UCCELLI E VOLATILI

..volatili domestici .. e del mondo

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  1. tomiva57
     
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    COLIBRI'

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    Nome scientifico: Calypte
    Ordine: Apodiformi
    Famiglia: Trochilidi



    Caratteristiche generali

    I colibrì appartengono alla famiglia dei Trochilidi, propria dell'America centrale e meridionale, e sono i più piccoli uccelli esistenti (tra 6 e 22 cm): la specie gigante del gruppo presenta le dimensioni di un rondone cioè la Patagona gigas mentre le specie più piccole come la Calyptes helenae di 2,4 cm, la Mellisuga minima di 2,6 cm ed il Chaetocercus bombus di 2,8 cm, hanno le dimensioni di un calabrone. Essi si nutrono di nettare che suggono inserendo il lungo becco nelle corolle dei fiori. Durante questa operazione riescono a rimanere sospesi nell'aria quasi immobili grazie a un rapidissimo movimento elicoidale delle ali, che può raggiungere la velocità di 80 battiti al secondo. Il battito delle ali è così frequente e rapido da produrre un sonoro ronzio, per questo motivo i colibrì sono detti anche uccelli mosca (in inglese: hummingbird, uccello dal volo ronzante). La voce di questi piccolissimi uccelli è composta da brevi note acute. Un trillo veloce ed un paio di note acute sono la composizione del canto d’amore dei maschi. I richiami vengono emessi in volo. La riproduzione avviene con la costruzione di piccolissimi nidi costruiti con muschio e tela di ragno posti sopra un ramo orizzontale od uno stelo, in questi la femmina depone una o due uova per volta. In America i colibrì furono conosciuti maggiormente alla fine dell’ottocento perché le loro piume servivano per adornare i copricapi delle dame dell’epoca. Oggi, per fortuna, questa pratica è stata abbandonata. Tutte le specie vengono studiate regolarmente e sono considerate un patrimonio naturale protetto dagli enti governativi della zona dove vivono.
     
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  2. tomiva57
     
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    Gheppio



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    Nome scientifico: Falco tinnunculus
    Ordine: Falconiformi
    Famiglia: Falconidi

    Caratteristiche generali

    Tra i rapaci italiani il gheppio è uno dei più piccoli, appena 35 centimetri di lunghezza per 70-90 centimetri di apertura alare.Il gheppio è il falco più diffuso in Europa, Asia e vaste regioni africane. Ha colore bruno-rossiccio, macchie scure sul dorso, capo e coda grigio scuro. La coda termina in una fascia bianca, le sue parti inferiori si presentano di colore bianco sporco, le zampe gialle. Predilige gli spazi aperti con vegetazione bassa ove cacciare e luoghi sicuri ed elevati dove posarsi.
    Si nutre di piccoli roditori, insetti vari, lucertole, piccoli serpenti ed uccelli, quali storni, passeri ed allodole. E' facile avvistarlo posato sui fili metallici al ciglio delle strade o durante una battuta di caccia. Osservando la coda si determina il sesso: nei maschi è grigia con una bandana nera all'estremità nelle femmine invece è di un colore bruno-rossastro più uniforme e striata di nero. Durante la riproduzione è il maschio a provvedere il procacciamento del cibo, mentre la compagna si prende cura di uova e piccoli. La preda viene lanciata vicono al nido e raccolta al volo dal partner. Il gheppio nidifica in vecchi nidi di corvi o gazze, su edifici o falesie. Depone in maggio 4-6 uova che si schiudono dopo circa un mese. Si nutre di piccoli mammiferi, ma anche di lucertole e insetti come coleotteri che caccia librandosi in cielo quasi immobile e gettandosi all'improvviso sulla preda.
     
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  3. gheagabry
     
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    MITOLOGIA FINNICA

    LINTU






    L'uccello, in finlandese lintu, ha sempre avuto un significato molto importante nella mitologia finlandese: era un uccello a portare, alla nascita, l'anima di un bambino ed era sempre un uccello che la portava via al momento della morte. In alcune zone della Finlandia si usava tenere vicino al proprio letto una statuina in legno di un uccello, per propiziarsi questa figura e impedire all'anima di fuggire via durante il sonno, proteggendola così nei percorsi del sogno. La figura dell'uccello riveste un ruolo centrale in molte leggende e miti riguardanti la creazione del mondo: a tal proposito ricordiamo il mito dell'uccello tuffatore (Corradi 1983). In questo mito l'uccello è l'incarnazione del diavolo, che, su ordine del dio creatore, si immerge più volte nell'acqua per portare dal fondo un po' di terra: con essa il dio creatore avrebbe plasmato la superficie della Terra. Il diavolo-uccello tuttavia aveva conservato un po' di terra per sé e con essa avrebbe creato i mali del mondo oltre alle montagne, i sassi e le pietre. Presso i Finni aveva grande importanza la Via Lattea, da loro chiamata Linnunrata «Via degli uccelli», che era la via seguita dagli uccelli nelle loro migrazioni. Secondo la concezione finnica della struttura del mondo, sul bordo della Terra vi era la «casa degli uccelli», Lintukotola, immaginata come una regione calda, nella quale gli uccelli trascorrevano l'inverno.

    In Finlandia, in particolare nella città di Jyväskylä, è stato per lungo tempo diffuso il cognome Lintu, che ha successivamente lasciato il posto alla forma più moderna Lintunen. Il cognome Lintu è in uso fino al 1862 e si ritiene che esso sia apparso per la prima volta nella Finlandia orientale, precisamente nel Savo (Paikkala 2004).



    JOUTSEN






    Il cigno, in finlandese joutsen, ha sempre avuto un forte valore simbolico: si ritiene, infatti, che esso rappresenti l'anima che vola libera verso l'aldilà (Corradi Musi). In particolar modo ricordiamo la leggenda del cigno di Tuonela, cui si è ispirato Jean Sibelius per l'omonimo poema sinfonico, portato a compimento nel 1893. Questa leggenda kalevaliana non è tanto racconto, quanto pittura: essa è un vero e proprio ritratto della terra dei morti nella mitologia finnica. Il regno dei morti, per l'appunto Tuonela, appare circondato da un grande fiume che scorre impetuoso e sulle cui acque nere un cigno scivola maestosamente cantando. Il cigno è spesso stato accostato alla figura femminile: ricordiamo il mito della donna cigno che vola nel cielo, esce dall'acqua nelle vesti di una giovane donna, si sposa, genera un bambino e infine torna in acqua per trasformarsi nuovamente in animale (18).

    Il cigno ha tuttora un valore simbolico molto forte presso i Finni: per la moneta finlandese da un euro, l'artista Pertti Mäkinen ha creato un motivo raffigurante due cigni che volano nel cielo. In questo caso il cigno è simbolo di libertà e di rinascita: la Finlandia è indipendente e libera, proprio come lo è il cigno che vola nel cielo. In Finlandia sono molto diffusi i cognomi che prendono origine da nomi di animali, e tra questo vi è anche Joutsen.

    Joutsen è generalmente associato ai cognomi appartenenti alla tipologia Laine, sebbene non vi sia totale certezza riguardo alla sua appartenenza a suddetto gruppo. Questo cognome ha fatto la sua prima comparsa nel 1881, sulla scia dell'enorme successo del Kalevala. Le prime notizie riguardo a Joutsen si hanno tuttavia a partire dal 1880, quando il cognome risultava già essere presente tra gli studenti di alcune università finlandesi; in seguito esso si diffuse maggiormente anche grazie al fatto che, come era consuetudine, i cognomi svedesi erano tradotti in finlandese e molti cittadini scelsero per sé il cognome Joutsen. Nel 1881, infatti, si registra il seguente cambiamento: Ekman > Joutsen. Un altro cambiamento molto interessante è il seguente: Virtanen > Joutsenaho «prateria del cigno, radura del cigno», registrato ad Helsinki nel 1947: Virtanen era un cognome fin troppo diffuso e quindi molti cittadini furono invitati ad adottare al posto di esso un altro cognome. (Paikkala 2004)




    SORSA e HANHI





    L'anatra e l'oca, in finlandese rispettivamente sorsa e hanhi, hanno una grande importanza presso i Finni e tutte le popolazioni ugrofinniche. I palmipedi sono, insieme all'aquila e all'orso, i principali totem: basti pensare che presso la popolazione ugrofinnica dei Mari, profondamente legata alla filosofia sciamanica, uno dei costumi nazionali femminili ha la parte superiore proprio a forma di becco d'oca (23). Secondo certe credenze, la protagonista del mito dell'«uovo del mondo», che abbiamo citato nel paragrafo precedente, non è un'aquila bensì un'oca o un'anatra. Nella mitologia finlandese e ugrofinnica in generale si immagina che i defunti con le forme di palmipedi volino lungo la Via Lattea fino all'«albero del mondo»: si immaginava che quest'ultimo arrivasse fino al cielo (Corradi Musi 2007). Nell'iconografia popolare ungherese, esso veniva riprodotto nell'immagine raffigurante un castello che ruotava sulla zampa di un'anatra (Corradi Musi 1983); anche nei ricami di molte popolazioni ugrofinniche vi sono spesso forme stilizzate di zampa di palmipede.

    Nella produzione letteraria ungherese, in particolare nel regölés, compaiono spesso riferimenti magici, come la presenza delle ochette, generalmente messe in relazione con l'aldilà, come nel seguente testo (Rozsnyói 2002):



    Adjon az Uristen
    ennek az asszonynak
    egy tehén alatt
    száz köpü vajat,
    egy lúd alatt
    száz libafiat,
    egy tyúk alatt
    száz csirkefiat!
    Hét ökör, régi törvény,
    haj, regu rejtem, haj, regu rejtem, azt is megengedte
    az a nagy Uristen.

    Dia il Signore
    a questa signora
    cento paioli di burro
    sotto una vacca,
    cento ochette
    sotto un'oca
    cento pulcini
    sotto una gallina!
    Sette buoi, legge antica,
    anche quello ha permesso
    Il grande Dio nostro signore.

    El-eljöttek földnek nyomán




    I nomi in lingua finlandese di questi palmipedi hanno dato origine agli analoghi cognomi Sorsa e Hanhi, e poi alle varianti Sorsanen, Hanhinen, Hanhimäki e infine Hanhineva. Del cognome Sorsa non si hanno molte notizie, tuttavia si ritiene che esso sia entrato in uso all'incirca nella seconda metà del XX secolo. Molti Nieminen decisero di adottare in quel periodo il cognome Sorsa, poiché Nieminen era diventato fin troppo comune: il primo cambiamento Nieminen > Sorsa si registra nel 1940 a Maarianhamina (Paikkala 2004); in quell'occasione altri cittadini, invece, preferirono cambiare il proprio cognome in Stenmark «terreno di pietra», piuttosto che in Sorsa. Bisogna però ricordare che a Maarianhamina, capoluogo delle provincie autonome di Ahvenanmaa [Åland], la maggior parte degli abitanti era ed è tuttora di madrelingua svedese, quindi la preferenza per un cognome svedese (Stenmark), piuttosto che per uno finlandese (Sorsa) era prevedibile.

    La forma Sorsanen («piccola anatra», «figlio dell'anatra») risale alla seconda metà del XIX secolo e appartiene al gruppo dei cognomi più antichi originari della Finlandia orientale: anch'esso, come molti dei cognomi della sua stessa tipologia, era in origine un patronimico. Secondo i registri del Väestörekisterikeskus, il cognome Sorsa è ancora oggi diffuso uniformemente in tutta la Finlandia (vi sono 4076 persone che portano questo cognome), mentre Sorsanen è presente prevalentemente nella regione del Savo e nella Carelia meridionale. Al contrario, Hanhi non è mai stato particolarmente diffuso e attualmente si stima che appena diciannove finlandesi portino ancora questo cognome: la forma Hanhinen («ochetta», «figlio dell'oca», «figlio di Hanhi») è senz'altro preferita ancora oggi. Hanhinen è appartenente alla classe di cognomi più antichi della tipologia Virtanen; esso compare per la prima volta a Jämsä nel 1898, dove all'anagrafe risulta una tale Ida Hanhinen (Paikkala 2004): oggi in Finlandia vi sono ancora 570 persone che portano questo cognome.

    Meno frequenti, ma interessanti dal punto di vista etimologico e simbolico, sono le varianti Hanhineva e Hänhimäki. La prima ha il suo picco di diffusione tra il 1879 e il 1889 a Viipuri. Secondo i dati forniti dai registri del liceo classico di Viipuri, pubblicati nel 1929 (Paikkala 2004)), le tipologie di cognomi erano: (a) cognomi non finlandesi (prevalentemente di origine russa); (b) cognomi rari, che originariamente erano nomi di edificio o di proprietà terriera (tra questi vi è per l'appunto Hanhineva). Hahnineva si presenta formato da due parole, hanhi «oca» e neva, ermine ormai in disuso, indicante una palude desolata e umida (24): il cognome può essere quindi tradotto con «palude dell'oca», richiamando così l'immagine mitologica del palmipede che nuota nell'acqua.

    Notizie della variante Hänhimäki si trovano nei registri dell'Istituto Nazionale Previdenza Sociale [Kansaneläkelaitos] (Paikkala 2004), secondo cui tale cognome era diffuso quasi unicamente nell'Etelä-Pohjanmaa (Ostrobotnia meridionale), in particolar modo nel villaggio di Alahärmä: qui Hänhimäki è rimasto in auge fino alla prima metà del XX secolo per poi essere sostituito da Rintanen. Hänhimäki è, come il cognome analizzato precedentemente, composto di due termini: hänhi «oca» e mäki «collina». Esso può essere ben tradotto con «collina dell'oca», suggerendoci così l'immagine di un luogo sacro, dove molto probabilmente era praticato qualche culto in onore dell'oca stessa .



     
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  4. gheagabry
     
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    da ringo


    IL MONDO DEI COLIBRI', MERAVIGLIE DELLA
    NATURA




    Queste piccole meraviglie della natura sono presenti solo in America e complessivamente ne esistono circa 350 specie diverse. Ma qual è il segreto della loro agilità? Il biologo Doug Altshuler ha testato la loro coordinazione e ha osservato come riescano a realizzare movimenti di incredibile grazia e precisione. Inoltre, i colibrì sono in grado di rimanere sospesi in volo, come se stessero galleggiando piuttosto che volando. Grazie a questa particolare capacità, riescono ad estrarre il nettare anche dai fiori sui quali è difficile posarsi.



     
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  6. gheagabry
     
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    Qualcuno l’ha definito il Vogue dei volatili e in effetti Bird, l’ultimo libro del fotografo americano Andrew Zuckerman, sembra un fotobook di moda per pennuti dove i cinguettanti (ma anche fischianti, gracchianti o, nel caso del gufo, bubolanti) protagonisti fanno bella mostra delle proprie livree colorate come fotomodelli in passerella.
    Sono 75 gli uccelli che hanno prestato becchi, ali e artigli all’obiettivo di Zuckerman: metterli in posa e catturare lo scatto giusto è stato tutt’altro che facile. In questa fotogallery vi presentiamo gli scatti più suggestivi di Bird e vi sveliamo segreti e tecnica sulla realizzazione di queste singolari fotografie.

    (Focus.it Luglio 2010)

    Zuckerman ha scattato gran parte delle foto di Bird presso il National Aviary di Pittsburgh, in Pennsylvania, uno dei più importanti centri al mondo per lo studio, il recupero e la conservazione dei volatili, con la collaborazione di Erin Estell, addestratrice di uccelli, e Christopher Elphick, ornitologo dell’Università del Connecticut.
    In questa immagine Tyler, un esemplare di ara giacinto (Anodorhynchus hyacinthinus) in planata. Per cogliere questa spettacolare immagine Zuckerman ha scattato più di 30 fotografie.
    L’Ara Giacinto è il pappagallo più grande del mondo: è lungo oltre un metro e ha un' apertura alare che raggiunge i 130 cm.






    Bam Bam, il seriema cristato (Cariama cristata) di questa foto.
    É stato chiamato Bam Bam perchè in natura questo uccello uccide le sue prede, lucertole e altri piccoli rettili, lanciandoli con le zampe contro le rocce.


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    fonte focus
     
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  7. gheagabry
     
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    Nel suo lavoro Zuckerman è riuscito a cogliere e sottolineare gli aspetti caratteristici di ogni specie, ma anche le espressioni e lo stato d’animo di ogni singolo animale.
    Per esempio lo stupore di questa gru coronata grigia (Balearica regulorum) di fronte all’obiettivo...





    ... oppure lo sguardo scocciato di questo falchetto africano(Polihierax semitorquatus), che sembra essere molto disturbato dall’invadenza del fotografo.
    Il falchetto africano è uno dei più piccoli rapaci del mondo: lungo solo 19 - 20 centimetri si nutre di insetti e piccoli rettili che, a differenza dei suoi cugini più grandi, non uccide con gli artigli ma con il becco.
     
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  8. gheagabry
     
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    Dalla scogliera vedo arrivare un gabbiano...Lo guardo, mi fermo a pensare...Mi chiedo perchè mai lui può volare, mi chiedo perchè mai lui ha un paio d'ali per alzarsi in volo e planare dove vuole.
    Mi chiedo perchè mai loro...e non noi...E penso a come possa sentirsi un gabbiano che vira sopra gli oceani, o un'aquila oltre le vette montane.
    Senza spazi chiusi ad ali aperte dev'essere meraviglioso andare... volare... in libertà assoluta.
    Certi pensieri dipingono un sorriso sul mio volto..gli uccelli somigliano agli angeli...
    (dal web)



    Conosciamo...



    L’upupa, uccello dei Poeti




    "Upupa, ilare uccello calunniato
    dai poeti, che roti la cresta
    sopra l'aereo stollo del pollaio
    e come un finto gallo giri al vento;
    nunzio primaverile, upupa, come
    per te il tempo s'arresta,
    non muore piu' il Febbraio,
    come tutto di fuori si protende
    al muover del tuo capo,
    allegro folletto, e tu lo ignori".
    (da: Eugenio Montale, Ossi di seppia, 1920-1927)



    La presenza delle caratteristiche penne del capo è spiegata da una leggenda persiana (VI sec. a.C.)che narra: “l’upupa era una donna sposata; un giorno stava pettinandosi allo specchio quando il suocero entrò senza annunciarsi. Invasa da un incontenibile spavento la donna si trasformò in un uccello e volò via con il pettine sulla testa”.
    Tra gli antichi persiani era l’uccello più saggio, messaggero del divino; “Dei segreti di Salomone tu fosti signora, e per questo cingesti un aurea corona di gloria”.
    Gli arabi la chiamano “al-hudhud“, uccello dottore, capace di individuare pozzi e sorgenti nascoste.
    Nel Corano si racconta che Re Salomone, invia un upupa come messaggero alla regina di Saba, invitandola a seguire la sua religione.
    Dall’antichità abbiamo la testimonianza di Ovidio, che nelle Metamorfosi (X, 155-161) ci narra la trasformazione di Tereo, figlio di Ares:
    "Egli veloce correndo per dolore e sete di vendetta
    si muta nell’uccello che ha sul capo una cresta ritta
    e uno smisurato becco sporgente a mò di lunga lancia:
    upupa è il suo nome, e armato pare a vederlo."

    L’upupa raccontata nella commedia di Aristofane intitolata “Gli uccelli”,
    nella quale i protagonisti si rivolgono a lei per farsi indicare la strada per una “città più morbida”…
    Evelpide, uno dei personaggi si rivolge così all’upupa che gli domanda il motivo della loro visita:
    “Primo, perché eri un uomo come noi, un tempo; facevi debiti come noi, un tempo; cercavi di non pagarli come noi, un tempo.
    Poi, presa forma d’uccello, volavi intorno per terra e cielo; e ora possiedi l’esperienza di uomo e quella di uccello, insieme.
    Siamo venuti da te, supplici, se potessi indicarci una città morbida, dove si possa sdraiarcisi sopra, come una pelliccia.”

    Di tutt’altro segno è l’immagine simbolica elaborata nel mondo occidentale, la prima versione negativa sull’upupa prende forma dall’Antico Testamento. Qui infatti si legge (Levitico 11,19; Deuteronomio 14,18) che l’upupa era considerata un uccello impuro, e classificato tra gli animali di cui era proibito cibarsi. L’immagine negativa si è poi riflettuta nel medioevo occidentale fino ad Ugo Foscolo, per fortuna poi qualcuno ne ha risollevato le sorti





    L'upupa è un uccello caratterizzato dal piumaggio piuttosto vistoso, con colori vivaci osservabili soprattutto durante il volo. Imparentata con il martin pescatore, il suo colore dominante è il rosso mattone con le ali e l'estremmità del ciuffo del capo a strisce bianche e nere (ben visibili anche in volo). Possiede un lungo becco sottile e ricurvo in basso e arti poco sviluppati e trascorre la maggior parte del tempo a terra alla ricerca di insetti e delle loro larve, mentre di notte trova riparo tra il fitto fogliame degli alberi. Nidifica nell'Europa centromeridionale e nell'Asia occidentale e va a svernare nelle savane e nelle foreste costiere a mangrovie dell'Africa tropicale e dell'India.
    Le upupe si nutrono di una grande varietà di insetti e assai caratteristica è la tecnica con cui preparano e ingeriscono il cibo. Infatti questi uccelli possiedono una lingua troppo corta per poter ingurgitare direttamente il cibo. Allora gettano in aria l'insetto e lo ingoiano a becco spalancato; prima però lo liberano della testa, delle ali e delle zampe sbattendolo ripetutamente a terra. Quando l'upupa si sente minacciata, si appiattisce sul terreno con le ali e la coda spiegate. Assai caratteristica è la tecnica difensiva attuata sia dai piccoli che dalla madre. Se disturbati infatti, prima emettono sgradevoli vocalizzazioni quindi sono in grado di scagliare contro l'intruso il liquido puzzolente prodotto dalla ghiandola dell'uropigio. Il nome upupa deriva dal richiamo "upup" emesso dal maschio in primavera come invito alla nidificazione..il suo canto monotono le ha fatto attribuire erroneamente abitudini noturne che non possiede. L'Upupa si sposta essenzialmente di giorno; il suo volo è leggero e silenzioso, tuttavia la si nota molto facilmente a causa delle vistose fasce nere e bianche delle sue ali. Frequenta i boschi e le praterie, sia in collina che in pianura, ed ama i luoghi abitati dall'uomo. Si ciba di piccoli insetti e larve, che cerca nei prati o sulle strade nello sterco di buoi e di cavalli. Quando passeggia maestosamente, alzando la corona di penne - mentre «pronuncia» il suo nome - ostenta una tale aria pittoresca ed affascinante che uno dimentica le sue sporche abitudini. E' assai timida, la minima cosa la spaventa ed allora alza il ciuffo: se passa un grosso uccello, essa si schiaccia a terra, allargando le ali e la coda e piegando indietro la testa sul dorso; in quèsto atteggiamento si presenta sotto un aspetto singolarissimo, non somigliando più ad un uccello, ma piuttosto ad uno straccio variopinto. I contadini svedesi la credono messaggera di calamità naturali, mentre al contrario gli arabi la venerano: in Egitto, anzi, si tramandano leggende su come essa riuscì a procacciarsi la corona, due delle quali mi sembra opportuno riportare in queste righe.



    L' Upupa, uccello consideato sacro nella cultura araba, è una figura associata alla Chiaroveggenza e alla Mediazione.
    Il Corano racconta di come proprio quest' uccello servì da intermediario tra il Re Salomone e la Regina di Saba.
    L' Upupa simbolizza l' Uccello Messaggero, l' Intercessore tra i Due Mondi.
    Assume tutto il suo valore col mito del Simurgh nel tredicesimo secolo.
    Secondo la leggenda un giorno il popolo degli uccelli decise di cercare il Simurgh, l' uccello Re simbolo della Sapienza divina e identificato in essa nelle culture persiane. In questa ricerca l' Upupa guidò gli Uccelli come loro condottiero...Questo mito potrebbe riferirsi al cammino del mistico che cerca il significato vero, della realtà celata del Mondo.
    da "dizionario dei simboli islamici".




    ....una leggenda


    «Una volta, tanto tempo fa, la testa dell'Upupa era una comune testa senza cresta, come quella di tanti altri uccelli, e fu solamente per grazia reale che poté avere questo ornamento.
    «Il re di quei tempi attendeva la sposa promessa, che arrivava da un reame dell'Asia, e decise di riceverla con grande pompa in un porto del Mar Rosso, dove essa sarebbe sbarcata: ordinò pertanto che il suo esercito, schierato sul molo, la scortasse alla capitale e che tutti gli uccelli dell'aria, durante il percorso, facessero schermo con le loro ali, a guisa di baldacchino, per ripararla dal sole e riempissero l'aria di canti, fino a quando la sposa non fosse giunta in città. Tutti gli uccelli accettarono, tranne l'Upupa: essa obiettò che, sapendo alcune cose poco piacevoli sul conto della sposa, non avrebbe accettato di andare a riceverla e, piuttosto che esservi costretta, volò via e andò a rifugiarsi in una caverna su di un lontano monte nel deserto.
    «Quando il re ne fu informato, si arrabbiò ed ordinò che la rea fosse catturata e condotta in sua presenza; così la povera Upupa fu portata dinanzi all'irato sire, ma difese così bene la sua presa di posizione - spiegando che, se avesse fatto ciò che coscienziosamente aveva obiettato, il suo signore ne avrebbe sofferto un grave danno morale e per questo chiedeva, con tutto il rispetto, di essere perdonata - che il re, stupito per la sua sagacia, toltasi dal capo la corona e posatala su quello dell'uccello, lo consacrò re di tutti gli altri abitatori dell'aria, ordinando che la corona gli restasse in eterno».






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  9. gheagabry
     
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    Si udiva il canto limpido di un usignolo e dalla pineta arrivava il profumo di erba e di resina,
    da lontano giungeva lenta e ritmata la voce del mare.
    R.Battaglia



    L'USIGNOLO



    L’usignolo appartiene alla famiglia dei Turdidi e all ordine dei Passeriformi. Vive maggiormente nell Asia Minore, nell Europa occidentale, centrale e meridionale, nell Africa del Nord e in quella tropicale... preferisce solitamente la pianura alla montagna ma non disdegna per questo le zone montuose. I boschi a basso fusto sono i luoghi principali in cui si può trovare.
    Ciò che lo rende unico è il suo canto molto melodioso e generalmente canta di giorno e di notte. Solitamente può essere lungo circa diciassette centimetri, la sua coda è di colore ruggine e rimane alzata quando l animale saltella sul terreno. Le sue piume sono di colore bruno nelle parti superiori e biancastro in quelle inferiori.E' un uccello robusto e solitario che vive nascosto nel folto della vegetazione. Si sposta a grandi balzi, vola poco e di rado.
    Tra la fitta vegetazione, balzando, cerca al suolo insetti, bacche e larve. Il periodo degli amori inizia a maggio: la femmina fa un nido di foglie sul terreno o poco alto da questo, tra la vegetazione, e lo fodera con piume e erbe. Vi depone 4 o 5 uova che cova per 13 - 14 giorni. Con il maschio nutre i piccoli che già volano a 11 - 12 giorni.



    Usignolo del giappone



    Nome scientifico Leiothrix lutea. E’ un uccellino di piccole dimensioni (circa 120 mm.) diffuso in India settentrionale, Cina meridionale e penisola indocinese. L’usignolo del Giappone non è un vero usignolo, cioè non appartiene alla famiglia dei turdidi, ma un rappresentante asiatico della famiglia dei timalidi, il suo nome comune deriva dal fatto che i primi importatori furono i giapponesi.



    L'usignolo è conosciuto sia tramite i versi di Shakespeare "Era l'usignolo e non l'allodola" in Romeo e Giulietta, sia tramite la metonimia di Filomele spesso usata in poesia. Si trova anche nelle favole di Jorinde e Joringel. Famosa la definizione del canto dell'usignolo del poeta Giambattista Marino, dal suo poema eroico "L'Adone" : "In mille fogge il suo cantar distingue / e trasforma una lingua in mille lingue". Inoltre, un'ode all'usignolo è stata composta dal poeta inglese John Keats.
    Quello della rosa - il fiore per eccellenza - e dell’usignolo è uno dei temi più ricorrenti della poesia persiana, presente fin dalle sue prime testimonianze. L’usignolo è detto Uccello dell’Alba. Come la preghiera dell’alba, che per il Corano ha un valore particolare, così il suo canto ha un valore mistico, è preghiera e anelito. Ma un anelito triste, perché la rosa è inaccesibile nella perfezione della sua bellezza. Essa sdegna l’usignolo ed il suo amore nel suo fugace fiorire. Dopo la sua morte, l’usignolo canterà la perdita di ciò che mai ha posseduto



    ..una favola....


    In un'isola lontana di un paese del Sol Levante regnava un superbo imperatore. Era un sovrano molto vanitoso, che amava circondarsi di cose stupende e perciò tutto nel suo regno era incantevole. Anche sua figlia era bellissima ed egli l'aveva chiamata Splendore del Giorno. L'imperatore sceglieva per lei i vestiti più sontuosi, pretendeva che si ornasse con gemme e diademi preziosi e che il suo trucco fosse perfetto. Non l'abbracciava mai; la guardava solo per assicurarsi che la sua bellezza e il suo abbigliamento fossero sempre degni di una regina.
    Ma Splendore del Giorno si sentiva oppressa da tutte queste ricchezze, priva di affetto e schiava della vanità del padre. Trascorreva il suo tempo passeggiando lungo i viali più reconditi dell'immenso giardino per nascondere agli altri le sue lacrime. Ella sognava d'essere povera, ma libera e amata.
    Un mattino, in cui si sentiva più triste del solito, la principessa si rivolse al Buddha di giada del suo palazzo, con questa preghiera:
    - O dio della saggezza, aiutami a fuggire da questa prigione. Dammi la possibilità di andar via col vento profumato sui prati fioriti e di volare con gli uccelli nel cielo turchino.
    Buddha indossò allora una veste di luce e così rispose alla giovane:
    - Ti offro cento lune per ubriacarti di libertà. Ogni sera, all'ultimo rintocco della mezzanotte, ti trasformerai in un uccello. Ma non appena il sole sorgerà, tu tornerai ad essere quella che sei, la principessa Splendore del Giorno. Sappi però che l'incantesimo durerà fino al termine delle cento lune.
    - Sono pronta ad assumermi tutti i rischi - affermò la giovane. Buddha mantenne la sua promessa e quella stessa notte, al dodicesimo tocco della mezzanotte, Splendore del Giorno fu trasformata in un uccello. Finalmente poteva allontanarsi dalla sua prigione dorata!
    Volò in alto, ancora più in alto finché la sua casa non divenne che un punto luminoso e lontano. Piena di felicità, Splendore del Giorno si mise a cantare e il suo canto melodioso si propagò per la campagna addormentata come un inno di gioia. All'alba l'incantesimo cessò e, riprese le sue sembianze, la principessa tornò al palazzo reale.
    Ben presto però l'imperatore venne a sapere che, quando scendeva la notte e la luna brillava sul mare, un uccello cantava in modo così melodioso che certamente doveva trattarsi di un essere divino. Che tipo di uccello era quello che egli ancora non possedeva? Subito ordinò ai suoi soldati di catturarlo.
    Passò un mese, ma i samurai non riuscirono a prendere lo straordinario esemplare. Infatti Splendore del Giorno riusciva abilmente a sfuggire a tutte le trappole che le venivano tese. Fu così che il superbo imperatore, beffato dall'uccello sconosciuto, si ammalò. Perse l'appetito e il sonno, deperì ogni giorno di più e alla fine dovette mettersi a letto.
    Splendore del Giorno, preoccupata per la sorte del padre, pregò di nuovo Buddha:
    - O dio della saggezza, sono pronta a sacrificare la mia libertà in cambio della vita di mio padre. Ti supplico, rompi l'incantesimo e guariscilo dal suo folle male.
    - Non è in mio potere salvare tuo padre dalla sua stupida ambizione. Tuttavia accolgo la tua richiesta di rompere l'incantesimo, anche se le cento lune non sono ancora trascorse. Può darsi che in questo modo tuo padre ritrovi il piacere di vivere e che questa prova possa averlo reso più umile.
    Da allora Splendore del Giorno circondò il padre di amore e di premure e, per aiutarlo a guarire, chiamò al suo capezzale i più famosi dottori che gli prodigarono cure d'ogni genere. Malgrado ciò il sovrano, sognando l'uccello divino, si consumò lentamente fino a morire.
    Splendore del Giorno aprì ai sudditi più poveri del regno le porte del suo palazzo e mise a disposizione di tutti, contadini e pescatori, le immense ricchezze che suo padre, con orgoglio e vanità, aveva accumulato.
    Adorata dalla sua gente, che la venerò come una dea, la principessa visse felice e finalmente libera.
    Il dio Buddha, per ripagarla di tanta generosità, popolò la sua isola di uccelli divini, a cui Splendore del Giorno diede il nome di usignoli.
    Da quel momento, e sono passati ormai tanti secoli, quando la luna emana i suoi ultimi chiarori e il sole comincia a tingere di rosa il cielo, l'usignolo canta: il suo canto melodioso è un inno alla libertà dell'uomo.



     
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  10. gheagabry
     
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    Protagonisti di racconti ancestrali sulla creazione del mondo, animali sacri da venerare come simboli della divinità o messaggeri essi stessi del divino (nell’antichità gli aruspici traevano dal loro volo preziosi indizi per interpretare la volontà degli dei) da sempre gli uccelli sono stati per l’uomo una fonte inesauribile d’ispirazione per la creazione di miti, leggende e favole. Basterebbe sfogliare un bestiario medievale, con le sue splendide raffigurazioni, per entrare in mondo fantastico, animato da animali mitici dai nomi improbabili, e percorrere così un viaggio meraviglioso sorretti solo (per l’appunto) dalle ali del sogno e della fantasia....quello degli uccelli è un mondo fatto di ali, piume, penne, suoni, colori ...
    Francesco Lacarbonara



    LO SVASSO





    E' il più comune fra le cinque specie di svassi che vivono in Europa centrale. In primavera la livrea nuziale è caratterizzata in entrambi i sessi dalla presenza di ciuffi auricolari neri molto sviluppati, da pennacchi castano-rossicci ai lati della testa, con parti inferiori del collo e del corpo quasi bianche. In abito invernale la faccia è quasi bianca e gli ornamenti del capo appaiono fortemente ridotti o solo appena accennati. Il dorso è di colore grigio bruno.
    Frequenta gli specchi d'acqua estesi e calmi, come laghi e fiumi a lento corso, con le rive coperte da fitta vegetazione di canne e giunchi, dove può facilmente confondersi per le tonalità di colore del piumaggio (criptismo). Visita anche le acque costiere durante la migrazione o nel caso in cui la stagione invernale sia talmente rigida da far gelare stagni e fiumi dove sarebbe impossibile procurarsi del cibo. Questo è costituito da pesci, insetti acquatici e relative larve, rane, girini e gamberi che cattura con il becco stretto e appuntito.
    Si tratta di uccelli molto ben adattati alla vita acquatica ed in particolare alla pesca sotto la superficie dell'acqua, con il corpo a forma di siluro, le zampe attaccate molto indietro come dei remi, il becco sottile e appuntito e la coda estremamente corta. Considerati come i tuffatori più abili tra gli uccelli che frequentano le acque continentali, raggiungono in media la profondità di 2-3 metri e possono rimanere immersi, nuotando esclusivamente con le zampe lobate, per oltre un minuto. Se disturbati, si allontanano nuotando sott'acqua per tratti di oltre cento metri. Inoltre sono in grado di regolare il loro livello di galleggiamento, gonfiando o comprimendo il piumaggio: in caso di pericolo nuotano quasi sommersi.
    E' noto soprattutto per le complesse cerimonie della parata nuziale.
    La parata nuziale degli svassi dimostra nel modo più eloquente le finalità del corteggiamento contribuendo all'identificazione reciproca; alla differenziazione dei sessi; all'inibizione dell'aggressività, alla selezione degli individui che in quella stagione sono meglio dotati per rendere possibile la formazione della coppia.
    Tutti gli svassi costruiscono nidi galleggianti, ancorati in qualche modo alla vegetazione di riva; sono composti da accumuli di diverso materiale e di dimensioni sufficienti ad isolare perfettamente le uova dall'acqua.
    Tra aprile e giugno la femmina depone da due a sei uova biancastre e le cova, insieme al maschio, per 27-29 giorni. Qualora lo svasso abbandoni momentaneamente il nido, esso provvede sempre a nascondere le uova dalla vista di probabili predatori, coprendole con pezzi di materiale vegetale.
    Gli svassi mangiano in gran quantità le loro stesse piume che decomponendosi formano uno strato che protegge il loro stomaco.

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    Mediocri volatori, ma abilissimi tuffatori, gli Svassi si distinguono dalle anatre per il becco appuntito e l’aspetto “senza coda”; subacquei provetti sono favoriti nelle loro immersioni dall’avere piedi lobati (cioè con membrane separate per ciascun dito) anzichè palmati. Durante il periodo riproduttivo preferiscono specchi d’acqua dolce, come laghi ampi e profondi per lo svasso maggiore o laghetti e bacini artificiali per lo svasso piccolo e il tuffetto; d’inverno invece non disdegnano lagune e habitat costieri.





    ...la danza dello svasso...



    Il suo elegante e complesso rituale di corteggiamento è una gioia per gli occhi di ogni amante della natura. Il maschio alza la sua caretteristica cresta e fa un richiamo; quando la femmina risponde e lo raggiunge, muovono specularmente la testa a destra e a sinistra; ogni tanto si fermano guardandosi negli occhi. La coppia che abbiamo osservato era abbastanza distante - gli svassi sono un pò meno tolleranti alla presenza umana rispetto ad altri uccelli acquatici come il germano reale, le folaghe e i cigni...Dopo la danza, i due svassi, in perfetta sincronia, si immergono sott'acqua per poi riemergere con qualche fogliolina nel becco, per poi rapidamente alzatsi sull'acqua grazie al veloce movimento delle zampe e scambiarsi reciprocamente il cibo.
    Lo scopo di questo elegante rituale di corteggiamento non è l'accoppiamento - che avviene alcune settimane dopo: i due svassi tramite questo rituale rafforzano il loro legame affettivo. Grazie al frequente scambio di cibo e alle eleganti danze, creano una coppia affiatata. Più avanti durante l'anno, in genere tra marzo e aprile, la coppia sceglierà un luogo per il nido, che solitamente è una struttura galleggiante costruita vicino a canne, rami o altri supporti, vicino al margine di fiumi e laghi. Il nido è realizzato con i resti di piante acquatiche, alghe e fango; è abbastanza fragile, e più essere distrutto dal tempo inclemente o da attività umane. Io e Fenice eravamo abbastanza preoccupati nel vedere alcuni pescatori piazzare le loro imbarcazioni vicino alle canne, proprio nello stesso punto dove prima avevamo osservato il corteggiamento - speriamo che questi svassi possano trovare un luogo tranquillo per il loro nido, dove non vengano disturbati dalle persone.






    Ricco di piume e di soave canto, l'uccello innamorato disse a lei:
    <se fossi ricco e grande lo direi, offro soltanto amore e non mi vanto.
    Rallegro il giorno intero di gorgheggi, anche se minuto, assai zelante,
    ti diletto con fischi e con volteggi, sarò per te sicuro un buon amante.
    Ecco, sono per te questi saltelli, largheggio in trilli, canti e piroette,
    pasci i tuoi sguardi e se li trovi belli, sian le tue pretese bene accette>.
    L'adulata schernì, raspò incurante, d'una festuca fece bella mostra;
    volò lontano, s'eclissò un istante per poi abbandonarsi tutta nostra.
    Dispettosa guizzò, si volse a lato, lo scrutò sul retro come di sfuggita,
    e frugando saltellò nel vicinato.
    Tornò cantando, la voce intenerita:
    <taci, lesto alipede pennuto, conosco il tuo manto scintillante,
    molto galante trovo il tuo saluto. Mi piaci policromo e cangiante,
    eccomi a te mio spasimante>.
    Si alzarono in volo lievi e belli, fiottando con balzi sincopati
    e si perse il mio sguardo fra gli uccelli che l'acclamavano in coro rallegrati.

    Ugo Mastrogiovanni



     
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  11. gheagabry
     
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    Lieve batter d'ali, tra rovi e foglie secche, un lampo turchese, s'innalza dalla riva
    ed io stupita sorrido come fosse il Primo Giorno. Inaspettato incontro, fa gioire il cuore.



    IL MARTIN PESCATORE





    Il suo nome comune - non solo italiano, francese (martin-pêcheur) e spagnolo (martin pescador), ma anche inglese (kingfisher, "re pescatore"), portoghese (guarda-rios, "guarda fiumi") e tedesco (Eisvogel, “uccello di ghiaccio”) - allude al caratteristico comportamento di paziente e attenta attesa: il martin pescatore può infatti rimanere immobile anche per ore a scrutare la superficie dell’acqua.



    Nome volgare di uccelli appartenenti alla famiglia degli alcedinidi, caratterizzati da testa grossa, spesso crestata. Hanno corpo tozzo e paffuto, con zampe e piedi piccoli...Il martin pescatore presenta un piumaggio vivace e scintillante. Il capo, il dorso e le ali sono di color turchese metallico, mentre il ventre e la parte interna delle ali sono arancioni, così come le zampe; lateralmente all’occhio è presente una macchia in parte arancione e in parte bianca... Nella maggior parte delle specie la coda è breve, con l'eccezione dei bellissimi esemplari di kookaburra che vivono in Australia e Nuova Guinea. La forma del becco dei martin pescatori varia a seconda dell'alimentazione, che nella maggior parte dei casi è a base di pesce; le specie che vivono nella foresta mangiano, invece, invertebrati e piccoli vertebrati non acquatici. Vivono nelle regioni a clima temperato e tropicale di tutto il mondo e sono particolarmente abbondanti sulle isole dell'oceano Pacifico; nidificano in gallerie scavate in argini e terrapieni e depongono uova bianchissime.
    Variano per dimensioni dai 10 cm del martin pescatore del Madagascar, Corytornis cristatus, ai 46 cm del kookaburra australiano (Dacelo novaeguineae). Il comune martin pescatore eurasiatico (Alcedo atthis) vive a sud della Scandinavia, nidifica in tane scavate negli argini dei fiumi ed è difficilmente avvistabile quando si getta in picchiata sull'acqua dei fiumi per pescare. La sua colorazione, prevalentemente blu e arancio, ricorda da vicino quella del gruccione, che infatti rappresenta una specie affine. In Europa è anche possibile talvolta osservare il martin pescatore bianco e nero (Ceryle rudis), una specie molto rara, lunga 25 cm, che pesca sia in acque dolci sia in acque salmastre.
    Il martin pescatore non ama le acque turbolente e predilige le rive dei grandi corsi d’acqua, gli stagni e le paludi. In particolare ama le rive alberate e cespugliate dei piccoli fiumi con gli argini un po’ franati, così da poter facilmente costruire il nido.... la tecnica di caccia: il martin pescatore si posa su un ramo e scruta lentamente lo specchio d’acqua; nel momento in cui individua la preda s’immobilizza sino a che sferra l’attacco repentino e veloce come un lampo, anche se spesso termina con un insuccesso. Quando l’attacco si risolve con la conquista di un pesce, questo è sbattuto contro un ramo o su una pietra sino alla morte. La strategia di caccia si modifica anche in relazione alla preda: per i pesci che nuotano nel mezzo del corso d’acqua, il martin pescatore s’innalza di qualche metro e si ferma, sbattendo le ali ad una velocità frenetica e mantenendo il corpo in una posizione verticale poi, all’improvviso, si lancia sulla preda con una velocità e una potenza insospettabili. Questo uccello si nutre soprattutto di pesci, ma anche di insetti acquatici, vermi, crostacei e molluschi, girini e piccole rane. Le prede vengono ingoiate con difficoltà e tutte le parti indigeste (scaglie, lische e pinne) sono rigurgitate. Al di fuori del periodo riproduttivo è una specie solitaria, estremamente irascibile e territoriale che difende un tratto di fiume di 1-5 km. Non si fa spaventare nemmeno dalle dimensioni dell’intruso: anche un airone che si avventura su uno dei posatoi viene allontanato con dei veri e propri attacchi aerei. Il comportamento territoriale è talmente accentuato che tra le aree occupate da due individui (o da due coppie) si interpone una zona neutra, che raramente è visitata dai due vicini, e comunque in tempi diversi.




    Lo spettacolo di un Martino che sfreccia col suo volo rasente a pochi centimetri dall'acqua e del quale spesso non ci rimane che un'impressione di folgorante azzurro, è uno dei più belli cui possa assistere un amante della natura. La splendida colorazione non ha, ovviamente, una funzione estetica, bensì aiuta l'uccello a delimitare col volo il territorio di cui si impossessa, e a rendersi ben visibile ai suoi simili; nidifica in un tunnel scavato in una scarpata lungo la riva di un fiume o di un ruscello. Ha un temibile nemico nel gelo invernale; questa specie è infatti di origine asiatica e mal sopporta prolungati periodi di freddo intenso, anche per il ghiacciarsi dei corsi d'acqua in cui si nutre; perciò negli inverni più rigidi può abbandonare le zone abituali (è normalmente di abitudini sedentarie) per raggiungere le coste marine.






    ..... nella mitologia.....



    Nell'antica Grecia il 15 dicembre iniziavano i giorni alcionici, i sette che precedevano e i sette che seguivano il Solstizio d'Inverno. In questo periodo dell'anno il mare era calmo e l'alcedinide (il martin pescatore), uccello magico simbolo della dea Alcione, poteva deporre le uova. Secondo una leggenda greca Alcione, figlia di Eolo, re dei venti, aveva sposato Ceyx, il figlio dell’Astro del mattino. La loro felicità era così perfetta che essi si paragonavano a Zeus ed Era, e si attirarono così la vendetta degli dei. Furono trasformati in uccelli e i loro nidi, costruiti sulle rive del mare, sono continuamente distrutti dalle onde. Tale sarebbe l’origine del loro grido lamentoso. Ma Zeus, per pietà, due volte l’anno placa il mare per sette giorni, prima e dopo il solstizio d’inverno. Nel corso di questa bonaccia l’alcione cova le sue uova. A questo titolo è diventato un simbolo di pace e di tranquillità, ma di una pace che bisogna affrettarsi e profittare perché è breve.
    Uccelli di mare consacrati a Teti, divinità marina, una delle Nereidi, figli del vento e del sole del mattino, gli alcioni sono in collegamento col cielo e con gli oceani, con l’aria e con l’acqua. Rappresentano a questo titolo una fecondità insieme spirituale e materiale, ma una fecondità minacciata dalla gelosia degli dei e degli elementi. Il pericolo che essi evocano è quello dell’autogratificazione, dell’attribuzione ai propri meriti di una felicità che può venire solo dall’alto. Tale accecamento nella felicità espone al peggiore dei castighi. La leggenda dice che ella è la stessa Alcione che guida le Pleiadi. Quando le Pleiadi sorgono a Maggio, i mari sono sempre calmi.





    ...nella musica....



    ..un compositore che notoriamente adorava gli animali, ovvero Maurice Ravel...Nel bestiario musicale del compositore francese figurano i presupposti letterari di Jules Renard e di Colette, ispiratori dei due componimenti che offrono le raffigurazioni musicali più appassionanti del mondo animale: Les Histoires Naturelles e L'enfant et les sortilèges. Fra i ritratti di animali contenuti nelle Histoires Naturelles che Renard pubblicò nel 1899 in un delizioso volumetto illustrato da Toulouse-Lautrec, Ravel ne scelse cinque, il pavone, il grillo, il cigno, il Martin pescatore, la faraona, e li musicò per una voce con accompagnamento di pianoforte.
    Con affilata ironia Renard aveva dichiarato che nel comporre quei ritratti più che agli uomini aveva inteso far piacere agli animali. Ecco un modo disinvolto e brillante di liquidare la tradizione di antropomorfismo che da Esopo a La Fontaine, a Buffon aveva accompagnato gli animali nelle loro apparizioni letterarie. Ravel comprese perfettamente che l'allentarsi della stretta antropomorfica avrebbe dischiuso una dimensione oggettiva nella quale gli animali avrebbero potuto apparire con quella stupefacente ed enigmatica bellezza propria del realismo magico. Quei cinque ritratti sarebbero andati a formare i capitoli di una meditazione sulla natura condotta sul filo dell'ironia. Unica eccezione "il grillo", descritto al termine della giornata nell'atto di rientrare preciso e prudente nella sua ben ordinata dimora sotterranea.





    ....un racconto....



    "...Ad un certo punto, parte a picco dal ramo, e si getta in acqua un razzo colore azzurro metallizzato..velocissimo, quasi un missile, difficile da distinguere tra le altre cose colorate che circondano il paesaggio, anche perchè è molto piccolo, e sembra piò una lampadina uscita dal nulla, piuttosto che un animale.
    Affiora veloce.. è uno stupendo Martin Pescatore, con la sua preda in bocca..forse più grande e pesante di lui, e nonostante tutto riesce a volare con il suo pesciolino nel becco...Una meraviglia.
    Eccolo il mio piccolo amico, mi mostra le ali, il suo colore meraviglioso, ed è segno che qui, in questo paradiso, esiste davvero ancora una speranza di un mondo anche per loro.."





    .....una poesia......



    Martin guardò dal suo ramo
    e si immerse Pescatore,
    scese Martin Pescatore
    e Martin Pescatore pescò,
    scese Martin, uccello povero,
    e salì ricco Pescatore
    col suo carico d'argento vivo
    e qualche goccia d'acqua azzurra,
    perchè il pescatore Martin
    si nutre solo d'arcobaleno,
    della luce che ondeggia nell'acqua:
    e poi si siede e consuma
    pescherie palpitanti.
    (Pablo Neruda)




     
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  12. gheagabry
     
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    Alla zampa di ogni uccello che vola
    è legato il filo dell'infinito.
    (Victor Hugo)



    LA CICOGNA





    La Cicogna bianca (Ciconia ciconia) ha grandi dimensioni, piumaggio bianco e nero ed il becco lungo e appuntito con colorazione rosso-arancio, come le zampe. In piedi ha un'altezza superiore al metro ed un'apertura alare che supera il metro e mezzo. Il collo presenta le piume anteriori particolarmente lunghe, che conferiscono al petto un aspetto disordinato. Gli occhi grigi sono circondati da pelle nuda scura e il becco, lungo fino a 20 centimetri, è forte ed appuntito e risulta così particolarmente adatto alla caccia di prede medio-piccole (insetti, piccoli mammiferi, anfibi, rettili e piccoli uccelli) sul terreno, nell'erba alta o nell'acqua. Nidifica presso fiumi, laghi e nei centri abitati (caratteristici nidi sui tetti) e migra in Africa durante l'inverno, passando sullo Stretto di Gibilterra, sul Bosforo e in misura minore anche sull'Italia. Maschio e femmina possono rimanere uniti per tutta la vita, che per questo uccello può arrivare fino a 30 anni. Le cicogne sono mute ma emettono suoni battendo il becco.
    Solo le cicogne bianche e quelle nere hanno abitudini migratorie e fanno affidamento sulle numerosi correnti termiche per poter raggiungere le terre calde dove passeranno i mesi invernali, mentre le altre specie sono stazionarie.




    ..... miti e leggende ....


    Sacre a Era in Grecia e a Giunone a Roma, in quanto epifanie della Grande Madre generatrice di vita, le cicogne bianche hanno ispirato anche in Europa settentrionale credenze leggendarie, poi diffuse anche nel mondo latino, con al centro sempre il forte legame della specie con il mistero della creazione della vita.
    Così ebbe origine la credenza che portassero i neonati attraverso i camini, dopo aver pescato le loro anime dalle acque o dalle paludi, anche in conseguenza alla comparsa delle cicogne in primavera, periodo della rinascita della natura e della vita.
    La Cicogna bianca, essendo stata considerata a lungo un animale fedele, ha evocato antiche fantasie sulla sua incapacità di sopportare i tradimenti degli uomini.
    Ma il simbolo forse maggiormente rappresentativo della Cicogna bianca è quello della pietas verso i genitori anziani ed, ormai, incapaci di badare a se stessi. Tra i sostenitori di questa tesi troviamo gli Egizi, che usavano la cicogna per simboleggiare un uomo che ama il padre, e diversi importanti autori italici e greci, tra i quali ricordiamo Claudio Eliano, Aristofane, Orapollo, Artemidoro di Daldi e Basilio.
    Lo stesso simbolismo viene ritrovato anche nei bestiari medievali.
    Miseria e carità nella cristianità e longevità e protezione della vita in Cina e Giappone sono altri simboli conferiti alla specie nel corso della storia.
    L'abitudine della Cicogna bianca di predare le serpi, infine, le ha garantito una considerazione ed una importante protezione nei secoli, affinchè nessuno fermasse la loro opera liberatrice dei campi dai pericolosi rettili. Numerosi, in proposito, sono gli scritti e le raffigurazioni, anche negli emblemi araldici.





    Nelle tradizioni popolari dell’Europa legate alla figura della Befana, come pure a figure simili o comparabili, si possono individuare chiaramente dei tratti zoomorfi...Spesso nelle pitture i dell’area mediterranea la figura della dea si fonde con le raffigurazioni di uccelli quali l’airone rosso o la cicogna, animali carichi di energia fecondante e portatori di bambini. Le cicogne erano tenute in grande considerazione dai Tessali, tanto che chiunque osasse uccidere una cicogna veniva condannato all’esilio. Le tribù slave e germaniche attribuivano al picchio e alla cicogna il trasporto della fiamma celeste. La cicogna, che di solito appariva all’avvicinarsi della tempesta e della bufera, veniva ritenuta un simbolo di questi fenomeni naturali. Il colore rossiccio delle sue zampe dava il pretesto per metterla in relazione con le forze del fuoco e della luce del sole. In Germania si credeva che la casa su cui la cicogna nidificava fosse immune dal fulmine. Nessuno osava uccidere una cicogna, e nemmeno distruggerne il nido. Il cigno e la cicogna, oltre ad accompagnare i defunti nell’aldilà, sono portatori delle anime dei neonati mandati da Holda per iniziare la sua vita terrena..
    "La cicogna in autunno vola nel suo Engelland, il regno celeste, smette il suo abito pennuto ed assume aspetto umano. In primavera ritorna trasformata di nuovo in uccello, e nidifica sul tetto della casa accanto alle persone amiche."
    In Russia essa era accolta come un caro ospite e le si offrivano semi di lino e di canapa.
    La cicogna rappresentava la dea delle foreste, Holda, protettrice dei defunti e dei neonati, portatrice di doni e benefattrice, una figura analoga alla Befana e ben nota nel folklore della Germania settentrionale. Questo fatto presuppone un rapporto di identificazione tra la cicogna e la dea germanica, da ricondurre all’idea arcaica di un’assimilazione con gli avi defunti, rafforzata dal particolare comportamento delle cicogne, che sono solite far ritorno ogni anno al loro nido sul tetto della medesima casa.
    Il mito germanico allude alla compresenza nello stesso essere di una doppia natura: ora umana, ora animale.... L’azione del volo e l’aspetto aviforme fanno parte delle rappresentazioni teriomorfe degli spiriti, i quali giungono alle loro dimore passando tra i tetti e i camini.
    In una fiaba zigana la cicogna ricompensa con un dono fatato il pescatore e sua figlia che la ospitano e le danno del cibo.... si comporta come un’antenata mitica donatrice.
    La Perchta austriaca appare talvolta munita di becco e zampe di gallina, la Brezaia rumena, maschera natalizia femminile, è impersonata da un uomo che indossa un lungo mantello ed è cosparso di cenci multicolori. La testa è coperta da una maschera zoomorfa: di capro, lupo, gallo, cicogna o pavone.
    Il becco o la mascella dell’animale viene fatto muovere dall’uomo al ritmo di un violino.
    A questa maschera rumena corrisponde in Ucraina la Bereza, condotta attraverso i villaggi dai koledari (giovani che visitano le case alla vigilia di Natale), e a Bürgenland la Lutschere.
    (Claudia e Luigi Manciocco)





    ..........la cicogna ed i bambini ........



    La tradizione della cicogna che porta i neonati deriva da tempi nei quali l'uomo viveva una vita semplice, a contatto con la natura, e la cicogna era un uccello molto diffuso che era solito fare il suo nido sopra i tetti delle abitazioni.
    La cicogna, per il suo nido, preferiva i comignoli da dove saliva il calore del riscaldamento, che, essendo molto costoso, veniva accesso solo in rare occasioni, fra le quali la nascita di un nonato.
    Visto che l'osservazione popolare aveva notato che la cicogna sceglieva sempre case dove era nato un bimbo da poco, ha fatto sì che associasse la cicogna alla nascita di un bambino e che fosse proprio questo uccello a portarli.In realtà era semplicemente il calore del tetto ad attirarle, ma la fantasia popolare ha "romanzato" la realtà costruendo questa leggenda.



    "Tutti sanno che la cicogna porta i bambini, ma da dove li prendono? La risposta è nella stratosfera, dove la Gente delle Nuvole scolpisce i bambini nelle nubi e li porta in vita. Gus, una nuvoletta grigia, solitaria e insicura, è una maestra nel creare bambini "pericolosi". Coccodrilli, porcospini e altro: le creazioni di Gus sono veri e propri pezzi d'arte, ma piuttosto complicati da trasportare per la sua cicogna, Peck. Mano a mano che le creazioni di Gus diventano sempre più complicate da gestire, il lavoro di Peck diventa sempre più difficile. Come farà Peck a far fronte sia al suo carico pericoloso che al temperamento irritabile dell'amico?"
    Partly Cloudy, il cortometraggio Pixar




    ....un racconto d'amore....



    Le storie d’amore del mondo animale sono sempre molto romantiche e suggestive, soprattutto quando ci ritroviamo a riconoscere in loro alcuni comportamenti e affetti che siamo soliti considerare tipicamente umani e che invece, con grande sorpresa, riscontriamo anche nelle relazioni di un mondo che scopriamo sempre più spesso vicino al nostro (o forse siamo noi ad essere vicini al loro…).
    La storia di questa volta è riferita dal quotidiano Jutarnji List, e ha come protagonisti Rodan, un maschio di cicogna, e Malena, la sua amata, dalla quale ogni anno, in primavera, ritorna fedele.
    Rodan infatti, proprio in questo periodo, da cinque anni ormai, affronta un viaggio di 13000 chilometri dal Sudafrica, per poter tornare nel piccolo villaggio di Brodski Varos, nell’est della Croazia, dove si trova la sua amata Malena, compagna di una vita, che a causa di una ferita non può compiere il viaggio annuale di migrazione; i due, ricongiunti in primavera, come ogni anno ricostruiscono il loro nido. Gli studiosi e i volontari che si prendono cura delle cicogne della zona, come Stjepan Vokic, che dal 1993 segue Malena, dopo che è stata ferita da alcuni cacciatori, raccontano che Rodan è sempre il primo a tornare al nido e alla sua compagna, mentre le altre cicogne ritornano nella zona solitamente dopo cinque o sei giorni.
    Quest’anno addirittura il ritorno di Rodan è stato accolto da giornalisti e curiosi, richiamati dalla fama del “cortese” compagno, venuto come al solito ad incontrare la propria compagna, e assolutamente incurante dei “paparazzi” e della loro curiosità si è diretto subito da lei, che lo aspettava.
    Per le due cicogne questo è il quinto anno di accoppiamento, e i quattro o cinque pulcini che nasceranno saranno educati al volo da Rodan (visto che Malena non è in grado di farlo, per via della sua ferita), e in inverno se ne andranno con il loro padre in Sudafrica, mentre Malena aspetterà, come ogni anno, il ritorno del suo amato compagno di vita.
    dal web




    ...... una favola ......



    Tanto tempo fa, quando Adamo viveva ancora in Paradiso, radunò tutti gli animali e cosí parlò loro:
    – Cari animali! Voi non potete continuare a stare eternamente in ozio.
    Ognuno di voi deve imparare a fare qualcosa di utile.
    Tra un mese vi chiamerò di nuovo, e voi dovrete mostrarmi ciò che avete imparato!
    Gli animali si allontanarono ed ognuno di essi cominciò ad imparare un mestiere.
    Le api appresero a fare il miele, le formiche a costruirsi case e gallerie,
    il gallo ad annunziare il giorno, il picchio a bucare il legno.
    Ma la cicogna e la carpa non impararono nulla.
    Il mese trascorse e Adamo convocò di nuovo gli animali e chiese loro cosa avessero imparato.
    Il leone venne avanti e ruggí maestosamente:
    – Hai appreso a ruggire in modo splendido e terribile, – disse Adamo, – perciò sarai il re degli animali. Non hai bisogno di imparare niente altro.
    Ora, voialtri, mostratemi cosa sapete fare.
    L'ape cominciò a fare il miele, la formica si costruí una casa, il picchio bucò un pezzo di legno,
    il gallo annunziò il giorno. Adamo era molto soddisfatto:
    – E voialtri? – chiese, rivolgendosi alla cicogna ed alla carpa, che stavano nascoste dietro a tutti.
    La cicogna, perplessa, non sapendo cosa dire, fece schioccare il becco.
    – In verità non hai imparato molto, – osservò Adamo, – ma sbatti graziosamente il becco: e cosí continuerai a fare per sempre.
    Ma la carpa non aveva un becco, e quindi non poteva sbatterlo.
    Rimase perciò seduta in silenzio, attendendo gli eventi.
    – Ecco, – disse bruscamente Adamo, – non sai niente di niente, ecco perché stai zitta.
    Bene, resterai per sempre zitta e non voglio piú averti davanti ai miei occhi!
    E da allora la carpa è rimasta muta e vive sul fondo dell'acqua, in modo che nessuno possa vederla.




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  13. gheagabry
     
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    una favola

    L'origine delle Cicogne



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    Tanto tempo fa viveva in una grande città un potente qadi*. La sua posizione gli aveva procurato enormi ricchezze che gli aveva accumulato con avidità. Ci fu un anno in cui la pioggia non cadde, i contadini non raccolsero nulla dai campi e quando finirono le provviste di grano, gli abitanti della città non sapevano più come sfamarsi.

    Si recarono quindi dal qadi ben sapendo che i suoi magazzini erano pieni. Gli dissero: " Abbiamo fame, vendici un po' del tuo grano ". Il qadi chiese loro di tornare il giorno dopo e promise che avrebbe distribuito a ciascuno un po' di grano. Dopo che se ne furono andati il qadi ordinò ai suoi servi di trasferire il grano nella stanza superiore e di appendervi una bilancia. Questa stanza dava su due scale: una per salire e l'altra per scendere. Nella notte il qadi prese un pezzo di sapone e lo spalmò sui gradini della scala per scendere.

    Il giorno dopo gli abitanti della città salirono nella stanza riempirono i sacchi di grano, pagarono il qadi e se ne andarono con i sacchi sulle spalle. Ma nello scendere la scala insaponata scivolarono e caddero a terra, rovesciando il grano. Il qadi alle loro spalle si sbellicava dalle risate, ma Dio lo punì trasformandolo in una cicogna, la sua camicia in piume bianche ed il suo mantello in ali nere


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    Un leggenda Maya dice che i primi due colibrì furono creati dai piccoli ritagli avanzati dalla creazione degli altri uccelli. Erano riusciti così bene che quel Dio decise di farli sposare e preparò un'elaborata cerimonia nuziale: vi contribuirono le farfalle, i fiori con un tappeto di petali colorati, i ragni con ragnatele lucenti e poi il sole mandò i suoi raggi che causarono il brillare dello sposo con brillanti luci rosse e verdi..



    IL COLIBRI'





    Il Colibrì è l’uccello più piccolo del mondo. ....Sono dotati di un piumaggio dagli splendidi colori iridescenti (in modo particolare nei maschi adulti, mentre giovani e femmine in genere hanno colori più tenui)..La particolarità è che i bellissimi colori non sono dovuti alla presenza di pigmenti sulle penne, ma all’interferenza dei raggi luminosi attraverso la struttura prismatica delle diramazioni perpendicolari dei rami delle penne, che scomponendo la luce solare riflettono una parte dell’iride, dando la sensazione di riflessi metallici...Il piumaggio iridescente permette ai Colibrì di rendersi invisibile ai predatori confondendosi con il colore dei fiori.
    Il becco, appuntito, per lo più diritto o leggermente ricurvo, è talvolta lunghissimo e serve per succhiare il nettare dei fiori o per cibarsi di ragni e piccoli insetti che catturano in volo o all’interno delle corolle.
    Nel suggere il nettare il becco rimane intriso del polline dei fiori, in questo modo spostandosi da un fiore all’altro funge da veicolo naturale per l’impollinazione ... la forma del becco, che si adatta perfettamente al fiore, ciò suggerisce che vi sia stata nel tempo una co-evoluzione tra fiore ed uccello con vantaggio reciproco: la pianta si è assicurata un ottimo impollinatore e il Colibrì una fonte di cibo in esclusiva.

    ....ne esistono 334 specie, distribuite in tutto il continente americano ed in particolare in Sud America.
    Il più piccolo è il Colibrì Elena (calypte helenae) che pesa circa 1,6 grammi ed è lungo 5,7 cm (di cui 1,25 cm occupati dal solo corpo, il resto da coda e becco)...e il Colibrì di Vervain (mellisuga minima) di dimensioni pressoché analoghe...Entrambi sono più piccoli di molte specie di farfalle e falene con le quali condividono gli ambienti della foresta tropicale ed il loro nido è grande circa quanto mezza noce.
    Il più grande è il Colibrì Gigante (patagona gigas) che pesa 20g ed è lungo 21,5 cm.




    "Il nido di un colibrì è forse il più piccolo nido del mondo: una tazza da tè di un servizio da bambole.
    Ed è difficilissimo da scovare. Ma se ne trovate uno, dentro potrete lo scorgere tre minuscole uova o tre minuscoli colibrì, teneri, implumi e con i beccucci spalancati.
    Bzzz! Allora sentirete anche un singolare ronzio.
    Se vi allontanate potrete forse scorgere Mamma Colibrì
    che dà l'imbeccata ai suoi piccoli. Le sue ali si muovono così rapidamente che si fatica a vederle.
    Ha la testolina e il petto brillanti, il becco lungo e sottile... un nido di colibrì in un cespuglio estivo è la cosa più colorata, più tenera e più segreta fra i colori, le tenerezze e i segreti di giugno."
    K. Jackson




    ....il volo......



    Il movimento delle ali consente alla maggior parte degli uccelli di compiere vere e proprie prodezze. Grazie a un colpo d’ala essi sono in grado di cabrare, planare, compiere una picchiata e riprendere quota con vertiginose impennate. Ma solo un genere di uccello è in grado di volare all’indietro: il colibrì.
    A differenza degli altri colleghi pennuti, i colibrì posseggono ali in grado di ruotare di quasi 180 gradi rispetto alla linea mediana del loro corpo. Questo particolare e unico movimento è garantito dalla possente articolazione della spalla, un fascio leggerissimo ma resistente di muscoli e tendini che permettono movimenti altrimenti impossibili...La considerevole inclinazione raggiunta dalle loro ali consente ai colibrì di muoversi all’indietro con estrema precisione e controllo, così come di sostare a mezz’aria per nutrirsi del nettare di un fiore. Testa alta e corpo praticamente verticale, il colibrì batte le ali fino a ottanta volte al secondo, mentre il suo becco lungo e affusolato aspira il nettare dai fiori. Cibarsi in volo non è però così semplice e, per estrarre il becco dalle corolle floreali, il colibrì deve forzatamente volare all’indietro.
    Molto indaffarato lungo il dì, durante la notte il colibrì rallenta considerevolmente il proprio metabolismo abbassando la propria temperatura corporea. Ciò gli consente di sopravvivere, razionalizzando al massimo le scarsissime riserve di energia di cui dispone quando non si nutre di fiore in fiore.





    .........miti e leggende.........



    Per la sua spiccata aggressività, la rapidità nel volo e nelle acrobazie, per gli stupendi colori di cui è dotato, le antiche civiltà americane lo consideravano la reincarnazione di valorosi guerrieri caduti in battaglia e la rappresentazione in terra del dio Sole.
    Gli Atzechi adoravano il dio “colibrì azzurro “ e ad esso innalzarono il loro tempio.
    Il popolo Nazca lo ritrasse nella Pampa di Ingenio, in Perù, in un enorme disegno visibile solo dall’aereo (del quale ancor oggi non si conosce il significato).
    Nessuno, in passato, è riuscito a resistere all’incanto di questa creatura.
    Cristoforo Colombo lo descriveva come “piccolo meraviglioso uccello tanto diverso dai nostri”.
    I grandi maestri della zoologia, ciascuno con un proprio stile, cercarono poi di descriverlo con le loro parole.Audubon lo comparò a “frammenti di arcobaleno”, Goeldi lo descrisse come “pietra preziosa e fiore convertito in animale”, altri semplicemente come “gioia della natura”.


    Come tutti gli uccelli, quale più quale meno, il colibrì simboleggia la libertà, ma ha anche un altro significato: non sono importanti il passato o il futuro, è importante vivere l´adesso, succhiando il nettare della vita.
    Il colibrì simboleggia la libertà di movimento, l'energia, la perenne gioia, il godere del nettare della vita, il perseguire sogni idee e cose ritenute dai piu impossibili.
    Rappresenta la gioia di vivere e la capacità di imparare dalle proprie esperienze.
    E' correlato agli dei sudamericani Quetzalcoatl and Huitzilopochtli
    (dio della guerra, dell'agricoltura e della civiltà) e rappresenta un simbolismo solare.

    Il colibrì per gli indiani Taino simboleggia la rinascita , per altri popoli del nord america simboleggia l'amore, la bellezza, l'intelligenza, l'agilità.....è visto come un messaggero: se appare in momenti di grande tristezza o dolore la consolazione seguirà a breve.Simboleggia anche la fragilità della natura e di tutti gli esseri viventi .

    Il colibrì è il protagonista di una parabola che così recita: durante un incendio nella foresta, mentre tutti fuggivano, un colibrì volava in senso contrario con una goccia d'acqua nel becco. "Cosa credi di fare!" gli chiese il giaguaro. "Vado a spengere l'incendio!" rispose il piccolo volatile. "Con una goccia d'acqua?" disse il giaguaro con un sogghigno di irrisione. Ed il colibrì, proseguendo il volo, rispose:
    "Io faccio la mia parte!"




    Una leggenda racconta che il colibrì sia il Sole travestito
    che stia facendo la corte ad una magnifica donna: la luna.


    .........una favola.........




    Attraverso i campi, per la foresta e nelle valli corse subito la voce: "Domani ci sarà la grande assemblea. Domani nessuno deve mancare"
    Da un albero all'altro, di ramo in ramo, di nido in nido, volavano gli uccelli a trasmettere la notizia. Dovevano riunirsi per trattare un affare molto importante… Il problema incominciò quando il colibrì, guardandosi le piume, sospirò: "Come sarebbe bello avere le piume del colore dei fiori!… "
    Tutto ciò accadde, naturalmente, molto ma molto tempo fa, nessuno sa quando, perché ancora non c'era un solo uomo sulla terra; quando ciò accadde gli uccelli avevano tutti lo stesso colore: il colore della terra.
    Invece i fiori!… Che colori vivaci avevano!… rosso, giallo, azzurro…
    Colori così diversi e lucenti che gli uccelli se n'erano innamorati.
    Per questo, quando il colibrì disse: "Che bello se io avessi le piume del colore dei fiori", tutti gli altri uccelli cominciarono a pensare:
    "Se io fossi rosso…"
    "Se io fossi azzurro…"
    "Se io fossi giallo…"
    "Io vorrei avere tutti i colori…"
    "Io rosso, azzurro e giallo. "
    "Io, verde. "
    "Come sarebbe bello! "
    Ci fu un tale pigolio e cinguettio di voci confuse che non si capì più niente. La civetta allora disse tre volte: "Cist! Cist! Cist!" Tutti zittirono. "Faremo una riunione" disse strizzando un occhio "e decideremo il da farsi. Domani, tutti qua" continuò strizzando l'altro occhio.
    Il giorno dopo tutti gli uccelli giunsero al bosco. Il pappagallo, il fringuello, la cutrettola e il canarino. Il cardinale, l'arara, l'usignolo e la monachella. Il picchio, la cocorita e l'uccello mosca col pettirosso e l'uccello muratore e il merlo e il tordo. Poi molti, molti ancora. C'erano tutti, nessuno mancava.
    Si diffuse subito un tale cicaleccio che non si capiva più nulla.
    Come avrebbero fatto a dipingere le loro piume? Dove trovare i colori? Alcuni dicevano una cosa, altri un'altra. Quand'ebbero espresso la loro opinione la civetta allora disse tre volte:
    "Cist! Cist! Cist!" e tutti zittirono.
    "Abbiamo deciso che la cosa migliore è metterci in viaggio verso il cielo per chiedere al dio Inti, il Sole, la grazia che dipinga le nostre piume come dipinse i fiori" disse socchiudendo tutti e due gli occhi.
    La proposta fu approvata da tutti: era senz'altro la decisione migliore. Come mai non ci avevano pensato prima?
    Sprizzavano di gioia sognando già gli splendidi colori, e cominciarono a prepararsi per il viaggio. Sarebbe stato un viaggio difficile, molto lungo… è così lontano il cielo! All'alba, prestissimo, partirono tutti. O meglio, tutti no. Alcuni rimasero perché il loro colore della terra non era poi tanto brutto, e a qualcuno piaceva. Anche il colibrì rimase: piccolo com'è, non poteva volare così in alto.
    "Non importa" disse "andate voi, io resterò qui a giocare coi fiori perché non si sentano tristi per la vostra lontananza."
    E così spiccarono il volo; e volarono, e volarono, volarono sempre più in alto fino a stancarsi le ali. Ma continuavano lo stesso a volare, senza fermarsi mai.
    Fu allora che il dio Inti, sbirciando da dietro una nuvola, li vide salire affannosamente per giungere a lui. Impietosito pensò: "Poveri uccellini! Il loro desiderio è giusto e molto bello. Ma non potranno mai giungere fino a me. Non ne avranno la forza e il mio calore li ucciderà."
    Allora la dea Mammaquilla, la Luna, gli sussurrò: "Perché non li aiuti, potente Inti?" "Lo farò" rispose il Sole.
    Riunì alcune nuvole sparse e diede loro l'ordine di piovere. La pioggia cominciò.
    Gli uccelli, spaventati, si lamentavano della triste sorte. "Adesso, cosa facciamo? " "Siamo così stanchi!… "
    "La terra è già lontana! " "E il cielo è più lontano ancora…"
    Ma Inti, in quel momento comandò che la pioggia cessasse e, aprendo un focherello tra le nubi, mandò qualcuno dei suoi raggi. Fu come un prodigio. Ciò che allora videro gli uccelli era così bello che stentarono a crederci. Un grande arco attraversava il cielo: un arco di sette colori che incominciava qui, percorreva il cielo con una curva perfetta e terminava là, dall'altra parte.
    Sì, quello era più bello di tutti i colori dei fiori. Quello era il colore del cielo! Gli uccelli impazzivano di gioia: volavano di qua e di là inzuppandosi dei colori dell'arcobaleno come in un bagno di magia, alcuni si vestivano d'azzurro, altri di rosso, altri di giallo; altri ancora passavano dal rosso all'azzurro, dal giallo all'arancione o dal verde al viola. Uno solo, quasi ubriaco, attraversò tutti i sette colori; per questo ancora oggi si chiama sette"colori. C'era chi intingeva il corpicino in un colore e il capo nell'altro; chi si spruzzava solo alcune piume di qua, altre di là… Non s'era mai vista una cosa simile. E il dio Inti sorrideva, sorrideva.
    Al ritorno la gazzarra fu generale: cantarono e ballarono sette giorni in onore del dio Sole e della dea Luna.
    Tutti fecero festa; anche i passeri e gli altri uccelli rimasti del colore della terra.
    E il colibrì? Anche il colibrì. Perché i fiori, riconoscenti della sua compagnia, gli avevano regalato un poco del loro colore. Per questo ha colori così delicati, sfumati e cangianti; ma è tanto piccolo e mobile che noi appena possiamo notarli.
    Come dicevamo la festa durò sette giorni, cioè fino a quando la civetta, per tre volte, sentenziò:
    "Cist! Cist! Cist!"
    E strizzando prima un occhio e poi subito l'altro disse: "È già ora di andare a dormire."
    - leggenda degli indios Calchaquì -





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