L'ODISSEA

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  1. gheagabry
     
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    IL MITO DI ULISSE





    Ulisse, in greco Odisseo, re di Itaca e figlio di Laerte e di Anticlea, è l'eroe più famoso di tutta l'antichità. La sua leggenda è stata oggetto di rimaneggiamenti, di aggiunte fin dall'antichità e, più ancora di quella di Achille, si è prestata ad interpretazioni simboliche e mistiche.

    Nell'Iliade egli è il fedele collaboratore di Agamennone e degli altri eroi, guerriero prode quanto sagace e scaltro. Nell'Odissea, della quale è il protagonista, appare animato da sincera nostalgia della patria e della famiglia, a escogitare vie di scampo per sé e i suoi, protetto e guidato dalla dea Atena nelle avventure che lo portano ad affrontare strani popoli, mostri paurosi e la furia terribile del mare, scatenatogli contro da Poseidone.

    Ulisse aveva guidato a Troia un contingente di dodici navi, ma tutte le perse durante il lungo viaggio di ritorno ad Itaca, dove giunse finalmente dopo dieci anni su una nave messagli a disposizione dal re dei Feaci, Alcinoo.





    Già all'inizio della navigazione aveva avuto qualche difficoltà: una tempesta l'aveva separato da Agamennone, insieme al quale era salpato da Troia, facendolo approdare in Tracia, nel paese dei Ciconi; poi un vento da nord l'aveva spinto nel paese dei Lotofagi; ma le vere sventure si abbatterono su di lui e le sue navi dopo che ebbe provocato la collera di Poseidone, che non gli perdonò mai di avergli accecato suo figlio, il Ciclope Polifemo. Sfuggito al Ciclope, Ulisse raggiunse l'isola di Eolo, il re dei venti, che lo accolse ospitalmente e gli diede un otre di pelle di bue, contenente tutti i venti, fuorché una brezza favorevole, che doveva riportarlo direttamente a Itaca. E già si potevano scorgere i fuochi accesi dai pastori nell'isola, allorché l'eroe si addormentò; i compagni, credendo che l'otre di Eolo contenesse oro, l'aprirono e i venti ne scapparono via provocando un uragano che sospinse le navi nella direzione opposta, facendole approdare di nuovo presso Eolo, al quale egli chiese ancora una volta un vento favorevole.

    Eolo gli rispose di non poter fare più niente per lui, ora che gli dei avevano manifestato così apertamente la loro ostilità al suo ritorno. Ulisse riprese allora la navigazione a caso verso Nord e approdò nel paese dei Lestrigoni, identificato poi con la costa nei pressi di Formia e Gaeta.



    Qui perse tutte le navi tranne la sua, perché i Lestrigoni, divoratori di uomini, inseguirono fino sulla riva del mare i marinai che egli aveva mandato in avanscoperta, lapidarono i Greci e fracassarono le navi, e solo Ulisse riuscì a recidere il cavo che tratteneva la sua nave e a prendere il largo.

    Ridotto a una sola nave e al proprio equipaggio, continuò la rotta verso Nord e ben presto approdò all'isola di Ea, dove abitava la maga Circe. Partito dall'isola dopo alcuni mesi, forse un anno, di avventure sue e dei compagni con Circe, riuscì a superare, seguendo i consigli della maga, le insidie delle Sirene, delle Rocce Vaganti e di Scilla e Cariddi, e giunse in un luogo dell'isola di Trinacria, in cui pascolavano i bianchi buoi appartenenti al dio Sole. Qui, spinti dalla fame, i marinai uccisero alcuni buoi per mangiarli, malgrado l'espresso divieto di Ulisse.



    Questa volta, quando la nave riprese la navigazione, non fu Poseidone in persona ad insidiarla, ma Giove, col quale il Sole si era lamentato dell'affronto subito con l'uccisione dei suoi buoi, chiedendo riparazione: il padre degli dei scatenò un violento temporale, la nave fu colpita dal fulmine, e soltanto Ulisse, che non aveva voluto partecipare al festino sacrilego, poté salvarsi aggrappato ad un albero, sballottato dal mare per nove giorni, finché giunse, assai mal ridotto, all'isola di Calipso.

    La ninfa lo trattenne presso di sé molti anni, finché, pregato da Atena, protettrice dell'eroe, Zeus mandò a Calipso, per mezzo di Ermes, l'ordine di lasciarlo andar via; Calipso, a malincuore, gli fornì il legno necessario a costruire una zattera e Ulisse ripartì verso l'Est. Ma ancora non si era placata la collera di Poseidone, il quale suscitò una tempesta che sfasciò la zattera, e, aggrappato a un relitto, tutto nudo, l'eroe giunse nell'isola dei Feaci, che nell'Odissea è chiamata Scheria, e che è probabilmente Corfù.



    Qui finiscono le peregrinazioni per mare di Ulisse: riportato ad Itaca da una nave del re Alcinoo, dovrà affrontare i Proci, che volevano impadronirsi del regno sposando sua moglie Penelope, li sterminerà tutti durante una gara con l'arco, organizzata nel suo stesso palazzo, si farà riconoscere da Penelope e dal padre Laerte, e grazie all'intervento di Atena, ristabilisce la pace nell'isola, episodio col quale si conclude il racconto odissiaco.

    Ma i poeti posteriori vi aggiunsero un'infinita serie di avventure e viaggi misteriosi compiuti nell'ultima parte della sua esistenza; alcune di queste peregrinazioni trassero origine dalla predizione di Tiresia, che nell'Odissea impone a Ulisse di andare a placare con sacrifici Poseidone là dove fossero ignoti il mare e i remi.

    Così si attestò la sua presenza in Arcadia e nella Tesprozia, in Italia, dove nella Tirrenia (il paese etrusco) fondò trenta città; gli si attribuì la fondazione di Lisbona, e si narrò dei suoi viaggi in Gallia, nella Caledonia e in Germania fino alle sponde del Reno.

    Il mito di Ulisse è presente in tutta la letteratura moderna dal celebre episodio dell' Inferno, in cui Dante ne fa il simbolo dell'uomo, non fatto "a viver come bruto, ma per seguir virtude e conoscenza", a numerosi drammi teatrali, ad opere musicali, fino a giungere all'Ulisside, vocabolo diffuso dal D'Annunzio, come prototipo dell'esploratore infaticato, uomo desideroso di nuove conoscenze ed esperienze.




    Eppure tu te ne sei andato,
    Ulisse,
    lasciando qui sull’Isola un amore di donna inconsolato
    un figlio appena divezzato, che scorderà il tuo sguardo
    Hai scelto la tua conoscenza, i sogni incandescenti,
    le voci di sirena e i nubifragi…
    cercando per il mondo la formula segreta della felicità.
    Re, scaltro avventuriero, d’ingegno simile a nessuno
    credi forse di colorare la tua esistenza col molto tuo sapere?
    e di segreti hai piena l’anima e di mille cose mai dette ad alcuno.
    E serbi forse dentro te la melanconica immagine di ciò che hai lasciato ad Itaca
    e di ciò che lascerai lasciando questa vita.
    Qualcuno aspetta il tuo ritorno,
    facendo e disfacendo ogni giorno i sogni intessuti in questo tempo
    mentre che tu, correvi controvento incontro alle tue sirene
    eppure non ti riconoscerà che un cane quando tornerai..
    perché ciò che tu sei val più di ciò che sai
    Troppe lacrime spese… troppi mari attraversati..
    Eppure tu sei un navigante
    sai leggere i misteri nel cuore d’un passante.
    La vita scorre Ulisse, come l’acqua del tuo mare
    e prima o poi tu ti dovrai fermare…
    Il meglio del tuo tempo l’hai regalato al mondo
    e il mondo ti ha donato l’immane sua sapienza
    presto ora chiudi tutto in un cassetto prima che te lo porti via
    folle la morte impavida e guerriera
    prima che questa sera Penelope dimentichi chi sei
    prima che siano vani gli anni tuoi
    e giunga il fato a farti prigioniero, mandato dagli dei.

    (dal web)




    ULISSE COPERTO DI SALE

    “Vedo le stanze imbiancate, tutte le finestre spalancate, nebbia non c’è il sole c’è…
    neve non c’è il cielo c’è.
    Tutto scomparso, tutto cambiato, mentre ritorno da un mio passato…
    tutto è uguale irreale….. sono Ulisse coperto di sale!
    - È vero, la vita è sempre un lungo lungo ritorno,
    ascoltami io non ho paura dei sentimenti…..
    ora guardami sono qui…….
    ho aperto adagio adagio con la chiave, come un tempo,
    ho lasciato la valigia sulla porta ho lasciato la valigia sulla porta…….
    Ho guardato tutto intorno prima di chiamare: Amore Amor!!!
    E non ho paura, ti dico che sono tornato per trovare… provare….. come una volta dentro questa casa la mia forza.-
    come ulisse che torna dal mare.

    Una mano di calce bianca sulle pareti della mia stanza
    Voglio dirti non rovesciare gli anni come un cassetto vuoto!
    Ascolta anche i giovani non hanno paura dell’amore, e mai strappano dal cuore i sentimenti, io li guardo…..
    la tua forza è un ombra di luce.
    La mano affondata dal vento nel vento.
    Aria calda urla per le nostre ore strette come in un pugno
    urlano come uccelli,
    i sassi si consumano,
    non si consuma la vita
    la mano è uguale alla mano che è ferita
    io sono Ulisse principio del giorno”

    Roberto Roversi



    "Terra, finalmente terra. E’ lei, è l’isola della dea, ne sono certo. Ne riconosco i contorni, le forme ne riconosco gli odori. Questa volta niente e nessuno potrà impedirmi di approdare. Questa volta sono veramente giunto a te, mia dea, mia signora incantevole, mio sogno realizzato. Finalmente la mia esistenza si è compiuta. Sono arrivato dove desideravo. E’ valsa la pena superare le colonne d’Ercole, tutti questi anni non sono trascorsi invano, questo continuo navigare… terra finalmente. Ieri ho sognato la dea era stupenda, più di quando l’ho vista quella volta, secoli fa. Improvvisamente, sopraffatto da un sogno che sconfiggeva la realtà apparente, mi sono svegliato nel cuore della notte. Non ho più dormito. Ho trascorso il resto della notte ad osservare la via lattea e tutte le stelle del firmamento e quel buio inchiostro che mi circondava ovunque io guardassi: il mare buio pesto. E tra quelle stelle, che non vedevo da millenni (erano scomparse dal mio cielo oppure non mi ero più degnato di osservarle?) ho avuto una visione. Una di quelle stelle si era messa a splendere più di ogni altra, diventando sempre più grande, assumendo, a poco a poco, una forma: la stella si era trasformata in Pegaso, il cavallo alato. Era bianco, bellissimo e librava le sue ali in modo tale che l’aria spostata generava una musica dolcissima, incantevole, quasi ipnotica. Pegaso correva verso di me. Ad un tratto mi ero accorto di essere Pegaso. Vedevo il mondo dall’alto, vedevo la mia nave prima piccola, poi via, via, sempre più grande. E sul cassero c’era un uomo con lo sguardo puntato verso l’alto: era Ulisse, ero io! Nel frattempo la visione era stata sconfitta dalle prime luci dell’alba ed io mi ero trovato al mio posto, sulla nave e del bianco cavallo alato non c’era più traccia. Anche oggi, dopo essermi appisolato, ho sognato la dea e nel sogno, la cingevo in un abbraccio tenero ma deciso. Anche questa volta mi sono svegliato di colpo, ma non ho avuto nessuna visione. Adesso comprendo quei sogni e la visione: sono giunto là dove volevo, ormai da secoli, approdare. Sono finalmente libero dal mare e da me stesso! Avrei voluto dire tantissime cose alla dea dell’isola, tutte quelle cose che sino ad oggi non le ho potuto dire, avrei voluto spiegarle quello che sentivo in quel momento, ma non era stato possibile. Ma adesso potrò farlo realmente, non in sogno. Aspettami dea, alfine sono giunto!"
    (dal web)





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