L'ODISSEA

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  1. gheagabry
     
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    POLIFEMO


    polifemo_-_aci_e_Galatea_-_Carracci

    Le gesta del mitologico Polifemo furono cantate o messe in scena dagli antichi poeti come Teocrito, Ovidio, Euripide, Virgilio ed Omero che ne danno un'immagine psicologicamente diversa, ma concordante nel descriverne l'aspetto.

    Polifemo era un Ciclope, un gigante con un solo occhio al centro della fronte; figlio della Terra, (Gea) e di Urano, fratello dei tre ciclopi Bronte il “Tonante”, Sterope, il “Lampo” e Arge, lo ”Scintillante” .

    Secondo la tradizione vivevano alle pendici del vulcano Etna e lavorava in una enorme fucina nel ventre del vulcano per costruire i fulmini per Zeus e altre opere magiche come l'armatura di Achille.

    In una leggenda Polifemo, signore del luogo e ministro del dio Efesto (Vulcano), si innamorò della Ninfa Galatea la quale a sua volta era innamorata del pastorello Ace, figlio del dio Pan, protettore dei monti e dei boschi.

    Quando Galatea respinse la sua domanda di matrimonio, Polifemo si offese a morte perché la Ninfa preferiva a lui un povero pastore e pieno di rabbia cominciò a battere con i pugni sulle pareti della grotta, e lo sconquasso fece tremare tutta la montagna, poi entrato nel bosco alla ricerca di Aci, si apriva la strada sradicando, con le sue possenti mani, decine di alberi.


    Quando alla fine il Ciclope, accecato dalla gelosia, incontrò il giovane, sradicò dal suolo una enorme roccia e la lanciò addosso ad Aci, schiacciandolo.

    Il pianto senza fine di Galatea destò la compassione degli Dei che vollero attenuare il suo tormento trasformando Aci in un bellissimo fiume che scende dall'Etna e sfocia nel tratto di spiaggia dove solevano incontrarsi i due amanti.

    Nell'Odissea Polifemo è un ciclope figlio di Poseidone (dio del mare) e di Toosa, una ninfa dei mari che Ulisse, sbarcato nella Terra dei Ciclopi, durante il suo lungo viaggio di ritorno dalla guerra di Troia, malauguratamente incontra e viene catturato con i suoi compagni.
    Il Polifemo di Omero è terribile e si ciba di carne umana: sei marinai vengono dilaniati e divorati dal mostro.

    Per sfuggire alla prigionia di Polifemo ed alla morte, Ulisse escogita una trappola dopo aver offerto del vino al Ciclope, prima che questo si addormenti Ulisse gli dice di chiamarsi "Nessuno".

    Mentre Polifemo dorme ubriaco Ulisse con l'aiuto dei compagni lo acceca conficcando nel suo unico occhio con un bastone di ulivo appuntito e arroventato.
    Mentre Ulisse ed i suoi si nascondono fra le pecore del gigante, Polifemo urla per il dolore e la rabbia fino a svegliare gli altri ciclopi.

    Ma quando arrivano alla grotta di Polifemo chiedendogli perché urli tanto forte, risponde che "Nessuno" sta cercando di ucciderlo.

    I ciclopi pensano sia ubriaco e lo lasciano solo. La mattina dopo, mentre Polifemo fa uscire il suo gregge, Ulisse e i suoi uomini scappano aggrappati al vello del ventre delle pecore per sfuggire al tocco di Polifemo.

    Quando il ciclope si accorge che Ulisse è scappato, va su una scogliera e incomincia a scagliare pietre alle navi di "Nessuno", poi maledicendo Ulisse prega il padre Poseidone, di vendicarlo; per questo le burrasche priveranno Ulisse della nave e dei suoi uomini.




    dal web


    polifemo_ulisse_occhio_spazio(1)




    Polifemo era un uomo grosso invano
    che con la testa toccava le nuvole.
    ed era amante di certa massara,
    che aveva il cuore duro come rovere;
    Galatea, dolce più d'un pasticciotto,
    che senz'esca, carbone, e senza polvere,
    gl'infuse ardori così forti e strani,
    che forzò a dare in ismanie.
    Più non si cura di andare alla bottega
    dal maestro suo zoppo Vulcano,
    per fare lì, degli altri in compagnia,
    i fulmini che Giove tiene in mano.
    Né più gli piace, come gli piaceva,
    far di capre e buoi il guardiano,
    e come un vagabondo fannullone
    scorazza e fa l'asino nel lenzuolo.
    A guardarlo era cosa da intontire,
    così grosso, grasso e smisurato;
    che per bastone si solea servire
    d'un albero di pino rimondato;
    usare non solea nessun vestire,
    ché di peli era tutto ricoperto;
    e ognun di questi di grossezza
    era quanto un nodo di salsiccia.
    Come un terreno cosparso di pietre
    avea la faccia butteri butteri;
    perché prese il vaiolo sì forte
    che se non tenevano forte le conocchie
    le Parche, sarebbe morto come un somaro;
    avea un occhio, che valeva per cent'occhi,
    ed era, dice un autore di giudizio,
    quanto l'orologio del Sant'Uffizio.
    Era il naso quanto un bastione,
    che avea corvi per mosche cavalline;
    la bocca vi entrava in un sol boccone
    il gran convento dei Cappuccini;
    aveva ancora per orecchie due grandi grotte,
    nidi di cucchi e di uccelli rapaci;
    avea boschi in testa per capelli
    con daini, e porci spini, e volpi e grilli.
    D'un pioppo svuotato s'era fatto
    all'uso campagnolo uno zuffolo,
    e suonando l'andava di tratto in tratto
    servendogli per sfogo e per diletto;
    parlava solo solo come un matto,
    e raccontava alle grotte il suo affetto;
    le quali gocciolando stilla a stilla,
    che piangessero, credeva, per tenerezza.

    Giovanni Meli




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29 replies since 6/7/2010, 17:49   18600 views
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