MITOLOGIA NORDICA

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  1. gheagabry
     
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    Lugh, lume dell’estate, splendente di luce dorata
    Eithne tu, sua madre, lascia che la sua vera storia sia narrata.....
    Suona il corno alla tua festa, richiamando le genti
    figlio di Barleycorn, nuovamente nato d’estate
    maturando come il grano, oh, maturando come il grano


    L U G H


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    Lugh era la divinità più diffusa nelle Gallie, testimoni ne sono le 27 città in Europa che da lui prendono il nome, le oltre 500 iscrizioni votive e più di 350 monumenti a lui dedicati; cifre che non hanno riscontro in nessuna altra divinità. Fra gli esempi troviamo: Lione e Loden in Francia, Liegnitz in Polonia, Leiden in Olanda, Lugos in Spagna e Lucca in Italia
    L'antico nome Lugus sembra significhi “lucentezza, illuminazione”, e, sebbene ciò sembra ricollegarsi puramente alla stagione del raccolto (Lughnasad è la festa dedicata a Lugh, agli inizi di agosto, con il raccolto del grano), è connesso anche a tutte le capacità della mente umana....è anche esperto in tutte le arti, dalla poesia alla metallurgia, dall'arte della guerra alla musica.
    Come Odino nella mitologia norrena, Lugh possedeva dei corvi profetici secondo le fonti più antiche. E di Odino condivide molte delle carattersitiche..I Romani lo associarono a Mercurio (ciò si ritrova nel De bello gallico di Cesare) e ad Apollo-Febo.


    Dovevano esistere diverse variazioni locali della storia di Lugh, che purtroppo sono state dimenticate (nonostante ciò alcuni frammenti sembrano essere sopravvissuti attraverso altri personaggi, come nel caso della storia di “Jack il Calderaio” della Cornovaglia).
    Secondo la tradizione irlandese, egli è figlio di Arianrhod, la Dea Bianca, e di Gwyddyon, suo fratello. La madre irata per questa nascita non gradita getta tre geasa (divieti) sul bambino il quale non poteva: - avere un nome finchè non gli lo avesse dato lei stessa; - impugnare le armi finchè non fosse stata lei a dargliele; - avere una donna umana; tre divieti atti a escludere la sua stessa esistenza. Il padre Gwyddyon si prende a cuore le sorti del figlio/nipote, quindi decide di aiutarlo; per fargli avere il nome si trasforma in un ciabattino e obbliga con l’inganno Arianrhod ad andare in spiaggia a provare delle scarpe, ma lì vi era anche il giovane Lugh ancora senza nome, il quale vedendo uno scricciolo appoggiarsi sull’albero della nave, scagliò una freccia che andò ad inserirsi tra osso e tendine.
    La madre stupita da tanta bravura esclamò: “Il Leone ( Lleu ) ha la mano ferma (Llaw Gyffes )”, che rimarrà il suo nome.
    Per ovviare al secondo geis, di fondamentale importanza per un celta, Gwyddyon utilizzando le sue arti magiche fece credere ad Arianrhod che il suo castello fosse sotto assedio, presa dal panico chiamò a sè i presenti dandogli le armi per la difesa; si presentò a lei anche il giovane L.L.G., così camuffato da non essere riconosciuto e ricevere anch’esso le armi.
    Per infrangere il terzo divieto non serviva un consenso della madre, quindi Gwyddyon con l’aiuto di un altro zio, Math, crearono mediante la magia una donna, la più bella che si fosse mai vista, nata da una serie di fiori, il suo nome era Blodeuwedd.....Quando Lugh riesce a superare la maledizione della madre che lo condanna a non avere sposa - che peraltro è la tipica maledizione materna: impedire al figlio di avere relazione con un 'vera' donna - e ottiene Blodeuwedd grazie all'aiuto dello zio. ella è però l'amante del signore delle tenebre. E a quest'ultimo ella rivela il momento in cui Lugh è vulnerabile, quand'egli è per così dire impigliato troppo vicino alla terra, i capelli catturati da un ramo di quercia. Tale momento corrisponde al momento di incontro con l'ombra del principio solare, cioé al solstizio d'inverno, quando il sole, più vicino alla terra, perde la sua forza.
    Lugh-Llew viene quindi ferito, all'inguine, dal dio delle tenebre. Llew però non cade a terra, dal momento che la quercia lo tiene sollevato per i capelli; lancia un altissimo grido e lo zio accorre, trasformandolo nell'aquila che sale nel cielo, dove la sua guarigione avviene lungo un sentiero che diverrà per questo la via lattea.


    lugh-images2

    In un altra leggenda....Balor re dei Fomori, radunò un grande esercito per invadere l’Irlanda, i tuata de Danann, consci del pericolo imminente erano radunati a Tara per festeggiare il ritorno al trono del re Nuada (che per diverse vicende aveva dovuto cedere ad altri il suo posto), ordinando al portinaio di non far entrare nessuno che non fosse eccellente in almeno un’arte. Si presenta alla porta Lugh chiedendo di entrare; alla domanda del portinaio sul quale sia l’arte che domina egli rispose falegname; ma la risposta fu negativa in quanto vi era già un altro falegname. Lugh non si arrese e provò con fabbro, ma l’esito fu uguale; il giochino andò avanti e Lugh enunciò di essere un uomo forte, un arpista, un poeta, un eroe, un mago, un dottore, uno studioso di storia, un coppiere e un maniscalco; alla fine manda a chiedere al povero portinaio se vi fosse in sala qualcuno che possedesse tutte queste qualità. Lugh venne fatto entrare e fu messo alla prova per stabilire se fosse vero che possedeva tutte queste qualità; per dimostrarlo avrebbe dovuto superare tre prove, una per ogni manifestazione dell’Awen, ovvero Skiant ( conoscenza e saggezza), Nertz (forza e potere), Karantez (amore e produttività), manifestazioni che si esprimono nella società, sia umana che divina, come Druidi, guerrieri e artigiani.
    Come prima prova avrebbe dovuto giocare a fidchell, una sorta di gioco degli scacchi il cui nome significa “ la saggezza del legno”, prova in cui sconfisse lo stesso Nuada, superando così la prova relativa ; per la seconda prova riguardante Nertz/forza se la dovette vedere direttamente con Ogma, il campione dei Danann, il quale scagliò una grossa pietra al di fuori della fortezza, ma Lugh la riprese rimettendola apposto; per la terza prova si cimentò nell’arte dell’arpista, cimentandosi in tutte e tre le arie della tradizione Bardica; sonno, tristezza e gioia, riuscendo il primo giorno a far addormentare tutti i presenti, il secondo a farli piangere ed il terzo a farli ridere gaiamente; superando così le tre prove venne dimostrato che egli era contemporaneamente un Re, un guerriero ed un druido.
    Nuada stesso gli lasciò il trono in modo da guidare la battaglia contro i Fomori, vietandogli però di parteciparvi in quanto era troppo importante e non si poteva permettere che potesse perire. Fu così che venne circondato da nove guardiani, ma ovviamente fu tutto inutile, utilizzando la magia si tramutò nel proprio auriga eludendo così la sorveglianza e gettandosi nella mischia, dove iniziò a girare intorno al nemico saltellando su un piede solo, con un occhio chiuso ed uno aperto intonando incantesimi. Il combattimento terminò con la vittoria dei Danann quando Lugh compì l’ultima impresa; colpì con la fionda Balor uccidendolo, esattamente ciò che la profezia aveva predetto al capo dei Fomori e per la quale tentò di uccidere il Luminoso alla nascita.


    Era noto che il nipote di Balor l’avrebbe ucciso
    lui invano cercò di evitarlo, imprigionando sua figlia
    Klain il prode e astuto fante, si mascherò così bene
    che non fu arduo beffare le guardie ed entrare nella cella di Eithne

    I due giacquero insieme dall’alba alla metà del dì, lei gli generò tre figli
    Allora la rabbia di Balor ricadde dove lei era prigioniera e li gettò nel mare
    I primi due bimbi trovarono la tomba sotto il mare tempestoso
    Mannon prese con sé Lugh come figlio adottivo
    Lugh crebbe da primavera ad autunno e cercò di prendere moglie
    Ma venne Balor e giurò di prendere la sua vita
    I due lottarono dal mattino alla notte e Lugh colpì
    l’occhio di Balor che volò in cielo e divenne il Sole
    Dechtire fuggì con Lugh il giorno del suo matrimonio
    insieme giacquero per molti giorni e presto nacque un bambino
    Il bimbo crebbe dalla primavera all’autunno. Setanta fu il suo nome
    E alla fine per la forza del suo onore, divenne Cuchulainn.
    (Canto popolare che narra la storia di Lugh)


    ......Lughnasadh......


    Lughnasadh (chiamata anche Lammas dai sassoni) cade il 1° agosto e segnava l'inizio della stagine dei raccolti.
    Tutti i riti di Lughnasad miravano ad assicurare una stagione di frutti generosi, in quanto un raccolto abbondante assicurava la sopravvivenza della tribù durante i freddi e sterili mesi invernali.
    Si praticava anche la raccolta dei mirtilli a scopo divinatorio: se i mirtilli erano abbondanti, si riteneva che il raccolto sarebbe stato più che sufficiente. All'alba della vigilia di Lughnasad si costruivano piccole capanne coperte di fiori, possibimente vicino a corsi d'acqua, dove gli innamorati dormivano insieme la notte del 31 Luglio.
    A Lughnasadh si onoravano Lug, Dio associato sia con il Sole che con la fertilità agricola, e Arianrhod, Dea delle Luna e dell'Aurora. In loro onore si tenevano gare di destrezza sportiva....Lugnassad è la prima dell tre feste del raccolto (e si festeggia quello del grano in particolare), ringraziamento alla terra per i suoi doni. Veglia per il dio del sole (Lugh), che si festeggia con danze, giochi e fuochi. Festa del pane (lammas).


    lughn



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    Edited by gheagabry1 - 13/12/2019, 17:26
     
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  2. gheagabry
     
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    LE VALCHIRIE


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    Nella mitologia norrena una Valchiria (dall’antico norreno Valkyrja, “Colei che sceglie gli uccisi”) era una figura femminile che decideva chi sarebbe morto in battaglia. Metà di quelli che morivano in battaglia, (l’altra metà andava nel mondo dell’aldilà Fólkvangr con Freyja), veniva portata dalle valchirie nel Valhalla, dove regnava Odino. Qui i guerrieri defunti diventavano einherjar, cioè spiriti dei guerrieri valorosi che si sarebbero battuti al fianco di Odino durante la battaglia finale del Ragnarök. Se non erano impegnati ad esercitarsi per la battaglia, gli einherjar venivano accuditi dalle valchirie, che portavano loro l’idromele. Esse cavalcavano dei lupi e infatti nell’antico inglese “valkyrie’s horse” era un sinonimo di lupo. Stando sui campi di battaglia, venivano spesso associate o identificate con corvi e lupi.
    Le valchirie erano talvolta anche considerate come le amanti di eroi e di altri mortali, spesso accompagnate da corvi o da cigni. Le valchirie sono attestate nell’Edda poetica, opera che riporta miti e leggende più antichi, nell’Edda in prosa e nell’ Heimskringla (composti da Snorri Sturluson) e nella Njáls saga, una saga degli Islandesi, tutte scritte nel XIII secolo. Esse appaiono anche in tutta la poesia degli scaldi, (poeti scandinavi e islandesi), in una formula magica del XIV secolo e in varie iscrizioni runiche.

    I termini wælcyrge e wælcyrie nell’antico inglese appaiono in diversi manoscritti e non si sa ancora se i termini sono comparsi sotto l’influenza norrena o se riflettono una tradizione nativa fra gli Anglosassoni pagani.


    ...Helgakviða Hjörvarðssonar...


    Questo poema narra le avventure dell’eroe Helgi Hjörvarðsson e della valchiria Svàva.
    Helgi, giovane e silenzioso, ancora senza nome, era il figlio del re norvegese Hjörvarðr e di Sigrlinn da Sváfaland, e testimoniò d’aver visto nove valchirie che correvano mentre stava seduto su un tumulo funerario. Egli ne notò una in particolare; questa valchiria, poi chiamata Svàva, era la figlia del re Eylimi, che spesso l’aveva protetto in battaglia. La valchiria parlò all’uomo senza nome, lo chiamò Helgi e gli preannunciò che avrebbe avuto un destino da condottiero. Helgi allora parlò per la prima volta, rivolgendosi alla valchiria chiamandola “dama dal viso luminoso”, e le chiese come avrebbe potuto realizzare i suoi sogni. La valchiria rispose che Helgi si sarebbe dovuto impossessare di una spada magica nascosta a Sigarsholm e avrebbe dovuto vendicare il nonno materno.
    Helgi, divenuto ormai re, che si recò dal padre di Svàva, il re Eylimi, per chiederla in moglie. I due riuscirono a stare insieme e dopo vari eventi e la morte di Helgi per una ferita subita in guerra, il racconto si conclude con la rinascita dei due innamorati.
    (Edda poetica)


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    Edited by gheagabry1 - 13/12/2019, 17:29
     
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    interessante..grazie gabry
     
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  4. gheagabry
     
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    Mitologia nordica....

    CERIDWEN



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    Rappresenta una delle più antiche divinità del mondo celtico ed è conosciuta come Dea del grano, della natura, delle erbe, della magia e dell’ispirazione sacra. Altre varianti del suo nome sono CARIDWEN, KERIDWEN, KYRRIDWEEN, CERRIDWEN.. ma il suo nome, comunque, deriva dalla radice KER (porta o città) e DOUE (Dio) quindi rappresenta la porta verso Dio.
    Alcune tradizioni magiche la identificano come la Madre saggia, la druida, la strega associata al volto calante della luna, mentre altre tradizioni vedano nella sua figura tutte e tre le manifestazioni lunari delle divinità femminili: fanciulla, madre e anziana.
    Il suo mito la vede legata ai cicli continui della morte e della rinascita, necessari per ottenere la sapienza e la conoscenza. Il suo strumento, il calderone, diviene il ricettacolo del suo potere di donare saggezza e ispirazione a coloro che la invocano e bevono dal suo calderone, che essendo connesso con i quattro elementi della creazione (Terra, Aria, Fuoco e Acqua) diviene simbolo di rinascita, spiritualità e abbondanza. E’ perciò la Dea dei bardi, che attraverso le loro canzoni, la onoravano e da cui ne traevano ispirazione per le loro composizioni, non a caso era definita anche “l’iniziatrice dei poeti”. In galles la parola bardo è Cerddorion (figli di Cerridwen).
    A volte Ceridween è denominata, come la Dea Celtica Danu, "Anna" o "Annys" la strega e regina dei morti. E' inoltre la sacerdotessa primordiale, chiamata la "anna nera dei misteri proibiti".
    Alla Dea sono consacrati il Cinghiale, simbolo di forza ma anche di amore e la scrofa bianca, da sempre consacrato al culto della Dea Madre e simbolo di fertilità, buona fortuna e prosperità.
    Il suo albero è la Betulla, albero legato alla luna, alla rinascita e alla saggezza. Porta con se un falcetto, strumento legato alla luna e simbolo del raccolto (morte e rinascita). La festa in suo onore è festeggiata il 3 luglio.

    ...la leggenda...



    Si racconta che molto tempo fa su un isola al centro del lago Tegid, viveva la Dea Ceridwen con i suoi due figli: Creidwy il bello e luminoso e Afagddu (oscurità assoluta) il più brutto bambino del mondo. Per compensare alla sua deformità, la Dea decise di preparare una magica pozione che avrebbe donato a suo figlio un alta intelligenza e una grande saggezza, sarebbe diventato l’uomo più saggio del mondo.
    Con attenzione raccolse speciali erbe dalle grandi virtù magiche, le dispose a macerare nel suo calderone incantato insieme con acqua sorgiva. Il tempo di preparazione per la pozione era molto lungo: un anno e un giorno e per ciò mise a controllarla un giovane ragazzo di nome Gwion Bach, con la raccomandazione di non berne nemmeno un goccio!
    Un giorno al termine dello scadere della preparazione, mentre la Dea era assente, tre gocce del liquido che bolliva, schizzarono sul dito di Gwyon che le portò immediatamente in bocca per alleviarne il dolore. Immediatamente fù colmato di tutta la conoscenza e la saggezza universale, derubando così il povero e brutto Afagddu dell’unica possibilità di riscatto. La Dea Ceridwen andò su tutte le furie e si getto all’inseguimento di Gwyon, che intanto avvertito dai suoi nuovi poteri, era fuggito per evitare le ire della Dea. Per fuggirle più velocemente si trasformò in una lepre, ma la Dea si tramutò in un levriero. Gwyon diventò un pesce e lei una Lontra, poi un uccello e lei una civetta. Infine decise di tramutarsi in un chicco di grano e di nascondersi in mezzo ad altro grano, ma la Dea, sottoforma di gallina, lo scova e lo mangia. Tornata in forma umana scopre di essere incinta e dopo nove mesi partorì. Portando ancora rancore per l’accaduto e riconoscendo il giovane Gwyon nel neonato, decise di affidarlo alle acque di un fiume. Il bambino fu trovato incastrato in una diga dal principe Elphin che non appena vide la sua “fronte radiosa di luce” lo battezzo con il nome di Taliesin. Taliesin diverrà il più grande bardo della storia in Gran Bretagna, perché colmo della saggezza e della conoscenza universale acquisita nella sua precendete incarnazione grazie alla pozione sacra della Dea Ceridwen.
    ("Aeothin", celticworld)


    Edited by gheagabry1 - 13/12/2019, 17:33
     
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  5. gheagabry
     
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    EPONA
    ..la dea dei cavalli...



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    Epona, la dea protettrice degli equini in generale e dei cavalli in particolare, deriva il suo nome dalla lingua gallica (ekwos), poi adottato dal linguaggio e dalla cultura celtica, in cui aveva il significato di “equus”, - cavallo. Unica divinità celtica ad essere stata venerata in tutto l'Impero Romano tra il I° ed il III° secolo a.C. divenne una divinità tutelare dei Romani, attraendo un gran gruppo di adoratori tra la società celtico-romana. Iscrizioni divinatorie dedicate ad Epona in Greco, Latino e Germanico vennero rinvenute in tutti i territori dell'Impero, dove spesso veniva indicata con il nome “romanizzato” Epona Augusta. I romani le dedicarono anche un giorno (il 18 dicembre) in cui, con riti e feste celebravano la sua grandezza.
    Le sculture dedicate ad Epona la rappresentano sempre accompagnata da uno o due cavalli, seduta su un cavallo o circondata da giumente e puledri, e ne sono state trovate accanto ad antiche stalle, siti di allevamento e di allenamento dei cavalli. Spesso queste sculture raffiguravano la dea a cavallo con un cesto di grano in grembo, e per questo accanto al simbolo di Epona come protettrice dei cavalli, venne assunto quello di dea del raccolto, della fertilità e dell'abbondanza.
    La sua importanza nella cultura romano-celtica aumentò quando venne riconosciuta come protettrice dei cavalieri che proteggevano l'Impero, con l'ulteriore compito di dover accompagnare l'anima dei morti attraverso l'aldilà, trasportandole a cavallo oltre gli abissi dell'oceano e spalancandole le porte dell'Altroregno. Grazie a questa rappresentazione della dea, Epona venne adorata sia dai vivi che dai morti, simboleggiando la guardiana dell'inizio e della fine della vita sulla terra. Nella società celtica Epona associava in sé la virilità e la potenza del cavallo ai poteri generativi e spirituali delle dee Madri, delle dee della fertilità.

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    Il cavallo, inoltre, già di per sé aveva una duplice valenza: essere nobile ed intelligente, affascinante ma simbolo dell'istinto puro, quindi spesso incontrollabile. Il cavallo è legato ad Epona in tutte le sue manifestazioni, sia nel suo aspetto luminoso, sia in quello tenebroso e sotterraneo; questa doppia valenza si legava al culto della dea per accompagnarla nell'aldilà come animale che abitava gli inferi (retaggio derivato dalla mitologia greca) e che sorgendo dalle tenebre portava con sé la morte terminando la sua corsa come cavallo alato una volta raggiunti i cancelli dell'Aldilà.In ambiti leggendari il cavallo è una guida per l'uomo nei mondi spirituali luminosi degli dèi, ma anche fra le oscure regioni accessibili dal sogno. La sua principale qualità è quella di prevedere il futuro, poiché come conoscitore delle cose dell'Altroregno con l'istinto vede ciò che l'occhio umano non sa distinguere e non vede e quindi può salvare dai pericoli. È perciò una guida, un mezzo di trasporto fra i mondi, viaggiatore fra il regno terrestre e quello spirituale. Spesso viene associato al fuoco o all’acqua (le due porte sui mondi dell’Aldilà), alla vita e alla morte, incarnando in sé lo spirito del grano, come già Epona la sua guardiana, e i poteri della fecondità della terra e della sessualità, della vegetazione e del suo rinnovamento periodico, della vita attraverso la morte, dei cicli vitali legati alla luna e alle acque, dei poteri del sogno, della divinazione, ma anche i caratteri luminosi dell’eroismo e la nobiltà.

    Sempre presente nella storia mitologica, Epona è nota anche come Macha in Irlanda e Rhiannon nel Galles. Nel Tàin Bò Cualinge (La Razzia del Castello di Cooley), viene costretta dal re a gareggiare con i suoi cavalli. Epona vince la corsa, dando alla luce due gemelli mentre muore al traguardo, maledicendo gli uomini dell'Ulster per nove generazioni, come vendetta divina per la loro crudeltà.
    Nel Primo Ramo del Mabinogion gallese, Pwyll Signore di Dyfed vede Rhiannon e il suo cavallo divino durante il loro primo incontro. Mentre l' amazzone si avvicina, Pwyll vede...


    "...una donna vestita di brillante broccato d'oro che cavalcava un grande cavallo pallido...E chiunque avesse visto il cavallo avrebbe detto che si stava muovendo con passo lento ma deciso... Pwyll montò in sella ma proprio in quel momento la signora a cavallo lo oltrepassò. Diede uno strattone al suo destriero imbizzarrito e lo fece voltare per seguirla certo di poterla raggiungere in pochi istanti eppure non riuscì ad avvicinarsi... Allora Pwyll la chiamò: "Signora in nome dell'amore dell'uomo che più amate fermatevi!". "Mi fermerò volentieri" disse lei " e sarebbe stato meglio per il vostro cavallo se me lo aveste chiesto prima".



    Edited by gheagabry1 - 13/12/2019, 17:42
     
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    In verità non avevo mai trovato così tante notizie e tutte insieme, sulla mitologia nordica....bravissima Gabry :17.gif:

    Edited by gheagabry1 - 13/12/2019, 17:30
     
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  7. gheagabry
     
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    L’origine del fuoco in Europa (Normandia)



    Molto, molto tempo fa, non c’era fuoco sulla terra e gli uomini non sapevano come procurarselo. Furono tutti concordi nel dire che era necessario andare a prenderrlo dal buon dio. Ma il buon dio era molto lontano. Chi avrebbe intrapreso il viaggio? Si rivolsero ai grandi uccelli, ma questi si rifiutarono, e così pure gli uccelli di media grandezza, perfino l’allodola. Mentre si consultavano, il piccolo scricciolo li udì. “Siccome nessun altro vuole andare, ci andrò io stesso”. “Ma tu sei così piccolo!”, dissero, “le tue ali sono così corte! Morirai di stanchezza prima ancora di arrivare”. “Proverò”, disse, “se morirò lungo il cammino tanto peggio per me”.
    Così volò via, e volò così bene che raggiunse il buon dio. Il buon dio fu molto sorpreso di vederlo; lo fece riposare sulle sue ginocchia, ma esitò a dargli il fuoco. “Ti brucerai”, gli disse, “prima di raggiungere la terra”. Ma lo scricciolo insisteva. “Molto bene”, disse il buon dio alla fine, “ti darò ciò che mi chiedi. Ma vola tranquillo, non correre troppo velocemente. Altrimenti brucerai le tue penne”.
    Lo scricciolo promise di essere prudente, e se ne volò via con gioia verso terra. Mentre era ancora distante, risparmiava la sue forze e non si affrettava; ma quando fu ormai vicino e vide che laggiù tutti stavano guardando verso il cielo in attesa del suo ritorno e lo chiamavano, quasi istintivamente accelerò. E allora accadde ciò che il buon dio gli aveva detto.
    Portò il fuoco e il popolo ben presto se ne impossessò, ma al povero scricciolo non era rimasta una penna: erano tutte bruciate! Gli uccelli si raccolsero preoccupati intorno a lui. Ciascuno di loro si tolse una penna per formare al più presto un rivestimento per lo scricciolo. Sin da allora il piumaggio dello scricciolo è maculato. Ci fu solo un disgraziato uccello che non diede nulla, e fu il barbagianni. Tutti gli uccelli corsero a punirlo per la sua durezza di cuore, tanto che fu costretto a nascondersi. Ecco perché esce solo di notte e, se esce di giorno, tutti gli uccelli gli volano incontro e lo costringono a tornare nella cavità del suo albero.
    Ancora oggi chiunque uccida uno scricciolo o ne porti via il nido attira il fuoco del cielo sulla sua casa. Come punizione per il suo misfatto potrebbe, per esempio, rimanere orfano e senza casa.

     
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  8. gheagabry
     
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    Mitologia nordica

    LOKI



    Loki



    Nella mitologia norrena Loki era un dio o un Jötunn (un gigante) o entrambi. Loki era il figlio del gigante Fárbauti e della dea Laufey e fratello di Helblindi e Býleistr. Dalla gigantessa Angrboða ebbe la regina dei morti Hel, il lupo Fenrir, e il mostruoso serpente Jormungandr (o Miðgarðsormr). Da Sigyn ebbe Narfi. Trasformatosi in una cavalla, Loki ebbe con lo stallone Svaðilfari, il cavallo dalle otto zampe Sleipnir. Inoltre, Loki veniva indicato come il padre di Vali nell’Edda in prosa.

    Loki rappresentava il male necessario per il mantenimento dell’ordine cosmico. Il suo rapporto con gli altri dèi era molto variabile. Loki a volte assisteva gli dei e a volte causava loro dei problemi, come quando causò il rapimento della dea Iðunn, rubò il gioiello della dea Freya, rasò a zero i capelli di Sif e tormentò i nani, che stavano creando il martello di Thor, trasformatosi in una mosca. Egli era un mutaforma e in diversi racconti appariva sotto forma di un salmone, di una foca, di una mosca, e anche di una donna anziana. I difficili rapporti con gli altri dei precipitarono del tutto quando Loki causò la morte del dio Baldr, infatti il peccato più grave di Loki è quando abbindola Höðr (fratello cieco di Baldr) e gli fa maneggiare un arco con il quale fa mirare al fratello, inoltre impedisce la rinascita di Baldr non piangendo per la sua scomparsa (il patto era che se tutto l'universo avesse pianto la sua morte Baldr sarebbe tornato in vita). La punizione di Odino sarà tremenda. Loki venne incatenato a tre rocce appuntite con le interiora di suo figlio Narfi. Un serpente venne sospeso sopra di lui in modo che il suo veleno gocciolasse sul suo viso, ma sua moglie Sigyn raccoglieva il veleno in una ciotola. Tuttavia, Sigyn era costretta a svuotare il bacile quando era pieno, e il veleno che gocciolava nel frattempo causava a Loki tremendi dolore tanto da farlo urlare e contorcere, causando terremoti. Con l’inizio del Ragnarök, Loki riuscirà a liberarsi dalla prigionia e lotterà fino alla morte contro il dio Heimdallr e i due si uccideranno a vicenda.

    Loki viene considerato un dio ambiguo per diversi motivi. L'etimo del suo nome viene legato al fuoco ed in particolare alla fiamma (altri studiosi collegano il suo nome all'aria), un elemento ambivalente collegato sia alla civilizzazione, alla casa e alla forgia, sia alla distruzione. Anche se egli appartiene alla schiera degli Asi, vive e partecipa delle loro vicende, al tempo stesso è imparentato con i giganti, simboli del caos. Per quanto riguarda i suoi rapporti con gli dei, Loki ha stretto un patto di fratellanza di sangue con Wodan/Odino e in molte occasioni ha aiutato il sovrano degli Asi o il figlio Thor ad affrontare imprese, a superare pericoli ed a ristabilire l'ordine. Inoltre la sua benevolenza viene sottolineata dal fatto che Loki compare nella triade divina che creò gli uomini da due tronchi d'albero ed in particolare egli donò agli uomini neonati il calore e il bell'aspetto.

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    Loki è ambiguo inoltre proprio per il suo atteggiarsi, spesso si traveste e fa il buffone, viene accusato dagli altri Asi di comportarsi e di giacere come una donna (atteggiamenti tipici delle figure sciamaniche), infatti è a conoscenza della magia del Seiðr, che comporta per i maschi inverecondia e comportamento effeminato (egli la adopera per compiere mitiche metamorfosi: mosca, pulce, falco, salmone, foca). Insomma Loki è una divinità omosessuale o comunque bisessuale (tra l'altro si trasformò anche in puledra e fu montato dallo stallone Svaðilfœri per errore, generando quindi il divino cavallo ad otto zampe Sleipnir, il cavallo volante di Odino, con le rune incise sui denti); ed infatti proprio come fa una donna partorì le streghe: dopo aver trovato tra i carboni il cuore mezzo cotto di una gigantessa (o di una donna) egli lo mangiò e ne rimase ingravidato.

    ... i figli di Loki....

    Doepler-Angrbodha_Hel_Jormungandr_Fenrir-500



    Fenrir: Assume le sembianze di un enorme lupo per metà bianco e per metà nero che rappresenta l'antitesi e lo scontro tra il bene ed il male. Fenrir insieme ai suoi due fratelli viene cresciuto nella foresta di ferro ma quando gli dei scoprono della loro esistenza decidono di sbarazzarsi di loro. Fenrir viene tenuto presso gli dei ma la sua ferocia e le sue dimensioni aumentavano sempre più, tanto che tra gli dei solo il coraggioso Tyr lo nutre. Divenuto però troppo feroce gli dei lo incatenano su un'isola con una catena magica. Per vendicarsi Fenrir mozzerà la mano a Tyr.

    Hell: Il termine lascia intuire che venuti a sapere delle tre bestie gli dei la confinarono nel mondo dei morti ove quella ne divenne regina. La nuova dea dei morti ha la faccia divisa in due: una parte è bruciata ed irriconoscibile, orribile a guardarsi, mentre l'altra è quella di una bellissima donna. Anche questa è la contrapposizione tra il bene ed il male che la morte stessa rappresenta.

    Jörmungandr: Chiamato in questo modo o anche conosciuto come Miðgarðsormr (Miogardsormr) questa bestia è un enorme serpente che si morde la coda. Rappresenta lo scorrere inesorabile del tempo come un ciclo, quale quello della vita. Quando gli dei lo scoprirono insieme ai suoi fratello lo confinarono nel fondo dell'Oceano. Un giorno mentre il dio Thor pescava nell'oceano con la sua canna da pesca lo tirò su. Il mostruoso animale lo aggredì ma la divinità con la sua immensa forza lo respinse negli abissi. Durante il ragnarock Thor uccide il serpente che a sua volta uccide il dio.


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    “Ni fallat fatum, Scoti quocumque locatum Invenient lapidiem,
    regnasse tenetur ibidem”
    “Se il destino lo vorrà, ovunque verrà ritrovata questa pietra,
    si saprà che gli Scozzesi sono stati Re”.
    (Cambray nel suo “Monuments Celtiques” narra di aver visto la pietra da vicino
    e di aver letto la citata iscrizione..)


    LA PIETRA DEL DESTINO
    The Stone of Destiny


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    La Pietra di Scone o Pietra del Destino o Pietra dell'incoronazione (in inglese: Stone of Scone o Stone of Destiny o Coronation Stone) è una pietra a forma di grossolano parallelepipedo in Arenaria rossa sulla quale furono incoronati i sovrani scozzesi da Kenneth I di Scozia a Carlo II.
    La leggenda la proclamava la pietra sulla quale Giacobbe aveva ricevuto una visione, e che la frattura che presenta fosse derivata dal colpo infertole da Mosè per renderla capace di portare acqua. Si trovava a Scone, villaggio della Scozia centrale cui deve il nome, a nord-est di Perth. La pietra è un macigno di calcare di circa 200 chilogrammi, e fu rubata come trofeo di guerra alla fine del 1200 da Edoardo I, re d'Inghilterra. Uno dei tanti tentativi di infiacchire il morale dei coraggiosi Highlanders. La pietra, dopo numerose peripezie, giaceva ormai da lungo tempo sotto il seggio del trono reale conservato nell'abbazia di Westminster.

    La vera origine della cosidetta “Pietra del Destino” è a oggi ancora ignota.
    Nota anche come The Stone of Scone, The Coronation Stone, Il cuscino di Giacobbe o Tanist Stone, il suo nome Gaelico Lia Fáil "la pietra che parla" ne suggerisce la funzione: si tratta della pietra che avrebbe dettato il nome di colui il quale sarebbe diventato re di Scozia. La leggenda più nota la vuole come il cuscino di Giacobbe narrato nella Bibbia. In realtà non si hanno notizie certe. Si dice che la pietra venne trasportata dalla Terra Santa ad opera di Gathelus, attraverso la Siria e l’Egitto. Lì, dietro consiglio di Mosè, Gathelus risalì il Nilo per sfuggire alla peste, raggiunendo la Sicilia e poi la Spagna, arrivando fino in Irlanda dove lo stesso San Patrizio benedisse la pietra prima che venisse usata come luogo per le incoronazioni dei re Irlandesi. Alcune leggende vogliono che questa pietra fosse in realtà l’altare itinerante di San Colombano. Un’altra leggenda sostiene che la pietra non lasciò mai l’Irlanda e che si trattava originariamente di un blocco di marmo intarsiato con scritte in oro.

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    La sua natura affonda nella mitologia. La Pietra del Destino fece la sua prima comparsa in Irlanda per mano dei Tuatha De Danann che la regalarono ai Milesi, loro successori, e antenati del popolo che ora chiamiamo irlandesi. I Tuatha De Danann (il Popolo dei Dana) erano, secondo la tradizione irlandese, gli antichi abitatori dell'Irlanda: un'antica stirpe di natura divina dotata di poteri soprannaturali che, secondo quanto narrato dalla tradizione irlandese, giunse in una nuvola magica e, nella nebbia sollevata dai suoi druidi, sparì. Un popolo venuto dal nulla e scomparso nel nulla, quel popolo che lasciò ai druidi venuti dopo di sé imponenti vestigia: i templi megalitici. Si dice che i Tuatha De Danann portarono la scienza, la civiltà, l'arte, ma anche quattro doni con poteri magici che furono destinati a tutti i regnanti successivi: una spada, una lancia, un calderone e un blocco di pietra rozzamente sbozzato. La pietra era in grado di riconoscere il vero sovrano del paese emettendo un alto grido. Divenne proprietà dei primi re d'Irlanda come "Pietra del Destino" e fu installata nella mitica collina di Tara, nella contea di Meath, sede dell' "Ard Ri", il re supremo che regnava su tutta l'Irlanda. La pietra fungeva da trono per l'incoronazione ed era il luogo in cui veniva amministrata la giustizia. Nel VI secolo d.C. Tara fu abbandonata e, in seguito, i miti irlandesi e scozzesi concordano nel dire che fu portata in Scozia, dove ne possiamo trovare le tracce successive. Quello che oggi è un modesto villaggio del Tayside, vicino a Perth, era fino all'VIII secolo la capitale del regno dei Pitti: ci riferiamo al villaggio di Scone, allora importante centro religioso, oltre che sede dei regnanti, dove veniva conservata la conoscenza druidica e dove i re venivano incoronati su una lastra di pietra che veniva chiamata "la Pietra del Destino". Nel IX secolo il trono dei Pitti e quello scozzese furono unificati e il loro primo re, Kenneth McAlpine, trasportò la pietra nel luogo della sua incoronazione, a Dunnstaffnage Castle, a Perth. Una volta giunta sul suolo scozzese, la pietra venne spostata ancora diverse volte, fu portata a Iona, poi a Dunadd nello Dunstaffnage e infine ancora a Scone Palace, Moot Hill, dove ancora oggi una perfetta riproduzione ricorda le antiche cerimonie reali.
    L’ultimo ad essere incoronato re di Scozia sulla Pietra del Destino fu John Balliol, nel 1292. Nel 1296, il re inglese Edoardo I trovandosi invischiato in un litigio a nord del Border (il confine tra Inghilterra e Scozia), colse l'opportunità di trafugarla portandola a Westminster. Incapsulata nel sedile dorato dall'alto schienale, la pietra costituiva il trono su cui sono stati incoronati sin da allora i re e le regine britannici. Nel 1328, durante i colloquii di pace tra il Regno di Scozia e il Regno di Inghilterra, Edward III stabilì che la pietra dovesse essere restituita, tuttavia gli inglesi non fecero mai realmente nulla per riportarla sul suolo Scozzese. Per 700 anni, la pietra rimase sotto un trono di legno, la cosidetta St. Edward’s Chair....Questo gesto ha una forte connotazione di sottomissione.
    Un tentativo di riappropiarsi della pietra fu messo in atto da quattro studenti scozzesi, Ian Hamilton, Gavin Vernon, Kay Matheson e Alan Stuart, I quali cercarono di rubarla da Westminster nel 1950. Durante il furto, però, la pietra venne danneggiata. I ragazzi riuscirono a riportare la parte piu’ grossa, nascondendola nel baule di un’auto a noleggio. La pietra fu portata a Arbroath Abbey, dove la polizia londinese la rintraciò e la riportò a Londra... giusto in tempo per l'incoronazione dell'attuale regina, Elisabetta II, nel 1952.

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    In realtà nessuno sa se Edward I portò via la vera pietra. Si dice che i monaci di Scone nascosero l’originale nel fiume Tay o sotto la collina di Dunsinane, ma gli scavi finora non hanno rinvenuto nulla. Un’altra leggenda vuole che la pietra sia finita nelle mani dei Templari, ma anche questa diceria non ha trovato riscontro. I Nazionalisti Scozzesi narrano, con grande soddisfazione che la pietra rubata da Edward I non fosse altro che un copri cisterna: ciò significherebbe che tutti i re incoronati dal 1308 erano seduti su un tappo!
    Solo nel 1996 il governo inglese ha restituito definitivamente la pietra, oggi custodita nel Castello di Edimburgo. Alcuni scozzesi sostengono che, essendo il Castello il quartiere militare della British Army, dovrebbe essere trasportata altrove, in un luogo realmente scozzese. Tuttavia non tutti sono d'accordo con questa versione e soprattutto, gli Irlandesi, sono convinti ancora oggi che la vera Pietra del Destino si trovi sulla collina di Tara.


    Perché darsi tanta pena per un oggetto obsoleto? E a quale scopo riconoscere tanto valore ad un mito pagano, per giunta della fazione opposta? E' difficile pensare solo ad un significato politico, anche se indubbiamente ha il suo peso. E' vero che la Scozia, dopo l'ultima battaglia cruenta, quella di Culloden, in cui perse tutti i suoi grandi combattenti delle Highlands, ha recuperato pian piano terreno e ora ha un potere contrattuale, nei confronti dell'Inghilterra, che forse non ha mai avuto prima; è anche indiscutibile il lento ma costante declino dell'impero britannico, e un gesto di disponibilità da parte del regno può essere distensivo in un momento di rinascita indipendentista. Ma sarà tutto qui? Perché tanta importanza per una volgare pietra che non è certo il Koh-i-noor, ma una banale lastra di calcare, senza alcun valore, al di là di quello simbolico?
    Per rispondere a queste domande dovremmo conoscere il vero significato di quei quattro oggetti (la Spada, la Lancia, la Coppa, la Pietra) di origine divina, che si tramandavano i re d'Irlanda, la cui storia è stranamente simile a quella della mitologia giapponese. Da tempi immemorabili vengono consegnati all'imperatore del Giappone, nel momento del suo insediamento, tre oggetti rituali: uno specchio, uno scrigno contenente pietre preziose, una spada, e questi si ritira da solo, per tutta una notte, in meditazione con i suddetti oggetti; solo così può essere pronto per l'incoronazione. Se il mito della "Stone of Scone" è riuscito a sopravvivere così a lungo, addirittura con il riconoscimento del popolo che ne ha soppiantato la cultura, vuol dire che c'è un significato che ci sfugge e che va al di là delle contese storiche. In ogni caso, nessuno ha dubbi sui poteri magici della pietra. Si dice che la Pietra del Destino porti sventura e sciagure a chi se ne impossessa abusivamente. (dal web)

    Secondo il racconto di Tuan, il popolo di Danu, ovvero i Tuatha De Danann, era giunto in Irlanda da 4 città fatate, portandosi dietro i 4 magici oggetti, simbolo delle scienze e delle arti che vi avevano appreso:

    1) Lia Fail, la Pietra del Destino, che sanciva l'incoronazione del re rombando sotto ai suoi piedi
    2) la spada invisibile del dio celeste Lugh
    3) la lancia magica
    4) il Calderone dei Dagda, capace di sfamare un esercito senza mai svuotarsi.

    Fu dunque grazie anche a queste armi magiche, che i Tuatha De Danann sconfissero i precedenti abitatori dell'isola, i Firbolg. Ma ci volle ancora del tempo perché il loro capo, Nuada, che aveva perso un braccio in battaglia, potesse essere incoronato.
    Per legge, infatti, il re irlandese doveva essere perfetto, sia nello spirito che nel corpo, e il braccio perduto precludeva a Nuada la corona. Almeno finché il suo medico Diancecht non gli ebbe magicamente fatto ricrescere il braccio troncato. Fu così che i Tuatha De Danann dovettero scontrarsi con i Fomor nella seconda battaglia di Mag Tuired. A ribaltare le sorti del conflitto fu l'arrivo di Lugh, figlio di Kian, un Tuatha De Danann allevato nelle Terre dei Vivi. Costui portò con se un grande esercito e molti oggetti magici. Nuada braccio d'argento abdicò in suo favore.
    I Tuatha De Danann imposero così il loro regno sull'Irlanda e i loro sovrani furono ricordati nella successione dei Re Supremi. Mantennero il regno per molto tempo, finché non giunsero dall'Iberia i Figli di Míl, gli antenati dei celti Gaeli. Costoro riuscirono a sbarcare in Irlanda nonostante gli incantesimi messi in atto dai Tuatha De Danann nel tentativo di tenerli lontani, e sconfissero questi ultimi nella battaglia di Óenach Taillten. Gli sconfitti accettarono di lasciare il dominio dell'Irlanda ai nuovi venuti e si ritirarono a vivere nel sottosuolo dell'isola e dentro le colline fatate, dove da allora condussero un'esistenza felice e immortale
    (dal Web)



    Edited by gheagabry1 - 13/12/2019, 17:54
     
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  10. gheagabry
     
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    “La mattina del Giorno di Bride
    Il serpente uscirà fuori dalla tana
    Non molesterò il serpente
    Né il serpente molesterà me”.


    BRIGID

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    Nella mitologia celtica Brigid era figlia di Dagda. Moglie di Bres e madre di Creidhne, Luchtaine e Goibhniu. Era protettrice dei poeti, dei guaritori, dei druidi, dei guerrieri e degli artigiani, di cui in particolare dei fabbri. È una delle dee più complesse e contraddittorie del pantheon celtico; Brigid può essere vista come una fra le dee più importanti di tutta la mitologia celtica.
    Dea del fuoco (dalla radice “berg”) inteso sia come elemento che come passione, ispirazione, spiritualità. Diviene dunque anche Dea del focolare, della famiglia e delle attività domestiche così come della poesia, del canto e della musica. E’ inoltre Dea della luna, quindi della nascita e della fertilità, ma anche del sole e quindi della guerra (coraggio, forza), dell’artigianato, della filatura e tessitura così’ come della medicina. Le sue tre funzioni principali sono dunque: 1) il fuoco dell'ispirazione (poesia); 2) il fuoco della famiglia, (guarigione, la fertilità, ostetricia); 3) il fuoco della forgia, (artigianato, fabbri, arti marziali).
    Secondo la mitologia celtica, Brigit, sorella di Ogma (dio del sole e creatore dell’Ogham) deve la sua nascita al Dio solare Dagda (considerato Il Grande Padre, Dio dell’Eternità, della Conoscenza e della Sapienza), un legame parentale che le conferisce l’appellativo di Grande Madre, pareggiando in importanza la stessa Dea Dana/Danu, madre dei Tuatha Dé Danann, gli Dei irlandesi.
    Secondo i racconti celtici, Brigit si unì con Tuireann generando 3 figli Brian (Ruadan), Iuchar e Iucharba (Uar), “i Tre Dei di Dana”, assumendo la valenza di Dea Triplice, Madre, Sposa e Sorella di tutti gli Dei e degli uomini. Alle vicende della vita di Ruadan sono legate molte connotazioni della Dea: alla sua partecipazione alla battaglia di Moytura dobbiamo l’aspetto di Brigit come Dea della Pace e dell’Unità; alla sua morte invece, avvenuta per mano di Goibniu, viene associata la nascita del lamento funebre irlandese intonato per la prima volta da una Brigit in veste di madre addolorata, per la perdita del figlio.

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    L’aspetto triplice della Dea lo si ritrova negli appellativi con cui venne chiamata: Brigit bé legis, (Dea dei guaritori) Brigit bé goibnechta (Dea dei fabbri e patrona di Goibniu, Credne, Luchta, “I tre Dei delle Arti”) Brigit dé filid (Dea della fertilità e della poesia), a rappresentare le 3 principali funzioni sociali indoeuropee: sacerdotale (dea della guarigione e della poesia), produttiva (dea delle tecniche e dei mestieri), guerriera (protettrice dei cavalieri e del re).
    La grande importanza attribuitagli fa si che il suo nome venga nei secoli associato a diverse divinità, diffondendosi in tutta Europa (la corrispettiva italiana, fu la romana Minerva) ed assumendo pian piano aspetti e connotazioni differenti.
    Tra questi ritroviamo ad esempio:
    - Brigandu e Bricta in Gallia, così come Belisama (quello che sembra essere il suo nome originale, con il significato di “Molto Brillante” e che richiamerebbe quindi il suo aspetto solare),
    - Brigantia in Britannia,
    - Bride in Scozia (termine che ricorda l‘inglese “bride”, sposa, di cui la Dea ne è protettrice)
    - Eriu, Banba e Fotla in Irlanda (i nomi con cui era chiamata l’Irlanda celtica) ma anche Boand (dea del fiume Boynn, conosciuta anche come Giumenta Bianca o Dea Bianca), Etain (Dea celtica dell’Altro Mondo, divenuta Viviana nelle leggende Arturiane), Eithe e Tailtiu (la Terra), Airmed (dea dei guaritori poiché figlia di Diancecht, Dio della medicina)

    Brigit, in quanto divinità della famiglia e della medicina veniva invocata dalle donne in gravidanza per ottenere sostegno e forza durante il parto, per favorire la salute dei neonati, per sviluppare le abilità mediche e, poiché associata al “fuoco interiore”, ci si affidava al suo aiuto per tutte quelle attività legate alla poesia, allo sviluppo della spiritualità o delle conoscenze magiche, così come la divinazione. Veniva chiamata Sposa dalla Chioma d’Oro e Sposa delle Bianche Colline il cui simbolo era un cigno bianco. A lei venivano dedicati i pozzi, le fonti, le sorgenti, le acque curative ed a lei sacri erano la coppa (fertilità, maternità), il filatoio (fato, destino, circolarità della vita), lo specchio (simbolo dell’Altro Mondo e dell’arte divinatoria)
    (aylwyn-opalmyst in Wicca)


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    Brigit, controparte celtica di Athena–Minerva, è la conservatrice della Tradizione, perché per gli antichi Celti la poesia era un’arte sacra che trascendeva la semplice composizione di versi e diventava magia, rito, personificazione della memoria ancestrale delle popolazioni. La capacità di lavorare i metalli era ritenuta anch’essa una professione magica e le figure di fabbri semi–divini si stagliano nelle mitologie non solo europee ma anche extra–europee; l’Alchimia medievale fu l’ultima espressione tradizionale di questa concezione sacra della metallurgia.
    Sotto l’egida di Brigit erano anche i misteri druidici della guarigione, e di questo ne sono testimonianza le numerose “Sorgenti di Brigit”. Diffuse un po’ ovunque nelle Isole Britanniche, alcune di esse hanno preservato fino a oggi numerose tradizioni circa le loro qualità terapeutiche e ancora oggi ai rami degli alberi che sorgono nelle loro vicinanze i contadini appendono strisce di stoffa o nastri a indicare le malattie da cui vogliono essere guariti. Sacri a Brigit erano la ruota del filatoio, la coppa e lo specchio. Lo specchio è strumento di divinazione e simboleggia l’immagine dell’Altro Mondo cui hanno accesso eroi e iniziati. La ruota del filatoio è il centro ruotante del cosmo, il volgere della Ruota dell’Anno e anche la ruota che fila la trama delle nostre vite. La coppa è il grembo della Dea da cui tutte le cose nascono. Nelle Isole Ebridi (che forse devono il loro nome proprio a Brigit o Bride) le donne dei villaggi si radunavano insieme in qualche casa e fabbricavano un’immagine dell’antica Dea, la vestivano di bianco e le ponevano un cristallo sul cuore. In Scozia, la vigilia di Santa Bridget, le donne vestivano un fascio di spighe di avena con abiti femminili e lo ponevano in una cesta, il “letto di Brid”, con a fianco un bastone di forma fallica. Poi gridavano tre volte: “Brid è venuta, Brid è benvenuta!”, indi lasciavano bruciare torce e candele vicino al “letto” tutta la notte. Se la mattina dopo trovavano l’impronta del bastone nelle ceneri del focolare, ne traevano un presagio di prosperità per l’anno a venire. Il significato di questa usanza è chiaro: le donne preparavano un luogo per accogliere la Dea e invitavano allo stesso tempo il potere fecondante maschile a unirsi a lei. Anche nell’isola di Man veniva compiuta una cerimonia simile, chiamata “Laa’l Breesley”. Nell’Inghilterra del Nord, terra dell’antica Brigantia, la ricorrenza veniva denominata “Giorno delle Levatrici”. In Irlanda si preparavano con giunchi e rametti le cosiddette croci di Brigit, a quattro bracci uguali racchiusi in un cerchio, cioè la figura della ruota solare (che è simbolo appropriato per una divinità del fuoco e della luce); lo stesso giorno venivano bruciate le croci preparate l’anno prima e conservate fino ad allora. La fabbricazione delle croci di Brigit deriva forse da un’antica usanza precristiana collegata alla preparazione dei semi di grano per la semina. Questi oggetti simbolici, confezionati con materiale vegetale, ci ricordano tra l’altro che la luce e il calore sono indispensabili alla vegetazione che si rinnova in continuazione, anno dopo anno.
    Occorre tenere presente che le spighe di cereali usate per fabbricare le bambole di Brigit provengono dall’ultimo covone del raccolto dell’anno precedente. Quest’ultimo covone, in molte tradizioni europee è chiamato la Madre del Grano (o dell’Orzo, dell’Avena, ecc.) e la bambola propiziatoria confezionata con le sue spighe è la Fanciulla del Grano (o dell’Orzo, dell’Avena, ecc.). Si credeva cioè che lo spirito del cereale o la stessa Dea del Grano risiedesse nell’ultimo covone mietuto: come le spighe del vecchio raccolto sono il seme di quello successivo, così la vecchia divinità dell’autunno e dell’inverno si trasformava nella giovane Dea della primavera, in quella infinita catena di immortalità che è il ciclo di nascita, morte e rinascita. Brigit rappresenta appunto la giovane Dea della primavera.
    Narra il Libro di Lismore la leggenda che a Roma i ragazzi usassero divertirsi con un gioco da tavolo in cui una vecchia megera liberava un drago mentre dall’altra parte una giovane fanciulla lasciava libero un agnello che sconfiggeva il drago. La megera allora scagliava un leone contro la fanciulla, la quale però provocava a sua volta una grandine che abbatteva il leone. Papa Bonifacio, dice la leggenda, dopo aver interrogato i ragazzi e aver saputo che il gioco era stato insegnato loro dalla Sibilla, lo proibì. Poiché questa leggenda è stata raccolta in un ambito culturale celtico, si può supporre che la Vecchia altri non fosse che la Cailleach a cui si contrappone Brigit. Il riferimento all’agnello è un altro simbolo del periodo di Imbolc, anche se i commentatori medievali lo considerarono l’emblema di Gesù Cristo. In realtà, è la Vecchia Dea che si rinnova trasformandosi in Giovane Dea, così come il Vecchio Grano diviene il nuovo raccolto. Il serpente appare come uno degli animali–totem di Brigit. In molte culture il serpente o drago è simbolo dello spirito della terra e delle forze naturali di crescita, decadimento e rinnovamento. Nel giorno di Bride il serpente si risveglia dal suo sonno invernale e i contadini ne traevano il presagio della fine imminente della cattiva stagione. Il serpente è uno dei molti aspetti dell’antica Dea della terra: la muta della sua pelle simboleggia il rinnovamento della Natura e anche la sua dualità, infatti in gaelico “neamh” (cielo) è simile a “naimh” (veleno), provenendo entrambi dalla radice “nero”. La Vecchia Dea e la Giovane Dea, pertanto, sono la stessa persona.

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    Più tardi, a seguito della cristianizzazione della festa Imbolc divenne l’odierna Candelora, consacrata a santa Brigida o Brigitta, chiamata la “Maria dei Gaeli”. Ritenuta la miracolosa levatrice o madre adottiva di Gesù Cristo, Bridget viene celebrata l’1 febbraio, Giorno di Santa Bridget o Lá Fhéile Bríd. Riguardo questa santa, di cui è tanto dubbia la l’esistenza storica quanto certa la derivazione pagana, si diceva che avesse il potere di moltiplicare cibi e bevande per nutrirei poveri, potendo trasformare in birra perfino l’acqua in cui si lavava! Lá Fhéile Bríd si trasformò nella Purificazione della Beata Vergine, la Candelora cristiana, la festa delle luci, Lá Fhéile Muire na gCoinneal, il giorno della “festa di Maria delle Candele”, durante la quale nelle case si accendevano le candele simboleggianti la purificazione. Le candele accese forse erano in numero di tredici (come le lunazioni in un anno) e venivano disposte in cerchio per formare la Corona di Luce, forse un ricordo dei fuochi che prima ardevano sulle alture. Non è improbabile che l’uso rituale di accendere candele sia legato alle tradizioni precristiane del Medio Oriente che commemorano il ritorno della Dea dal mondo sotterraneo e l’approssimarsi della rinascita della natura a primavera.
    A Santa Bridget fu consacrato il monastero irlandese di Kildare, dove un fuoco in suo onore era mantenuto perpetuamente acceso da diciannove monache. Ogni suora a turno vegliava sul fuoco per un’intera giornata di un ciclo di venti giorni; quando giungeva il turno della diciannovesima suora ella doveva pronunciare la formula rituale “Bridget proteggi il tuo fuoco. Questa è la tua notte”. Il ventesimo giorno si diceva fosse la stessa Bridget a tenere miracolosamente acceso il fuoco. Il numero diciannove richiama il ciclo lunare metonico che si ripete identico ogni diciannove anni solari. Inutile ricordare come questa usanza richiamasse il collegio delle Vestali che tenevano sempre acceso il sacro fuoco di Vesta nell’antica Roma, ma più probabilmente la devozione delle suore di Kildare si ricollega alle Galliceniae, una leggendaria sorellanza di druidesse che sorvegliavano gelosamente il loro recinto sacro dall’intrusione degli uomini e i cui riti furono mantenuti attraverso molte generazioni. Allo stesso modo, nel monastero di Kildare, solo alle donne era concesso di entrare nel recinto dove bruciava il fuoco, che veniva tenuto acceso con mantici, come ricorda Geraldo di Cambria nel XII secolo. Il fuoco bruciò ininterrottamente dal tempo della leggendaria fondazione del santuario, nel VI secolo, fino al regno di Enrico VIII, quando la Riforma protestante pose fine a questa devozione più pagana che cattolica. L’idea di una purificazione rituale in questo periodo è rimasta forte nel folklore europeo. Per esempio, le decorazioni vegetali natalizie vengono messe da parte e bruciate alla Candelora per evitare che i folletti che in esse si sono nascosti infestino le case. Il concetto di purificazione è il presupposto di una nuova vita: si eliminano le impurità del passato per fare posto alle cose nuove.
    (articolo pubblicato in Esoterismo, esagila.it)

    Ho celebrato questo Imbolc con un tripudio di luci, candele, fuochi, come si conviene alla Tradidizione. L’energia che mi ha investito non è nemmeno lontanamente descrivibile a parole, solo provandola si può comprendere di che cosa sto parlando. È un’Energia che del fuoco di Imbolc hai il potere purificatore e rigenerante e pertanto rinnova completamente quanti abbiano in sorte di goderne. Onore e gloria agli Antichi Dei.


    ..IMBOLC..

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    Imbolc, o Imbolg, festa della Dea Brigid, in epoca cristiana Santa Brigida (in gaelico scozzese Là Fhèill Brìghde, in gaelico irlandese Lá Fhéile Bríde) è una festa celtica, celebrata fino all’epoca cristiana in Irlanda, che segna il ritorno dei primi tepori primaverili. Si celebra l’1 o il 2 febbraio o anche l’11 o il 12 febbraio secondo l’antico calendario. E’ una festa che cade all’incirca a metà tra il Solstizio d’Inverno e l’Equinozio di Primavera. La festa di Imbolc è connessa alle feste dell’Antica Roma di Februata e di Lupercalia e alla festa cristiana di Candelora, tutte feste dedicate al ritorno dei primi tepori primaverili dove venivano accesi fuochi e candele.
    La festa di Imbolc fa parte delle otto feste neopagane rese popolari dai Wiccan e da celebrate da molti gruppi Neopagani Europei e Statunitensi. La festa di Imbolc si celebrava in Irlanda fino al Medioevo e se ne trovano riferimenti nella mitologia irlandese nel Tochmarc Emire del Ciclo dell’Ulster. Imbolc fa parte delle feste celtiche di cui si parla nella mitologia irlandese, le altre sono Beltane, Lughnasadh e Samhain. Queste feste vengono oggi chiamate “cross-quarter days” perché cadono a distanza di circa tre mesi l’una dall’altra e si collocano tra un Solstizio e un Equinozio, e i Solstizi e gli Equinozi sono chiamati “quarter days” o “sabba minori”, secondo il sistema della Ruota delle stagioni che comprende otto feste principali annuali, resa popolare dalla religione Wicca.
    (gea-draconia.net)

    Imbolc è tradotto secondo alcuni come “purificazione” mentre per altri il termine deriva da Oimelc che significa “lattazione delle pecore”. La variante Imbolg significherebbe “nel sacco” inteso nel senso di “nel grembo” con riferimento simbolico al risveglio della Natura nel grembo della Madre Terra e con un riferimento (più materiale) agli agnelli, nuova fonte di cibo e di ricchezza, che la previdenza della Natura e degli allevatori avrebbe fatto nascere all’inizio della buona stagione. L’allattamento degli agnelli garantiva un rifornimento provvidenziale di proteine. Il nuovo latte, il burro, il formaggio costituivano spesso la differenza tra la vita e la morte per bambini e anziani nei freddi giorni di febbraio. Come si vede l’etimologia della parola è controversa. Joseph Vendryes (linguista francese del XIX° secolo citato da Taraglio ne “Il Vischio e la Quercia”) propone l’etimologia da imb– prefisso intensivo, seguito da folc, “acquazzone”, “Grande Pioggia”, “Festa della Pioggia” sia in riferimento ai mutamenti climatici della stagione sia riferendosi all’idea di una lustrazione che purifica dalle impurità invernali; non è un caso che la stessa celebrazione dei Lupercali dell’Impero (festa della purificazione e della fecondità della fine dell’inverno) aveva luogo nello stesso periodo. A dispetto delle interpretazioni appena date che paiono accostarne l’etimo all’Elemento Acqua, Imbolc, insieme a Beltane, Lughnasadh e Samhain, è però una delle quattro feste celtiche dette “Feste del Fuoco” perché l’accensione rituale di fuochi e falò ne costituivano una caratteristica essenziale. In questa ricorrenza il fuoco era considerato in particolare sotto il suo aspetto di luce, questo è infatti il periodo della luce crescente. La pianta sacra di Imbolc è il bucaneve. È il primo fiore dell’anno a sbocciare e il suo colore bianco ricorda allo stesso tempo la purezza della Giovane Dea e il latte che nutre gli agnelli.


    Sono Colei
    che è è la madre
    naturale di tutte le cose,
    maestra e governatrice
    di tutti gli elementi,
    la progenie iniziale dei mondi,
    il capo dei poteri divini,
    Regina dei tutti coloro che sono nell'aldilà,
    la più importante di coloro
    che abitano sopra,
    manifestazione da sola
    e sotto una sola forma
    di tutti gli Dei e di tutte le Dee.
    (Lucius Apuleius)



    Edited by gheagabry1 - 13/12/2019, 18:27
     
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    MAPOS


    Mapos/Mabon è un dio giovane, identificato con il dio Apollo del pantheon romano. Testimonianze del culto di Maponos o Maponus si sono ritrovate in Gallia, nel nord della Gran Bretagna, ma le sue origini appartengono alla tradizione gallese francese, come testimoniano le preghiere contenute nel sacro testo Chamaliere.
    Il dio celtico Mabon era il figlio di Modron, Mabon ap Modron, la Madre Divina, la dea Matrona, e del dio Mellt. Rapito alla madre tre giorni dopo la nascita, visse ad Annwn, l'oltretomba della mitologia gallese. L'Annwn nella mitologia antica era un luogo collocato verso occidente che poteva essere visitato anche dai viventi se in grado di trovarne la porta nascosta presso le foci del fiume Severn. Annwn era una terra di deliziem, di eterna giovinezza, di eterna vita, di cibo sempre abbondante. Nelle redazioni più tarde del mito Annwn acquisì un aspetto sinistro, divenendo un luogo di prigionia per le anime malvagie. Il giovane dio Mabon fu salvato da Culhwch, il cugino di re Artù, ma a causa del suo soggiorno ad Annwn, Mabon rimase giovane per sempre.
    Mabon era il dio della caccia, della giovinezza, della vegetazione e dei raccolti.
    Nel poema del ciclo arturiano "Culhwch e Olwen" contenuto nel Mabinogion, Culhwch fu partorito da sua madre Goleuddyd impazzita per essere stata spaventata da un porcaio, il quale trova Culhwch nel recinto dei maiali e lo porta al padre Cilydd. Il nome Culhwch, dal gallese cul "stretto" e hwch "maiale", significa "porcile". Quando Culhwch rifiuta di sposare la figlia della sua matrigna, lei infuriata lo maledice condannandolo a poter sposare solo la bella Olwen, figlia di Ysbaddaden un gigante malvagio che morirebbe se sua figlia si sposasse. Ysbaddaden richiede a Culhwch di compiere una serie di imprese impossibili, che Culhwch affrontò aiutato da suo cugino re Artù. Ysbaddeden fu decapitato da Goreu per vendicarsi dell'uccisione dei suoi fratelli e Culhwch sposa Olwen.
    (Lady RoseNoire)


    Edited by gheagabry1 - 13/12/2019, 18:31
     
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    I Tredici Tesori di Britannia


    I Tredici Tesori di Britannia sarebbero tredici oggetti magici, lasciati in eredità da dei ed eroi agli umani, originariamente nascosti nel villaggio di Caerlon (o Caer Llion), in Galles, e successivamente nascosti da Merlino che secondo alcuni li portò nella sua prigione d’aria, secondo altri li nascose sull’isola di Bardsey, in Galles.

    Questi oggetti sono strettamente connessi con le leggende su re Artù e i suoi Cavalieri: ci sono studiosi che sostengono addirittura che Caerlon sia identificabile con Camelot. I Tesori sono citati più volte dalle Triadi Gallesi: nelle prime versioni si parla di “tesori venuti dal nord”, successivamente vengono citati i nomi sparsi e senza commenti. Solo nel XV-XVI secolo si trova una Triade con l’elenco completo comprensivo di poteri, riportato di seguito.

    Bianca Elsa, spada di Rydderch Hael
    Se impugnata da un giusto, veniva avvolta dalle fiamme dalla punta all’elsa. Per questa caratteristica, benché tutti la potessero avere, veniva rifiutata.


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    Nella mitologia gallese Dyrnwyn (gallese: "Bianca Elsa") è la spada magica di Rhydderch Hael, uno dei Tre Generosi Uomini dell'Isola di Britannia menzionati nelle Triadi Gallesi. A volte viene citata come Dyrnwyn, gleddyf Rhydderch Hael ("Bianca Elsa, la spada di Rhydderch il Generoso").
    Quando viene sguainata, la lama viene avvolta da una fiamma. Se impugnata da un valoroso, il fuoco lo aiuterà nella sua causa. Se invece la impugna un malvagio, il fuoco lo brucerà. Dyrnwyn era anche uno dei Tredici tesori dell'Isola di Britannia.
    Probabilmente esiste un collegamento tra la spada e Owain Ddantgwyn, un sovrano del Rhôs nel Galles settentrionale. Ddantgwyn significa "Dente Bianco", forse un riferimento alla spada. Ddantwyn è stato associato con re Artù per le molte coincidenze riscontrate nelle loro vite: hanno il patronomico "ab Yrth"; grosso modo vivono nello stesso periodo; vengono uccisi dai loro nipoti. Reperti archeologici dello stesso periodo storico sono stati riportati alla luce a Viroconium. Così è possibile che la spada Dyrnwyn fosse alla base della leggendaria Excalibur.




    Paniere di Gwyddno Gambalunga

    Quando veniva posto cibo per una persona, riaprendolo se ne trovava per cento.






    Corno di Bran l’Avaro del nord

    Qualsiasi bevanda si desiderasse, si trovava nel corno.




    Carro di Morgan il Ricco

    Permetteva di spostarsi alla velocità della luce dovunque si volesse.



    La cavezza di Clyddo Eiddyn
    Qualsiasi cavallo si desiderasse compariva nella cavezza.



    Il coltello di Llawfrodden Farchog
    Poteva servire 24 uomini per ogni tavolo.




    Il calderone di Dyrnwwch il Gigante
    Se veniva preparato il pasto per un codardo, non lo scaldava,
    mentre se il pasto era per un giusto lo cuoceva immediatamente.




    L’affilatoio di Tudwal Tudglyd
    Se veniva affilata l’arma di un valoroso, quest’arma avrebbe ucciso il nemico,
    mentre se l’arma era di un codardo, non arrecava alcun danno a nessuno.



    La cotta di Padarn Cotta Rossa
    Se l’avesse indossata un nobile sarebbe stata della sua taglia,
    se l’avesse indossata un plebeo no.




    La brocca e il piatto di Rhygenydd il Chierico
    Qualunque cibo si desiderasse, si sarebbe trovato nel piatto.




    La scacchiera di Gwenddoleup ap Ceidio
    D’oro con i pezzi d’argento, dopo aver disposto i pezzi, questi giocavano da soli.



    Il mantello di Artù
    Chi lo indossava, diventava invisibile.



    In alcune versioni sono aggiunti due tesori (pietra e anello di Eluned e mantello di Tegau Eurfon). Tolto uno degli altri e contando la brocca e il piatto di Rhygenidd come uno solo, se ne ottenevano tredici.




    celticworld.it

    Edited by gheagabry1 - 13/12/2019, 18:43
     
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    SUCELLUS

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    Sucellus, dio dei Celti della Gallia era raffigurato con corpo umano e robusto, capigliatura riccia e leonina, una folta barba che scende fino al possente petto, vestito con pelle di lupo, o con una tunica a maniche lunghe che arriva fino al ginocchio, ed armato nella mano sinistra da un martello dal manico lungo, mentre con la destra tiene una olla, oggetto a forma di vaso. Le sue raffigurazioni sono sempre accompagnate da simboli solari quali il serpente con la testa di ariete, le svastiche, le ruote solari, le croci, a simboleggiare come Sucellus presieda la terra sopra e sotto di essa, il mondo dei Viventi e dei Defunti, i cicli della vita e della morte, i cicli delle stagioni, il Dio degli antenati che dispone della vita e della morte, dei tesori della terra e della sua fertilità, al centro dei culti popolari. E' anche raffigurato con un cane al suo fianco, un Cerbero, cane a tre teste guardiano degli inferi, che sottolinea il suo legame con gli inferi e che farebbe di Sucellus il Dis Pater citato da Cesare, il dio di tutti i celti. Dio dell'agricoltura e delle foreste. Sua sposa è la dea Nantosuelta.

    A fronte di tutto questo, Sucellus rappresenta un Dio ancestrale che raggruppa all’interno di se vari elementi; esso è Dio solare, degli inferi, delle stagioni, della morte e della vita, così come della fertilità che in seguito sono state raffigurate in altre divinità con specifiche qualità, ad esempio Taranis col fulmine; anch’esso non a caso associato a Giove, anche se quest’ultimo potrebbe essere una divinità assestante con la sua peculiarità.
    Di sicuro per i soldati romani in Gallia egli era Giove, testimoniato da diverse iscrizioni votive a Jupiter Sucellus, così come a numerose raffigurazioni di Jupiter con simboli solari e raffigurato con le sembianze che ricordano Sucellus.
    E’ più probabile che vi sia stato una sorta di compromesso tra le due divinità; il Giove romano, divinità celeste, in Gallia aumenta in modo marcato la sua associazione al Sole tipica del Dio gallico, mentre quest’ultimo sia avvicina al Dio romano aumentando le sue caratteristiche celesti e al fulmine.


    Edited by gheagabry1 - 13/12/2019, 18:46
     
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    DEAE MATRES

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    Nella mitologia celtica la Dea Matrona ("Dea Madre") era la dea tutelare del fiume Marna nell'antica Gallia, al quale diede il nome che nell'antichità era chiamato Matrŏna. In gallico il teonimo "Matr-on-a" viene interpretato come "Grande Madre". Suo figlio era il dio Maponos.

    In molte altre aree era adorata come una dea triplice, nota come "Deae Matres" o "Deae Matronae" ("Dee Madri"). Il culto di questa triade divina è ben attestata nel nord Europa non solo nelle aree celtiche, ed era simile ad altre figure coeve o successive (Moire, Fates, Parche, Furiae, Norne ecc.)come attestano fonti del XIII secolo.
    Le Matres o le Matronae furono divinità femminili, venerate all'incirca dal I al V secolo, in vaste zone dell'Europa occidentale, soprattutto nella Gallia, nella Cisalpina e lungo la valle del Reno.
    Venivano rappresentate in gruppi di tre figure femminili, spesso sedute e recanti in grembo simboli di abbondanza e fertilità (canestri ricchi di frutta o pani, cornucopie, bimbi in fasce). I nomi e le iscrizioni che accompagnavano queste rappresentazioni figurative risultano per circa la metà in lingua celtica, per l'altra metà in lingua germanica, mostrando quindi il diffondersi di questo culto presso popoli vicini.


    Le Madri e le Matrone sono raffigurate sulle pietre con e senza iscrizioni, sia in funzione di altare che come oggetti votivi. Tutte le rappresentazioni sono frontali, appaiono quasi esclusivamente in gruppi di tre con almeno una di loro recante in grembo un cesto di frutta, e possono essere sia in piedi che sedute. In alcune raffigurazioni, la figura centrale ha i capelli sciolti e indossa un nastro in testa, mentre le altre due hanno il capo velato. Altri revelano rappresentazioni di un sacrificio – incenso, maiali, e coppe ripiene di frutta – e decorazioni di frutta, piante e alberi. Inoltre sono spesso accompagnate da immagini di serpenti, bambini ... Si ipotizza che i capelli sciolti possano indicare la verginità, mentre le teste velate potrebbero indicare donne sposate, i serpenti potrebbero riferirsi alle anime dei morti o all’aldilà, e i bambini e i pannolini sembrano indicare che le Madri/Matrone avessero una funzione protettiva nei confronti della famiglia, e in particolare come levatrici.

    La Triplice Dea Madre rappresenta la magnificenza di Madre Terra nel dare la vita, presiede alle nascite, alla brillantezza e al rigoglio delle piante, alla fertilità, a tutte le età, allo splendore della terra e alla saggezza femminile.
    Benché la matura saggezza della donna anziana sia particolarmente riverita, la Triplice Dea Madre comprende ogni età, tutte le polarità e le espressioni. Le sue qualità sono la regalità, la fertilità ed è un collegamento interiore con la sovranità della terra che genera la vita.
    Secondo il mito, quando i Celti approdarono sulle sponde dell’Irlanda incontrarono tre Dee madri sovrane, Eriu, Banba e Fodla, che la proteggevano e la difendevano. Ciascuna di esse permise l’entrata agli invasori che, in cambio del successo nell’occupazione, avrebbero assicurato che quella terra non avrebbe mai cambiato nome.

    Si riunirono con Enu a Uisnech, e lei disse loro: «Guerrieri, vi do il benvenuto. Da tempo gli indovini avevano previsto il vostro arrivo. Questa terra sarà vostra per sempre, e ad est del mondo non ci sarà isola migliore, non ci sarà razza più numerosa della vostra.»
    «Ciò è bene» dichiarò Amorgen. «Questa è una buona profezia.»
    «Dovete tuttavia farmi un dono, voi figli di Mil, e voi figli di Breogan» disse la Dea. «Dovrete chiamare questa terra con il mio nome.» E così avvenne.


    La Triplice Dea Madre dà vita alla terra e al suo popolo, li protegge dalla sfortuna, dagli incidenti e dai pericoli. Nel suo aspetto più feroce, è una Dea guerriera che infligge morte e distruzione agli invasori. Tradizionalmente il suo senso è di presiedere alla nascita di nuove forme di vita, al nutrimento e al germogliare dei fiori e della vegetazione.
    Anche in luoghi molto distanti tra loro, come la Scozia e l’Ungheria, e soprattutto lungo le valli del Rodano, della Mosella e del Reno, in Europa centrale, le incisioni e le sculture della Triplice Dea Madre sono molto simili. Spesso la Triplice Dea Madre si manifesta come una fanciulla, una madre ed una vecchia. Una o due delle immagini della Dea sono giovani ed hanno la pelle liscia e le guance rotonde, mentre un’altra è anziana, con le guance scavate, rugose e il collo grinzoso.
    In altre epoche, le età delle tre Dee sono molto simili, ma i loro visi diversi nell’espressione e nel temperamento. Di solito, nelle zone della Germania occupate dai Romani, le Tre Dee Madri erano rappresentate con una Dea centrale, giovane con lunghi capelli fluenti, che reca frutti ed è affiancata da due Dee più anziane che indossano copricapi ampi e circolari, fatti di rami di salice coperti di tessuto, ostentando dignità e superiorità. La Dea dà l’impressione di un’autorità e di una magnificenza indiscutibili.(//giardinodellefate.wordpress.com)


    Edited by gheagabry1 - 13/12/2019, 18:53
     
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  15. gheagabry
     
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    « ...per molto tempo, i discendenti di questi tre si moltiplicarono tanto che la terra non era in grado di sostenerli tutti. Estrassero a sorte, ed ogni terza persona venne scelta per andarsene, portando con sé tutti i propri beni eccetto la terra. ... risalirono il fiume Dvina, fino alla Russia. Arrivarono tanto lontano da raggiungere la terra dei Greci. ... qui si insediarono, vivendoci, ed assorbendo la nostra lingua »


    L'isola di GOTLAND



    gotland
    La Gutasaga è una saga che narra la storia del Gotland prima della sua cristianizzazione. Venne scritta nel XIII secolo, ne è sopravvissuto un solo manoscritto, il Codex Holm. B 64, datato attorno al 1350 circa, oggi conservato presso la Swedish Royal Library di Stoccolma assieme al Gutalag, il codice di leggi del Gotland. E' scritta in gutnico antico, un dialetto della lingua norrena. Paolo Diacono, nella sua celeberrima “Historia Langobardorum” dove parla di un’isola, “non particolarmente estesa” e caratterizzata da “basse coste lungo tutto il perimetro”. Una descrizione coincide perfettamente con Gotland.

    La saga tratta di un'emigrazione, associata con la storica migrazione dei Goti avvenuta durante le invasioni barbariche. La migrazione sarebbe avvenuta nel I secolo d.C., e deboli contatti con la terra d'origine sarebbero stati mantenuti per altri due secoli, il che spiega come il linguaggio degli emigranti "abbia ancora qualcosa" in comune con la lingua madre. Gli eventi sarebbero stati trasmessi oralmente per circa un millennio prima di essere scritti su carta.

    Secondo la saga, che potrebbe essere una raccolta mitologica con l'integrazione di leggende popolari germaniche. Thielvar aveva un figlio chiamato Hafthi. E la moglie di Hafthi era chiamata Stellabianca. Questi furono i primi due a stabilirsi in Gotland. Durante la prima notte sull’isola Stellabianca sognò di avere tre - numero sacro alle popolazioni indoeuropee - serpenti all’interno del suo grembo. Svegliatasi, avvertì suo marito, che nel tranquillizzarla le disse: “Tutto è unito con anelli, questa isola sarà abitata, e tu darai alla luce tre figli”. La coppia ebbe in futuro i tre figli che si aspettavano: Guti, che prese il centro dell’isola, Graip, che prese la parte settentrionale dell’isola, e Gunfiaun, il più giovane, a cui venne data la parte meridionale di Gotland. I loro discendenti abitarono le rispettive regioni dell’isola, fino a quando questa non si trovò in una situazione di eccessivo affollamento, e la soluzione fu soltanto una: allontanare una parte della popolazione dal suo luogo d’origine. Per quanto contenuta nella Gutasaga, si tratta di una soluzione non più leggendaria, ma realmente accaduta, riportataci anche da Plinio il Vecchio e dallo stesso Paolo Diacono.
    Paolo Diacono, a tal proposito, ci dice che alcuni degli abitanti di Gotland, i Winili, si spostarono in una terra denominata Scoringa, probabilmente l’isola di Rügen, nel Mar Baltico. Scontratisi con i Vandali, dopo la vittoria, i Winili decisero di cambiare il loro nome in Longobardi.
    Nel frattempo, la seconda parte della popolazione dell’isola si spostò nella Scania, nella Svezia meridionale, e diedero vita a Götar e Juti, i quali ultimi parteciparono tra l’altro all’invasione dell’Inghilterra insieme agli Angli e ai Sassoni nel VI secolo d.C., non a caso vengono anche menzionati in Beowulf, il primo poema epico della storia inglese.
    La terza e ultima parte della popolazione rimase a Gotland prima di spostarsi nell’attuale Polonia o paesi baltici: sono i Goti, che diedero il nome all’isola; dall’etimologia della parola, Goti significherebbe “popolo di Dio” ossia “popolo di Odino”.
    Da Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, nel libro IV vi è un riferimento alle isole del Mar Baltico. "Essa, come ci riferirono alcuni che l'hanno visitata, non è tanto posta sul mare quanto cinta tutta intorno dai flutti marini a causa della bassezza delle coste. I popoli stabilitisi entro i suoi confini, poiché erano enormemente accresciuti di numero, tanto da non potervi abitare insieme, come si narra, si divisero in tre parti cercando di sapere in base alla sorte quale di esse dovesse abbandonare la terra di origine e cercare nuove sedi."

    A Gotland sono state ritrovate molte testimonianze relative a insediamenti risalenti all'età del ferro, ma l'isola era abitata sin dal Paleolitico (6000 anni a.c.). La lingua gutnica è molto diversa dal resto delle lingue germaniche nordiche tanto da costituire un ceppo a se stante, si ritiene che questa sia la lingua oggi più simile al gotico.


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32 replies since 9/7/2010, 13:08   13552 views
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