L'ISOLA DELLA LETTURA

presentazioni, recensioni, opinioni di libri nuovi e vecchi

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  1. gheagabry
     
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    UN LIBRO..UN AUTORE

    “Rosalie amava l’azzurro.
    Era il suo colore preferito da quando aveva memoria.
    E nel frattempo aveva compiuto ventotto anni”.


    PARIGI E' SEMPRE UNA BUONA IDEA



    Parigi è sempre una buona idea, si sa. Innamorati o no, vale sempre la pena di fare una passeggiata per le vie della Ville Lumière. Lì, in rue du Dragon, una deliziosa stradina nel cuore di Saint-Germain, ci si può imbattere in un piccolo negozio con una vecchia insegna di legno, un campanello d’argento démodé sulla porta e, dentro, mensole straripanti di carta da lettere e bellissime cartoline illustrate: la papeterie di Rosalie Laurent.
    Talentuosa illustratrice, Rosalie è famosa per i biglietti d’auguri personalizzati che realizza a mano. Ed è un’accanita sostenitrice dei rituali: il café crème la mattina, una fetta di tarte au citron nelle giornate storte, un buon bicchiere di vino rosso dopo la chiusura della papeterie. I rituali aiutano a fare ordine nel caos della vita, ed è per questo che ogni anno, per il suo compleanno, Rosalie fa sempre la stessa cosa: sale i 704 gradini della Tour Eiffel fino al secondo piano e, con il cuore in gola, lancia in aria un biglietto su cui ha scritto un desiderio. Ma finora nessuno è mai stato esaudito. Tutto cambia il giorno in cui un anziano signore entra come un ciclone nella papeterie. Si tratta del famoso scrittore per bambini Max Marchais, che le chiede di illustrare il suo nuovo libro. Rosalie accetta felice e ben presto i due diventano amici, La tigre azzurra ottiene premi e riconoscimenti e si aggiudica il posto d’onore in vetrina. Quando, poco tempo dopo, un affascinante professore americano, attratto dal libro, entra in negozio, Rosalie pensa che il destino stia per farle un altro regalo. Ma prima ancora che si possa innamorare, ha un’amara sorpresa. Perché l’uomo è fermamente convinto che la storia della Tigre azzurra sia sua…
    (www.feltrinellieditore.it/)


    "Come ogni mattina alle 11, Mademoiselle Laurent aprendo la sua piccola cartoleria aveva guardato in alto, sperando di vedere uno sprazzo di azzurro nel cielo grigio di Parigi. “Scorgendolo sorrise”. Uno dei ricordi più cari al cuore di Rosalie era un cielo di agosto incredibilmente azzurro sopra uno sconfinato mare turchese inondato di luce. Allora Rosalie aveva quattro anni e si trovava insieme ai genitori Emile e Cathérine in vacanza a Les Isambre, sulla Costa Azzurra. Tornata a Parigi dopo quella “lunga estate piena di sole”, la bambina dalle lunghe trecce castane aveva ricevuto in dono dalla zia Paulette una scatola di acquerelli. Quello stesso pomeriggio Rosalie, armata di pennello e acquerelli, aveva disegnato per ore, colorando con foga un foglio dopo l’altro fino a svuotare le tre vaschette di colore azzurro disponibili nella scatola. Infatti, per la ragazzina la magica visione della distesa marina era la metafora della felicità, perché la bimba era ormai stregata dall’azzurro in tutta la sua gamma e in tutte le sue sfumature. Gli stessi occhi di Rosalie erano di un azzurro molto intenso, tendente al blu, glielo aveva confermato suo padre, un uomo molto paziente e gentile. Non stupiva il fatto che prima di imparare a leggere e a scrivere, Rosalie conoscesse a memoria il nome di tutte le possibili tonalità di azzurro: carta da zucchero, celeste, grigio blu, azzurro ghiaccio, blu polvere, acquamarina, oltremare, fiordaliso, blu cobalto, blu notte, zaffiro... non esisteva un altro colore altrettanto ricco, meraviglioso e vario. Mai la giovane donna avrebbe immaginato che un giorno si sarebbe imbattuta in una storia su di una tigre azzurra e tanto meno che quella storia, e il mistero che la circondava, le avrebbe cambiato la vita."
    (www.sololibri.net/)


    NICOLAS BARREAU



    Nicolas Barreau è nato a Parigi nel 1980 da madre tedesca e padre francese. Ha studiato Lingue e letterature romanze alla Sorbonne, poi ha lavorato in una piccola libreria sulla Rive Gauche. Ha scritto sei romanzi, tutti pubblicati da un piccolo editore tedesco che hanno ottenuto un ottimo successo, cresciuto sempre più soprattutto grazie al passaparola dei lettori. "Gli ingredienti segreti dell’amore" (Feltrinelli, 2011) è un vero e proprio caso editoriale: è stato un bestseller internazionale tradotto in 34 paesi, è rimasto per oltre quattro mesi in vetta alle classifiche italiane ed è diventato un film per ZDF. In Germania, Parigi è sempre una buona idea, ha venduto 35.000 copie in sole tre settimane e ha raggiunto la posizione più alta di sempre per un romanzo di Barreau sulla classifica dei bestseller di “Der Spiegel”.

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  2. gheagabry
     
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    UN LIBRO ....UN AUTORE

    "La vita non ci appartiene, ci attraversa"

    A N N A



    I ragazzi sono tutti orfani: un virus ha ucciso gli adulti, i cui cadaveri restano nelle case, nei centri commerciali, nelle auto abbandonate ai lati delle strade deserte. Anna è ambientato in una Sicilia devastata, dove i campi sono bruciati, le città disabitate, la vegetazione riprende possesso dello spazio, e bande di ragazzi sopravvissuti combattono con branchi di cani randagi per il poco cibo e acqua rimasti. Lo sforzo per sopravvivere si intreccia con la fatica di imparare le conoscenze che gli adulti non sono riusciti a lasciare. Ma è anche un mondo in cui, se si ha molta fortuna, si può trovare un barattolo di Nutella. L’Anna del titolo ha tredici anni e un fratellino, Astor, a cui racconta fiabe. Porta sulle spalle uno zaino pieno di cose, tra le quali una bottiglia di Amaro Lucano, un tubetto di latte condensato e il quaderno su cui sua madre prima di morire le ha lasciato scritto “Le Cose Importanti”. Prima di uscire, a volte, ci infila un doppio cd di Massimo Ranieri. È un romanzo cupo e avventuroso, sulla paura dei bambini di rimanere soli, e sulla paura dei grandi di non riuscire a insegnare niente di ciò che si è capito a chi verrà dopo.

    "Anna correva sull’autostrada stringendo le cinghie dello zaino che le rimbalzava sulla schiena. Ogni tanto girava la testa. I cani erano ancora lí. Uno dietro l’altro in fila indiana. Sei, sette. Un paio piú malconci si erano persi per strada, ma quello grosso, davanti, si avvicinava.
    Due ore prima li aveva scorti in fondo a un campo bruciato apparire e sparire tra le rocce scure e i tronchi anneriti degli ulivi, ma non ci aveva dato peso. Le era già capitato di essere seguita da branchi di cani selvatici, ti venivano dietro per un po’, poi si stancavano e se ne andavano per i fatti loro. [..] Erano creature disperate, alla deriva in un mare di cenere.. Gli incendi dell’estate avevano bruciato la pianura e c’era rimasto poco o niente da mangiare.
    Superò una fila di automobili con i vetri sfondati. Erbacce e grano crescevano intorno alle carcasse coperte da uno strato di cenere. Lo scirocco aveva spinto le fiamme fino al mare e aveva lasciato dietro di sé un deserto.[..] La caviglia destra le faceva male. Ad Alcamo aveva aperto a pedate la porta di un alimentari.
    E pensare che fino ai cani era andato tutto per il verso giusto. Era partita che era ancora buio. Ogni volta era costretta ad allontanarsi di piú per cercare da mangiare. Prima era facile, bastava andare a Castellammare e trovavi quello che volevi, ma gli incendi avevano complicato tutto. Aveva marciato per tre ore sotto il sole che montava in un cielo slavato e senza nuvole. L’estate era finita da un pezzo, ma il caldo non mollava. Il vento, dopo aver attizzato il fuoco, era sparito come se quella parte di creato non gli interessasse piú. In un vivaio, accanto a un cratere lasciato da una pompa di benzina esplosa, aveva trovato uno scatolone pieno di cibo sotto dei teloni impolverati.
    Nello zaino aveva sei barattoli di fagioli Cirio, quattro di pelati Graziella, una bottiglia di Amaro Lucano, un grosso tubetto di latte condensato Nestlé, un pacco di fette biscottate rotte ma ancora buone da sciogliere nell’acqua e una confezione da mezzo chilo di pancetta sottovuoto. Non aveva resistito, la pancetta se l’era mangiata subito, in silenzio, accovacciata sopra i sacchi di terriccio impilati sul pavimento.."


    ..recensione..


    L'autore parte da uno scenario tutt'altro che novello in letteratura, ossia l'annientamento dell'uomo a causa di un virus letale. Il mostro subdolo si chiama “la Rossa” e non dà scampo agli adulti, mentre per un misterioso motivo il male non contagia i bambini. L' habitat che si presta ad essere terreno di svolgimento degli eventi è la calda Sicilia, con le sue spiagge e il suo mare ma anche il suo variegato entroterra dove il profumo del sole che scalda le distese dei fichi d'india maturi ed il profumo degli aranceti in fiore lasca posto ad ambientazioni di morte e desolazione, pregne di tanfo di migliaia di corpi.
    Il mondo immaginato da Ammaniti è silenzio, fame, orrore; al contempo il declino del mondo dei “grandi” mette in pista il nuovo mondo dei “piccoli”, catapultati tra le spire di un universo desolante, dove il quotidiano diventa la lotta per la sopravvivenza. Dopo un brevissimo esordio di cosiddetta normalità, tra le pagine sfila una schiera di orfani depredati in primo luogo del calore familiare, della fase complessa della crescita, della possibilità di avere una guida ed una spalla per incamminarsi lungo l'arduo sentiero della vita. I “bambini di Ammaniti” non hanno tempo per le lacrime, hanno forte dentro di loro il ricordo del genitore ma una spinta innata li costringe a combattere per guardare al futuro, perché la tensione per la vita è nettamente più potente di quella della disperazione; sono esseri decisi a vincere la battaglia contro il destino. Il messaggio dell'autore appare in tutta chiarezza, appare come un'ancora di salvezza dopo una ridda di immagini dolorose e macabre; il focus è sulla speranza e non sulla sconfitta, questo lo percepisce a chiare lettere. (silvia71, www.qlibri.it/)

    NICCOLO AMMANITI


    Niccolò Ammaniti è uno scrittore italiano, vincitore del premio Strega nel 2007 per Come Dio comanda. S'iscrisse al corso di laurea in Scienze biologiche non completando tuttavia gli studi. Il suo primo romanzo, intitolato Branchie. Nel 1995 Ammaniti ha pubblicato, insieme con il padre Massimo, medico psichiatra, il saggio Nel nome del figlio, edito da Arnoldo Mondadori Editore. Nel 1996 ha recitato insieme alla sorella nel film a basso budget Cresceranno i carciofi a Mimongo di Fulvio Ottaviano.
    Ha partecipato nel 1996 all'antologia Gioventù cannibale, curata da Daniele Brolli e pubblicata da Einaudi, con un racconto scritto a quattro mani con Luisa Brancaccio. Sempre nel 1996 ha pubblicato per Mondadori Fango, raccolta di racconti che contiene, tra gli altri, i testi Vivere e morire al Prenestino e L'ultimo capodanno dell'umanità; da quest'ultimo è stato tratto nel 1998 il film di Marco Risi L'ultimo capodanno, alla sceneggiatura del quale collaborò lo stesso Ammaniti. Diventa uno dei principali rappresentanti del gruppo di scrittori definiti Cannibali.
    Nel 1999 è uscito il romanzo Ti prendo e ti porto via, sempre per Mondadori. La notorietà a livello nazionale giunge per Ammaniti nel 2001, quando pubblica il romanzo Io non ho paura, trasposto due anni dopo nell'omonimo film di Gabriele Salvatores. Nel 2004 ha scritto il soggetto per il film Il siero della vanità, diretto da Alex Infascelli. Nel 2006 è stato pubblicato il romanzo Come Dio comanda, edito da Arnoldo Mondadori Editore, accolto con favore dal pubblico, ma con alterni giudizi dalla critica, nonostante nel 2007 il romanzo si aggiudichi il premio Strega; il libro è stato inoltre adattato per il grande schermo, nuovamente da Salvatores, nel film Come dio comanda (2008). Nel 2009 ha pubblicato il romanzo Che la festa cominci edito da Einaudi, per il quale ha ottenuto una candidatura al premio Alabarda d'oro 2010. Ha una rubrica su xL. Nel 2010 ha pubblicato il suo sesto romanzo dal titolo Io e te.
    Nel 2012 Niccolò Ammaniti ha pubblicato la raccolta di racconti Il momento è delicato, il cui titolo deriva dalla frase che gli venne rivolta da un editore per comunicargli il rifiuto della pubblicazione della raccolta di racconti Fango.

    ..intervista..



    Perché far sparire gli adulti?
    Me li sono immaginati come dèi tristi che decidono di abbandonare i figli.
    Come sopravvivono i bambini?
    Ripercorrono in modo primitivo la storia dell’umanità, come si fa a dare peso alla memoria. Non volevo raccontare la sopravvivenza di bambini trasformati in animali.
    La mamma lascia istruzioni scritte, tra queste quella di non entrare in camera dopo la sua morte per 100 giorni. Cosa rappresentano quei 100 giorni?
    Il tempo del lutto. Da bambino pensavo che i morti andassero a vivere in un altro quartiere di Roma, e che se avevi fortuna, prendendo la strada giusta, li ritrovavi. Loro stavano lì, abitavano le loro case, facevano la loro vita normale, solo in un altro quartiere.
    Il superamento del lutto è dunque ritrovare i morti?
    C’è un momento in cui quella persona non è più al posto giusto, e tu devi andare a cercarla, perché da qualche parte la trovi.
    Nel romanzo è il compito di Anna?
    Anna educa alla memoria il fratello.
    Perché affidare questo compito a una femmina?
    Come scrittore devi affrontare cose che non hai mai fatto, e io non avevo mai scritto di una donna protagonista, volevo raccontare il mondo visto da una donna.
    Ragazzina.
    In realtà Anna è tutto: all’inizio bambina, in un’infanzia prolungata. Poi, nella ricerca del fratello, nel confronto col mondo, adolescente. Quindi madre e moglie, nella famiglia che si ricostruisce con Astor e Pietro. Vedova. E alla fine vecchia nel momento in cui s’imbatte nella nuova generazione di piccoli, che non ha memoria dei cani da compagnia, perché non li ha mai vissuti.
    Com’è stato scrivere di una donna?
    Negli altri libri mi risuonava dentro quello che sono stato io. Questa è la prima volta che scrivo un protagonista che non mi corrisponde, scrivendo di Anna lei prendeva strade sue. è stato quasi un rapporto d’amore. A un certo punto lei dice di avere la sensazione che qualcuno la guardi dall’alto, che ci sia qualcuno che stia scrivendo la sua storia: si è stancata di me, per le disavventure e gli ostacoli, se la prende con me. Anna è una ragazzina atipica: coraggiosa, battagliera, sempre pronta allo scontro fisico, che lei descrive ogni volta nel dettaglio.
    [...]
    Un’altra indicazione lasciata dalla mamma a Anna: “Imparare a leggere”. È davvero così importante?
    Per la madre è la chiave alla sopravvivenza. E anche per me. Penso anch’io che il confronto con la memoria sia fondamentale, leggere significa non dimenticare. Anna non sa bene quanti anni abbia: tredici o quattordici, dice.
    Quanto conta in questo romanzo il tempo?
    È un’altra dimensione, è facile scordarlo. Mi piaceva l’idea che i tuoi giorni non fossero stati contati, condizione comune nel terzo mondo, non per noi che celebriamo ogni momento. Anna conta il tempo osservando il corpo, i segni del virus, che dicono quanto sei vicino alla fine.
    [..](tratta da www.iodonna.it/)

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  3. gheagabry
     
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    UN LIBRO...UN AUTORE


    "Improvvisamente quasi inciampo in una bambina
    che cammina lesta, avvolta in un cappottino rosso..."


    La bambina e il sognatore

    di Dacia Maraini



    Ci sono sogni capaci di metterci a nudo. Sono schegge impazzite, che ci svelano una realtà a cui è impossibile sottrarsi. Lo capisce appena apre gli occhi, il maestro Nani Sapienza: la bambina che lo ha visitato nel sonno non gli è apparsa per caso. Camminava nella nebbia con un’andatura da papera, come la sua Martina. Poi si è girata a mostrargli il viso ed è svanita, un cappottino rosso inghiottito da un vortice di uccelli bianchi. Ma non era, ne è certo, sua figlia, portata via anni prima da una malattia crudele e oggi ferita ancora viva sulla sua pelle di padre. E quando quella mattina la radio annuncia la scomparsa della piccola Lucia, uscita di casa con un cappotto rosso e mai più rientrata, Nani si convince di aver visto in sogno proprio lei. Le coincidenze non esistono, e in un attimo si fanno prova, indizio. È così che Nani contagia l’intera cittadina di S., immobile provincia italiana, con la sua ossessione per Lucia. E per primi i suoi alunni, una quarta elementare mai sazia dei racconti meravigliosi del maestro: è con la seduzione delle storie, motore del suo insegnamento, che accende la fantasia dei ragazzi e li porta a ragionare come e meglio dei grandi. Perché Nani sa essere insieme maestro e padre, e la ricerca di Lucia diventa presto una ricerca di sé, che lo costringerà a ridisegnare i confini di un passato incapace di lasciarsi dimenticare.

    ..recensione..



    La bambina e il sognatore non è il romanzo che uno si potrebbe aspettare dalla trama: un maestro indaga sul rapimento di una bambina di 8 anni che gli appare in sogno. Non è un giallo o un racconto visionario. Forse non è nemmeno un romanzo. Di certo si scosta molto da Isolina, Bagheria, e dal bellissimo La lunga vita di Marianna Ucria. Forse il denominatore comune è l’interesse di Dacia per le donne e l’attenzione alla violenza sulle donne che negli ultimi anni è diventata impegno contro la violenza ai bambini, basti pensare ai racconti di Buio.
    Credo che una donna intelligente e gentile come lei si rassegni con difficoltà alla realtà della violenza. Questo romanzo così poco romanzesco vuole essere un’opera socratica in cui Dacia tramite il maestro Nani Sapienza, un uomo con il grande desiderio di essere padre, dialoga con gli alunni e dunque con il lettore sul rapimento della bambina, sulla violenza subita dai bambini, sulla violenza in generale, sul fanatismo religioso che sfocia nella violenza, e su quella cosa terribile a cui si pensa così poco che è la prostituzione minorile che alimenta il turismo sessuale di tanti padri di famiglia rispettabili in luoghi in luoghi come la Cambogia dove vendono bambine di pochi anni. Mentre il maestro Nani dialoga con gli alunni, quindi con noi, c’è anche un secondo dialogo che il maestro conduce dentro di sè tra la parte del suo animo sognatrice e fiduciosa nella bontà del mondo e quella più dotata di buon senso che lo indurrebbe a un tipo di riflessione più cinica e amara cui lui non vuole cedere. Il romanzo in certi punti è strano. Il maestro non fa che dialogare e far domande anche indiscrete alla madre della bambina rapita per esempio o ai suoi vicini. Certi discorsi sembrano inopportuni. Eppure nonostante Dacia ci abbia abituato a romanzi superiori come qualità letteraria c’è in questo libro una tensione alla ragione, alla non violenza, una fiducia nel dialogo e nella bontà dell’uomo che è toccante e rende questa favola interessante e portatrice di un messaggio positivo e profondo: il male può essere tenuto a bada e anche quando c’è [..]
    (Mario Inisi, www.qlibri.it/)


    Cammino rapido in mezzo a una strada quasi cancellata dalla nebbia. Un vento secco e cattivo mi fa socchiudere le palpebre, mi toglie il respiro. Mi chiedo dove sono e dove sto andando. Dal muretto di mattoni sbreccati, carico di rampicanti, che scorgo alla mia sinistra, mi sembra di riconoscere la strada che porta alla scuola in cui insegno. Non vedo a due metri di distanza. Avanzo a fatica, forzando quella parete di vento e nebbia. Improvvisamente quasi inciampo in una bambina che cammina lesta, avvolta in un cappottino rosso da cui esce un collo bianco e lungo. Faccio per dire: mi scusi, e scavalcarla, ma qualcosa in quella bambina mi blocca in mezzo alla strada, stupito. Il cappottino rosso, i capelli castani raccolti in una cosa dietro la nuca, con qualche ricciolo biondo che sguscia disordinato, la camminata ciondolante, un poco sghemba. Ma è mia figlia, mi dico e grido: ‹‹Martina!››


    DACIA MARAINI


    Dacia Maraini (Fiesole, 13 novembre 1936) è una scrittrice, poetessa, saggista, drammaturga e sceneggiatrice italiana che fa parte della "generazione degli anni trenta", insieme ad alcuni dei più conosciuti autori della letteratura italiana. La famiglia Maraini si trasferisce in Giappone nel ‘38 poichè il padre porta avanti uno studio sugli Hainu, una popolazione in via di estinzione stanziata nell’Hokkaido.
    Nel ‘43 il governo giapponese, in base al patto d'alleanza cha ha stipulato con Italia e Germania, chiede ai coniugi Maraini di firmare l’adesione alla Repubblica di Salò. Poichè i due rifiutano, vengono internati insieme alle tre figlie in un campo di concentramento a Tokyo.Rientrati in Italia, i Maraini si trasferiscono in Sicilia, presso i nonni materni, nella villa Valguarnera di Bagheria.....A ventuno anni fonda, assieme con altri giovani, la rivista letteraria «Tempo di letteratura», e comincia a collaborare, con dei racconti, a riviste quali «Paragone», «Nuovi Argomenti», «Il Mondo».
    Nel 1962 pubblica il suo primo romanzo, La vacanza, cui seguono L’età del malessere (1963, ottiene il Premio Internazionale degli Editori “Formentor”) e A memoria (1967). Grazie all’interessamento di Nanni Balestrini, nel ’66 escono con il titolo Crudeltà all’aria aperta anche le sue poesie, che vengono recensite con molto favore da Guido Piovene. Intanto si sposa con Lucio Pozzi, pittore milanese da cui si divide dopo quattro anni di vita comune e un figlio perso poco prima di nascere.
    In quegl' anni Dacia Maraini comincia a occuparsi anche di teatro. Fonda, assieme ad altri scrittori, il Teatro del Porcospino, in cui si rappresentano solo novità italiane, da Gadda a Parise, da Siciliano a Tornabuoni. Proprio in questo periodo incontra Alberto Moravia, che nel 1962 lascia per lei la moglie e scrittrice Elsa Morante: i due vivranno insieme a lungo, fino ai primi anni Ottanta. Nel 1973 fonda il "Teatro della Maddalena", gestito da sole donne e dove cinque anni dopo si mette in scena "Dialogo di una prostituta con un suo cliente". Il teatro, infatti, è sempre stato per Dacia Maraini anche un luogo per informare il pubblico riguardo a specifici problemi sociali e politici.

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    UN LIBRO...UN AUTORE

    «..l’amore è fatto di mille sfumature
    e sono i nostri sbagli a creare i colori più belli.»

    PROMETTO DI SBAGLIARE



    Il locale è affollato e rumoroso. L’uomo è seduto vicino alla finestra e guarda il cielo grigio, annoiato come ogni lunedì mattina. Improvvisamente si volta e lei è lì, di fronte a lui. Gli occhi carichi di stupore e l’imbarazzo tradito dal tremito della dita che afferrano la borsa. Sono passati anni dall’ultima volta che l’ha vista, il giorno in cui l’ha lasciata. Senza una spiegazione, senza un perché, se n’è andato spezzandole il cuore. Da allora, lei si è rifatta una vita, e anche lui. Eppure solo ora si rende conto di non avere smesso di amarla neanche per un secondo. Per questo, quando lei cerca di fuggire da lui, troppo sconvolta dalle emozioni che la percuotono, l’uomo decide di fermarla. E nel loro abbraccio, in mezzo ai passanti, prometterle di tentare, agire, cadere, sbagliare di nuovo. Amarla. Davvero e per sempre. Questa sembrerebbe la fine, ma non è che l’inizio della loro storia. Perché ogni loro gesto, ogni lettera che si scrivono, ogni persona che incontrano, ha un universo da raccontare. E l’amore è il filo rosso che lega tutto. Quante volte ci siamo chiesti com’era l’amore da cui siamo nati? Come si è sentito nostro padre la prima volta che ci ha tenuto in braccio? L’emozione più grande è quella di ritrovare quello che si è perso e amarlo di nuovo, come se fosse la prima volta.

    «Le persone che amo hanno rughe sul volto anche se sono bambini,
    una pelle che gli insegna tutti i giorni ad andare avanti
    per non restare indietro,
    e una voglia incrollabile di cambiare il mondo in ogni gesto che fanno»


    ...recensioni...


    Gli ingredienti sono semplici: un foglio bianco, un cuore aperto. Nella mano destra la vita, quella che scorre e palpita, lungo la strada, giù in metropolitana, negli uffici affollati o negli autobus lenti; nella mano sinistra tante storie legate dall’amore, un padre e suo figlio, due amanti segreti, una bugia di troppo, una promessa eterna. Pedro Chagas Freitas prende questi pochi elementi e vi costruisce un mondo fatto delle storie di tante persone, fatto di vita che pulsa. Sta a noi ritrovare la storia che più ci appartiene.
    Di amore e di vita ci parla l’autore portoghese, insegnante di scrittura creativa al suo primo romanzo. Vite e storie che s’incrociano e si susseguono in una raccolta fatta di emozioni e di parole. Non una sola trama da seguire, ma tanti racconti unici che affollano le pagine, storie evocate, urlate, disegnate. Uno solo il filo che le cuce tutte insieme, in un perfetto origami: il tema dell’amore.
    Si può parlare per così tante pagine d’amore? La risposta di Freitas è proprio questo libro, e lo fa trovando mille modi per nobilitarlo: l’amore perso, quello malandato, quello sfuggito e rinato, l’amore negli occhi di un padre, quello nella voce del proprio figlio, l’amore carnale e quello solo evocato, l’amore nella malattia e nella morte, nel gioco di un bambino, nel ricordo di un anziano, nella fatica dell’arte o nel sangue della scrittura. L’amore, quello che ci rende vivi e ci fa vivere, quello che ci rende liberi. Una scrittura sorprendente e originale, il susseguirsi di diversi generi narrativi: la poesia, la lettera, un modulo di reclamo, l’ode, la preghiera... Tutto insieme in una freschezza di parole che pungono gli animi. A voi la scelta: custodirlo come un aforismario o creare la vostra storia unendo tutte quelle vite fatte di sbagli che ci rendono proprio quello che siamo.
    (recensione di IBS)


    E' un libro che parla dell'amore in ogni sua piccola, complessa e complicata sfaccettatura che è parte naturale della vita di tutti noi. Nel bene e nel male. C'è o ci sarà, almeno una volta!
    Ogni singolo episodio che viene raccontato permette al lettore di entrare in punta di piedi in una vita, in una realtà, in un'emozione che è anche nostra ed è reazione inevitabile leggere quelle parole e vagare tra i diversi ricordi, attraverso le indimenticabili gioie e le piccole delusioni che hanno plasmato, anno dopo anno, il nostro cuore; costruendo passo dopo passo la donna e l'uomo che siamo oggi!
    Per onestà intellettuale devo confessarvi che le prime pagine mi hanno spiazzata, lasciandomi interdetta e confusa. Non mi aspettavo nulla di tutto questo. Credevo di trovarmi di fronte ad un normale romanzo che fosse capace di emozionarmi parlandomi di un amore ideale, di un amore fantastico e meraviglioso. No, lettori, nulla di questo!
    Andando avanti con la lettura, spinta da una personale testardaggine che è stata doppiamente premiata, mi sono ritrovata dinanzi ad emozioni che mi hanno colpito in pieno petto con una forza, con una tale sincerità, con una sontuosa e reale meraviglia che, in numerosi attimi di lettura silenziosa, mi hanno lasciato essenzialmente senza fiato.
    ... un questo libro i personaggi sono molteplici e così diversi tra di loro, descritti in una maniera sublime da sentirli parte di me stessa in pochissime parole!
    E, cosa fondamentale per chi si volesse approcciare a questa lettura, ricordatevi che è l'amore il fulcro di tutta la narrazione: l'amore impertinente e focoso, l'amore puro ed incondizionato, l'amore perso e ritrovato, l'amore sprecato e distrutto, l'amore corrisposto e l'amore a senso unico, l'amore di un padre che tiene sua figlia tra le braccia per la prima volta, l'amore straziato di una madre costretta a dire addio ad un figlio che aveva tutta la vita dinanzi, l'amore maturo e coscienzioso, l'amore idilliaco, l'amore crudo e passionale, l'amore di una notte, l'amore di un'eternità senza fine. (http://leggereinsilenzio.blogspot.it/)


    Chagas Freitas Pedro



    Pedro Chagas Freitas è uno scrittore, giornalista e insegnante di scrittura creativa portoghese. Scrive romanzi, racconti, cronache e tanti altri testi. Semplicemente scrive. Ha ricevuto diversi premi, tra cui il premio Bolsa Jovens Criadores del Centro Nacional de Cultura Português.
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  6. gheagabry
     
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    UN LIBRO..UN AUTORE


    “ – Cos’è un lago, Maurice?
    E’ un fiume che si è addormentato e ha sognato di diventare mare.
    E perché non ci è riuscito?
    Non tutti i sogni durano abbastanza a lungo, Vaniglia. ”


    VANIGLIA


    di Lorenzo Marini

    Un uomo, Maurice, che vive a New York, veste spesso di nero e che crede nella quotidianità delle parole. Una donna, Vaniglia, che vive a Los Angeles, veste sempre di bianco e crede nell’eternità delle immagini. I protagonisti di questa storia d’amore sono un uomo e una donna tanto diversi tra loro da essere perfetti l’uno per l’altra.
    Maurice è un uomo che crede solo a se stesso e ama incantare gli altri con parole che perdono il loro senso già il giorno successivo. Già, perchè la forza delle parole è quella del quotidiano, dell’attimo, dell’istante. La forza delle parole è tutta racchiusa in uno slogan pubblicitario che in un attimo ti ammalia e il momento dopo ti illude. Lui è un uomo che non è capace di amare ma che incontra l’amore.
    Vaniglia è una donna che crede che l’amore sia la cosa più meravigliosa che esista ma lo teme e lo fugge. Non crede negli uomini Vaniglia perchè ne ha amato uno nella sua vita. Ma incontrando Maurice gli offre tutto il suo amore incondizionato.


    ...recensione...



    La prova d’autore di Lorenzo Marini potrebbe essere definita un romanzo al rovescio: nessun film è tratto da qui, ma è il libro stesso ad esser tratto da un film. Unica particolarità: il film non è mai stato girato.
    Si intuisce l’esteta dietro questa scelta artistica ai limiti del paradosso.
    VANIGLIA risulta così cadenzato al ritmo di scene con tanto di indicazione delle caratteristiche delle stesse (interno/ esterno, giorno/notte), del montaggio, della location, della luce,la musica di sottofondo, il tipo di inquadratura.
    Lorenzo Marini sembra divertirsi non solo nella scelta stilistica della scrittura, ma gioca con ironia anche sulle dimensioni parallele in cui i personaggi navigano, creando una sorta di dualismo tra reale e surreale con la trovata dello gnomo custode stanco del libro della vita a cui allo spettatore è accordato il permesso di dare una sbirciatina, per scoprire che il futuro di Maurice è inebriato dal profumo di Vaniglia “così come previsto”.
    VANIGLIA è un nome, il nome che Maurice ha deciso abbia la sua donna, il cui nome effettivo alla spettatore non sarà mai concesso di conoscere.
    Con stile sobrio ed elegante Marini introduce lo spettatore in una storia d’amore: racconta della sfrontatezza grazie alla quale Maurice riesce a conquistare Vaniglia, del perché le abbia scelto questo nome.
    Scopriamo così le caratteristiche del primo personaggio: sfrontato, un amante sensibile, per nulla scontato, passionale, premuroso a cui si rischia di perdonare tutto, anche il fatto di essere sposato, quasi che la storia d’amore tra Maurice e Vaniglia nulla abbia a che vedere con il rapporto tra Maurice e sua moglie Yvonne, una donna bellissima e completa, “un architetto attratto da tutto ciò che è in costruzione”.
    Maurice è un uomo attento ai particolari ai limiti del maniacale, nel suo costante tentativo di stupire per regalare momenti unici che le donne non osano nemmeno chiedere.
    Maurice è la summa degli amanti, un uomo che durante l’amplesso non si limita a parlare, sussurrare, urlare, ma inventa e racconta e nel suo narrare, regala favole e piacere, così che nel pieno del suo godere Vaniglia scopra le stelle come starnuti del sole. Vaniglia, dal canto suo, non è solo un personaggio, ma il suo carattere diventa via via più definito fino a meritarsi il ruolo di essenza.
    (www.recensionilibri.org/)

    “Vaniglia”è una storia d’amore come tante, che inizia, si evolve e poi imbocca direzioni che non ci si aspetterebbe. Ma è il modo in cui questa storia è raccontata che rende tutto cosi ‘magico’e particolare. Il libro è scritto come una sceneggiatura, quindi con frasi spesso corte, molti dialoghi, descrizioni dei luoghi dove i personaggi interagiscono e anche del loro abbigliamento. Ma la poesia, la dolcezza, il romanticismo e la passione (e non solo) con cui Marini dipana la storia smussano moltissimo il lato a volte arido proprio di una sceneggiatura.
    (https://paroleinfinite.wordpress.com)


    LORENZO MARINI



    Lorenzo Marini (Monselice, 1958) è un pubblicitario e scrittore italiano.Dopo gli studi artistici e la laurea in Architettura a Venezia nel 1980, lavora presso alcune agenzie pubblicitarie italiane: Ogilvy, Leo Burnett, Canard e Gruppo Armando Testa. Nel 1997 fonda a Milano la Lorenzo Marini & Associati, agenzia con filiali a Forlì e Torino e che nel 2010 apre una sede a New York. Nella sua carriera da art director viene insignito di oltre 300 premi nazionali e internazionali, tra cui il Leone d'Oro di Cannes al Festival internazionale della pubblicità per la campagna Agnesi nel 1985. Artista multidisciplinare si dedica negli anni a numerose attività: dal cartooning alla regia, alla pittura e in particolare alla scrittura, con la pubblicazione di alcuni saggi e di due romanzi.
    Ha condotto per Rai Radio 2 ‘Il giorno della marmotta', programma sulla creatività, in coppia con Dario Vergassola


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  7. gheagabry
     
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    UN LIBRO..UN AUTORE


    "Smettila soltanto di mentirmi su cos’è la vita, dice Elf.
    Benissimo, Elf, smetterò di mentirti quando tu smetterai di cercare di ammazzarti.
    Allora Elf mi dice che dentro di sé ha un pianoforte di vetro.
    Ed è terrorizzata all’idea che possa rompersi. Non può permettere che si rompa...."


    I MIEI PICCOLI DISPIACERI


    Elf è sempre stata la più bella. Ha stile, idee geniali, ti fa morir dal ridere; le capitali del mondo la ricoprono allegramente di dollari per farle suonare il pianoforte e gli uomini si innamorano perdutamente di lei. Yoli è la sorella squinternata. Ha messo al mondo figli con padri diversi, ha un amante avvocato, se si rompe la macchina fa sesso con il meccanico, ha il conto sempre in rosso e una carriera mancata. E cos'è adesso questa storia che Elf vuole morire? Proprio in questo momento, poi, a due settimane da un'importantissima tournée. "Elfie, ma ti rendi conto di quanto mi mancheresti?" Quali sono le cose giuste da dire per salvare una vita? Yoli la prende in giro, la consola, la sgrida, aggredisce lo psichiatra dell'ospedale, cammina lungo il fiume tumultuoso del disgelo, non sa più che pesci pigliare. Cospira con la madre, con zia Tina, con il tenero marito scienziato di Elf, con Claudio, il suo agente italiano, e tra cene alcoliche, sms di figli ed ex mariti, sorrisi e ultime frontiere del pianto, lottano tutti per convincere Elf a restare. E in questo lungo duello di parole, carezze, umorismo nero si celebra la grazia e l'energia che occorrono per accettare il dono fragile della vita.

    ...recensioni...



    [..]I miei piccoli dispiaceri è una storia parzialmente vera di grandi, immensi dolori. Sull'amore più profondo, il senso segreto della vita, un male difficile da mettere a fuoco. Purtroppo si legge con attenzione altalenante: amare in una prima parte deliziosamente tragicomica, tollerare appena in una seconda metà superflua. Il romanzo ha un'ironia dissacrante che non ci si aspetta e pensieri fiume. Nella corrente, si perdono virgolette e voci, all'insegna di un utilizzo continuo del discorso diretto libero. Rendendo la lettura straordinariamente intensa ma poco agevole. Capitoli lunghi e un'assenza di dialoghi che pesa, elementi base di uno stile particolarissimo che o si ama o si odia. Inoltre, nonostante tra le pagine abbia trovato la descrizione forse più veritiera e dura del dolore, un dolore intimo esternato nell'immediatezza di uno sfogo scritto, qualcosa si perde a causa di personaggi sui generis e situazioni a me poco familiari. L'infanzia delle due sorelle, così come quella dell'autrice, trascorsa infatti nelle cerchie di una comunità mennonita in Canada. Un'esistenza girovaga nei primi anni di vita, tra le imposizioni maschiliste di un gruppo culturale normativo e gli stimoli di genitori pazienti e sempre con il naso in un libro.
    Lo stile nuovo distrarrà pure, ma I miei piccoli dispiaceri al solo pensiero mi commuove. E, nel mezzo, ha scene da leggere e rileggere, sui personaggi stretti attorno al capezzale della musicista con un pianoforte di vetro nel petto, l'estenunante lotta contro i medici, la guerra civile contro sé stessi. Il pensiero vago di regalarle un viaggio in Svizzera e l'eutanasia: una morte dolce. Soluzione estrema a cui si è favorevoli, solitamente, quando c'è di mezzo una malattia incurabile. E se la malattia incurabile c'è, ma è invisibile e radicata, non diagnosticabile, che ne è dell'opinione pubblica e degli interrogativi etici? [..](http://diariodiunadipendenza.blogspot.it/)



    Jane Crowther
    “Perché ci dicono sempre che se crediamo in lui Dio risponderà alle nostre preghiere? Perché non può essere lui a fare la prima mossa?”
    Con I miei piccoli dispiaceri, Miriam Toews supera se stessa e ci regala uno di quei romanzi rari e stupefacenti che riempiono di commozione e gioia profonda. La storia è semplice e nasce da un’esperienza dolorosa di Miriam: il suicidio dell’amatissima sorella. Ma proprio qui Miriam rivela tutto il suo genio e la sua umanità. La narrazione di una sventura si tramuta sempre più in un inno incredibile alla vita, alla debolezza e al coraggio, alla musica del mondo che ci chiama. E tutto senza un filo di sentimentalismo, anzi, con un umorismo che colpisce al cuore, con una lucidità che è un dono inestimabile.Yoli, la sorella dalla vita sgangherata, Elfie, la sorella pianista di successo, Nora, la quattordicenne favolosa, la nonna, discepola della vita, fagotto rubensiano di carne e cicatrici, Nic, che piange senza saperlo, Claudio, che crede nella musica come medicina universale… diventano, per trecento pagine, i nostri amici più veri. I miei piccoli dispiaceri è un capolavoro che ha conquistato premi, recensioni e classifiche sia in Canada che negli Stati Uniti. Bibliotecari, librai, critici severissimi della rete, del Washington Post e del New York Times l’hanno celebrato tra i romanzi più belli del 2014. La versione italiana è scritta da Maurizia Balmelli, grande traduttrice che su questo romanzo ha lasciato pezzi di cuore. (Raffaele Cecoro, http://scrignodistelle.altervista.org/)


    MIRIAM TOEWS



    Miriam Toews è una scrittrice canadese, nata nel 1964 vicino a Winnipeg, nella provincia di Manitoba in una famiglia di culto mennonita, la maggiore tra le chiese anabattiste. In tutti i suoi libri, Miriam Toews racconta il modo in cui la libertà individuale è limitata e influenzata dalla comunità in cui si cresce. Toews ha scritto sei romanzi, cinque dei quali tradotti in italiano: il primo, Un complicato atto d’amore, A complicated kinderness, nel 2005 da Adelphi, tutti gli altri da Marcos y Marcos. Oltre alle opere di narrativa, Toews ha scritto anche Swing Low: A Life, la biografia di suo padre Melvin che il 13 maggio 1998 si suicidò buttandosi sotto un treno. Dodici anni più tardi, nella primavera 2000, a suicidarsi fu Marjorie, la sorella di Miriam, una brava pianista che aveva fatto concerti in Europa.

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  8. gheagabry
     
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    "E allora mi dico che, se nel mondo ci sono persone che suonano il violino, cambiano pannolini, girano video porno amatoriali, insegnano hip-hop, seminano e leggono Harry Potter, fra sette miliardi ce ne sarà almeno una che stava aspettando proprio me, nei dieci minuti in cui io la incontrerò."


    PER DIECI MINUTI


    di Chiara Gamberale


    Dieci minuti al giorno. Tutti i giorni. Per un mese. Dieci minuti per fare una cosa nuova, mai fatta prima. Dieci minuti fuori dai soliti schemi. Per smettere di avere paura. E tornare a vivere. Tutto quello con cui Chiara era abituata a identificare la sua vita non esiste più. Perché, a volte, capita. Capita che il tuo compagno di sempre ti abbandoni. Che tu debba lasciare la casa in cui sei cresciuto. Che il tuo lavoro venga affidato a un altro. Che cosa si fa, allora? Rudolf Steiner non ha dubbi: si gioca. Chiara non ha niente da perdere, e ci prova. Per un mese intero, ogni giorno, per almeno dieci minuti, decide di fare una cosa nuova, mai fatta prima. Lei che è incapace anche solo di avvicinarsi ai fornelli, cucina dei pancake, cammina di spalle per la città, balla l'hip-hop, ascolta i problemi di sua madre, consegna il cellulare a uno sconosciuto. Di dieci minuti in dieci minuti, arriva così ad accogliere realtà che non avrebbe mai immaginato e che la porteranno a scelte sorprendenti. Da cui ricominciare.

    ...recensione...



    Sessanta: i minuti in un'ora. Millequattrocentoquaranta: i minuti in una giornata. Moltiplicandoli per trentuno, ecco i minuti in un mese, se la matematica – come si dice - non è un'opinione. Molti. Tanti. Abbastanza. Be', quello è sicuro. Dieci minuti sono un momento, un abbaglio, un niente. Li spendiamo al bagno, in fila alla posta, per raggiungere a piedi il supermercato, aspettando sotto una pensilina in plexiglass che passi una circolare puntualmente in ritardo. Rubiamoli. Sottraiamoli alla schiuma da barba e al filo interdentale, alle bollette da pagare, alle buste della spesa, agli autobus urbani. Rubiamoli, e regaliamoli a noi stessi. Volersi bene è un attimo. Volersi bene è Per dieci minuti. [...]Ho scoperto che la Gamberale, con poco, sa farmi star bene. Rieccola. Questa volta senza carrelli, nomi fittizi, false identità. Semplicemente Chiara. Per dieci minuti è un autobiografia che non è la sua. Cosa strana. La Chiara del romanzo fa la scrittrice, ha vissuto a lungo a una melanzana e a una zucchina di distanza dai suoi genitori, ha amato per metà della sua vita un ragazzo conosciuto all'ultimo anno di liceo. Quando lui aveva gli occhi gialli di un gatto, lei le codine di un'adolescente bambina. Hanno fatto un errore insieme: crescere insieme. Il trentaseiesimo Natale di Chiara si prospetta solitario e nostalgico, all'insegna delle tradizioni e dei ricordi - lei, poi, che odia entrambe le cose.
    Suo Marito è andato a Dublino per lavoro; poi l'ha chiamata, per avvisare gentilmente che sarebbe rimasto lì, con un'irlandese che ama i pancakes e le tenerezze; poi l'ha chiamata ancora, ma per dire, questa volta, che sarebbe tornato. Da lei? Per sempre? Il Suo Capo l'ha licenziata; la rubrica che curava per una rivista le è stata portata via, e dalla vincitrice morale del Grande Fratello. Il Suo Romanzo – che parla di due donne diversissime che, al supermercato, si sbirciano la spesa: vi dice qualcosa? - non procede come dovrebbe procedere. La Sua Vita, come il Suo Cuore: in cocci dolorosi. Chiara è una giovane donna che fa abuso di pronomi possessivi, che ha pregiudizi infondati, che non vede ciò che le sta intorno. Come quella Roma, nella quale si è trasferita quando l'amore c'era, che non le piace, perché no. Indifferente, vuota, cinica, piena di piccioni, turisti, occasioni sprecate e marziani in incognito.[...]Resta la voglia di raccontare, ma soprattutto di raccontarsi, e di allestire una piccola Cappella Sistina di creature fluttuanti, fatate, ironiche, esilaranti con realismo. “Da quando la mia vita è vuota, non mi ero accorta che fosse così piena”, scrive Chiara, facendo un salto dal suo palazzone di timidezza e pacata indifferenza situato nei pressi dell'inospitale Egoland.[..]
    Nel suo salotto, ha l'arca di Noè: un amico con le pailettes nella voce, che nasconde boa di piume sotto i completi da bancario e che pronuncia tutto, ma proprio tutto, al femminile (La Tua Marita, Le Pancakes, Gianpietro che diventa Zia Piera...); il violinista degli Afterhours il cui motto solenne, nato da una triste constatazione, è “Nel frigo di Chiara c'è solo la luce”; il cinese dietro l'angolo, l'estetista, gli innumerevoli ospiti della sua vecchia rubrica, le piccole scrittrici in erba conosciute durante le presentazioni nei liceai, i coinquilini di gioventù; e poi c'è Ato. Un italiano stentato, la pelle diversa, una famiglia al di là del mare, della guerra, della povertà. Un figlio mancato, nato già diciottenne, dipendente da Harry Potter e The Vampire Diaries, con cui seguire lezioni di hip-hop e lasciare andare lanterne voltanti come in Rapunzel, il cartone che entrambi preferiscono. L'aiuto Babbo Natale di Chiara, in un ventiquattro dicembre passato con il berretto rosso e la barba finta, in una metropoli che si scopriva più accogliente e calorosa ad ogni scampanellio, ad ogni risata, ad ogni Jingle Bells - con Gianpietro che faceva la diva, Ato che si nascondeva e Chiara che sperimentava. Di quella follia restano le parole in questo libro e un'autentica foto in bianco e nero, riportata tra le pagine. Perché è accaduto davvero. Per dieci minuti è una commedia brillante per i romantici cronici: quelli che hanno una lunga storia d'amore con la loro vita e la loro felicità. Ma è anche il diario di una professione, di un impegno, di una passione. Ci sono le idiosincrasie del lettore medio, infatti, che, ogni tanto, fanno capolino e, dagli angoli di una libreria da cui la protagonista spia i loro acquisti, parlano in libertà. Una radicale sferzata al nostro sorriso. La rotazione di quella parentesi che, da triste a allegra, fa luccicare quei due punti fermi come fossero occhi d'uomo. Lasciamo entrare il sole. "E allora mi dico che, se nel mondo ci sono persone che suonano il violino, cambiano i pannolini, girano video porno amatoriali, insegnano hip-hop, seminano e leggono Harry Potter, fra sette miliardi ce ne sarà almeno una che stava aspettando proprio me, nei dieci minuti in cui io la incontrerò."(Mr. Ink, http://diariodiunadipendenza.blogspot.it/)


    Passa un minuto. Ne passano due. Tre. Non so più quanti ne passano, quando eccola. Ma sì, sì. Eccola. Mi appare: la vita. Che scorre, semplicemente. Lungo questa stradina di Delft. Scorre. Per le due donne, per i bambini. Per tutti. Implacabile. Sempre uguale. Implacabile perché sempre uguale. Perché sempre uguale, a tratti bellissima. E improvvisamente capisco, so. Che non sono i viaggi per il mondo, non sono i deserti immensi, le cattedrali, gli eserciti di terracotta, i panda, i canyon con Mio Marito che mi mancano: no. Non sono “i fatti salienti, le contraddizioni e le opere d’arte”. Ma è quella cosa lì che mi manca. La nostra vita sempre uguale. Bellissima. Implacabile.

    Siamo diversi, appunto.
    Molto diversi fra noi. Leggiamo per noia, per curiosità,
    per scappare dalla vita che facciamo, per guardarla in faccia,
    per sapere, per dimenticare,
    per addomesticare i mostri fra la testa e il cuore, per liberarli.


    In effetti, il meglio della vita sta in tutte quelle esperienze interessanti che ancora ci aspettano: con il gioco dei dieci minuti lo sto imparando. Dunque sta anche nei libri che tutti hanno letto, ma che per qualche imprecisato motivo noi ancora no. Non ho più un amore. Non ho più una casa che sento davvero mia, non ho più un lavoro che mi piaceva. Non ho un perno: ecco. Ma la vita che gira attorno a questo perno che non c'è, forse, non è poi così male. “Vede, Chiara, è proprio la vita l'unico perno possibile. È perno e ruota insieme, la vita.”

    Perché nelle infinite semplificazioni con cui crediamo di metterci in salvo e dentro cui invece ci perdiamo, c'è una cosa, una soltanto, che non può venirci dietro, che non possiamo ingannare. Questa cosa è il tempo. Che è qualcosa di pochissimo, se siamo felici. È qualcosa di tantissimo, se siamo disperati. Comunque sta lì. Con una lunga, estenuante, miracolosa serie di dieci minuti a disposizione. Abbiamo l'occasione di farci quello che ci pare, con la maggior parte di quei dieci minuti. Ma ci sono momenti in cui non riusciamo proprio a coglierla, l'occasione. Ci sono momenti in cui, anzi, ci pare una disdetta. Quei momenti sono bugie.


    Chiara Gamberale è una giovane scrittrice romana nata nel 1977, collabora con La Stampa, Il Riformista e Vanity Fair, è conduttrice radiofonica e televisiva. Nel 1996 vinse il premio di giovane critica Grinzane Cavour promosso da La Repubblica e nel 2008 ricevette il Premio Campiello per il libro La zona cieca.
     
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  9. gheagabry
     
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    UN LIBRO ....UN AUTORE

    "Ci mette così tanto tempo, il tempo, a rispondere.
    Che gli uomini potrebbero superarlo in velocità."

    L'UOMO DEI TULIPANI

    di Lorenzo Marini


    Una storia d'amore vissuta quattrocento anni fa che potrebbe rivivere domani... La bussola del sentimento varia dalla malinconia struggente al grottesco divertito, ricordando certi personaggi di Calvino o di Flaubert, passando per gli ossimori di Baricco. Queste storie incrociate rappresentano le nostre vite, immaginate e mai vissute. Nell'Olanda del Seicento, una serie di storie che incrociano i propri destini. Il protagonista è un pittore di tulipani, il maestro Napilut, che dipinge solamente tulipani e lo fa copiando una modella, Assentia. I suoi quadri sono adorati da tutti, forse grazie a uno strano fenomeno: profumano. La gente pensa che profumino di tulipano e invece profumano d'amore, poiché Napilut ama Assentia. La quale non può ricambiare, avendo promesso a un marinaio partito per la Compagnia delle Indie Orientali che lo avrebbe aspettato. Nello stesso momento il dottor Claudius sta scrivendo un libro di catalogazione delle nuvole ma, pur avendolo iniziato sette anni prima, non riesce a terminarlo per colpa di una costante modificazione del soggetto: le nuvole cambiano forma continuamente. A metà libro arriva l'antagonista, il veneziano Mario De Ros, pittore specializzato in rose. Con uno stile spettacolare e lontano dalla cultura calvinista del tempo ucciderà a colpi di moda e bugie la mania dei tulipani sostituendoli con le rose. Napilut ricordando Assentia, raccoglie un tulipano selvatico e lo copia, dipingendo così il più bel ritratto di donna del seicento olandese.

    ...recensione...


    Ogni pagina, un petalo, ogni petalo un personaggio; il tutto sintetizzato in una sorta di book, quale è il nuovo romanzo di Lorenzo Marini, con un unico protagonista indiscusso: il tulipano, molto più di un fiore, quasi fosse il simbolo dell’unicità. Insolito il romanzo, come insolita la scelta di impaginazione: in una sorta di duetto stilistico trovano il loro spazio sia l’espressione visiva che la descrittiva del romanzo.
    Alla sua sinistra, il libro lascia che siano i tulipani a raccontarsi, concedendosi agli scatti fotografici di Riccardo Rietti, che con delicata passione sa cogliere la loro essenza e renderla evidente in immagini. Giochi di luce ed inquadrature suggestive rendono piacevole anche solo sfogliare questo libro. Non delude, però, le aspettative passare alla fase successiva e posare lo sguardo sul lato destro del libro e lasciare a Marini lo spazio del suo racconto: la sua penna narra di Amsterdam nel 1600, di vite che non possono non sovrapporsi in un intrigo di fili e incroci; perché Amsterdam è questo: vicoli e canali, ma soprattutto un disegno unico come la tela del ragno. Con un stile maturo e consapevole, Marini ci introduce così in un caleidoscopico mondo i cui personaggi sembrano incastrarsi perfettamente in un gioco fatto di colori, profumi e suoni, il cui filo comune sia lo scandire del tempo ed il tentativo di mantenere fede alle promesse.
    Ogni personaggio ha un nome che racconta la sua storia, intrisa di grottesca follia, attesa, assenza, silenzi e disperazione.
    Incontriamo così il maestro Napilut: come il suo nome lascia intuire è il pittore di tulipani, i cui quadri sembrano parlare per effetto del “tocco Napilut” che instilla ai quadri una sorta di soffio vitale. Un segreto, il tocco Napilut, fatto di fusioni di colori e sostante rare, miscelate con cura da Blu, la sua assistente cieca, che vede oltre il nero dei suoi occhi. A questo si vanno ad aggiungere le tonalità passionali che la sua modella genera in lui: Assenzia, la donna che ama e da cui è riamato, in una sorta di impossibile amore a causa di una promessa d’attesa, una promessa che Assenzia ha regalato al suo marinaio.
    Una promessa è diventata anche la ragione di vita dell’orologiaio Van der Clock: ha promesso alla sua principessa che ci sarà e da quel giorno la sua vita è scadenzata da attimi ed attese. Così come il dottor Claudius, catalogatore di nuvole ha fatto delle stesse il senso del proprio esistere, nella ricerca costante della loro essenza.
    Allo stesso modo il dottor Van Der Calm ha una promessa, quella di fermare il tempo, in una sorta di donchisciottesca ed altrettanto rocambolesca lotta con i suoi Mulini Controvento. Molti altri i personaggi, molte altre le promesse che arricchiscono questa Amsterdam i cui tulipani resteranno unici, almeno fino a che la loro malattia non sarà curata, che poi, in fondo, è il destino di ogni folle.
    (Monica Pintozzi il Nov 25, 2010, www.recensionilibri.org/)


    "Stai alla mia vita come il sale sta all'oceano".
    Ma lui non sentiva.
    La nave era già troppo lontana e loro due potevano solo vedersi.
    Due figure precise in mezzo a tante ombre.
    "Stai alla mia vita come il sale sta all'oceano".
    Le erano fermentate nel cuore tutta la notte, erano rimaste in gola tutto il tempo della partenza, salite alla lingua durante l'ultimo abbraccio. Come sempre, anche questa volta le parole erano rimaste impigliate nella bocca. Assentia sapeva sempre cosa voleva, sapeva benissimo cosa dire, sapeva perfettamente come dirlo, ma si bloccava un attimo prima di parlare. Zitta. Così.
    Parlava poco, Assentia, ma quando lo faceva erano perle.
    "Stai alla mia vita come il sale sta all'oceano".
    Gridato, con tutto il fiato, con tutto il cuore, con tutto il destino avverso, con tutta la disperazione che un'attesa può portare.
    [...]
    Parlava poco con le parole. Molto con gli occhi.
    Le sue frasi d'amore più belle erano lacrime.
    [...]
    "Stai alla mia vita come il sale sta all'oceano".
    Era diventato un urlo contro il cielo, ritornato sul mare, avvolto dalle onde, mangiato dalle acque, conservato negli abissi.
    Era la dichiarazione d'amore più tenace che il porto di Amsterdam avesse mai ascoltato.
    Era la dichiarazione incontrovertibile della loro unità. Erano fatti l'uno per l'altra.
    E niente li avrebbe separati.
    Era un arrivederci. Certi anni passano come gli attimi.
    Era un addio. Certi attimi non passano mai.


    " Per Napilut dipingere e vedere era la stessa identica cosa. Per lui, credere e amare non faceva alcuna differenza. Dipingeva con accanimento, paura, rabbia, acuta precisione, fuorviante rapimento, eccessiva sensibilità, fatale capacità, libera irrequietezza. I suoi quadri, criticati e amati, erano comunque un punto di riferimento. E i suoi ammiratori la vedevano questa bellezza eterna, godevano della poesia interiore che i suoi tulipani, e solo i suoi, riuscivano a trasmettere. Li aveva dipinti sovrapponendo l’immagine della donna amata ai fiori stessi, le curve del suo corpo alla dolcezza dei petali, le lacrime alla goccia di rugiada. Ora, per la prima volta, copiava dal vero, trasportando la bellezza agrodolce del corpo di Assentia sui suoi quadri. Ora, per la prima volta, doveva superare se stesso."

     
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  10. gheagabry
     
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    UN LIBRO.....UN AUTORE


    Tutte le cose finite in mare da quando è cominciato il mondo, da quando c'erano i dinosauri fino a stamattina, nate nell'acqua o cadute dalle barche o strappate alla terra dai fiumi in piena, stanno sul fondo a ballare di qua e di là, ma una volta ogni tanto qualcuna prende una corrente, si aggrappa all'onda giusta ed ecco che arriva qui sulla sabbia, pronta a stupirmi.


    CHI MANDA LE ONDE


    di Fabio Genovesi

    Ci sono onde che arrivano e travolgono per sempre la superficie calma della vita. Succede a Luna, bimba albina dagli occhi così chiari che per vedere ha bisogno dell'immaginazione, eppure ogni giorno sfida il sole della Versilia cercando le mille cose straordinarie che il mare porta a riva per lei. Succede a suo fratello Luca, che solca le onde con il surf rubando il cuore alle ragazze del paese. Succede a Serena, la loro mamma stupenda ma vestita come un soldato, che li ha cresciuti da sola perché la vita le ha insegnato che non è fatta per l'amore. E quando questo tsunami del destino li manda alla deriva, intorno a loro si raccolgono altri naufraghi, strambi e spersi e insieme pieni di vita: ecco Sandro, che ha quarant'anni ma vive ancora con i suoi, e insieme a Marino e Rambo vive di espedienti improvvisandosi supplente al liceo, cercando tesori in spiaggia col metal detector, raccogliendo funghi e pinoli da vendere ai ristoranti del centro. E poi c'è Zot, bimbo misterioso arrivato da Chernobyl con la sua fisarmonica stonata, che parla come un anziano e passa il tempo con Ferro, astioso bagnino in pensione sempre di guardia per respingere l'attacco dei miliardari russi che vogliono comprarsi la Versilia. Luna, Luca, Serena, Sandro, Ferro e Zot, da un lato il mare a perdita d'occhio, dall'altro li profilo aguzzo e boscoso delle Alpi Apuane.

    ...recensione...



    Chi Manda le Onde di Fabio Genovesi non rispetta i canoni classici della scrittura. Li trasforma, partendo da un concetto spicciolo: i pensieri.
    Il romanzo, vincitore del Premio Strega Giovani 2015, permette al lettore di entrare integralmente nelle menti dei protagonisti, non uscendone mai, per 389 pagine, in un susseguirsi di riflessioni, descrizioni pratiche ed emozioni viste con gli occhi di una bambina albina, una donna collezionista di disgrazie, un uomo decisamente sfigato e i suoi amici decisamente cazzoni.
    È un flusso continuo, perché i pensieri non si arrestano mai nella vita, figuriamoci in un romanzo. È simile alle onde e non per la danza timida che l’acqua compie ogni volta che raggiunge la riva, ma per la capacità dell’autore di rendere il lettore complice di ognuno dei personaggi, per poi portarlo fuori dalla sua testa e farlo rientrare nella testa di un altro, magari totalmente avverso a quella del precedente.
    Immaginate di guardare il mondo attraverso lo sguardo di una bambina albina, Luna, che il sole non può guardarlo, altrimenti si acceca – molto più di chiunque altro – e che non può manco stare troppo al contatto coi raggi solari altrimenti la sua pelle brucia come quella di un vampiro vecchio stampo. Però voi il sole lo amate e, ancor di più, amate il mare, la spiaggia, i regali che portano le onde sulla sabbia. Poi, immaginate di chiamarvi Serena e di essere la madre di questa bambina e di essere disillusi dalla vita, ma in un modo tanto profondo che è difficile da spiegare. Stringete le sopracciglia e sperate che quella bambina cresca bene, non si scotti al sole, vada a scuola e a catechismo. Poi a un certo punto, smettete di sperarlo. Ve ne dimenticate. Intanto, a scuola c’è Sandro, il nuovo supplente, che vive ancora con la mamma e ha una cotta stratosferica per la madre della bambina albina, che neanche lo sa. E neanche i suoi amici lo sanno, perché hanno problemi ben più grossi: Marino è il catechista della parrocchia, deve mantenere un certo decoro, e Rambo, beh, lui è un militare mancato.
    Però non vi dimenticate di Zot, il bambino con l’infanzia più infelice del mondo e che parla e si veste come se stesse vivendo alla fine della Seconda guerra mondiale e di suo nonno Ferro, che poi nonno non è, che ha un problema con la Morte Secca e con i fucili, ma soprattutto con i russi, che non imbracciano i fucili e hanno una passione per le case al mare. E di Luca, il ragazzo più splendido che voi abbiate mai avuto l’onore di conoscere, che fa surf in Francia e ama il mare più di tutti gli altri messi insieme.
    Queste sono le onde di Fabio Genovesi, che mandano il lettore, uno a uno, dentro gli abissi di queste vite disgregate, a cui sembra mancare un pezzo, frammentate dalle stesse possibilità che la vita ha offerto loro (o, in alcuni casi, dalla loro incapacità di coglierla, quella stessa vita). C’è il respiro della morte che aleggia su Forte dei Marmi, luogo in cui la storia si svolge e in cui lo scrittore è nato. C’è un linguaggio che scardina l’idea ordinaria di romanzo e ci sono tanti sentimenti che si mescolano insieme, contrastanti per età, sesso, spaccati di vita, generazioni a confronto.
    Badate bene che se siete un bambino di dieci anni, credete a un sacco di storie che invece un adulto non crederà mai vere. Per voi il mondo serberà in sé delle meravigliose fantasie, delle possibilità sconosciute di cui ha deciso di regalarvi un pezzo, che per un adulto saranno solo un rifiuto di plastica e alghe. Pensate a essere entrambi, non è per niente facile e questo, alla penna di Fabio Genovesi, va riconosciuto, perché lui, uomo del ’74, c’è riuscito appieno.
    C’è un finale che in alcuni punti è frettoloso, ha voglia di arrivare a tirare le somme di quelle vite frammentate, e c’è il mare, che ad ogni pagina raggiunge le vostre narici e, d’istinto, voi potrete soltanto chiudere gli occhi e ascoltare il rumore delle onde che s’infrangono sulla riva, scacciando la moltitudine di impronte solcate da tutte le vite che sono passate di lì. Ci sono così tante emozioni, poi, che a pensarci mi si stringe un po’ il petto.
    Però ci sono anche i racconti di vita lasciati a metà, sospesi, senza soluzione. I pensieri che all’inizio sono ben definiti, perché ognuno non potrebbe essere associato se non a quel personaggio specifico, ma che, man mano che la storia prosegue, si fondono l’uno all’altro, fino a quando il linguaggio di Rambo non diventa simile a quello di Luna.
    Chi Manda le Onde è un libro ambivalente, puoi restarne toccato e affascinato o deluso e rammaricato o anche tutte e due insieme. Da un lato, ti connette istantaneamente alle menti dei protagonisti, correndo come un treno lungo i dispiaceri delle loro quotidianità e le bizzarrie a cui la vita ha deciso di sottoporli. Sciorina realtà importanti con semplicità, che ti fanno fermare un attimo, durante la lettura, per sussurrare: “Wooow” e poi ricominciare a fiondarti nelle pagine. Ma, dall’altro, a un certo punto si perde, qualcosa si rompe nella struttura stessa della storia. Sembrava avesse ben chiaro il suo traguardo, poi sbanda un po’, come se per un secondo fosse rimasta accecata dalla luce, proprio come succede a Luna quando guarda il sole, e allora potresti addirittura dispiacerti per quelle vite, così belle, che non hanno continuato a mantenere il loro respiro regolare e faticano a ritrovarlo come dovrebbero.
    (Alessandra Farro, http://fuoriposto.com/)
     
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  11. gheagabry
     
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    «Sorella cara, so che è un vecchio luogo comune,
    ma è vero..
    La prima vittima della guerra è sempre la verità. […]»


    Il caso Jane Eyre

    di Jasper Fforde



    C’è un 1985 diverso: i libri sono il bene più prezioso, il tempo tende a flettersi all’improvviso e i confini tra realtà e fantasia sono molto morbidi.
    È il mondo di Thursday Next, trentaseienne dolce e coraggiosa, di professione Detective Letteraria.
    Thursday ha le sue ombre: non riesce a dimenticare il fratello Anton, caduto in Crimea (dove la guerra non è mai finita) e rimpiange un amore perduto. Ma è una donna piena di risorse. Fa bene il suo lavoro; la rallegrano gli incontri fortuiti con il padre, disertore della CronoGuardia, e le visite al laboratorio del vecchio e stravagante zio Mycroft.
    Zio Mycroft è un inventore, affascinato dall’elasticità del tempo, dello spazio, della realtà. Dopo lunghi esperimenti, ha trovato la chiave per entrare e uscire (fisicamente!) da un’opera letteraria. Ma l’invenzione cade nelle mani sbagliate.
    Acheron Hades, criminale diabolico, il terzo uomo più ricercato del pianeta, se ne appropria. Sottrae il manoscritto di Jane Eyre dalla casa natale di Charlotte Brontë, piomba nel romanzo sul più bello e rapisce la povera Jane Eyre in camicia da notte. Poi chiede un riscatto insostenibile… Milioni di fan di Charlotte Brontë sono disperati. Scende in campo Thursday Next. Le indagini la riportano a Swindon, dove vive il suo antico amore. Tra dilemmi sentimentali, pressioni della potentissima Goliath Corporation, sfide all’ultimo sangue con Acheron Hades… riuscirà a portare in salvo Jane Eyre e a rimettere in sesto la sua vita?
    (www.marcosymarcos.com/)

    "Scorrendo l’elenco telefonico di Londra si trovavano circa quattromila John Milton, duemila William Blake, un migliaio di Samuel Coleridge, cinquecento Percy Shelley, altrettanti Wordsworth e Keats, e una manciata di Dryden. Questi cambiamenti di nome di massa poetavano creare problemi ai tutori dell’ordine. Dopo un fattaccio in un pub in cui l’aggressore, la vittima, il testimone, il proprietario, l’agente che aveva eseguito l’arresto e il giudice si chiamavano tutti Alfred Tennyson, fu promulgata la legge che imponeva a ogni omonimo di farsi tatuare un numero di registrazione dietro l’orecchio. La legge non era stata accolta bene – i provvedimenti legislativi più sensati non lo sono mai."


    ...recensione...




    Lucas de Alcântara
    Sin dalle prime pagine il lettore viene catapultato in quella che è un’ucronia (ovvero un mondo in cui la storia ha seguito un corso alternativo rispetto al nostro) condita con invenzioni incredibili sempre a metà tra la scienza vera e propria e la fantasia più sfrenata. Come potrete immaginare, questo porta a sviluppi socio-politici ben diversi da quelli del nostro mondo: Fforde è bravissimo nell’introdurre i vari elementi in modo naturale, senza fare la parte del “maestrino” e senza risultare eccessivo.
    Un ottimo stratagemma che gli permette di delineare meglio il suo mondo, evitando l’infame infodump (ovvero la sensazione di leggere gli sproloqui di un autore sul mondo da lui creato), è l’inserimento di citazioni tratte da pseudobiblia all’inizio di ogni capitolo: interviste ai personaggi, biografie, manuali e saggi danno una sensazione di profondità e di credibilità, risultando spesso anche molto divertenti.
    Un concetto-cardine dell’universo di Fforde è quella che, leggendo, ho ribattezzato “follia letteraria”: in questa versione alternativa del nostro mondo, infatti, le questioni letterarie sono molto più che semplici dibattiti culturali – fanno parte della vita sociale quasi al livello di questioni di etica e morale, talvolta persino con delle sfumature religiose.[..]
    C’è da dire, tuttavia, che questo mondo può essere apprezzato totalmente solo se si ha almeno un’infarinatura di letteratura inglese, direi quella che si può ottenere con un buon professore al liceo. In questo modo si riescono ad apprezzare alcuni dei discorso e varie allusioni. E’ ovvio, inoltre, che chi ha letto Jane Eyre parte “avvantaggiato” e sicuramente si divertirà di più nel vedere certe modifiche che Fforde ha apportato…
    Tuttavia, le avventure di Thursday non sarebbe così piacevoli da leggere se lei non fosse una protagonista che vale la pena seguire: la nostra Detective Letteraria, infatti, è una donna molto sicura di sé, decisa e indipendente, simpatica sin dalle prime pagine. La storia è narrata principalmente dal suo punto di vista e questo ci permette di conoscerla meglio, di capire le sue reazioni e di iniziare a scavare nel suo passato; ho trovato l’approfondimento psicologico buono, anche se non eccellente. Thursday è sicuramente tridimensionale, ma in un certo senso mi è sembrato che l’autore abbia volutamente evitato di addentrarsi troppo in certi lati della nostra detective. Tuttavia, ho fiducia nel fatto che questo ottimo lavoro si approfondirà nei prossimi capitoli della saga.

    jake weidmann
    Inoltre, credo che questa mia impressione si sia creata anche a causa dello stile dell’autore, che è medio, piano: è perfetto, per la sua scorrevolezza e la semplicità, per descrivere, per le scene d’azione, per l’umorismo, mentre si presta meno a rendere le scene più drammatiche, o comunque riflessive.
    Altro personaggio che impedisce di staccarsi dalle pagine è Acheron Hades che, con un nome così, non può che essere il cattivo della storia. Assolutamente senza scrupoli, malvagio per il puro gusto di esserlo, le sue battute sono semplicemente mitiche e il compiacimento con cui porta a termine le proprie nefandezze è tale da risultare quasi comico. Si vede che l’autore spinge sull’acceleratore quando questo personaggi entra in scena: la sua caratterizzazione richiama fortemente quella dei cattivi dei cartoni animati della nostra infanzia, ovvero quegli antagonisti che non possono fare a meno di strapparci delle risate, pur ostacolando i buoni. Allo stesso tempo, però, alcune delle azioni di Hades sono tali da ridimensionare questa dimensione più comica, dandogli sfumature particolarmente inquietanti. Anche i suoi scagnozzi sono caratterizzati da questa duplicità: tra l’altro, la scena in cui li presenta mi è rimasta impressa per la sua ironia e mi ha fatto ridacchiare apertamente!
    I comprimari (il fratello di Thursday, suo padre, i colleghi, i già citati scagnozzi, eccetera) sono tutti molto interessanti, tratteggiati quel che basta per dargli personalità e renderli simpatici al lettore...aggiungeteci pure una trama non esente da colpi di scena e momenti di pathos (anche se è chiaro come il sole che si punta al classico “e vissero felici e contenti”), resa ancora più piacevole dalla natura quasi “episodica” del romanzo – ogni capitolo, come gli episodi di una serie tv, danno inizio e fine a certe avventure che portano, man mano, ad un avanzamento complessivo della trama principale.
    (http://bibliomaniarecensioni.blogspot.it/)


    Jasper Fforde


    Figlio di John Standish Fforde, ventiquattresimo cassiere capo della Banca d’Inghilterra (la cui firma appariva sulla cartamoneta britannica) e cugino dell’autrice Katie Fforde. Ha studiato presso la Dartington Hall School.
    Ha trascorso i primi anni della sua carriera come assistente operatore per l’industria cinematografica, dove ha lavorato per una serie di film, tra i quali Agente 007 – GoldenEye ed Entrapment.
    I romanzi di Fforde sono caratterizzati da allusioni letterarie, giochi di parole, una trama serrata e aderenza al genere tradizionale. I suoi lavori contengono di solito elementi di metanarrazione, parodia e fantasy.
     
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  12. gheagabry
     
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    UN LIBRO..UN AUTORE


    «Viaggiano, gli oggetti smarriti. Cercano l'amore perduto.
    Non tradiscono, non si lamentano.
    Michele li raccoglie, ma l'unico oggetto smarrito
    al quale non riesce a trovare casa
    è proprio il suo cuore abbandonato.» -
    (Maurizio de Giovanni)


    Lo strano viaggio di un oggetto smarrito

    di Basile Salvatore



    Il mare è agitato e le bandiere rosse sventolano sulla spiaggia. Il piccolo Michele ha corso a perdifiato per tornare presto a casa dopo la scuola, ma quando apre la porta della sua casa nella piccola stazione di Miniera di Mare, trova sua madre di fronte a una valigia aperta. Fra le mani tiene il diario segreto di Michele, un quaderno rosso con la copertina un po’ ammaccata. Con gli occhi pieni di tristezza la donna chiede a suo figlio di poter tenere quel diario. Lo ripone nella valigia, promettendo di restituirlo. Poi, sale sul treno in partenza dalla banchina. Sono passati vent’anni da allora. Michele vive ancora nella piccola casa dentro la stazione ferroviaria. Addosso, la divisa di capostazione di suo padre. Negli occhi, una tristezza assoluta, profonda e lontana. Perché sua madre non è mai più tornata. Michele vuole stare solo, con l’unica compagnia degli oggetti smarriti che vengono trovati ogni giorno nell’unico treno che passa da Miniera di Mare. Perché gli oggetti non se ne vanno, mantengono le promesse, non ti abbandonano. Finché un giorno, sullo stesso treno che aveva portato via sua madre, incastrato tra due sedili, Michele ritrova il suo diario. Non sa come sia possibile, ma Michele sente che è sua madre che l’ha lasciato lì. Per lui. E c’è solo una persona che può aiutarlo: Elena, una ragazza folle e imprevedibile come la vita, che lo spinge a salire su quel treno e ad andare a cercare la verità. E, forse, anche una cura per il suo cuore smarrito.

    ....recensione....



    Tutte le sere alle 19:45 in punto il treno torna alla stazione da cui era partito la mattina, Miniera di Mare, e tutte le sere, dopo che i passeggeri stanchi dalla giornata di lavoro sono scesi e sono tornati nelle loro case, Michele sale sul treno, lucida le maniglie, butta le cartacce e recupera gli oggetti dimenticati dalle persone. Ombrelli, chiavi, giacche, borse, valige, un guantone da pugilato (e chissà cosa ne è stato del fratello). Tutto, debitamente archiviato, finisce nella casa in cui abita all'interno della stazione stessa, sulle mensole ad aspettare insieme agli altri oggetti il ritorno a casa di Michele, ad osservalo preparare la stracciatella che manco gli piace, guardare un film in tv, andare a dormire e, il giorno dopo, ricominciare tutto di nuovo, ancora e ancora. Questa è la vita di Michele. Ha sempre vissuto in quella stazione, ci viveva già quando la mamma una mattina prende una valigia e se ne va per sempre, lasciandolo solo con un padre che di lui si è sempre interessato il giusto. Michele da quella stazione non si è mai allontano, è rimasto lì, chiuso nella sua routine, convinto di avere tutto quello che gli serve. Ma nella vita, come ogni buon libro insegna, ad un certo punto un vento fresco arriva, spalanca le finestre e rimescola le carte in tavola. Quel vento ha il nome di Elena che irrompe nella vita di Michele e lo spinge alla ricerca non solo di sua madre ma anche di una vita che vale la pena di essere vissuta, che ha ogni giorno un colore diverso.
    Salvatore Basile ci racconta una storia dal sapore di favola, in cui la leggerezza e la spontaneità dell'infanzia si unisco all'abbandono e al dolore. Michele è un protagonista gentile e sensibile, che guarda il mondo con gli occhi di un bambino, eppure è riuscito più volte a farmi perdere le staffe, si avete letto bene. Più lui guardava quello che lo circondava con occhi trasognati, più non parlava e rispondeva a monosillabi, più io avevo voglia di andare lì e scuoterlo, colpirlo per avere da lui una vera reazione. Michele si lascia correre la vita davanti, proprio come il treno che ogni mattina apre per la sua nuova corsa. Ma su quel treno lui ci sale solo dopo aver conosciuto Elena, che con la sua allegria e spontaneità disarmante lo convince che oltre le quattro mura di quella stazione c'è altro, magari una madre che per un buon motivo se ne è andata, magari un orso polare bianco che aspetta solo di essere trovato. Nel suo viaggio di pochi giorni Michele, finalmente, vive tutti insieme quegli episodi che nei suoi 30 anni non aveva mai vissuto: conosce persone nuove e particolari, ritrova un amico di infanzia, viene picchiato, aiuta a rubare una ruota, partecipa ad una vera cena di famiglia. Eppure in lui resta una rabbia repressa, anzi direi compressa, data da quel senso di abbandono affibbiatogli in tenera età dalla madre (ma anche dal padre).
    Per scelta non ho voluto leggere niente su questo libro, nessuna recensione o articolo. Mi sono confrontata con chi lo aveva letto prima di me e in generale ho sentito un vero entusiasmo nei confronti di questa storia. Io però non sono così convinta. La storia mi è piaciuta nella sua leggerezza, nel suo raccontare i drammi di due protagonisti in maniera però semplice e quasi ovattata, cosa che ha dato a mio parere un accento ancora più doloroso alle vicende di Michele ed Elena. Tuttavia ho trovato alcuni punti troppo lenti, troppo descrivi e troppo ripiegati su se stessi. Tutto viene descritto, ogni cosa che Michele mette nello zaino, posa su una tavola, guarda da una finestra, ogni profumo, ogni riverbero di luce, ogni strada percorsa. Tanto, troppo per una storia che invece ha il sapore della delicatezza.
    Michele è poi un protagonista sicuramente particolare ma dal carattere difficile da inquadrare. A volte mi è sembrato un cucciolo smarrito, altre un pentolone pronto ad esplodere. In più di un'occasione se io fossi stata Elena avrei girato i tacchi per lasciarlo nel suo brodo.
    (http://labibliotecadieliza.blogspot.it/)
     
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  13. gheagabry
     
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    UN LIBRO...UN AUTORE


    “Dove c’è dolore c’è anche rimedio,
    dove c’è solitudine possono nascere nuove amicizie;
    dove c’è rifiuto, si può trovare di nuovo l’amore.”


    Innamorarsi. Istruzioni per l'uso


    di Cecilia Ahern


    Christine ha trentatré anni, una faticosa rottura sentimentale in corso, qualche difficoltà sul lavoro e un’abnorme fiducia nei consigli dei manuali di autoaiuto. Ma quando sull’Ha’penny Bridge di Dublino, una sera d’inverno, vede un uomo disperato sul punto di buttarsi nel fiume Liffey, le tocca mettere da parte le proprie insicurezze e affrontare quelle altrui. Perché quella notte, nei confronti dello sconosciuto che vuole farla finita, ha una reazione istintiva, e senza neanche sapere come si trova a stringere con lui un patto folle. Il bellissimo Adam accetta di vivere fino al trentacinquesimo compleanno, e Christine ha solo due settimane di tempo per dimostrargli che non è mai troppo tardi per potersi innamorare ancora. Della vita, e forse non solo. Tra ex fidanzate che rivogliono quello che hanno perso e segreti di famiglia rivelati dopo anni, lacrime di commozione e abbracci che comunicano quello che a parole non si riesce a dire, vivremo assieme a Christine le due settimane più inaspettate ed emozionanti della sua vita. E ogni volta che lei avrà addosso lo sguardo blu ghiaccio di Adam, sentiremo il nostro cuore battere forte assieme al suo.

    “Dove saremmo senza i domani? Ci resterebbero solo gli oggi. E se dovesse succedere questo con te, vorrei che il giorno più lungo fosse oggi. Riempirei il giorno di te facendo tutto ciò che amo. Potremmo ridere, parlare, ascoltare e imparare, e amare, amare, amare. Farei in modo che tutti i giorni fossero oggi e li passerei tutti con te, e non mi preoccuperei mai del domani, di quando non sarò con te. E quando arriverà per noi il temuto domani, sappi per favore che non volevo lasciarti, o essere lasciata indietro, e che ogni singolo istante passato con te è stato il più bello della mia vita.”


    ..recensione..



    Sono convinta che ognuno di noi ha già un destino prestabilito fin da quando nasce. Possiamo ribellarci, far finta di nulla, ma poi lui prepoten-
    temente si presenta e a noi non resta altro che piegarci alla sua volontà. Per quanto riguarda Adam, penso che questo sia ciò che lo riguarda. Prendere atto che la vita non è quella che si è sempre pensato fosse, o potesse essere, ma accettare che qualcosa di nuovo, nel suo caso specifico ciò che non si è mai voluto, sia il suo futuro. Una variazione che non è disposto ad accettare ma che invece lo porterà a vedere la vita in modo diverso.
    Christine è un’anima che in un momento di cambiamento definitivo della sua esistenza si ritroverà ad essere nel posto giusto al momento giusto (la penso proprio così, non ho sbagliato a scrivere!). Queste coincidenze le permetteranno, sicuramente di aiutare gli altri, ma soprattutto di fare un’attenta valutazione di se stessa.
    Affrontare il suo passato, le sue scelte, mettersi a volte in stand by per assistere gli altri, essere sempre disposti a sostenere gli amici in caso di bisogno, essere disposte a esporsi per salvare qualcuno. Ma alla fine chi protegge chi? Ci sono domande che troveranno risposte nel mentre della lettura. Due per me fondamentali. Perché si ritrova in quei posti a tarda notte? Cosa la spinge ad affrontare quelle persone mai viste prima?


    Tra calcoli di probabilità e manuali d’istruzione si alterneranno momenti drammatici, in cui è necessario chiedere aiuto e aggrapparsi a qualcuno che non si conosce ma che improvvisamente comprende il proprio dolore, le proprie paure, le proprie sconfitte, a momenti di condivisione delle proprie aspettative e di ciò che si è realmente, a quelli divertenti in cui è impossibile non ridere, per arrivare a quelli infinitamente romantici.
    La Ahern come autrice ha una delicatezza nel narrare temi delicati che non infastidiscono la lettura ma anzi la rendono particolarmente affascinante, arrivandoti dritta al cuore. Un viaggio introspettivo, con un tocco di puro romanticismo che l’ha reso ancora più bello. Per nulla scontato sono riuscita dalle parole a fantasticare d’immaginazione e dare “vita” a ciò che accadeva. (http://crazyforromance.blogspot.it/)



    CECELIA AHERN è nata a Dublino nel 1981 e ha scritto a soli ventun anni il suo primo romanzo, P.S. I love you, che ha ottenuto uno straordinario successo internazionale e da cui è stato tratto l’omonimo film con Hilary Swank. Da allora Cecelia non ha mai smesso di scrivere. I suoi romanzi, tutti bestseller, sono disponibili nel catalogo BUR: P.S. I love you, Scrivimi ancora, Se tu mi vedessi ora, Un posto chiamato Qui, Grazie dei ricordi, Il dono, Il libro del domani, Cose che avrei preferito non dire e I cento nomi.
     
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  14. gheagabry
     
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    L’incombere delle scadenze del lavoro appesantiva l’atmosfera in casa, in particolare all’approssimarsi dell’alba. Ma, ogni volta, quando la stanchezza accumulata rendeva il momento critico, attraverso la grande finestra a sud, di fronte alle nostre due scrivanie, vedevamo comparire una piccola ombra biancastra che saliva sul portico e appoggiava entrambe le zampe anteriori sulla cornice della finestra, spiando verso l’interno. Allora aprivamo la finestra per accogliere l’ospite portato dall’aurora invernale e l’atmosfera in casa si rianimava in un attimo. Chibi fu il nostro primo «benaugurante». I «benauguranti» sono delle persone che girano per le case a fare gli auguri per il nuovo anno. Caso singolare, il benaugurante in questione entrò dalla finestra e, per di piú, non disse neanche una parola d’augurio. Però sembrava sapere esattamente come inchinarsi in un bel saluto con le zampette anteriori unite davanti a sé.
    (Hiraide Takashi, Il gatto venuto dal cielo, trad. di L. Testaverde, Einaudi, p. 22)


    Il gatto venuto dal cielo



    di Hiraide Takashi


    All’inizio sembrava un lembo di nuvola che fluttuava nel cielo. Così si apre Il gatto venuto dal cielo, il romanzo di Hiraide Takashi, con una epifania molto misteriosa avvenuta a due giovani sposi, appena trasferiti nella nuova casa. Attraverso una minuscola finestrella nell’angolo della loro cucina possono guardare al di là dello steccato, nella stradina rinominata “vicolo fulmine”, per la forma a zig-zag che la strada assume. Tra l’autunno e l’inverno 1988, una nuvola capace di miagolare fece la sua prima apparizione nel giardino della loro dependance.
    Il gatto si chiama Chibi. Il pelo bianchissimo, con un mantello arlecchino fatto di diverse sfumature, dal carbone al marrone chiaro, una corporatura piuttosto snella ed esile. Chibi, sin dall’inizio, si distingue per due caratteristiche: è restia ad avvicinarsi agli uomini e far loro le fusa, e soprattutto non miagola mai. Chibi ha già una propria casa e un proprio padrone nella casa confinante a est, eppure non esita a trascorrere parte del suo tempo nel loro giardino. A dir la verità, marito e moglie non erano mai stati grandi amanti degli animali domestici, tant’è è vero che nel contratto d’affitto furono concordi nel firmare la clausola che vietava animali (specie i gatti odiati dalla padrona di casa) e bambini. Eppure, Chibi è una “vera bellezza” e nessuno dei due può esimersi dal cercare di avvicinarla lanciandogli una pallina. Malgrado le ritrosie iniziali, la gatta prende sempre più l’abitudine di intrufolarsi nel loro giardino, anche più volte al giorno. Quasi per un passaggio obbligato, viene permesso a Chibi di entrare in casa loro, acciambellarsi sul divano e avere la propria ciotola per il cibo.
    E se è vero, come dice Machiavelli, che ogni piccolo flusso proprio in ragione della sua intima essenza, è connesso, da qualche parte, con un grande fiume, l’apparizione di Chibi sembra essere quasi un segno del Destino. Volente o nolente, la gatta cambia le abitudini di una coppia troppo abitudinaria e sedentaria. Chibi, adottata da due famiglie, seppure col proprio carattere sempre libertino, stravolge i loro ritmi, le loro consuetudini, il loro modo di pensare e persino di vivere. Chibi, ammette Hiraide Takashi con una nota a fine libro, intitolata La posizione del fulmine, è esistita davvero. E prima di lei Berta, e poi Nana. Eppure solo da Chibi ci è giunta la forza di una rivelazione ultraterrena, spasmodica, simile all’energia di un fulmine. Perché Chibi è riuscita ad abbattere silenziosamente un muro, a entrare nel cuore dei suoi padroni e – magicamente – ad avvicinarli di nuovo. La gatta porta una ventata non solo di novità ma anche d’allegria in casa, spazza via il silenzio che da tempo abitava le loro anime. Il gatto venuto dal cielo è dunque la storia di un amore ritrovato, di una serenità finalmente riscoperta e riconquistata.
    Questo libro è soprattutto un’ode alla vita, con la sua transitorietà, i suoi mutamenti di stagione, di abitudini e d’animo. È la storia d’un destino-nuvola che appare e scompare in un cielo pieno di fulmini d’emozioni, di novità e scoperte. Se ne apprezza il senso generale soltanto a libro chiuso, in quanto lo sguardo enigmatico e, a volte, ermetico con cui Takashi descrive la storia non sempre si coglie subito. Infatti, se è vero che il lampo di genialità si coglie già dall’incipit del romanzo, è solo alla sua conclusione che il fulmine saetta in ognuno dei suoi lettori la propria potenza e il proprio messaggio.
    (Serena Testa, www.leggereacolori.com/)




    Più che un romanzo si tratta di un “racconto lungo”, una “novella”, per usare un termine desueto in italiano ma comune nella lingua letteraria anglosassone. E la brevità del testo, rispetto a quella di un romanzo “compiuto”, determina l’approccio narrativo, basato su sentimenti e sensazioni evocati da immagini poetiche, piuttosto che sull’esplorazione approfondita del carattere dei personaggi o sull’evoluzione di una trama complessa. Peraltro l’approccio “evocativo” è una caratteristica di molta letteratura giapponese (e questa è una delle ragioni per cui chi scrive ama molto la letteratura in questione).

    L’intera narrazione ruota attorno ad una gattina che entra nella vita di una giovane coppia senza figli a Tokyo, e attraverso la voce narrante del marito il lettore vede come entrambi (forse la moglie più del marito) non riescano ad evitare di “innamorarsi” della gattina, e di come si lascino coinvolgere da questo piccolo animale, che nonostante il “corteggiamento” dei protagonisti rimane autonoma e, se necessario, mantiene le distanze.

    La narrazione è ambientata nella Tokyo anni ‘80 e ‘90, ma il registro narrativo, lento, carico di immagini, potrebbe essere quello di una narrazione giapponese di molti decenni prima. I luoghi e le cose sono importanti tanto se non più delle persone, e la loro descrizione crea l’atmosfera della narrazione, trasmettendo al lettore l’umore dei personaggi in modo più efficace di tante descrizioni esplicite. In questo senso, alcuni passi mi hanno ricordato il sia pur diversissimo “Libro d’ombra” di Tanizaki, una sorta di ode alla casa giapponese con i suoi angoli silenziosi, scuri, ma carichi di implicazioni, come emblema della cultura e della visione del mondo di quel paese.

    Del resto, la riservatezza è un tratto culturale giapponese, e molte cose rimangono normalmente “non dette”, ma percepibili appunto attraverso le sensazioni trasmesse dai luoghi, dalla natura, e, nel libro, da come la voce narrante percepisce il vento, la pioggia, e, appunto la gattina.

    Anche per questo, il registro narrativo e l’atmosfera che questo crea dominano sulla trama. Anzi, la trama è non solo scarna, ma può anche risultare, se presa letteralmente, irritante. Che due persone dotate di un’emotività e di un’affettività “normali” si lascino coinvolgere così tanto da una micetta, sia pure simpatica, può apparire poco credibile, o peggio può indurre il lettore a considerare i protagonisti come due persone incapaci di empatizzare con altri esseri umani. Ma non si tratta di un libro da prendere letteralmente, da leggere come se fosse un racconto il cui scopo è informare il lettore rispetto ai fatti narrati. Si tratta invece di una “poesia in prosa moderna”, nello stesso spirito, ovviamente traslato ad una forma narrativa radicalmente diversa, degli haiku, le brevissime poesie che lasciano intendere (senza descrivere, cosa impossibile nelle poche sillabe prescritte da tale forma poetica) l’impatto emotivo di un fiore appena sbocciato, della prima foglia autunnale, o di un volto intravisto di sfuggita.

    La traduzione italiana purtroppo non è sempre scorrevole come uno desiderebbe. Pur essendo cosciente della difficoltà di tradurre fra due lingue così strutturalmente e culturalmente diverse, mi è rimasta la sensazione che la traduttrice in alcune parti del racconto non sia riuscita a rendere in italiano le sensazioni che il testo originale indurrà nel lettore di madrelingua. Anche se si tratta sicuramente una traduzione corretta, a tratti risulta purtroppo farraginosa, forse appunto perché troppo letterale. Lungi da me dire che avrei saputo far di meglio, ma forse un esercizio editoriale post-traduzione sarebbe stato utile.
    (Alfredo Li Pira, www.thalatta.org/)

     
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  15. gheagabry
     
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    "Questa è una vita che sembra molto più forte della fuggevole esistenza umana, sento la voce dell’acqua che scorre sotto i nostri piedi, sono leggera come un uccello portato dal soffio del vento, mi alzo in volo con le mie ali, dileguandomi, dissolvendomi, trasformandomi in un granello di sabbia trasportato dalla brezza, per poi tornare alla mia esistenza, un corpo senza peso. E’ come se qualcuno mi avesse sollevato e lasciato fluttuare nell’aria, mentre il mio cuore si abbandona alla felicità "

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    Profumo di caffè e cardamomo

    di Badriya al-Bishr



    Hind è una bambina che vive a Riyadh con i suoi genitori e cinque fratelli. Il papà ha fatto fortuna durante gli Anni del Petrolio, e così anche le sue bambine hanno potuto frequentare le scuole come i figli maschi. Da sempre la mamma di Hind, Hila “una donna intagliata nella roccia” che non sa leggere né scrivere, spaventa le sue figlie con storie raccapriccianti e dicendo loro che se dovessero comportarsi male diventerebbero legno da ardere all’inferno; ma Hind, a scuola, scopre che non esistono solo brutte storie, ma anche favole, come quella di Cenerentola o quella di Layla dal cappuccio rosso.

    "Scoprii invece nella scrittura un’occupazione semplice e sicura, creava per me un mondo che potevo condividere con tante altre persone, facendomi conoscere da loro in un reciproco scambio di affetto, costituiva un’avventura impenetrabile, inaccessibile, in cui nessun altro poteva introdursi, in cui era impossibile frugare e cercare i segreti, un codice segreto criptato che soltanto io potevo decifrare, dal momento che i miei genitori non sapevano leggere bene "[ citazione pagina 38]

    Per Hind la scrittura diventa un modo per isolarsi dalla sua vita difficile, fatta soprattutto di sfuriate da parte della madre, una donna che quando era solo una bambina fu costretta a sposarsi e a lasciare il suo villaggio natale per trasferirsi nella caotica Riyadh con un uomo vecchio che non amava.

    Con il passare del tempo, pur continuando ad avere molte limitazioni rispetto ai maschi, Hind è costretta a sposare Mansur un anziano cugino della madre Hila, ma divorzia di comune accordo col marito dopo la nascita della loro figlia May. Dopo il divorzio Hind riesce a trovare un lavoro come assistente sociale in un ospedale, lavorando sodo si ricostruisce una vita e soprattutto conosce Walid, un uomo dolcissimo completamente diverso da tutti gli uomini-padroni che finora Hind ha conosciuto, diverso per esempio da suo fratello Ibrahim, un ragazzo debole che cederà all’odio.

    "Gli uomini comprendono presto che le case sono create per le donne, le catturano e le imprigionano. Le donne sono abituate alla clausura, ci si affezionano (…) Nel mio Paese, le donne maturano, invecchiano immalinconite dalla tristezza, dall’ansia per le malattie dei figli e del marito (…) Il loro ruolo è limitato, il loro valore sociale scarso, dal momento che vengono mantenute per tutta la vita (…) questo rende facile, per chi le mantiene, comandare su di loro" [ citazione pagina 103]


    “Profumo di caffè e cardamomo” è un romanzo ha uno stile, apparentemente molto semplice ma ricco di immagini e descrizioni molto belle; potrei definirlo il libro dei ricordi di Hind, dato che l’autrice saudita mescola la storia della vita della protagonista – che vive la sua maturità approssimativamente nei primi anni del Duemila – e le storie della sua gioventù e di quella della madre.

    fonte: https://girodelmondoattraversoilibri.wordp...fe-e-cardamomo/



    Edited by gheagabry1 - 23/3/2020, 18:15
     
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