PESCI D'ACQUA DOLCE E..PESCI DI MARE..

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  1. gheagabry
     
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    “Ci sono più stelle in mare che in tutto l’universo”



    LE STELLE MARINE




    Cosi J.H. Linck introduceva nel 1733 le stelle marine nel suo “De stellis marinis” probabilmente la prima pubblicazione che ha trattato gli echinodermi. Allora i naturalisti affiancavano spesso il mare e il cielo, o meglio affiancavano tutto ciò che fosse vivente al mare. “Qualsiasi cosa nasca in qualunque parte della terra, la si trova anche in mare”- scriveva Plinio- forse lo specchiarsi della volta stellare sulla superficie delle acque della terra, ha fornito ispirazione a Madre Natura per la creazione delle stelle marine. Forse…o forse no!!! L’unica cosa certa è il mistero dell’evoluzione di questi echinodermi dalla forma così curiosa. Una stella marina ha con se tutte le affascinanti bellezze del mare. Proprio la bellezza insieme ad altri elementi come la strana forma del corpo a simmetria pentaraggiata e la grande abilità predatoria hanno portato Linck a studiare questo gruppo di organismi diffusi in tutti i mari, dall’equatore ai poli, dagli abissi sino ai pochi cm di profondità delle acque costiere.
    Molto diverse fra loro, le stelle marine si sono differenziate durante le varie fasi evolutive, soprattutto per quanto riguarda le strategie alimentari. Spesso le stelle marine sono dei veri e propri “spazzini del mare”, organismi detritivori che si nutrono di tutto ciò che trovano di commestibile sul fondale marino. Altre invece, veri predatori, possono cibarsi di ricci mare, ricoprendoli con i propri tentacoli.

    Le stelle marine sono una forma di invertebrato molto comune; ne esistono più di 200 specie, chiamate più esattamente asteroidi. La maggior parte delle stelle marine hanno un corpo tondo che si prolunga in 5 braccia identiche, ma alcune possiedono più di 40 braccia, mentre altre hanno braccia così piccole da sembrare cuscinetti. Grazie a queste sue braccia la stella marina si può spostare lentamente lungo il fondale marino, sabbioso o roccioso. La bocca non la si può vedere perchè si trova rivolta verso il fondale, al centro del corpo. Le stelle marine hanno un diametro che va da 2 centimetri a 1 metro. Hanno una particolare capacità di rigenerare parti del suo corpo.

    I colori di una stella di mare sono molto sgargianti e variano dal giallo, al verde, al rosa, al rosso e può essere sia omogenea che screziata.
    La stella marina passa la maggior parte della sua giornata in cerca di cibo. Possono ingoiare piccole prede intere ma alcune possono rovesciare lo stomaco all'esterno della bocca, farvi aderire animali anche grandicelli e digerirli esternamente. Le sue prede preferite sono piccoli crostacei e molluschi, tra cui ricci e cozze.
    Con le sue forti zampe, la stella marina, riesce ad aprire il guscio anche delle conchiglie più resistenti e a cibarsene. Non hanno nemici fra i predatori ma sono vittime dei parassiti. Nonostante la sua bellezza, la stella marina viene definita come uno degli abitanti più voraci dei fondali marini. Sono diffuse in tutti i mari della terra e a tutte le profondità. Alcune specie di stelle marine possono anche essere luminescenti.

    Le stelle marine erano considerate una piaga dai pescatori di ricci perché esse erano solite mangiare questi organismi. Per liberarsene, una volta pescate, le tagliavano a metà e le rigettavano in mare. Se viene ridotta in pezzi, da ognuno di questi nascerà una nuova stella marina, se invece perde un braccio lo rigenererà in breve tempo uguale a quello perduto.





    ....la divoratrice di coralli....



    La stella corona di spine l’Acanthaster planci, una stella che ha abitudini notturne e irta di lunghi e velenosi aculei, di giorno rimane immobile avvolta su se stessa, al calar del sole diventa il vampiro dei mari, inizia a cibarsi nutrendosi di polipi corallini, sino a distruggere intere scogliere. Danni ingenti furono provocati da questo echinoderma negli anni settanta alle barriere coralline del Pacifico, provocato da un aumento abnorme di stelle. Una sola Acanthaster planci è capace di divorare coralli in un’area di circa 35 cm di diametro (ovvero le dimensioni della stella stessa).





    ...la più piccola....



    La stella marina piu’ piccola finora conosciuta, meno di 5 millimetri di grandezza, e’ stata scoperta in Australia da un carpentiere, che per hobby esplora il fondo della baia di Port Philip presso Melbourne in cerca di animaletti marini. Il naturalista dilettante, che non vuole far conoscere il suo nome, ha trovato la stella marina annidata fra le alghe alcuni mesi fa, mentre cercava lumache di mare. Ha quindi portato il minuscolo animale, ora conosciuto come stella di mare dalle braccia a pala e dall’aspetto simile ad un minuscolo fiocco di neve, agli esperti del Museum Victoria di Melbourne, i quali hanno ora stabilito che e’ la piu’ piccola al mondo. Il curatore degli invertebrati marini, Tim O’Hara, ha detto oggi che lo specialista di stelle di mare del museo e un gruppo di studenti hanno trascorso mesi a paragonare l’animaletto con gli esemplari della collezione del museo. ”Ne abbiamo trovato un altro in uno dei vasetti, ma non l’avevamo riconosciuto. Credevamo fosse un individuo giovane di un’altra specie”, ha aggiunto. Gli studiosi hanno anche stabilito che come le altre stelle marine, anche questa si riproduce dividendosi in due, usando i piedini per tirare e separare le due meta’. La piu’ piccola stella di mare prima conosciuta misura da sette a otto millimetri e si trova al largo delle coste australiane e africane. O’Hara ha aggiunto che la scoperta e’ significativa perche’ indica che nei mari vi sono numerose piccolissime forme di vita non ancora identificate. ”C’e’ ancora molto da scoprire, – ha aggiunto – laggiu’ vi e’ un intero micro-mondo, ma finora l’abbiamo trascurato. Abbiamo sottovalutato la diversita’ biologica degli oceani”.
    (Ansa, 2.11.07)




    .....la più grande....



    Si tratta probabilmente della specie di stelle marine al mondo più grandi che esistano: il diametro di questo invertebrato raggiunge il metro di larghezza, e, a dispetto delle stelle che conosciamo, può possedere un gran numero di braccia, da circa 15 fino a un massimo di 24....Per quanto possa sembrare un essere all'apparenza placido e immobile, in realtà è un attivo predatore, e, per quanto non riesca a muoversi molto velocemente, riesce comunque a destreggiarsi sui fondali grazie alle decine di migliaia di piccoli pedicelli sotto il suo corpo. Questa specie è in grado di riprodursi sia sessualmente sia asessualmente.




    .......una favola..........



    Un giorno una bambina raccolse sulla spiaggia una piccola stella marina, la risacca l'aveva buttata a riva, ma la stellina respirava ancora, sebbene a fatica. La bimba, con la stella nel palmo della mano, corse da un vecchio pescatore che, seduto su uno scoglio, guardava dove il sole tramonta. La piccola, in silenzio, tese il palmo della mano allo sguardo del vecchio, che strizzando occhi di un azzurro incredibile nel reticolo delle rughe della pelle riarsa dal sole, le disse: "Se la getti a mare, ti sarà grata e io ti racconterò la storia di questa stellina".
    La bambina non se lo fece dire due volte, lasciò che la stellina tornasse a vivere nel mare, poi si sedette accanto al vecchio.
    "Tu sai che nelle notti di luna piena, il mare si alza, é l'alta marea: cielo e mare sembrano unirsi, la luna con i suoi raggi d'argento tira su le onde del mare e questo capita ogni mese, da quando il mondo è mondo.
    Ma tanti e tanti anni fa, il mare si innamorò della luna e in una notte in cui lei era piena, argentata, sorridente, come solo in estate la luna sa esserlo, il mare le dichiarò il suo amore!
    "Potessi baciarti solo una volta-supplicò il vasto mare-lambirti anche con una piccola onda, luna!
    La luna, birichina, non voleva confessare di essere lusingata dalle attenzioni del mare, per cui civettava e come un burattinaio sapiente allentava e tirava le corde della marea, e il mare si alzava e si abbassava, ma mai arrivava a toccarla.
    Una stellina, impietosita della sofferenza del mare, si posò sulla grande faccia della luna, come un gioiello luminoso e mentre lei giocava con le corde, con uno sforzo supremo afferrò anche lei la corda e tirò, tirò finché il mare arrivò a baciare la luna!
    Fu solo un attimo, ma la luna ricevette un intenso bacio salato...
    La stellina, stremata, lasciò la corda, il mare ripiombò in basso e la trascinò con sé ... “È la stella che tu hai salvato, bambina, e che deve rimanere negli abissi a testimoniare che un giorno di tanti, tanti anni fa cielo e mare si toccarono in nome della luna".
    La bambina si alzò sulla punta dei piedi per baciare il vecchio che, seduto sullo scoglio, tornò a contemplare la grande distesa del mare.
    (dal web)





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  2. gheagabry
     
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    LA MURENA





    La murena è diffusa sulle coste rocciose del Meditterraneo e dell'Atlantico orientale, e può raggiungere il metro e mezzo di lunghezza.È un serpentone dal corpo lungo e robusto. Le mascelle sono sottili ma potenti e si estendono oltre l'occhio, che è piccolo e circolare. 1 denti sono lunghi e acuminati. La pinna dorsale, molto bassa, si estende dal capo alla caudale alla ventrale, senza interruzioni. La pinna pettorale è assente. L'apertura branchiale è piccola e rotonda. E' di colore giallo marmoreggiato di bruno e nero, ha narici tubulari e non possiede la lingua. La murena vive negli anfratti delle rocce dove attende il passaggio delle prede. La gola estensibile e il suo grande stomaco le permettono di attaccare animali di notevole dimensioni.Le branchie sono circondate da una macchia nera. La lunghezza massima può arrivare al metro e mezzo e il peso può arrivare, o anche superare, i quindici chilogrammi. La riproduzione avviene nei mesi invernali e le uova sono pelagiche. Si nutre di pesci e di cefalopodi, che assale con incredibile violenza, dimostrando la sua indole aggressiva. Il suo sangue, come quello di tutti gli Anguilliformi, è velenoso... Le sue prede preferite sono le seppie, che caccia di notte, catturandole grazie al suo odorato molto sviluppato e con una rapidità fulminea. Se viene attaccata si difende con i morsi che possono provocare gravi sintomi di avvelenamento. Il veleno è prodotto da piccole ghiandole della mucosa palatina: dotato di un potente potere emolitico (cioè che distrugge i globuli rossi del sangue), scorre tra il dente e la mucosa boccale che lo racchiude.
    L'espressione denota ferocia e aggressività, l'atteggiamento ambiguità come quando si arrotola su se stessa o si aggroviglia assieme alle altre.
    Percepisce e distingue colori e suoni, in cattività riconosce il custode, lasciandosi addomesticare:
    ha impulsi e astuzie simili ai mammiferi.





    La Murena helena, che ha molti parenti nelle acque tropicali, vive nel Mediterraneo e nelle zone calde dell'Oceano Atlantico e solo occasionalmente arriva fino al Golfo di Biscaglia. Popola sia le scogliere superficiali, strisciando in pochi centimetri di fondo, sia i fondali rocciosi a grandi profondità. L'importante è che il luogo sia tormentato da massi, canaloni, spaccature, pinnacoli di pietra rosi dalle correnti. Ama la roccia nuda, come le praterie di posidonie, ma non disdegna nemmeno i deserti di fango ricoperti di detriti, purché essa possa trovare spechi o fenditure dove nascondersi. I relitti di navi affondate l'attirano in particolar modo, perché intorno alle costruzioni arrugginite trova cibo in abbondanza e oscuri cunicoli ove ripararsi. La sua passione sono comunque le distese di anfore antiche, che testimoniano lontani naufragi. Nei colli dei vasi semisepolti nella sabbia la Murena riconosce la tana ideale e vi si stabilisce per molto tempo. In mancanza di anfore, che non sono poi così frequenti, la Murena abita lunghi e stretti cunicoli che si addentrano nella scogliera. Spesso sono inestricabili dedali larghi soltanto qualche centimetro in più del possente corpaccione della Murena, veri labirinti irraggiungibili dal subacqueo, costretto a fermarsi sulla soglia. Sovente la Murena è solitaria, ma altrettanto di frequente è in compagnia di un folto gruppo di suoi simili. In casi del genere, la tribù si impossessa di uno scoglio, o di un agglomerato di scogli particolarmente indicati, ed i singoli membri si dividono ognuno per suo conto in uno speco ben preciso, poco lontano l'uno dall'altro. Di notte la Murena esce allo scoperto e si mette in caccia, ma di giorno, salvo eccezioni, se ne sta tranquillamente alla finestra della sua casa, spuntando solo con la testa, come il Grongo. Ma mentre il Grongo ha l'aria del bonaccione curioso, la Murena ha un aspetto sinistro e tremendamente feroce, che già dall'antichità le ha procurato un sacco di noie. Si è sempre detto che la Murena è sanguinaria e che assale l'uomo, tanto è vero che gli antichi romani la adoperavano per giustiziare sadicamente gli schiavi ribelli, mentre in realtà la Murena, come tutti gli altri pesci, ama la tranquillità e la pace. Di fronte al subacqueo la Murena scappa sempre, cerca il disimpegno e reagisce soltanto se stuzzicata o costretta dalle circostanze. Lasciatela stare e lei se ne andrà per la sua strada senza infastidire nessuno; inseguitela e mettetela alle strette e vi troverete ad aver a che fare con un essere scatenato, fortissimo e rabbioso che non è disposto a scendere a compromessi. La Murena sa di possedere un'arma micidiale, la sua bocca armata di denti aguzzi e ricurvi, fatti per strappare, e se è il caso non ci pensa due volte ad adoperarla.





    ......stralci di storia.....



    Scriveva, infatti, nel I sec. d.C. Lucio Giunio Moderato Columella:......... “ Ma non voglio tralasciare questa trattazione, perché i nostri antichi hanno tenuto in onore l’allevamento dei pesci. Chiudevano in acqua dolce anche i pesci di fiume, nutrivano il muggine e lo squalo con tutta la cura che ora si mette nell’allevare la murena e la spigola. Infatti, l’antica discendenza campagnola di Romolo e di Numa aveva l’ambizione che la vita in campagna, paragonata con quella in città, non risultasse manchevole rispetto a nessun genere di ricchezze.
    E perciò non soltanto popolavano le piscine che avevano costruito artificialmente, ma riempivano anche i laghi fatti da Madre Natura con le uova raccolte nel mare. Così il Velino, così il Sabatino, così anche il lago di Bolsena e il Cimino generarono spigole e orate e tutte le altre razze di pesci che tollerano l’acqua di lago. Poi l’età seguente abbandonò questa cura ed il lusso dei ricconi arrivò a chiudere il mare e a imprigionare lo stesso Nettuno ”

    Anche se Columella descrive i vari tipi di fondale in relazione alle varie specie, ben più ampia rispetto agli altri pesci è l’attenzione che rivolge alle murene, per le quali raccomanda la costruzione di vasche ricche di anfratti e ripari, dunque quanto più simili al loro ambiente naturale. Inoltre, data la voracità di questi animali, non devono venire in contatto con altre specie.
    Decisamente curioso ed interessante come Columella imputi all’infezione rabida, la stessa che colpisce i cani, forme particolari di aggressività e voracità delle murene:........
    “Tuttavia, comunque sia costruita (la vasca), se l’onda riempie d’acqua irrompendo, deve avere divisori vicini al fondo di cui alcuni lisci e rettilinei, nei quali si appartano i branchi di pesci, altri ritorti ed angusti, nei quali possano rintanarsi le murene, poiché è opportuno che non si mescolino con pesci di altre specie, dal momento che, se vengono colpite dalla rabbia, che colpisce questi animali allo stesso modo dei cani, spessissimo inseguono quasi tutti gli altri pesci e li uccidono mordendoli”......“La murena è l’unica fra i pesci pregiati, che pur essendo originaria del mare di Tartesso, sopporta acque esotiche, lontane dalle sue origini senza problemi”...Infine, si tratta di una specie ad elevato impatto estetico, resa affascinante dalla sua pericolosità, particolare quest’ultimo che, senza dubbio, aveva un ruolo determinante nella fantasia degli antichi Romani....Stando a Plinio il Vecchio il primo allevatore di murene fu Caio Irro, che in occasione dei trionfi di Cesare mise a disposizione seimila (!) murene. Da sempre nella nostra cultura aleggia la leggenda che i ricchi proprietari di vivaria spesso nutrissero le loro amate murene dando loro in pasto gli schiavi ribelli. L’unica testimonianza a riguardo la fornisce Seneca:......Chi non odiava più dei suoi servi Vedio Pollione, che aveva il vizio di rimpinguare le murene con sangue umano e faceva gettare nel vivaio di bestie anguilliformi chiunque gli avesse fatto il pur minimo torto? Che uomo meritevole di crepare mille volte, sia che gettasse i propri servi in pasto alle murene, per renderle più succulente, sia che le nutrisse in tal modo, solo per il semplice gusto di farlo”...Aspetti grandguignoleschi a parte, peraltro tutti da dimostrare, è sicuro, comunque, che i vivaria non erano solo strutture zootecniche, ma, i pesci erano diventati anche dei pets: “Invasit dein singulorum piscium amor” sentenzia Plinio il Vecchio (“Naturalis Historia”, IX, 172), ricordando che addirittura la matrona Antonia, moglie di Druso, era talmente affezionata ad una murena da ornarla con orecchini (inaures addidit) agli opercoli delle branchie.




    “La prima volta che vidi Mauritius avevo solo 15 anni, ricordo che rimasi folgorata dalla sua bellezza ma c’era anche qualcosa di più, è un’isola coinvolgente. Proprio come si soffre il mal d’Africa si soffre anche il mal di Mauritius, infatti è un’isola africana, per questo i suoi colori e i suoi profumi sono così intensi e ci restano tanto impressi. Il mix di culture, poi, è unico al mondo.
    Ma per me che sono un’appassionata subacquea, il mare di Mauritius è un grande protagonista ed è stato il luogo d’incontro con il mio primo gigante marino, la grande murena. Si chiamava Geltrude, era una docile “signora” dei fondali che si lasciava accarezzare dall’uomo. Quell’incontro ha segnato la mia vita, da allora ho conosciuto tutti i giganti del mare ma so che se voglio rivedere quelle murene così grandi e così socievoli nonostante le loro dimensioni, devo tornare a Mauritius dove sopravvivono le ultime murene giganti.”
    (Claudia Capodarte)






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  3. gheagabry
     
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    Arancione, oro e verde scintillavano sull'oceano...
    l'acqua brillava di fuochi ultraterreni, il silenzio incorniciava quella magica visione,
    un silenzio che dava agli uomini l'idea d'esser sordi,
    i sensi rapiti da quello scenario meraviglioso.
    (Wilbur Smith)


    ANEMONI DI MARE




    L’anemone di mare, proprio come l’omonimo fiore di terra da cui prende il nome, è un tripudio di colori. Parente stretto del corallo e della medusa, l’anemone è un polipo urticante che passa la maggior parte del suo tempo abbarbicato alle rocce dei fondali marini o sulle barriere coralline, in attesa che un pesce passi abbastanza vicino da restare intrappolato nei suoi tentacoli veleniferi.
    Il suo corpo è composto da un disco pedale adesivo, detto anche piede, un corpo cilindrico e, al suo centro, una corona di tentacoli disposti intorno all’apertura boccale. I tentacoli sono sensibili al più leggero tocco e possono sparare dardi veleniferi a forma di arpione che iniettano nella vittima una neurotossina paralizzante. A questo punto, i tentacoli dell’anemone trascinano la preda inerme fino alla bocca.
    Si contano oltre 1,000 specie di anemoni di mare distribuite a varie profondità negli oceani di tutto il mondo, sebbene quelle più grandi e variegate vivano nelle acque costiere dei mari tropicali. Il colore dell'anemone varia tra le diverse sfumature dell’intero spettro cromatico e la lunghezza può oscillare tra gli 1,25 centimetri e i quasi 2 metri.
    Alcuni anemoni, come i cugini coralli, stabiliscono delle relazioni simbiotiche con le alghe verdi. In cambio del riparo e dell’esposizione ai raggi solari che assicurano alle alghe, gli anemoni ricevono da queste zucchero e ossigeno, i due prodotti della fotosintesi delle alghe.
    L’alleanza simbiotica più nota è però quella che l’anemone stringe con il pesce pagliaccio. Quest’ultimo è ricoperto da uno strato di muco protettivo che lo rende immune alla puntura dell’anemone. Il pesce pagliaccio vive tra i tentacoli dell’anemone, che gli offrono riparo dai predatori, mentre l’anemone può usufruire dei residui di cibo del pasto del pesce pagliaccio.
    (National geographic)



    ....non è facile sfuggire a questo predatore che vive ancorato alle rocce dei fondali marini. Basta un attimo di distrazione per essere raggiunti dai suoi tentacoli urticanti che iniettano nella vittima – in genere piccoli pesci – con un cocktail di tossine paralizzanti.
    Sembra che questo veleno, rilasciato nell’acqua, funzioni anche da “repellente” contro i possibili predatori, uomo compreso. Ne sono invece immuni il pesce pagliaccio e qualche gamberetto, che sviluppano con alcuni tipi di anemone una forma di simbiosi.
    Una volta stordita con il veleno, la preda può essere ingerita attraverso una fessura collegata con lo stomaco stesso.



    "La lingua non è sufficiente a dire e nemmeno la mano
    riesce a scrivere tutte le meraviglie del mare"
    (Cristoforo Colombo)


    Con una superficie più che doppia rispetto alle terre emerse (310 milioni di chilometri quadrati, otto volte quella della Luna!) il mare è un vero e proprio mondo nascosto agli occhi degli uomini.
    Quattro quinti della flora e della fauna del mondo intero vivono nei mari costieri poco profondi che limitano i continenti e solo con cifre di smisurata grandezza si può definire la densità di popolazione di queste acque.
    Una piccolissima parte di questa vita è qui rappresentata, pesci, poriferi, conchiglie, coralli e alghe dove la natura sembra aver giocato con le forme e i colori per stupire ogni volta noi uomini, ultimi arrivati a scoprire questo fantastico pianeta blu.



    .....i colori del mare.....



    Parlare di mare significa inevitabilmente parlare anche dei suoi colori. Il sesto continente con la sua superficie dipinta da infiniti colori che solo la tavolozza di un pittore saprebbe immaginare e riprodurre. Infiniti colori dalle sfumature impercettibili ma dense di emozioni e sensazioni: il blu, l’azzurro, il turchese, il verde, lo smeraldo, il nero, ecc. Tutti credono che il mare sia blu, ma è tutto tranne che quello; è sotto la sua superficie che i suoi colori esplodono in mille forme di vita diverse. E’ sotto la sua superficie che l’occhio, la mente e lo spirito restano affascinati da questo caleidoscopio che ti cattura inesorabilmente facendo vagare la mente verso concetti che nessun altro posto sulla terra, per quanto bello ed incantevole, riesce a trasmettere. Se è vero che i pittori sono i migliori amici dei colori. allora chi ha dipinto il mare e le sue infinite sfumature ne è stato interprete sublime, il suo miglior amico. Persino la notte, quando la sua superficie si colora di nero, sotto l’esplosione dei colori è inarrestabile; spettacolo riservato a pochi fortunati sub che amano immergersi in questo liquido nero alla scoperta dei suoi abitanti vestiti dai mille colori che esplodono in tutta la loro bellezza cromatica quando vengono investiti dal fascio di luce della torcia. Ma nessun colore può esistere se non vi fosse la luce, essa stessa fonte e dispensatrice di colori attraverso il suo spettro fotocromatico. I colori assumono diversi significati e ci indicano molteplici cose: il rosso dei pesci o delle spugne incrostanti ci affascinano per la loro bellezza, il rosso di uno scorfano indica alle altre specie che si tratta di un potenziale pericolo. ma lo stesso rosso di un gambero o di una stella non rappresentano lo stesso messaggio.



    Prerogativa del mondo marino, a differenza di quello animale terrestre, quella di comunicare attraverso i colori essendo l’emissione di suoni limitata a pochissime specie. Ecco che nei fondali marini, con particolare attenzione alle acque limpide e cristalline delle barriere coralline, l’esplosione dei colori è alla sua massima espressione; i pesci che vivono in queste acque sono dotati di una particolare acuità visiva di tipo cromatico che permette loro di percepire i segnali cromatici a notevole distanza. I colori dei pesci rappresentano un valido contributo alla loro difesa, infatti un branco di pesci formati tutti dallo stesso colore sgargiante impedisce al predatore di fissare l’attenzione su un’unica preda in particolare.
    I colori, anche nelle specie che abitano il mare allo stesso modo di alcune specie terrestri, svolgono una importante funzione di selezione nelle fasi di corteggiamento e di accoppiamento; maschi con colori forti ed appariscenti attireranno le femmine in misura maggiore di esemplari con colori non più accesi.




    L’accoppiamento cromatico del giallo con il nero rappresenta un segnale di pericolo; sulla terra questo colore è “indossato” dalle vespe e dalle api che avvisano che sono in grado di pungere i molestatori, in mare questi colori sono tipici dei Pesci Farfalla (Chaetodon) (molto aggressivi nei confronti dei loro simili), Pesce scatolo (Lactophrys). Queste colorazioni devono essere quanto più appariscenti possibile affinché i predatori imparino subito a riconoscerle, a ricordarle ed a temerle.
    In mare il colore serve anche come elemento di mimetismo, per celare le forme facendole passare per altro; ed ecco che il bianco candido del nudibranco Discodoris atromaculata (Vacchetta di mare), che risalta sul rosso e sull’arancio delle spugne su cui vive e di cui si nutre, con la vistosa presenza di macchie nere permette di disgregarne la forma consentendo una protezione dai predatori che altrimenti non avrebbe. Nei polpi e nelle seppie l’interpretazione del concetto di mimetismo cromatico è sicuramente alla sua massima espressione, essi, infatti, in frazioni di secondo riescono ad imitare perfettamente ogni più piccola sfumatura di colore dell’ambiente circostante. In nessun altro posto sulla Terra è possibile ammirare una tale varietà di colori e sfumature come sul mare e nelle sue profondità.
    (Francesco Pacienza)





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  4. gheagabry
     
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    ...un pesce fuori dal comune.....


    Il SALMONE



    Il suo nome è sontuoso come quello di un re, la sua vita è costellata dalla fatica...con il loro incredibile viaggio nelle acque dolci e salate....e le sue carni sono tra le più ricche e pregiate. Il salmone è infatti un pesce che nasce nei fiumi, scende fino al mare per poi risalirli nuovamente in un lungo e faticoso percorso controcorrente, per andare a deporre le uova...Il salmone è un pesce anadromo, cioè nasce e si riproduce in acqua dolce, in ruscelli cristallini. Le larve si schiudono intorno a marzo/aprile e rimangono nella ghiaia fino al completo consumo del sacco vitellino. Escono poi dal fondo e iniziano a nutrirsi: dopo 1 anno prendono il nome di parr e al raggiungimento di 400/500 g di peso, assumono il nome di smolt. Gli smolt in primavera ridiscendono i fiumi sfruttando le piene del disgelo e si stanziano presso gli estuari dove rimangono dai 2 mesi ad 1 anno. In questo periodo la dieta a base di crostacei conferisce al salmone la classica colorazione rosastra delle carni. Infine si allontana dalla costa, assumendo uno stile di vita pelagico (si può trovare da molto vicino a molto lontano dalla costa) con un'alimentazione prevalentemente a base di pesci.

    "La vita di un salmone è particolarmente faticosa. Entrato in mare a circa due anni, cresce nutrendosi di plancton e successivamente di aringhe e piccoli pesci. Dopo soli quatto anni di vita marina, questo pesce sente un irresistibile impulso a tornare verso il luogo d'origine per la riproduzione e si dirige infallibilmente nella giusta direzione per raggiungere il torrente nel quale fu generato. Giunto alla foce del fiume, il salmone lo risale lottando contro la corrente e superando cascate con balzi di qualche metro. Di interi banchi di salmoni solo pochi raggiungono la meta e anche questi, una volta bruciate le ultime energie per la riproduzione, muoiono sfiniti dal loro viaggio per affrontare il quale hanno consumato tutte le riserve di grasso corporeo.....Dal momento in cui incominciano il loro viaggio contro la corrente dei fiumi, smettono di mangiare; e digiunano fino a che, trovato il luogo adatto, fecondate e depositate le loro uova, muoiono, dopo una o due settimane, riportando alla montagna tutto il nutrimento accumulato nel mare....visto in questa prospettiva, il ciclo delle sostanze che dalla montagna vanno alla pianura e al mare e da qui di nuovo all'origine, oltre a renderci consapevoli delle preziosità di tutti gli esseri viventi, ci dà alcuni spunti di riflessione riguardo alla direzione naturale del movimento dell'energia..."
    (il brigante, dal web)


    I salmoni depongono le uova dopo aver risalito i fiumi e che dopo la riproduzione fanno ritorno al mare. Il tempo di permanenza nel mare varia da due a quattro anni ed è rilevabile dagli anelli di accrescimento delle squame. Le uova sono deposte nelle fredde acque dei fiumi nordici, proprio in cima alle fonti, ove l'acqua è molto bassa, al punto da ricoprirle appena. Lo sforzo di risalire le correnti per riprodursi e il periodo di digiuno forzato nelle acque dolci è tale che molti esemplari muoiono poi nel ritorno; solo i più forti resistono, anche se non riescono a compiere più di due o tre viaggi nella loro vita.



    ...nella storia...


    Se pronunciate il nome “salmone”, piano piano e lo ripetete scandendo bene le sillabe, sal-mo-ne, proverete quasi una sensazione di grandezza. Il suo nome è sontuoso, a confronto di altri pesci, il cui unico torto è quello di avere dei nomi brutti e insignificanti. “Salmo Salar”, codificavano gli antichi romani, dal verbo “salire”, riferendosi ovviamente alla loro principale caratteristica. Pesce affascinante questo salmone, anadromo migratorio, cioè va dal mare al fiume. Esattamente il contrario delle anguille, catadrome, che dalle acque dolci vanno nel mar dei Sargassi per riprodursi. Pesce estremamente misterioso e causa inesauribile di accese discussioni. Gli scienziati si sono sempre scervellati per capire la sua genetica e i pescatori, da secoli, gli hanno dato la caccia per mangiarne le carni prelibate. Non si è sicuri neanche sulle sue origini. Alcuni ritengono che la separazione dalle trote sia avvenuta 10 milioni di anni fa, altri “solo” 2,5 milioni. Non ne parliamo di quando, a complicare le cose, ci si è messo anche quello del Pacifico.
    La discussione tra pescatori atlantici e quelli del Pacifico è scoppiata quasi subito. -“Che ci vuole a pescare il vostro salmone, ne avete a milioni nei vostri fiumi”- sfottevano i pescatori atlantici. -“Solo il nostro è il vero salmone”- rispondevano tuonando e anche un po’ seccati quelli del Pacifico -“perché voi li allevate”- Ovviamente, come spesso accade, a peggiorare ulteriormente le cose ci si mise anche una rappresentante del gentil sesso - “ Il vero salmone, per gli scienziati, è quello Atlantico, quelli del Pacifico sono soltanto dei cugini vicini” - asseriva imperiosa Madame Michelle Alliot-Marie, segretaria del dipartimento francese di educazione. Apriti cielo, non l’avesse mai detto. Forse solo la sua avvenenza l’ha salvata da un linciaggio mediatico. E spero per lei che sia stato proprio cosi, dal momento che le donne francesi che ho conosciuto erano tutte femmine affascinanti!!
    Per buona pace dei pescatori delle opposte rive, i salmoni se ne fregano di questa infinita querelle e continuano a saltare felici nell’acqua.
    Il salmone atlantico è di un’unica specie: Salmo Salar. Il salmone del Pacifico invece si divide in sei specie: i Pink, i Chum, i Chinook, i Coho, i Sockeye e i Masou. In alcuni laghi della costa Est degli Stati Uniti, del Quebec, della Svezia, della Norvegia e della Russia, e anche della Nuova Zelanda, esistono dei salmoni stanziali, i cosiddetti land-locked, salmoni la cui via verso il mare è sbarrata. Per la verità qualcuno ha tentato di introdurre il Sockeye nei fiumi dell’Atlantico, ma senza successo !! In Islanda invece hanno portato degli avannotti in acque dove non esisteva il salmone, e l’esperimento, pienamente riuscito, ha trasformato il Ranga in uno dei fiumi da salmoni più famoso al mondo, e di conseguenza in uno tra i più cari del pianeta ( sigh !!). IL territorio del “Salmo Salar” si estende dalle coste portoghesi, a quelle spagnole. E poi Francia, Irlanda e Scozia.
    (Valerio BALBOA Santagostino)


    .....da un racconto.....


    "Per anni il poeta aveva cercato di catturare il Salmone della saggezza, un pesce che avrebbe trasmesso tutto il sapere del mondo alla persona che lo avesse mangiato. Finn Eces non ci riesce fino a quando prende con sé il giovane Fionn. Ma, cucinando il pesce per il suo maestro, Fionn si scotta il pollice e si mette il dito in bocca per alleviare il dolore. Per questo è Fionn che riceve la saggezza del pesce, alla quale può accedere rimettendosi il dito in bocca...."
    (Finn Eces, da L'infanzia di Fionn)




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  5. gheagabry
     
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    L'ANGUILLA




    L'anguilla europea (Anguilla anguilla, Linnaeus 1758) è un pesce teleosteo della famiglia Anguillidae. In alcune regioni italiane la femmina di grandi dimensioni (lunghe fino a un metro e mezzo) viene chiamata capitone mentre il giovanile, sottile e trasparente (40-60 cm), prende il nome di ceca.
    L’anguilla è carnivora e vorace e ama infossarsi in fondi fangosi. Possono resistere parecchi giorni all’asciutto e strisciare sul terreno.
    Ad un determinato momento della loro vita tutte le anguille delle acque dolci europee abbandonano i fiumi e si dirigono verso il mare ed una volta raggiunto continuano il loro viaggio fino ad arrivare in una stessa zona dell'oceano Atlantico, Il Mar dei Sargassi, per deporvi le uova in primavera. Dalla fecondazione di quest'ultime nascono delle larve, trasparenti e a forma di foglia di salice (leptocefali), lunghe pochi millimetri, che iniziano a dirigersi verso oriente.
    Sono necessari tre anni ai leptocefali per percorrere gli 8000 Km che separano il Mar dei Sargassi dalle coste europee: durante questo tragitto le larve entrano anche nel Mediterraneo attraverso lo stretto di Gibilterra. In prossimità delle coste, nella primavera del loro quarto anno di vita, i leptocefali si trasformano in piccole anguille ancora molto trasparenti, le ceche, che risalgono i fiumi, penetrando il più possibile all'interno, seguendo un istinto incoercibile che costringe migliaia e migliaia di giovani anguille a superare le difficoltà di questa migrazione controcorrente: una parte di esse arriva persino in laghi non comunicanti con i fiumi, percorrendo vene d'acqua sotterranee e attraversando prati umidi. Durante questo tragitto esse si pigmentano e cominciano ad aumentare di peso, nutrendosi, all'inizio, di animaletti del fondo.
    In acqua dolce l'anguilla diventa un pesce con abitudini notturne, che durante il giorno vive nascosto in tane oppure immerso nel fondo. A seconda del tipo di nutrizione vengono distinte due forme ecologiche: "anguilla a testa appuntita" che si nutre di insetti, larve, crostacei e vermi e "anguilla a testa larga" predatrice, che si nutre di pesci.
    La maturità sessuale compare nel maschio dopo un periodo di 9 anni e nelle femmine dopo 12 anni di permanenza nelle acque dolci. A questo punto si verifica una nuova metamorfosi: gli occhi si ingrossano, i colori verdastro del dorso e giallastro del ventre cambiano in scuro e argenteo rispettivamente. Le anguille in questo stadio della loro evoluzione cessano di nutrirsi ed il loro tubo digerente si atrofizza; quindi da luglio a settembre, durante le notti, abbandonano le acque interne per raggiungere, dopo un anno e mezzo, il Mar dei Sargassi dove, dopo aver deposto le uova, muoiono.



    Sin dai tempi di Aristotele, i naturalisti cercarono di scoprire il processo di riproduzione dell’anguilla. Solo recentemente è stato scoperto il suo ciclo biologico. L’anguilla raggiunge la sua maturità sessuale in un’età molto avanzata, tra i 12 e i 15 anni, e si riproducono una sola volta. Man mano che le ghiandole sessuali maturano, l’anguilla cambia sensibilmente aspetto e abitudini. Il muso si allunga, gli occhi divengono più grandi, il ventre assume un colore argenteo molto caratteristico.
    Da vorace e stanziale che era, diviene inquieta, nervosa e smette di nutrirsi.
    Un istinto irresistibile la spinge ad abbandonare il luogo dove vive per raggiungere il mare. Nessun ostacolo l’arresta ;se l’acqua manca, l’anguilla raggiunge la terra ferma e, strisciando attraversa i campi, va alla ricerca del ruscello e del fiumiciattolo che la condurrà al mare. Appena raggiunge quest’ultimo, si spinge in profondità portandosi al largo dove scompare.

    L’anguilla ha una carne molto apprezzata e viene pescata soprattutto al momento della sua partenza per la migrazione. In alcune regioni questa pesca costituisce una vera e propria industria. In alcune pescherie del delta del Po non è eccezionale pescare dieci tonnellate di anguille in una sola notte. L’anguilla a cui viene impedito di raggiungere il mare per la riproduzione può raggiungere i 50 anni d’età.



    ...citazioni nella storia.....


    "l'na bolla del 1152 del papa Eugenio 111° conferma al vescovo Bonifacio il diritto di pesca anche delle anguille dalle sorgenti del fiume Sile usque ad aaqicas salsa,?, e risulta che tale diritto era anteriore alla signoria dei conti di Gorizia. L'anguilla vive in tutte le acque, perfino nei luoghi creduti inaccessibili a qualunque pesce. Talvolta essendo riuscita ad invadere i condotti d'acqua dì una città, è salita ai terzi piani delle case."
    (Da Atti del Accademia olimpica di Vicenza)


    "Sui laghi è richiesto il pesce d'acqua dolce, soprattutto filetti di persico oi lattarini fritti, mangiati interi prendendoli per la coda. Il coregone è noto per la bontà delle sue carni. Anche le anguille del lago di Bolsena sono note e apprezzate, tanto da far nascere la leggenda che Papa Martino IV - siamo nel 1285 - morì per averne mangiate troppe. Per il suo peccato di gola, Papa Martino IV è posto da Dante nel Purgatorio."

    "29 mar 1285 - Ne rideva la Curia, dove Pasquino, non ancora ridesto dal sonno secolare, contava già precursori in buon numero, e gli aneddoti fioccavano; si dicea che Martino IV avesse espresso il voto che tutta la Germania si tramutasse in un lago e gli abitanti suoi in pesci.... volevo dire anguille.... E quand'egli si spense la notte dal 28 al 29 marzo 1285 in Perugia (le male lingue dissero d'una solenne indigestione); sul tumulo suo una mano irriverente affisse un nuovo epitaffio ..."
    Da Freschi e minii del dugento -

    "1710 - Da noi, come dappertutto, si ragiona per dritto e per traverso intorno alla riproduzione delle anguille e quanto disse il Vagliano nel 1710 «ogni pesce partorisce anguilla e nissuna anguilla concepe pesce » è ancora tra le più comuni credenze volgari. Interrogate qualunque pescatore o dilettante di pesca, e vi dirà o col dubbio sulle labbra o colla convinzione più profonda, che.l' anguilla è un bastardo, un ibrido di qualche altro pesce qualunque; vi dirà che deriva dal luccio se ..."
    (Da I pesci e la pesca nel cantone Ticino)




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  6. gheagabry
     
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    PESCE GHIACCIO






    Veri e propri 'supereroi' sottomarini che per vincere la sfida in questo ambiente estremo sono arrivati ad auto-modificare le proprie caratteristiche biologiche, ritrovandosi, per esempio, con sangue bianco o con lo scheletro alleggerito, pur di adattarsi al clima polare. Sono i pesci-ghiacciolo che, sotto gli strati di ghiaccio, popolano le acque gelide dell'Antartide.
    A studiarli i ricercatori dell'Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra) nell'ambito del progetto 'Eco-fish', insieme al Museo nazionale dell'Antartide e all'Università di Genova. Ora la vita speciale di questi animali è racchiusa in un video, 'Pesci sotto il ghiaccio', dove gli esperti hanno creato un percorso per guidare gli osservatori nell'esplorazione dell'ambiente subacqueo antartico. "In questo ambiente estremo - osserva Marino Vacchi dell' Ispra - gli 'ice-fish' hanno sviluppato una spettacolare capacità di adattamento" che consente a questi esseri di "vivere e nuotare in acque sotto zero, che sfiorano i meno due gradi". In alcuni di essi si trova, per esempio, "la presenza di liquidi anti-gelo, oppure in altri non è presente l' emoglobina né i globuli rossi, cosa che riduce la densità del sangue e lo rende meno soggetto al congelamento".
    Alcuni di questi pesci polari cambiano anche le "caratteristiche corporee" come il 'silver-fish' che è diventato "più leggero a livello osseo per via di una demineralizzazione dello scheletro", cosa che ha consentito a questo pesce di vivere "in ambiente pelagico, cioé nella colonna d'acqua". Per altri sono invece aumentati "i grassi e gli olii del corpo che essendo più leggeri dell'acqua ne permettono la risalita". Proprio lo sviluppo delle modificazioni presenti in questi pesci ha acceso anche l'attenzione della medicina che - rileva Vacchi - nutre dell'interesse per "il modello biologico del silver-fish", quello in cui si è alleggerito lo scheletro. Si studiano le fasi di crescita per capire quando si instaura questo meccanismo che, messo in relazione con la salute umana, fa pensare ad un'analogia con l'osteoporosi. Per vivere, dice Vacchi, questi pesci "unici sul Pianeta", traggono dall'acqua "l'ossigeno molto abbondante come componente disciolta".
    La loro derivazione storico-geologica - spiega poi l'esperto dell'Ispra - arriva fino a noi da quando milioni di anni fa il continente sudamericano si staccò dall' Antartide portandosi dietro un piccolo gruppo di pesci che - rileva Vacchi - sono riusciti "a sopravvivere (nototenioidei)" e a "vincere la sfida" dei cambiamenti climatici, che soprattutto in quell'area del mondo hanno causato "estinzioni di massa". Con l'adattamento sono stati poi in grado anche di dare vita a nuove specie, creando "un caso unico di isolamento geografico per un gruppo di pesci in ambiente marino", anche per via della "convergenza antartica", che da 30 milioni di anni si pone come "una barriera invalicabile, sia in entrata che in uscita, per i pesci".
    (Ansa)

     
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  7. gheagabry
     
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    ....danzano nel mare......


    Le ALGHE



    Come sulle terre le foreste, le praterie e i deserti - per citare tre esempi limite- caratterizzano il paesaggio, anche nei mari un manto di vegetazione riveste rocce, scogliere e fondali con aspetti fisionomici di quelli su accennati: i mari dei sargassi con alghe lunghe più di 50 metri, le praterie lagunari, le scogliere di Corallinacee e infine i fondali degli abissi, completamente privi di vegetazione, ne sono esempi. Ed i fattori che determinano il fissarsi o meno della vegetazione algale ed il perdurare di essa sono gli stessi che sulla terra: la luce innanzi tutto, trattandosi di vegetali autotrofi, affinchè si compia la fotosintesi. luce nel mare .. E' noto infatti che a circa 200 metri di profondità la luce solare che vi penetra è tanto debole da impedire lo sviluppo di vegetali autotrofi.
    Le alghe appartengono al regno dei vegetali e sono quindi in grado, come le piante terrestri, di fabbricare autonomamente sostanze ad alto contenuto energetico a partire da sole, acqua e anidride carbonica. Sono cioè in grado di effettuare la fotosintesi, e questo accade perché sono dotate di clorofilla e altri pigmenti. Le alghe si differenziano dalle piante superiori perché non hanno sviluppato strutture complesse nella loro organizzazione strutturale. Un altro nome spesso attribuito alle alghe è quello di "tallofite", proprio perché il loro corpo vegetale è un "tallo", una struttura cioè priva di veri tessuti o organi specializzati, ad esempio, nell'assorbimento di sostanze dal substrato, funzione che, nelle piante superiori, è svolta dalle radici. Quest'assenza nello sviluppo di organizzazioni cellulari complesse è probabilmente da attribuire all'ambiente da loro scelto per vivere. Infatti le alghe vivono in ambienti acquatici o comunque molto umidi, e non hanno nessun problema nell'assorbimento di liquidi o, viceversa, nella conservazione degli stessi. A dire la verità in alcune alghe più evolute si sono differenziati dei tessuti simili a quelli delle piante terrestri nel trasporto di sostanze nutritive. Un'ultima particolarità che contraddistinguono le alghe, è data dall'assenza di fiori, cioè strutture sterili che proteggono gli organi riproduttivi.
    Le alghe marine bentoniche includono le Chlorophycophyta, o alghe verdi, le Phaeophycophyta, o alghe brune, le Rhodophycophyta, o alghe rosse e le Cyanophycophyta, o alghe azzurre. La separazione dei gruppi di alghe in base alle caratteristiche del loro colore può sembrare superficiale, ma salvo alcune eccezioni, questa suddivisione è sostenuta da differenze biochimiche fondamentali. In tutti i gruppi sono presenti le clorofille, ma nelle alghe brune e rosse il pigmento verde è mascherato da pigmenti accessori -bruni, azzurri e rossi- che conferiscono colorazioni distinte.

    Nell’ambiente acquatico naturale lo sviluppo eccessivo di formazioni vegetali, soprattutto se monospecifiche, è indice di una elevata condizione trofica (eutrofizzazione) generata da fenomeni di inquinamento soprattutto organico e da nutrienti (composti azotati e fosfati). Ciò che risulta essere uno stato di degrado dell’ecosistema si rivela per gli organismi vegetali una situazione vantaggiosa, che incentiva la crescita e la proliferazione di alghe e piante acquatiche. Queste si comportano da filtri biologici, rimuovendo le sostanze inquinanti dall’acqua e contemporaneamente rifornendola di ossigeno.



    .......come alimento........


    Le alghe sono vegetali che vivono nelle acque di mari, laghi e fiumi. Le varietà di alghe esistenti sono moltissime, ma hanno tutte un tratto in comune: contengono clorofilla, e dunque sono in grado di produrre glicidi utilizzando l'energia del sole. Si tratta di un alimento consumato fin dall'antichità da tutte le popolazioni costiere, comprese quelle mediterranee. Citate già nel sesto secolo a.C. da Sze Tsu in Cina, se ne cibavano, fra gli altri, anche celti e vichinghi. Attualmente il maggiore consumo di alghe a scopo alimentare si ha in Cina, Giappone, Scozia, Canada e Irlanda; anche in Italia meridionale le alghe vengono utilizzate per preparare alcune pietanze.


    .....storia.....


    Considerando la storia geologica della terra, si ritiene che le Alghe siano state tra i primi organismi viventi a popolare i nostri mari. La loro presenza nelle acque in grandi quantità ha altresì consentito l'instaurarsi di altre forme di vita, non solo acquatica ma anche terrestre...Quasi 600 milioni di anni fa, prima che l'evoluzione dilagò in forme di vita diverse conosciute come l'esplosione del Cambriano, una comunità di alghe marine e di animali vermiformi viveva in una nicchia di acque marine calme e poco profonde, in quell'area che oggi è terraferma vicina al piccolo villaggio Lantian, nella provincia di Anhui nella Cina meridionale. Oggi di questa comunità marina conosciamo circa 3.000 fossili conservati quasi incontaminati tra letti di scisti neri depositati nelle acque prive di ossigeno



    ....le foreste sottomarine...


    Le foreste di alghe giganti – le piante a più rapida crescita esistenti al mondo – caratterizzano diversi fondali marini oceanici, in particolare quelli californiani. Queste foreste sottomarine sono tra i più produttivi ecosistemi esistenti e forniscono cibo e habitat per numerose specie animali importanti sia dal punto di vista ecologico che economico. Le alghe giganti possono crescere di 45 centimetri in un solo giorno, ma i ricercatori hanno scoperto che sono particolarmente sensibili ai cambiamenti del clima che alterano le condizioni ondose e la disponibilità di sostanze nutritive. «Intere foreste possono essere spazzate via in pochi giorni – dichiarano i ricercatori – ma perché si riformino sono necessari tempi molto più lunghi».


    La specie chiave più potente che si conosca è forse la lontra marina (Enhydra lutris). Questo animale meraviglioso, di corporatura agile e robusta, cugino della donnola, dotato di baffi come un gatto, un tempo prosperava nelle “foreste” di alghe laminarie, lungo la costa occidentale del Nord America, dall’Alaska alla California meridionale. Poi, a causa della sua pelliccia, fu cacciato in modo così intenso che, in capo alla fine dell’800, si era quasi estinto. Nei luoghi dove le lontre sparirono del tutto, si svolse una sequenza inaspettata di eventi. I ricci di mare, uno dei cibi preferiti dalle lontre, aumentarono di numero in maniera esplosiva e cominciarono a erodere vaste zone della foresta di laminarie e delle altre alghe che crescono lungo le coste. Al tempo delle lontre, la notevole crescita delle laminarie, alghe ancorate al fondo e tanto lunghe da raggiungere la superficie, aveva creato una vera e propria “foresta”, la quale, oltre che fornire riparo e nutrimento a un grande numero di organismi, proteggeva le coste dall'erosione del mare. Con la scomparsa delle lontre, però, la foresta sparì, letteralmente divorata dai ricci. A questo punto, in seguito a cospicui sovvenzionamenti pubblici, fu preparato il progetto per la reintroduzione della lontra marina e, con essa, l’habitat e la biodiversità originarie. Ai due estremi dell’area di distribuzione - sulle isole Aleutine occidentali, a nord, e lungo la costa della California meridionale, a sud - era riuscito a sopravvivere un numero esiguo di individui. Alcuni vennero catturati e trasportati in località disseminate nella zona intermedia, tra gli Stati Uniti e il Canada, e si adottarono misure molto severe per proteggere la specie dovunque essa fosse presente. Fu così che il numero delle lontre salì, quello dei ricci discese, e la foresta delle laminarie tornò a crescere lussureggiante come prima. Al loro seguito arrivò una moltitudine di alghe minori, assieme a crostacei, calamari, pesci e altri organismi. Le balene grigie si avvicinarono alle coste perché, mentre si nutrivano dello zooplancton altamente concentrato in quelle acque, potevano “parcheggiare” i piccoli nelle radure presenti al limitare delle foreste di laminarie.
    (dal web)





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  8. gheagabry
     
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    IL GIGLIO DI MARE





    Nome comune. Giglio di mare

    Nome scientifico. Antedon mediterranea

    Caratteristiche. Invertebrato che appartiene al grande gruppo, che comprende anche ricci, stelle e cetrioli di mare: gli Echinodermi. Possiede un corpo centrale piuttosto piccolo e lunghe braccia sinuose, frangiate, che utilizza anche per il nuoto, risultando particolarmente aggraziato. La colorazione è varia: in genere marrone più o meno scuro, con o senza screziature chiare, essa può diventare giallo acceso o rosso rubino in certi esemplari. Si nutre filtrando il nutrimento che si trova in forma di particelle sospese nell'acqua, per cui è amante di ambienti tranquilli, serviti però da correnti costanti.

    Habitat. Vive in fondali coralligeni, più frequentemente tra i 30 ed i 50 m di profondità.







    I gigli di mare, così come vengono comunemente chiamati, hanno un corpo a forma di fiore e all'estremità si presentano con un peduncolo con il quale si ancorano al substrato. Possiedono cinque lunghe braccia ramificate e gli esemplari adulti si muovono liberamente, sebbene possano rimanere anche per lunghi periodi nello stesso posto. Molte specie crinoidee sono forme di acque profonde ma i gigli di mare possono abitare anche in acque poco profonde, specialmente nelle regioni Indo/Pacifiche, Indie Occidentali e Caraibiche dove si trovano il maggior numero di specie.
    La loro struttura è formata da un corpo a forma di disco coperto da una pelle coriacea calcarea. Da quì si ramificano cinque braccia flessibili per formare poi molte altre braccia ciascuna con molte pinnule laterali disposte come barbe di una penna. I crinoidi si nutrono di piccoli organismi che vengono catturati grazie all'aiuto dei pedicelli e reti di muco, organismi che vengono poi portati alla bocca che si apre nella superficie superiore del calice.
    Il sistema nervoso è costituito da un anello orale e un nervo radiale che corre in ciascun bracio. Hanno sessi separati, le gonadi sono delle semplici masse di cellule presenti nella cavità genitale delle braccia e delle pinnule; i gameti fuoriescono mediante la rottura della parete di una pinnula. La larva per un certo tempo resta pelagica poi si fissa al substrato e compie la metamorfosi. La maggior parte dei crinoidi vivente raramente supera i 60 cm. ( la norma si aggira sui 15 - 30 cm) ma le forme fossili erano lunghe fino a 20 mt.


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  9. gheagabry
     
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    La lingua non è sufficiente a dire e la mano a scrivere tutte le meraviglie del mare.
    (Cristoforo Colombo, 1492)


    Il RICCIO DI MARE



    Il riccio di mare e il dollaro della sabbia non hanno braccia; si muovono sul fondo sia mediante gli aculei, sia emettendo dal loro dermascheletro centinaia di minuscole appendici dette pedicelli ambulacrali.
    La maggior parte degli echinodermi è ben protetta contro i predatori. Il loro corpo è rivestito di piastre calcaree e, benché questo rivestimento protettivo possa sembrare rigido, in realtà alcuni animali possono compiere molti movimenti. Gli echinodermi posseggono due diversi sistemi di difesa: gli aculei e i pedicelli.
    Gli aculei del riccio di mare sono così lunghi e sottili che esso finisce col sembrare una palla irta di aghi.
    Tutte le appendici esterne del riccio di mare (spine, pedicelli, pedicellarie) se perse si rigenerano molto rapidamente così come le ferite del guscio vengono riparate con la riformazione dello scheletro calcareo.
    Alcuni Ricci di mare, specialmente quelli commestibili, comuni sulle nostre coste, scavano leggermente la roccia girando su se stessi. La cavità scavata non è profonda; ma verranno altri Ricci e proseguiranno il lavoro così bene che certe rocce possono esser perforate da profondi alveoli, ciascuno dei quali ospita un riccio spinoso.



    Paul Nicklen, National Geographic


    Il nome Echinodermi deriva dal greco "echinos = aculeo" e "dérma = pelle" per il fatto che numerosi rappresentanti di questa classe sono provvisti si aculei.
    I ricci sono animali bentonici che vivono quindi a contatto con il fondo marino oppure ancorati ad un substrato solido. In genere vivono nei fondali rocciosi ed alcune specie si scavano delle vere e proprie nicchie nelle rocce usando i denti della lanterna di Aristotele. Il Paracentrotus lividus ad esempio, è un grande scavatore delle rocce in quando scava delle nicchie nelle quali si infossa e vi rimane permanentemente in quanto capita spesso che non riesca più ad uscirne perchè l'apertura fatta quando era in stadi più piccoli, è diventata talmente stretta che non riesce più a venirne fuori e per nutrirsi dipende dai materiali che vengono portati dalla corrente. I ricci di mare in generale sono animali sedentari e gli spostamenti avvengono con estrema lentezza. Tutti gli echinoidei sono animali a fototropismo negativo vale a dire che tendono a ricercare l'ombra ed addirittura le specie come il Paracentrotus lividus tendono a coprirsi il corpo con sassolini o pezzetti di conchiglie per ripararsi dalla luce. Addirittura nelle zone tropicali la maggior parte delle specie hanno abitudini notturne e passano il giorno nascosti in anfratti o buchi della roccia.

    Nel I secolo d.C. Plinio il Vecchio descriveva l'usanza di curare la calvizie con la cenere di riccio di mare.



    Le specie maggiormente conosciute sono la Arbacia lixula (ordine Arbacioida - famiglia Arbaciidae) conosciuta come "riccio nero" o "riccio maschio" e la Paracentrotus lividus (ordine Echinoida - famiglia Echinidae) conosciuta come "riccio viola" o "riccio femmina"....Altre specie molto belle che ritroviamo frequentemente nel mar Mediterraneo sono: Cidaris cidaris (ordine Cidaroida - famiglia Cidaridae) di colore grigio - giallastro che vive sul fondo del mare e si nutre soprattutto di spugne e gorgoni ed è conosciuta con il nome comune di "riccio matita"..la Stylocidaris affinis (ordine Cidaroida - famiglia Cidaridae) che vive sui fondali sabbiosi; il Centrostephanus longispinus (ordine Diadematoida - famiglia Diadematidae) specie rara che vive nei fondali sabbiosi e fangosi, che non si vede facilmente in quanto vive tra i 40 ed i 200 m di profondità; Sphaerechinus granularis (ordine Temnopleuroida - famiglia Toxopneustidae) anche esso molto comune ed è un riccio che si ritrova anche a partire da pochi metri di profondità e fino ai 100 m, ha un aspetto molto bello ed elegante con aculei di colore viola con la punta bianca; Echinus melo (ordine Echinoida - famiglia Echinidae) conosciuto comunemente come "riccio melone" con una teca abbastanza sferica e gli aculei di colore verde e vive nei fondali tra i 25 ed i 1100 m di profondità anche se non è molto diffuso nei mari italiani.




    .....................


    Fotografia di Tim Laman, National Geographic

    Le spine di un'Astropyga radiata dell'Isola di Komodo, in Indonesia, sembrano un fiore variopinto. I rigonfiamenti azzurri sulla punta di ciascun aculeo contengono una sostanza velenosa.



    Fotografia di Brian J. Skerry, National Geographic

    I sottili aculei di un riccio onnivoro del genere Heterocentrotus fotografato a Kingman's Reef, nel Pacifico. Nel mondo esistono circa 700 specie di ricci di mare.



    David Doubilet, National Geographic



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  10. gheagabry
     
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    ....i doni del mare....


    Lo SPIROGRAFO



    " Un verme col ciuffo, molto bello. Un ciuffo di setole poste intorno alla bocca con una funzione ben precisa: afferrare al volo tutto ciò che può essere setacciato col passare delle masse d’acqua spostate dalle correnti.
    Lo spirografo mi colpì subito per la sua eleganza: un delicato pennacchio spiralato, particolarmente sensibile alle vibrazioni, si ritirava istantaneamente all’interno di un tubo chitinoso semirigido, al minimo movimento; ed io ne restavo affascinato. Avendo poi la fortuna di immergermi in luoghi dove esistono veri e propri “boschi” di spirografi, ho dedicato e dedico tuttora la mia attenzione a questi anellidi sedentari....I vermi col ciuffo sono una classe del phylum anellidi, noti come policheti (in particolare mi riferisco ai policheti tubicoli). Hanno il corpo metamerico e sono forniti di ciuffi di setole chitinose dette chete. I tubi dei policheti tubicoli possono essere mucosi o pergamenacei, incrostati di fango o sabbia, più o meno rigidi secondo la specie.
    Lo spirografo è il più noto, il più comune e anche il più grande tra tutti i vermi e vive in ogni tipo di ambiente, colonizzando rocce, sabbia, relitti, e qualsiasi altro tipo di substrato, anche in acque portuali. In natura ho avuto modo di osservare gli spirografi in gruppi spesso numerosi, a formare veri e propri “bouquet di fiori” quando, tutti insieme appassionatamente, sfoggiano i loro coloratissimi ciuffi…



    Ma non è raro vedere anche spirografi solitari, grandi e maestosi. Gli esemplari più belli li ho sempre trovati sui relitti, su ogni tipologia di relitto, specie reti abbandonate aggrovigliate e cime di vario tipo. Sui fondali detritici e sabbiosi gli spirografi sembrano spuntare dal fondo, come fiori in un campo. I tubi vengono a volte colonizzati da molti altri invertebrati, tra i quali mi colpiscono le colonie di idrozoi (sui quali a loro volta si trovano splendidi nudibranchi) o i gruppi di crinoidi che utilizzano i tubi come substrato. Ma la cosa più bella che mi capitava fino a qualche tempo addietro e che ora si verifica sempre più raramente è lo spettacolo offerto dai cavallucci marini che, con le loro code prensili, si avvinghiano ai tubi degli spirografi. "



    Le specie nel Mediterraneo sono essenzialmente otto.
    Mixicola infundibulum o verme coppa di velluto è un verme che vive sepolto nella sabbia e il cui tubicino si vede appena sporgere dal fondo. Forse tra tutti è quello più sensibile alle vibrazioni e che si ritira più facilmente al cospetto di un sub.
    Salmacina incrustans si presenta come ammasso di esili e fregili tubicini intrecciati in modo disordinato, di colore bianco, aderente a substrati duri naturali (roccia) o artificiali (relitti). Ad una osservazione attenta e ravvicinata si nota questo insieme di diversi individui cementati tra loro, molto comuni in acque poco profonde. La specie è nota anche come Filigrana implexa. Sono animali ermafroditi e, all’estremità del tubicino, presentano ognuno il suo ciuffettino di setole, del diametro di circa un millimetro o meno.
    Bispira volutacornis vive all’interno di un tubo di consistenza simile a quello dello spirografo, composto da una mucosa che solidifica a contatto con l’acqua inglobando particelle di sedimento; il tubo ha un maggior diametro rispetto allo spirografo e quindi è abbastanza più tozzo. Il suo ciuffo (lobi branchiali) è formato da due metà identiche, con spire variabili da una a quattro e con una colorazione striata su fondo arancio e giallo talmente bella da essere assimilata alla livrea di un pavone (da qui il nome volgare di verme pavone). La sua altezza può raggiungere i 25 cm e i suoi luoghi preferiti sono gli spazi tra la pietre e i massi, il sedimento sabbioso o fangoso, sempre in prossimità di pietre o detrito, dove comunque riesce a insediarsi in modo relativamente protetto. Sensibilissimo a ogni minima vibrazione, si chiude rapidamente in una frazione di secondo. Solo durante la notte è possibile osservarlo a distanza ravvicinata senza che il ciuffo di setole si ritiri all’istante.
    Sabella penicillus ha il corpo costituito da numerosi segmenti arrotondati dorsalmente e appiattiti sul lato ventrale. Il tubo è piuttosto molle e incrostato di fango, ma mantiene comunque una posizione eretta. La corona branchiale è formata da due lobi a semicerchio non avvolti a spirale, composti da filamenti piumati uniti tra loro da una membrana nella porzione basale. Molte le varianti di colore che il ciuffo può assumere: dal rossastro al bianco striato con bande scure o macchie, dal vinaccio al bianco candido, con esemplari il cui ciuffo è di due colori, uno per ogni lobo. Vive su fondali sabbiosi, fangosi o detritici, ma lo si trova anche nelle praterie di posidonia. Preferisce profondità comprese tra 10/20 e 50 metri, dove si trova infisso nel sedimento per oltre la metà della lunghezza del suo corpo. Anche in questo caso il ciuffo branchiale è molto sensibile e rapidamente retrattile al minimo accenno di vibrazioni.



    Serpula vermicularis vive all’interno di un tubicino calacareo ed è abituato a soggiornare poco sotto la superficie e fino a quasi 2000 metri di profondità. Aderisce a substrati duri di varia natura con quasi l’intera superficie del tubo stesso, sollevata soltanto nella sua porzione terminale. Il ciuffo branchiale è bilobato e i singoli filamenti piumati sono uniti alla base da una sottile membrana. Tra i due lobi del ciuffo è presente una struttura a forma di tronco di cono rovesciato: si tratta di un opercolo che serve a chiudere il tubo quando l’animale vi si rinchiude. Il colore del tubicino può variare dal rosa al bianco, attraverso diverse gradazioni di giallo, mentre il ciuffo branchiale è solitamente rosso o violetto, con striature chiare rosa e bianche, ma può anche essere arancio carico o violetto.
    Protula intestinum ha il tubo calacareo talmente allungato e contorto da somigliare ad una porzione di intestino e presenta una sezione cilindrica con diametro variabile tra gli otto e i dodici millimetri. Il colore del tubo è sempre bianco candido e la lunghezza può superare i 10/12 cm, risultando, in tal modo, il più grande tra i policheti mediterranei con tubo calcareo rigido. La caratteristica che lo contraddistingue è lo splendido ciuffo color rosso-arancio molto vivo, ciuffo che raggiunge i sette/otto centimetri di diametro. Abitualmente vive isolato aderendo a substrati duri da pochi metri fino ad oltre cento di profondità. Frequenta preferibilmente i fondali detritici, dove aderisce a qualche piccolo sasso, ma non disdegna la roccia ne le poche superficie dure presenti sui fondali sabbiosi o melmosi, rappresentate da qualche relitto o qualche pietra sparsa. Simile alla precedente in tutte le sue caratteristiche ad eccezione del colore del ciuffo è Protula tubularia, il cui pennacchio si presenta bianco candido, con solo qualche sfumatura e striatura arancio o rosa.
    Sabella spallanzani ha invece un tubo molto allungato, cilindrico, eretto e di consistenza quasi gommosa, incrostato di fine sedimento e sovente coperto da alghe epifite. Il pennacchio branchiale, che può descrivere fino a sei spire, ha un colorito molto variabile, con fondo arancio o giallo, e striature brune o viola. Il tubo può arrivare a 30-40 cm di altezza e il diametro del ciuffo può superare i 20 cm.
    (Francesco Turano)




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    Trota fario



    Trota fario (Salmo trutta m. fario Linnaeus, 1758.) È il parente più prossimo della trota mare , che vive nei mari del nord e del nord Europa , e che durante la deposizione migrano in profondità nelle acque interne, dove depone le uova.

    Il corpo è a forma di fuso trote adattato a digiunare acqua dado in cui vive. A seconda dell'ambiente, mentre il corpo è più o meno appiattita lateralmente e con ben sviluppati ad alta coda gestire.

    Colore del corpo è variabile, che vanno dal verde al marrone, che dipende in primo luogo la comunità in cui vive. Sui lati e sul retro sono punti luminosi. Sul lato superiore del lato metà superiore nera e sotto la linea laterale sono di colore rosso con rifiniture bianche. Pesci giovani sono sul 6-9 strisce trasversali fianchi. Offre 20-40 cm di lunghezza e pesare fino a 1 kg. Lunghezza massima è di poco più di 50 cm e peso di 5-7 kg.

    Habitat e comportamento

    Trota abitano il freddo, l'ossigeno- ricchi fiumi e torrenti di montagna, dalla Penisola Iberica fino alla Scandinavia a nord e gli Urali a est. È diffusa in Croazia e Bosnia .

    Metodo di alimentazione

    Trota fario è la preda e si nutrono di tutti gli organismi più piccoli che vivono in acqua, il larve acquatiche di insetti e piccoli pesci .

    Depone le uova da settembre a febbraio . La femmina depone circa 1000-1200 uova per chilogrammo di peso corporeo. Ikra un colore rossastro, un diametro di 4-5 mm. A seconda della temperatura di incubazione delle uova dura 2-4 mesi.

    nomi stranieri

    Trota fario ( in inglese ); Bachforelle ( tedesco ) Salmo trutta ( italiano ); Pstrąg potokowy ( polacco ) Salmo trutta ( francese ); Kumža ( russo )



    Energia e valore nutritivo

    La trota iridea è il cibo sano e nutriente, che occupa un posto importante in una dieta bilanciata e regolare. I nutrizionisti raccomandano 2-3 porzioni di pesce alla settimana, di cui uno dovrebbe essere costituito da pesce ricco di acidi grassi polinsaturi.

    Carne di pesce nella sua struttura appartiene alla dieta cibi perché ha meno grassi, meno colesterolo e grassi saturi meno, il che significa ridurre il valore energetico. Il valore medio di energia è di 140 kcal per 100 g di cibo.

    La trota è un'ottima fonte di oli di pesce essenziali, tra cui gli omega-3 acidi grassi. E 'una ricca fonte di proteine ​​che sono necessarie per la normale crescita e fonte di fosforo, selenio e vitamine B12, B6, niacina e acido pantotenico, una buona fonte di vitamine A e B1.
    Fonte moderata di ferro, calcio, magnesio, zinco, rame e vitamine B2, C e folati.

    In base alla composizione chimica, si può osservare che, a seconda del tipo di trota, la percentuale di proteine ​​che vanno 16-20 g, grassi 5,49-10 g, e l'energia di 498 kJ / 119 kcal per 100 g di pesce. Notevole è la quota di aminoacidi essenziali (che sono essenziali per il nostro corpo, e non riesco a produrre). La trota è una buona fonte di omega-3 acidi grassi (1,1 g per 120 g di carne), e contiene pochi grassi saturi. Questo pesce è ricco di vitamina B12, e contiene anche oltre il 10% del fabbisogno giornaliero raccomandato di ferro.

     
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  12. gheagabry
     
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    Il CORALLO FUNGO



    Generalmente il corallo si nutre di plancton o di alghe microscopiche che, trasportati dalle correnti marine, vengono filtrati e digeriti dai polipi del corallo. Le particelle microscopiche animali o vegetali di cui si nutrono sono dell'ordine di 0,2 - 0,4 millimetri. Sono inoltre in grado di sfruttare la fotosintesi di alcuni tipi di alghe che vivono al loro interno, ricavando nutrienti dalla loro chimica.
    Pare però che per alcuni Coralli fungo (Fungia scruposa) la dieta sia differente.

    Al contrario di molti coralli che sono composti da migliaia di piccoli polipi, il Fungia scruposa è un corallo solitario, composto da un unico grande organismo che misura circa 30 centimetri di diametro.
    Non rimane aggrappato al fondale, per cui è dotato di una limitata capacità di movimento, contrariamente al resto dei coralli...capita che ci siano periodi in cui, date particolari condizioni di correnti marine e di abbondanza di nutrienti, ci sia un fiorire di meduse, con ondate che possono contare anche milioni di esemplari riuniti in enormi banchi.
    Le meduse predate dal corallo fungo sono le Aurelia aurita, un tipo di meduse molto comune e diffuso in tutti i mari dell'emisfero boreale.
    "Durante la nostra indagine siamo rimasti impressionati dal vedere alcuni coralli fungo nutrirsi attivamente con le Aurelia" dice Ada Alamaru, uno dei membri del team di ricerca della Tel Aviv University. "Non riuscivamo a credere ai nostri occhi quando l'abbiamo visto."
    La Aurelia aurita è nota per essere cibo per molti animali marini, come pesci, tartarughe o gabbiani. Ma osservarla mentre viene cacciata e divorata da un corallo è qualcosa che i ricercatori non avrebbero mai sospettato. E l'episodio non si è verificato con un solo corallo, ma con diversi altri esempolari di Fungia scruposa, lasciando ipotizzare che il comportamento sia abbastanza comune in periodi di abbondanza di meduse.
    "Questo è decisamente insolito. A quanto mi risulta non c'è nessun altro corallo noto per cibarsi di meduse. Comunque, alcune anemoni marini, che sono parenti stretti del coralli, sono stati sorpresi a cibarsi di altre specie di meduse." dice Alamaru.
    (ZonWu, dal web)




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  13. gheagabry
     
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    La STELLA GORGONE



    Tra gli incontri più entusiasmanti che il mediterraneo riserva ai subacquei, quello con la stella gorgone lascia sicuramente il segno, per l’indiscutibile fascino di cui questo animale è dotato e per la discreta difficoltà con cui lo si rinviene , legata alle particolari abitudini di vita di questo splendido echinoderma.
    Riceve il nome volgare dalle gorgoni, personaggi della mitologia greca dalla capigliatura composta da centinaia di serpi, cui sembra assomigliare profondamente quando di giorno o in presenza di luce, a causa della sua estrema fotofobia, raggomitola le lunghe ramificazioni sul disco centrale.
    Appartenente all’ordine degli Eurialidi, dal nome di Euriale, una delle gorgoni, e alla famiglia dei gorgonocefalidi, l’astrospartus mediterraneus, questo il nome scientifico, ha il corpo costituito da un disco centrale normalmente non più grande di otto cm., di forma poligonale, da cui si dipartono cinque braccia principali che si ramificano ripetutamente.
    Verso le estremità la ramificazione produce un aggrovigliamento tale da spiegare l’origine del nome scientifico: aster = stella e spartus = arbusto.


    turano_astro_04


    Le dimensioni complessive, con le braccia completamente aperte, raramente superano gli 80 cm di diametro e la colorazione è di un beige/nocciola uniforme, leggermente più chiaro verso l’estremità delle ramificazioni.
    Diffuso prevalentemente nel bacino occidentale del mediterraneo, sulle coste della Spagna, del Senegal, dell’Algeria e del Marocco, non è comunque facile incontrarlo, essendo un animale normalmente abituato a vivere a profondità superiori ai 50 m; particolari condizioni legate alla presenza di nutrimento e torbidità delle acque, tuttavia, fanno rinvenire esemplari a profondità ben più modeste, come ad esempio nell’areale di Civitavecchia.
    Animale filtratore dalla straordinaria efficienza, dovuta al fittissimo intreccio delle sue ramificazioni, è capace di filtrare diverse migliaia di litri d’acqua in una notte, catturando plancton, anellidi, larve di crostacei e di pesci.
    Le prede, catturate con le mobilissime estremità delle braccia dotate di microscopici uncini, vengono bloccate con strati di muco e convogliate alla piccola bocca, mentre le altre braccia continuano instancabili il loro lavoro.
    L’animale vive abitualmente ancorato ai rami di gorgonie, scegliendo con grande cura l’esposizione alle correnti più ricche anche tramite spostamenti periodici; il piccolo esemplare che risiede sul relitto dell’Asia si sposta con una certa frequenza tra una eunicella situata sulla fiancata destra, intorno ai 30 metri, e la parte poppiera, lasciando al subacqueo il compito di rintracciarlo di volta in volta.
    Estremamente fotofobico, vive raggomitolato su se stesso di giorno, aprendosi completamente alla corrente durante le ore notturne.




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    Nati 50 piccoli di tartarughe.
    In provincia di Agrigento le prime schiuse attese a settembre. Al via a Giallonardo, in provincia di Agrigento, le prime delle numerose schiuse attese a settembre: ben 9 i nidi di tartarughe marine segnalati e monitorati dal Wwf grazie al progetto 2011 “Segui le tracce” e grazie all’aiuto di decine di volontari che giorno e notte vegliano i nidi. In un video girato dai volontari del Panda con videocamera a infrarossi è stato ripreso un piccolo di tartaruga che corre verso il mare. Uno spettacolo straordinario ed emozionante che ha visto venire alla luce un totale di 50 piccoli. Con la schiusa del 24 agosto a Taranto hanno fatto capolino le prime tartarughine. Ora e' Agrigento che prosegue la ricca serie di schiuse previste fino a tutto settembre e oltre. Un avvio per le “nascite settembrine” che parte proprio dalla Sicilia, regione record di ritrovamenti. Cresce intanto l’attesa per il nido di Palermo, che rappresenta un caso particolare per il fatto di trovarsi su una spiaggia vicina al centro cittadino. È stata un’estate fortunata per il Network tartarughe marine del Wwf Italia. Grazie alla segnalazione e alla collaborazione di turisti e volontari, gli attivisti del Panda hanno sorvegliato – e tuttora sorvegliano - i nidi per garantire che il periodo di incubazione vada a buon fine e che centinaia di piccoli di tartaruga raggiungano il mare senza pericoli. Il ritrovamento di 9 nidi nella stessa estate dimostra il successo della campagna “Segui le tracce”, lanciata dal Wwf all’inizio dell’estate per invitare tutti i frequentatori delle spiagge a individuare e segnalare la presenza dei nidi di tartarughe marine ai volontari del Wwf sul posto. “E’ stata per noi un’estate di grande soddisfazione, sia perche' il numero di nidi individuati rappresenta un vero record per quelle zone, sia perche' questo straordinario risultato dimostra che alla gente e' arrivato il messaggio che il Wwf ha diffuso con la campagna “Segui le tracce”: l’importanza di segnalare questi preziosi eventi, dall’individuazione delle tracce che testimoniano la presenza di un nido al ritrovamento del nido stesso. In particolare quest’anno abbiamo visto il coinvolgimento delle persone che vivono e utilizzano le coste e la pronta attivazione delle istituzioni come la Guardia Costiera”, afferma Paolo Casale, Responsabile del Progetto Tartarughe del Wwf Italia.




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    I TUNICATI



    I Tunicati appartengono al phylum dei Cordati che è lo stesso nel quale si trovano i Vertebrati. Con le larve di questi ultimi condividono diverse caratteristiche come le fessure branchiali, una coda muscolosa che le fa somigliare ad un girino, e una corda dorsale con associata una fibra nervosa. Quello che potrebbe sembrare destinato a diventare un vertebrato da adulto perde invece tutti questi tratti finendo per attaccarsi permanentemente al fondo, l’insediamento avviene con l’adesione della testa al substrato e il riassorbimento della coda, mentre gli organi interni subiscono una rotazione di 90°. In altri casi vivono la loro vita vagando con il plankton come filtratori solitari o coloniali. La maggior parte dei Tunicati sono organismi sessili con il corpo ricoperto, come dice lo stesso nome, da una complessa tunica.
    Questa caratteristica è possibile osservarla facilmente in organismi come l’Halocintia papillosa volgarmente chiamata patata di mare, essa per la sua forma a sacco appartiene alla classe degli ascidiacei un nome che origina dalla parola ascon che significa sacco. Incredibilmente quello che poteva sembrare in origine uno degli organismi più evoluti torna ad assumere forme che lo accomunano a quelli considerati gli esseri più primitivi, le spugne. Un’altra vera stranezza dei tunicati riguarda il loro apparato circolatorio e consiste nella periodica inversione della direzione del flusso sanguigno. Ogni due o tre minuti il loro battito cardiaco si arresta momentaneamente per poi riprendere nella direzione opposta. Gli ascidiacei si trovano spesso in acque basse attaccati alle rocce, alle conchiglie a volte fissati anche nella sabbia. A volte formano grossi grappoli attaccati alle gorgonie. Le specie solitarie si presentano spesso con una parte attaccata ad un substrato e si protendono dall’altra con due aperture chiamate rispettivamente sifone atriale e boccale.
    Variamente colorate possono avere dimensioni che vanno da qualche millimetro a quelle di una patata o dei limoni. Le forme coloniali possono invece re raggiungere anche la lunghezza di un metro.
    Le claveline sono ascidie sociali vivono cioè insieme ad altri individui della stessa specie, legati l’uno all’altro da uno stolone.
    Esistono infine anche le ascidie composte, come ad es. Botryllus schlosseri che sono costituite da tanti piccoli individui chiamati zoidi organizzati da una matrice comune.



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