporto il suo figlio minore che si era dimostrato il migliore di tutti.
    Poi vennero celebrate le nozze. Tuttavia il principe non dimenticava mai la volpe che lo aveva tanto beneficato.
    Un giorno, mentre insieme a sua moglie andava a caccia nel bosco, se la vide comparire davanti. Aveva l'aspetto avvilito e piangeva.
    - Tu hai ottenuto tutto ciò che desideravi - gli disse - invece le mie disgrazie non hanno mai fine. Ti supplico, tagliami la testa e le zampe !
    Il principe non voleva, ma ricordò che le parole della sua amica volpe erano state sempre veritiere, e i suoi consigli sempre saggi. Si fece coraggio, tolse la spada dal fodero, e con un solo colpo decapitò il buon animale: poi gli tagliò anche le zampe.
    Non appena ebbe fatto questo al posto della volpe comparve un bellissimo giovane che gli tese le mani sorridendo.
    - Sono il fratello della tua sposa - spiegò - un incantesimo mi aveva mutato in volpe, e non potevo essere liberato che così.
    Anche la principessa lo abbracciò, e da quel giorno tutti vissero felici e contenti.


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