MITOLOGIA NORDICA

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    L'EDDA

    Edda

    L’Edda è l’opera principe di riferimento nel trattare della mitologia nordica. Si compone di due manoscritti: in primo luogo abbiamo il “Codex Regius”, che consta di 29 poemi completi o frammentari e si custodì a Copenaghen, fino al 1971, quando fu restituito all’Islanda. Questo è anche soprannominato l’Edda in poesia o Edda di Sæmundr, in quanto erroneamente attribuita all’erudito Sæmundr il Saggio. Il secondo consta di 7 poemi, uno dei quali non è compreso nel Codex Regius. Questi poemi contengono miti religiosi, storie sugli eroi antichi e consigli sulla vita giornaliera.



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    Edited by gheagabry1 - 13/12/2019, 15:57
     
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    ALBERI E SPIRITI
    DEI BOSCHI


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    Fra i culti più antichi vi è quello verso gli alberi, perchè “l'uomo trovando nella vita dell'albero quasi un'immagine della propria, si sentì legato a quello da un forte vincolo”. Nelle antiche cosmogonie, accade spesso che un albero misterioso rappresenti dei miti principali, e si trovi unito alla prima storia dell'uomo. La grandezza mitologica giunse al punto di trovare molte relazioni fra gli alberi e le divinità; presso le popolazioni più antiche della Grecia, prima che l'arte innalzò templi alle divinità nazionali, la sola dimora degli dei, furono i boschi sacri, come furono per i Celti ed i loro sacerdoti.
    Quando insieme alle nuove credenze cristiane si mescolarono nella coscienza popolare i ricordi delle antiche mitologie, le leggende intorno agli alberi si moltiplicarono, e si conservò a lungo la memoria di quelli che si credevano in particolar modo prediletti dalle divinità pagane unendosi alla nuova religione.
    Sulle Alpi vi erano immense foreste, dove vi era viva memoria del culto agli alberi, e nella Svizzera tedesca, si conservò una grande venerazione per i tigli, sotto i quali regnava la giustizia, come in altri paesi di Europa, nel Medioevo era l’olmo. Ma l’avvento del Cristianesimo cambiò l’idea dell’albero sacro, in alcuni i cristiani collocavano una croce o un'immagine di santi; mentre in altre regioni furono abbattuti sotto la scure del legnaiolo, benchè i popoli germanici del Medioevo cercassero con ogni mezzo di salvarli dalla distruzione.
    Il culto che si ebbe nell'antichità non è cessato interamente, si narra che vi sia ancora memoria nel Caucaso ed in Persia. Nelle steppe solitarie se si vede un albero sulla distesa nuda e triste, ogni uomo che passa lo saluta come un amico e gli offre qualche dono. Il Tartaro non avendo spesso altro da dare, gli lascia parte della sua barba e dei suoi capelli; nella Valle di Ceresole, gli abitanti racchiudono doni in piccoli sacchi che sospendono agli alberi e che nessuno deve toccare. È questo il ricordo di un culto in uso su quelle montagne, doni destinati ai fantasmi, alle fate ed alle streghe che seguono la trasformazione della leggendaria dea delle montagne.
    In alcune mitologie si narrava che i boschi furono abitati da un popolo fantastico e vario di divinità inferiori, destinate a lasciare ricordo più vivo fra le nazioni, poichè le possenti dee e i sommi padroni, adorati dai Celti, dai Reti, dagli Slavi, e dalle popolazioni nordiche dell'Europa, furono occultate in parte dai sacerdoti, per valorizzare le nuove credenze. Invece rimase sempre vivo e quasi indimenticabile il ricordo delle divinità inferiori, che prendevano parte alla vita dell'uomo, e “ch'egli avea credute anima d'ogni fiore, d'ogni fil d'erba; o che parevagli di vedere nelle foreste, nell'acqua e fra le pareti domestiche.”
    Nel Medioevo, fra tanti spiriti misteriosi confusi insieme i ricordi della mitologia latina, di quella dei Celti, degli Slavi, e i popoli che vivevano nell’estremo Nord Europa, vi erano quelli che sono l'anima di certi alberi, che vivono e soffrono se vengono spezzati i rami, o abbattuti. Una leggenda narra di un boscaiuolo che abbatté un pino secolare. Mentre colpiva violentemente con la scure contro il tronco dell'albero, una Waldmütter gli apparve che ripeté una preghiera:”Da tanti anni viveva nella foresta, era rimasta sempre fra il silenzio e l'ombra, amava pure il vecchio pino, perchè distruggerlo, perchè abbatterlo, doveva essa morire col suo fido amico?”

    spiriti

    Altre leggende delle Alpi si narra di alberi che sentono, soffrono e spesso dai loro rami spezzati gronda il sangue, e si odono gemiti fra il movimento delle foglie, o un sentimento di dolore e d'amore muove le loro cime. In alcuni alberi si trovano anime infelici condannate ad espiare per un certo tempo le loro colpe, e una leggenda narra che vicino al lago di Millstatt, nella Svizzera, una fanciulla maledetta dalla propria madre fu cambiata in acero. L'anima dell'infelice gemeva senza posa, e pace; ma un giorno un piccolo suonatore di violino che andava vagando per il mondo in cerca di pane, sedette vicino all'albero maledetto, e sentendo i gemiti suonò per consolare quella povera anima. Forse mentre suonava pregò, e la dura corteccia dell'albero si aprì in maniera che l'anima della fanciulla fu liberata.
    In una leggenda della Savoia, a Torre di Ripaille , in un grosso noce è cresciuto sulle sue rovine, e si narra vi fosse un'anima dannata eternamente. In una notte oscura un viaggiatore, che aveva con sé una pesante cassetta, si recò a Ripaille; il barcaiuolo che gli fece attraversare il lago, per il desiderio di prendere quella cassetta, fece capovolgere la barca e il viaggiatore annegò. Impossessatosi della cassetta, andò a riposare nella vecchia torre, ma non dormì per il rimorso; finchè vide Satana nelle sembianze del viaggiatore, che premeva sul suo petto. Il diavolo si rivolse a lui: «Tu ne jouiras pas de ton crime, car changé en noyer tu seras noyé comme moi». . Il barcaiuolo si mutò in noce, le foglie dell'albero piansero e grondarono sangue. La valigia era piena di brillanti che si tramutarono in noci, tutti gli anni, nell'anniversario di quella notte, per un'ora le noci mutavano in brillanti. L'anima del maledetto doveva pure in quell'ora animare ogni ramo, mentre il diavolo andava a raccogliere le noci preziose, ed al posto di quelle lasciava sull'albero noci comuni.


    In tutta la Germania, si pensava che gli alberi potessero parlare, e la fantasia popolare immaginò, fin da tempi lontanissimi, certi racconti che furono immortalati nei versi di Virgilio e di Dante.
    Nel Medioevo era estesa la profonda la credenza di certe facoltà soprannaturali degli alberi, gli spiriti, che fra i rami spezzati gemono e narrano le loro tristi storie. Ogni ramo spezzato grondava di sangue e un sommo Poeta che ci dice:

    Allor porsi la mano un poco avante,
    E colsi un ramuscel da un gran pruno,
    E 'l tronco suo gridò: Perchè mi schiante?
    Da che fatto fu poi di sangue bruno
    Ricominciò a gridar: Perchè mi scerpi?
    Non hai tu spirto di pietate alcuno?
    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
    Come d'un stizzo verde, ch'arso sia
    Dall'un dei capi, che dall'altro geme,
    E cigola per vento che va via;
    Così di quella scheggia usciva insieme
    Parole e sangue: ond'io lasciai la cima
    Cadere, e stetti come l'uom che teme.

    Più tardi Torquato Tasso, nel mostrarci Tancredi che si trova di fronte al cipresso, mentre:

    Fremere intanto udia continuo il vento
    Tra le frondi del bosco e tra i virgulti,
    E trarne un suon che flebile concento,
    Par d'umani sospiri e di singulti;
    E un non so che confuso instilla al core
    Di pietà, di spavento e di dolore.

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    Il cipresso, in molte leggende note sulle Alpi come in altre parti di Europa, ha anima e vita, ed è anche prediletto dalle streghe e dai demoni, e per il Torquato, vi dimora lo spirito maligno. Il sambuco, sulle Alpi del Tirolo, è un albero venerato, tanto che i passanti si tolgono il cappello; il De Gubernatis riferisce questo strano costume, e dice che fu sacro al dio del fulmine Thunar o Donar.
    Gli uomini furono molto affascinati dalla musica soave che suonano certi spiriti che vanno di notte sulle montagne, i Nachtvolk. Certi alpigiani sanno additare i pini, che secondo la credenza popolare, piegano le alte cime, quando passa il popolo notturno di suonatori.
    Si volle che gli alberi avessero il dono della memoria, e forse ricordando le umane sventure piangevano senza posa. Una leggenda nota nel Medioevo, quasi al pari di quella sull'Ebreo errante, l'albero della vita apparteneva ad un certo prete Gianni, mezzo ebreo, mezzo cristiano che governava nell'India o nell'Abissinia un vastissimo regno, ove erano raccolte cose meravigliose.

    Ma un grand'arbore in vece di fontana.
    Stringonsi intorno a lui tutti i vapori
    Del luogo, e fuor d'ogni credenza umana
    La virtù di quell'arbore gli scioglie,
    E gli distilla giù dalle sue foglie.
    (Tassoni)

    Nelle leggende delle Alpi, si narra di un larice leggendario, in Valle di Susa, la cui storia è collegata a quella di San Giusto, monaco della chiesa di San Lorenzo d'Oulx. Quando nel 571 i Longobardi discesero nella valle ed incendiarono la chiesa ed il convento, insieme ad un altro monaco San Giusto fuggì agli invasori, cercando un rifugio nella foresta di Beaulard, dove trovandosi al sicuro salì col suo compagno sopra un larice. Da lì, i due monaci videro il monastero tra le fiamme ed il fumo; ma scorsero anche le anime dei monaci uccisi dai Longobardi che salivano verso il cielo, insieme ad innumerevoli angeli, e si pentirono di essere fuggiti innanzi ai loro nemici. Nel desiderio di morire anch'essi per la fede, scesero nella valle dove vi erano i Longobardi e vennero uccisi al pari dei loro fratelli. L'albero sul quale salì San Giusto si riconosceva facilmente dalla forma, perchè i suoi rami formavano sette punte, mentre i larici hanno generalmente forma piramidale. Ma l'importanza data dalla leggenda di albero sacro non valse a conservarlo; un valligiano osò abbatterlo per avere legna da ardere, ma si narra che su i lui e i suoi discendenti calò una maledizione.

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    La leggenda di Sant'Eldrado, accenna ad un albero all'ombra del quale il Santo passò trecento anni, ascoltando un uccello del paradiso; egli credette di essere rimasto estatico per poche ore ma, quando tornando nel suo convento trovò tutto mutato, finì col conoscere quanto tempo era passato. In una leggenda delle Alpi Svizzere, si narra che San Pietro e San Filippo andavano errando verso il Vallese, e si addormentarono di notte in un bosco ove una pioggia violenta bagnò i loro mantelli. Appena apparve il sole li distesero sui rami di un vecchio albero che si trovava vicino ad essi, ed aveva il tronco nodoso e contorto. Quando i mantelli furono asciugati, San Pietro pregò il Signore di dare un compenso a quell'albero facendone un uomo, al quale sventuratamente non mancò la gobba, e che divenne il primo abitante del Vallese.
    Sulle regioni alpine si additano solo i faggi sotto i quali le streghe si riunivano a mezzanotte per il ballo, insieme agli stregoni. La grandezza leggendaria delle querce come alberi sacri o dimora delle divinità, dovette essere combattuta energicamente dalla religione cristiana, che in tanti siti riuscì a farle ritenere come alberi degni di venerazione, solo perchè sotto i loro rami o sui ruvidi tronchi si sospesero immagini della Madonna o di qualche Santo.
    Non sempre la venerazione per le querce, come alberi sacri di molti pagani, si mutò in rispetto per le immagini sante; ancora oggi nelle Alpi nel Canavese, le querce più annose sono la dimora di streghe che assumono, secondo la credenza popolare forma di gatti.

    In alcune regioni si narrano leggende intorno ai fantastici abitanti delle foreste, una parla di fanciulle del legno o del muschio. Molte sono vestite di verde. Quando sono sugli alberi non è possibile distinguerle dal muschio che ricopre tronchi e dai rami; spesso la loro vita è legata a quella degli alberi delle foreste, e deve morire al pari delle Waldmütter alpine, se l'uomo abbatte il loro amico.
    Secondo altre leggende le fanciulle del muschio ed i nani dei boschi sono liberi, vivono però sugli alberi o stanno nelle case di muschio; cullano i loro bimbi nei nidi, raccolgono le verdi foglie che mutano facilmente in oro. Spesso le fanciulle filano il muschio che attaccano agli alberi, o regalano a persone care dei gomitoli di quel filo verde. Ad esse si avvicina maggiormente il gruppo delle Selige Fräulein o delle Belle Vivane, che si formò dalla fantasia dei Tirolesi con il poetico e divino popolo dei loro boschi e non sono legate alla vita di alberi speciali, e non di rado soccorrono i viandanti che si sono smarriti sulle montagne, o li sorreggono sui ripidi pendii ghiacciati. Dimorano in grotte nascoste in mezzo ai boschi; e non avendo dimenticato la loro lontanissima origine orientale, tengono nelle grotte, molti uccelli dalle penne tinte coi più vivi colori, insieme ai camosci che difendono dalle insidie dei cacciatori.


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    Il popolo selvaggio dei boschi ha un aspetto spaventevole e forme gigantesche. Le donne sono di altissima statura, hanno il corpo peloso come le scimmie, il viso contorto e feroce, la bocca che si apre da un'orecchia all'altra ed i loro capelli simili ad una specie di lichene. Hanno voce spiacevole, mandano scintille dagli occhi e sono vestite con pelli di gatti selvaggi. Quando il vento sibila con violenza, i Tirolesi dicono che il gigante dei boschi chiama le Fanggen disperse. In alcune la credenze popolari, queste donne feroci ed orribili nell'aspetto, spesso fanno le parti di utili spiriti famigliari.
    Una delle più strane leggende tedesche sulle donne selvaggie è Wolfdietrick, che che in tutta la Baviera viene ricordata in certe vecchie poesie del 1221. Narra di un giovane pastore chiamato Wolfdietrick il quale seduto sull'erba vegliava vicino al fuoco acceso, rimasto a custodia dei suoi compagni addormentati; quando vide fra l'ombra una forma spaventosa, che sembrava un orso; finchè capì che era la selvaggia Elsa, coperta di lunghissimi capelli. Quando giunse vicino al giovane, la figura di donna gli chiese se era disposto a seguirla ed amarla per tutta la vita. Egli rispose con un rifiuto, allora la donna lo addormentò per arte magica, e tagliandogli due ciocche di capelli e le unghie delle mani lo trasformò in toro.
    “Per lunghi mesi Wolfdietrick immemore di quanto era avvenuto andò al pascolo vicino alla donna selvaggia, finchè Iddio comandò a costei di fare cessare l'incanto fatale, che avea ridotto il giovane in quello stato compassionevole, ed essa dovette ubbidire, altrimenti sarebbe stata uccisa dalla folgore. Appena Wolfdietrick ebbe ripreso forma umana, la donna selvaggia gli chiese se voleva seguirla ed avendo egli volontariamente dato il suo consenso, lo sollevò in aria e facendolo passare sopra il mare, lo portò in una terra lontana ove essa regnava.
    Giunta in quel sito si bagnò in una fontana ed essendo uscita dall'acqua in aspetto di donna bellissima prese il nome di Segennine e sposò Wolfdietrick.”


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    Fra il popolo selvaggio dei boschi vi sono i piccoli nani del muschio, i nani delle folte selve, ed i giganti selvaggi, chiamati con diversi nomi in molte regioni alpine, Belmon, Savadegh, Salvanel. Secondo la credenza popolare vivono nei boschi insieme alle Fanggen, ed a tutte le donne selvagge, ma sembrano miti e buoni.
    Anche nel Biellese, e nelle Valli di Lanzo e di Aosta, si narrano parecchie leggende sugli uomini selvaggi. Non lontano dal Lago della Vecchia, in Val d'Andorno, vi è una piccolissima grotta, che secondo la credenza popolare, vissero un tempo gli uomini selvaggi che insegnarono ai pastori l'arte di fare i formaggi. La strana credenza degli uomini selvaggi, che la fantasia popolare sono considerati esseri soprannaturali, ha forse relazione con antichissima mitologia nordica e con quella di Roma e di Atene, che non davano sempre agli uomini il vanto delle invenzioni, ma si diceva fossero ammaestrati dalla mente superiore di divinità diverse o di eroi.
    In Fassa, secondo la credenza popolare, gli uomini selvaggi avevano alta statura, capelli neri lunghissimi ed unghie che sembravano artigli, all'estremità delle dita lunghe e pelose.
    Secondo una credenza degli Eschimesi, questi spiriti dei boschi, al pari dei centauri e dei giganti, che già vedemmo dotati della facoltà di ritrovare per cinque volte la giovinezza, sono in parte uomini ed in parte animali.

    Nel popolo degli Elfi studiato dal Grimm e da altri dotti, e del quale trovammo ancora memoria sulle Alpi nelle diverse sue trasformazioni in folletti, in servants, in folatons o in lutins, possiamo vedere anche una grande somiglianza con certi spiriti speciali dei boschi; mentre i misteriosi abitanti dei boschi tirolesi, si avvicinano maggiormente a certi tipi di divinità inferiori della mitologia latina, i folletti di altre regioni alpine, abbiano qualche cosa di più aereo, di più fantastico, che li unisce strettamente agli Elfi, o ad altri spiriti delle mitologie nordiche.
    Gli Elfi neri o grigi vivono anch'essi nei boschi; e mentre il Moosleute o popolo del musco cambia in oro le foglie degli alberi, gli Elfi raccolgono nei sotterranei oro o argento, ed hanno spesso la loro abitazione sugli alberi. Il nano Alberico, il quale, come già dissi, rappresenta nell'antica poesia popolare germanica un poetico tipo di elfo, visse, secondo la credenza popolare, per tre anni in un tiglio, che divenne pure albero sacro; una leggenda nota anche in Scandinavia.

    Nelle tracce lasciate dalle credenze dei Celti si trovano le donne selvagge, chiamate in Francia, nella Franche Comté, le dame verdi, e dette nelle vicinanze dei monti del Giura, le dame grigie. Esse dimorano sopra una quercia ed al pari di molti spiriti dei boschi delle leggende della Germania e delle Alpi, hanno potenza di affascinare gli uomini, che non sanno più vedere in altre donne la bellezza pari alla loro.
    Nella Svizzera e nel Tirolo si crede che gli uomini selvaggi, o genii delle foreste, abbiano sempre in mano un grosso pino; “…anzi il pino è pur dimora prediletta di quei misteriosi signori, i quali, al pari della Waldmutter soffrono e pregano quando i legnaiuoli vogliono abbattere i loro amici.”
    Non sempre le donne selvagge hanno così triste apparenza. Si racconta pure di una pastorella che filava in un bosco di betulle e vide una donna selvaggia vestita di bianco, con una corona di fiori sul capo. Costei pregò la fanciulla di ballare, e questo ella fece per tre giorni fino al tramonto del sole, ma così leggermente che l'erba non si curvava neppure sotto i suoi piedini. La donna selvaggia per compensarla le diede molte foglie di betulle che si cambiarono in monete d'oro.

    Nelle storie francesi di ritrova qualche volta ricordo di queste strane divinità dei boschi, e specialmente nel ballets des ardents, datosi il 29 gennaio 1393, quando Carlo VI volle festeggiare la regina Isabella di Baviera. Ad un nobile normanno venne l'idea di far figurare nella festa gli uomini selvaggi, ed il re e quattro nobili vollero rappresentarli. Froissart dice che si fecero «six cottes de toiles couvertes de lin délié en forme et couleur de cheveux; ils furent vestus de ces cottes qui est bient-faites à leur point, et ils furent dedans consus, et ils montroient estre hommes sauvages, ils estoient tous chargés de poils, depuis le chef jusqu'à la plante du pié».
    In Italia nelle feste che vi furono pel matrimonio di Alfonso di Ferrara con Lucrezia Borgia, si videro danze di uomini armati, ed anche di uomini selvaggi, che portavano in mano certi corni di abbondanza, dai quali usciva fuoco: essi figuravano come liberatori di una fanciulla minacciata da un drago. Anche a Bologna pel matrimonio di Annibale Bentivoglio con Lucrezia d'Este, apparvero nelle danze gli uomini selvaggi, che circondavano un uomo il quale raffigurava in modo ammirevole un leone, e forse anche i poemi cavallereschi valsero con frequenza a rendere popolari le loro figure. In questo secolo ancora nella strana processione in uso ogni anno nella città di Mons, per celebrare il ricordo della grande vittoria del cavaliere Gilles de Chin, sopra un drago leggendario, si vedevano apparire gli uomini selvaggi insieme ai diavoli.

    Mannhardt però nel descrivere l’infinito numero delle figure, le raccoglie tutte nel gran popolo degli spiriti dei boschi, in cui credettero i nostri avi. Fra la confusione inenarrabile di tante leggende e di tante credenze diverse, si possono trovare fantastiche figure create dalla fantasia popolare, che non appartengono alla grande famiglia delle fate ed a quella degli Elfi, delle donne del musco e del popolo dei boschi, ma i genii speciali delle montagne, delle grotte, delle rupi e dei ghiacciai, dove non crescono le alte piante dei boschi, e solo i rododendri ed i fiori più piccoli della flora alpina.


    Maria Savi Lopez
    Leggende delle Alpi



    Edited by gheagabry1 - 13/12/2019, 15:51
     
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    Æsir e Vanir

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    Gli Æsir vivevano in una terra chiamata Ásaheimr o Ásaland, posta al centro del mondo. Sulla cima di montagne che quasi toccavano il cielo,
    gli dèi innalzarono la fortezza di Ásgarðr dove, tra splendidi edifici e magnifici templi, vivevano.
    Da Æsir stabilirono il loro dominio sul mondo, il governo sugli elementi e il destino di tutti gli esseri.
    Ma mentre gli Æsir si stabilivano nelle loro fortezze celesti, un'altra stirpe i Vanir sceglievano di vivere a contatto con gli eterni cicli della terra. Non si sa da chi discendessero. Vivevano in una remota terra chiamata Vanaheimr, ad occidente di Ásaheimr. Popolo soprannaturale, misterioso e potente, i Vanir erano esperti in pratiche magiche, di cui erano depositarie soprattutto le donne; erano in grado di vedere il futuro. Un tempo – racconta la vǫlva – vi fu una guerra tra gli Æsir e i Vanir, guerra che si concluse con una riconciliazione tra le due stirpi divine. Vennero scambiati degli ostaggi, sicché alcuni degli æsir andarono a vivere nel Vanaheimr, mentre alcuni dei potenti vanir vennero accolti nell'Ásgarðr.

    Quattordici sono gli dèi (æsir) di stirpe divina e quattordici sono le dee (ásinjur), che regnano sulla città di Ásgarðr,
    Signore di Ásgarðr è Óðinn. Vi vivono Þórr, Baldr, Njǫrðr, Freyr, Týr, Bragi, Heimdallr, Hǫðr, Víðarr, Váli, Ullr e Forseti e Loki. Le dee: Frigg, Sága, Eir, Gefjun, Fulla, Freyja, Sjǫfn, Lofn, Vár, Vǫr, Syn, Hlín, Snotra, Gná. Sól e Bil . Vi sono poi altre dee che servono nella Valhǫll: esse sono le Valkyrjur.

    Signore di Ásgarðr è Óðinn, il principale e il più anziano degli Æsir. È chiamato Allfǫðr «padre di tutti», perché è da lui che discendono tutti gli dèi. Óðinn governa tutte le cose del mondo Frigg figlia di Fjǫrgynn è la sua sposa.
    Molti sono i figli: il primo è Þórr, che Óðinn generò unendosi alla sua stessa figlia Jǫrð. Colmo di vigore, Þórr supera in forza tutte le creature viventi. Sposa di Þórr è Sif dalle trecce d'oro, da cui ha avuto un figlio, Móði, e una figlia, Þrúðr. Un altro figlio, Magni, Þórr ha generato con la gigantessa Járnsaxa. Ullr, grande arciere e sciatore, è figlio di primo letto di Sif, dunque figliastro di Þórr.
    Il secondo figlio di Óðinn, avuto da Frigg, è Baldr. È il migliore degli Æsir, bello d'aspetto, saggio e gentile. Tutti gli portano amore e rispetto. Sua sposa è Nanna figlia di Nepr. Loro figlio è Forseti, giudice degli dèi. Fratelli di Baldr sono il dio Hǫðr, che è cieco, e il veloce Hermóðr.
    Ma Óðinn è padre di molti altri dèi. La gigantessa Gríðr gli ha partorito Víðarr il silenzioso, il più forte degli Æsir dopo Þórr. La principessa Rindr lo ha reso padre del coraggioso Váli. Anche il valoroso Týr è figlio di Óðinn, pur se altri lo dicono piuttosto figlio del gigante Hymir.
    Tra gli altri dèi, contiamo poi Bragi, sommo per eloquenza, abile nella poesia e nelle arti scaldiche. Sua sposa è Iðunn, colei che custodisce le mele che gli dèi devono mangiare quando invecchiano per ridiventar giovani. E ancora ricordiamo Heimdallr, la sentinella di Ásgarðr, che fu generato all'inizio dei tempi da nove madri, tutte sorelle. Per ultimo rimane da enumerare Loki, il fabbro di inganni, figlio di Fárbauti e di Laufey; la sua opera sarà tristemente nota tra gli dèi e tra gli uomini finché durerà il mondo.
    Dopo la guerra che oppose le due stirpi divine, alcuni Vanir abbandonarono il Vanaheimr e si trasferirono nell'Ásgarðr in qualità di ostaggi, condividendo con gli Æsir la dimora e il rango divino.
    Furono Njǫrðr e i suoi figli Freyr e Freyja. Giunti nell'Ásgarðr, Njǫrðr e i suoi figli si sposarono a loro volta. La fiera Skaði, figlia del gigante Þjazi, divenne moglie di Njǫrðr, anche se la loro unione non fu delle più felici. Freyr sposò la bellissima Gerðr, figlia del gigante Gymir, per il cui amore, come narreremo, cedette la propria spada. Freyja sposò un áss chiamato Óðr, che però era sempre lontano in viaggio e molto la trascurava.

     
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