UCCELLI E VOLATILI

..volatili domestici .. e del mondo

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  1. gheagabry
     
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    Il POLLO SULTANO


    Pochi conoscono il Pollo sultano, eppure è uno dei più belli e colorati abitanti delle zone umide mediterranee. Con il suo piumaggio blu e porpora dai riflessi turchesi che contrasta col bianco candido del sottocoda e con il rosso brillante delle zampe e del becco, sembra una esuberante meraviglia tropicale finita per errore in mezzo alla nostra sobria fauna temperata. In effetti, in un certo senso, è proprio così. Il Pollo sultano è ampiamente distribuito nelle regioni tropicali dell'Africa e dell'Asia meridionale, spingendosi fino in Australia e Nuova Zelanda. La specie è costituita da numerose sottospecie (di cui alcune ormai considerate specie a sè) che occupano parti diverse di questo grande areale. La sottospecie nominale "porphyrio" è indubbiamente una delle più rare e occupa l'estremo nordorientale dell'areale ovvero le coste del mediterraneo occidentale. Anticamente la si trovava in tutta la penisola iberica, nel Magreb, in Italia Meridionale e in Grecia. Il Pollo sultano è un Rallide (appartenente quindi all'ordine dei Gruiformi e alla famiglia dei Rallidi) cosi come le più famigliari Folaga e Gallinella d'acqua. E' strettamente legato agli ambienti palustri ed in particolare ai densi canneti. Qui nidifica in nidi costituiti da ammassi di vegetazione palustre e qui trova i suoi alimenti preferiti: germogli e semi di vegetazione acquatica e palustre ma anche insetti, molluschi e peschi morti. Le sue grandi zampe dotate di lunghissime dita sono altamente adattate a camminare sulla vegetazione galleggiante in cui svolge gran parte della propria vita. Tende infatti a volare poco e a spostarsi essenzialmente a piedi all'interno dei folti canneti. La forte dipendenza del Pollo sultano dalle zone umide è all'origine del suo declino. Questi ambienti si sono fortemente ridotti, infatti, nel corso dell'ultimo secolo in seguito ad ampi progetti di bonifica. Ove sono rimasti ancora habitat adeguati, la specie è spesso stata eliminata dagli eccessi della caccia. Essendo un uccello grosso, appariscente e spesso molto confidente, cadeva facilmente preda dei cacciatori. Le popolazioni di Pollo sultano si sono cosi ridotte progressivamente fino a rischiare l'estinzione della sottospecie mediterranea. Scomparso da buona parte del suo areale inclusa l'Italia peninsulare e la Sicilia, resiste solo in Nord Africa e nelle sue due grandi roccaforti: la Spagna e la Sardegna. Per fortuna negli ultimi anni questo declino è stato contrastato ed addirittura invertito. La tutela di molte delle rimanenti aree umide e la cessazione della persecuzione diretta hanno permesso alla specie di tornare a livelli di popolazione accettabile e di espandersi anche a zone in cui era scomparsa. (lipu)

    .... l'inconsapevole naturalista: Paul Gauguin ....


    In un'epoca in cui si parla sempre più frequentemente di multimedialità e di ricerche interdisciplinari, persino la storia dell'arte può essere di supporto alla zoologia. Persino il pittore impressionista francese Paul Gauguin ha dato un contributo inconsapevole all'identificazione di un animale di una specie quasi del tutto sconosciuta. Infatti, Gauguin, dopo un soggiorno in Francia, rientrò in Polinesia nel 1895 e vi rimase fino al 1901. In quell'anno si trasferì a Hiva-Oa, nelle Isole Marchesi, dove rimase fino alla sua morte. Durante quest'ultimo periodo trascorso nel Pacifico, Gauguin dipinse il quadro chiamato "Le sorcier d'Hiva-Oa" o anche "Le Marquisien à la cape rouge", oggi conservato al Musée d'Art Moderne et d'Art Contemporain di Liegi. Nel dipinto è ritratto Hapuani, uno stregone indigeno, che ha alla sua sinistra un cane, che certo non si segnala per realismo, ed un uccello. Proprio quest'ultimo ha attirato l'attenzione di un naturalista che, nel 1994, ha notato che mentre il cane era raffigurato sommariamente, l'uccello doveva aver incuriosito l'artista che lo aveva raffigurato con tratti ben precisi. Da una sessantina d'anni gli ornitologi erano alla ricerca di indicazioni su di un uccello senz'ali, chiamato dagli indigeni Takahe, Koao o Moho, descritto nel 1937 dall'esploratore Thor Heyerdahl. Questa sorta di quaglia con piume lanuginose di colore azzurro-violaceo e priva di ali, di cui parlavano gli abitanti degli arcipelaghi polinesiani, veniva identificata, di volta in volta, con la Porzana tabuensis, con il pollo sultano (Porphyrio porphyrio) e con il takahe (Porphyrio mantelli). La correlazione con l'animale che appare nel dipinto, ha consentito, invece, di identificare con certezza questa specie di Hiva-Oa come una variazione del takahe, il Paepae (Porphyrio paepae). Gauguin non aveva alcuna intenzione di fare l'illustratore naturalista ma, per una volta, forse inconsapevolmente o forse perché attratto da quella specie mai vista, lo era stato... e con successo.
    (natura segreta)
     
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  2. gheagabry
     
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    Il MANACHINO DELIZIOSO


    Il manachino delizioso è un piccolo passeriforme appartenente alla famiglia dei pipridi che comprende 21 generi è 59 specie tutte viventi nella fascia non tropicale. Questi uccelli possiedono una coda corta, becco largo e zampe lunghe; il dimorfismo sessuale è netto. La particolarità che rende unico il manachino è il rituale di corteggiamento. L’uccello infatti cerca di attrarre la femmina con suoni armoniosi simili alle note di un violino a ad un canto di un grillo. Il manachino delizioso vive sulle pendici occidentali della Cordigliera delle Ande, in Colombia nord-occidentale e nelle foreste pluviali dell’Equador. Questi uccelli si alimentano soprattutto di bacche e piccoli frutti e qualche insetto. Il nido ha una forma simile a quella di un’amaca e viene costruito tra i rami: solo la femmina si occupa della cova delle uova. L’incubazione dura circa tre settimane.

    Al manachino delizioso (Machaeropterus deliciosus) le ali non servono solo per volare. Questo piccolo uccello che vive nelle foreste pluviali dell'Ecuador con le ali suona serenate per convincere le femmine ad accoppiarsi con lui. I rituali di accoppiamento nel mondo animale sono tanti e non di rado curiosi; certo è che quello che fa il Machaeropterus è davvero originale, almeno tra gli uccelli. A differenza degli altri volatili che corteggiano le femmine emettendo suoni vocali, il manachino sembra preferire il metodo di quegli insetti che, come i grilli, producono suoni col loro stesso corpo. Proprio come un grillo, infatti, l'uccello sudamericano sfrega le ali a una tale velocità da emettere suoni decisamente armoniosi, simili a quelli di un violino. Il suono, unico nel suo genere tra i vertebrati, è prodotto da una progressiva ed estrema modifica alle ali secondarie: già Darwin nel 1871 descrisse l’unicità del corteggiamento del manachino nel mondo dei vertebrati ma non riuscì a capirne il meccanismo. Emette un "fischio" lungo e acuto, simile al suono di violino. Il tutto senza mai aprire il becco. Il manachino delizioso, infatti, produce lunghe e delicate note facendo vibrare le ali 106 volte al secondo e ogni ala presenta circa sette venature che, sfregando una contro l’altra le sue speciali piume zigrinate..sfregandosi tra loro, moltiplicano la frequenza del suono di quattordici volte. Gli esperimenti hanno confermato che le piume del pennuto vibrano alla frequenza record di 1500 hertz, e che le altre piume, quelle "lisce", completano il concertino funzionando da cassa di risonanza per le penne speciali.
     
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  3. gheagabry
     
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    Il BECCO D'IBIS



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    Il becco d'ibis (Ibidorhyncha struthersii, Vigors 1832) è un uccello unico rappresentante della famiglia degli Ibidorhynchidae e del genere Ibidorhyncha. Questo uccello vive nell'Asia centrale e orientale. In particolare lo si osserva in Cina (Tibet e Xinjiang soprattutto), India, Nepal, Bhutan, Russia meridionale, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tajikistan, Afghanistan, Pakistan e Myanmar. Raggiunge una lunghezza di 40 cm ed è caratterizzata da piumaggio bianco e grigio, con faccia e banda pettorale neri. Ha un lungo becco ricurvo e zampe rosse. Si nutre di invertebrati lungo le rive sassose dei torrenti.





     
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  4. gheagabry
     
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    L'IBIS EREMITA



    Questo grande uccello possiede il becco sottile e curvato in avanti. Il piumaggio è completamente nero con dei riflessi metallici verdi, viola e bronzei; il capo quasi privo di penne è rosso così come il lunghissimo becco ricurvo. Le zampe, forti e robuste, sono anch’esse rossastre. L’ibis eremita è lungo 70-80 cm e presenta un’apertura alare di 125-135 cm. Il maschio solitamente è più grande della femmina. Questo uccello ha colonizzato deserti di montagna e zone umide di altopiani e coltivi. Lontano dal periodo riproduttivo, l’ibis eremita occupa dirupi e montagne particolarmente inaccessibili. Nonostante originariamente l’ibis eremita nidificasse anche nell’Europa meridionale e in Medio oriente, oggi è limitato al Marocco. I motivi del declino non sono noti, anche se forse è associato ad una certa incapacità di adattarsi ai cambiamenti di disponibilità alimentare e alle variazioni climatiche (ad esempio clima eccessivamente secco determina un’elevata mortalità tra i giovani). E’ una specie gregaria e vive in gruppo durante tutto l’anno. In particolare nella stagione
    invernale si possono aggregare da pochi sino ad oltre cento individui. Quando si spostano da una zona ad un’altra, ad esempio da quella di riposo a quella di alimentazione, volano con una
    formazione a V.
    L’ibis eremita si nutre principalmente di piccoli animali invertebrati, scovati con il lungo becco tra le rocce e sotto le foglie. La ricerca di cibo può avvenire singolarmente oppure in gruppo.
    Per la nidificazione coloniale sono utilizzati dirupi in ripide vallate protette ed inaccessibili. Il nido è costruito con ramoscelli, erbe e paglia ed è il maschio a scegliere l’area ideale, comunicando poi con particolari richiami alla femmina la sua disponibilità all’accoppiamento. Solitamente i nidi distano tra loro circa 15 cm. Le uova sono incubate per 3-4 settimane e i giovani ibis sono indipendenti dopo circa 50 giorni.

    Un tempo la specie era piuttosto diffusa lungo le zone rocciose e le scogliere di Europa meridionale, Medio Oriente e Nordafrica. Il declino numerico dell'ibis eremita è cominciato secoli fa e almeno fino ai primi del '900 le sue cause sono ignote: dall'inizio del XX secolo però la popolazione di ibis ha subito un calo drastico, pari al 98% circa, dovuto alla combinazione di vari fattori, in primis la caccia di frodo, ma anche la distruzione dell'habitat per far posto ad allevamenti e piantagioni di tipo intensivo, l'utilizzo di pesticidi, il disturbo delle rotte migratorie e delle colonie riproduttive a causa dell'eccessiva antropizzazione. Attualmente l'ibis eremita è scomparso dalla maggior parte dell'habitat originario e allo stato selvatico ne rimangono solo poche colonie isolate in Marocco e Siria (dove peraltro è stato riscoperto solo nel 2002), per un totale mondiale di circa 550 individui selvatici. Parallelamente alle colonie selvatiche sono però presenti, specialmente in Europa, colonie semiselvatiche o in cattività di questi uccelli per un totale di un migliaio di esemplari circa: a partire da queste sono in fase di studio o di attuazione vari programmi di reintroduzione dell'ibis eremita nel suo ambiente originario.

    Il nome del genere, Geronticus, deriva dal greco antico γέρων (geron, col significato di "anziano nell'aspetto") e si riferisce all'aspetto arcigno ed alla testa glabra e rugosa di questi animali, che in qualche modo ricorda la testa pelata di una persona anziana: il nome della specie, eremita, deriva invece dal latino, a sua volta mutuato dal greco antico ἐρημία (eremia, col significato di "deserto" o "solitudine"), in riferimento ai luoghi aridi e rocciosi che la specie elegge a propria dimora.

    La prima illustrazione di un ibis eremita risale al 1555, quando il naturalista svizzero Conrad Gessner mostra uno di questi animali nel bestiario Historiae animalium, descrivendolo come "Corvo sylvatico". Nel 1758 la specie è fra le prime ad essere classificata secondo la nomenclatura binomiale da Linneo, che nella prima edizione del Systema naturae le assegna prima il nome di Corvus sylvaticus, in accordo con Gessner, ed in seguito ribattezza la specie Upupa eremita. Bisognerà attendere il 1832 perché l'erpetologo tedesco Johann Georg Wagler riclassifichi la specie, ascrivendola all'attuale genere.
    (dal web)






     
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  5. gheagabry
     
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    L'UCCELLO MARTELLO



    L’uccello martello appartiene all’ordine dei Pelecaniformi: è l’unico rappresentante della famiglia Scopidae e del genere Scopus. Il suo nome deriva dal ciuffo compatto di penne che si prolungano oltre la nuca. Pesa circa 470 grammi ed è lungo 56 cm.

    Il suo piumaggio è marrone grigio con iridescenze viola sulla schiena. La testa è lunga, piatta e leggermente adunca. E’ simile a quella del becco a scarpa (Balaeniceps rex) e del becco a cucchiaio (Cochlearius cochlearius) probabilmente a causa di evoluzione convergente. Ha il margine interno dell’unghia del dito medio dentellato come negli aironi, possiede il dito posteriore della zampa come nel fenicotteri, ha le proteine dell’albume tipiche delle cicogne e ancora ectoparassiti che si ritrovano nei pivieri. Per confondere ulteriormente le cose, le sue abitudini e il comportamento sono unici: per questo motivi i tassonomisti hanno deciso di classificarlo come unico appartenente della propria famiglia.



    Detto anche umbretta, è caratterizzato da piumaggio uniformemente grigiobruno e zampe nere piuttosto corte; l’unghia del dito medio è dentellata come negli aironi, ma sono assenti le zone di piumino pulverulento. Il becco, grosso e robusto, appiattito lateralmente e con parte superiore lievemente uncinata, è nero. Sulla nuca si nota una cresta di penne rivolte all’indietro, che conferisce al capo l’aspetto di un martello. Ghiotto di rane, pesci e altri piccoli animali acquatici, l’uccello martello ama posarsi sul dorso degli ippopotami e lasciarsi trasportare sulle acque fangose, dove cattura le sue prede.

    Il collo e le gambe sono più brevi di quelli della maggior parte dei ciconiformi (questo spiega l’abitudine di cibarsi in acque basse)...ha i piedi parzialmente palmati per motivi ancora poco noti (forse si tratta di una reliquia del passato evolutivo di questa specie). Il becco è a punta analogamente agli aironi. La sua coda è corta e le sue ali sono grandi, ampie con punta arrotondata. Il volo è un misto di volo battuto e di planate con le zampe distese all’indietro. Il collo è ritirato nel volo battuto e disteso in quello planato.



    L’uccello martello è endemico dell’Africa sub-sahariana, Madagascar e costa sud-occidentale dell’Arabia Saudita. Vive in ambienti umidi (laghi, fiumi, estuari) compresi i terreni irrigati come risaie ed anche savane e foreste. La coppia è stanziale anche se si può spostare durante la stagione delle piogge. si alimenta da solo o in coppia durante il giorno. Il cibo è costituito soprattutto da anfibi, in particolare adulti e girini di rane (Xenopus). Si nutre anche di pesci, gamberi, insetti e roditori. Cammina in acque poco profonde in cerca di prede, magari rastrellando le zampe sul fondo o aprendo improvvisamente le ali per far uscire la potenziale preda dal suo nascondiglio. Può catturare le prede anche in volo.



    Questo volatile costruisce dei nidi di straordinarie dimensioni. Quando è finito può pesare fino a 50 chilogrammi, misurare 1,8 metri dalla base alla sommità del tetto. Come materiale utilizza rami più o meno pesanti, foglie, canne, ossa, piume … etc. Il luogo scelto per “l’installazione artistica” è una biforcazione di tronchi vicino ad un fiume. Il lavoro è svolto sia dal maschio che dalla femmina: dopo circa una settimana la piattaforma è conclusa, quindi vengono innalzate le pareti e su un lato viene lasciata un’apertura che fungerà da ingresso. La fase successiva consiste nella copertura. Dispongono nelle pareti dei bastoncini verticali inclinati verso l’interno a cui si intrecceranno elementi orizzontali per dare stabilità alla struttura. Su di essi viene accumulata una grande quantità di materiale a tal punto che il tetto può raggiungere uno spessore di circa un metro e sostenere il peso di un uomo!. Alla fine la coppia di uccelli martello riveste di fango le pareti. L’intero lavoro si conclude in circa sei settimane. Non si conoscono i motivi di questa immensa costruzione: potrebbe servire ad indicare l’occupazione di un’area da parte della coppia ma il dispendio enegetico sembra comunque eccessivo per trasmettere un segale piuttosto semplice; inoltre, le dimensioni mastodontiche del nido potrebbero determinare problemi in quanto a “sicurezza statica” e danneggiare le eventuali uova o nidiacei. Insomma si tratta di un uccello misterioso in ogni suo aspetto, dalla morfologia al comportamento riproduttivo!







    dal web
     
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    Le Cocorite: conosciamo questi pappagallini

    cocorite

    Tra i pappagalli da compagnia, i più diffusi nelle nostre case sono senza dubbio le cocorite, conosciute anche come pappagallini ondulati, dei deliziosi volatili dalle soffici piume colorate, dal carattere vivace e dalla capacità di apprendere dei suoni.
    Le cocorite sono state scoperte nei primi anni del 1800 in Australia, e già dal XIX secolo sono state importate in Inghilterra e poi diffuse nel resto dell’Europa. Questi pappagallini, però, non sempre riuscivano a sopportare lo stress dei viaggi all’interno delle gabbie, e così, dalla semplice cattura si passò agli allevamenti, anche di carattere commerciale. Proprio in seguito agli allevamenti si sono diffuse diverse varietà di pappagallini ondulati, anche se tre sono i tipi più diffusi: gli australiani, i brasiliani e gli inglesi, un incrocio dalle dimensioni più grandi.
    Il colore originario delle cocorite è il verde, ma, sempre a causa degli incroci che hanno provocato delle mutazioni nel piumaggio, si sono diffusi pappagallini con le piume di colore giallo e blu. Anche la taglia delle cocorite ha subito dei cambiamenti a causa dell’allevamento: dagli originari 18 centimetri delle specie selvatiche siamo giunti ai 22-24 centimetri delle cocorite allevate in cattività. Se curate e tenute bene, le cocorite possono vivere all’incirca 10 anni.

    In commercio si trovano pappagallini ondulati di diversi colori, e proprio in base ad essi possono essere divisi in tre gruppi principali: comuni, pezzati e depigmentati. Le cocorite comuni sono quelle le cui piume presentano colori molto simili a quelli originari, ovvero il verde in tutte le sue sfumature, mischiati ai colori ottenuti dalle mutazioni, come il blu, il grigio, il viola e il cannella.
    Le cocorite pezzate si caratterizzano per una colorazione maculata, e si dividono in due sottogruppi, quelle pezzate simmetriche e quelle asimmetriche, la cui differenza sta nell’intensità dei colori delle piume: le prime sono chiare, mentre le seconde più scure.
    Le cocorite depigmentate possiedono colorazioni dovute alla perdita di pigmento a causa della minore quantità di melanina, ed esistono addirittura nella varietà albina, di colore bianco candido.

    Se siete incuriositi dalle cocorite, continuare a seguire Tutto Zampe: domani parleremo delle cure da prestare a questi deliziosi pappagallini e nei prossimi giorni vi illustreremo le loro particolarità caratteriali

     
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  7. gheagabry
     
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    Il QUELEA QUELEA



    Il Quelea quelea è diffuso in varie razze in Africa a sud del sahara, ad eccezione delle regioni con foreste pluviali e desertiche. È lungo 12 cm circa. Abita nelle cinture strepitose, dove si trattiene in zone paludose. Quest'uccello si riunisce in stormi giganteschi. Al contrario dell'Ignicolore, forma colonie di nidificazione, riempiendo gli alberi di nidi appesi, ove vi depone 2-4 uova.

    Si potrebbe pensare ad una gigantesca spruzzata di fango causata dalla caduta di un meteorite o all'assalto di uno sciame di locuste, ma questa nuvola che s’innalza intorno ad un lago africano è composta da una moltitudine di uccelli canori, dalla specie più numerosa del mondo : dei veri e propri grandi lavoratori dal becco rosso. Questi piccoli uccelli bruni, molto simili ai nostri passeri, hanno anche un nome latino, Quelea quelea , e un soprannome locale, "mangiatori di miglio", che testimonia la loro voracità e la minaccia che rappresentano per le coltivazioni. Grano, miglio, avena, sorgo, riso: va bene tutto. Seminare veleno contro di loro è inutile, questi piccoli uccelli si riproducono così velocemente che attualmente il loro numero è compreso tra i 3 e i 10 miliardi.
    (Le Figarò del 10 marzo 2012)


    Da migliaia di anni gli agricoltori africani lottano contro gli stormi di quelea dal becco rosso (quelea quelea), soprannominati "cavallette piumate" che devastano i campi coltivati attraverso il continente. Clive Elliot (FAO), uno specialista che ha passato gran parte parte del suo tempo a cercare di aiutare i piccoli contadini africani a combattere questo flagello alato... «La sua principale caratteristica è di spostarsi in gran numero.
    Queste supercolonie nomadi possono raggiungere i milioni di uccelli, il che fa del quelea non solo la specie più numerosa del mondo, ma anche la più distruttrice». Questi piccoli uccelli provocano danni enormi: anche se preferiscono i semi delle erbe selvatiche, rappresentano una minaccia costante per i campi di sorgo, grano, miglio e riso e mettono spesso a rischio la sussistenza di intere comunità. Un quelea mangia in media 10 grammi di semi al giorno, più o meno la metà del suo peso, quindi una colonia di due milioni di individui può divorare fino a 20 tonnellate di semi in un solo giorno. Secondo la Fao «Essendo la popolazione adulta capace di riprodursi almeno 1,5 miliardi, le perdite agricole attribuibili al quelea sono più di 50 milioni di dollari all'anno». In più questo terribile uccellino sembra indistruttibile: ogni anno ne vengono uccisi a milioni, ma secondo Elliot «Ridurre il loro numero è molto difficile. Sono estremamente mobili, hanno pochi predatori naturali e si riproducono in modo particolarmente veloce. L'uomo non è riuscito ad avere un impatto significativo malgrado la grande diversità delle strategie messe in atto. Una nuova popolazione può installarsi molto rapidamente in una zona dove è stata appena eliminata una colonia... e siccome si riproducono tre volte all'anno, con una media di tre pulcini per nido, uno coppia di quelea può far nascere fino a 9 uccellini all'anno». Questi uccelli migrano su lunghe distanze e sono presenti su una superficie enorme: oltre 10 milioni di km2 nelle regioni aride e semi-aride dell'Africa, nella brousse, nelle praterie e nelle savane. «E' un flagello che colpisce numerosi Paesi africani - spiega Elliot - dal Sudafrica fino al nord del continente, passando da Paesi come la Tanzania, il Kenya e l'Etiopia, così come attraverso tutto il Sahel, fino alla Mauritania». Per la Elliot è difficile pensare a programmi nazionali di eradicazione «perché gli uccelli non conoscono frontiere e le distruzioni sono molto localizzate, al livello di un Paese, le perdite arrivano a solo il 5% al massimo, ma questo non è un gran conforto per l'agricoltore che perde integralmente i suoi raccolti».
    La tecnica più utilizzata per controllare i giganteschi stormi è quella di trattare a grande scale le zone infestate, «In generale polverizzando del Fenthion,un prodotto chimico conosciuto anche con il nome di Queletoxv - dice Elliot -nelle zone di riproduzione o nidificazione. Un'altra tecnica consiste nel mettere bombe incendiarie o della dinamite nei luoghi in cui gli uccelli sono particolarmente numerosi. In alcune regioni hanno anche tentato di bruciare i lidi con lancia-fiamme, ma questo si è rivelato poco efficace». Secondo il Natural resources institute britannico ogni anno nel solo Sudafrica vengono effettuate 170 operazioni di controllo che permettono di uccidere almeno 50 milioni di quelea, però l'Encyclopaedia of pest management sottolinea che «Malgrado la distruzione annuale di milioni di quelea con l'utilizzo di pesticidi, i danni continuano ad aumentare anno dopo anno». Elliot pone un altro problema: «Oltre ad avere solo un'efficacia marginale, i metodi moderni di controllo sono molto nefasti per l'ambiente. La maggior parte dei piccoli agricoltori, che non hanno né aerei, né combustibile, prodotti chimici, dinamite o lancia fiamme, fanno ricorso ai tradizionali metodi ancestrali che sono più efficaci e certamente più ecologici, ma che necessitano di un tempo enorme. La principale tecnica tradizionale è quella di spaventare gli uccelli. La gente si reca nei campi quando le coltre sono vulnerabili ed utilizza tutto quel che ha a sua disposizione, dalle catapulte ai tamburi, passando per tutto quel che permette di far rumore. Questo metodo è assai efficace nella maggioranza dei casi. Una sola persona può proteggere un ettaro, ma questo rappresenta un lavoro considerevole perché le colture sono esposte dal mattino alla sera ed anno bisogno di essere sorvegliate per un mese intero».
    Da qualche tempo si sta puntando al contenimento di questo flagello alato attraverso il contenimento della loro riproduzione utilizzando previsioni climatiche e meteorologiche, con forniture di migliori strumenti di dissuasioni e reti protettive, il rafforzamento delle popolazioni dei predatori naturali del quelea ed anche la creazione di virus che decimino i giganteschi stormi di questi uccelli.
    Ma secondo Elliot la migliore soluzione sarebbe un'altra e probabilmente farà inorridire gli animalisti almeno quanto i cruenti metodi fino ad ora descritti: «Cacciare gli uccelli per sfruttarli come una qualsiasi altra risorsa naturale permetterebbe di prendere due piccioni con una fava. Stiamo tentando di elaborare delle strategie per intrappolare gli uccelli e farne un nuovo alimento per la popolazione, questo costituirebbe una fonte importante di proteine».
    (dal web)
     
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  8. gheagabry
     
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    Il CAMPANARO COLLONUDO



    Il campanaro collonudo (Procnias nudicollis) è un passeriforme appartenente alla famiglia Cotingidae. Il maschio ha una lunghezza di 28 cm, pesa circa 200 grammi e possiede una voce straordinariamente penetrante. Il nome deriva dal suo canto simile all’eco di un suono metallico. Tra maschi e femmine vi è una netta differenza morfologica: il maschio presenta un mantello bianco, che spicca sul fogliame, e pelle nuda blu-verdastra in corrispondenza della gola e del capo. La femmina ha il ventre giallo pallido con striature olivastre, il dorso oliva e testa e gola nere.
    Vive nella volta della foresta tropicale e subtropicale sudamericana fino ai 1.150 mt nella parte orientale del Brasile e Paraguay e nel nord Argentina.
    Si nutre soprattutto di invertebrati (larve di insetti, insetti adulti e molluschi) e frutta (ferruginea Rapanea, Cecropia) rivestendo un importante ruolo per il sottobosco della foresta pluviale di cui già si è discusso nel post sull’alimentazione dei conuri: nutrono il popolo terricolo sottostante e distribuiscono i semi della piante del cui frutto si sono cibati.
    Questa specie costruisce un nido di circa 16 cm di diametro. Il nido è molto povero ed è costruito sui rami aperti. Sono deposte una o due uova per covata: sono ovali e bruno-rossastre. Solo la femmina si occupa dei piccoli per quanto concerne la loro alimentazione e la pulizia del nido.


    Il campanaro collonudo utilizza la voce per proclamare la propria presenza. La distanza che un richiamo può percorrere e il grado di distorsione dipendono dalla natura dell’ambiente in cui vive. La foresta tropicale è costituita da piante con foglie lucide e coriacee che riflettono i suoni rendendoli quindi confusi e difficili da distinguere soprattutto se complessi. Per questo motivo il collonudo, come tutti gli uccelli che abitano queste aree, utilizza richiami con una struttura molto elementare proprio per avere la certezza di essere uditi: si tratta di due note ripetute continuamente per attrarre una potenziale compagna e per dichiarare la propria presenza. Questa continua ripetizione è giustificata dal fatto che il campanaro collonudo, per le sue ridotte dimensioni, è in grado di emettere solamente suoni acuti sfavoriti rispetto ai gravi in un ambiente con una vegetazione molto fitta.

    Dal 2004 rappresenta l’uccello nazionale del Paraguay.







    (forthebirds.it)
     
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  9. gheagabry
     
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    La CESENA



    La Cesena è un uccello che appartiene all’ordine dei Passeriformi e alla famiglia dei Turdidae. Poco più grande del Merlo, ha una lunghezza corporea tra i 22 e i 27 cm. Come molti altri turdidi ha il dorso bruno rossastro, il groppone grigio, coda e ali nerastre, il petto e i fianchi giallo ocra macchiati di nero, il ventre e il sottoala bianco-argenteo, mentre il becco è di color bruno giallastro. A prima vista non si nota dimorfismo sessuale ma a un’analisi più approfondita, aiutati anche dai colori del piumaggio e da alcune misure biometriche, si possono sessare con esattezza alcuni soggetti. Il peso varia da 70 a 115 grammi.

    Durante il volo, che è abbastanza lineare, è ben visibile il groppone grigio e la parte inferiore bianco-argentea che permette una chiara identificazione anche a un osservatore profano.
    A terra la postura è molto simile a quella del Merlo, ma molto più eretta soprattutto quando è intenta a estrarre una preda dal terreno.

    Il verso è un acuto e vivace “tciak-tciak-tciak” emesso soprattutto al momento dell’involo. Tale verso viene emesso in continuazione da parte degli individui dello stormo e permette di mantenere un costante rapporto sonoro tra loro, anche durante le giornate nebbiose.

    E’ un animale abbastanza longevo, con età registrate in natura fino a 18 anni.

    La specie è monotipica a distribuzione eurosibirica. La troviamo dall’Europa centro-settentrionale all’Asia settentrionale. Il suo areale riproduttivo coinvolge ampi territori che partono dalla Francia sud-orientale, Paesi Bassi, Danimarca e Norvegia e giungono a est fino ai fiumi Amur (Siberia Orientale) e Yenisey (Siberia centrale). Il limite distributivo settentrionale passa dalla Fennoscandia, mentre quello meridionale corre dalle Alpi sud-occidentali e, attraverso i Carpazi, raggiunge la Transilvania orientale.

    La Cesena è una specie essenzialmente migratrice, ma, in occasione di inverni miti, l’abbondanza di cibo può rendere le popolazioni largamente residenti o portarle a svolgere degli erratismi a poca distanza dai quartieri di riproduzione. Le aree di svernamento comprendono le regioni dell’Europa occidentale e centro-meridionale, la Turchia, l’Iran e gli stati del Golfo Persico.
    Durante il periodo migratorio e invernale, si imbranca assieme ad altri turdidi formando dei grossi stormi che vanno alla ricerca di cibo nei campi di pianura, negli arati e lungo le siepi e frutteti di collina e può essere osservata in tutti gli ambienti parzialmente alberati, compresi i parchi urbani e i giardini.
    La dieta è prevalentemente animale durante il periodo riproduttivo (insetti, lombrichi, molluschi e piccoli anfibi), mentre diventa via via frugivora (ginepro, sorbo, sambuco, uva, mele, cachi, ligustro, piracanta) man mano che si avvicina l’inverno. Le temperature infatti diventano rigide e le gelate portano a una conseguente carenza di cibo animale al suolo, da dove la Cesena trae gran parte della sua alimentazione.

    Strategia di difesa

    La cesena nei dintorni delle colonie di riproduzione manifesta una notevole aggressività verso potenziali nemici, come scoiattoli, Corvidi e rapaci diurni o notturni che vengono attaccati anche in volo. Durante il periodo di nidificazione è quindi facile osservare attacchi aerei nei confronti di predatori alati. Il tordo colpisce i nemici con spruzzi di escrementi impregnando a tal punto il loro piumaggio da costringere gli sfortunati predatori al suolo, da dove spesso non sono più in grado di riprendere il volo. In tali condizioni sono stati trovati il Gheppio, alcuni Corvidi, la Poiana e addirittura l’Astore.

    In alcuni casi gli individui attaccati, completamente ricoperti di escrementi appiccicosi, sono destinati a morire. Probabilmente essi, dopo essere stati spruzzati dai primi getti di feci, tentano di ripulirsi ma ciò peggiora la situazione perchè i liquido fecale si espande maggiormente. Ponendo una sagoma di rapace dietro una finestra, la Cesena riesce ugualmente ad attaccarla spruzzando il vetro di escrementi (Bezzel 1983).


    dal web
     
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    Uccelli con colori sgargianti


    uccelli

    La livrea variopinta di questi uccelli rivaleggia con quella delle specie tropicali .
    Il Grucione, molto raro nelle nostre zone, è lungo 27/29 cm. comprese le penne della coda, apertura alare 50 cm. peso 50/70 g. Si nutre prevalentemente d'insetti sopratutto api e vespe, prima di inghiottirle le sfrega a terra o sui rami per eliminare il pungiglione.
    La Ghiandaia marina ha le dimensioni di un piccolo corvo, lunghezza 29-33 cm, apertura alare 63-67 cm. La dieta è prevalentemente insettivora, occasionalmente cattura piccoli animali (lucertole).
    Il Martin pescatore lungo 16/17 cm. pesa 40-45 g.. Si trova ovunque vi sia acqua, fiumi, torrenti, canali, stagni e laghi nei quali si tuffa per catturare piccoli pesci, girini e insetti acquatici. Per nidificare scava un tunnel sotterraneo lungo i margini sabbiosi dei corsi d'acqua.



    Edited by gheagabry - 19/7/2012, 21:36
     
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    Le più belle foto di uccelli
    per il World Bird Photo Contest


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    Primo classificato: "Banco di vita"
    Fotografia di Cristobal Serrano, HBW/Rex


    Un cormorano pelagico (Phalacrocorax pelagicus) si immerge in un 'globo' di pesci a largo della Baja California in Messico.

    La foto vincitrice del primo World Bird Photo Contest è "uno degli scatti più stupefacenti per la capacità di fondere insieme informazione e arte". ha dichiarato il giurato Josep del Hoyo a proposito dell'immagine di Cristobal Serrano.

    "È raro che in un concorso per foto ornitologiche vinca uno scatto in cui l'uccello rappresenti il 2, forse 3, per cento dell'immagine ma... è talmente artistica", ha aggiunto del Hoyo, segretario di giuria nonché autore dell'enciclopedia ornitologica Handbook of the Birds of the World, uno degli sponsor del concorso.

    Fotografi di tutto il mondo hanno inviato immagini di tremila diverse specie di uccelli al concorso, che ha il fine di promuovere la biodiversità dei volatili del pianeta.

    —Kastalia Medrano


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    Secondo classificato: "In superficie"
    Fotografia di Mike Murray, HBW/Rex

    Il becco e la testa di una strolaga maggiore (Gavia immer) spunta dall'acqua in Wisconsin, nella foto di Mike Murray, "puoi vedere un uccello così bello da una prospettiva diversa dal solito", ha commentato del Hoyo.

    La strolaga maggiore raggiunge i 60 metri di profondità per catturare le sue prede.




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    Terzo classificato: "La danza del colibrì"
    Fotografia di Walter Nussbaumer, HBW/Rex

    Il fotografo Walter Nussbaumer ha catturato questo momento della danza di corteggiamento di un colibrì calliope (Stellula calliope) nella British Columbia in Canada.

    "Ho visto migliaia di foto di colibrì calliope", ha detto del Hoyo, "ma questa è una delle migliori. Quando vedi gli ornamenti di questi uccelli, con questo dettaglio, ecco una gran foto"

    Il colibrì calliope - il cui nome latino di specie Stellula calliope significa "piccola" stella, è il più piccolo uccello del Nordamerica, è lungo circa 5 centimetri (dalla coda alla testa). Si ciba di nettare di fiori, linfa e piccolo insetti.




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    La migliore foto in digiscopia: "Nel nido"
    Fotografia divPete Morris, HBW/Rex

    La digiscopia - tecnica che consiste nell'utilizzare insieme una fotocamera digitale e un cannocchiale per ritrarre soggetti distanti - ha consentito al fotografo britannico Pete Morris di riprendere un fugace e raro scatto della vanga dall'elmo (Euryceros prevostii) del Madagascar.

    "La foto, vincitrice della sezione digiscopia, è uno scatto molto ambito da chi va in Madagascar", ha commentato del Hoyo, "è raro riuscire a riprenderlo nel suo nido con tale dettaglio".

    L'uccello, che può superare i 30 centimetri di lunghezza, è famoso per il suo becco blu.



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    La migliore foto delle specie a rischio: "Sospeso"
    Fotografia di Dubi Shapiro, HBW/Rex

    Vive in Perù e ha un habitat molto circoscritto questo stupendo colibrì mirabile coda a spatola (Loddigesia mirabilis) - nella foto di Dubi Shapiro - che è nella lista delle specie in pericolo redatta dall'International Union for Conservation of Nature (IUCN).

    "Dieci anni fa sarebbe stato difficile trovare anche una semplice foto di questa specie", ha detto del Hoyo, "quindi vedere una tale grande foto è stato meraviglioso".



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    La migliore foto Vox Populi: "Insieme"
    Fotografia diKit Day, HBW/Rex

    La foto più votata dagli utenti (e non dalla giuria) è questo scatto che riprende un gruppo di gruccioni (Merops apiaster), originari dell'Africa sub-sahariana.





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    Menzione d'onore: "L'istante"
    Fotografia di Philip Perry, HBW/Rex

    Un avvoltoio orecchiuto (Torgos tracheliotus) attacca uno sciacallo dorato in Tanzania nella foto di Philip Perry.

    "Questa foto scattata un attimo primo o un attimo dopo non sarebbe stata così bella", ha commentato del Hoyo,




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    Menzione d'onore: "Bufera di neve di primavera"
    Fotografia di Keith Williams, HBW /Rex

    Queste rondini arboricole bicolori (Tachycineta bicolor) si stringono per resistere a una bufera di neve nello Yukon, in Canada, durante la loro migrazione verso sud.

    "È bello vederle insieme, che si proteggono l'un l'altra", è il commento del Hoyo sulla foto di Keith Williams.





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    Mezione d'onore "Vieni avanti"
    Fotografia di Harri Taavetti, HBW/Rex

    Uno stormo di edredoni di Steller (Polysticta stelleri) cavalca un'onda in Norvegia nello scatto del fotografo finlandese Harri Taavetti.




    national geographic




     
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    I FENICOTTERI


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    La somma delle stranezze fisiche del fenicottero gli permette di trovare il suo ambiente ideale nelle saline, nelle distese fangose, nelle lagune di marea e nelle paludi di mangrovie.

    Con il suo becco a uncino accumula zolle di fango per farsi il nido. Le lamelle rigide situate all’interno del suo becco filtrano l’acqua trattenendo piccoli crostacei, molluschi, insetti e le loro larve, così come la vegetazione acquatica.


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    E il magnifico piumaggio? Sembra esistere solo per il nostro piacere, anche se in realtà non sono rosa alla nascita: quando escono dall’uovo, i piccoli di fenicottero hanno le piume bianche, che poi diventano grigie, e che infine acquistano la loro colorazione rosa grazie ai batteri contenuti nell’acqua e al beta carotene che questi uccelli assumono con il cibo.

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    Sebbene i fenicotteri siano ormai diventati un cliché immortalato da ornamenti kitsch di plastica che decorano i giardini, rimangono stranamente misteriosi. “Nonostante siano così riconoscibili, non sappiamo molto di loro”, dice Chris Brown, ornitologo allo zoo di Dallas che studia i fenicotteri della penisola dello Yucatán, in Messico.


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    Gli scienziati hanno dubbi anche rispetto ai comportamenti più comuni, come la tendenza a stare su una zampa (alcuni teorizzano che abbia a che fare con il modo in cui l’uccello si riposa).

    Poiché i fenicotteri vivono in aree remote, e si spostano quando la fonte di cibo viene a mancare, i ricercatori hanno grandi difficoltà a contarli, seguire i loro movimenti o capire come possano influire su questa specie la siccità, gli uragani, e l’oscillazione del livello delle acque dovuto ai cambiamenti climatici o allo sviluppo delle coste.

    Quello che sappiamo è che nel loro habitat naturale i fenicotteri vivono in grandi colonie, che sono gregari ed estremamente leali. Fanno danze di gruppo per l’accoppiamento. I genitori adorano i loro piccoli: li radunano in gruppo in asili nido per proteggerli, mentre maschi e femmine volano via alla ricerca di cibo. E quando il pericolo incombe, si muovono a migliaia all’unisono; un balletto che potrebbe aumentare le loro probabilità di sopravvivenza in un mondo pericoloso.


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    Jacob Osborne

    Un'egretta si sfama nelle secche di St. Andrews Bay, Florida

     
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    tarabusino a pesca



    scatto di Gimo, juzaphoto.com

     
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