UCCELLI E VOLATILI

..volatili domestici .. e del mondo

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Usa il tuo talento ,qualunque esso sia.
    I boschi sarebbero terribilmente silenziosi s
    e cantassero solo gli uccelli che cantano meglio.


    IL PICCHIO





    Il picchio (il cui nome scientifico è Picidae) è uno degli uccelli più conosciuti e conta oltre duecento specie. Si nutre di insetti che vivono sotto la corteccia degli alberi e riesce a catturarli scavando con il suo becco duro e appuntito e afferrandoli con la lingua. Il martellamento del picchio serve anche per marcare il territorio.
    Fanno il nido nelle cavità naturali degli alberi, oppure scavando il legno di tronchi o pali in genere e levigando poi con cura le pareti interne del buco. Le femmine depongono da 2 a 8 uova. Maschio e femmina si dividono il lavoro durante il ciclo della riproduzione. Quando i piccoli hanno 4 o 5 giorni di vita, i genitori non entrano più nel nido per nutrirli, perché essi si affacciano all'apertura della cavità ed i genitori introducono il cibo nelle bocche aperte.


    Il picchio rosso maggiore dove passa lascia il segno. La sua presenza infatti molto spesso è tradita oltre che dal tambureggiare per delimitare il proprio territorio, udibile un po'ovunque soprattutto in primavera, dalle tracce che lascia dietro di sé per l'attività di ricerca del cibo.
    Il picchio rosso maggiore appartiene a quel gruppo di uccelli fortemente specializzati alla
    vita arboricola. E' aiutato nello stare aggrappato al tronco degli alberi da corte zampe con potenti unghie e dalla coda provvista di penne rigide che gli servono da sostegno. Una lunga lingua gli permette di raggiungere agevolmente le prede, mentre un'ossatura cranica particolarmente robusta insieme ad una struttura elastica che collega il becco con il cranio consente di sopportare le sollecitazioni date dall'attívità di perforazione.


    Il picchio muratore non è nemmeno lontano parente di quelli che noi conosciamo come i veri picchi, uccelli che scavano e che cercano il cibo sugli alberi, perciò adattati perfettamente a questo tipo di vita.
    Il nostro picchio muratore i buchi li chiude!! Riproducendosi in cavità di alberi deve il suo nome alla grande capacità di cementare con del fango le entrate di buchi troppo grandi; così facendo elimina la concorrenza di altri uccelli e mette al sicuro la covata da eventuali predatori. Oltre a ciò la confusione sul nome è data dal fatto che è in grado di arrampicarsi lungo i tronchi come i picchi ma a differenza di questi riesce a scendere dagli alberi a testa in giù con il solo aiuto delle zampe. Vederlo poi camminare anche sulla parte inferiore dei rami è davvero uno spettacolo stupefacente.




    Guarda la natura da questo prato, guardala bene e ascoltala. Là, il cuculo; negli alberi tanti uccellini ? chi sa chi sono? ? coi loro gridi e il loro pigolio, i grilli nell'erba, il vento che passa tra le foglie. Un grande concerto che vive di vita sua, completamente indifferente, distaccato da quel che mi succede, dalla morte che aspetto. Le formicole continuano a camminare, gli uccelli cantano al loro dio, il vento soffia.
    (Tiziano Terzani)



    ....miti e leggende....



    Nel mondo greco e romano il picchio (verde) era considerato un buon auspicio per la caccia ed era rispettato come uccello capace di indicare il futuro, tanto da assumere spesso la guida dei viaggiatori sulle strade. Nel mito latino di Romolo e Remo è l'animale che, insieme alla lupa, li nutre dopo che sono stati abbandonati sulle rive del Tevere e diventa perciò sacro ad Ares (Marte). Simbolo di protezione e sicurezza, nella simbologia cristiana allude anche alla rinascita spirituale.

    C’è una leggenda, tramandata tra gli altri da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, che narra di una tribù di giovani Sabini che lasciò la propria terra d’origine nel Reatino, per onorare una “Primavera Sacra”. Era questo un voto che consisteva nell’offrire agli Dei tutto quello che sarebbe nato nella primavera successiva. I bambini venivano risparmiati, ma divenuti adulti erano tenuti a partire alla ricerca di nuove terre da colonizzare.
    Fu durante una di queste Primavere Sacre che un picchio, uccello sacro al dio Marte, si posò sulle insegne di un folto gruppo di giovani Sabini. Il fatto venne interpretato come un segno della benevolenza degli dei. Seguirono il picchio, fino a giungere sulle rive del Tronto.
    Qui si stabilirono e fondarono diverse città, espandendosi in gran parte delle attuali Marche e dell’Abruzzo settentrionale, in una terra verde e fertile e dal clima mite.
    Nacque così la civiltà dei Piceni, che prese il nome proprio dal picchio, l’uccello che li aveva guidati verso nuove terre.




    Abbiamo imparato a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci,
    ma non abbiamo imparato l'arte di vivere come fratelli.
    (Martin Luther King)



    ......l'erba del picchio......



    Plinio Il Vecchio (I secolo d.C.), che nell’Historia naturalis (X, 20) scrive:

    “E’ credenza popolare che i cunei conficcati da un pastore nei loro nidi [dei picchi], se viene avvicinata dagli uccelli una certa erba, sgusciano via. Trobio sostiene che un chiodo o un cuneo, con quanta forza lo si conficchi dentro un albero in cui il picchio ha il nido, subito salta via con il crepitare dell’albero, quando l’animale vi si è posato”.

    La credenza riportata dagli autori classici sarà ripresa nei Bestiari medievali, secondo interpretazioni simili a quella del Bestiario Valdese. Un’interpretazione particolare è quella erotica, contenuta per esempio nel Bestiaire d’Amours (metà del XII secolo) di R. De Fornival, sottoforma di racconto autobiografico fittizio di un amore infelice (Morini 1996):

    “Così, mia carissima amata, se la mia preghiera vi infastidisce come dite, ve ne potreste liberare benissimo concedendomi il vostro cuore, perché io vi inseguo soltanto per questo […]. Ma è chiuso con una serratura così resistente che io non potrei venirne a capo, perché la chiave non è in mio possesso e voi, che avete la chiave, non volete aprirla. Pertanto non so come si potrebbe aprire questo petto, a meno che non possedessi l’erba con la quale il picchio verde fa saltare il cavicchio fuori del suo nido.

    La sua natura, infatti, è tale per cui quando trova un albero cavo con una stretta apertura vi fa il proprio nido. E alcune persone, per fare la prova di un simile prodigio, tappano il buco con un cavicchio che vi conficcano con forza. Quando il picchio verde ritorna e trova il nido tappato in maniera tale che tutta la sua forza non potrebbe bastare ad aprirlo, riesce a vincere la forza con l’astuzia e con l’intelligenza. Giacchè conosce per sua natura un’erba che ha il potere di aprire: la cerca finchè la trova, la porta nel becco e con essa tocca il cavicchio, che immediatamente salta fuori.

    Perciò io dico, carissima amica, che se potessi avere un po’ di questa erba proverei a vedere se riuscissi ad aprire il vostro dolce petto per prendervi il cuore. Ma ignoro di quale erba si tratti, a meno che non sia la ragione”.


    Nella tradizione popolare francese del Berry, esiste una credenza relativa alla cosiddetta erba del picchio, credenza riportata da E. Rolland nella Flore populaire de la France (1898 - 1914):

    “L’erba del picchio è una pianta magica che ha la proprietà di infondere una forza sovrannaturale a colui che se ne strofini le membra. Ecco il mezzo per procurarsela: osservare il volo e i modi di un picchio verde, e quando lo si vedrà fermarsi vicino a un’erba a cui strofinerà il suo becco, ci si potrà deliziare di avere trovato il prezioso talismano. Questa erba incomparabile che dona al picchio verde la forza di forare fino al cuore le querce più dure, si trova anche qualche volta nello stesso nido dell’uccello. In più, si assicura che questa pianta è, in inverno come in estate, coperta di rugiada […].




    Puoi conoscere il cuore di un uomo già dal modo in cui egli tratta le bestie.
    - Immanuel Kant



    ...una favola.....



    Nella città di Ascoli Piceno, nell'anno 3000, i cittadini non usavano le automobili per spostarsi, ma avendo come simbolo della città il Picchio, per essere come lui, volavano utilizzando i monopattini volanti.
    Le case antiche erano rimaste simili a quelle del millennio precedente.
    Tutti gli abitanti vivevano felici: le sponde del fiume del Tronto erano rigogliose di verde e intorno alle scuole c'erano immensi giardini.
    Picchio era sempre allegro: aveva tanti compagni di volo e soprattutto i bambini giocavano con lui.(descrizione di Picchio)
    Nella vecchia fortezza Malatesta viveva la signora Quintana, l'unica abitante di Ascoli che usciva a cavallo e non utilizzava nessun mezzo moderno.
    Lei era una tradizionalista, ancorata al passato, amante solo del suo tempo.
    Non indossava i tessuti speciali che andavano di moda, ma ancora si vestiva con velluto, lana, pizzo all'uncinetto, pellicce…
    Ogni volta che usciva, lei si rattristava. Un giorno, pensando che la colpa di quella modernità come volare, usare materiali sintetici ecc… fosse di Picchio, decise di farlo rapire.
    Il suo piano era diabolico: attraverso il magico albero del Piccioni, Picchio avrebbe fatto un viaggio nel passato, fino a tornare al tempo dei Sabini.
    Mai sarebbe partito, mai avrebbe fondato Ascoli e mai ne sarebbe diventato il simbolo!
    Lei avrebbe preso il suo posto con tutte le conseguenze immaginabili.
    Una notte il fantino di Borgo Solestà, rapì Picchio mentre dormiva e lo nascose nel tronco cavo dell'albero incantato e disse:
    _ Pitipim, pitipai
    nel passato andrai
    al tempo dei Sabini tornerai!_
    Picchio si svegliò e aperti gli occhi rimase sbalordito: tutto era cambiato, Ascoli moderna non c'era più.
    Solo il fiume Tronto scorreva tra le montagne e le colline.
    Picchio disperato si guardava intorno quando all'improvviso si sentì chiamare:
    _Vieni, avvicinati, fidati di me che con la mia acqua do la vita, io sono Presente, Passato e Futuro.
    La mia acqua ti salverà!
    Bevine un sorso e tuffati nel vortice ……….senza paura!_
    Intanto la signora Quintana, passeggiava beatamente sul ponte vecchio di S. Antonio e sentì all'improvviso un boato.
    Guardando verso il basso vide che l'acqua che cambiava colore e formava un grande vortice.
    Cominciò ad avere le vertigini, cadde nell'acqua: i vestiti ingombranti e inzuppati non le permettevano di nuotare.
    Nessuno poteva salvarla.
    _ Ah! Se avessi avuto un monopattino volante! Se avessi indossato un bel paio di fuseaux elasticizzati, pratici e comodi!
    Mentre pensava così, dal vortice uscì Picchio che prontamente, volando la riportò sulla sponda del fiume.
    Tutti erano salvi, la città tornò a sorridere.
    Quintana comprese che il progresso e la modernità non dovevano far paura, ma potevano essere utili.
    Come nel passato e nel presente, così nel futuro, puntualmente ogni anno Quintana sfilerà per le vie della città.





    .
     
    Top
    .
  2. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Ciascuno di noi è, in verità,
    un'immagine del Grande Gabbiano, un'infinita idea di libertà, senza limiti.
    Richard Bach



    IL GABBIANO




    Il gabbiano appartiene alla famiglia dei Laridi, o uccelli spazzini e all’ordine dei Caradrimormi. E’ lungo circa quaranta centimetri e vive nelle zone costiere in Europa: qui solitamente riposa in gruppo sulla spiaggia oppure fa acrobatici voli sul mare. Si nutre di pesci, rifiuti, crostacei, piccoli mammiferi e molluschi. Possiede delle piume bianche che tuttavia appaiono grigie sulle appuntite ali, dall’ampiezza di circa un metro. Il becco ha la caratteristica forma di un uncino, con cui può afferrare e sminuzzare le prede ed è lungo, robusto e di colore rosso come le zampe
    Grazie al loro volo rapido e sostenuto, i gabbiani, sono capaci di percorrere grandi distanze lungo le coste; sebbene spesso si riposino sopra l’acqua.
    La considerevole quantità d’aria contenuta nel piumaggio, lungo e untuoso, fa sì che questi uccelli galleggino a lungo sull’acqua, offrendo al contrario una grande resistenza al vento e in quanto ottimi volatori sono abilissimi nello sfruttare le correnti d’aria.
    La dieta dei gabbiani, uccelli straordinariamente opportunisti, è molto varia. Sebbene alcune specie siano abili pescatori e si nutrano soprattutto di pesci, nella maggior parte la dieta è composta anche di carogne e rifiuti di ogni genere, di origine vegetale e animale. Non fa meraviglia che con tali abitudini alimentari e con la simpatia di cui godono, i gabbiani siano stati favoriti dalla presenza dell’uomo: infatti, si sono notevolmente moltiplicati nelle vicinanze dei grandi porti.
    Il nido dei gabbiani è costruito senza cura: un semplice mucchietto di erbe o di alghe secche molto spesso disposto sopra le scogliere o fra le canne o sugli arenili; a volte il nido è galleggiante o costruito su un albero; la covata è generalmente di due, tre o quattro grosse uova, il cui colore base è bruno o verdastro, con fitte macchiettature.





    Il tuo cuore è un gabbiano che vola libero nei cieli della vita.
    Lascialo andare senza paura ti saprà condurre alla felicità.
    Finchè ascolti il tuo cuore fai di tutto per essere felice,
    sei tu a condurre il gioco con le regole che tu stesso ti sei dato.
    Credi alla forza dei tuoi sogni e loro diventeranno realtà.
    (S.Bambarèn)



    ...un racconto....



    Era mattino presto quando il gabbiano Leonard decise di partire. Il gabbiano Leonard era un gabbiano come tanti. Uguale alle migliaia di gabbiani che volano per i mari del sud. Uno dei tanti gabbiani in uno dei tanti stormi.
    Il suo stormo non aveva nome. Loro lo chiamavano semplicemente lo stormo.
    Lo stormo non era uno di quelli che migrava. Ce ne erano di stormi che migravano in quella zona. Ogni anno, verso la fine dell'estate, partivano verso nord. Tutti insieme. I giorni prima erano presi da una particolare inquietudine e agitazione. Poi, d'un tratto, partivano. Verso nord. Dicevano che lassù I'inverno era meno rigido e che quindi si stava meglio. Poi però, alla fine dell'inverno, tornavano per passare I'estate sulla baia di San Juan, dove il tempo era mite e i venti non troppo forti.
    Ma lo stormo non migrava. Preferiva patire un po' di freddo I'inverno piuttosto che fare migliaia di chilometri alla ricerca di un posto più mite. «Poi le migrazioni sono sempre lunghe, faticose e pericolose, non ne vale la pena» si diceva.
    Ma nello stormo si narrava di personaggi intrepidi che avevano tentato la sorte. Degli uccelli la cui storia si perdeva tra il mito e la leggenda. Dei gabbiani che avevano abbandonato la baia di San Juan. Ma non verso nord, dove volavano gli altri stormi. Questi uccelli erano partiti verso ovest.
    Verso il mare aperto.
    Nessuno di questi gabbiani era mai ritornato allo stormo. Quello che c'era al di là del mare era solo leggenda.
    Si diceva che al di là del mare ci fosse un'altra costa. Piena di pesci e di sole. Dove gli inverni erano miti e le estati fresche. I più scettici dicevano che verso ovest c'era solo mare. Un immenso mare. E che nessuno era mai sopravvissuto a questo viaggio. I più ferventi invece sostenevano che quelli che erano riusciti a superare il mare, con le sue insidie e le sue tentazioni, avevano raggiunto il paradiso dei gabbiani.
    Ma erano tutte leggende. Solo due cose erano certe. Che nessuno era mai tornato indietro, e che il mare era immenso.
    Era la fine dell'estate, alcuni stormi erano partiti verso nord nei giorni precedenti. Ma lo stormo, come sempre, era rimasto li, in attesa della prossima estate.
    Era mattino presto e il sole era basso sull'orizzonte. Il gabbiano Leonard si voltò verso ovest. Verso I'immenso mare azzurro. Alle sue spalle c'era solo la terra. Si diceva che essa fosse ancora più grande del mare. Di là non c'era mai andato davvero nessuno. «La terra non è fatta per i gabbiani» si diceva nello stormo.
    Leonard sentiva che doveva partire. Era qualcosa di più forte di lui. Un impulso irresistibile che gli partiva dal cuore e gli raggiungeva la punta delle ali.
    Guardò verso il mare ancora una volta. Il mare era davvero immenso, sterminato, una tavola blu senza fine.
    D'un tratto Leonard si girò in modo da avere il sole in faccia. La sua pupilla si strinse fino a diventare una sottile linea verticale.
    Fu solo allora che spiegò le ali e parti. Con il sole in faccia. Verso est. Verso la terra.





    L'azzurro del cielo mi fa venire voglia di volare come un impavido gabbiano in cerca dell'infinito.
    Jean-Paul Malfatti



    Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
    ove trovino pace.
    Io son come loro, in perpetuo volo.
    La vita la sfioro com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
    E come forse anch'essi amo la quiete,
    la gran quiete marina,ma il mio destino è vivere
    balenando in burrasca.
    Cardarelli


    Un volo di gabbiani trafigge il cielo.
    Volano alti ad ali aperte..Poi come fulmini si tuffano tra le onde.






    dal web
     
    Top
    .
  3. gheagabry
     
    .

    User deleted



    ......era buffo, pigro..è scomparso, estinto per mano dell'uomo...
    non potremo mai incontrarlo se non nei libri....



    IL DODO





    Più che a riportare in vita i dinosauri - estinti molto prima che l'uomo comparisse sulla terra - si è più realisticamente pensato di tentare le funamboliche tecniche di bioingegneria per riportare in vita animali estinti dall'uomo. Per esempio, il dronte, del quale non si hanno più tracce dal 1681 (1693), quando venne implacabilmente cacciato dai marinai sbarcati nell'isola Mauritius. Il dronte non è la sola specie estinta o che rischia l'estinzione per opera dell'uomo. Il fatto è che oltre alla sua estinzione fisica ha subìto un altro affronto: se ne è persa la memoria confondendolo col dodo, che ne ha preso il posto. E in effetti, questo non è del tutto vero... non essendo disponibili disegni certi del dodo, i due pennuti sono stati riuniti in un'unica specie. Questa confusione-identificazione è stata proposta al grande pubblico in Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll, dove c'è un'illustrazione del dronte che però viene chiamato dodo (il nome dodo potrebbe essere stato scelto da Dogson - vero nome di Lewis Carroll - come una forma di autoironia, giacché quando pronunciava il suo nome, pare balbettasse «do-do»): un'altra dimostrazione di come i mezzi di comunicazione di massa prendano il posto della scienza. O, se si preferisce, ne possano avvalorare le imprecisioni.

    L'immagine popolare di questo uccello viene dal celebre dipinto realizzato con colori esageratamente vivaci. L'autore, Roelandt Savery (1576–1639), olandese, pittore fiammingo e incisore di paesaggi e soggetti faunistici, come qualcuno ha detto "trasse la sua notorietà dal dodo". Egli li disegnò e dipinse molte volte, e senza dubbio ne fu affascinato. Anche ossessionato. Inizialmente i dipinti erano accurati, ma non fu così per gli ultimi. Questo perché inizialmente lavorò dal vivo, ma poi si affidò alla memoria, eseguendo dipinti non privi di fascino. Nelle sue visite al Museo dell'Università di Oxford, Lewis Carroll fu inspirato da questa immagine per crearne la versione caricaturale ad illustrazione delle avventure di Alice in Paese delle meraviglie.





    Il Dronte (Didus ineptus, poi Raphus ineptus, infine Raphus cucullatus), singolare columbiforme estinto da due secoli, proprio dell'isola di Mauritius, che viene comunemente chiamato Dodo di Mauritius.
    Il Dronte era privo di predatori naturali in quanto sull'isola non c'erano mammiferi, ma nelle fitte foreste viveva un'alta varietà di specie di uccelli. Si cibava dei frutti caduti dagli alberi e nidificava sulla terra; vivendo indisturbato, perse la necessità e l'abilità di volare.
    Raggiungeva un'altezza di circa settantacinque centimetri e pesava fino a venti chilogrammi; dotato di corpo tozzo e grosso quanto quello di un cigno, aveva ali piccole e incomplete, non idonee al volo. Per contro, era un ottimo camminatore, provvisto di zampe corte e robuste, terminanti con dita armate di artigli acuminati. La testa massiccia risultava munita di un grosso becco fortemente incurvato alla punta a mò di uncino rivolto verso il basso. I piccoli occhi brillanti erano posti nel becco. La coda, cortissima e pendente, era fatta di penne a barbe scomposte. Il piumaggio era fondamentalmente del colore della cenere: scuro sul dorso, biancastro sul ventre, con cosce nerastre e piedi gialli. Le penne dell'occipite, di colore nerastro, formavano un cappuccio che lasciava scorgere solo la metà anteriore del capo, che era nuda. Remiganti e coda giallicce e iride bianco-gialliccia.
    Dopo che i portoghesi sbarcarono sull'isola nel 1505, l'isola divenne rapidamente una sosta per le navi destinate al commercio di spezie. Pesando intorno ai 20 kg, il dodo era una fonte di carne fresca per i marinai: un gran numero di dodi furono uccisi per cibarsene. Più tardi, gli olandesi destinarono l'isola a colonia penale, maiali e scimmie furono portate sull'isola con i forzati. Molte delle navi che giunsero alle Mauritius portavano ratti clandestini, alcuni dei quali raggiunsero l'isola. Ratti, maiali e scimmie con il facile saccheggio delle uova di dodo, completarono la sua estinzione.
    Un esemplare imbalsamato esisteva fino al 1755 presso l'Università di Oxford, ma poi si tarlò e venne distrutto: scomparve così l'ultimo rappresentante di una specie estinta. Oggi non ci rimangono che pochi resti: una zampa e il becco dell'esemplare suddetto sono conservati nel museo di Oxford, nel museo di Londra si trovano una zampa e uno scheletro completo, a Parigi uno sterno, a Copenaghen un becco e a Praga un cranio. Altri calchi in gesso sono esposti in diversi Musei. Nella pinacoteca di Dresda sono conservate alcune figure di dronte, risalenti al 1666. Solo pochissimi artisti europei ritrassero o disegnarono il Dronte da modelli vivi, così quasi tutti i disegni dell’epoca sono stati eseguiti basandosi su descrizioni, per cui si tratta di riproduzioni non completamente fedeli.





    L''estinzione di un animale non è riassumibile solo con un nome. E' importante conoscere le caratteristiche della specie estinta ed il suo ruolo nell'ecosistema in cui era inserita. Per esempio, anche se la storia dell'estinzione del dodo è ben documentata, non sono stati preservati campioni completi dell'uccello; ci sono solo frammenti e schizzi. Il dodo è solo uno della specie di uccello portata all'estinzione nell'isola Mauritius. Molti altri sono stati persi nel 19.mo secolo quando le sue dense foreste furono convertite in tè e piantagioni di zucchero. Delle 45 specie di uccelli originalmente trovate a Mauritius, solamente 21 sono riuscite a sopravvivere.
    Anche se il dodo si estinse nel 1681, la sua storia non è finita. Stiamo appena iniziando a comprendere gli effetti della sua estinzione sull'ecosistema (lettura suggerita: l'effetto farfalla). Recentemente un scienziato ha osservato che una certa specie di albero dell'isola Mauritius stava divenendo piuttosto rara. Infatti, tutti i 13 alberi rimanenti di questa specie avevano circa 300 anni. Nessun albero nuovo germinava dal tardo 1600. Poiché la vita media di questo albero è stimata in circa 300 anni, gli ultimi membri della specie sono estremamente vecchi. Presumibilmnete dovrebbero morire presto, e la specie sarebbe estinta. Era solo una coincidenza che l'albero aveva cessato di riprodursi 300 anni fa e che il dodo si estinse 300 anni fa? No. Risulta che il dodo mangiasse i frutti di questo albero, ed i suoi semi divenivano attivi e potevano crescere solamente attraversando il sistema di digerente del dodo. Ora, più di 300 anni dopo che una specie si è estinta, un'altra sta per seguire la stessa sorte come una conseguenza diretta. Ne seguiranno altre?
    Fortunatamente, alcune persone, scoprirono che l'esofago del tacchino domestico mima sufficientemente l'azione del sistema di digestivo del dodo. Questo aiuto inaspettato era abbastanza improbabile in quanto il tacchino, pur ricordando vagamente il dronte, appartiene ad un ordine del tutto diverso (ORDINE: galliformi; SOTTORDINE: opistocomi; FAMIGLIA megapodidi; GENERE: alectura; SPECIE: tacchino). Così, sono stati usati tacchini per iniziare una nuova generazione dell'albero che ora è chiamato l'albero di dodo. Se queste giovani piante sopravviveranno e produrranno i propri semi, la specie sarà salvata. (nemesi.net)


    ...miti e leggende...


    La leggenda vuole che sia stato divorato dai marinai portoghesi e olandesi che trovavano particolarmente appetitose le sue carni.
    In realtà il dodo, come buona parte degli animali piuttosto lenti, aveva delle carni disgustose, non caso il termine che gli olandesi usano per definirlo significa letteralmente "uccello disgustoso". In portoghese invece "duodo", signfica semplicemente "scemo".
    L'estinzione del dodo si deve quasi sicuramente alla presenza di esseri umani che hanno distrutto l'ecosistema in cui viveva, introducendo ratti, gatti e cani. Essendo stato il dodo un uccello che nidificava a terra, risultava senz'altro una facilissima preda, e laddove un uccello adulto riusciva a rifugiarsi su degli alberi bassi, svolacchiando come le galline nostrane, le uova erano alla protata di qualsiasi predatore. Anche dell'uomo. Perché se la carne del dodo era disgustosa, pare che non si potesse dire lo stesso delle sue uova.
    Secondo alcuni studiosi deriva dalla parola olandese dodoor che significa "pigrone". Altri ritengono che sia una trasformazione della parola portoghese "doudo" che vuol dire "stupido" e "credulone". Il capitano di una spedizione olandese sulle isole Mauritius nel 1598 disse che questo animale era stato chiamato inizialmente walckvogel e cioè "uccello disgustoso".





    ......un dodo in Alice.........



    All’inizio del terzo capitolo di Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Caroll, alcuni personaggi (Alice stessa e alcuni animali, fra cui un topo, un’anatra, e un dodo) si ritrovano tutti bagnati. Si riuniscono allora in una specie di consiglio per trovare un modo di asciugarsi e, dopo qualche incertezza sul da farsi, è il dodo a trovare la soluzione. Occorre fare una “corsa elettorale” (caucus race), ovvero tutti devono mettersi a correre lungo un percorso (“non importa la forma esatta”), iniziando in momenti diversi e fermandosi quando lo desiderano.

    In questo modo non è facile stabilire quando la corsa ha termine. Ancora più difficile, quindi, risulta capire chi ha vinto la corsa, chi è “arrivato primo”. Infatti una volta che tutti, dopo aver corso per circa un’ora e mezza, sono fermi e asciutti si riuniscono di nuovo intorno al dodo per chiedergli chi, secondo lui, ha vinto la gara. Il dodo ci pensa e ci ripensa, e alla fine emette il suo verdetto: “Tutti hanno vinto, e tutti devono ricevere un premio”.





    .
     
    Top
    .
  4. gheagabry
     
    .

    User deleted




    L'oca è l'animale ritenuto simbolo della stupidità, a causa delle sciocchezze
    che gli uomini hanno scritto con le sue penne



    L' OCA




    L’oca è un onnivoro che appartiene alla famiglia degli Anatidi e all’ordine degli Anseriformi. I suoi pasti prelibati sono lumache, pesciolini, insetti, larve, rane, lombrichi, sementi, germogli ed erbe. Vive soprattutto in America e in Europa settentrionale. L’oca generalmente è lunga cento centimetri e pesa circa cinque chilogrammi. Il suo corpo nelle parti superiori è di colore marrone mentre il capo, il collo e la coda sono neri. Inoltre, ha il petto e il ventre di color grigio bruno. Una macchia bianca alquanto estesa si dirada fino alla gola. L’oca costruisce il suo nido nei laghi, nelle paludi o nelle piccole isole caratterizzate da una ricca vegetazione di cespugli. La riproduzione avviene nei mesi primaverili ed estivi.

    Tra le oche grigie europee, la selvatica è quella che si riproduce più a sud. Si distingue dalle altre per il colore uniformemente grigio del piumaggio e per il becco rosso brillante e le zampe rosse che spiccano sul grigio del corpo, interrotto dalle bordure chiare delle penne e dal bianco delle copritrici. Esprime un comportamento gregario, soprattutto durante le migrazioni, nelle quali gli stormi procedono in formazione, alternando gli individui nella posizione di testa, dove la resistenza dell’aria e quindi la fatica sono maggiori. Vive nel nord Europa ed Asia e sverna nei paesi del centro Europa e del mediterraneo fra cui l’Italia. Il suo habitat comprende paludi, praterie umide, estuari, laghi e campi coltivati..La loro dieta è composta prevalentemente da vegetali vari, piante acquatiche, semi, bacche e tuberi...Nidifica nelle acque interne purchè offrano dei buoni nascondigli come canne, giunchi o boschi ripariali. Le coppie rimangono unite per tutta la vita, ed entrambi i sessi concorrono alla cova delle uova e all'allevamento dei piccoli. Durante la riproduzione, da metà aprile a fine maggio, le coppie si appartano e in una buca rivestita di materiale vegetale la femmina depone 4-6 uova, che cova per quasi un mese, avendo cura di ricoprirle quando si allontana dal nido. Entrambi i genitori accudiscono la prole, che diviene atta al volo in cinque mesi e trascorre con essi il primo anno, imparando a riconoscerne la voce.





    ...nella storia....



    Affonda nei secoli bui la tradizione di cibarsi dell'oca nel giorno di S. Martino. L'oca costituì assieme al maiale la riserva di grassi e proteine durante l'inverno del povero contadino che si cibava quasi sempre solo di cereali e di grandi polente. Dopo gli egiziani sentiamo parlare dell'oca da Omero che ci narra che i Greci tenevano l'oca come allegro compagno d'infanzia, come guardiano . Anche i romani tenevano in grande considerazione le oche che servivano da guardiani notturni del tempio della dea Giunone nel Campidoglio. L'oca fu sempre allevata anche nel periodo medioevale nei monasteri e nelle famiglie dei contadini, come ordinava Carlo Magno. A favorire la diffusione dell'oca furono attorno al 1400 alcune comunità ebraiche di rito aschenazita che si stabilirono, provenienti dall'Europa del nord, nelle regioni settentrionale della penisola e quindi anche nel Veneto . Per motivi religiosi non potevano consumare carne di maiale, così i loro macellai preparavano deliziosi salami e prosciuttini d'oca. L'oca era cibo prediletto dalle ricche famiglie ebree sul finire dell'ottocento. Risulta che fra i barbari che saccheggiarono Roma nel 390 a.C., sotto la guida di Brenno , il palmipede era pure "simbolo dell'aldilà e guida dei pellegrini, ma anche della Grande Madre dell'Universo e dei viventi. La zampa dell'oca veniva usata come "marchio" di riconoscimento dai maestri costruttori di cattedrali gotiche che si chiamavano "Jars" che in francese vuol dire oche.
    Quella dell'11 novembre era una festa pagana di origine antichissima , già della tradizione celtica, entrata a far parte delle feste cristiane grazie a S. Martino. Questo periodo dell'anno fin dalla tradizione più antica dedicato a S. Martino è sempre stato collegato alle oche. La leggenda racconta infatti che Martino, nonostante l'elezione a furor di popolo a Vescovo di Tours, non voleva abbandonare il saio e cercò di nascondersi, ma furono proprio le oche a stanarlo e così divenne vescovo amatissimo di Tours e poi Santo per la sua bontà nei confronti dei poveri.Nel secolo scorso e fino ai primi del Novecento l'oca era anche mezzo di scambio. Con essa fittavoli e mezzadri pagavano ai nobili proprietari terrieri una parte del dovuto. Oppure si recavano al mercato e scambiavano le oche con stivali come ricorda la fiera di S. Andrea a Portogruaro nel Veneto , detta "Fiera delle oche e degli stivali".


    Nel tempo a questo volatile così rinomato e con la sua aura antica, non gli furono tributati solo gli elogi e gli apprezzamenti di scultori, poeti e di chef, ma anche credenze popolari che la definiscono sciocca tra le sciocche! Pare che questo detto derivi dal forte schiamazzo che ai piu sembra insensato! Ma quei piu evidentemente hanno dimenticato la vicenda del Campidoglio e la proverbiale attitudine alla guardia che ne è derivata. In verità a smentire questa credenza,ci sono diverse testimonianze di chi ha allevato le oche... Plutarco narra della scaltrezza con la quale le oche sfuggirono agli attacchi numerosi delle aquile dei monti Tauri:Ludwig Buchler racconta le gesta di un oca che aveva uno spiccato senso militare da montare regolamente di sentinella e da gridare i diversi segnali presso il reggimento nel quale si era " arruolata":Mènault ricorda il caso di un oca che sapeva giudare e preservae dai pericoli una povera vecchia cieca. Mentre il dott. Franklin scrive che un oca intenta nella cova da 15 giorni sentì avvicinare la fine dei suoi giorni e, lasciò il nido alla ricerca di un' altra oca che la sostituisse nella cova... La nuova oca seguì la moribonda sino ala nido e vi si adagiò per continuare la cova fino alla schiusa e lla sucessiva cura dei piccoli nati mentre la povera oca vecchia moriva.
    L'oca è un animale capace di affetto e comprensione. Non è raro infatti che un oca si affezzioni talmente al suo padrone da seguirlo ovunque ( cosa che ho verificato anche io),protestando con starnazzi vigorosi quando viene lasciata sola... Ne riconosce la voce, la figura, e al suo apparire lo saluta con acuti allegri e chiassosi! In molte regioni della Geramnia, e nel resto dell 'Europa centrale,ogni mattina guppi numerosi di oche escono senza alcuna guida e evanno ad aggregarsi disciplinataente al grosso branco che verrà a costituirsi guidato poida un custode... Alla sera, finito ilpascolo, ciiascun grupposulla strada del ritorno si stacca da sè e rintra dal legittimo proprietario.





    ....miti e leggende....



    La ninfa Nemesi, per sfuggire a Zeus che voleva unirsi a lei si trasformò in oca, ma fu ugualmente fecondata dal re degli dei, trasformatosi in cigno. Dalla loro unione scaturirà l’Uovo.
    Un attestato pregiudizio sostiene che l'oca sia un animale stupido, tant'e vero che si da dell'oca a
    una donna bella ma sciocca. I motti a tal proposito non mancano: "Avere il cervello di un'oca",
    "Capire meno di un'oca". Che di un pregiudizio si tratti lo attestano le allusioni allùeccessiva
    loquacita delle oche (e guarda caso anche delle donne), loquacita da contrastare con un sasso in
    bocca come gia Plinio consigliava. Eppure proprio "continuo stridere e congottire
    con molta garrulita e senza consonanza o armonia alcuna" dell'oca fecero la salvezza dei
    Romani: "tanto silenziosamente arrivarono in cima che non solo riuscirono a ingannare le sentinelle ma non richiamarono nemmeno l'attenzione dei cani, che sono animali cosı pronti ad
    avvertire i rumori notturni. Tuttavia non ingannarono le oche che, nonostante la scarsita di cibo
    dovuta all'assedio, erano state risparmiate perchè sacre a Giunone". Il Campidoglio fu salvato
    dai Galli e le oche acquisirono definitivamente lo status di uccelli fedeli e vigili.
    Secondo la piu classica delle simbologie l'oca e animale da compagnia, fedele e affezionata piu
    del cane. Gia Eliano narra di "Lacide, il famoso filosofo peripatetico" e della sua affezionatissima
    oca, a noi, oggi, sono piu familiari le oche di Lorenz...Nella cultura europea medievale e moderna
    accompagna e assiste (con bellissime sembianze femminili) i viandanti nei viaggi spirituali. La fiaba
    moderna il "Viaggio meraviglioso di Nils Holgersson" di S. Lagerdorf, racconta di un bambino in groppa ad unùoca in un viaggio/racconto di iniziazione alla scoperta del mondo, a conferma
    del perdurare del mito.





    .....il gioco dell'oca.....



    Per la prima volta, all'epoca dei Medici, verso il 1580, appare il nome "Il nuovo e molto dilettevole giuoco dell'oca", ma la più antica stampa conosciuta del "gioco dell'oca" risale al 1640. Fu pubblicata a Venezia da Carlo Coriolani. Al centro vi è raffigurata una famiglia seduta attorno ad una tavola imbandita e nel bel mezzo un'oca arrosto. In alto sul bordo del foglio è scritto "Il dilettevole gioco di loca". Molto probabilmente da qui deriva il nome del gioco , secondo altri studiosi invece proviene dall'usanza dei giocatori di impiegare la vincita per comperare una bella oca. Certo è che questo gioco è molto antico come testimoniano documenti rinvenuti in tombe egizie e reperti cinesi. Rappresentava il concetto del bene (le oche) e del male (le avversità, gli ostacoli).Il gioco dell'oca è formato da 63 caselle (a volte il loro numero sale a 90) disposte a spirale e numerate da 1 a 63. Si gioca con due dadi. Le caselle occupate dalle oche sono 13 , ogni 5 e 4 caselle; qui il giocatore raddoppia il valore ottenuto dai dadi e avanza (l'oca porta fortuna !).Nelle caselle occupate dagli "accidenti" o pericoli, in totale 8 :il ponte al numero 6, l'osteria al 19, i dadi al 26, il pozzo al 31, il labirinto al 42, la prigione al 52, i dadi al 53, la morte al 58, ci si ferma per uno o più giri o si paga o si retrocede ..I giocatori muniti di contrassegno, dopo aver stabiliti il turno e la posta avanzano secondo il punteggio indicato dai due dadi tirati. Risulta vincitore chi arriverà per primo al 63.
    Questo gioco semplicissimo, dove non è necessaria l'abilità ma solo la fortuna affidata ai dadi, permetteva la partecipazione di tutti giovani ed anziani, popolani, borghesi e nobili. Cosicché si diffuse rapidamente tanto che nel XVII° secolo aveva conquistato l'Europa. Molto conosciuto e molto giocato si prestò moltissimo ad essere trasformato in giochi diversi dove nelle caselle vuote si inserirono temi didattici, religiosi, storici, ecc.
    Il modello base del gioco venne reinventato e adattato alle esigenze ed alle istanze del momento nelle varie epoche storiche (Giochi di percorso). Si ebbero così il gioco delle civette, il gioco della guerra, il gioco del militare, il gioco della vita di Napoleone, delle favole di Esopo, del giro del mondo, del treno, fino al gioco del giro ciclistico d'Italia.





    ......un racconto.....



    "Protagoniste di questa storia furono l'Oca Geltrude ed un'anatra muta, che fino a quella notte avevano in comune solo il fatto di vivere insieme. Una sera come altre, eravamo già tutti a riposare....Passarono pochi minuti e sentii Geltrude fare il suo inconfondibile verso... era meglio dei cani, per la guardia! D'istinto corsi giù, con in mano una torcia elettrica, ed eccomi da lei. Geltrude mi venne incontro, proprio come fa di solito un cane che vede il suo amico umano tornare a casa. Mi sembrava tutto a posto, anche l'anatra c'era, ma si nascondeva dietro l'oca... e questo mi lasciò perplesso, visto che non avevano mai "viaggiato" una accanto all'altra.
    Allora puntai la torcia verso l'anatra, e qui l'amara sorpresa... sul suo collo si vedeva chiaramente il morso di un animale. Dai piccoli fori usciva una goccia di sangue, evidentemente le urla di Geltrude ed il mio arrivo avevano fatto desistere l'aggressore.
    La ferita fortunatamente era solo superficiale, l'anatra non ebbe nessuna conseguenza, spavento a parte. Ma da quella notte lei e Geltrude furono inseparabili! Dove andava l'oca andava anche l'anatra....Ma ricorderò sempre quella notte, e soprattutto la riconoscenza che l'anatra dimostrò alla sua amica fino alla fine. Viaggiarono sempre insieme, era incredibile vederle accanto in ogni luogo e momento della giornata. Credo che l'anatra si fosse resa conto che se non fosse stato per la sua nuova amica che aveva iniziato a starnazzare, per lei non ci sarebbe stato scampo. Una dimostrazione di riconoscenza e affetto che difficilmente ho avuto la fortuna di rivedere fra gli umani.
    Mitica Geltrude, era troppo bello guardarla mentre si "imbambolava" a seguire con i suoi occhietti azzurri gli aerei volare nel cielo"
    -dal web -





    .....una favola......



    In un piccolo podere un contadino viveva con la sua famiglia e con i suoi animali. Tra tutti gli animali c'era un' oca avanti con gli anni, ma ancora così in salute da deporre ancora le uova e covarle con infinito amore. L'oca era l'animale più anziano, ed era anche il più saggio fra tutti. Le sue uova erano pronte per la schiusa, e tutti gli altri animali attendevano ansiosi di vedere i suoi pulcini come tutti gli anni. I pulcini dell'oca erano bellissimi, candidi come la neve e paffuti come solo i piccoli dell'oca possono essere. L'oca scorazzava nella prateria tutte le mattine per guidare i suoi pulcini alla ricerca di cibo. Un giorno però successe qualche cosa di terribile. Da lontano l'oca e i suoi pulcini sentirono un intenso odore di bruciato, e infatti c 'era tanto fumo dappertutto. L'oca avvisò i pulcini di non allontanarsi da lei perché sicuramente lì vicino doveva essere scoppiato un incendio. Uno dei suoi pulcini, purtroppo, più disubbidiente degli altri, si allontanò el'oca fu costretta a seguirlo. L'oca premurosa e preoccupata, cercò di non fare allontanare altri pulcini, ma quelli, più terrorizzati che mai , non volevano rimanere da soli e la seguirono alla ricerca del pulcino disobbediente. Finalmente l'oca e gli altri pulcini ritrovarono il modellino, ma subito si resro conto che erano stati circondati dalle fiamme e che non avevano più possibilità di tornaredagli altri animali per mettersi in salvo. L'oca voleva a tutti i costi salvare i pulcini ma non sapeva proprio come fare. All'improvviso, saggia com'era, ebbe una meravigliosa idea! Si mise a scavare con frenesia la terra sotto i piedi con le sue robuste zampe, e quando fece un buco abbastanza grande per farci entrare tutti i pulcini, li spinse dolcemente dentro e con delicatezza si appollaiò sopra per proteggerli dal fumo e dal fuoco. Dopo aver spento quel terribile incendio, il contadino con la sua famiglia e con gli altri animali andarono a cercare l'oca e i suoi pulcini, temendo il peggio. Quando videro tutto quel fumo e quella cenere, il contadino e tutti quanti gli altri scavarono in terra in ogni direzione. Tutti gli angoli erano stati setacciati con attenzione, ma non c'era nessuna traccia nè dell'oca nè dei suoi bellissimi pulcini. Ad un certo punto, il figlioletto più piccolo del contadino scorse per terra un mucchietto nero e chiamò suo padre per capire che cosa fosse. L'uomo si avvicinò incuriosito e vide la sagoma dell'oca. Con cura e delicatezza, spostò leggermente l'oca incenerita convinto che fosse morta, e da sotto di lei vennero fuori i pulcini sani e salvi. Il contadino commosso e addolorato per la morte dell'oca, mentre riportava a casa i pulcini pensava al sacrificio della sua vecchia amica per salvare i suoi pulcini, ma con enorme stupore si accorse di uno strano zampettio. Era il rumore inconfondibile del passo dell'oca, che non era affatto morta, ma si era solo bruciacchiata le morbide piume. Il contadino e la sua famiglia la curarono con amore, e ben presto le sue piume rispuntarono più bianche e più morbide di prima. La vita premia sempre chi è capace di difendere con coraggio i propri piccoli, e l'oca visse ancora a lungo con i suoi pulcini.
    di Rossana Costantino






    .
     
    Top
    .
  5. gheagabry
     
    .

    User deleted


    Riconosci nell'animale un soggetto, non un oggetto?
    - Charlotte Probst -



    IL PAPPAGALLO





    Con il termine pappagallo (Psittacidae, Illiger 1811) s'intende una numerosa famiglia di uccelli, appartenenti all'ordine Psittaciformes. Un tempo le due famiglie Psittacidae e Cacatuidae erano riunite in un'unica famiglia.
    I pappagalli sono diffusi principalmente nelle zone tropicali e subtropicali del mondo, come l'America Latina, l'India, l'Asia sudorientale, l'Africa e l'Oceania.
    I pappagalli hanno becco adunco, zampe corte e piedi zigodattili, ossia con il primo e il quarto dito rivolti all'indietro. Camminano goffamente sul terreno, ma sono eccellenti arrampicatori e spesso usano il becco per sollevarsi su rami sempre più alti. In moltissimi pappagalli la lingua, spessa e muscolosa, viene usata con grande destrezza per raccogliere i semi che, insieme alla frutta, costituiscono la base della dieta di questi uccelli. Nei tricoglossi la lingua è più lunga e ha un apice a forma di pennello, adatto a raccogliere il nettare. La maggior parte dei pappagalli è tropicale e solo poche specie si spingono nelle aree temperate.
    Il colore predominante del piumaggio è il verde, anche se ci sono molte eccezioni. Alcuni pappagalli americani sono blu o gialli e molti hanno anche delle pennellate di rosso. I pappagalli più colorati sono i tricoglossi, nei quali predominano i rossi e i verdi, ma non sono neppure rari il blu, il viola, il marrone, il giallo e il nero. La maggior parte dei cacatua è bianca o nera, con tocchi di giallo, rosso o rosa. La maggioranza dei pappagalli nidifica nelle cavità degli alberi, oppure in cunicoli sotterranei. La principale eccezione è costituita dai monaci (Myiopsitta monachus) delle regioni temperate del Sud America, che costruiscono un grosso nido di bastoncini. In moltissime popolazioni i nidi sono comunitari e finiscono per diventare talmente pesanti da spezzare i rami sui quali sono costruiti. Questi nidi comunitari sono abitati da diverse coppie, ciascuna con la propria via di accesso privata; i membri delle coppie possono restare insieme tutta la vita.

    Soltanto un terzo, ossia 107 delle 315 specie della famiglia dei pappagalli sono effettivamente chiamati "pappagalli". Ai rimanenti vengono dati altri nomi quali cacatua, parrocchetto, lori, ara, ecc. Di questi, 25 sono originari del Rio delle Amazzoni e hanno piumaggio prevalentemente verde e coda corta. Una delle specie più grandi è quella del pappagallo amazzone dalla testa gialla, lungo circa 40 cm, con le ali macchiettate di azzurro o di rosso. Vive dal Messico al Brasile. Il pappagallo amazzone dalla testa albina rappresenta invece la specie più piccola. In media, la sua lunghezza si aggira sui 25 cm. I lori sono di un rosso vivo e le loro ali recano una macchia rossa...Un altro pappagallo tipico è quello africano. Esso vive nelle foreste tropicali dell' Africa centrale e occidentale. Ha guance bianche e coda rossa.





    ...la storia....



    I Pappagalli abitano tutte le regioni della terra, ad eccezione dell'Europa.Delle 429 specie, che il Marshall annoverava nel 1889,161 vivano in America,213 in Australia,in Papuasia, nelle Molucche,nell'oceania,25 in Affrica e 30 nell'Asia meridionale con le isole della Sonda.Scoperte successive hanno portato il numero delle specie conosciute a 580,senza che ne sia rimasta notevolmente modificata la proposizione della loro distribuzione(documento datato 1920).
    Nell'Affrica nord-orientale,il Marshall annotò che questi uccelli si trovavano soltanto dove vi erano anche le scimmie,di cui possono quindi in certo modo considerarsi come compagni inseparabili.Quanto più ampie e più ricche di vegetazione sono le foreste,tanto più vi abbondano i pappagalli,i quali non passano certo inosservati;sono il più bello ornamento della foresta,che riempiono anche delle loro grida.Che cosa sarebbe mai una di quelle meravigliose foreste tropicali senza i pappagalli? Il giardino incantato di un mago,il campo del silenzio ,il deserto.Sono questi uccelli che danno vita e movimento alla foresta,e colpiscono ugualmente la vista e l'udito.I pappagalli vivono per la maggior parte in società, tranne che nel tempo della cova,o in branchi spesso assai numerosi.Scelgono nella foresta un luogo di dimora,dal quale poi percorrono giornalmente un'estesa regione.Le società si mantengono fedelmente unite dividendo gioie e dolori.Tutti gl'individui abbandonano insieme, al mattino, il luogo del riposo notturno,e si posano su di un albero o in un campo,in cerca dei frutti di cui si nutrono,dopo aver posto alcune sentinelle a vegliare alla incolumità della compagnia;sono molto attenti ai loro avvertimenti, al primo allarme si levano in volo tutt'insieme o a breve distanza l'uno dall'altro,rimangono fedelmente uniti nel pericolo e cercano di aiutarsi scambievolmente come possano.Ritornano poi insieme alla dimora notturna,e vi si appollaiano tutti insieme,e se è necessario, covano anche in società.
    Vari sono i luoghi scelti per la dimora notturna:ora la folta chioma di un albero, ora una parete rocciosa con numerose cavità,ora il cavo di un albero,ecc...G Valdau,che, in un isola del lago Riccardo sui monti del Camerun,potè osservare l'agitazione dei pappagalli quando si trovano nel luogo di riposo, ne dà un'efficace descrizione:Alcuni grossi alberi del villaggio e tutto il rimanente dell'isola formano il quartiere notturno dei milioni di pappagalli dei dintorni.Circa un'ora dopo il calar del sole cominciano ad arrivare da tutte le parti,formando come uno stormo ininterrotto,che diventa sempre più fitto.In breve tutti gli alberi sono così fittamente coperti,che neanche un piccolo uccellino vi potrebbe trovare posto senza portar lo scompiglio.Con grida e clamori assordanti si pigiano e litigano per il posto.Talvolta giunge una numerosa squadra, che si posa su un albero già occupato, il che provoca la caduta di centinaia di uccelli dai posti che avevano conquistati.Dopo un breve volo sul lago questi tornano allo stesso albero o a un altro vicino provocando di nuovo lo scompiglio.Al calar della notte, la variopinta folla si quieta,fin che,ai primi albori prima che il sole sia comparso all'orizzonte,ricomincia il clamore.Allora si accingono alla occupazione giornaliera della ricerca del cibo e un nugolo di pappagalli si leva a volo,così fitto da oscurare il sole.La nuvola si disperde presto in tutte le direzioni,e quando comincia la vita per gli uomini già non vi è più traccia di pappagalli nell'aria.Questi uccelli considerati quali animali sacri dagli abitanti dell'isola,non sono perciò mai disturbati.La maggior parte dei pappagalli predilige le folte chiome degli alberi per passarvi la notte,perchè vi trovano non soltanto un riparo dai temporali ma anche un sicuro nascondiglio.Pare che l'umidità piaccia a molte specie, quelli affricani amano la pioggia e sono molto più chiassosi e canori quando possono godersi un'acquazzone, o quando minaccia la pioggia;sono perciò buoni profeti del tempo se a sera il clamore dei pappagalli, che tornano all'asilo nottutno, cresce fino a diventare insopportabile si può essere quasi sicuri che presto pioverà.Anche i Pappagalli cenerini in cattività con la loro agitazione annunciano, almeno in Affrica i prossimi cambiamenti di tempo.
    L'addomesticamento dei pappagalli, come quello dei nostri animali domestici, è di origine antichissima.Onesicrite,generale di Alessandro Magno,trovò già i pappagalli tenuti in cattività dagl'indigeni dell'India,e ne portò alcuni vivi in Grecia.Più tardi furono portati anche a Roma.Ai tempi delle Crociate questi uccelli,tenuti in gabbia, adornavano le case dei ricchi in vari paesi d'Europa e venivano addestrati a parlare.I primi scopritori dell'America trovarono pappagalli dentro e fuori le capanne degl'indigeni.Dai racconti dello Schomburgk si ricava che negli accampamenti degli Indiani nelle foreste, i pappagalli tengono il posto dei polli nelle case dei contadini,e prendono anzi più intima parte ai casi della vita dell'uomo che no i polli.
    Ecco ciò che il Wilson scrive intorno a una singolare abitudine del Conuro della Carolina: Questi uccelli sono ghiotti di sale: si vedono spesso in gran numero presso le saline dove coprono tutto il suolo e gli alberi vicini,talvolta in tale quantità,che non si vede altro che lo scintillare delle loro penne iridescienti.
    Tra le varie specie sicuramente le ARA costituiscono il genere più possente;fra queste si distingue l'Ara color giacinto, Anodorhyncus hyacintinus Lath.,magnifico pappagallo riconoscibile per il becco colossale e la colorazione uniforme blu cobalto;le ali, le timoniere e le più grosse copritrici inferiori delle ali sono d'un nero brillante, le parti nude del capo hanno una vivace tinta arancione:Secondo il Burmeister,la lunghezza raggiunge 1 metro. Larea di diffusione di quest'ara è limitata alla parte settentrionale del Brasile centrale fino al Rio delle Amazzoni. (da Le Bacchiole.it)





    .....nella letteratura e nell'arte......



    «Il mio nome è Pappagallo, uccello del Paradiso». Così comincia “Speke Parrot”, l’opera scritta nel 1520 da John Skelton. E il poeta di Enrico VIII non era il solo a individuare cenni di divinità nello splendido pennuto variopinto. Nell’arte medioevale e nella letteratura europea, i pappagalli sono spesso associati alla Vergine Maria o la Trinità.
    Dall’aneddoto del tredicesimo secolo che narra del futuro imperatore Carlo Magno che viene salutato da pappagalli, al più celebre poema eroicomico francese del 1734 sul pappagallo di nome pio Ver-Vert, la specie appartenente alla famiglia dei Psittaciformes, affascina da sempre artisti e scrittori. Riempie le pagine di cronaca e arricchisce di spassosi dialoghi le barzellette di tutto il mondo.
    Il primo motivo di tanta attenzione verso quest’uccello risiede, con grande probabilità, nella straordinaria capacità di parlare. Come è noto, numerosi studi scientifici hanno dimostrato che questi uccelli riescono a riprodurre, con discreta facilità, la maggior parte delle consonanti e vocali umane a causa dell’assonanza di queste con alcune “sillabe” utilizzate nei loro versi naturali. A smentire l’idea che i pappagalli si limitino a parlare senza senso, per un semplice processo di imitazione meccanica e a ipotizzare, invece, una vera e propria capacità raziocinante è stato proprio uno di loro: Alex, il pappagallo cenerino in grado di parlare con l’uomo utilizzando oltre cento fonemi. Non solo. Alex era capace di contare e di riconoscere forme e colori. L’uccello, a cui è stata dedicata una Fondazione, è morto nella sua gabbia all’età di 31 anni, molto probabilmente per uno spavento. Necrologi e articoli sono apparsi in pubblicazioni di tutto il mondo, dal The New York Times a Focus che l’aveva perfino intervistato a Tucson, presso l’Università dell’Arizona.
    Già Plinio nel Naturalis Historia narrava di un corvo parlante nato nel tempio dei Dioscuri che tutte le mattine, planando sul foro, salutava per nome l’imperatore Tiberio. Diventato un eroe locale, alla sua morte, aveva beneficiato di un corteo funebre per le vie di Roma.
    Per qualche imprecisata ragione, la morte del pappagallo è un motivo di primo piano nella narrativa del ventesimo secolo. Basti pensare al pappagallo dei Monty Python. Lo sketch divenuto talmente famoso che ne sono state fatte innumerevoli versioni. In “Cent’anni di solitudine” Gabriel García Márquez racconta di un uomo che uccide un pappagallo e lo mette in una pentola, mentre ne “L’amore ai tempi del colera” un altro pappagallo emerge da un piatto di stufato con l’obiettivo di uccidere un uomo.
    In un racconto pubblicato dal The New Yorker nel 1995 a firma di Robert Olen Butler – che amava andare in giro con un pappagallo appollaiato sulla spalla – viene narrata la straordinaria vicenda di un uomo che, per verificare che la moglie non lo tradisse, si arrampicò su un albero per scrutarla di nascosto, ma cadde e morì. Reincarnatosi in un pappagallo, venne poi acquistato dalla moglie in un negozio di animali.
    Dal romanzo alla cronaca, nel gennaio del 2006, i giornali facevano divertire i propri lettori con il racconto di Ziggy: un pappagallo di 8 anni che in Gran Bretagna ha costretto la 25enne Suzy Collins a confessare al compagno che da quattro mesi aveva una relazione segreta con Gary, un suo ex-collega. La BBc ne aveva parlato e il Corriere della Sera aveva riportato la notizia in Italia. Sia nella letteratura che nella vita, i pappagalli sono stati utilizzati come pretesto per confessare ciò che non si osava pronunciare. Nelle sue memorie, Casanova racconta di un pappagallo che diceva: «Miss Charpillon è più puttana di sua madre», al fine di vendicarsi su una coppia di donne che avevano tentato di truffarlo
    Ara, Amazzone, Cacatua, Cenerino, Caicco, Forpus e Parrochetti vari, i pappagalli sono infiniti o quasi (353 specie), proprio come le vie del Signore e, anche se a volte il loro nome è associato alle mine antiuomo (come nel caso dell’opera di Gino Strada “Pappagalli Verdi”), il loro fascino continua ad attrarre uomini, donne e animali di tutta la terra. Forse perché come gli uccelli volano, come gli uomini parlano. E come le divinità mitologiche sanno fare entrambe le cose. (dal web)





    .....una favola.....



    Il pappagallo cadde nella pentola fumante. Si sporse, gli venne un capogiro e cadde. Cadde perchè era curioso e annegò nella zuppa bollente.
    La bambina, che era sua amica, pianse.
    L'arancia si tolse la buccia e gliela offrì per consolarla.
    Il fuoco che ardeva sotto la pentola si pentì e si spense.
    Dal muro uscì una pietra.
    L'albero, inclinato sul muro, trasalì per il dolore, e tutte le sue foglie caddero al suolo.
    Come tutti i giorni arrivò il vento per pettinare le fronde dell'albero e lo trovò spoglio. Quando il vento seppe quello che era successo, perse una raffica.
    La raffica aprì la finestra, andò per il mondo senza meta e si diresse verso il cielo.
    Quando il cielo seppe la brutta notizia divenne pallido.
    E vedendo il cielo bianco, l'uomo rimase senza parole.

    Il vasaio del Cearà volle sapere. Alla fine l'uomo recuperò la parola e raccontò che il pappagallo era annegato
    e che la bambina aveva pianto
    e che l'arancia si era tolta la buccia
    e che il fuoco si era spento
    e che il muro aveva perso una pietra
    e che l'albero aveva perso le foglie
    e che il vento aveva perso una raffica
    e che la finestra si era aperta
    e che il cielo era rimasto senza colore
    e l'uomo senza parole.

    Allora il vasaio riunì tutta la tristezza e con questo materiale le sue mani riuscirono a resuscitare il morto.
    Il pappagallo che ebbe origine dal dolore ebbe piume rosse come il fuoco
    e piume azzurre come il cielo
    e piume verdi come le foglie dell'albero
    e un becco duro come la pietra e dorato come l'arancia
    e parole umane da dire
    e acqua di lacrime per bere e rinfrescarsi
    e una finestra aperta per fuggire
    e volò nella raffica del vento.

    Da Eduardo Galeano, Las Palabras Andantes





    .
     
    Top
    .
  6. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Bisogna essere leggeri come una rondine, non come una piuma.
    - Paul Valery -



    LA RONDINE




    Poche sono le specie di uccelli così familiari e amati come la rondine. Da millenni la rondine ha legato la propria esistenza a quella dell'uomo diventando parte inseparabile del paesaggio e della cultura umana. La Rondine è poi un emblema della migrazione, uno dei fenomeni naturali più affascinanti. Chi non conosce il detto "una rondine non fa primavera"? Le rondini infatti, passano da noi il periodo di riproduzione in estate e poi ci lasciano per svernare in Africa. Questo piccolo uccello di pochi grammi sfida le ostili distese del mediterraneo e del Sahara per compiere il suo lungo viaggio annuale che le porta dall'Europa all'Africa equatoriale...Ma chi è esattamente la rondine? Fa parte dell'ordine dei Passeriformi e della famiglia degli Irundinidi, rappresentata in Italia da altre quattro specie: Balestruccio, Rondine montana, Topino e Rondine rossiccia. La rondine non va confusa invece con un altro comune abitante delle nostre città, il Rondone che appartiene a tutt'altro ordine, quello degli Apodiformi. Nel mondo ha un areale assai esteso: nidifica in Eurasia e Nordamerica, sverna in Africa, Asia meridionale e Sudamerica. In Italia la troviamo su quasi tutto il territorio nazionale ad eccezione delle zone di alta montagna e di alcune aree del profondo sud.
    La Rondine è estremamente specializzata nella caccia aerea. Il suo volo leggero e agile ed il becco largo e ben adattato la rendono abilissima nella cattura di piccoli insetti volatori quali mosche e zanzare. La Rondine frequenta un'ampia gamma di ambienti ma predilige quelli aperti, in particolar modo i campi coltivati, i prati ed i pascoli. Il nido è una piccola coppa aperta, realizzata in fango e posta sopra travi o sporgenze all'interno di edifici rurali (stalle, cascine e via dicendo).




    ....miti e leggende....



    L'arrivo delle rondini nelle campagne è il segno che la primavera sta per iniziare. Un tempo si diceva che Par San Benedétt la rundanina la turna al técc (Per san Benedetto la rondine torna al tetto), come ricorda quest’antico proverbio guastallese.
    In effetti, fino a qualche decina di anni fa la festa di san Benedetto veniva celebrata il 21 marzo, e coincideva con il ritorno dall’Africa di quest’uccello migratore. Ma ormai, dopo la riforma del calendario liturgico del 1969, col quale la ricorrenza di san Benedetto è stata spostata all’11 di luglio, dubito che il proverbio possa essere ancora ricordato per molto tempo.
    Resistono invece i riti e le tradizioni che alle rondini sono indissolubilmente legati. Per gli abitanti delle campagne la rondine è un uccello sacro, tanto da godere della protezione della Madonna per i servigi offerti a Cristo. Secondo un'antica leggenda, ogni rondine racchiude in sé una stilla di sangue del Bambin Gesù, goccia raccolta quando il Signore, in fuga da Erode, si punse con uno spino. Altri sostengono invece che la sacralità della rondine sia la ricompensa per avere tolto dal capo di Cristo crocefisso le spine della corona.

    Di certo, le attenzioni e le premure che l’uomo riserva alla rondine sono fuori dalla norma. Il loro arrivo era ad esempio salutato, specialmente dai ragazzi, con salti e capriole; effusioni che avevano il duplice scopo di accoglierle degnamente e di preservarsi dal mal di schiena per l’intera annata. Così almeno si credeva.
    In Romagna si diceva Furtunêda l’è cla ca che al rundanén e’ nid a ‘l j’i fa (Fortunata quella casa in cui le rondini fanno il nido), giacché la "protezione divina" e la buona sorte, si estendeva così anche agli abitanti della casa.
    Guai invece se le rondini abbandonano o anticipano la partenza dal proprio nido, in quanto significa che, presto, scoppierà un’epidemia. Bene se fanno il nido sopra la finestra di una stanza dove giace un ammalato - questo presto guarirà - e bene anche se fanno cadere i loro escrementi sulla testa dei passanti.
    Ucciderle è ovviamente sempre di cattivo augurio, così come distruggere i loro nidi e molestarle.
    Nelle campagne, si pensava che la prima ragazza che avesse visto una coppia di rondinelle volare in primavera, si sarebbe sposata entro l'anno. Nel Ferrarese, si crede che i nidi pestati e immersi nell'aceto fossero un ottimo rimedio contro il mal di denti. Nel Modenese, invece, si pensava che se una rondine sorvola tre persone disposte in fila, quella di mezzo muoia entro l’anno. Nel vicino Carpigiano, infine, si ritiene che le rondini tengano lontana la siccità.
    In tutta l’Emilia-Romagna si fanno previsioni del tempo osservandone il volo: se volano basse, pioggia in arrivo, se in alto, tempo stabile.

    Si dice che faccia il nido solo sulle case abitate da gente serena. Non sceglierà mai una casa piena di urla e litigi, perché da sempre è il simbolo di letizia, la stessa che noi proviamo ogni anno quando le vediamo ritornare. Se ne entra una in casa passando dalla finestra, porta di certo un’ottima notizia.
    Vederla in sogno, annuncia ottimi viaggi di lavoro. Regalare un’immagine di rondine alla persona amata, equivale ad una dichiarazione in piena regola; nell’iconografia medioevale erano infatti messaggere d’amore. E per farsi amare per sempre da una donna, i tedeschi dicono che dasti regalarle un anello che si sia lasciato per 9 giorni nel nido di una rondine.
    E ucciderle o ferirle o distruggere il nido è un vero delitto sacro; infatti la leggenda narra che le rondini furono pietose con Gesù, a cui strapparono via i chiodi coi quali era stato crocifisso.




    .....racconti......



    "Le rondini stavano appiccicate alla finestra. Piccole rondini, minuscole sagome nere con la coda a forbice. Le avevano ritagliate tutti insieme e, una a testa, le avevano incollate sui vetri. Ventisette rondini sparse per le finestre. Una primavera affollata.
    Con tutte quelle rondini diventava difficile vedere a colpo d’occhio quello che accadeva fuori, ma il bambino stava lì, i gomiti appoggiati sul banco e il colletto merlettato che spuntava sul grembiule blu, a guardare. Difficile dire a che cosa pensasse, e se gli piacesse quello stormo di rondini catturato dallo spazio della finestra, come se fossero in procinto di entrare nella stanza e svolazzare tra le teste dei bambini. In ogni aula le maestre avevano fatto incollare ai vetri quei ritagli di cartoncino nero. Era stata una gioia rumorosa, una concessione che i bambini avevano accolto con entusiasmo.
    Il bambino spostò i gomiti dal banco, appoggiò le braccia sulle gambe e continuò a guardare fuori. Non è che gli interessasse davvero delle rondini, semplicemente era contento che ce ne fossero ventisette come ventisette erano gli alunni della classe: a ciascuno la sua rondine. Individuava la sua tra tutte quelle che decoravano il vetro, ma avrebbe anche potuto essere la rondine di qualcun altro, non avrebbe fatto differenza per lui....."
    (Questo racconto è apparso sul numero due della rivista Satisfiction).



    In un giorno di pioggia ho trovato una piccola rondine, era infreddolita, ferita, affamata. L'ho presa tra le mani e l'ho messa sotto la giacca. L'ho portata via con me. L'ho riscaldata, l'ho curata, le ho dato da mangiare. Le ho insegnato a volare. Le ho insegnato a vivere, a cavarsela. Così la mia rondine è cresciuta e si è fatta forte. È divenuta sicura. Non era più quella fragile creatura che fu una volta.
    In un giorno qualunque è sparita, si è persa nell'orizzonte. Dico che era un giorno qualunque perché io non ero preparata all'evento; ma lei... lei era pronta, pronta per spiccare il volo verso l'ignoto.
    Sapevo che prima o poi sarebbe successo, ma mi ero affezionata. Ero io ora ad essere bisognosa dei suoi cinguettii. Ma lei è volata via lo stesso. Non tornerà più, lo so. All'inizio non l'ho presa bene, devo essere onesta. Poi ho pensato che infondo ero contenta così, perché lei avrebbe trovato la sua felicità. E questo a me bastava. Ora ogni volta che vedo una rondine librarsi nell'aria... penso alla mia. Ormai non è più con me e non riuscirei nemmeno più a riconoscerla tra tante. Ma il suo ricordo so mi accompagnerà per sempre. E mi piace vivere e gioire di questo!
    - Diana Pearl -



    Come una monachella vestita di bianco e di nero,
    la prima rondinella è giunta dall'altro emisfero.
    Vola in gran cerchi e trilla. la testa agilissima muove;
    per la gioconda villa saluta le cose non nuove.
    Sporgénte dalla gronda la chiama il bel nido natio,
    e par che gli risponda girandogli intorno: Sei mio!
    Il bimbo, che la vede sì buona, sì innocua, sì pura,
    ferma il suo giuoco, e il piede rattien per non farle paura.
    Nè per ghermirla sale sugli embrici il gatto digiuno;
    nessuno le fa male,perchè non fa male a nessuno.
    E quando sotto il tetto nel piccolo nido pispiglia,
    palpita in ogni petto l'amor della dolce famiglia.
    - Riccardo Pitteri -





    .
     
    Top
    .
  7. tappi
     
    .

    User deleted


    GRAZIE GABRY
     
    Top
    .
  8.  
    .
    Avatar


    Group
    moderatori
    Posts
    19,944
    Location
    Zagreb(Cro) Altamura(It)

    Status
    Offline
    grazie ghea
     
    Top
    .
  9. tappi
     
    .

    User deleted


    IL PAVONE









    Il Pavone comune o Pavone blu (Pavo cristatus, Linnaeus 1758) è un uccello appartenente alla famiglia dei Fasianidi. Originario delle foreste dell' India, è stato importato in Europa dai Romani, i quali lo allevavano non solo per la sua bellezza, ma anche per la prelibatezza delle sue carni.





    DESCRIZIONE





    La livrea di questi uccelli è uno dei casi più rappresentativi di dimorfismo sessuale: vede la testa e il collo del maschio ricoperte di piume blu elettrico dai riflessi metallici. La zona intorno all'occhio è nuda, con pelle bianca interrotta da una striscia nera. Sulla nuca compaiono alcune penne nude a formare un elegante ciuffo. Il petto ed il dorso sono coperti da grandi piume blu-verdi metallizzate, e verso la coda decine di lunghe penne (fino a 2 metri) erettili, hanno una colorazione verde brillante e presentano all'estremità una vistosa macchia a forma di occhio: queste sono le famose penne della ruota. Le ali sono bianche marezzate di nero mentre i fianchi sono giallo-arancioni. La coda è composta da penne piatte color bronzo ed è poco visibile.

    La femmina ha testa bianca e bruna decorata dal già citato ciuffo di penne sulla nuca. Il collo e il petto sono verde metallico e bruni. I fianchi e il ventre sono biancastri, macchiati di bruno. Brune sono anche le ali, marezzate di nero, così come la coda.









    BIOLOGIA





    In natura, il Pavone ha un comportamento simile al Gallo cedrone, con accoppiamenti poligami in cui ogni maschio ha un harem di 4-5 femmine. Le femmine, in primavera, depongono dalle 4 alle 9 uova; la cova ha una durata media di 4 settimane e i pulcini nascono già abili e in grado di seguire la madre in cerca di cibo. La capacità di volare di quest'uccello è limitata per lo più a brevi decolli come metodo di fuga ma, nonostante questo, è in grado di raggiungere facilmente il tetto di una casa di tre piani. Per il resto del tempo il Pavone è un uccello camminatore, pari al Fagiano. L'allevamento del Pavone è facile da condurre, poiché se tenuto in cattività rivela un comportamento simile alla gallina, tuttavia si rende necessario fornirlo di una voliera molto grande (sono infatti uccelli di grande taglia e ingombro) e chiusa da rete robusta anche superiormente, data la facilità con cui riesce a superare gli ostacoli anche più alti. L'allevamento di questi splendidi uccelli è inoltre facilitato dalla loro dieta, ricca di granaglie e sostanzialmente identica alla dieta dei polli





    VARIETA'





    Nel corso degli anni sono state selezionate numerose varietà d'allevamento. La più famosa è sicuramente la varietà Bianca, in cui la coda del maschio somiglia ad uno splendido pizzo. Punto debole di questa varietà è l'eccessiva consanguineità, che la rende sensibile alle malattie e al clima instabile.
    Altra razza degna di nota è l'Arlecchino, che presenta una livrea simile al Pavone comune ma intervallata da chiazze bianche di varie dimensioni e su tutto il corpo; questa razza è stata ottenuta incrociando la varietà Bianca con il meno noto Pavone dalle ali nere (Pavo nigripennis).









    CURIOSITA'





    Nella mitologia romana, il pavone era simbolo della dea Giunone.
    Nella tradizione cristiana è simbolo di immortalità. In base alla credenza secondo la quale il pavone perde ogni anno in autunno le penne che rinascono in primavera, l'animale è diventato simbolo della rinascita spirituale e quindi della resurrezione. Inoltre i suoi mille occhi sono stati considerati emblema dell'onniscienza di Dio.
    Un detto lombardo, recita: "I òmen e i pollon hinn i pussee cojon" (gli uomini e i pavoni sono i più stupidi), poiché imitandone insistentemente il canto d'amore per indurlo a esibire il piumaggio, lo si pone in costante eccitazione sessuale, in questo stato tende a digiunare fino a deperirsi, cosi' come le persone vittime di lusinghe, tendono a non accorgersi della realtà e a fare cose stupide.

















    Edited by tappi - 11/4/2011, 16:26
     
    Top
    .
  10. tappi
     
    .

    User deleted






    Edited by gheagabry1 - 16/2/2020, 12:51
     
    Top
    .
  11. gheagabry
     
    .

    User deleted



    L'amore è una cinciallegra che vola e non riesci a fermarla, nemmeno a metterle il sale sulla coda.
    -- Dacia Maraini --



    LA CINCIALLEGRA





    La cinciallegra è la più grande tra le specie di Paridi presenti in Italia.
    La striscia nera con riflessi bluastri che attraversa il petto, in continuità con il nero del capo e del collo, la identificano in modo caratteristico. Presenta, caso singolare tra i Paridi, un apprezzabile dimorfismo sessuale; il maschio ha la striscia sul petto più lunga e più larga e la colorazione del capo più intensa e lucente rispetto alla femmina.
    L'areale di riproduzione comprende vaste zone del Paleartico occidentale e del Nord Africa dove, pur essendo normalmente una specie di basse altitudini, si riproduce anche a 1850 m. È una specie stanziale ma alcune popolazioni possono compiere spostamenti verso zone riproduttive a più elevata altitudine o, nelle zone settentrionali dell'areale, piccole migrazioni verso sud e ovest.


    Si nutre principalmente sui rami bassi e a terra; si ciba principalmente di insetti (importanti i bruchi di lepidotteri durante la stagione riproduttiva, quali la Tortrix viridiana), ragni, semi e frutta; sono state osservate cinciallegre nell'atto di nutrirsi di nettare ed altre usare aghi di pino per estrarre larve alle fessure del legno. Famoso è il caso di alcune popolazioni inglesi che "impararono" a cibarsi della panna condensata sotto i tappi delle bottiglie di latte; questo comportamento, forse comparso indipendentemente in varie popolazioni, si espanse per imitazione.
    La cinciallegra non è attratta dai boschi di conifere e colonizza principalmente boschi misti non troppo chiusi ma anche parchi cittadini e vari altri ambienti purché siano presenti cavità adatte alla nidificazione. La femmina infatti costruisce il nido in cavità preesistenti utilizzando il muschio per costruire una coppa principale arricchita, poi, da foglie, fili d'erba, peli, lana e piume (meno usate rispetto alla cinciarella). Occupano con facilità le cassette-nido.

    La cinciallegra insieme alle altre cince, cinciarella, cincia mota, cincia bigia, viene un po' definita l'acrobata del bosco, ha un comportamento molto vivace che non la fa mai stare ferma per più di tre secondi nello stesso posto, compie spettacolari acrobazie tra i rami delle piante e poi si appende ad un ramo a testa in giú mentre becchetta qualche gemma o qualche germoglio.
    La cinciallegra insieme alle altre cince, cinciarella, cincia mota, cincia bigia, viene un po' definita l'acrobata del bosco, ha un comportamento molto vivace che non la fa mai stare ferma per più di tre secondi nello stesso posto, compie spettacolari acrobazie tra i rami delle piante e poi si appende ad un ramo a testa in giú mentre becchetta qualche gemma o qualche germoglio.





    ......una favola........



    Io sono una Cinciallegra, Cin Cin per gli amici!
    Sono nato tra i boschi del Nord, in questa cassetta delle lettere abbandonata.
    Io ero l'ultimo della covata, ma non per questo avevo meno appetito dei miei fratellini e sorelline.
    I nostri genitori erano occupati dall'alba al tramonto a cacciare insetti e larve da infilare nei nostri
    piccoli becchi continuamente spalancati per la fame.
    L'emozione più bella fu quando mamma Cinciallegra mi insegnò a volare, ma passarono molti giorni
    prima che le mie alucce potessero sostenermi in volo.
    Quando papà vide che potevo allontanarmi con sicurezza dal nido, mi portò in una grande pineta vicina dove mi insegnò a nutrirmi da solo con tenere bacche e piccole larve d'insetti.
    L'aria tiepida e profumata annunciava la primavera.
    Ben presto mi stancai di procurarmi il cibo da solo. Avevo notato oltre il fiume un grande recinto dove vivevano molti animali. Ogni mattina un uomo distribuiva loro sacchi di tenera erba e grandi bacinelle colme di mangime. Presi la mia decisione e spiccai un lungo volo portandomi ai bordi del recinto.
    Mi guardai attorno, e certo di non essere visto, calai sul bordo di una bacinella colma di grano bollito e
    crusca. Non avevo mai visto tanto cibo in una volta sola.
    Stavo già per iniziare la mia solenne scorpacciata quando un piccolo batuffolo di piume gialle con una
    piccola cresta rossa si lanciò su di me pigolando e strappandomi dalla coda la penna più lunga.
    Mi diedi alla fuga sfrecciando sotto il naso di un povero agnello che cominciò a belare dallo spavento.
    Seppi solo più tardi che il mio assalitore era solo un pulcino nato da poco.
    Per molti giorni rimasi nascosto tra il fogliame più fitto perché nessuno vedesse la mia coda malconcia
    poi un bel mattino decisi di scendere al fiume per abbeverarmi.
    Fu lì che incontrai uno strano uccellino multicolore dal becco enorme, lungo e sproporzionato.
    A tale vista non potei trattenere una risata. Si chiamava Martin Pescatore e ben presto compresi il perché di tale nome. Martino si appollaiava immobile su un ramo sporgente sul fiume, e quando vedeva qualche pesciolino affiorare sul pelo dell'acqua, si lanciava sulla preda come un fulmine e, dopo averlo catturato, ritornava sul ramo per terminare tranquillamente il suo pasto.
    La cosa mi divertiva molto e decisi di imitarlo.
    I primi mesi della mia vita trascorsero così lieti in compagnia di molti amici, ma un giorno mi accorsi
    che qualche cosa stava cambiando.
    Il bosco diventava sempre più silenzioso, le foglie da verdi erano diventate gialle e rosse e l'aria più
    fredda. Corsi dal mio amico Martino per avere spiegazioni, ma era partito.
    Cercai di avere una risposta da una famiglia di ricci che si dirigeva verso la tana, ma avevano troppo
    sonno per potermi rispondere. Anche i miei genitori e i miei fratellini erano partiti lasciando i loro nidi vuoti. Mi ricordai dell'ultimo amico che avevo, uno scoiattolino che abitava nel cavo di un noce, corsi da lui ma purtroppo si era già addormentato e non ci fu modo di svegliarlo.
    I giorni e i mesi passavano lenti nel bosco silenzioso, il sole, quando non pioveva, faceva capolino
    sempre più pallido ed il freddo si faceva più intenso.
    Mi sentivo molto solo, e quella notte mi rifugiai nella vecchia cassetta delle lettere dove ero nato.
    Il mattino seguente mi attendeva una brutta sorpresa: la prima neve aveva ricoperto tutto il bosco e
    la pianura. Ero intirizzito dal freddo e non riuscivo più a trovare una bacca per sfamarmi.
    Saltellavo sulla neve quando improvvisamente mi sbarrò il passo una grossa volpe rossa.
    Dal suo sguardo capii subito che anche lei era affamata ed io sarei stato un ottimo boccone per la sua
    prima colazione. Feci appello a tutte le mie forze e con rapidi e brevi voli mi portai vicino alla casa degli uomini sempre inseguito dalla volpe. Ero sfinito, ma la prospettiva di finire in bocca a quella bestiaccia mi diede la forza di fare un ultimo volo che mi portò sul davanzale di una finestra, poi svenni. Mi svegliai tra le mani di una graziosa bambina bionda che emanavano un benefico tepore.
    Le forze mi tornarono completamente quando venni sfamato con una piccola ciotola di pane e latte
    con pinoli, poi mi riaddormentai. Il mio secondo risveglio fu meno gradevole: mi trovavo in una piccola prigione di legno, osservato da un gatto che mi ricordava la volpe affamata.
    La bimba bionda mi voleva tanto bene, ma io ero nato libero e libero volevo tornare ai miei boschi e ai
    miei ruscelli. Finalmente il brutto inverno passò.
    Dalla finestra della casa vedevo rifiorire gli alberi e capivo che la vita nel bosco stava ricominciando.
    Passavo le mie giornate lanciando richiami disperati perché qualcuno si accorgesse di me. Avevo già perso ogni speranza quando un giorno udii un lieve fruscio d'ali. Era il mio vecchio amico Martino, che con il suo becco riuscì ad aprire l'uscio della gabbia. Ero di nuovo libero!
    È passato molto tempo da quel giorno, al mio fianco ora ho una graziosa compagna che proprio ieri ha
    deposto quattro piccole uova. Si schiuderanno fra quindici giorni e alla fine dell'estate, quando i piccoli sapranno volare, andremo al Sud, dove l'inverno è più mite con le cincie.





    L’Inverno sta preparando la sua valigia.
    Se ne va. Spero che non abbia vuoti di memoria
    e metta tutta la sua roba in quella valigia:
    le giornate corte di luce, i nostri corpi serrati nei pastrani,
    la pioggia fredda, il gelo e le brinate, il vento dal forte soffio,
    la neve, sì anche la soffice e magica neve.
    Ha il suo fascino d’accordo, chiuso in quel suo elegante silenzio,
    ma è troppo lento e lungo, per questo lo lasciamo andar via senza nostalgia.

    Attendiamo tutti Lei, la Primavera.
    Colori pastello, risveglio della Natura, sole tiepido e sornione, pioggia dispettosa,
    che appena arriva, già promette di andar via.
    Sul ramo più alto della betulla, il solito merlo fa l’altalena,
    altri a giro s’infilano fra gli ulivi, ma io già, immagino l’arrivo delle rondini,
    e il dolce suono di campanellini tipico della cinciallegra.
    Primavera, sei desiderata, per una corsa sfrenata incontro a nuova vita.
    - S. Carresi -





    .
     
    Top
    .
  12. gheagabry
     
    .

    User deleted



    La bellezza deve essere giudicata
    non per le proporzioni matematiche del corpo e del viso,
    ma per l'effetto che produce.
    (Alphonse Karr)


    IL CIGNO




    Il cigno è uno degli animali più affascinanti del pianeta, quando nuota sulla superficie dell'acqua, il suo elemento, è elegante ed aggraziato come un principe; sulla terra invece cammina goffamente come una papera, ma è agressivo come un nobile stizzito. Spalanca le ali per sembrare più grande, alza la testa per tutta la lunghezza del collo, punta i suoi nemici con il becco malvagio, non ha paura nemmeno di una creatura che è tre volte le sue dimensioni: l'uomo.
    Il cigno reale raggiunge una lunghezza di 1,5 m e un peso di 13,5 kg. È originario dell'emisfero orientale e in Europa e Nord America vive anche allo stato domestico. Di tutte le specie è la meno vocale e si limita a fischiare per segnalare aggressività o minaccia. Gli adulti sono candidi e presentano un becco rossiccio, con la punta nera e una protuberanza pure nera alla base. Il cigno nero è un uccello australiano dal becco rosso che assomiglia al cigno reale.

    E’ un migratore e nidifica nelle regioni dell’Europa settentrionali, su isolotti di vegetazione nelle paludi e nei laghi della tundra. Alcuni nidificano nei laghi di torba e nei delta dei grandi fiumi nord europei: il nido, di dimensioni ragguardevoli, è un monticello di torba e di terra. I cigni scelgono il proprio compagno a due o tre anni di vita, compiendo elaborati riti di corteggiamento. Nella cosiddetta "cerimonia trionfale", il maschio e la femmina sollevano le ali e si chiamano l'un l'altro a voce alta. La femmina depone 3-5 uova. I giovani sono di un colore grigio pallido che con il tempo diverrà bianco candido e hanno un becco color piombo, privo di protuberanza; impiegano da 7 a 14 settimane per imparare a volare, ma spesso rimangono con i genitori fino a quando non si accoppiano seguendoli anche nella migrazione. I cigni difendono coraggiosamente le proprie uova e quando sono minacciati ritraggono la testa e dispiegano le ali per intimidire l'aggressore.





    .....mitologia.....



    La storia di Leda e il Cigno è narrata nelle Metamorfosi d'Ovidio e fa parte delle leggende mitologiche greche. Mito molto in voga nel mondo artistico del rinascimento per il fatto che a quei tempi sarebbe stato assolutamente impossibile raffigurare l’atto sessuale tra un uomo e una donna, mentre era possibile alludere ad esso attraverso l’escamotage della letterarietà del mito, del quale solo alcune persone conoscevano il senso. Leda, giovane e bella figlia di Testio, re dell'Etolia, era andata in sposa al re di Sparta Tindaro. La regina era presso le acque del fiume Eurota, nella Laconia, quando uno splendido cigno si rifugiò accanto a lei per proteggersi dagli attacchi di un'aquila. Questo cigno era Giove, il padre degli dei, un maestro di travestimenti e metamorfosi quando meditava di sedurre le donne di cui si invaghiva. Dalla strana unione nacquero dei gemelli, i Dioscuri (figli di Giove), per alcuni erano due copie di gemelli usciti da due grandi uova: Castore e Polluce, Elena di Troia e Clitennestra, regina di Micene...La storia di Leda ha stimolato la fantasia di molti pittori e scultori, da Leonardo da Vinci a Salvador Dalì...In sculture di qualche secolo prima di Cristo, Leda è raffigurata seduta mentre con il mantello protegge il cigno da un'aquila minacciosa (Leda di Timotheos), ma esistono altri lavori altrettanto antichi che raffigurano Leda stesa sotto il cigno che le avvicina il becco alle labbra per baciarla, oppure mentre il cigno, l'abbraccia in un gesto teneramente umano...Fra le leggende più antiche c'è quella che rappresenta Leda come colei che trovò l'uovo «del colore del giacinto azzurro» che Nemesis (figlia di Zeus e Nyx -Notte- dea della giustizia divina e della vendetta) trasformatasi a sua volta in un'oca selvatica, aveva deposto dopo essersi unita al cigno Zeus. Dopo averlo nascosto sotto la cenere ancora tiepida di un sacrificio, Leda avrebbe assistito alla nascita della sola Elena. .....Nei secoli a noi più vicini la leggenda di Leda ed il cigno è stata manipolata dai cristiani che vollero vedere in Leda l'immagine della purezza; scrittori medievali dal XIII secolo in poi misero in essere un processo che permise l'assimilazione e l'adozione del mito da parte della teologia cristiana. Attraverso la letteratura e le trascrizioni addomesticate dei testi di Ovidio, il cigno divenne simbolo dello Spirito Santo che con la sua candida purezza scendeva su Maria, immagine molto amata dai Copti d'Egitto che amavano inciderla sui loro anelli.





    .....le costellazioni in cui si raggruppano i fulgidi astri:
    l’Orsa Maggiore e la Minore, Andromeda e Cefeo, il Drago orrendo,
    la bella Cassiopea, Orione tempestoso,
    il Cigno che sospira spirando,
    la Lepre, i Cani Argo e la dolce Lira….




    ..........miti, leggende e stelle...........



    Raffigurato nel Firmamento da una delle costellazioni più belle e visibili del cielo, il Cigno è anche un simbolo antichissimo, tra i più importanti e ricchi di significato in assoluto. Il Cigno, uccello elegante e maestoso, è simbolo di realizzazione completa in quanto in esso si ritrova sia l'essenza maschile (il lungo collo che rimanda ad un simbolo fallico) che quella femminile nel corpo bianco, candido e rotondo. Il Cigno è dunque l'Androgino assoluto, il perfetto Uovo del Mondo poichè in esso sono condensate le due nature, il frutto dello sforzo tendente all'equilibrio nella ricerca alchemica.
    Nell'Antico Egitto il Cigno era personificazione della Dea del Cielo Nut....per le popolazioni più antiche, che videro la Costellazione puntare con la sua stella Delta Cygni il Polo Nord (e divenendo dunque la Polare) circa quindicimila anni fa, il Cigno è legato alla nascita e alla perfezione, alla ciclicità del cosmo. Oggi la Costellazione è distante dal Polo, ma tra circa dodicimila anni tornerà a segnarlo. Il simbolo della Cicogna che porta i bambini potrebbe essere una deformazione del Cigno, in quanto nell'antica lingua protoindoeuropea il bianco uccello lacustre si pronunciava Cicnu, termine chiaramente associabile anche alla cicogna.
    Il cielo estivo è illuminato dalla costellazione del Cigno, chiamata anche “Croce del Nord”
    per la sua forma e in opposizione ad una seconda costellazione di forma similare visibile solo
    nell’emisfero Australe (Croce del Sud).....Il nome di questa costellazione ha subito nel corso del tempo diversi cambiamenti. Il greco Eratostene la cita col nome di Cigno e così viene rappresentata nella numerosa serie di racconti mitologici. In epoca cristiana le venne attribuito il nome di Croce. Gli Arabi le conferirono un’immagine meno elegante e nobile di quella greca chiamandola Gallina. Di fatto il termine Deneb, nome della più brillante tra le sue stelle, deriva proprio dall’arabo Dheneb-ed-Dajajeh, che significa appunto “la coda della gallina”. Il nome Gallina rimase per tutto il Medioevo fino al Rinascimento, quando il nome Cigno prevalse, arrivando ai giorni nostri.




    ...la favola....



    Mamma anatra quel giorno era molto felice perchè le uova si stavano schiudendo una dopo l’altra.
    Gli anatroccoli uscivano e zampettavano intorno alla mamma, però c’era un uovo, il più grande di tutti, che non si decideva a schiudersi, mamma anatra allora tornò a covare quell’uovo fino a che non si schiuse....con sua grande sorpresa, vide che l’anatroccolo era più grande degli altri e di colore grigio…insomma era proprio brutto. L’anatra pensò ad un brutto scherzo giocatole dalla massaia, a dire il vero pensava che quello fosse un tacchino, però l’unico modo per togliersi i dubbi era vedere il comportamento di quello strano pulcino nell’acqua. L’anatra, condusse la sua nidiata allo stagno, ma mentre i piccoli cominciarono a nuotare, il brutto anatroccolo si dimostrò il più abile ed il più sicuro di tutti. La mamma lo guardò e sospirò rassegnata: “Peccato che sia così brutto”, ma per questo motivo, sentì di volergli ancora più bene e con il becco gli fece una carezza. Radunò i suoi piccoli e disse loro che li avrebbe condotti a conoscere la loro regina quindi si raccomandò a che mantenessero un comportamento educato e rispettoso. Alla corte della regina, tutte le damigelle cominciarono a deridere il brutto anatroccolo, il quale, preso dallo sconforto, scappò e si andò a rifugiare nella palude delle anatre selvatiche, ma anche qui la vita fu difficile, decise allora di scappare nuovamente e corse tanto fino ad arrivare in un bosco dove scorse una capanna abitata da una vecchietta, un gatto ed una gallina. La vecchietta gli offrì ospitalità, ma il gatto e la gallina non furono per nulla contenti.
    Il poverino, dopo aver subito ogni sorta di angheria decise di andarsene, con grande soddisfazione del gatto e della gallina. Il brutto anatroccolo continuava a vagare senza sapere dove andare, una sera mentre il sole stava per tramontando, vide uno stormo di bellissimi uccelli bianchi e pensò tristemente che anche a lui sarebbe piaciuto essere così. L’inverno era arrivato e l’anatroccolo un giorno non ebbe più la forza di nuotare, faceva troppo freddo, e certo sarebbe morto se un contadino non lo avesse visto e non lo avesse portato a casa. Nella sua nuova abitazione l’anatroccolo trovò tanti bambini che però, come spesso accade, lo avevano scambiato per un giocattolo, fu così che una volta l’animaletto cadde nel secchio del latte, un’altra volta nel sacco della farina. Non ne poteva proprio più, riuscì a nascondersi, ed a scappare.Nel fare questo però, si accorse che le sue ali si erano irrobustite, le sue penne erano più bianche. Riuscì a nascondersi nella neve in modo da riuscire a sfuggire alle ricerche dei suoi persecutori. In qualche modo riuscì a sopravvivere nascosto nel bosco fino a primavera, ma a primavera spalancò le ali e spiccò il volo. Sotto di sé vide un laghetto dove nuotavano dei cigni maestosi. L’anatroccolo sospirò pensando che anche i cigni lo avrebbero maltrattato, e decise di volare in mezzo a loro. Con un largo volo si posò sull’acqua ed i cigni si avvicinarono a lui gridando; il brutto anatroccolo spaventato abbassò la testa, si preparava a morire, ma nel fare questo, vide la sua immagine riflessa nell’acqua e con grande stupore vide che non era più un brutto anatroccolo, ma si era trasformato in un bellissimo cigno, bianchissimo, attorno al quale si erano radunati tutti i suoi simili facendogli mille feste. All’istante capì tutto:era nato sì in un nido di anatre, ma da un uovo di cigno.
    Il brutto pulcino grigiastro, tozzo, disprezzato e maltrattato da tutti si era trasformato in uno splendido animale che dava lustro al laghetto nel quale viveva.
    -Hans Christian Andersen-



    Nel tremore del fiume va la luce
    inscrivendo nei cerchi allargati
    dai sassi il brullo inverno delle rive.
    La bellezza è nella gola del cigno
    che si abbevera d'acqua e di riflessi
    nel cono luminoso della darsena.
    La pace del mattino è una scintilla
    di sole che goccia dalle sue piume.
    (Atom - dal web)





    .
     
    Top
    .
  13. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono,
    né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre.
    Non contate voi forse più di loro?
    (Gesù)



    LA COLOMBA




    L'ordine dei Colombiformi è suddiviso in quattro sottofamiglie, tra le quali è compresa la sottofamiglia dei Colombini che conta 190 specie, raggruppate in 16 generi. I generi più numerosi tra i Columbini sono il genere Columba ed il genere Macropygia; quest'ultimo comprende numerose specie a coda lunga, distribuite dall'Himalaya fino all'Australia, attraverso le isole della Sonda e la Nuova Guinea; affine a queste specie era la Colomba Migratrice (Ectopistes migratorius) dell'America Settentrionale, che viveva in branchi di milioni di individui e che si è estinta all'inizio del secolo a causa della caccia spietata fattale dall'uomo. Le specie del genere Columba, i "veri colombi", sono 52, sparse in varie parti del mondo. Esse hanno grossezza e forma comprese tra quelle del Torraiolo e quelle del Colombaccio. Ricordiamo, quali specie più affini alla Columba livia, la Columba leuconota e la Columba rupestris; la prima, straordinariamente somigliante ad alcune varietà dei nostri colombi domestici (Triganini), allo stato adulto ha infatti piumaggio bianco, con testa, ali e coda colorate; vive in Himalaya, Afghanistan, Cina e Birmania settentrionale. La Columba rupestris ha colore grigio cenere con verghe nere, di tinta intermedia tra C.livia e C.leuconota, e vive più a nord, nell'Altai russo, Tibet, Mongolia, Cina settentrionale e Corea. Da citare ancora il Colombaccio (Columba palumbus) e la Colombella (Columba oenas) che sono le nostre specie migratrici.
    Tutte le varietà dei nostri piccioni domestici derivano dalla specie Columba livia, il colombo selvatico, detto anche "Torraiolo" o "di roccia" . Esso ha una distribuzione geografica molto estesa: vive in Europa sulle coste rocciose del Mediterraneo e lungo le coste dell'Atlantico dalla Scozia fino alla Spagna, nonché sulle rupi delle montagne nordafricane; è anche presente in Asia settentrionale ed occidentale ed in India. La tipica Columba livia ha testa piccola e rotondeggiante, becco nero, iride arancione, zampe rosso scure ed unghie nere; il colore predominante nel suo piumaggio è il blu, in varie tonalità. La testa, iI collo ed il petto hanno colore grigio scuro ardesia, con riflessi fra il verdastro ed il viola sul collo ed il petto; le remiganti primarie hanno colore grigio cenere scuro, le timoniere sono un poco più chiare, con una banda nera all'estremità; la parte inferiore del corpo è grigio azzurra, il dorso e tutto lo scudo alare hanno colore cenerino azzurrognolo molto chiaro; l'ala è traversata da due verghe nere: il vessillo esterno delle due timoniere laterali è bianco; il groppone è biancastro. Esistono numerose sottospecie locali di Livia, alcune delle quali con groppone colore cenerino. In Italia il colombo selvatico è ancora abbastanza diffuso lungo l'Appennino, in Sicilia, in Sardegna e nelle zone carsiche della Venezia Giulia, ma l'area di diffusione della specie va rapidamente contraendosi a causa della distruzione delle colonie di questi uccelli e a causa dell'inquinamento genetico da colombi domestici.





    ..nella storia...



    Sebbene l'addomesticamento del colombo risalga a tempi remotissimi, senza dubbio esso è avvenuto in epoca più recente dell'età della pietra (circa 6000 anni a.C.), periodo in cui i canidi si associarono alle comunità degli uomini che allora erano esclusivamente cacciatori e praticavano il nomadismo durante la bella stagione, rifugiandosi in caverne naturali nei mesi invernali. L'addomesticamento del colombo sarebbe avvenuto quindi solo in seguito al raggiungimento di un certo grado di civiltà da parte dell'uomo: tribù stanziali, insediate in abitazioni fisse e costruite dall'uomo ormai dedito, oltre che alla caccia, anche all'agricoltura ed all'allevamento dei primi animali domestici. Il colombo è stato, tra gli uccelli, il primo ad essere addomesticato ed oggetto di particolari attenzioni da parte dell'uomo.
    Nell'antico Egitto si consideravano ospiti degli Dei, e pertanto sacri, i branchi di colombi, che popolavano i templi. Il primo documento in cui si parla di colombi domestici, secondo Lepsius, risale alla quinta dinastia egiziana e cioè 3200 anni circa prima dell'Era volgare, ma il Birch, del Museo Britannico, asserisce che si parla del colombo in una lista di pietanze per una cena che data della precedente dinastia. I colombi figurano nei geroglifici e in scene della vita rurale degli Egizi. Fra le tavole di Ti, funzionario della quinta dinastia, se ne trova una in cui è rappresentato un cortile ove vengono imbeccati dei colombi. Si parla di colombi domestici nella Genesi, nel Levitico ed in Isaia.
    La legge di Mosè prevedeva il sacrificio di questi animali come forma di espiazione. Fino alla nascita di Cristo era consuetudine che i poveri offrissero al tempio una coppia di colombi. A proposito di questi sacrifici espiatori, nel capitolo quinto del Levitico si legge: "Ma se non si ha il mezzo di offrire o una pecora o una capra, si offrano al Signore due tortorelle o due piccioni colombi". Nella Genesi è menzionato il colombo, sia quando Noè lo fece uscire dall'arca per tre volte, sia a proposito del sacrificio di Abramo. In seguito alle numerose guerre di allora il culto dei colombi si propagò a tutto il mondo civilizzato: in Assiria, tra i Fenici, in Siria, in Palestina, a Cipro. In Siria il colombo era sacro: tale credenza veniva da Babilonia ove questo animale era sacro alla Dea della natura; la tradizione dice che la regina Semiramide venne allevata dai colombi. Nei pressi di alcuni insiediamenti Etruschi in Toscana esattamente a Sovana, Sorano e Pitigliano possiamo ancora oggi vedere delle grosse colombaie che venivano usate da questo antico e misterioso popolo (IIIV secolo a.C.) per l'allevamento dei colombi. A tale scopo venivano destinate le pareti di alcune grosse grotte di tufo nelle quali venivano scavate delle piccole nicchie una accanto all'altra (a centinaia). Oltre a questo ritroviamo delle testimonianze anche in alcuni dipinti rupestri dove vengono raffigurati gruppi di colombi in volo "incorniciati" da ramoscelli d'olivo....In Grecia l'allevamento dei colombi era già diffuso ai tempi di Omero (circa 1000 anni a.C.), mentre nel V secolo a.C. essi già costituivano una caratteristica delle strade e delle piazze di Atene. Come messaggeri i colombi furono impiegati per la prima volta in Siria e questo tipo di impiego si estese presto anche ad altri popoli. Anacreonte, il più apprezzato tra i Poeti lirici greci, in una sua ode da la prova che sei secoli prima di Cristo i Greci ben conoscevano il mezzo di trasmettere i dispacci per mezzo dei colombi. Sempre in Grecia l'annuncio della vittoria nei giochi olimpici veniva dato per mezzo dei colombi. Presso i Siculi ed i Greci si allevavano i colombi messaggeri nelle colombaie sacerdotali dei templi di Afrodite, per servirsene come mezzo di diretta comunicazione tra i vari templi. Probabilmente i colombi arrivarono in Italia proprio passando per il tempio di Afrodite sul monte Erice, in Sicilia. Delle colombe di Erice e delle cosiddette Anagogie (feste di partenza) parla Eliano ("Degli Animali" Libro IV). Varrone, Eliano, Columella, Plinio, Catone parlano dei colombi. Varrone (I secolo a.C.) nel De Rè Rustica tratta con dovizia di particolari dell'allevamento dei colombi, riferendo che ai suoi tempi un paio soleva essere venduto per 1.000 sesterzi e che vi erano colombaie con 5.000 animali. Columella (I secolo d.C.) insegna come costruire una colombaia e paria dei vari metodi di ingrasso dei piccioncini.



    Gli storici Plinio nella sua " Storia Naturale" nonché Frontino raccontano che, nell'anno 43 a.C., quando Modena era assediala da Marco Antonio, i collegamenti tra Decio Bruto, assediato nella città, e l'accampamento del console Irzio vennero stabiliti e mantenuti per mezzo di colombi che
    recavano messaggi. Sempre Plinio continua dicendo che in quei tempi "per amore dei colombi molte persone quasi impazzivano a Modena, costruivano per questi animali delle torri sui tetti delle case e andavano vantandosi ognuno dell'eccelsa qualità e della nobiltà di sangue dei propri colombi". Cifre assai elevate si pagavano per colombi con una genealogia di particolare valore. Anche in Asia i colombi godettero di grande favore. Nell'antica lingua Sanscrita figuravano 25/30 nomi di razze di colombi e altri 15/16 nomi erano di provenienza persiana; nessuno di questi nomi è comune con le lingue indo-europee: ciò dimostra l'antica domesticità dei colombi in Oriente. In Cina già nel terzo secolo a.C. esisteva un servizio postale che, grazie ai colombi viaggiatori, metteva in comunicazione Pechino con tutte le regioni dell'impero: i Cinesi applicavano alle timoniere dei loro colombi un fischietto speciale, costruito in legno o in osso. che produce durante il volo degli stormi un fischio assai gradito (tale usanza è tuttora praticala in Cina e nell'Estremo Oriente). A Babilonia e in Egitto un servizio postale regolare per mezzo di colombi viaggiatori fu istituito nel 1000 a.C. Nell'India del 1600, al tempo di Akber Khan, i colombi erano assai apprezzati: l'imperatore si dedicava con passione all'arte del loro allevamento: la colombaia di corte era composta di 20.000 soggetti ed i mercanti portavano continuamente da altri paesi collezioni di grande valore, mente altre erano mandate in dono dagli Imperatori dell'Iran e di Turan. Taverin asserisce che essendo in Persia l'allevamento dei colombi proibito ai cristiani, molti popolani nel 1700 si convertivano all'islamismo solo per questo scopo. In Europa i colombi domestici di razza furono portati in Spagna durante la dominazione araba: contemporaneamente i mercanti veneziani introdussero in Occidente varietà esotiche provenienti dall'Asia Minore e da Cipro ed i marinai olandesi portarono nel loro paese razze fino ad allora sconosciute, originarie dell'Oriente. L'italiano Ulisse Aldrovandi di Bologna, fu il primo in Europa a scrivere, attorno al 1600 un trattato scientifico sulle razze di colombi esistenti ai suoi tempi.
    Al di fuori dell'Italia l'allevamento dei colombi si diffuse in Francia, Belgio, Olanda. Austria, Germania e soprattutto in Inghilterra. Shakespeare fu un profondo conoscitore di colombi; Maria Stuarda durante la prigionia chiese per lettera ad un amico all'estero di mandarle dei colombi, onde poter ingannare il tempo allevandoli in gabbie. In Italia, nella città di Modena, era diffuso da tempo immemorabile il "gioco di far volare" i colombi Triganini. Ci sono state tramandate molte testimonianze in merito, la più famosa delle quali è quella, risalente al 1614, di Alessandro Tassoni che, nel suo poema eroicomico "La Secchia Rapita", parla delle persone dedite a questo sport, i Triganieri.





    .........mitilogia.........



    Molte dee lunari sono rappresentate da uccelli e, in particolare, la colomba era associata al divino femminile e alla luna.
    Era uno dei simboli delle dee Isthar, Astarte, Inanna, Rhea, Demetra, Persefone, Venere, Afrodite e Iside e divenne anche il simbolo del sacro Graal.
    Si può notare la presenza di una colomba anche in molte immagini della Vergine Maria.
    La colomba era universalmente riconosciuta come simbolo della regina dei cieli, della femminilità, della gentilezza, dell'amore, della sensualità, della spiritualità, della saggezza e della pace.
    Come simbolo della luce lunare, la colomba porta nel mondo saggezza e ispirazione.
    Nella tradizione gnostica Sophia, la saggezza sacra di Dio, era rappresentata dalla colomba, che era vista come portatrice in terra della luce della madre celeste.
    Nell'arte cristiana medioevale ella rappresentava lo Spirito Santo ed era dipinta sopra la testa di Maria durante l'Annunciazione e sopra quella di Cristo al momento del suo battesimo.
    La colomba era anche associata all'albero della luna, sui rami del quale si posava.
    La colomba con il ramo d'ulivo nel becco, che offre il frutto dell'albero, era l'emblema del rinnovamento della vita sia per la dea Ishtar che per Atena.
    Oltre a essere sacre alle dee, le tortore bianche erano sacre alle Parche(le tre dee del destino) ed evidenziano il legame tra questi uccelli e i poteri lunari della profezia e dell'oracolo.
    L'antico oracolo di Dodona era una quercia sulla quale viveva uno stormo di colombe accudite da alcune sacerdotesse chiamate anche loro"colombe".
    L'oracolo si poteva ascoltare nella voce delle colombe, nel rumore del loro strusciarsi tra le foglie e del loro battito d'ali. Nei dipinti raffiguranti l'Annunciazione, la colomba qualche volta, è mostrata con la testa vicino all'orecchio di Maria come se le stesse parlando del suo destino.
    La colomba simboleggia l'aspetto della luna che porta vita e amore.
    Rappresenta la capacità della natura femminile di portare armonia riunendo lo spirito e la coscienza, l'umanità e la natura, oltre che la voce interiore della saggezza e dell'intuizione.
    (Miranda Gray)



    È volata la colomba candida come la neve ha portato la luce.
    “Non abbiate paura!!” gridava con forza,
    dal pulpito del mondo ai cuori perduti.
    Ha smosso milioni di anime verso un nuovo esodo d'amore e di pace
    senza violenza con amore di padre li ha condotti
    alla nuova terra promessa fiumi di latte e miele.
    Pascoli erbosi per il gregge smarrito
    È volata la bianca colomba
    santo subito, hanno gridato i suoi figli,
    giovani cuori si son ritrovati da tutto il mondo si sono riuniti
    seguendo la voce dell'umile uomo ch'è stato tuonante la voce di Dio.
    - dal web -





    .
     
    Top
    .
  14. gheagabry
     
    .

    User deleted



    Fratelli uccelli, voi dovete lodar tanto il Signore,
    che v'ha vestiti di sì belle piume e vi nutrisce.
    (S. Francesco di Assisi)



    GLI UCCELLI DEL PARADISO






    Gli uccelli del paradiso o paradisee (Paradisaeidae) sono una famiglia di uccelli canori dell'ordine dei Passeriformi.....L'uccello del paradiso conta 40 specie di uccelli, noti per lo splendido piumaggio dei maschi adulti. Gli uccelli del paradiso sono originari della Nuova Guinea e delle isole limitrofe; quattro specie estendono il proprio areale fino all'Australia orientale. La maggior parte di esse si caratterizza per i colori sgargianti e il brillante piumaggio giallo, blu, verde e scarlatto. Tali colori rendono questi uccelli tra i più scenografici e attraenti del mondo. I maschi spesso sfoggiano collari di piume vibranti o piume incredibilmente allungate, note come filamenti o stelle filanti. Alcune specie sfoggiano enormi piume o altri ornamenti particolari, come scudi sul petto o ventagli sul capo. I maschi fanno buon uso dei colori e degli inusuali ornamenti quando si esibiscono davanti alle femmine. Gli elaborati balletti, le pose e gli altri rituali danno risalto alla loro esibizione sono uno spettacolo straordinario sia per le femmine che per i fortunati che capitati nei paraggi. Tali esibizioni possono durare ore..Le femmine e i giovani immaturi, protetti dai nemici naturali grazie al piumaggio poco vistoso, si riuniscono in piccoli stormi. Gli uccelli del paradiso sono onnivori e la loro alimentazione consiste in larga misura di frutta, insetti e chiocciole. A causa delle penne ornamentali i maschi vengono cacciati in modo intensivo e alcune specie rischiano per questo motivo di scomparire.
    La paradisea maggiore (Paradisea apoda) è lunga circa 46 cm, ha un fitto ciuffo di penne erettili color oro-arancio sotto le ali e le timoniere centrali formano un mazzo di lunghi filamenti. Nel XVI secolo giunse in Europa il primo esemplare impagliato di questa specie, privo di piedi; questa peculiarità convinse i naturalisti del tempo che l'animale passasse tutta la vita in volo e nel 1758 indusse Carlo Linneo a denominare scherzosamente la specie come 'apoda' (senza piedi).
    La maggior parte delle piume usate un tempo come ornamento veniva ricavata dalla paradisea minore (Paradisea minor), che è di dimensioni più piccole. Tra le altre specie si annoverano la paradisea reale (Cicinnurus regius), che ha due penne della coda modificate in lunghi filamenti a spirale, ciascuno con un disco color smeraldo all'estremità, e la paradisea dalle dodici penne (Seleucidis melanoleucos), con dodici penne laterali che terminano in filamenti neri ricurvi.





    ...nella storia....



    La famiglia ha origini particolarmente umili: questi uccelli discendono da un corvide che, probabilmente all'inizio dell'era Terziaria, si isolò nella Nuova Guinea. Sono pochi gli ornitologi particolarmente preparati ed equipaggiati che sono riusciti a stuiare questi uccelli nei luoghi nativi e allo stato libero..Studi e classificazioni risalgono ad un massimo di 450 anni; benpiù antica è la conoscenza che di questi uccelli ebbero le tribù primitive, che da tempo immemorabile preparono ornamenti valendosi delle loro piume, e i viaggiatori cinesi del XVI secolo le portarono in oriente. I primi esemplari conosciuti in Europa furono uccelli imbalsamati dagli indigeni che il sovrano di Batjan inviò al re di Spagna..uno di questi fu portato in patria a bordo del "Victoria", la nave in cui magellano, nel 122, fece la circumnavigazione della terra. Questi esemplari erano tanto meravigliosi ed insoliti che gli spagnoli ritennero provenissero dal Paradiso.I navigatori portoghesi del XVI e XVII secolo li conoscevano come " manucodiata", termine malese, che significa "uccello degli dei"....Il primo naturalista che studiò questi uccelli con una certa serietà, allo stato libero, fu Alfred Russel Wallance nel 1850.





    ............una favola.............



    C’era una volta una bellissima creatura che viveva in un regno lontano, sette cieli sopra il nostro.
    Era un uccello del paradiso, che oltre ad avere un canto melodioso era in grado di parlare con gli uomini. Aveva occhi limpidi come un cielo di primavera e piume soffici e azzurre come il mare. Si chiamava Sogno...Nel regno di Settimo Cielo in cui viveva, Sogno era l’ultimo uccello del paradiso rimasto: gli altri erano scomparsi uno dopo l’altro e nessuno sapeva il perché. Gli abitanti erano così preoccupati che decisero di eleggere Sogno come loro sovrano, in modo che non decidesse di sparire anche l’ultimo uccello magico del regno....Ogni giorno gli rendevano omaggio con i fiori più belli e profumati e gli tributavano ogni specie di pietre preziose. Ma Sogno non guardava nemmeno quei tesori. Trascorreva il tempo posato con le sue grandi piume sulla finestra del palazzo, sognando i bambini che vivevano felici sulla Terra, distante sette cieli sotto di lui, chiedendosi se qualcuno di loro sognava mai un grande uccello del paradiso con le piume azzurre come le sue....Avrebbe tanto voluto giocare con quei bambini, ma non poteva volare così lontano con le sue ali, perché sette cieli erano proprio tanti. Un giorno decise di convocare a palazzo tre saggi, che erano stati sulla Terra tanto tempo prima. Il primo aveva seicento anni, la barba lunga e gli occhi d’argento. Aveva visto i grandi quadri degli uomini e i bambini che imparavano a pitturare. Per la bellezza dei loro sorrisi e dei loro disegni, gli occhi gli erano diventati d’argento. Il secondo aveva trecento anni, i baffi rossi e le orecchie di seta preziosa. Aveva udito la grande musica degli uomini, e i bambini che imparavano a suonare gli strumenti. Per la gran bellezza dei loro sorrisi e per ascoltare meglio quei suoni le orecchie gli erano diventate di seta preziosa. Il terzo non aveva età, la sua barba toccava terra e quando parlava, le sue parole dipingevano fiori e paesaggi nell’aria come fossero dei pennelli invisibili. Era stato sulla Terra all’epoca dei miti, quando gli uomini amavano scrivere storie e i bambini le imparavano nei libri. Per saper meglio narrare ciò che aveva conosciuto, le sue parole creavano disegni....Tutti e tre i saggi parlarono anche di altri antichi abitanti, scomparsi da tempo, che avevano visto sulla terra cose meravigliose, che chiamavano scultura, teatro o danza, ma soprattutto parlavano dei bambini della Terra e della gran quantità di cose belle che sapevano fare...



    Per discendere i sette cieli si erano attaccati ai fiocchi della neve. Ma nel regno del Settimo Cielo l’inverno arrivava una volta ogni centodieci anni. Così, per molti anni ancora non si poteva scendere sulla terra. Sogno si sentì ancora più triste dopo aver ascoltato le descrizioni dei tre saggi e dai suoi occhi uscì una grande lacrima. Era una lacrima così pura che cadendo sulle piume ne tramutò quattro in oro. I saggi erano meravigliati da questa magia, ma l’ultimo, che era il più saggio di tutti, si avvicinò alla sua coda e disse: “Queste piume d’oro sono sicuramente magiche. Staccandone una potrai esprimere un desiderio e andare sulla Terra. Ma attenzione! Ne resteranno tre. Se non ne lascerai una per il ritorno, sarai condannato a restare per sempre sulla Terra”. L’uccello del paradiso staccò subito la prima piuma e desiderò di discendere i sette cieli. Apparve una luce e dei fiocchi di neve fatati scesero sulle sue ali trasportandolo lontano. Oltrepassò tutti e sette i cieli e vide in lontananza dei palazzi di una città. Era arrivato sulla Terra....“Che strano” pensò “dove sono le architetture meravigliose e i prati di cui mi hanno parlato? E dove sono gli uomini che fanno musica e dipingono e sanno creare la bellezza?” Le piazze erano fredde e deserte. “E i bambini? Dove saranno i bambini? Voglio regalare loro due delle mie piume d’oro.”...Giunto vicino alle finestre delle case e riuscì finalmente a vedere i bambini. Si posò maestosamente su un davanzale e prese a cantare una dolce melodia per richiamarli, ma nessuno apriva la finestra e nessuno si fermava ad ascoltare. Con il becco picchiettò contro i vetri, ma i bambini non risposero. Erano tutti intenti a fissare delle immagini che uscivano dallo schermo di una strana scatola. In quella città i piccini non sapevano più giocare, né disegnare o creare. Avevano smesso di usare la fantasia e non sentivano il canto intonato da Sogno, perché nei sogni non credevano più.....“Ho queste splendide piume d’oro che realizzano i desideri”, pensò l’uccello del paradiso “ma non c’è nessuno a cui possa donarli. Ora so perché gli uccelli del paradiso stanno sparendo dal mio regno: senza la fantasia non possiamo sopravvivere”, pensò tristemente. Anche lui stava per dissolversi e alcune piume iniziavano già a svanire, così si lasciò andare verso il basso, insieme ai fiocchi bianchi. In quel momento un bambino che abitava al piano di sotto aprì la finestra e mise fuori le manine per toccare la neve. Sogno cadde tra le sue mani e il piccino riuscì a vedere il bellissimo uccello dalle piume azzurre. “Vieni da un regno lontano?” chiese incantato. “Vengo dal Settimo cielo” rispose Sogno, “e poiché mi hai salvato, voglio regalarti delle piume d’oro.” Staccò la prima piuma dalla coda e desiderò che i bambini potessero vivere la bellezza attraverso i disegni e la pittura. Poi ne staccò una seconda ed espresse il desiderio che potessero ascoltare la bellezza con la musica. Infine staccò anche l’ultima che gli rimaneva e chiese che tutti imparassero a creare mondi magici, come il suo, attraverso le parole e i libri. Infine Sogno chiuse gli occhi e si trasformò in una scia di stelle. Ma non era scomparso: Sogno è ancora sulla terra e tutti i bambini possono vederlo e farlo rinascere, usando le piume che lui ha donato.....Basta solo chiudere gli occhi.





    .
     
    Top
    .
  15. gheagabry
     
    .

    User deleted


    “Vorrei sorvolare le montagne più alte del mondo come fanno gli uccelli durante le loro migrazioni. Loro non hanno maschera, ossigeno, GPS; hanno tutto nel loro istinto. Un istinto che sono convinto abbiamo anche noi se lo addestriamo bene."
    Angelo D'Arrigo



    I FENICOTTERI





    I fenicotteri rosa fanno parte della famiglia dei grandi uccelli acquatici; sono vivacemente colorati ed abitano in preferenza in regioni calde o secche.Il termine fenicottero, dal greco "ala di porpora", sta appunto ad indicare la caratteristica colorazione di questi uccelli (che varia tra il rosa, il rosso acceso ed il nero), che assumono in età adulta poichè si nutrono in prevalenza di un piccolo crostaceo che contiene un forte pigmento porpora che essi assimilano con la nutrizione. Alti (quasi tutte le specie possono raggiungere i 2 metri d'altezza!), con lunghi colli sinuosi e piedi palmati,sono forti volatori emigratori, e si spostano da una fonte di cibo ad un'altra. Durante il volo tengono tesi i lunghi colli in avanti e le zampe all'indietro assomigliando a delle lance volanti, formando delle caratteristiche "V" nel cielo.

    I fenicotteri sono certo più famosi per il bellissimo piumaggio che per la loro voce. In volo gli uccelli emettono spesso un verso che ricorda quello delle oche, basso e nasale.
    Altre vocalizzazioni sono un sommesso borbottio emesso durante l'alimentazione o una sorta di grugnito con funzione di minaccia.Se la loro voce non è un granchè, i fenicotteri si riscattano però con il bellissimo volo. Il decollo avviene dopo una breve corsa sul pelo dell'acqua.

    I fenicotteri rosa in Italia sono presenti in gran parte in Sardegna, dove giungono per svernare, attirati dal mite inverno che caratterizza la nostra regione. Si nutrono filtrando con il lungo becco piccoli animali o vegetali che trovano nel fango e nell'acqua; la morfologia del becco è dunque fondamentale per il loro tipo di nutrizione: infatti mentre aspirano l'acqua ed il fango, dragando il terreno, particolari filtri al suo interno trattengono i piccoli organismi di cui si nutrono, permettendo contemporaneamente l'espulsione dei liquidi. Il nido viene costruito dalla coppia in acque basse con il fango, che viene modellato con il becco fino a raggiungerela forma di un cono tronco. Le femmine vi depongono solitamente un uovo, in casi eccezionali due. I piccoli fenicotteri, circa quattro mesi dopo la nascita, sono già in grado di volare e di migrare insieme ai genitori, al termine dell'estate.





    ....nella storia.....



    Il Fenicottero appartiene ad una delle più antiche famiglie di uccelli del mondo, risalenti ad oltre 50 milioni di anni fa. I fenicotteri sono stati considerati parenti con aironi, cicogne ed anatre.
    Analisi del DNA hanno messo in evidenza che i gruppi più vicini ai fenicotteri sono in realtà le cicogne, gli ibis, le spatole e gli avvoltoi americani.

    L'uomo ha sempre considerato i fenicotteri rosa come qualcosa di magico e le loro silhouette compaiono in oggetti artistici antichi di migliaia di anni.
    Le lunghe ed eleganti figure sono infatti rappresentate in pitture rupestri trovate in Spagna e risalenti a più di 7000 anni fa mentre il termine "rosso" nei geroglifici egiziani era indicato proprio con l'immagine di un Fenicottero. Perfino un oggetto bronzeo di origine celtica, datato III sec. a.C. e scoperto vicino a Brno presenta una decorazione che indubbiamente rappresenta la testa di un Fenicottero.
    Il fenicottero nella simbologia è l'uccello iniziatore alla luce, Ovvero quello che porta dalle tenebre alla luce.





    .....un racconto.....



    "La spiaggia era deserta, ma pareva che vivesse. Non compresi subito perché pareva che vivesse; mi avvicinai ancora. All'improvviso mi arrestai, la spiaggia viveva realmente, aveva come una palpitazione animale. Erano grossi uccelli, erano migliaia; i più erano flamencos o fenicotteri, i quali parevano di corallo, i loro corpi parevano vasi di corallo rosa posati su canne di bambù. Le canne di bambù erano le gambe; ma stavano quasi tutti su una gamba sola, e intorno si frangeva mollemente il mare. I lunghi colli avevano movimenti serpentini. Mi avvicinai ancora, camminando adagio, sfiorando appena la spiaggia, trattenendo il respiro. Ma a un tratto fu come quando crolla un pavimento; fu un rombo nell'aria, poi uno scroscio d'ali.I flamencos a migliaia, s'erano levati, formavano nell'aria una fascia di corallo rosa, era come quando nel cielo nasce l'aurora. Fermo sulla sabbia bianca guardavo, e il cuore mi batteva forte; mi pareva che i flamencos facessero rosso il cielo per me."
    Vittorio G. Rossi, 1957





    ....nei sogni.......


    Il fenicottero è un totem fiammeggiante e vibrante che offre la gioia e l'amore.
    Questo bellissimo uccello alto, snello e aggraziato raramente appare nei sogni della gente, ma quando si fa vedere e' per la gentilezza e tratti positivi nel carattere.
    Questi uccelli portano socializzazione senso della comunità, pertanto essi rappresentano individui che possono facilmente comunicare con gli altri e integrarsi nella società.
    Fenicottero come un totem insegna l'importanza di equilibrio. Rosa è il colore associato al chakra del cuore, e la colorazione rosa dei fenicotteri vibra nel centro del cuore per le energie emotive.
    Il fenicottero è un visionario che trae forza dalle acque... se Fenicottero fa la sua comparsa può essere necessario entrare in contatto con il vostro senso emotivo.
    Anche se quelli con questo totem hanno capacità psichiche di cui hanno bisogno per rafforzare la capacità di ragionamento della mente con la logica e l'intuizione prima di prendere le decisioni ricordarsi di pesare tutti i lati di una situazione prima di agire.
    Quelli con questo totem sanno decidere le loro scelte, e sono fedeli alle loro cause e hanno la tendenza di raggiungere la maggior parte dei loro obiettivi.
    Gli egiziani hanno venerato il Fenicottero come essere vivente incarnazione del dio del sole Ra... sono associati con la chiaroveggenza e la consapevolezza individuale.






    Il mio dolce fenicottero rosa (ode al tuo volo)
    TI ho visto volare con me tra i miei sogni
    ed odo il tuo grido l'amore e il bisogno
    di essere amata e di vivere bene
    mio dolce tesoro dai sogni di un volo
    un incanto e un dolore da togliere dentro
    ma ora sei qui con le fragili ali
    a chiedere aiuto ad un cuore che è pieno
    che è pieno di te di ogni respiro
    che mostri nel volo del tuo cuore fiero
    che gridi al tuo mondo nei tuoi lunghi viaggi
    portando al mio cuore la forza e il coraggio
    di amare per sempre
    le ali che mostri e il tuo dolce colore
    che porti con vanto
    per porre al mio mondo il tuo tenero incanto
    (gatitofuerte)






    ....il Fenicottero di James....






    Il fenicottero di James (Phoenicoparrus jamesi ,Sclater, 1886) è un uccello della famiglia Phoenicopteridae, diffuso prevalentemente negli altopiani andini del nord del Cile, della Bolivia e, in misura più limitata, del Perù meridionale e dell'Argentina nord-occidentale.
    Prende il suo nome in onore di Harry Berkeley James (1846–1892), naturalista inglese e finanziatore di varie spedizioni in Sud America tra cui quella che collezionò l'esemplare classificato da Sclater.
    Raggiunge un'altezza di 90–92 cm e il suo piumaggio è rosa chiaro con striature carminie sul collo e sul dorso; una porzione ridotta delle ali è di colore nero. La Laguna Colorada e la Laguna Guayaques (due laghi salati boliviani) costituiscono, con una popolazione registrata di oltre 40.000 esemplari, i siti delle colonie maggiori e i principali luoghi di accoppiamento di questa specie.
    La IUCN Red List classifica P. jamesi come specie prossima alla minaccia (Near Threatened). La popolazione totale ha subito una forte flessione numerica nel corso del XX secolo sia a causa della riduzione e dell'inquinamento dell'habitat che della caccia; anche se dal 2000 ci sono dei segnali di ripresa incoraggianti, il trend demografico rimane ancora negativo. Al 2005, la popolazione totale stimata era di 100.000 esemplari.



    .

    Edited by gheagabry - 1/8/2014, 19:21
     
    Top
    .
209 replies since 13/6/2010, 17:44   165737 views
  Share  
.