L'ODISSEA

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. susacrie
     
    .

    User deleted


    ulisse e i lotofagi

    Nel IX libro dell'Odissea (vv. 82-102), si narra come Ulisse approdasse presso questo popolo dopo nove giorni di tempesta, che colse lui e i suoi uomini presso Capo Malea, spingendoli oltre l'isola di Citera. I Lotofagi accolsero bene i compagni di Ulisse e offrirono loro il dolce frutto del loto, unico loro alimento che però aveva la caratteristica di far perdere la memoria (l'oblio), per cui Ulisse dovette imbarcarli a forza e prendere subito il largo per evitare che tutto l'equipaggio, cibandosi di loto, dimenticasse la patria e volesse fermarsi in quella terra (nell'Odissea non si dice se fosse su un'isola o sulla terraferma).
     
    Top
    .
  2.  
    .
    Avatar


    Group
    moderatori
    Posts
    19,944
    Location
    Zagreb(Cro) Altamura(It)

    Status
    Offline
    grazie susa..pusa..
     
    Top
    .
  3. susacrie
     
    .

    User deleted


    penelope e la tela

    La tela di Penelope fu un celebre stratagemma, narrato nell'Odissea, creato da Penelope, la quale per non addivenire a nuove nozze, stante la prolungata assenza da Itaca del marito Ulisse, aveva subordinato la scelta del pretendente all’ultimazione di quello che avrebbe dovuto essere il lenzuolo funebre del suocero Laerte. Per impedire che ciò accadesse la notte disfaceva ciò che tesseva durante il giorno. Oggigiorno si cita la tela di Penelope per riferirsi ad un lavoro che non avrà mai termine.
     
    Top
    .
  4. susacrie
     
    .

    User deleted


    Il ritorno di Ulisse e la vendetta

    Ulisse per tornare in patria ha bisogno di una nave che gli viene data dai Feaci. Giunto a Itaca viene trasformato da Atena in un vecchio mendicante. Ulisse si reca da Eumeo, il porcaro della regia, per avere informazioni sulla situazione. Alla capanna di Eumeo, per opera di Atena, giunge anche Telemaco. Padre e figlio si riconoscono e preparano un piano per vendicarsi dei Proci. Il giorno seguente Ulisse, si reca alla regia; il suo cane Argo lo riconosce e per la gioia troppo intensa e improvvisa muore. L’eroe viene offeso e deriso dai Proci, mentre viene accolto da Penelope inconsapevole di avere davanti a sé il marito. Intanto Penelope, consigliata da Atena propone ai Proci una sfida: chi di essi riuscirà a tendere l’arco di Ulisse e a far passare la freccia attraverso dodici anelli scuri, sarà suo sposo. Nessuno dei Proci vi riuscì, solo Ulisse, fra lo stupore di tutti i Proci supera la prova. Quindi riacquistato l’aspetto originale e aiutato da Telemaco, fa strage dei Proci; si fa riconoscere dalla moglie Penelope e dal padre Laerte e infine si ricongiunge con i suoi sudditi.
     
    Top
    .
  5. gheagabry
     
    .

    User deleted




    IL MITO DI ULISSE





    Ulisse, in greco Odisseo, re di Itaca e figlio di Laerte e di Anticlea, è l'eroe più famoso di tutta l'antichità. La sua leggenda è stata oggetto di rimaneggiamenti, di aggiunte fin dall'antichità e, più ancora di quella di Achille, si è prestata ad interpretazioni simboliche e mistiche.

    Nell'Iliade egli è il fedele collaboratore di Agamennone e degli altri eroi, guerriero prode quanto sagace e scaltro. Nell'Odissea, della quale è il protagonista, appare animato da sincera nostalgia della patria e della famiglia, a escogitare vie di scampo per sé e i suoi, protetto e guidato dalla dea Atena nelle avventure che lo portano ad affrontare strani popoli, mostri paurosi e la furia terribile del mare, scatenatogli contro da Poseidone.

    Ulisse aveva guidato a Troia un contingente di dodici navi, ma tutte le perse durante il lungo viaggio di ritorno ad Itaca, dove giunse finalmente dopo dieci anni su una nave messagli a disposizione dal re dei Feaci, Alcinoo.





    Già all'inizio della navigazione aveva avuto qualche difficoltà: una tempesta l'aveva separato da Agamennone, insieme al quale era salpato da Troia, facendolo approdare in Tracia, nel paese dei Ciconi; poi un vento da nord l'aveva spinto nel paese dei Lotofagi; ma le vere sventure si abbatterono su di lui e le sue navi dopo che ebbe provocato la collera di Poseidone, che non gli perdonò mai di avergli accecato suo figlio, il Ciclope Polifemo. Sfuggito al Ciclope, Ulisse raggiunse l'isola di Eolo, il re dei venti, che lo accolse ospitalmente e gli diede un otre di pelle di bue, contenente tutti i venti, fuorché una brezza favorevole, che doveva riportarlo direttamente a Itaca. E già si potevano scorgere i fuochi accesi dai pastori nell'isola, allorché l'eroe si addormentò; i compagni, credendo che l'otre di Eolo contenesse oro, l'aprirono e i venti ne scapparono via provocando un uragano che sospinse le navi nella direzione opposta, facendole approdare di nuovo presso Eolo, al quale egli chiese ancora una volta un vento favorevole.

    Eolo gli rispose di non poter fare più niente per lui, ora che gli dei avevano manifestato così apertamente la loro ostilità al suo ritorno. Ulisse riprese allora la navigazione a caso verso Nord e approdò nel paese dei Lestrigoni, identificato poi con la costa nei pressi di Formia e Gaeta.



    Qui perse tutte le navi tranne la sua, perché i Lestrigoni, divoratori di uomini, inseguirono fino sulla riva del mare i marinai che egli aveva mandato in avanscoperta, lapidarono i Greci e fracassarono le navi, e solo Ulisse riuscì a recidere il cavo che tratteneva la sua nave e a prendere il largo.

    Ridotto a una sola nave e al proprio equipaggio, continuò la rotta verso Nord e ben presto approdò all'isola di Ea, dove abitava la maga Circe. Partito dall'isola dopo alcuni mesi, forse un anno, di avventure sue e dei compagni con Circe, riuscì a superare, seguendo i consigli della maga, le insidie delle Sirene, delle Rocce Vaganti e di Scilla e Cariddi, e giunse in un luogo dell'isola di Trinacria, in cui pascolavano i bianchi buoi appartenenti al dio Sole. Qui, spinti dalla fame, i marinai uccisero alcuni buoi per mangiarli, malgrado l'espresso divieto di Ulisse.



    Questa volta, quando la nave riprese la navigazione, non fu Poseidone in persona ad insidiarla, ma Giove, col quale il Sole si era lamentato dell'affronto subito con l'uccisione dei suoi buoi, chiedendo riparazione: il padre degli dei scatenò un violento temporale, la nave fu colpita dal fulmine, e soltanto Ulisse, che non aveva voluto partecipare al festino sacrilego, poté salvarsi aggrappato ad un albero, sballottato dal mare per nove giorni, finché giunse, assai mal ridotto, all'isola di Calipso.

    La ninfa lo trattenne presso di sé molti anni, finché, pregato da Atena, protettrice dell'eroe, Zeus mandò a Calipso, per mezzo di Ermes, l'ordine di lasciarlo andar via; Calipso, a malincuore, gli fornì il legno necessario a costruire una zattera e Ulisse ripartì verso l'Est. Ma ancora non si era placata la collera di Poseidone, il quale suscitò una tempesta che sfasciò la zattera, e, aggrappato a un relitto, tutto nudo, l'eroe giunse nell'isola dei Feaci, che nell'Odissea è chiamata Scheria, e che è probabilmente Corfù.



    Qui finiscono le peregrinazioni per mare di Ulisse: riportato ad Itaca da una nave del re Alcinoo, dovrà affrontare i Proci, che volevano impadronirsi del regno sposando sua moglie Penelope, li sterminerà tutti durante una gara con l'arco, organizzata nel suo stesso palazzo, si farà riconoscere da Penelope e dal padre Laerte, e grazie all'intervento di Atena, ristabilisce la pace nell'isola, episodio col quale si conclude il racconto odissiaco.

    Ma i poeti posteriori vi aggiunsero un'infinita serie di avventure e viaggi misteriosi compiuti nell'ultima parte della sua esistenza; alcune di queste peregrinazioni trassero origine dalla predizione di Tiresia, che nell'Odissea impone a Ulisse di andare a placare con sacrifici Poseidone là dove fossero ignoti il mare e i remi.

    Così si attestò la sua presenza in Arcadia e nella Tesprozia, in Italia, dove nella Tirrenia (il paese etrusco) fondò trenta città; gli si attribuì la fondazione di Lisbona, e si narrò dei suoi viaggi in Gallia, nella Caledonia e in Germania fino alle sponde del Reno.

    Il mito di Ulisse è presente in tutta la letteratura moderna dal celebre episodio dell' Inferno, in cui Dante ne fa il simbolo dell'uomo, non fatto "a viver come bruto, ma per seguir virtude e conoscenza", a numerosi drammi teatrali, ad opere musicali, fino a giungere all'Ulisside, vocabolo diffuso dal D'Annunzio, come prototipo dell'esploratore infaticato, uomo desideroso di nuove conoscenze ed esperienze.




    Eppure tu te ne sei andato,
    Ulisse,
    lasciando qui sull’Isola un amore di donna inconsolato
    un figlio appena divezzato, che scorderà il tuo sguardo
    Hai scelto la tua conoscenza, i sogni incandescenti,
    le voci di sirena e i nubifragi…
    cercando per il mondo la formula segreta della felicità.
    Re, scaltro avventuriero, d’ingegno simile a nessuno
    credi forse di colorare la tua esistenza col molto tuo sapere?
    e di segreti hai piena l’anima e di mille cose mai dette ad alcuno.
    E serbi forse dentro te la melanconica immagine di ciò che hai lasciato ad Itaca
    e di ciò che lascerai lasciando questa vita.
    Qualcuno aspetta il tuo ritorno,
    facendo e disfacendo ogni giorno i sogni intessuti in questo tempo
    mentre che tu, correvi controvento incontro alle tue sirene
    eppure non ti riconoscerà che un cane quando tornerai..
    perché ciò che tu sei val più di ciò che sai
    Troppe lacrime spese… troppi mari attraversati..
    Eppure tu sei un navigante
    sai leggere i misteri nel cuore d’un passante.
    La vita scorre Ulisse, come l’acqua del tuo mare
    e prima o poi tu ti dovrai fermare…
    Il meglio del tuo tempo l’hai regalato al mondo
    e il mondo ti ha donato l’immane sua sapienza
    presto ora chiudi tutto in un cassetto prima che te lo porti via
    folle la morte impavida e guerriera
    prima che questa sera Penelope dimentichi chi sei
    prima che siano vani gli anni tuoi
    e giunga il fato a farti prigioniero, mandato dagli dei.

    (dal web)




    ULISSE COPERTO DI SALE

    “Vedo le stanze imbiancate, tutte le finestre spalancate, nebbia non c’è il sole c’è…
    neve non c’è il cielo c’è.
    Tutto scomparso, tutto cambiato, mentre ritorno da un mio passato…
    tutto è uguale irreale….. sono Ulisse coperto di sale!
    - È vero, la vita è sempre un lungo lungo ritorno,
    ascoltami io non ho paura dei sentimenti…..
    ora guardami sono qui…….
    ho aperto adagio adagio con la chiave, come un tempo,
    ho lasciato la valigia sulla porta ho lasciato la valigia sulla porta…….
    Ho guardato tutto intorno prima di chiamare: Amore Amor!!!
    E non ho paura, ti dico che sono tornato per trovare… provare….. come una volta dentro questa casa la mia forza.-
    come ulisse che torna dal mare.

    Una mano di calce bianca sulle pareti della mia stanza
    Voglio dirti non rovesciare gli anni come un cassetto vuoto!
    Ascolta anche i giovani non hanno paura dell’amore, e mai strappano dal cuore i sentimenti, io li guardo…..
    la tua forza è un ombra di luce.
    La mano affondata dal vento nel vento.
    Aria calda urla per le nostre ore strette come in un pugno
    urlano come uccelli,
    i sassi si consumano,
    non si consuma la vita
    la mano è uguale alla mano che è ferita
    io sono Ulisse principio del giorno”

    Roberto Roversi



    "Terra, finalmente terra. E’ lei, è l’isola della dea, ne sono certo. Ne riconosco i contorni, le forme ne riconosco gli odori. Questa volta niente e nessuno potrà impedirmi di approdare. Questa volta sono veramente giunto a te, mia dea, mia signora incantevole, mio sogno realizzato. Finalmente la mia esistenza si è compiuta. Sono arrivato dove desideravo. E’ valsa la pena superare le colonne d’Ercole, tutti questi anni non sono trascorsi invano, questo continuo navigare… terra finalmente. Ieri ho sognato la dea era stupenda, più di quando l’ho vista quella volta, secoli fa. Improvvisamente, sopraffatto da un sogno che sconfiggeva la realtà apparente, mi sono svegliato nel cuore della notte. Non ho più dormito. Ho trascorso il resto della notte ad osservare la via lattea e tutte le stelle del firmamento e quel buio inchiostro che mi circondava ovunque io guardassi: il mare buio pesto. E tra quelle stelle, che non vedevo da millenni (erano scomparse dal mio cielo oppure non mi ero più degnato di osservarle?) ho avuto una visione. Una di quelle stelle si era messa a splendere più di ogni altra, diventando sempre più grande, assumendo, a poco a poco, una forma: la stella si era trasformata in Pegaso, il cavallo alato. Era bianco, bellissimo e librava le sue ali in modo tale che l’aria spostata generava una musica dolcissima, incantevole, quasi ipnotica. Pegaso correva verso di me. Ad un tratto mi ero accorto di essere Pegaso. Vedevo il mondo dall’alto, vedevo la mia nave prima piccola, poi via, via, sempre più grande. E sul cassero c’era un uomo con lo sguardo puntato verso l’alto: era Ulisse, ero io! Nel frattempo la visione era stata sconfitta dalle prime luci dell’alba ed io mi ero trovato al mio posto, sulla nave e del bianco cavallo alato non c’era più traccia. Anche oggi, dopo essermi appisolato, ho sognato la dea e nel sogno, la cingevo in un abbraccio tenero ma deciso. Anche questa volta mi sono svegliato di colpo, ma non ho avuto nessuna visione. Adesso comprendo quei sogni e la visione: sono giunto là dove volevo, ormai da secoli, approdare. Sono finalmente libero dal mare e da me stesso! Avrei voluto dire tantissime cose alla dea dell’isola, tutte quelle cose che sino ad oggi non le ho potuto dire, avrei voluto spiegarle quello che sentivo in quel momento, ma non era stato possibile. Ma adesso potrò farlo realmente, non in sogno. Aspettami dea, alfine sono giunto!"
    (dal web)





    .
     
    Top
    .
  6. tomiva57
     
    .

    User deleted


    grazie gabry
     
    Top
    .
  7.  
    .
    Avatar

    Millennium Member

    Group
    Administrator
    Posts
    112,793
    Location
    Milano

    Status
    Offline
    riassunto odissea


    L'Odissea è un poema epico in 24 libri, che narra del ritorno a Itaca di Ulisse, l'ultimo a tornare in patria tra gli eroi greci che hanno partecipato alla guerra di Troia.
    Libro I: gli dèi siedono a concilio per discutere la sorte di Ulisse , l'unico tra gli Achei a non essere ancora rientrato in patria.
    Pallade (Minerva), che protegge l'eroe fa ordinare alla ninfa Calipso di lasciarlo partire da Ogigia; intanto , sotto mentite spoglie , la dea appare a Temaco , comunicandogli il prossimo ritorno del padre , e gli consiglia di andare a Pilo e a Sparta per cercare informazioni su di lui.
    Libri dal II al IV: Telemaco tenta di cacciare i Proci, ma Antinoo, il loro capo, gli ricorda l'impegno preso dalla regina Penelope di sposare uno di loro una volta terminata la tessitura di un manto per il suocero Laerte.
    Telemaco si reca a Pilo e a Sparta dove apprende qualche notizia sul padre.
    Libri dal V all'VIII: Ulisse lascia l'isola di Calipso con una zattera ; dopo un naufragio , raggiunge a nuoto l'isola dei Feaci , dove viene trovato da Nausicaa, la figlia del re dell'isola Alcinoo, che lo invita alla reggia. Ulisse non vuole rivelare il suo nome, ma , quando durante un banchetto a suo onore, il cantore Damodoco comincia a narrare la guerra di Troia e l'inganno del cavallo, Ulisse non può trattenere la commozione, rivela la sua identità e racconta egli stesso le proprie vicende.
    Libri dal IX al XII: Ulisse racconta i pericoli scampati nelle terre dei Ciconi e dei Lotofagi, la fuga dalla grotta del ciclope Polifemo, figlio di Poseidone (Nettuno) , dopo averlo accecato , l'arrivo all'isola della maga Circe ,che trasforma i suoi compagni in porci.
    Ulisse narra quindi la sua discesa nell'Ade , dove il profeta cieco Tisaria gli rivela che Nettuno è adirato con lui. Dopo l'abbandono di Circe , seguono gli episodi delle sirene, dei mostri Scilla e Cariddi , dell'isola del Sole, dove i compagni uccidono e mangiano le vacche sacre al dio scatenandone l'ira. Nella tempesta , da lui provocata , tutto l'equipaggio muore , tranne Ulisse, che , dopo aver trascorso nove giorni aggrappato ad un relitto , approda all'isola di Calipso.
    Libri dal XIII al XVII: terminato il racconto delle proprie avventure ,Ulisse si congeda dai Feaci; essi stessi lo accompagnano a Itaca lasciandolo addormentato sulla spiaggia. Pallade lo trasforma in mendicante ; in questa veste Ulisse viene accolto dal fedele servitore Eumeo , da cui apprende gli abusi dei Proci. Viene riconosciuto anche dal vecchio cane Argo , che muore subito dopo.
    Libri dal XVIII al XXIV: Ulisse entra nella reggia , viene maltrattato dai Proci , poi è riconosciuto dalla nutrice Euriclea .
    La moglie Penelope intanto , propone ai Proci una gara con l'arco , nella quale bisogna far passare una freccia attraverso gli anelli di dodici scuri allineati . Nessuno dei Proci riesce a tendere l'arco di Ulisse ; interviene allora Ulisse stesso , che supera la prova e quindi insieme a Telemaco , stermina i Proci .
    Euriclea annuncia l'arrivo di Ulisse a Penelope , che lo riconosce soltanto quando le racconta come ha costruito il loro letto nuziale .
    Ulisse incontra , infine , il padre Laerte ; stringe quindi un patto di pace col suo popolo .

    --------------------------------------------------------------------------------------------

    RIASSUNTO CAPITOLI

    1 proemio-il concilio degli dei:Atena presagisce il ritorno di odisseo -atena va a Itaca e consiglia a Telemaco di recarsi a pilo e sparta x chiedere notizie del padre-telemaco rimprovera i proci
    2 Atena sotto le sembianze di mentore compare a Telemaco-telemaco si prepara per partire-parte
    3 Telemaco giunge a pilo-Nestore chiede a Telemaco del suo viaggio e racconta il ritorno degli eroi greci da troia-nestore dice a Telemaco di uccidere i proci-nestore racconta l’uccisione di Agamennone per mano di Egisto e la vendetta di oreste-nestore offre a Telemaco ospitalità- sacrificio a atena-partenza x sparta
    4 Telemaco e pisistrato alla reggia di menelao-elena riconosce Telemaco e pisistrato rivela che e’ il figlio di u7lisse-elena e menelao narrano le imprese di odisseo .menelao narra il suo incontro con proteo-menelao invita Telemaco a romene
    5 nuovo concilio degli dei- descrizione della grotta di calipso-hermes rivela a calipso il volere di giove-calipso annuncia a odisseo la sua decisione-odisseo si costruisce la zattera-calipso se ne va,odisseo parte-tempesta e naufragio-minerva calma la tempesta-odisseo approda sull’isola dei feaci e si riposa sotto un albero
    6 Atena appare in sogno a nausicaa-nausica chiede al padre il permesso di recarsi al fiume x lavare le sue vesti.nauscia al fiume lava le vesti e gioca con le ancelle-x volere di Atena trova e soccorre odisseo e lo accompagna in citta’
    7 nausica torna a palazzo e dopo giunge anche odisseo-descrizione della reggia e del giardino di alcinoo-odisseo chiede aiuto ad arte-odisseo e’m accolto con ospitalita’ da alcinoo-alcinoo promette ad odisseo il ritorno in patria
    8 primo canto di demodoco(trappola di efesto)-odisseo parla con nausicaa-nuovo banchetto x odisseo e nuovo canto di demodoco(il cavallo di troia)-odisseo piange e alcinoo chiede ad od chi e’
    9 odisseo si rivela ad alcinoo-racconta il suo viaggio:I CICONI-I LOTOFAGI-I CICLOPI-POLIFEMO:la sua grotta ,l’uccisione dei compagni,l’accecamento, uscita di odisseo e dei compagni dalla grotta camuffati da capre-odisseo schernisce poliremo.
    10 La reggia di EOLO(dono dei venti i compagni aprono l’otre)-i LESTRIGONI-l’isola di circe-i compagni trasformati in porci-odisseo da circe-liberazione dei compagni-la partenza-la morte di elpenore
    11 Il viaggio dei regni dei morti(ordinato da circe)il sacrificio agli dei inferi-l’ombra di elpenore-l’ombra di tiresia e la sua profezia-l’ombra di anticlea-le ombre degli eroi di troia
    12 Ritorno all’isola di circe e funerali di elpenore-i consigli di circe-l’isola delle sirene(odisseo legato ascolta il loro canto)-scilla e cariddi-l’isola dee del sole-uccsione delle capre sacre al sole-la vendetta di zeus-atena trasforma Odisseo i mendico
    13 Il risveglio di odisseo a itaca-atena appare ad odisseo e si rivela-atena trasforma odisseo in un mendico
    14 odisseo nella capanna di eumeo lo accoglie con ospitalità)-odisseo predice il ritorno del re e inventa una fantasia sulla sua storia
    15 Atena suggerisce a Telemaco di tornare ad itaca-telemaco si congeda da menelao-l’aquila-arriva a fera e pilo-telemaco accoglie sulla nave l’indovino teoclimeno-odisseo chiede notizie a eumeo di anticlea e laerte-eumeo gli racconta la sua vita-telemaco arriva a Itaca via terra)x paura di insidie dei proci)
    16 telemaco giunge da eumeo e chiede notizie dell’ospite-gli offre la sua protezione.odisseo si rivela a Telemaco-ordiscono insieme la strage dei proci
    17 Odisseo ed eumeo scendendo verso la reggia incontrano il capraio infedele melanzio-odisseo e argo- odisseo nella reggia-antonoo colpisce odisseo con uno sgabello-penelope vuole conoscere il mendico x chiedergli di odisseo
    18 odisseo contende con iro il posto di mendico alla reggia-lottano-vince odisseo
    19 odisseo ordina a Telemaco di togliere le armi dalla sala-l’ancella infedele melanto insulta odisseo-il colloquio con Penelope.euriclea lava e riconosce odisseo-fine del colloquio con Penelope
    20 odisseo veglia e chiede ad atena aiuto per la strage dei proci.penelope veglia e chiede la morte ad artemide-melanzio insulta di nuovo odisseo-filezio e’ cortese con odisseo-i proci e il loro ultimo banchetto-ctesippo scaglia una zampa di bue contro odisseo-teoclimeno prevede la prossima strage dei proci che ridono invasati da atena
    21 Penelope propone ai pretendenti la prova dell’arco e lo va a prendere-telemaco no riesce a tendere l’arco-tutti i proci provano a tendere l’arco-odisseo si rivela a eumeo e filezio(gli chiede di aiutarlo)-odisseoi chiede di provare <a tendere l’arco-ulisse tende l’arco e vince la prova
    22 Odisseo uccide antinoo- odisseo chiama euriclea e le impedisce di esultare sui morti
    23 euriclea annuncia a Penelope il ritorno di odisseo e l’uccisione dei proci-penelope dubbiosa-ulisse ordina canti e danze x allontanare il sospetto della strage-odisseo viene riconosciuto da Penelope con la prova del letto-odisseo narra la profezia di tiresia-ulise e Penelope vanno a letto e la notte viene allungata da atena.ulisse va da Laerte con Telemaco eumeo e filezio
    24 ares conduce nell’ade le anime dei proci-alle ombre di Agamennone Achille e altri viene narrata la fine dei proci da anfimedonte-odisseo si rivela a Laerte –gli tacesi tentano di rivendicare i morti-atena ristabilisce la pace tra odisseo e il suo popolo

    ------------------------------------------------------------------------------------------


    Scheda di analisi sull’Odissea


    1) La struttura dell’Odissea; il proemio.
    L’Odissea con i suoi 12011 versi suddivisi in 24 libri, si presenta articolata in macrosequenze: dopo un Proemio iniziale, un concilio degli dèi sull’Olimpo mette a fuoco la situazione iniziale. Siamo ormai nel decimo anno della fine della guerra di Troia: Odisseo è l’unico acheo al quale l’odio di Poseidone ha negato il ritorno. Dopo lunghe peripezie si trova ora a Ogigia, trattenuto contro la sua volontà dalla ninfa Calipso. Intanto nella sua terra, Itaca, sua moglie Penelope e suo figlio Telemaco sono insidiati dai Proci. L’intervento di Atena sblocca la situazione: Zeus invia Ermes da Calipso per ordinarle di lasciar partire Odisseo, mentre la dea scende a Itaca per consigliare Telemaco.
    Il lungo vagare per mare occupa meno di un terzo dell’opera e si configura come un lungo flash-back: è Odisseo, narratore interno alla storia che rievoca per il pubblico dei Feaci le sue precedenti avventure. Gli eventi sono disposti nel poema in un ordine (intreccio) che non è quello cronologico della successione naturale o consequenziale dei fatti. E’ la cosiddetta struttura ad anello scandita dall’intersecarsi di piani temporali diversi, in cui il punto di partenza coincide con quello di arrivo: dal presente (viaggi di Telemaco, partenza di Odisseo da Ogigia e suo arrivo a Scheria), al passato (racconti di Odisseo ai Feaci), di nuovo al presente (ritorno dell’eroe a Itaca, strage dei pretendenti). Il poema risulta quindi diviso in due parti: i viaggi paralleli di Odisseo e Telemaco (canti I-XII); la preparazione e l’attuazione della vendetta sui Proci (canti XIII-XXIV).

    2) Odisseo, una nuova figura di “eroe”
    I temi presentati attraverso il nuovo eroe sono la curiosità, la voglia di conoscere e l’intraprendenza. Tali ideali sono tipici dell’uomo greco che, uscito dal Medioevo Ellenico, intraprende nuovamente la strada del commercio, abbandonata da tanto tempo, con rinnovato interesse e voglia di rinascere e di scoprire.
    Egli possiede caratteristiche differenti dall’eroe dell’Iliade. Un eroe come Achille, è stato definito monotropos -cioè unidirezionale. La sua unica aspirazione è infatti quella di combattere e vincere.
    Ad Odisseo si possono invece attribuire aggettivi fra i più positivi e particolari, come polutropos -cioè multiforme, polutlas -cioè che ha molto sopportato e polumekanos -cioè che ha molti espedienti e molte risorse.
    Egli è multiforme perché possiede virtù che non riguardano solo la sfera militare, ha molte risorse perché ha esperienza, è saggio e ha sopportato.
    Un verbo che compare molto spesso nell’Odissea è il verbo “trattenere”, nelle sue varie forme: l’attiva, la passiva e la riflessiva.
    Ulisse infatti incontra continuamente personaggi che intendono trattenerlo, ma è grazie alle sue risorse e alla sua saggezza che egli non è mai trattenuto. Ed egli non è trattenuto anche perché sa trattenersi! Egli, a differenza degli altri eroi, è riflessivo e capisce che ciò che gli accade e la posizione che la sua vita assume non dipende dal destino, o almeno non totalmente, ma dal modo in cui egli stesso decide di agire.
    Tutto ciò, che può sembrare ovvio ai giorni nostri, cela invece una profonda e apprezzabile evoluzione che rende Ulisse così importante e così ammirato.
    Ciò che egli fa è in contrasto con l’ idea dell’eroe che crede che tutto dipenda dalla divinità e che ira, felicità, passioni e capacità derivino dalle intenzioni degli dei.

    3) Il tema della famiglia e della comunità


    4) La società descritta nel poema: gli aristoi e gli altri
    Aedo = Ogni corte regale disponeva di un cantore ufficiale chiamato a intrattenere gli ospiti del padrone di casa. Gli aedi erano quindi figure inserite in modo stabile nella comunità e occupavano nella gerarchia sociale una posizione nettamente subalterna rispetto alla classe aristocratica dominante. Femio infatti è costretto suo malgrado a cantare per i Proci, alla cui autorità appare sottomesso e, pur essendo un “divino” cantore, non è esente da minacce di morte: Telemaco durante la strage finale intercede presso suo padre Odisseo per salvargli la vita, testimoniando così la sua fedeltà. Demodoco gode di grande considerazione presso i Feaci, ma è pur sempre un prestatore d’opera che deve adeguarsi alle richieste del re.

    Eumeo = Dal punto di vista narrativo Eumeo rappresenta il tipo del servo fedele e pio, che fa della devozione al padrone e del rispetto delle leggi dell’ospitalità il cardine dei suoi comportamenti. Tutto il discorso che Eumeo rivolge al suo ospite è intessuto di rimpianto per Odisseo e di dolore per la sorte amara che crede abbia avuto; di pari passo, mentre ricorda la abbondanza che regnava nella casa di Odisseo e ne rievoca la giustizia, stabilisce una netta linea di demarcazione tra passato e presente, tra buon governo e la liberalità del legittimo signore e le gravi colpe dei nuovi padroni, arroganti, privi di “timore dell’occhio divino” e del tutto inosservanti delle leggi. Eumeo non ha molto da offrire al vecchio mendicante, e se ne scusa lamentando le difficili condizioni in cui è costretto a vivere.

    Argo = Argo è il testimone muto delle tragedie della reggia ed è l’emblema di quella fedeltà degli umili su cui il re potrà contare. Abbandonato pieno di zecche su un mucchio di letame, il cane è il simbolo dell’incuria nella quale sono lasciati gli averi dell’eroe. Nella condizione del suo cane, quindi Odisseo che ha ammirato l’ordine del recinto e delle stalle di Eumeo e l’efficienza del servo fedele che lavora anche senza l’occhio vigile del padrone, vede ora anticipati concretamente gli effetti brutali dell’infedeltà dei suoi servi e le conseguenze dell’atmosfera di abbandono delle regole che è stata determinata dalla presenza dei Proci. L’intermezzo dell’incontro con Argo è quindi una sequenza nella quale si articola il tema della fedeltà, che è centrale negli ultimi libri dell’Odissea

    Euriclea = E’ la serva fedele e la dispensiera che ha procurato, nel segreto più assoluto, le provviste per il viaggio di Telemaco a Sparta e Pilo; è colei che ha sostenuto Penelope quando le hanno comunicato dell’agguato dei Proci al figlio, ed è inoltre la nutrice affettuosa che ha accolto con lacrime di gioia il giovane al suo rientro nella reggia.


    5) I sentimenti presenti nel poema.
    Efebia = (Libri I-IV) Si vede Telemaco diventare, dopo il colloquio con Mente/Atena, consapevole del proprio ruolo, lo vediamo zittire la madre, assumere le responsabilità di capo della casa e lanciare la propria sfida ai Proci. In altri termini egli ha intrapreso il percorso iniziatici di passaggio dallo stato adolescente a quello di uomo, sta realizzando cioè la sua efebia.

    Odisseo = L’avventura nella caverna del Ciclope è uno dei passi in cui l’eroe protagonista del poema si presenta con quei tratti distintivi che ne hanno fatto una figura emblematica. Egli è mosso da un desiderio di conoscere il mondo e le genti che lo popolano. E’ ardimentoso, determinato, astuto; si presenta quindi come sintesi tra coraggio e intraprendenza del viaggiatore che percorre mondi sconosciuti.
    Vendetta = il primo a essere punito è Antinoo, capo e portavoce dei Proci, che la morte coglie beffarda mentre sta consumando l’ennesima coppa di vino non suo; poi è la volta di Eurimaco, secondo solo ad Antinoo per arroganza e quindi secondo a lui anche nella morte
    Ospitalità = L’ospitalità è un tema centrale nell’Odissea. Odisseo e i suoi compagni naviganti che percorrono rotte sconosciute nel tentativo di ritornare in patria giungono presso popolazioni o singoli a cui chiedono aiuto e accoglienza. Quando le loro richieste vengono accolte, essi vivono una esperienza positiva; quando la richiesta è negata, patiscono mali e feroci disavventure. Polifemo e i Lestrigoni, che non accolgono né rispettano gli stranieri, sono primitivi, selvaggi, empi; al contrario i Feaci che consentono a Odisseo di ritornare a Itaca e lo colmano di doni ospitali, sono il prototipo del popolo civilizzato che vive nella concordia e nell’armonia delle leggi.

    6) L’elemento magico, meraviglioso e mostruoso nel poema
    Il prodigio = Sono molti i canali attraverso i quali gli dèi mandano segnali agli uomini: bagliori improvvisi e inspiegabili, tuoni terrificanti, fulmini, serpenti mostruosi, apparizioni. Tra questi Omero riserva uno spazio rilevante al volo degli uccelli e ai loro comportamenti. Ogni divinità privilegia particolari specie (la colomba è legata a Venere, la civetta ad Atena…), ma gli uccelli rapaci hanno un ruolo preminente. Quando essi poi aggrediscono oche o colombe, il messaggio diventa abbastanza chiaro, e tutti sanno che un presagio di morte o di vendetta sovrasta qualche empio impunito. Per essere un prodigio deve anche avvenire in momenti particolare. Le due aquile che volteggiano sopra l’assemblea a Itaca aggredendosi con gli artigli sono interpretate dall’indovino Aliterse come il fatto che Odisseo tornerà, il giovane Telemaco gode ufficialmente del favore di Zeus e gli Itacesi dovranno tenerne conto.

    La metamorfosi = La capacità di mutare forma e natura è una manifestazione tipica del meraviglioso.
    La navigazione di Odisseo verso Itaca si svolge sotto il segno della presenza divina; le condizioni del viaggio sono cioè una manifestazione del “meraviglioso” del poema. Quando salpa da Ogigia, infatti, le vele si tendono e la zattera procede sicura e spedita perché Calipso ha mandato un vento propizio e leggero che dopo 18 giorni di tranquilla navigazione, consente all’eroe di giungere in vista di Scheria. Viceversa quello di Poseidone è un ribaltamento: la scena del naufragio è apocalittica: solo un ennesimo intervento divino, quello di Ino Leucotea, garantisce la salvezza del naufragio a cui fornisce il corrispettivo del “mezzo magico”: il velo che gli consente di galleggiare.

    La terra di Utopia = La scena dell’ingresso dell’eroe nel palazzo di Alcinoo è immersa in un’atmosfera magica: Odisseo osserva non visto perché lo circonda una nube creata da Atena; la reggia, con lo sfarzo delle sue strutture e degli oggetti che la impreziosiscono, è il palazzo più bello e più favoloso descritto nell’Odissea. La reggia e il giardino di Alcinoo acquistano così le connotazioni di un Eden perduto ma possibile, forse l’unico desiderabile.

    Ciclope = Meraviglioso per gli antichi è ogni portento che suscita in positivo stupore e ammirazione o che suscita in negativo terrore e ribrezzo. Il meraviglioso in questa avventura assume i tratti dell’orrido grazie ad alcuni particolari macabri che il poeta-narratore dissemina nel testo.
    La sfida che Odisseo lancia al Ciclope antropofago è una riedizione del tema della lotta tra Bene e Male, tra razionalità e animalità. I ciclopi sono esseri che non rispettano le norme comuni né le leggi degli dei, e neppure conoscono le assemblee, emblema di una vita sociale organizzata. A queste valenze negative si aggiunge anche la brutalità del personaggio: Polifemo è empio e pecca di tracotanza perché calpesta le leggi dell’ospitalità. Per tutto questo complesso di implicazioni la sconfitta di Polifemo diventa l’esaltazione delle capacità dell’intelligenza umana e delle potenzialità della civiltà. Tutto ciò è personificato in Odisseo.

    L’isola galleggiante di Eolo = L’isola di Eolo pare un prodigio della natura e degli dèi; ha caratteristiche morfologiche straordinarie; la reggia che vi sorge ha i contorni del fiabesco e la vita concorde e felice che vi si conduce tra banchetti appartiene alla dimensione del meraviglioso. Ogni particolare descrittivo rimanda a un’idea di ricchezza, di benessere: la discendenza di Eolo è composta da 3 figli e 3 figlie sposati tra di loro che vivono nell’agiatezza e nell’armonia reciproca. L’isola rappresenta quindi un mondo immaginario e mitico, l’unico mondo nel quale l’uomo vede realizzati le sue aspirazioni e i suoi desideri più profondi: il benessere fisico, l’abbondanza, la pace, la serenità, la felicità.

    La magia = Nel libro X domina il tema della magia. Chi ha poteri magici riesce a comunicare con le forze nascoste nelle diverse forme della natura e, se vuole, può influenzarle e può modificare, attraverso la metamorfosi, le manifestazioni esteriori della natura stessa. La magia aleggia in tutta l’isola Eea: i compagni di Odisseo la percepiscono nell’innaturale comportamento di lupi e leoni che stazionano attorno alle case di Circe, ma non ne hanno consapevolezza tanto che, ammaliati dal canto e dalle arti della maga, subiscono la trasformazione in porci. Contro i poteri di Circe, le sue bacchette magiche e i filtri funesti, non sono sufficienti virtù umane come il coraggio e l’intelligenza, ma è necessario il potere di un altro dio, Ermes. Come lei, Ermes ha una verga magica con la quale addormenta e risveglia gli uomini e conosce erbe dai poteri sconosciuti ai mortali: i consigli e gli avvertimenti del dio e l’erba moly, l’antidoto agli incantesimi di Circe, permettono quindi a Odisseo di scampare alla sorte dei suoi compagni.

    Le sirene; Scilla e Cariddi = Nell’episodio delle sirene non c’è una descrizione di queste creature, probabilmente già note all’uditorio in quanto presenti nei miti e nei racconti degli Argonauti. La tradizione le rappresentava come donne-uccello, ma Omero ne fa creature indefinite che, adagiate su un prato fiorito, cantano un canto dolce come il miele. Il compito di tratteggiarne il fascino e il pericolo è affidato ancora alle parole di Circe che istruisce l’eroe prima che lasci Eea (XII, vv. 39-46). Esse sono seducenti e ammaliatrici, ma insieme sono portatrici di morte. Il meraviglioso si colora decisamente di tinte fosche nella figura di Scilla, il mostro a cui, su consiglio di Circe, Odisseo espone se stesso e i compagni pur di sfuggire al gorgo di Cariddi. La rappresentazione di Scilla rientra nei canoni dell’orrido. Circe la definisce “terribile, atroce, selvaggia, imbattibile” (v.119); è una creatura gigantesca dalle sei teste canine e dalle sei gole che divora un uomo con ognuna delle sue fauci, ottenendo così uno spaventoso tributo di sangue per qualunque nave si avventuri in quello stretto passaggio di mare.

    7) La presenza degli dei
    Il concilio degli dei = La prima scena del poema si svolge nella reggia di Zeus sull’Olimpo dove gli dèi sono riuniti in assemblea. La storia narrata prende le mosse da un intervento divino; in entrambi i poemi, più marcatamente nell’Iliade, sono quindi i concili degli dei con le loro decisioni l’elemento propulsore che rilancia la storia e l’azione. Gli dei infatti, secondo la concezione degli antichi Greci, possono determinare gli eventi umani ponendo ostacoli sulla strada dei mortali (come fa Poseidone perseguitando Odisseo) oppure, al contrario, proteggendoli e favorendoli. Essi sono tenuti comunque a rispettare il destino che il Fato ha stabilito per ogni singolo uomo. Nell’Odisseo il Fato appare meno incombente e vessatorio di quanto non sia stato nell’Iliade, e questo per due ragioni: l’atteggiamento del protagonista, Odisseo, che non cessa mai di lottare contro le avversità e non si rassegna al “non ritorno”, e un probabile spiraglio intervenuto nella rigida concezione fatalistica del poeta, così come si ricava dalle parole di Zeus.

    8) Analogie e differenze con l’Iliade
    L'Iliade è composta da 24 canti secondo la tradizionale divisione Ellenistica.

    Alcuni di questi 24 libri contengono parti del racconto della guerra di Troia: Aristotele nella sua "POETICA" sostiene che Omero non pretese di mettere in versi TUTTA la guerra ma di evidenziare solo le fasi più salienti di essa enfatizzandoli con la sua unica forma stilistica.

    L'Iliade racconta in tutto 50 GIORNI di guerra:

    9 GIORNI: riassunti (quelli della peste)
    12 GIORNI: Zeus presso gli Etiopi
    12 GIORNI: il corpo di Ettore maltrattato da Achille furibondo
    9 GIORNI: riti per la morte di Ettore.

    Tutti i libri sono percorsi da due linee essenziali che si intrecciano tra loro:
    IRA
    TEMA DELLA GUERRA

    1° LIBRO:
    PESTE
    IRA DI ACHILLE (Achille esce in battaglia)
    MOTIVAZIONE DELLA PESTE (in ANALESSI)

    2°-8° LIBRO:
    EROI ACHEI > Diomede - La battaglia degli Dei.

    9° LIBRO:
    RICHIESTA AD ACHILLE DI TORNARE IN BATTAGLIA E RELATIVO RIFIUTO.

    10°-16° LIBRO:
    2° BATTAGLIA. PATROCLO IN BATTAGLIA (muore nel 16° libro)
    17°-19° LIBRO:
    DECISIONE DI ACHILLE DI RIENTRARE IN BATTAGLIA.

    20°-22° LIBRO:
    3° BATTAGLIA - UCCISIONE DI ETTORE

    23°-24° LIBRO:
    RISCATTO DEL CORPO DI ETTORE E SUOI FUNERALI.

    ODISSEA:
    1°-4° LIBRO:

    TELEMACHIA >Qui Odisseo, pur essendo l'oggetto della ricerca del figlio Telemaco, non viene mai citato direttamente.

    TELEMACHIA >TELEMACO SI DIRIGE PRIMA A PILO E POI DA MENELAO>L'elemento che domina i quattro libri è l'attesa

    5° LIBRO:
    * ODISSEO NELL'ISOLA DI OGIGIA - NINFA CALIPSO.
    * ARRIVA L'ORDINE DI ZEUS A CAUSA DEL QUALE CALIPSO È OBBLIGATA A LASCIAR PARTIRE ODISSEO.

    6° LIBRO:
    FEACI - NAUSICA
    Dal 6° AL 12° libro >APOLOGHI (ricostruzione degli episodi accaduti prima della Ninfa Calipso). >LOTOFAGI - CICLOPI - LESTRIGONI - CIRCE - DISCESA NELL'ADE - SIRENE - SCILLA E CARIDDI.

    13°-24° LIBRO:
    RITORNO DI ODISSEO AD ITACA
    PACIFICAZIONE GENERALE PER VOLONTÀ DI ATENA

    PACIFICAZIONE DOPO CHE ODISSEO UCCIDE TUTTA L'ARISTOCRAZIA (PROCI).

    L'Odissea unisce il genere della novella popolare (Odisseo si traveste da qualcun altro - Penelope e la sua tela - Penelope mette alla prova Odisseo) ai racconti di mare (descrizioni precise e particolareggiate di navi e rotte), ai racconti di "magia" (Sirene - Circe - Scilla e Cariddi) e alla vita quotidiana (Nausica ed i Feaci).
    In questo senso l'Odissea presenta molte più tematiche rispetto alle solo due, citate prima, dell'Iliade: Odissea > mondo della FIABA / IMMAGINARIO E QUOTIDIANO.
    L'elemento di continuità tra Iliade ed Odissea è ODISSEO.

    ILIADE > GLORIA
    (gli DEI qui incarnano vizi / virtù umane).

    ODISSEA > VITA
    (gli DEI qui incarnano le virtù morali, in particolare la GIUSTIZIA).
     
    Top
    .
  8. gheagabry
     
    .

    User deleted


    TELEMACO



    image



    Telemaco (in greco classico: Τηλέμαχος/ Têlémachos; latino: Telemachus), « che combatte lontano », con riferimento al padre) è un personaggio dell'Odissea. È il figlio di Ulisse e di Penelope.
    Secondo una versione della leggenda nacque il giorno in cui Ulisse partì per la guerra di Troia e dovette attendere ben 20 anni prima di rivederlo; essendo stato accudito dalla madre non ottenne la mascolinità che viene con l'età adulta. Secondo un'altra versione Telemaco nacque prima della partenza del padre tanto che, quando arrivarono ad Itaca Menelao e Diomede per convincere Ulisse (figlio di Laerte) ad andare a Troia, si finse pazzo: i due eroi greci lo andarono a trovare nei campi dove stava arando e misero il piccolo Telemaco in fasce davanti ai buoi; Ulisse dovette così fermarsi per non uccidere il figlio, manifestando così però la propria sanità mentale.

    I viaggi di Telemaco

    A Pilo e Sparta
    Nei primi 4 libri dell'Odissea (la cosiddetta Telemachia) va alla ricerca del padre su consiglio di Atena, presso le corti di Menelao a Sparta e Nestore a Pilo, scoprendo che Ulisse si trovava nell'isola di Ogigia decise di tornare a Itaca. Ma lì lo aspetta Antinoo, capo dei Proci, che medita di ucciderlo.

    image


    Poi il padre tornò a Itaca con l' aiuto di Alcinoo, re dei Feaci, sotto le sembianze di vecchio mendicante e con l' aiuto di Eumeo e caccia dalla sua casa i Proci.
    Durante il viaggio, Telemaco fu accompagnato da Atena, Dea della saggezza che aveva assunto la figura di aio o pedagogo con il nome di Mentore. Ancora oggi mentore è usato per indicare una guida saggia ed esperta.
    Secondo Aristotele e Ditti Cretese, Telemaco sposò Nausicaa e ebbe un figlio chiamato Persepolis o Ptoliporthus. Invece secondo la Telegonia, Telemaco sposò Circe dopo la morte del padre.
    Le tradizioni sulla sua morte variano a seconda degli autori; secondo una tradizione del tutto aberrante, Telemaco intraprese un viaggio via mare per raggiungere un luogo con i suoi compagni; mentre passava dalle coste della Campania incontrò le sirene, le ammaliatrici che invano avevano sedotto suo padre Ulisse molto tempo prima. Quando videro arrivare il figlio di colui che le aveva rifiutate, le fanciulle decisero di vendicarsi e s'avventarono furibonde sulla nave di Telemaco; sotto gli occhi sbalorditi dei compagni, lo uccisero e fecero scempio del suo cadavere, mutilandolo.
    L'altra versione, ovvero quella che vuole Telemaco sposo di Circe, racconta diversamente la vicenda: quando la maga scoprì che il suo figliastro-marito si era appena macchiato del sangue di Cassifone, figlia sua e di Ulisse, si vendicò e cercò di ucciderlo. Saputolo, Telemaco respinse l'attacco di Circe e la uccise con un colpo di spada; ma pentitosi del gesto tracotante, decise di uccidersi e ciò fece gettandosi giù da un'altissima rupe.
    Oppure fu la stessa Cassifone a uccidere il giovane, a causa della crudeltà che mostrò verso la madre Circe, uccidendola.

    Nell'Ulisse di James Joyce il personaggio di Telemaco è reinterpretato nella figura di Stephen Dedalus.
    Telemaco è anche il titolo di un melodramma su musiche di Christoph Willibald Gluck.
    Telemanco é una opera di Francesco da Paola Grua rappresentata a Monaco di Baviera nell`anno 1780.
    Nella Stagione del Carnevale del 1718, al Teatro Capranica di Roma, Alessandro Scarlatti presentò al pubblico romano il dramma per musica "Telemaco", su libretto di Carlo Sigismondo Capeci, dedicato al Conte di Gallas, Ambasciatore presso la Santa Sede dell'Imperatore d'Austria. Nel ruolo del protagonista, Telemaco, cantò Domenico Gizzi, Musico Soprano della Real Cappella di Napoli


    image


    * Telemaco, il figlio di Odisseo, era ancora un bambino quando suo padre era partito per la Guerra di Troia. Al momento in cui la narrazione dell'Odissea ha inizio, dieci anni dopo che la guerra stessa è terminata, Telemaco è ormai un uomo di circa vent'anni, e condivide la casa paterna con la madre Penelope e, suo malgrado, con un gruppo di uomini turbolenti ed arroganti, i Proci, che intendono convincere Penelope ad accettare il fatto che la scomparsa del marito è ormai definitiva e deve, di conseguenza, scegliere tra di loro un nuovo marito.


    * La dea Atena, che è la protettrice di Odisseo, in un momento in cui il dio del mare Poseidone (che invece è suo nemico giurato) si è allontanato dall'Olimpo, discute del suo destino con il re degli dei Zeus. Quindi, assunte le sembianze di Mente, re dei Tafi, va da Telemaco e lo esorta ad andare al più presto in cerca di notizie del padre. Telemaco le offre ospitalità e insieme assistono alle gozzoviglie serali dei Proci, mentre il cantastorie Femio recita per loro un poema. Penelope si lamenta del testo scelto da Femio, ovvero il "Ritorno da Troia"[1], perché le ricorda il marito scomparso, ma Telemaco si oppone alle sue lamentele.
    * Il mattino seguente Telemaco convoca un'assemblea dei cittadini di Itaca e chiede loro di fornirgli una nave ed un equipaggio. Accompagnato da Atena (che stavolta ha assunto le sembianze del suo amico Mentore) fa quindi vela verso la casa di Nestore, il più venerabile dei guerrieri greci che avevano partecipato alla guerra di Troia, che aveva fatto ritorno nella sua Pilo. Da qui Telemaco, accompagnato dal figlio di Nestore, Pisistrato, si dirige via terra verso Sparta, dove incontra Menelao ed Elena che si sono alla fine riconciliati. Gli raccontano che che erano riusciti a fare ritorno in Grecia dopo un lungo viaggio durante il quale erano passati anche per l'Egitto: lì, sull'isola incantata di Faro, Menelao aveva incontrato il vecchio dio del mare Proteo che gli aveva detto che Odisseo era prigioniero della misteriosa Ninfa Calipso. Telemaco viene così a conoscenza anche del destino del fratello di Menelao Agamennone, re di Micene e capo dei greci sotto le mura di Troia, che era stato assassinato dopo il suo ritorno a casa da sua moglie Clitennestra con la complicità dell'amante Egisto.

    * Intanto Odisseo, dopo svariate peripezie delle quali dobbiamo ancora apprendere, ha trascorso appunto gli ultimi sette anni prigioniero sulla lontana isola della Ninfa Calipso. Il messaggero degli dei Ermes la convince però a lasciarlo andare, e Odisseo si costruisce a questo scopo una zattera. La zattera, dato che il dio del mare Poseidone gli è nemico, fa inevitabilmente naufragio, ma egli riesce a salvarsi a nuoto toccando alla fine terra sull'isola Scheria sulla cui riva, nudo ed esausto, cade addormentato. Il mattino dopo, svegliatosi udendo delle risa di ragazze, vede la giovane Nausicaa che era andata sulla spiaggia accompagnata dalle sue ancelle per lavare dei panni. Odisseo le chiede così aiuto, ed ella lo esorta a chiedere l'ospitalità dei suoi genitori Arete e Alcinoo. Questi lo accolgono amichevolmente senza nemmeno, dapprima, chiedergli chi egli sia. Resta parecchi giorni con Alcinoo, partecipa ad alcune gare atletiche ed ascolta il cieco cantore Demodoco esibirsi nella narrazione di due antichi poemi.
    * Il primo narra di un altrimenti poco noto episodio della guerra di Troia, "La lite tra Odisseo ed Achille"; il secondo è il divertente racconto della storia d'amore tra due déi dell'Olimpo, Marte e Afrodite. Alla fine Odisseo chiede a Demodoco di continuare ad occuparsi della guerra di Troia, e questi racconta dello stratagemma del Cavallo di Troia, episodio nel quale Odisseo aveva svolto la parte dell'indiscusso protagonista. Incapace di dominare le emozioni suscitate dall'aver rivissuto quei momenti, Odisseo finisce per rivelare la sua identità, ed inizia a narrare l'incredibile storia del suo ritorno da Troia.
    * Dopo aver saccheggiato la città di Ismaro, nella terra dei Ciconi, lui e le dodici navi della sua flotta persero la rotta a causa di una tempesta che si abbatté su di loro. Approdarono nella terra dei pigri Lotofagi e finirono per essere catturati dal Ciclope Polifemo riuscendo a fuggire, dopo aver subito gravi perdite, con lo stratagemma di accecargli l'unico occhio con un tronco d'albero appuntito. Sostarono per un periodo alla reggia del signore dei venti Eolo, che diede ad Odisseo un otre di pelle che racchiudeva tutti i venti, un dono che avrebbe garantito loro un rapido e sicuro ritorno a casa. Purtroppo i marinai aprirono sconsideratamente l'otre mentre Odisseo dormiva: Tutti i venti uscirono insieme dall'otre, scatenando una tempesta che ricacciò le navi indietro da dove erano venute.


    * Pregarono Eolo di aiutarli nuovamente, ma egli rifiutò di farlo. Rimessisi in mare finirono per approdare sulla terra dei mostruosi cannibali Lestrigoni: solo la nave di Odisseo riuscì a sfuggire al terribile destino. Nuovamente salpati , giunsero all'isola della maga Circe, che con le sue pozioni magiche trasformò in maiali molti dei marinai di Odisseo. Il dio Ermete venne quindi in soccorso di Odisseo e gli donò un infuso a base di erbe magiche, utile come antidoto contro l'effetto delle pozioni di Circe. In questo modo egli costrinse la maga a liberare i suoi compagni dall'incantesimo. Ulisse diventò poi l'amante di Circe, tanto che restò con lei sull'isola per un anno. Alla fine, i suoi uomini riuscirono a convincerlo del fatto che era giunto il momento di ripartire.
    * Grazie anche alle indicazioni di Circe, Odisseo e la sua ciurma attraversarono l'Oceano e raggiunsero una baia situata all'estremo limite occidentale del mondo conosciuto. Lì, dopo aver celebrato un sacrificio in loro onore, Odisseo scese nel mondo dei morti, ed evocò lo spettro dell'antico indovino Tiresia affinché gli facesse da guida. Incontrò poi lo spettro di sua madre, che era morta di crepacuore durante la sua lunga assenza, ricevendo così per la prima volta notizie di quanto succedeva nella sua casa, messa in serio pericolo dall'avidità dei Proci. Incontrò poi molti altri spiriti di uomini e donne illustri e famosi, tra i quali il fantasma di Agamennone che lo mise al corrente del suo assassinio.


    * Quando tornarono all'isola di Circe questa, prima della loro nuova partenza, li mise in guardia sui pericoli che li attendevano nelle rimanenti tappe del loro viaggio. Riuscirono a fiancheggiare indenni gli scogli delle Sirene e passare in mezzo alla trappola rappresentata da Scilla, mostro dalle innumerevoli teste, e dal terribile gorgo Cariddi, approdando sull'isola Trinacria. Qui i compagni di Odisseo – ignorando gli avvertimenti ricevuti da Tiresia e Circe – catturarono ed uccisero per cibarsene alcuni capi della sacra mandria del dio del sole Elio. Questo sacrilegio fu duramente punito con un naufragio nel quale tutti, tranne Odisseo stesso, finirono annegati. Lui fu spinto dai flutti sulle rive dell'isola di Calipso, che l'aveva costretto a restare con lei come suo amante per sette anni. Solo da poco era riuscito ad andarsene.
    * Dopo aver ascoltato con grande interesse e curiosità la sua storia i Feaci, che sono un popolo di abili navigatori, decidono di aiutare Odisseo a tornare a casa: nottetempo, mentre è profondamente addormentato, lo portano ad Itaca approdando in un luogo nascosto. Da qui riesce a raggiungere la capanna di quello che era un tempo uno dei suoi schiavi, il guardiano di porci Eumeo. Odisseo decide di fingersi un mendicante, in modo di riuscire ad ottenere informazioni su quanto sta succedendo nel suo palazzo e nel suo regno. Dopo aver cenato insieme, racconta ai suoi contadini e braccianti una falsa storia della sua vita. Dice loro di essere nativo di Creta e di aver guidato un gruppo di suoi conterranei a combattere a Troia al fianco degli altri Greci, di aver quindi trascorso sette anni alla corte del re dell'Egitto e di essere alla fine naufragato sulle coste tesprote e da lì venuto ad Itaca.


    * Intanto Telemaco, che avevamo lasciato mentre si trovava a Sparta, fa vela verso casa e riesce a scampare ad un'imboscata tesagli dai Proci. Dopo essere sbarcato sulla costa di Itaca, va anche lui alla capanna di Eumeo. Finalmente il padre ed il figlio si incontrano: Odisseo si rivela a Telemaco (ma non ancora ad Eumeo) ed insieme decidono di uccidere i Proci. Dopo che Telemaco è tornato a palazzo per primo Odisseo, accompagnato da Eumeo, fa ritorno nella sua casa ma continua a restare travestito da mendicante. In questo modo osserva il comportamento violento e tracotante dei Proci, e studia il piano per ucciderli. Incontra anche sua moglie Penelope, che non lo riconosce, e cerca di capire le sue intenzioni raccontando anche a lei di essere cretese e che un giorno sulla sua isola aveva incontrato Odisseo. Incalzato dalle ansiose domande di Penelope, dice anche che di recente in Tesprozia ha avuto notizia delle sue più recenti avventure.
    * La vecchia nutrice Euriclea capisce la vera identità di Odisseo quando si spoglia per fare un bagno, mostrando una cicatrice sulla coscia che si era procurato da bambino, ed egli la costringe a giurare di mantenere il segreto. Il giorno dopo, su suggerimento di Atena, Penelope spinge i Proci ad organizzare una gara per conquistare la sua mano: si tratterà di una competizione di abilità nel tiro con l'arco ed i Proci dovranno servirsi dell'arco di Odisseo, che nessuno a parte lui stesso è mai riuscito a tendere. Nessuno dei pretendenti riesce a superare la prova e a quel punto, tra l'ilarità generale, quello che è creduto un vecchio mendicante chiede di partecipare a sua volta: Odisseo naturalmente riesce a tendere l'arma e a vincere la gara, lasciando tutti stupefatti. Prima che si riprendano dalla sorpresa rivolge quindi l'arco contro i Proci e, con l'aiuto di Telemaco, li uccide tutti. Odisseo e il figlio decidono poi di far giustiziare dodici delle ancelle della casa che erano state amanti dei Proci e uccidono il capraio Melanzio che era stato loro complice. Adesso Odisseo può finalmente rivelarsi a Penelope: la donna esita e non riesce a credere alle sue parole, ma si convince dopo che il marito le descrive alla perfezione il letto che lui stesso aveva costruito in occasione del loro matrimonio.


    * Il giorno dopo, insieme a Telemaco, va ad incontrare suo padre Laerte nella sua fattoria, ma anche il vecchio accetta la rivelazione della sua identità solo dopo che Odisseo gli ha descritto il frutteto che un tempo Laerte stesso gli aveva donato. Gli abitanti di Itaca hanno seguito Odisseo con l'intenzione di vendicare le uccisioni dei Proci loro figli: quello che sembra essere il capo della folla fa notare a tutti che Odisseo è stato la causa della morte di due intere generazioni di uomini ad Itaca, prima i marinai e coloro che l'avevano seguito in guerra dei quali nessuno è sopravvissuto, poi i Proci che ha ucciso con le sue mani. La dea Atena però interviene nella disputa e convince tutti a desistere dai propositi di vendetta.




    PENELOPE

    image



    PENELOPE, moglie d’Ulisse e re di Itaca – Dal greco Πηνελόπεια, -ας e
    successivamente Πηνελόπη -ης, mentre in dorico Πaνελόπa (il corrispettivo in latino è Pēnĕlŏpe, -es), Penelope è l’eroina dell’Odissea, o poema di Ulisse, uno dei due capolavori di Omero.Figlia di Icario e di Policaste, quando nacque, fu gettata in mare per ordine del padre, ma fu salvata da alcune anatre che la portarono alla spiaggia più vicina. Avendo interpretato il prodigio come la volontà degli dei, i genitori la ripresero e la chiamarono Penelope (in greco “anatra”).
    Madre premurosa di Telemaco e cugina Elena, moglie di Menelao (Μενέλαος) re di Sparta, deve la fama alla sua fedeltà ed allo stratagemma della tela. Avendo promesso ai proci, che avrebbe scelto marito al termine del lavoro per il sudario per Laerte, suo suocero, di notte disfaceva la tela che aveva tessuto di giorno. L’inganno le permise di attendere per altri quattro anni l’arrivo del marito, partito vent’anni prima per le spiagge
    di Troia. Quando una sua ancella, la tradì, i proci le imposero la scelta del marito. Fu l’arrivo di Ulisse a risolvere la situazione. L’eroe del cavallo uccise i proci arroganti e riportò l’amore nella vita della regina:

    Ma torvo riguardolli, e in questa guisa
    Favellò Ulisse: “Credevate, o cani,
    Che d’Ilio io più non ritornassi, e intanto
    La casa disertar, stuprar le ancelle,
    E la consorte mia, me vivo, ambire
    Costumavate, non temendo punto
    Né degli dèi la grave ira, né il biasmo
    Permanente degli uomini. Ma venne
    La fatale per voi tutti ultima sera”.
    ………………………………………….
    Tiraro indietro: Ulisse e i tre compagni
    Corsero, e svelser dagli estinti l’aste.
    Allor lanciaro novamente i proci
    Di tutta forza, e tutti quasi i colpi
    Nuovamente svïò Pallade amica.
    La gran soglia, la porta e la parete
    Li ricevette o li respinse: solo
    Anfimedonte tanto o quanto lese
    La destra di Telemaco nel polso,
    E appena ne graffiò la somma cute;
    E la lung’asta di Ctesippo, a Eumèo
    Lo scudo rasentando, e lievemente
    Solcandogli la spalla, il suo tenore
    Seguì, e ricadde sovra il palco morta.
    Ma non così dall’altra parte spinte
    Fûr contra i proci le pungenti travi.
    Quella del distruttor de’ muri Ulisse
    Fulminò Euridamante; Anfimedonte
    Per quella giacque del suo figlio: Eumèo
    Scontrò con la sua Pòlibo, e Filezio
    Ctesippo colse con la sua nel petto,
    E su lui stette alteramente, e disse:
    “Politersìde, degli oltraggi amante,
    Cessa dal secondar la tua stoltezza,
    Con vana pompa favellando, e ai numi
    Cedi, che di te son molto più forti.
    Questo è il dono ospital di quello in merto,
    Che al nostro re, che mendicava festi:
    Alla zampa del bue l’asta rispose”.
    Così d’Ulisse l’armentario illustre.
    In questo mezzo di Laerte il figlio
    Conquise il Damastoride da presso
    Di profonda ferita; e a Leocrito
    Telemaco piantò nel ventre il telo,
    Che delle reni fuor gli ricomparve.
    L’Evenorìde stramazzò boccone,
    E la terra batté con tutto il fronte.
    Pallade allor, che rivestì la diva,
    Alto levò dalla soffitta eccelsa…”
    (Omero – Odissea – L. XXII – ww 332-370)




    Fin dalla storia antica e dai racconti mitologici, le donne greche hanno suscitato grandi emozioni. Tutti noi ricorderemo per sempre Elena, la bellissima moglie di Menelao re di Sparta, rapita dal principe troiano Paride e per questo causa della guerra cantata da Omero. Altrettanto indimenticabile è la figura di Penelope, moglie di Ulisse e regina di Itaca. Di lei rimane proverbiale la scaltrezza e l’immensa pazienza nell’aspettare il ritorno del marito. Pur se alcune analisi storiche ne mettono ora in dubbio la fedeltà tanto decantata (si vedano alcune opere della professoressa Eva Cantarella, nota esperta di storia e diritto greco), Penelope e la sua tela mai completata sono arrivate fino a noi e saranno tramandate alle future generazioni. I racconti dell’antica Grecia ci obbligano a chiamare in causa la perfida Clitennestra, moglie di Agamennone re di Micene e capo delle truppe greche nella guerra di Troia, la quale ordì un complotto con l’amante Egisto per uccidere il marito.

    .
     
    Top
    .
  9. tappi
     
    .

    User deleted


    GRAZIE GABRY
     
    Top
    .
  10. gheagabry
     
    .

    User deleted




    LE SIRENE




    Le Sirene (dal latino tardo sirena - pl.: sirenae; derivato dal greco Σειρήν seirēn - pl.: Σειρῆνες seirēnes) sono delle figure mitologico-religiose greco-romane.
    L'origine letteraria della figura delle Sirene è nell'Odissea di Omero dove vengono presentate come cantatrici marine abitanti un'isola presso Scilla e Cariddi, le quali incantavano, facendo poi morire, i marinai che incautamente vi sbarcavano. Odisseo, consigliato da Circe:

    « Tu arriverai, prima, delle Sirene, che tutti
    gli uomini incantano, chi arriva da loro.
    A colui che ignaro s'accosta e ascolta la voce
    delle Sirene, mai più la moglie e i figli bambini
    gli sono vicini, felici che a casa è tornato,
    ma le Sirene lo incantano con limpido canto,
    adagiate sul prato: intorno è un mucchio di ossa
    di uomini putridi, con la pelle che raggrinza »

    (Omero. Odissea XII, 39-46)



    Omero non descrisse l'aspetto fisico delle Sirene; a tal proposito si è presupposto che ciò sia dovuto alla consapevolezza di Omero che il proprio uditore conoscesse le forme di queste creature grazie ad altri racconti mitici come le avventure di Giasone e degli Argonauti.
    Apollonio Rodio riprende quindi la narrazione delle Sirene figlie di Acheloo (in altre fonti di Forco[4]) che, come ricorda Károly Kerényi[5], era la divinità fluviale e marina, figlia di Teti e di Oceano[6] ma che Omero[7] pose una volta davanti allo stesso Oceano "origine di tutte le cose".
    Libanio, nella Progymnasmata IV, ricorda che Eracle aveva staccato un corno al dio acquatico quando lottò con lui per conquistare l'affascinante Deianira, e dalle gocce di sangue cadute dalle ferite provocate al Dio erano nate le sue figlie, le Sirene[8].
    Un'altra tradizione, riportata da Pseudo-Apollodoro, le vuole figlie di Acheloo e di Melpomene, una delle Muse:

    « Le Sirene erano figlie di Acheloo e di una delle Muse, Melpomene; si chiamavano Pisinoe, Aglaope e Telsiepia. Una di esse suonava la cetra, la seconda cantava, la terza suonava l'aulo: con questa musica persuadevano i navigatori a fermarsi. Dalle cosce in giù esse avevano la forma di uccelli. [...] Una profezia diceva che le Sirene sarebbero morte se una nave riusciva a passare: ed esse, infatti, morirono »
    (Pseudo-Apollodoro. Epitome VII, 19-20.)





    Seirēnes (Σειρῆνες), nome plurale femminile nella antica lingua greca, nella sua forma maschile significa "vespe" o "api", è collegato quindi alla figura di Penfredo una delle Graie, le "vergini simili a cigni". I pittori vascolari rappresentavano le Sirene anche come esseri maschili con la barba, e sia se fossero di forme maschili o femminili, si può individuare la loro natura per il corpo che richiama sempre quello di un uccello (con le parti inferiori a volte a forma di uovo) con una testa umana, a volte con braccia e mammelle, quasi sempre con artigli ai piedi, artigli non aventi però la funzione del rapimento, funzione propria delle Arpie, in quanto, altra caratteristica loro fondante, le Sirene sono strettamente collegate al mondo della musica, suonando la lira o il doppio flauto e accompagnandosi col canto.
    Le Sirene sono anche onniscienti e in grado di placare i venti, forse con il loro canto, cantando le melodie dell'Ade.

    George M.A. Hanfmann ricorda che questo stretto collegamento con il mondo dei morti, testimoniato soprattutto dal fatto che fin dai tempi più antichi le loro immagini fossero a corredo delle tombe, fa supporre ad alcuni autori che le Sirene fossero in origine degli uccelli in cui trovavano dimora le anime dei defunti.
    Con la identificazione delle località omeriche, in età antica si ritenne che le Sirene abitassero l'Italia meridionale. Strabone, in Gheographikà I,22, ci dice che i popoli marinari di Napoli, Sorrento e della Sicilia, le veneravano.
    Il loro corpo, per metà donna e metà uccello sarebbe frutto di un incantesimo vendicativo da parte di Afrodite disprezzata dalle vergini Sirene per i suoi amori. Un'altra tradizione le vuole punite da Demetra per non aver impedito il ratto della figlia Persefone da parte di Ade mentre insieme coglievano dei fiori.
    Ovidio, nelle Metamorfosi, offre una spiegazione poetica alla loro natura e al loro destino: esse non furono punite da Demetra, ma le stesse Sirene chiesero di essere trasformate in uccelli per cercare in volo l'amica perduta.

    « Lui certo può essersi meritato il castigo parlando
    troppo e facendo la spia; ma voi, figlie dell'Acheloo, da da dove vengono
    piume e zampe d'uccelli, quando avete volto di donna?
    Forse perché Proserpina coglieva i fiori
    primaverili, eravate nel numero delle sue compagne,
    dotte Sirene? Dopo che inutilmente l'avete cercata per tutto il mondo,
    avete desiderato, perché il mare sentisse la vostra pena
    di potervi fermare sulle onde col remeggio delle ali,
    e avendo il conseso degli dèi, avete visto
    improvvisamente i vostri arti fiorire di penne;
    ma perché il vostro canto, nato a blandire le orecchie,
    e il tesoro della vostra bocca non perdesse l'uso
    della lingua, vi restò volto di vergini e voce umana »

    (Ovidio. Metamorfosi V, 555-563.)





    Vi sono due tradizioni apparentemente contraddittorie, quindi, su queste figure mitiche: una le vuole mortifere e dannose per gli uomini, mentre l'altra le indica come consolatrici per gli stessi rispetto al proprio destino e, soprattutto, alla morte. Da notare, tuttavia, che nel primo caso nulla indica una loro natura volutamente crudele, bensì è il loro destino e la loro funzione di cantatrici/incantatrici ad essere disastroso per gli uomini.
    Ma 'cosa' cantano le Sirene di così struggente e mortifero per gli esseri umani?

    « Vieni, celebre Odisseo, grande gloria degli Achei,
    e ferma la nave, perché di noi due possa udire la voce.
    Nessuno è mai passato di qui con la nera nave
    senza ascoltare con la nostra bocca il suono di miele,
    ma egli va dopo averne goduto e sapendo più cose »

    (Omero. Odissea XII, 184-8)




    « Si dice che a queste parole Odisseo abbia voluto sciogliere i vincoli che lo legavano, ma i suoi compagni lo abbiano legato ancora più saldamente. E non si potrebbe stupire di un simile effetto del canto, poiché le Sirene si presentavano con tali parole come dee oracolari onniscienti, quali forse effettivamente erano nei luoghi dove si tributava loro un culto. Non di meno però esse erano le dee della morte e dell'amore a servizio della dea degli Inferi. In un certo qual modo la dea del regno dei morti era essa stessa morta. Le Sirene servivano la morte e dovevano morire esse stessa-così diceva un racconto- se la nave passava vicino e un equipaggio non cadeva loro preda. Esse si uccisero quando Odisseo e i suoi compagni poterono salvarsi »
    (Károly Kerényi. Op.cit. pag.58)





    « E' un canto che è una promessa: se si fermerà presso di loro, se ne andrà "sapendo più cose". Le Sirene, pur consapevoli della loro voce di miele, sanno che è irresistibile, per gli uomini che arrivano a sentirla, non tanto è la dolcezza del canto, quanto il conoscere il proprio passato e sapere "ciò che accade nella terra ferace". Così è stato per tutti coloro che si sono accostati alla loro isola: si sono fermati... Sembra al di fuori delle loro intenzioni trattenere per sempre gli uomini che hanno accettato il loro invito: mentono o, incoerenza del mito che le vuole onniscienti, non sanno che il desiderio di "sapere più cose" ha portato tutti coloro che si sono fermati presso di loro per soddisfarlo a dimenticare gli affetti familiari, a trascurare tutto ciò che ha a che fare con la vita, fino a lasciarsi morire: sembrano non rendersi conto che, dal mare, si possono vedere tra i fiori, le loro ossa e loro membra imputridite... La bella voce è solo l'involucro della vera tentazione delle Sirene omeriche: "sapere più cose". E' la tentazione "originaria" dell'onniscienza. Cedere a questa tentazione, assecondare, in modo assoluto, questo desiderio porta a rompere i legami famigliari, a perdere la dimensione sociale e civile, a morire. Per questo Omero le condanna. Per questo l'eroe deve fuggirle, non deve interrompere il suo nóstos »
    (Alessandra Tarabocchia Canavero. Op.cit. pag.133)



    Nel libro XII dell’Odissea viene raccontato un famoso episodio: l’episodio nel quale Odisseo ascolta il canto delle sirene.
    A partire dal verso 153 Odisseo ripete i consigli datigli da Circe ai compagni e, quando si avvicinano all’isola dove vivono le sirene, essi le mettono in pratica: si tappano le orecchie mentre legano Odisseo all’albero della nave perché egli possa sentire il canto delle sirene senza essere attratto e finire per morire sull’isola delle sirene.
    Questo avviene in un orario che potremmo definire significativo, ossia l’ora più calda del giorno (il primo pomeriggio), perché è un momento in cui si è stanchi (i compagni di Odisseo stanno sulla barca a navigare sotto il sole cocente) e quindi in un certo senso senza qualunque difesa naturale, in questo caso contro il canto ingannevole delle sirene che attirano e poi provocano la morte di chi si fa irretire.
    In un certo senso potremmo anche dire che l’ora del calore è anche quella delle passioni amorose, che sono una parte dell’attrazione provocata dalle sirene.
    Non dobbiamo però pensare alle sirene secondo il modello medioevale che è per noi entrato nella mentalità, ma a donne con ali d’uccello, fonti d’attrazione fatale.
    Esse sono spietate seduttrici ed essendo donne fuori dall’oikos (che non indica la casa in senso solo fisico, ma anche in senso lato l’insieme di ci ci sta attorno), fa notare in un’analisi la studiosa Eva Cantarella, sono sempre pericolose: si pensi ai precedenti incontri con Circe e Calipso. Questo ha già infatti portato ad una minor fiducia da
    parte di Odisseo per le donne, che si manifesterà apertamente con Ino Leucotea (nell’opera è raccontato prima ma accadrà cronologicamente dopo).
    Inizia quindi il loro canto, definito dall’autore “armonioso”, “divino” e “suono di miele”, che vuole attrarre in tutti i modi Odisseo calcando la mano sui suoi punti deboli: gli propongono una conoscenza illimitata (si ricordi che Odisseo è l’eroe che ha la maggior curiositas, ossia l’interesse ad aumentare sempre le proprie conoscenze ed a non lasciar nulla di non sperimentato) e di cantare delle gesta a Troia (e quindi di cantare la sua lode epica, mostrando la sua kleos, la fama).
    Quando Odisseo chiede di essere slegato lo legano in modo ancora più stretto.
    Poi se ne vanno e continuano il loro viaggio di ritorno per Itaca, che vivrà però molte altre peripezie.
    Da questa vicenda e dalle altre che lo caratterizzano maggiormente si può evincere un’immagine del personaggio che è Odisseo (l’Ulisse latino): la già citata curiositas è un elemento portante della sua vita e del suo modo di vedere il mondo: un “luogo” da cui trarre sempre novità e imparare qualcosa di nuovo.
    Da qui poi deriva anche il suo desiderio di andare sempre oltre i limiti, anche quelli posti dagli dei e posti dalla sua stessa natura umana, che porterà Dante a collocarlo nel suo Inferno.
    Altri aspetti possono essere la grande fiducia nei compagni (anche dopo i vari problemi che gli hanno provocato andando oltre gli ordini suoi e divini, come nell’episodio delle vacche del Sole che non potevano essere mangiate mentre loro lo fanno) e la volontà del ritorno
    che è sempre più forte in lui di ogni altro desiderio.
    Infatti è anche questo che lo porta a farsi legare per evitare di cedere al canto delle sirene, che va contro alla sua curiositas che forse gli direbbe di provare anche ad andare dalle sirene.
    Questo episodio può inoltre essere simbolicamente visto come un’anticipazione del finale, nel quale Odisseo sarà l’unico a salvarsi e qui è l’unico ad essere in grado di resistere al canto delle sirene, infatti tappa le orecchie degli altri.
    In queste particolarità nella caratterizzazione del personaggio e in parte anche nella marginalità degli eventi e delle figure incontrate (le sirene appunto), notiamo la modernità dell’Odissea rispetto all’Iliade.




    dal web
     
    Top
    .
  11.  
    .
    Avatar


    Group
    moderatori
    Posts
    19,944
    Location
    Zagreb(Cro) Altamura(It)

    Status
    Offline
    grazieee
     
    Top
    .
  12. gheagabry
     
    .

    User deleted




    Odissea. Viaggio del poeta con Ulisse


    Eolo ama contemplare alcuni alberi carichi di foglie arrossate dall'autunno, finché un giorno uno stormo di uccelli non le fa cadere. Eolo piange, ma Ulisse e i suoi compagni in breve tempo le riattaccano con l'aiuto del miele. Stravaganza o magia? Se penso che la pietra di Itaca che Ulisse carezzava è diventata ruvida perché nessuno più lo faceva da anni direi: innocenza.

    Tanto più che il tempo indefinito della convenzione epica lascia il posto a quello concreto della narrazione popolare: due mesi per riattaccare le foglie autunnali ai rami, vent'anni di mancate carezze alla pietra di Itaca, ben quattro ore (e un quarto) per tirare in città il cavallo di legno che avrebbe segnato la fine.

    Tempo concreto e preciso in cui Ulisse, smessi gli abiti dell'eroe, indossa quelli del pellegrino vinto dalla stanchezza e dalla nostalgia e si sistema accanto al fuoco, sopraffatto dal ricordo delle teste dei Troiani penzoloni fuori le mura per una guerra che non finiva mai uguali a quelle dei naufraghi che sgocciolavano acqua e sfinimento. È lì che Tonino Guerra lo incontra, dietro le quinte del poema omerico e a margine di poche figure emblematiche: il cavallo di legno, Polifemo, Circe, le sirene, i Feaci...

    Viene da pensare che se si ha una mamma che si chiama Penelope (come il nostro poeta) tutto sia possibile. Persino che Ulisse pianga per i giovani nemici morti sul campo e il tempo, in neanche un battito di ciglia, ricopra rovine e sentimenti d'erba e dimenticanza.

    "...e non ti veniva neanche da pensare che degli uomini e delle donne proprio lì, appena anni prima, ridevano insieme nel guardare un albero fiorito".

    O che il mare omerico, già proverbiale, diventi ancora più terribile. Di una «splendida cattiveria» che fa della barca qualcosa che va dove vuole lei, «un osso di pesca che va sott'acqua e torna su», «una piuma che scivola sulla mano grande dell'acqua» come sulla memoria scivola il piacere di perdersi mangiando loti a crepapelle, che poi – per chi è in viaggio – è perdere orientamento e direzione, baciare alberi e sassi, senza un solo pensiero nella mente, «come bottiglie vuote».

    Di concreto non c'è solo il tempo, in questa rilettura dell'Odissea, ma soprattutto le cose che nella narrazione scivolano nel magico, nel grottesco, nel miracoloso e fiabesco. Luoghi in cui l'Olimpo non conosce pioggia né neve, e l'aria è piena di musica e di farfalle, eppure è una fitta e improbabile nevicata che nasconde alla vista del ciclope infuriato la fuga di Ulisse e dei suoi.

    Tornano spesso le farfalle, volando dalle corde personali del poeta a queste pagine. Sono quelle con cui torna a giocare Penelope quando smette di tessere la sua tela, sono quelle che scappano piene di paura dai fiori che il passo dei Ciclopi fa tremare, e svolazzano nella camera di Circe come messaggere degli dèi, a segnare il compiersi del destino. Vorrebbe ucciderle, Ulisse, ma non ce la fa a respingere l'assedio della memoria e della nostalgia: deve ripartire.

    Sarà per la volontà di recuperare quell'innocenza (in senso vichiano) e perdonare ogni debolezza che questo libro occhieggia sugli scaffali dedicati ai lettori in erba, e io stessa l'ho rubato alla libreria di mia figlia. E tuttavia, accanto al fuoco e nel racconto di quel viaggio, c'è posto soprattutto per gli aspiranti bambini, quelli che sanno che ci vuole una vita e da qualche parte devono pur cominciare...

    Tonino Guerra



     
    Top
    .
  13. gheagabry
     
    .

    User deleted


    POLIFEMO


    polifemo_-_aci_e_Galatea_-_Carracci

    Le gesta del mitologico Polifemo furono cantate o messe in scena dagli antichi poeti come Teocrito, Ovidio, Euripide, Virgilio ed Omero che ne danno un'immagine psicologicamente diversa, ma concordante nel descriverne l'aspetto.

    Polifemo era un Ciclope, un gigante con un solo occhio al centro della fronte; figlio della Terra, (Gea) e di Urano, fratello dei tre ciclopi Bronte il “Tonante”, Sterope, il “Lampo” e Arge, lo ”Scintillante” .

    Secondo la tradizione vivevano alle pendici del vulcano Etna e lavorava in una enorme fucina nel ventre del vulcano per costruire i fulmini per Zeus e altre opere magiche come l'armatura di Achille.

    In una leggenda Polifemo, signore del luogo e ministro del dio Efesto (Vulcano), si innamorò della Ninfa Galatea la quale a sua volta era innamorata del pastorello Ace, figlio del dio Pan, protettore dei monti e dei boschi.

    Quando Galatea respinse la sua domanda di matrimonio, Polifemo si offese a morte perché la Ninfa preferiva a lui un povero pastore e pieno di rabbia cominciò a battere con i pugni sulle pareti della grotta, e lo sconquasso fece tremare tutta la montagna, poi entrato nel bosco alla ricerca di Aci, si apriva la strada sradicando, con le sue possenti mani, decine di alberi.


    Quando alla fine il Ciclope, accecato dalla gelosia, incontrò il giovane, sradicò dal suolo una enorme roccia e la lanciò addosso ad Aci, schiacciandolo.

    Il pianto senza fine di Galatea destò la compassione degli Dei che vollero attenuare il suo tormento trasformando Aci in un bellissimo fiume che scende dall'Etna e sfocia nel tratto di spiaggia dove solevano incontrarsi i due amanti.

    Nell'Odissea Polifemo è un ciclope figlio di Poseidone (dio del mare) e di Toosa, una ninfa dei mari che Ulisse, sbarcato nella Terra dei Ciclopi, durante il suo lungo viaggio di ritorno dalla guerra di Troia, malauguratamente incontra e viene catturato con i suoi compagni.
    Il Polifemo di Omero è terribile e si ciba di carne umana: sei marinai vengono dilaniati e divorati dal mostro.

    Per sfuggire alla prigionia di Polifemo ed alla morte, Ulisse escogita una trappola dopo aver offerto del vino al Ciclope, prima che questo si addormenti Ulisse gli dice di chiamarsi "Nessuno".

    Mentre Polifemo dorme ubriaco Ulisse con l'aiuto dei compagni lo acceca conficcando nel suo unico occhio con un bastone di ulivo appuntito e arroventato.
    Mentre Ulisse ed i suoi si nascondono fra le pecore del gigante, Polifemo urla per il dolore e la rabbia fino a svegliare gli altri ciclopi.

    Ma quando arrivano alla grotta di Polifemo chiedendogli perché urli tanto forte, risponde che "Nessuno" sta cercando di ucciderlo.

    I ciclopi pensano sia ubriaco e lo lasciano solo. La mattina dopo, mentre Polifemo fa uscire il suo gregge, Ulisse e i suoi uomini scappano aggrappati al vello del ventre delle pecore per sfuggire al tocco di Polifemo.

    Quando il ciclope si accorge che Ulisse è scappato, va su una scogliera e incomincia a scagliare pietre alle navi di "Nessuno", poi maledicendo Ulisse prega il padre Poseidone, di vendicarlo; per questo le burrasche priveranno Ulisse della nave e dei suoi uomini.




    dal web


    polifemo_ulisse_occhio_spazio(1)




    Polifemo era un uomo grosso invano
    che con la testa toccava le nuvole.
    ed era amante di certa massara,
    che aveva il cuore duro come rovere;
    Galatea, dolce più d'un pasticciotto,
    che senz'esca, carbone, e senza polvere,
    gl'infuse ardori così forti e strani,
    che forzò a dare in ismanie.
    Più non si cura di andare alla bottega
    dal maestro suo zoppo Vulcano,
    per fare lì, degli altri in compagnia,
    i fulmini che Giove tiene in mano.
    Né più gli piace, come gli piaceva,
    far di capre e buoi il guardiano,
    e come un vagabondo fannullone
    scorazza e fa l'asino nel lenzuolo.
    A guardarlo era cosa da intontire,
    così grosso, grasso e smisurato;
    che per bastone si solea servire
    d'un albero di pino rimondato;
    usare non solea nessun vestire,
    ché di peli era tutto ricoperto;
    e ognun di questi di grossezza
    era quanto un nodo di salsiccia.
    Come un terreno cosparso di pietre
    avea la faccia butteri butteri;
    perché prese il vaiolo sì forte
    che se non tenevano forte le conocchie
    le Parche, sarebbe morto come un somaro;
    avea un occhio, che valeva per cent'occhi,
    ed era, dice un autore di giudizio,
    quanto l'orologio del Sant'Uffizio.
    Era il naso quanto un bastione,
    che avea corvi per mosche cavalline;
    la bocca vi entrava in un sol boccone
    il gran convento dei Cappuccini;
    aveva ancora per orecchie due grandi grotte,
    nidi di cucchi e di uccelli rapaci;
    avea boschi in testa per capelli
    con daini, e porci spini, e volpi e grilli.
    D'un pioppo svuotato s'era fatto
    all'uso campagnolo uno zuffolo,
    e suonando l'andava di tratto in tratto
    servendogli per sfogo e per diletto;
    parlava solo solo come un matto,
    e raccontava alle grotte il suo affetto;
    le quali gocciolando stilla a stilla,
    che piangessero, credeva, per tenerezza.

    Giovanni Meli




    .
     
    Top
    .
  14.  
    .
    Avatar


    Group
    moderatori
    Posts
    19,944
    Location
    Zagreb(Cro) Altamura(It)

    Status
    Offline
    grazie
     
    Top
    .
  15. gheagabry
     
    .

    User deleted




    ............Una parentesi su ULISSE..........



    TELEGONIA


    La Telegonia (in greco Τηλεγόνεια) è un antico poema epico greco andato perduto. Faceva parte del Ciclo Troiano, che raccontava in versi l'intera storia della guerra di Troia. Le vicende trattate dalla Telegonia vengono cronologicamente dopo quelle dell'Odissea e si tratta della parte conclusiva del Ciclo Troiano. Il poema è stato talvolta attribuito da fonti antiche a Cinetone di Sparta, ma una fonte sostiene invece che sia stato sottratto a Museo da Eugammone di Cirene. Si componeva di due libri di versi scritti in esametri dattilici. La Telegonia si compone di due episodi distinti: il viaggio di Odisseo in Tesprozia e la storia di Telegono. Probabilmente ognuno dei due libri del poema si riferiva ad uno di questi due episodi. Nelle attuali edizioni critiche della Telegonia sopravvivono soltanto due versi del testo originale. Per conoscerne la trama dipendiamo quindi quasi completamente da un riassunto del Ciclo Troiano contenuto nella Crestomazia scritta da un oscuro Proclo (che forse potrebbe essere identificato con il grammatico del II secolo Eutichio Proclo). Poche altre fonti forniscono indicazioni sull'intreccio del poema.

    Il poema si apre dopo il ritorno di Odisseo alla sua casa ad Itaca e "l'uccisione dei Proci" (in greco μνηστηροφονία), che avviene al termine dell' Odissea. I Proci morti vengono sepolti ed Odisseo compie dei sacrifici alle Ninfe . Compie quindi un viaggio in Elide, dove fa visita ad un personaggio altrimenti sconosciuto, Polisseno, che gli dona una coppa su cui è raffigurata la storia di Trofonio. Odisseo torna ad Itaca e parte quindi per la Tesprozia .
    Qui ha una storia d'amore con la regina dei Tesproti Callidice che gli dà un figlio, Polipete. Odisseo combatte dalla parte dei Tesproti nella guerra contro i loro vicini Brigi; anche gli dei prendono parte alla guerra, ma alla fine Callidice viene uccisa in battaglia ed Odisseo torna ad Itaca. Nel frattempo si viene a sapere che Circe, con cui Odisseo aveva avuto una storia d'amore di un anno, gli aveva dato a sua volta un figlio, Telegono (in greco Τηλέγονος ), cresciuto sull'isola della madre, Eea. Dietro consiglio della dea Atena Circe gli rivela il nome di suo padre e perché possa difendersi gli dona una bellissima lancia, che sulla punta ha il pungiglione velenoso di una razza ed è stata forgiata dal dio Efesto: lo manda quindi, così equipaggiato, in cerca di Odisseo.

    TELEGONO



    Così come aveva vaticinato Tiresia fu parricida inconsapevolmente. Telegono aveva saputo dalla madre Circe di essere figlio di Ulisse, allora il giovane volendo conoscere il padre, si imbarcò alla sua ricerca. Approdato a Itaca, Telegono per sfamare l'equipaggio incominciò a razziare la campagna e le mandrie. Ulisse intervenne a difendere i suoi beni, ma Telegono lo ferì con una lancia dalla punta avvelenata. Ulisse morente ricordando la predizione di Tiresia si fece condurre davanti lo straniero e così ebbe la spiegazione del tragico evento. Atena, accorsa inutilmente in aiuto del suo protetto, non poté fare altro che confortarlo e convincerlo ad arrendersi ai voleri del Fato. Telegono riconosciuto il padre, lo pianse a lungo e tornò da Circe insieme a Penelope, portandosi dietro il cadavere, e lì sposò Penelope.
     
    Top
    .
29 replies since 6/7/2010, 17:49   18598 views
  Share  
.