I LUPI e I CANIDI

..conoscere i lupi....volpi...sciacalli e licaoni

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  1. gheagabry
     
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    Il lupo e il cane




    Il pastore tedescoVlak era un bell'esemplare femmina di pastore tedesco. Trascorreva le sue giornate conducendo e controllando il gregge assieme agli altri cani del proprietario della tenuta. Era felice, si divertiva un mondo a rincorrere su e giu’ per i prati le pecore che si allontanavano, oppure, una volta rientrati, giocando con il resto della muta con cui era molto affiatata.
    Un giorno Vlak corse fino ai margini della foresta inoltrandocisi anche un poco. Tornata indietro, si accorse che la lettera “V” che le era stata da tempo appesa al collare, non c’era piu’. Vlak era molto attaccata a quel ciondolo che sentiva sbattere ritmicamente sul cuoio del collare ogni volta che correva. Disperata, torno’ ai margini della foresta cercandolo ovunque. Improvvisamente, mentre si stava ormai arrendendo all’idea di averlo perso, senti’ una strana tensione su di se’, come se percepisse che qualcosa stesse avvenendo attorno a lei. Alzo’ il muso e si accorse che un lupo la stava fissando a pochi metri di distanza, immobile. I due animali rimasero a fissarsi diversi secondi senza muovere un muscolo… dopodiche’ il lupo si avvicino’ con cautela e inizio’ a annusarla, prima da distante, poi sempre piu’ da vicino. La tensione si sciolse e i due animali iniziarono a rilassarsi.
    Da quel giorno Vlak torno’ spesso ai limiti del bosco, dove sapeva che il lupo la stava aspettando. Nonostante il tempo che le era concesso per allontanarsi dal gregge fosse poco, ormai avevano preso confidenza: giocavano assieme, correvano assieme, saltavano l’uno di fronte all’altra simulando falsi movimenti di battaglia… A Vlak dispiaceva molto sapere che quella sorta di idillio era destinato a durare ogni volta solo pochi minuti.

    Un giorno Vlak decise di fare un tentativo e, alla fine di quello che ormai era diventato il loro tempo, non si allontano’ correndo verso il gregge come le volte precedenti, ma lo fece lentamente, voltandosi spesso, sperando di convincere il lupo a seguirla… e cosi’ avvenne.

    Passo’ del tempo. Il lupo era stato accettato anche dagli altri cani e perfino il loro proprietario, sebbene all’inizio molto diffidente, inizio’ ad accettare quello strano componente che si era aggiunto alla sua muta; in qualche modo ne era anzi inorgoglito.
    Di giorno il lupo partecipava alle attivita’ dei suoi nuovi compagni, mentre la notte dormiva sulla paglia, in un angolo del fienile. Spesso era proprio Vlak a svegliarlo la mattina; era felicissima di essere riuscita ad aggiungerlo alla muta cosi’ da averlo sempre vicino a se’.
    Ogni tanto pero’ notava qualcosa di strano… il lupo smetteva improvvisamente di fare cio’ che stava facendo, che fosse correre, giocare o controllare il gregge, e rimaneva a fissare la foresta, immobile. Vlak non dava pero’ troppo peso alla cosa, probabilmente pensava che stesse soltanto ricordando qualcosa che era rimasto la’, nel suo passato.

    Una mattina Vlak corse come al solito nel fienile per svegliare il lupo… ma il suo posto abituale, ormai contrassegnato dalla paglia pressata, era vuoto… cosi’ come, in un attimo, divenne il suo cuore. Improvvisamente capi’ di avere sempre saputo che quell’evento ineluttabile presto o tardi sarebbe accaduto. Ancora immobile, con gli occhi lucidi, vide qualcosa luccicare nel letto di paglia del lupo. Si avvicino’… in mezzo ai fili gialli c’era il suo ciondolo a forma di “V”.


    Erano passati mesi ormai dalla scomparsa del lupo e tutto sembrava essere tornato come prima. Vlak aveva ripreso a correre e giocare assieme al gregge ed ai suoi compagni. Ma, ogni tanto, si fermava all’improvviso e, immobile, iniziava a fissare la foresta. Non era piu’ felice come prima... aveva perso l’innocenza.


    “E’ inutile dar da mangiare ad un lupo: continuera’ a guardare verso la foresta”. (anonimo)



    Wolfghost









    Il lupo era immobile. Raffiche di vento gelido, a volte accompagnate da sferzate di pioggia, lo costringevano a stare ben piantato sulle quattro zampe ed a tenere socchiuse le palpebre dei suoi occhi. Pochi metri piu' avanti, lo strapiombo dell'alta scogliera sul mare. Alle sue spalle il folto bosco i cui rami e foglie, sempre piu' agitate, sembravano parlare concitatamente tra loro, come spaventate da cio' che temevano potesse accadere.

    Nonostante il calare della notte, il freddo e il folto pelo ormai zuppo d'acqua, gli occhi socchiusi del lupo puntavano dritti su quegli improvvisi lampi di luce che squarciavano lo spazio che divideva il cielo dal mare.
    tempestaA volte quell'enorme massa scura che dal largo avanzava si illuminava qua e la' con scariche elettriche improvvise e furibonde. Sembrava un mostro senza pelle, incapace di tenere nascosta la rabbia che lo divorava al suo interno e che si preparava a dirigere contro qualunque cosa gli si parasse davanti.

    La tempesta avanzava, e nessun essere del bosco si sentiva al sicuro. Ogni animale era gia' corso nella propria tana, anche la luna si era ritirata ormai da tempo dietro le nubi. Solo il potento fischio del vento, ormai un vero e proprio urlo, dava vita e suono a qualcosa che altrimenti sarebbe stato di un silenzio irreale.
    Adesso anche il picchiettio dei goccioloni d'acqua stava aumentando di intensita'.

    Il lupo osservava la massa nera che si avvicinava minacciosa, un senso misto di stupore e fascino per la potenza della natura, stava lasciando via via il posto al timore... eppure non indietreggiava di un passo, immobile come una scultura scolpita nella roccia. Se avesse avuto il dono della parola, avrebbe detto: "Ti aspetto qui. Ti temo, e' vero, ma il senso della sfida per la sopravvivenza e' piu' forte. Ho paura, ma per vincere dovrai avere la forza di abbattermi. Sei pronta? Io si', sono pronto...".

    Quelle parole non si udivano... ma si leggevano chiare nei suoi occhi, immobili verso quella tempesta da sfidare per rivedere l'alba serena di domani...


    Wolfghost


     
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    Canis lupus italicus





    Il lupo appenninico (Canis lupus italicus) è una sottospecie del lupo che popola le foreste e i boschi della dorsale appenninica. Il recente aumento della popolazione lo ha portato a distribuirsi anche sul settore occidentale dell'arco alpino.

    Il lupo appenninico è più piccolo rispetto al lupo comune: il peso di un esemplare maschio si aggira attorno ai 20-35 kg, mentre nell'esemplare femmina il peso è di circa 25-30 kg. La lunghezza media è di circa 120 cm, mentre l'altezza media è di circa 50-70 cm. Il pelo è di colore grigio-marrone.

    La dieta del lupo appenninico prevede principalmente ungulati di taglia media (cinghiali, caprioli e daini) ma, in assenza di questi, si nutre anche di animali di taglia inferiore (piccoli roditori, ecc.) e di frutta e funghi.
    Il lupo si è adattato alla presenza umana e così anche la sua nutrizione; in alcune zone, infatti, questi animali non ignorano i rifiuti né gli animali domestici.



    In Italia vengono uccisi ogni anno per scopi predatori migliaia di capi[senza fonte] (pecore, capre, vitelli e, occasionalmente, puledri). In questa stima rientrano, tuttavia, anche le uccisioni causate dai branchi di cani tornati allo stato selvatico, che occupano la stessa nicchia ecologica del lupo appenninico ed entrano in competizione con questo predatore.
    Per evitare che la tutela del lupo comporti gravi perdite economiche per gli allevatori, diverse regioni hanno istituito rimborsi per i danni subiti a causa degli attacchi al bestiame.

    Il corteggiamento avviene durante i primi mesi dell'anno, mentre l'accoppiamento durante la seconda metà di marzo. La gestazione dura circa due mesi e il numero di nuovi nati varia a seconda dell'età della madre: dai 2 agli 8 cuccioli.

    Fino alla fine del XIX secolo, questo mammifero era ampiamente diffuso sui monti ed in pianura.
    Dagli inizi del '900 iniziarono le persecuzioni nei confronti di questo animale. In un breve arco di tempo, la popolazione diminuì drasticamente e il lupo scomparve definitivamente dalle Alpi, dalla Sicilia e, negli anni successivi, anche negli Appennini si riscontrò un forte calo del numero di individui.



    Dopo la seconda guerra mondiale la situazione divenne sempre più grave, e il numero dei lupi appenninici si ridusse fino a toccare il minimo storico documentato negli anni '70. Nel 1972 Luigi Boitani ed Erik Zimen furono incaricati di eseguire la prima indagine italiana sulla situazione del lupo appenninico svolta con una metodologia sistematica: prendendo come riferimento un'area che si estendeva dai Monti Sibillini (a nord) fino alla Sila (a sud), essi stimarono il numero complessivo degli esemplari in 100-110 al massimo.

    A partire dagli anni '70 vennero attuate le prime politiche di conservazione, che favorirono l'aumento della popolazione. Nel 1971 partì la campagna del Parco Nazionale d'Abruzzo e del WWF significamente chiamata "Operazione San Francesco" e nel 1976 vennero promulgate le prime leggi di conservazione[1]. Nei primi anni '80 una nuova indagine stimò il numero degli esemplari in circa 220-240 individui, in espansione. Negli anni '90 nuove stime portarono il numero a circa 400 lupi, con in più il ripopolamento di zone, come le Alpi Occidentali, dalle quali questi animali erano scomparsi da quasi un secolo.




    La popolazione odierna conta, secondo le ultime stime, circa 1.200 esemplari[2]. Tuttora persistono campagne di persecuzione, attraverso il bracconaggio, che utilizza principalmente armi da fuoco, bocconi avvelenati e lacci. Si tratta in ogni caso di comportamenti illegali, perché tutte le Leggi Regionali sulla caccia tutelano senza eccezioni il lupo e, a livello nazionale, esso è specie integralmente protetta.

    Uno dei maggiori pericoli a cui è esposto attualmente il lupo appenninico è l'ibridazione, causata dall'accoppiamento con cani rinselvatichiti, con conseguente corruzione del patrimonio genetico di questo animale.

    Il lupo, oggi, è presente sull'intera catena degli Appennini e sulle Alpi Occidentali. Il maggior numero di branchi ed esemplari è presente in Abruzzo, con i nuclei principali nell'area del Parco Nazionale omonimo e nei settori a cavallo tra il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, il Parco Nazionale della Majella ed il Parco nazionale dei Monti Sibillini; il territorio di questa regione, inoltre, grazie alla presenza di efficaci corridoi faunistici è l'unico in tutto l'Appennino a permettere spostamenti da parte del lupo sull'asse Ovest-Est e viceversa.



    Nel Lazio è presente sulla dorsale appenninica (particolarmente nel Parco dei Monti Simbruini), ma anche sui Monti della Tolfa e sui Monti Ausoni. Da qualche tempo è stato avvistato anche nel Parco naturale dei Monti Aurunci . Ci sono stati avvistamenti anche nella campagna romana con un branco di 4-5 lupi. Negli ultimi anni alcuni esemplari sono stati avvistati all'interno del territorio del Parco Regionale dei Castelli Romani e nel Parco naturale regionale delle Serre. Da poco tempo poi si è stabilito un branco nel Parco nazionale del Gran Paradiso.

    Autoctone solo le popolazioni che vivono a cavallo tra la Basilicata e la Calabria nel Parco Nazionale del Pollino.

    Da qualche anno si registra inoltre la presenza di alcuni esemplari di Canis lupus italicus in Svizzera, Valle d'Aosta e Lombardia. Altri individui erratici sono stati avvistati anche sui Pirenei. È infine probabile il ricongiungimento della popolazione del lupo appenninico con la popolazione del lupo sloveno: alcuni esemplari sono stati infatti segnalati nel Friuli-Venezia Giulia a partire dal 2000. Nel 2009 sulle Dolomiti è stata trovata la carcassa di un lupo, morto per cause naturali[4]. Le uniche regioni d'Italia dalle quali il lupo non è mai scomparso sono Basilicata, Calabria e Abruzzo, dove, all'interno delle foreste del Pollino, Sila, Aspromonte e Parco Nazionale d'Abruzzo, ha potuto proseguire la sua vita in relativa serenità e isolamento.



    Da quando, circa 17.000 anni fa, ebbe inizio la domesticazione del lupo, le strade di questo animale e del suo derivato domestico, il cane, si sono sviluppate su rami divergenti. Le tecniche di caccia di questi due canidi appartenenti alla stessa specie, sono completamente diverse. Il lupo organizza battute con grande coordinamento del branco; spesso isola un esemplare vecchio o malato dal resto della mandria e lo finisce con un morso alla gola eseguito con chirurgica precisione. Solo nel caso degli ungulati più grandi, i lupi effettuano inseguimenti anche di lunga durata, e tentano di mordere l'animale agli zoccoli, ai fianchi o alla testa.

    I cani rinselvatichiti, invece, mancano della capacità di coordinamento del branco. Spesso sono capaci di uccidere soltanto le prede più piccole, come pecore o capre, aggredendole ai quarti posteriori o al ventre e iniziando sovente a mangiare le malcapitate bestie mentre sono ancora vive; sono tuttavia in grado di abbattere anche cinghiali o montoni maschi contando sul numero e sulla persistenza dell'attacco.




    Un'ulteriore distinzione è che, a differenza dei branchi di lupi, i branchi di cani rinselvatichiti, qualora attacchino un gregge, sono incapaci, anche per assoluta mancanza di coordinazione, di limitare l'attacco alla sola necessità alimentare: di conseguenza, disperdono gli animali in un vasto raggio e ne uccidono un gran numero. Il danno causato dai loro attacchi alle greggi è assai consistente e l'abbandono di carcasse semidivorate sui pascoli incrementa la diffidenza deli operatori del settore zootecnico nei confronti dei lupi, con i quali vengono sovente confusi. Questi comportamenti e l'ibridazione fanno del cane selvatico la principale minaccia per la sopravvivenza del lupo.

    Recentemente (1966) il lupo appenninico è stato uno dei "protagonisti" della storia del Lupo Italiano, una razza canina nata da una selezione sviluppata partendo da un cucciolo di una femmina di lupo appenninico e di un maschio di Pastore tedesco.

    www.wikipedia.org



    Il Massiccio del Matese era famoso per i suoi lupi già nell’antichità.

    Tale fama, all’inizio dell’800, valicava i confini del Regno di Napoli tanto che il viaggiatore inglese Richard Keppel Craven, impegnato nel Grand Tour [1], annotava:
    Venafro in antiquity was noted for the ferocity of its wolves.... [2]

    Venafro era sede di Caccia reale e la riserva di Torcino e Mastrati [3], posta nella piana che porta a Capriati, costituiva un’appendice naturale della catena montuosa [4].
    Qui, il lupo, il cinghiale ed il capriolo, costituivano le prede di elezione nelle battute organizzate dai Borboni e, in seguito, dai Savoia come ricorda Giuseppe Rosati, Capitano di caccia di Sua Maestà il Re d’Italia [5]:
    Il lupo è comunissimo in Torcino specialmente nel verno, si nasconde a preferenza nel più forte del Selvone. Di notte però non si astiene dal recarsi urlando sin sotto alle finestre delle guardie al Barraccone di dove fugge poi inseguito dalla immensa schiera di cani da mandria che ivi dormono al sereno.



    La stessa distribuzione dei toponimi associati al lupo, così come rilevato dalle carte topografiche o dai documenti d’archivio, testimonia la diffusione del carnivoro: Cantalupo in agro di Ciorlano, Toppo della lupa a Morcone e Grotta lupino a Faicchio, Sorgente Valle lupa a Longano [6], Monte Valle dei lupi a Roccamandolfi, Colle di lupo a Monteroduni, Tana della lupa a Sepino e Fonte la lupa a Guardiaregia.
    Numerosi quelli di cui s'è perso l'uso quotidiano: Valle lupara tra Longano e Roccamandolfi [7], Valle de' lupi e Pincicalupi/o a Roccamandolfi [8], Luparelli, Colle del lupo e Forcella Cantalupo a Monteroduni [9], Vallone fosso del lupo [10] e Fosso/a del lupo [11] a San Massimo, Cese di lopa e Colle di lopa a Castelpizzuto [12], Pesche lupo a Guardiaregia [13].



    Ma, seppur trascorsi poco più di due secoli da quando Giuseppe Maria Galanti descriveva il Matese interamente coperto da estese faggete e, tra queste, aceri di una grossezza e bontà maravigliosa, le attività dell’uomo conseguenti alla riconquista delle sue pendici, hanno inferto profonde ferite all’integrità dell’ambiente montano.
    Accadde infatti che, dopo la pausa seguita alla peste del 1656 [14], la rinnovata spinta demografica portò al raddoppio, a fine Settecento, la popolazione matesina.
    Ne derivò un’accresciuta richiesta di legname, necessario per le costruzioni e gli usi domestici, e di aree coltivabili e pascolative, anch'esse consumatrici di foreste.
    Ciò condusse ad una drastica riduzione degli hàbitat propri della fauna selvatica [15].




    La coltre boschiva che forniva cibo e rifugio agli animali, subì l'aggressione più determinata proprio nel periodo che va dalla fine del XVIII alla fine del XIX secolo, complici la carestia del 1764, l'eversione della feudalità nel 1806 e la legge forestale del 1877 che, interpretata in modo estensivo, provocò il taglio indiscriminato di ampie superfici boscate di proprietà comunale.
    La stessa espansione dell’economia pastorale, causò un deciso impatto sugli equilibri faunistici già rilevato a suo tempo, con sensibilità ecologica ante litteram, da Gianfrancesco Trutta:
    …le sue gran selve sono di faggi (...) e vi abbonderebbe la salvagina, se la copia degli animali domestici, e i loro cani la lasciassero in pace .

    La distruzione e l’invasione degli hàbitat superstiti, il depauperamento delle prede abituali del lupo oggetto di caccia da parte dell’uomo, le aumentate occasioni di contatto con il bestiame domestico e la conseguente predazione, portò inevitabilmente ad elevare il livello dello scontro, inasprendo l’antagonismo uomo-lupo ed accentuandone la persecuzione.



    Un accanimento che trovava varchi perfino nel restrittivo diritto feudale laddove, nel riservare al barone privilegi venatori, lasciava del tutto libera la caccia al lupo:
    Dai Capitoli, Gratie et Immunità, le quali graziosamente si domandano dall'Università di Longano e Sindici di essa all'Eccellentissimo Signor Carlo Sommay Utile signore di detta Terra accordati il 25 febbraio 1577, si viene a sapere che era proibito andare a caccia con reticelle, e lacci e simili sorte d'ingegni nè tampoco pescare di nessuna sorte d'acqua di detta Terra.

    Era invece concesso mettere tagliole a lupi, a volpi, a porci salvatici à loro arbitrio.
    Della caccia al lupo e dei metodi utilizzati nel XVIII secolo ci informa, con prosa pittoresca, il duca di Pescolanciano don Giuseppe D'Alessandro [16] nella sua Opera in cui tratta delle regole di Cavalcare, della Professione di Spada e d’altri Esercizi d’Armi:
    Frà le fiere, la più dannosa, ed infame si è il Lupo contro di cui con ragione si pratticano infinite invenzioni per prenderlo, ed ammazzarlo; Si coglie al laccio, à i fossi, e con tant'altre sorti di trapole, ò col cartagio, che in Apruzzo dicono trascino. Si prendono l'interiora, ò carne di Cavallo, ò di altro animale morto, ed in particolare di Somarro, che più gli piace, e di giorno trascinandola per dentro le selve, si lascia vicino dove il Cacciator vuol star nascosto per fargli la posta con l'Archibuscio, ò con fargli trovar qualch'altro ordegno teso, e di notte volentieri verrà per divorarla, e movendo la Carogna dal suo luogo, farà segno che sia Lupo, e non Cane, mentre il Cane mangia senza moverla dal luogo; Per tirarlo à i fossi coverti di paglia, ò di altra cosa debole vi s'erga nel mezzo un palo, ove sia attaccata la carne, ed in tal modo, e col trascino prendonsi pur le Volpi: il Lupo, accorgendosi del laccio, non passerà per quel luogo, se non mutarete la fune con impiastrarla dell'istesso suo sterco, ò di Somaro, e così non potrà odorarla....Volentieri nella clamorosa Caccia delle selve, in cui si prendono le poste, che suol farsi d'Inverno, intimorito dal basso de Cani, dal rumor de tamburri, e trombe, e gridi de menatori esce dal più chiuso per fuggire, e confrontarsi con i molti Cacciatori impostati à mezza luna à i schioppi: Deve il Capocaccia avvertir bene nell'impostare, acciocchè nel sparo un Cacciatore non offenda l'altro; e perciò il Cacciatore durante la mena, non deve muoversi dal suo posto; dove senza far rumore sen stia, acciò la belva in sentir rumore insospettita non se ne ritorni in dietro.




    Ai principi del XIX secolo anche l’Inchiesta murattiana [17] si occupa della caccia al lupo soffermandosi in particolare sull'uso delle tagliole:
    I Lupi sogliono esser presi anche fra alcuni ordigni di ferro detti le tagliuole: queste sono di due sorte grandi, e piccole: le grandi portano sospeso un pezzo di Carne ad un uncino, dal cui moto dipendono le molle della tagliuola: il lupo va a strappare la carne, e rimane stretto per lo capo.
    Le picciole portano nel mezzo una tavoletta mobile ad ogni leggiera impressione: queste si situano a fior di terra, e si cuoprono di poco terreno, onde non siano osservate: il Lupo caminando mette il piede sulla tavoletta, dalla cui mossa chiudendosi le molle, ed il piede rimane stretto fra gli ordigni.
    Ambedue situansi sul sentiere per cui si è scoverto, che il Lupo si avvia di notte a predare.
    Il cacciatore nel giorno seguente va di buon ora visitando le tagliuole, trovando il lupo preso l'uccide o collo schioppo, o con arme da taglio.
    Taluni che non hanno il comodo delle tagliuole cavano fossi profondi sul sentiere, che vien battuto dal lupo, e li cuoprono tanto leggiermente che la fiera passando vi cada dentro, ma questo metodo è poco sicuro, perché può avvenire o che il Lupo rampicandosi si salvi, o che nello avvicinarsi il Cacciatore al fosso rimane offeso dal Lupo, che conserva tutte le sue forze, e la libertà dei suoi artigli.



    All’inizio del XVIII secolo i primi fucili da caccia erano utilizzati in prevalenza dalla nobiltà per la cattura della piccola selvaggina [18], mentre nelle campagne si preferivano antichi e più economici sistemi quali lacci, trappole e buche nel terreno.
    In seguito, l’evoluzione delle armi da fuoco con il passaggio a cavallo tra ‘700 e ‘800 dall’archibugio a pietra focaia all’archibugio a percussione, ed i perfezionamenti che seguirono come l’alimentazione a retrocarica [19] e l’invenzione della cartuccia [20], segnarono un salto di qualità nello sterminio della fauna in generale e, di conseguenza, anche del lupo.

    Per di più, la caccia ai cosiddetti “nocivi” [21] alimentava un non trascurabile commercio delle pelli che trovava lo sbocco naturale nel mercato di Bojano in occasione delle numerose fiere che vi si svolgevano annualmente [22].
    Di ciò troviamo traccia sempre nell’Inchiesta:
    Le pelli di lepri e volpi vendonsi a' cappellai di Campobasso e d'Agnone per l'interno, se n'estraggono ancora per Terra di Lavoro.
    Le buone pelli di lepri e volpi vendonsi tre carlini l'una per l'altra.
    Pagansi otto, dieci, dodeci carlini quelle di faina, e di tasso; quindici a venticinque carlini quelle del lupo.



    In un altro brano del suo trattato don Giuseppe D’Alessandro, nell’illustrare una personale versione dell’etimologia di un paese matesino, ci rivela la stretta connessione che associava, nel comune sentire dell’epoca, il Matese con i lupi ed i lupari:
    In una Terra di questo Regno nomata Cantalupo, vi sono alcuni Cacciatori tanto assueti à far la voce naturale del Lupo, che lo chiamano, e ritirano dove vogliono.

    Il D’Alessandro quindi faceva risalire l’origine del nome Cantalupo [23] ad una presunta tradizione locale di richiamo del predone tipica dei lupari, cioè di coloro che “per mestiere” esercitavano la caccia al lupo affiancandosi, sopratutto nei periodi storici in cui la pastorizia assumeva particolare rilevanza economica, all’attività dei singoli che occasionalmente, ed al bisogno, si improvvisavano cacciatori di lupi.

    Stefano Di Stefano, giurista agnonese [24] e profondo conoscitore delle problematiche legate alla transumanza, ricorda i presupposti e le cause che diedero origine a tale usanza nella sua opera più conosciuta, La Ragion Pastorale:
    Donde parimente avvenne, che gli antichi Re di Napoli, per salvare le loro razze da' lupi, a proprie spese destinavano i cacciatori nelle parti di Puglia, che lupari si chiamavano...ed in alcuni luoghi le comunità, per mantenere le pecore immuni dalla rapacità de' lupi, sogliono costituir salarj, e premi a' cacciatori, che vanno in traccia per ammazzarli...che possa in effetto costituirsi pubblico salario a coloro, che prendono quegli animali, che sono perniciosi agli altri, e che si rendono utili, e necessarj alla patria, ed agli uomini...quale attesta così osservarsi nella Baviera essendo la persecuzione de' lupi non solamente utile a tutta la provincia, e Regno: ma caccia degna di Principe...che, se dal Principe si ordinasse la persecuzione de' lupi, anche i sudditi di que' nobili, che nell'altre cacce sono franchi, ed immuni, a questa sarebbero obbligati venire...
    E dall'accennata nobil'usanza ebbe altresì principio quel lodevol costume, che certamente si osserva in alcuni luoghi di questo Regno, e specialmente nelle parti di Abruzzo, (l’Alto Molise era allora Provincia di Abruzzo Citra, nda) ove per la freddezza del clima sono i lupi più aspri, e crudeli, cioè di riceversi nell'abitato vittorioso, e trionfante colui, che nella campagna prendesse morto, o vivo un lupo; e recandolo, come in trionfo, per tutta la Città, per la Terra, e per le pubbliche piazze, e strade, ed avanti ogni casa, se li presentano da' piccioli, da' grandi, e da mezzani, da' femmine, e da' maschi tributi, benedizioni, premj, ed applausi.

    Anche nell’Inchiesta c’è un passo che si occupa di questi cacciatori specializzati:
    I Pastori sogliono ancora tendere gli agguati ai Lupi quando infestano gli ovili: fan venire alcune persone le quali sanno imitare perfettamente i diversi urli di quella belva: essi si dispongono in vari punti nella direzione per cui il Lupo invitato falsamente alla preda dee passare, ed arrivato nell'agguato, lo ammazzano collo schioppo.

    Ma la consuetudine di corrispondere premi in denaro affonda le sue radici nell'antichità classica.
    Infatti, nella Atene del VI secolo a.C. Solone, riformatore della legislazione considerato il padre della democrazia ateniese, aveva istituito un premio di 5 dracme per ogni lupo ucciso e di 1 dracma per ogni lupa. Tali premi, secondo Demetrio Falereo [25], corrispondevano rispettivamente al valore di un bue e di una pecora.
    Nell’Italia tardo-antica del IV secolo d.C. ci imbattiamo nella prima traccia del passaggio dall’improvvisazione alla “professione” laddove, nelle vaste zone incolte ad economia silvo-pastorale attraversate dagli itinerari stagionali della transumanza, il luparius era uno schiavo adibito alla caccia al lupo a difesa del saltus (pascolo) [26].

    Nel Mezzogiono d’Italia, dopo la lunga parentesi medioevale in cui la bonifica dei pascoli e delle foreste dagli animali “feroci” era lasciata alla libera iniziativa, ed il periodo di autonomia normativa affidata agli statuti comunali, bisogna attendere la dominazione napoleonica, per vedere introdotto con legge, il pagamento di un premio agli uccisori.
    Forte dell'esperienza francese della Louveterie [27] e sulla traccia delle leggi già varate in quel paese, Gioacchino Napoleone re delle Due Sicilie emanò, il 16 maggio 1810, il decreto n° 643 con il quale si stabilivano modalità e premi per la cattura e l'uccisione dei lupi.
    L'entità delle somme corrisposte variava a seconda del sesso [28] e dell'età dell'animale:
    Sarà conceduto un premio di ducati sei a colui che ammazzerà una lupa gravida; di ducati cinque per una lupa; di ducati quattro per un lupo; di ducati due per ogni lupacchino che sia grande quanto una volpe; e di un ducato per ogni lupacchino preso al nido.

    Il pagamento dei premi era a carico delle municipalità e l’uccisore doveva presentare al Sindaco la testa dell’animale, a cui venivano mozzate le orecchie per impedire che lo stesso lupo venisse presentato in più comuni allo scopo di riscuotere altrettanti premi.
    Il 31 ottobre 1815 dopo la Restaurazione, regnando Ferdinando IV di Borbone, venne pubblicato un reale decreto sulla caccia con il quale si aumentò l’importo dei premi a favore degli uccisori:
    Colui, che provveduto della licenza di caccia avrà uccisa una lupa gravida, riceverà un premio di otto ducati. Questo sarà di sei se la lupa non è pregna; di cinque se si ammazza un lupo; di tre se un lupicino, e di un ducato a lupattello, se si prendano nel covile.

    In seguito Ferdinando I, con la legge n° 1733 del 18 ottobre 1819 sulla amministrazione delle acque e foreste, confermò i premi in vigore estendendo la possibilità di beneficio alle guardie della amministrazione forestale in precedenza escluse dal momento che l'eliminazione degli animali nocivi rientrava nei loro compiti istituzionali.

    Se si considera che all'epoca il soldo mensile di una guardia forestale ammontava a 12 ducati, si può ben comprendere lo zelo che venne profuso nello sterminio dei lupi.

    Queste norme sono rimaste in vigore fino agli inizi del XX secolo, adeguando l’importo dei premi al cambio post-unitario di 4 lire e 25 centesimi per ogni ducato. Ne troviamo traccia sia tra i vecchi documenti di archivio che nelle cronache venatorie.

    Dalla Cronaca del Molise su Il Mattino del 2 luglio 1960:
    Sette lupi catturati sui monti di Roccamandolfi. L’ottima strategia spiegata da un audace contadino - Roccamandolfi, 1 luglio.
    Da vari giorni tre lupi famelici si aggiravano nelle montagne di Roccamandolfi.
    Sbranando cani e greggi, costringendo i pastori a far buona guardia alle loro mandrie.
    La presenza fra di essi di una lupa femmina, con i segni evidenti della maternità lasciava prevedere che in qualche covo vivessero i figli.
    Il contadino Innamorato Michele, che altra volta negli anni passati aveva catturato 4 lupi, recatosi a legnare nel bosco e precisamente in località “Pozzo la Neve” –da questo nome si evince facilmente come la neve resti a lungo nella zona- nota sul terreno le orme del passaggio recente di lupi.
    Pur in possesso di porto di fucile lo Innamorato non ha alcuna arma di offesa o di difesa.
    Con circospezione egli si aggira nella zona in cerca delle belve.
    È mezzodì: dopo circa una ora di ricerche, a pochi metri di distanza gli si para davanti una lupa, saltando fuori da un anfratto.
    A prima vista il contadino rimane perplesso.
    Non si sgomenta, guarda intorno, a portata di mano c’è un sasso di una decina di chili, lo prende, lo scaglia contro la fiera con inaudita audacia.
    L’asperità del posto non gli consente di colpire il bersaglio.
    Alcune schegge del sasso caduto su un macigno colpiscono la lupa, la quale indietreggia di qualche metro ed emette un forte urlo che agghiaccia il sangue.
    Non c’è tempo da perdere. Alle spalle del contadino un’alta pianta di faggio lo invita a salirvi.
    Vi si arrampica in un baleno: è salvo.
    Richiamati dall’ululato della femmina, dopo qualche istante due grossi lupi si presentano sotto l’albero con le fauci spalancate. Fiutando l’aria infida, subito si allontanano, emettendo spaventevoli urli.
    Ormai anche la lupa, che non si era lanciata contro l’uomo per rimanere a guardia dei suoi figli, presaga forse di un fatale destino, con un salto pauroso scompare nel fitto bosco. È il momento opportuno: discendere dall’albero, accertarsi della presenza dei figli della lupa, correre ad armarsi per ritornare sul posto, è la decisione dell’Innammorato, il quale si è ostinato a non dare partita vinta alle belve. Veloce, raggiunge dei pastori all’addiaccio, si munisce di un fucile e chiede l’aiuto di uno di loro per catturare i lupetti. Accompagnato da tal Lombardi Donato, torna sul posto e, mentre uno rimane a guardia per l’eventuale ritorno delle fiere, cattura sette lupetti, chiudendoli in un sacco. Li consegna al compagno che li porta via ed egli ancora insoddisfatto, risalito sull’albero attende che tornino le belve. L’attesa è però vana, ed alla fine decide di abbandonare la battaglia. La notizia della cattura dei sette lupi è subito divulgata, mentre il contadino ne cura l’allevamento. Due di essi sono stati presi da persone che vogliono addomesticarli. Anzi uno è in viaggio per gli Stati Uniti, dove viene condotto da un turista. Si segnala il fatto agli organi competenti perché vogliano venire incontro all’audace contadino con elargirgli qualche somma, in considerazione di aver eliminato ben sette fiere del domani.

    Sempre a Roccamandolfi, negli Anni ’20, si verificò un avvenimento analogo. In quella occasione Benito Mussolini inviò ai pastori autori della cattura una lettera di congratulazioni ed un premio in denaro.

    Un altro episodio che ebbe una certa eco sulla stampa nazionale [49] e che merita di essere narrato per il curioso evolversi della vicenda, avvenne sul finire del mese di giugno del 1955, sulle giogaie del Matese.

    Antimo Cancelliere, pastore di Longano, stava approntando una stalla sul Colle della Falasca a 1350 metri di altezza.
    Là avrebbe riparato, nel periodo primaverile-estivo, la sua mandria di vacche e di buoi. Il rifugio consisteva in una caverna profonda una quindicina di metri, il cui fronte andava chiuso con una palizzata di legno.
    Prima di ergere lo steccato il Cancelliere si diede all’esplorazione dell’anfratto; mentre avanzava udì, da una fessura nella parete di roccia, un tramestio accompagnato da un uggiolio.
    Alla vista del covile con cinque cuccioli di lupo e temendo una reazione della madre che poteva trovarsi nelle vicinanze chiamò altri tre pastori, Marcello Cancelliere e Domenico ed Antonio Veneziale.
    Armatisi di fucile e di una torcia elettrica prelevarono in tutta fretta i cuccioli, ne legarono uno all’imboccatura della grotta e predisposero in tondo delle tagliole.
    Ma quasi fosse accortasi del tranello la lupa, per diversi giorni, non si accostò.
    I lupacchiotti vennero portati in giro per i paesi del circondario per la consueta questua che don Antonio Veneziale, parroco di Longano così definì :“Ed è tradizione antica che, ucciso un lupo o catturati vivi o morti i suoi nati, i pastori facciano il giro, con la loro preda, per i Comuni intorno ricevendo auguri e doni, come è accaduto anche in questo caso nei paesi d'Isernia, Capriati, Gallo, Letino, Sant'Agapito, Monteroduni e molti altri che insieme a noi hanno festeggiato i benemeriti” [50].




    Alla sera, stanchi per il lungo girovagare per le montagne, i pastori si ritrovavano all’osteria di Cellotto [51] dove continuavano a mostrare i cinque cuccioli che, quando non erano nella loro cesta, venivano allattati da una mansueta cagnolina che li aveva adottati.

    I festeggiamenti proseguirono per giorni e giorni.
    Di notte, sulle cime più alte dei monti, si accendevano grandi falò sui quali venivano poste a croce, due palme benedette nella Domenica delle Palme perché, come dicono i pastori “chi nella sua vita il lupo l'ha udito ululare nella notte e ha visto nel buio il rosso lucore degli occhi suoi, quando strisciando avanza, sa bene che forse è una bestia feroce e forse è il diavolo che corre per il mondo, in quelle spoglie.”



    Anni dopo, nel dicembre del 1987, ho visitato Longano nel tardo pomeriggio e mi sono incontrato con Domenico Veneziale (uno dei quattro pastori autori della cattura dei cinque cuccioli nell'estate del 1955) ed alcuni cacciatori del luogo.
    Dalla chiacchierata ho avuto l’ impressione che su queste montagne il lupo convivesse con l’uomo, ovvero che non fosse sottoposto a battute regolari o a cacce particolarmente accanite, se non in occasione di danni al bestiame quando questi si ripetevano con una certa frequenza.
    Gli abbattimenti erano perlopiù casuali ed avvenivano solitamente nel corso di battute ad altri animali (durante la posta alla lepre o al cinghiale).

    Appresi così che quattro dei cinque cuccioli, affidati subito dopo a privati, morirono per carenza di cure ed alimentazione da parte del custode. Sopravvisse soltanto quello posseduto da Domenico Veneziale che, appena svezzato, fu donato al maestro Michele Succi, poi trasferitosi a Sessa Aurunca in provincia di Caserta.

    Il cucciolo superstite, un maschio cui venne imposto il poco originale nome di “Lupo”, girò nel 1956 alcune scene del film Uomini e lupi del regista Giuseppe De Santis [56] ambientato a Scanno e Pescasseroli ed interpretato, tra gli altri, da Yves Montand, Pedro Armendariz e Silvana Mangano.



    In seguito Lupo rimase con il suo padrone fino al 1961, dopo di che venne ospitato nello zoo della Mostra d’Oltremare di Napoli dove visse, all’incirca, per altri sei anni.
    Quando morì era alquanto malconcio, pare affetto da cateratta agli occhi.

    Nonostante gli editti di persecuzione, gli incentivi e l’accanimento degli uomini, il Matese è riuscito a conservare nelle sue ombrose forre una vitale popolazione di lupi. Grazie alla tutela legislativa istituita a metà degli anni ’70 questo splendido animale ha potuto riconquistare tutta la catena appenninica arrivando, con alterne fortune, in Francia ed in Svizzera.

    Buona fortuna Lupo!






    [1] Il Grand Tour era un lungo viaggio nei Paesi dell’Europa continentale compiuto da giovani rampolli dell’aristocrazia britannica in particolare, ma anche francese e germanica. Lo scopo era il perfezionamento dell’istruzione e la durata poteva variare da pochi mesi ad alcuni anni.
    [2] “Venafro nell’antichità era famosa per la ferocia dei suoi lupi”.
    [3] Prendeva il nome da due villaggi diruti.
    [4] Così il Giustiniani: Matese, un de' più celebri, e rinomati monti del nostro Regno, separato dalla catena degli Appennini...…il suo perimetro deesi pigliare incluse le sue adjacenze, e propriamente dal bosco di Torcino a ponente, ov'è Caccia Reale, e dall'altra di Mastrati, girando a levante per lo monte Erbano, e per le montagne di Petraroja, monte Mutria, monte Lamaturo, e così continuando a tramontana da Guardia Regia per Sepino, Bojano in avanti.
    [5] Rosati era Capitano di caccia di Vittorio Emanuele II.
    [6] La cartografia tecnica regionale al 5.000 riporta, nella stessa zona una Fonte vallopa ed una Fonte vallope.
    [7] Archivio di Stato Campobasso (in seguito ASC) - Atti Demaniali Castelpizzuto, busta 1, fascicolo 1/e, sottofascicolo 6: bella cartina in bianco e nero del 1816 dove, al confine tra i tenimenti di Longano e Roccamandolfi, si rinviene quale prosecuzione di Valle Santa Maria, Valle lupara in seguito denominata Conca.
    [8] ASC - Atti Demaniali Roccamandolfi, busta 3, fascicolo 22: in un documento del 1860 compare Valle de' lupi; in una copia dell'onciario eseguita nel 1924, tra i terreni appartenenti alla Cappella del Santissimo Rosario vengono riportati l'Aria di pincicalupi e Pincicalupo/i, denominato anche Aria della Corte, quest'ultimo sito si trova a confine tra Cantalupo e Castelpetroso, vicino alle contrade Brecciosa, Caprara, Valle Caprara e Fornello sul Colle di mezzo.
    [9] ASC - Atti Demaniali Monteroduni: nella Selva della carpineta vi era un sito denominato Luparelli; tra le proprietà del principe di Monteroduni comparivano Colle del lupo e Forcella cantalupo.
    [10] ASC - Atti Demaniali Boiano, busta 2, fascicolo 11: Vallone del fosso del lupo si trova lungo il torrente Callora, andando da Roccamandolfi verso San Massimo, prima del molino di Domenico Di Iorio di Spinete e dopo il Vallone di valle della chiesa.
    [11] ASC - Atti Demaniali San Massimo, busta 2, fascicolo 8.
    [12] ASC - Atti Demaniali Castelpizzuto, busta 1 anni 1812, 1828, 1832.
    [13] ASC - Atti Demaniali Guardiaregia: Pesche lupo si rinviene nel demanio denominato"Tremonti, Montagna vecchia, Campitelli".
    [14] Nel 1669 la popolazione del Matese contava circa 48.000 abitanti, tanti quanti ne annoverava nel 1561.
    [15] Una ricostruzione storica degli aspetti ambientali del massiccio del Matese è stata tentata in GUACCI C., Zoonimi e fauna del Matese, Marinelli Editore, Isernia, 1995.
    [16] Don Giuseppe D’Alessandro nacque a Pescolanciano il 25 gennaio 1656 e morì a Napoli il 20 agosto 1715.
    [17] L'Inchiesta murattiana del 1811 costituisce una ricca fonte di dati che delinea, con ricchezza di particolari, quelle che erano le modalità, le tecniche nonché l'oggetto dell'attività venatoria, così come si svolgeva nel Regno di Napoli a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo.
    [18] Fino a tutto il '700, infatti, i grossi quadrupedi continuarono ad essere cacciati con armi bianche nel corso delle cosiddette sforzate, costringendo l'animale fuori dai suoi rifugi nel bosco fino a condurlo, col clamore dei battitori e delle mute di cani, in un luogo ristretto recintato da reti e da teli ove attendevano i cacciatori. Qui giunto, sfinito, veniva circondato dai cani, immobilizzato con il taglio dei garretti posteriori ed abbattuto con un colpo di lancia o di pugnale da caccia sotto la spalla. Dato il notevole impiego di uomini e mezzi tra battitori, valletti, cavalli e cani, necessari al suo svolgimento, questo tipo di caccia era appannaggio delle sole classi abbienti.
    [19] Circa 1830.
    [20] Lefaucheux 1838.
    [21] Con il passaggio dalla cultura della raccolta e della caccia a quella dell'agricoltura e dell'allevamento, le etichette di “buoni” e “cattivi” furono estese da un lato alle piante oggetto di coltura ed al bestiame domestico e dall'altro a quegli animali che interferivano negativamente con queste attività. Il concetto di “nocivo” ha cadenzato le campagne di sterminio di numerosi esemplari della fauna italiana appartenenti sopratutto alla categoria dei “predatori”, da sempre visti come antagonisti dell'uomo cacciatore prima e dell'allevatore poi. Tra le innumerevoli vittime di questa lunga e sanguinosa persecuzione vanno citate l'orso, il lupo, la volpe, la lontra, la martora, la faina, la donnola, il tasso, il gatto selvatico, svariati roditori, molte specie di uccelli -corvidi e rapaci in particolare-, anfibi e rettili.
    [22] Tale tradizione, seppure in forme più attenuate, si è protratta fino agli anni ’70 del XX secolo.
    [23] Vincenzo D’Amico fa risalire l'etimologia del centro matesino a can teleped (= residenza del capo), come reminiscenza storica dell'insediamento dei bulgari di Alczeco nel 667. Ma la presenza di numerosi "cantalupo" distribuiti in tutto il territorio nazionale fa propendere per una derivazione non esclusiva del toponimo e quindi ad una possibile origine legata allo stretto contatto in cui vivevano un tempo uomini e creature dei boschi. Si provi a considerare quale suggestione poteva indurre, nell’immaginario collettivo degli abitanti di un villaggio, il ricorrente ululato di un branco di lupi di stanza nel territorio. Anche Giambattista Masciotta, uno dei più prolifici indagatori delle vicende storiche molisane, rileva il legame esistente tra l'animale e l'emblema municipale: Lo stemma del Comune è, manco a dirlo, onomatopeico: porta nel campo un lupo con la zampa destra alzata ed il muso in aria, -il lupo che canta!- ed era già in uso nella prima metà del secolo XVIII.
    [24] Stefano Di Stefano (Agnone luglio 1655 – Foggia novembre 1737) figlio di Giovanbattista Di Stefano, Giudice della Gran Corte della Vicaria in Napoli nel 1630, seguì le orme del padre studiando a Napoli dove si laureò in giurisprudenza. L'importanza della sua opera più conosciuta La Ragion Pastorale, gli assicurò la carica di Fiscale nella Regia Dogana di Foggia, di cui diventò Governatore il 27 aprile del 1735.
    [25] Demetrio Falereo (Atene 350 ca. a.C. – Egitto 285 a.C.) erudito e filosofo peripatetico, allievo di Aristotele, concepì l’idea di mettere a disposizione dei dotti tutto il sapere dell’uomo e di tramandarlo ai posteri. Durante il soggiorno in Egitto ispirò alla dinastia dei Tolomei la realizzazione della famosa biblioteca di Alessandria.
    [26] Migliario E., A proposito di CTH IX, 30, 1-5: Alcune riflessioni sul paesaggio italico tardoantico, Archeologia medievale XXIII, 1995, 475-485.
    [27] Carlo Magno impartì ai suoi conti l'ordine di designare, nelle proprie circoscrizioni, due ufficiali le cui funzioni consistevano appunto nella caccia al lupo. Questi, chiamati luparii godevano di particolari privilegi: erano esentati dal servizio militare, non pagavano vitto e alloggio e ricevevano una parte del grano che riscuotevano per conto dell'imperatore. Più tardi venne accordato loro un premio in denaro per ogni testa di lupo. Il Capitulare de Villis, steso a cavallo tra VIII e IX secolo, dettava gli adempimenti a cui erano tenuti i funzionari dell’amministrazione carolingia, ed al paragrafo 69 così disponeva: “Ci tengano sempre informati sulla presenza di lupi, su quanti ciascuno ne ha catturati e ci facciano presentare le loro pelli; nel mese di maggio diano la caccia ai cuccioli di lupo e li catturino col veleno, con esche, con trappole, con cani”. Nel 1395 Carlo V sciolse l’oneroso corpo dei luparii, autorizzando tutti i cittadini ad armarsi contro i lupi ma nel 1404, probabilmente a causa dell’approssimazione dei risultati, dovette ricostituire la compagnia. Francesco I diede organicità all'istituzione costituendo un corpo specializzato chiamato Louveterie. In una ordinanza del 1520 dà incarico al Grand Louvetier di mantenere, a spese del Tesoro reale, un equipaggio speciale per la caccia al lupo, nominando nelle varie Province degli Officiers de Louveterie. Dopo alterne vicende, soppressioni e riproposizioni, oggi La Louveterie è, in base alle norme del Codice Rurale francese, un organo di consulenza cinegetica e si occupa di contenimento di specie nocive, in particolare volpi e cinghiali.
    [28] Mentre ai tempi di Solone il premio più alto era pagato per il lupo, sulla base di una presunta maggiore aggressività del maschio, in età moderna il concetto viene ribaltato, in considerazione della funzione di riproduttrice della lupa e quindi della eliminazione, con la sua uccisione, anche dei possibili futuri danni cagionati dalla sua prole.
    [45] Ex verbis Gabriele D’Egidio. La stessa notizia venne riportata nel numero 9 della rivista Diana, del 15 maggio 1956. La stessa coppia uccise altri e quattro lupi.
    [46] Diana n° 3 del 15 febbraio 1966.
    [47] Cronaca venatoria dall’Abruzzo e dal Molise, in “Il Cacciatore Italiano”, Anno XVIII, febbraio 1914, pag. 95.
    [48] Diana n° 4 del 28 febbraio 1966.
    [49] La notizia venne pubblicata con gran risalto su "Il Giornale d'Abruzzo e Molise" del 4 luglio 1955 e sulla rivista mensile del Touring Club Italiano "Le Vie d'Italia" il n. 8 dell’agosto 1955.
    [50] In "Le Vie d'Italia", rivista mensile del Touring Club Italiano, n. 8 dell’agosto 1955.
    [51] Così veniva chiamato il proprietario Antonio Berardi.
    [52] In "Le Vie d'Italia", rivista mensile del Touring Club Italiano, n. 8 dell’agosto 1955.
    [53] Ivi.
    [54] Ivi.
    [55]Questo è un tipico esempio di come una norma possa sopravvivere nel comune sentire, seppur sotto forma di superstizione che ne ha reinterpretato l’originale motivazione. Tra XIV e XVI secolo gli Statuti di alcuni Comuni sancivano il divieto di vendere carne lupata, tralipata, allupata, ovvero di bestiame ucciso dai lupi. La proibizione, giustificata da ragioni di ordine sanitario, trovava fondamento nella preoccupazione che venisse posta sul mercato carne in cattivo stato di conservazione o appartenente ad animali già malati e quindi per questo più facilmente preda del lupo. Si consideri inoltre il terrore che il morbo della rabbia silvestre spargeva, a quel tempo, tra le popolazioni rurali. Ed il lupo era, insieme alla volpe, tra i principali vettori.
    [56] Insieme a Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni e Roberto Rossellini, fu tra i padri fondatori del neorealismo cinematografico. Tra le pellicole da lui dirette Riso amaro, Non c’è pace tra gli ulivi, Italiani brava gente ed altre che hanno scritto la storia del cinema italiano.


    Questo saggio è stato pubblicato ne "Il Matese e la vallata di Boiano", a cura di Michele Mainelli, vol. II - Saggi ed immagini, 2007, Arti Grafiche La Regione, Ripalimosani (Cb)

    Edited by gheagabry - 19/6/2010, 03:21
     
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    Canis lupus albus





    Il lupo della tundra (Canis lupus albus) è una sottospecie di lupo grigio che vive in Europa e in Asia settentrionali, principalmente nelle regioni settentrionali e artiche della Russia. I lupi della tundra sono una delle sottospecie più grandi di lupo grigio (45-57 kg) e possono variare nel colore dal più comune bianco crema alla variante scura più rara.


    Il lupo della tundra è spesso confuso con il lupo artico nordamericano, Canis lupus arctos.


     
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    Canis lupus arctos





    Il lupo artico (Canis lupus arctos), noto anche come lupo polare o lupo bianco, è un mammifero della famiglia dei Canidi e una sottospecie di lupo grigio. Il lupo artico vive nell'Artico canadese e nelle regioni settentrionali della Groenlandia




    I lupi artici sono generalmente più piccoli dei lupi grigi, avendo all'incirca una lunghezza che si aggira tra gli 0,9 e gli 1,8 m compresa la coda; i maschi sono più grandi delle femmine. La loro altezza al garrese varia tra i 63 ed i 79 cm; i lupi artici sono più robusti dei lupi grigi e pesano spesso più di 45 kg. Maschi completamente sviluppati hanno raggiunto anche pesi superiori agli 80 kg. I lupi artici hanno solitamente piccole orecchie, il che li aiuta a trattenere il calore corporeo.




    In cattività i lupi artici hanno raggiunto età superiori ai 18 anni, mentre in natura la loro vita media è di soli 7-10 anni.

    I lupi artici, come tutti i lupi, cacciano in branco; predano soprattutto caribù e buoi muschiati, ma uccidono anche un gran numero di lepri artiche e di lemming, così come altri animali più piccoli. Una loro preda comune è costituita anche dagli alci; le loro lunghe zampe rendono questi animali più lenti, che, nella neve soffice, possono anche rimanere intrappolati, divenendo quindi vulnerabili agli attacchi dei branchi di lupi. A causa della scarsità delle piante da pascolo, questi animali sono costretti a vagare su aree vaste anche più di 2600 km² per trovare le prede e seguono i caribù in migrazione verso sud durante l'inverno. Un recente filmato di un documentario della BBC mostra che i lupi artici cacciano anche anatre




    Normalmente, solamente il maschio e la femmina alfa possono accoppiarsi, ma nei grandi branchi possono farlo anche altri esemplari. A causa del suolo di permafrost dell'Artico e della difficoltà di scavarvi delle tane, i lupi artici usano spesso affioramenti rocciosi, caverne od ogni depressione poco profonda come tane; la madre dà alla luce da due a tre cuccioli tra la fine di maggio e gli inizi di giugno, circa un mese più tardi dei lupi grigi. Si ritiene generalmente che il numero di cuccioli inferiore rispetto alla media di 4 o 5 dei lupi grigi sia dovuto alla scarsità di prede dell'Artico. Essi nascono dopo circa 63 giorni. I lupacchiotti rimangono con la loro madre per 2 anni.



    Il lupo artico ed il lupo dei boschi sono le uniche sottospecie di lupo grigio che si possono ancora trovare in tutto il loro areale originario; ciò è dovuto al fatto che nel loro habitat naturale si incontrano degli uomini solo molto raramente.
    Un branco di lupi artici allo zoo di Toronto.




    Il White Wolf Sanctuary è un rifugio per i lupi artici situato a Tidewater, nell'Oregon. La popolazione media dei lupi del santuario è di 8-10 esemplari ogni 40 acri e tra questi animali vi sono anche alcuni individui feriti, malati o abbandonati che sono stati salvati.



     
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    " Il pianto della lupa"

    Su una brulla

    radura,

    una lupa segue il suo

    branco

    e la luna s'oscura

    ogni volta che urla

    il suo canto.

    Solitaria s'apparta

    con un cucciolo

    tra le sue fauci

    e di tanto in tanto,

    lei lo posa tra le radici,

    poi si volta alla luna

    e incomincia il suo

    lugubre canto,

    un acuto ululato

    come fosse un

    funebre pianto.

    Tace

    il vento,si ferma

    nel rispetto del suo dolore,

    mentre il triste lamento

    oltrepassa il muro

    del cuore.

    ( infinityfuture )

    Angela


     
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  8. gheagabry
     
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    Lupo solitario
    Solitario sulla cima ulula alla luna
    sin da cucciolo non conosce fortuna,
    vita di stenti e sofferenza
    ma lotta sempre con ardore e violenza,
    imperscrutabile e feroce suo malgrado
    tempo per sé trova solo di rado;
    dinanzi si para sul tuo tragitto
    affrontalo pure ma parti sconfitto,
    grigio e maestoso il superbo vello
    freddo e diabolico il suo cervello,
    ti scruta, si avvicina e ti annusa
    e pare quasi di farti le fusa;
    non ingannarti, non ha alcun padrone
    obbligo non ha di pietà o devozione,
    muto diviene immediatamente
    vede in te uomo un pericolo costante,
    non ti mostrare stupito o spaventato
    ma pensalo soltanto come amico abbandonato!


     
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  9. gheagabry
     
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    Il lupo incarna la doppia veste di bestia selvaggia portatrice di morte e distruzione, e al tempo stesso iniziatore e portatore di conoscenza
    La forza e l'ardore in combattimento fanno del lupo un'allegoria guerriera per molti popoli: "Io sono il lupo solitario, mi aggiro in paesi diversi" recita un canto di guerra degli indiani d'America.
     
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  10. gheagabry
     
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    I CANIDI






    I Canidi (Canidae) sono una famiglia di Mammiferi Placentati appartenente all'ordine dei Carnivori.

    Aspetti comuni dei rappresentanti selvatici dei Canidi sono il muso allungato, con occhi posti piuttosto frontalmente e spesso obliqui, orecchie erette e coda folta (in particolare d'inverno) che è lunga da un quarto fino all'intera lunghezza del corpo (per esempio nelle volpi). La struttura somatica dei Canidi è tale da permettere un'andatura da trottatori.

    Un tempo i Canidi sono stati erroneamente raggruppati, dal punto di vista filogenetico, insieme a Carnivori come gli Ursidi e i Procionidi; oggi invece, dopo essere stati considerati più vicini ai Felidi, sono riteunti essere un ceppo piuttosto primitivo del gruppo dei caniformi (Caniformia). Nell'Oligocene, circa 38 milioni d'anni fa, comparvero circa 50 specie d'animali simili ai Canidi, con zampe adatte alla corsa e ben sviluppate, munite di artigli non affilati. Probabilmente, fu questa la linea evolutiva di maggiore successo fra i Carnivori, rimasta pressoché immodificata fino ad epoca recente.

    La famiglia dei canidi trae le mosse da alcuni carnivori primitivi dell’Eocene, inclusi nella famiglia dei miacidi (Miacidae), simili a martore nell’aspetto e nella taglia. Il più primitivo canide conosciuto, Procynodictis dell’Eocene medio nordamericano, non doveva essere molto diverso dai miacidi.



    Da un animale a esso imparentato derivarono i primi rappresentanti della sottofamiglia Hesperocyoninae, che in breve tempo si diffusero in Nordamerica nel corso dell’Oligocene (tra 45 e 35 milioni di anni fa) e occuparono varie nicchie ecologiche. I membri di questo gruppo includevano animali dall’aspetto di una mangusta (Hesperocyon) a quello di una grossa lontra (Enhydrocyon), ma molti erano forti predatori dalle zampe corte e il corpo robusto (Mesocyon). Un membro della sottofamiglia, Cynodesmus, assomigliava a un piccolo sciacallo e potrebbe essere stato l’antenato dei canidi successivi.



    Un’altra sottofamiglia diffusasi nel Miocene, quella dei borofagini (Borophaginae), sviluppò caratteristiche adatte a frantumare le ossa, per un tipo di nutrizione simile a quella delle attuali iene. Le prime forme, come Archaeocyon e Cormocyon, non si differenziavano molto dai precedenti canidi primitivi, se non per le specializzazioni dentarie. Con il passare dei milioni di anni i borofagini aumentarono le dimensioni e la corporatura (ad es. Aelurodon). Tra i borofagini più conosciuti, da ricordare il ben noto Tomarctus, Phlaocyon simile a un procione, il gigantesco Epicyon e Osteoborus (o Borophagus), l’ultimo a scomparire nel Pliocene (circa 2 milioni di anni fa).



    I canidi attuali (sottofamiglia Caninae) fecero la loro comparsa nel corso del Miocene, con il genere Leptocyon, sempre in Nordamerica. Le volpi (tribù Vulpini) sono conosciute a partire dal Pliocene inferiore e immediatamente si diffusero in tutti i continenti ad eccezione di Oceania e Antartide, mentre i cani veri e propri (tribù Canini) sembrano essere presenti già nel Miocene medio in Nordamerica, con Eucyon, considerato il diretto antenato del genere Canis.
    Il ricongiungimento dei due continenti americani permise un interscambio faunistico che interessò anche i canidi, che migrarono in Sudamerica e diedero origine a forme endemiche (ad es. Pseudalopex, Chrysocyon, Speothos e gli ormai estinti Dusicyon e Protocyon). Nel frattempo, nel corso del Miocene superiore il genere Canis si diffuse in Asia ed Europa attraverso il ponte di Bering, e da lì in Africa. L’uomo, addomesticando il cane, fece in modo che si diffondesse in tutto il mondo, anche in Oceania (dingo).

    La famiglia Canidae comprende attualmente 34 specie diverse per fenotipo e dimensioni. Tali differenze di forme sono il risultato di processi evolutivi verificatisi in diversi ambienti. I Canidi hanno, infatti, colonizzato le foreste tropicali e temperate, la savana, la tundra ed i deserti. I Canidi si possono suddividere in 3 gruppi: Canidi simili al lupo, Canidi simili alla volpe e altri Canidi.

    Il gruppo dei Canidi somiglianti al lupo condivide lo stesso numero di cromosomi (78), che è il più alto tra tutti i Canidi. Il Lupo rosso è considerato da alcuni studiosi non come una specie ma come un ibrido originato dall'incrocio tra un Lupo ed un Coyote. Altri studiosi invece lo considerano come una vera e propria specie ed anzi pensano che rappresenti il discendente del lupo primitivo relegato nelle zone sudorientali degli Stati Uniti dall'espansione del Lupo grigio.
     
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    Atelocynus microtis





    L'atelocino o cane dalle orecchie corte (Atelocynus microtis) è uno dei Canidi più rari e meno noti della terra. Ha il corpo lungo da 70 cm a 1 metro, a cui vanno aggiunti 25-30 cm di coda, è alto alla spalla circa 35 cm e pesa circa 9 kg. Le sue orecchie sono più corte che negli altri Canidi selvatici, misurando solo 3,5-5 cm. Anche le sue zampe sono piuttosto brevi. Il mantello, corto e folto, è da grigio scuro a nero sulle parti superiori, e rossastro misto a grigio e nero su quelle inferiori. La folta coda nera striscia sul terreno quando pende perpendicolarmente. I cani dalle orecchie corte si muovono con grazia e leggerezza quasi feline, diversamente da tutti gli altri Canidi. Non si sa quasi nulla sulla loro vita allo stato libero, né sul loro ciclo riproduttivo. La specie è definita "insufficientemente nota" nel Red Data Book e non è protetta dalla CITES (commercio inesistente).



    Sembra che l'atelocino sia un animale di abitudini notturne e solitarie, ma non si sa nulla sulla sua alimentazione (in cattività si nutre di carne e germogli vegetali). Vive nelle foreste tropicali dal livello del mare fino a circa 1000 metri di altitudine nel bacino del Rio delle Amazzoni in Brasile, Perù, Ecuador e Colombia, e lungo l'alto Orinoco in Colombia e probabilmente Venezuela. La consistenza della sua popolazione è sconosciuta: si sa che è molto raro, e pochissimi abitanti dell'Amazzonia l'hanno visto. Non si sa neppure quali sono le minacce alla sua sopravvivenza, salvo naturalmente la distruzione dell'habitat e il disturbo a causa dell'intrusione umana. La specie è protetta dalla legge solo in Perù e Brasile.

    Pochissimi atelocini sono stati tenuti in cattività. Il primo arrivò nel 1882 allo zoo di Londra, e successivamente alcuni sono stati ospitati negli zoo di Vienna, Colonia, New York Bronx e Chicago Brookfield, ma non vi si sono mai riprodotti. Sui tre esemplari tenuti a Chicago sono state effettuate le maggiori osservazioni: sembra che la femmina, anche se più piccola, domini sul maschio. Non vi sono attualmente atelocini negli zoo.


    Fonte: Wikipedia








    Canis adustus





    Lo sciacallo striato (Canis adustus) è un membro della famiglia Canidae originario dell'Africa centrale e meridionale.

    La colorazione dello sciacallo striato varia dal bruno grigiastro al marroncino, con una striscia bianca che va dalle zampe anteriori fino all'anca ed una coda scura con la punta bianca. Lo sciacallo striato può pesare tra i 6 ed i 13 kg. I maschi tendono ad essere più grandi delle femmine. Sono animali sociali che vivono in piccoli gruppi familiari, comunicando tra loro con guaiti, «grida» e versi simili a quelli del gufo. Sono notturni e sono raramente attivi durante il giorno.

    Gli sciacalli striati vivono nelle aree boschive umide ai confini con praterie, macchie e paludi.

    Si nutrono di frutta, insetti e piccoli mammiferi, come ratti e lepri, ed uccelli. Possono nutrirsi anche dei piccoli di animali più grandi, come facoceri e gazzelle. Seguono spesso i grandi felini per impadronirsi delle loro prede, ma non sono mai stati visti cacciare grosse prede da soli.



    La stagione degli amori dipende dalla posizione geografica; ad esempio, in Africa meridionale comincia a giugno e termina in novembre. Gli sciacalli striati hanno un periodo di gestazione che varia tra i 57 ed i 70 giorni, dopo i quali la femmina mette al mondo tra i 3 ed i 6 piccoli. Raggiungono la maturità sessuale tra i 6 e gli 8 mesi di età e si allontanano dalla madre ad 11 mesi. Gli sciacalli striati sono tra le poche specie di mammiferi che si accoppiano sempre con lo stesso partner, formando coppie monogame.





    Canis aureus




    È la più piccola specie del genere Canis: tocca, con la coda, 1 metro e 20 centimetri e pesa 10 chilogrammi. Il maschio è leggermente più grande della femmina.

    Lo sciacallo dorato è, tra tutti gli sciacalli, quello con la maggiore adattabilità: frequenta la savana africana, la foresta tropicale indiana, ma anche le alte montagne di Italia e Slovenia, nonché quelle dei Balcani. La sua distribuzione, nel 1950 circa comprendeva Jugoslavia, Grecia, Turchia, Subcontinente indiano, Penisola Arabica, Caucaso, la Turchia, le rive sud-orientali del Mar Caspio e tutta l'Africa fino all'Etiopia. Il suo areale si è esteso rapidamente, tanto che dal 1990 era già stabile in Italia nord-orientale, nel sud della Repubblica Ceca, dell'Ucraina e ora è presente su tutte le coste del Caspio, anche in quelle di Russia e Kazakistan.La specie è oggi presente in Friuli-Venezia Giulia, Veneto ed Alto Adige (Lapini et al., 2009), non di rado frequentando paesi e città. Per fare soltanto un esempio, è stato recentemente recuperato un maschio di circa due anni il 30.04.09 a San Donà di Piave, in centro città, nella provincia di Venezia (Lapini et al., 2009). La penetrazione delle specie all'interno dell'Arco Alpino italiano è comunque in realtà abbastanza cospicua, sia in Veneto (il primo esemplare abbattuto in Italia fu catturato nel 1984 nei pressi di San Vito di Cadore, a quasi 1000 metri di quota), sia in Carnia (una giovane femmina è stata investita il 10 dicembre 2010 in Comune di Socchieve, nell'Alta Val Tagliamento), sia in Alto Adige (un soggetto è stato catturato in Val Pusteria nella tarda estate 2009: Lapini et al., 2009). In Africa, ora abbonda in tutta la Nigeria e nei paesi vicini. Si prevede che, se lo sciacallo dorato continuerà a espandere i limiti della sua distribuzione, nel 2050 sarà presente in tutta Italia, in Francia, in Spagna, nella Svizzera, nella Cina centrale e meridionale e raggiungerà l'Angola in Africa. Questo bel canide è uno dei pochi esempi di estensione della distribuzione, dato che molte specie hanno visto veloci riduzioni dei propri areali.

    Onnivoro, si ciba di tutto ciò che capita: topi, insetti e invertebrati vari, rettili, pesci, anfibi, giovani di antilopi, gazzelle e uccelli ma anche di frutta e bacche.

    Vive in coppie singole o in gruppetti formati da 4-6 coppie. Contrariamente a come viene descritto, lo sciacallo non è egoista, feroce e solitario: forse è l'unico carnivoro che, nel gruppo, dà la precedenza ai più deboli nella spartizione del cibo, è un timido animale che può essere anche addomesticato come un cane e un esemplare non sopravvive senza il partner. La nascita dei piccoli avviene in estate: nascono 3-7 cuccioli, alla mercé di leoni e altri carnivori, quindi difesi dai genitori. Le coppie si isolano dal gruppo per circa un mese (durata dell'allattamento), con la femmina nutrita dal maschio. I piccoli restano con i genitori e il resto del gruppo (che, anche se ha già propri piccoli, collabora all'allevamento di tutti) per circa un anno.






    Lo sciacallo algerino (Canis aureus algirensis) è una sottospecie dello sciacallo dorato che vive principalmente in Nord Africa.

    Ha la coda contrassegnata da tre anelli ed è di dimensioni più o meno simili a quelle della volpe rossa.



    Canis dirus





    Visse in una vasta area che andava dal Canada al Venezuela settentrionale: fu quindi assieme al coyote una delle due specie di Canidi che si evolsero autonomamente nel continente americano, e non una delle numerose specie giunte in America dall'Eurasia attraverso il ponte di terra della Beringia, come ad esempio l'affine lupo grigio, col quale si trovò a coesistere per oltre 100.000 anni.

    Il primo fossile appartenente a questi animali fu ritrovato nel 1854 da Francis Linck lungo il tratto del fiume Ohio che scorre in Indiana, in corrispondenza della città di Evansville: tuttavia, la stragrande maggioranza dei reperti appartenenti a Canis dirus, fra cui sicuramente i meglio conservati, sono stati rinvenuti nelle pozze di catrame di Rancho la Brea, in California.
    In vita, l'animale doveva essere piuttosto impressionante (il nome scientifico della specie, infatti, vuol dire "cane terrificante"): i resti fossili ci indicano che si trattava di animali molto simili morfologicamente ai lupi, rispetto ai quali tuttavia erano considerevolmente più grandi. La lunghezza media di un esemplare, infatti, è stimata attorno al metro e mezzo, per un peso in vita che poteva sfiorare gli 80 kg[2].
    Le zampe di Canis dirus erano più corte e tozze rispetto a quelle degli attuali lupi grigi, inoltre la scatola cranica aveva dimensioni in proporzione assai più piccole[3].
    I denti erano assai grossi ed appuntiti: alcuni studiosi, in virtù delle analisi della corona dentaria di questi animali, hanno ipotizzato che essi si nutrissero di carogne, delle quali frantumavano le ossa grazie alla forza delle loro mandibole ed alla durezza dei denti, tuttavia pare assai più plausibile che essi cacciassero attivamente le proprie prede e poi ne consumassero anche le ossa. In ogni caso, i denti di questi animali mancavano di alcuni adattamenti tipici dei mangiatori abituali di ossa, come le iene[4], e nei crani ritrovati la presenza denti rotti o scheggiati è assai maggiore rispetto a quella riscontrabile nei crani di lupi vissuti nelle stesse zone durante lo stesso periodo[5]. I denti carnassiali, in particolare quelli superiori, erano allungati ed assai affilati, a sottolineare una spiccata capacità di ridurre la carne a brandelli.



    La specie pare essersi evoluta a partire da Canis ambrusteri, apparso in Nord America durante la metà Pleistocene e rapidamente diffusasi verso sud: altrettanto rapidamente la specie sparì dalla parte settentrionale del continente, ma vi sono buone probabilità che essa continuò a sopravvivere in America Meridionale, dove si evolse dando come risultato Canis dirus.
    La specie si diffuse rapidamente verso nord, spadroneggiando a tutte le latitudini per centinaia di migliaia di anni e non soffrendo l'arrivo di nuove specie di predatori dall'Eurasia, in particolare del congenere ed affine comportamentalmente Canis lupus, col quale si trovò a convivere per oltre 100.000 anni.
    Attorno ai 15.000 anni fa, in coincidenza con la fine dell'Era glaciale e l'arrivo dell'uomo sul continente americano, la specie cominciò a declinare numericamente, lentamente ma inesorabilmente: l'estinzione delle sue prede abituali, generalmente animali lenti e di grosse dimensioni che venivano cacciate in branco e sopraffatte con una serie di morsi, costrinse la specie a rivolgere la propria attenzione verso le nuove specie arrivate attraversando la Beringia, che tuttavia erano molto più agili e scattanti. Più lenta rispetto al lupo grigio ed al lupo rosso, la specie non riuscì ad adattarsi in tempo ai cambiamenti che interessarono il suo habitat e perciò andò incontro all'estinzione circa 10.000 anni fa (anche se alcuni fossili ritrovati sui monti Ozark dimostrerebbero che alcune popolazioni relitte di questa specie sarebbero sopravvissute fino a 4.000 anni fa).
     
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  12. gheagabry
     
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    MITOLOGIA FINNICA

    SUSI






    Il lupo, in finlandese susi, è, per i Finni e le altre popolazioni ugrofinniche, un animale oscuro ed esoterico: esso è generalmente collegato alla licantropia e nell'iconografia popolare è spesso raffigurato con fattezze animali e umane. Non solo presso i popoli ugrofinnici, ma anche nel mondo occidentale, si è sentito spesso parlate del lupo mannaro: in Lapponia, in Finlandia e in Svezia si credeva che fosse possibile essere trasformati in lupi per mezzo di incantesimi o riti magici e che gli spiriti malevoli sfruttassero questa metamorfosi per ostacolare un amore fedele. In molte leggende finlandesi, si raccontava che fosse il coltello rubato da un lupo e trovato in possesso di un essere umano il segno di riconoscimento del licantropo (Corradi Musi 1995). Il lupo è anche collegato, insieme con gli animali precedentemente analizzati, al totemismo: durante le lotte rituali e i viaggi visionari, l'anima degli sciamani, o meglio il loro «doppio», poteva assumeva una forma animale, compresa quella del lupo. In particolare, il lupo mannaro era interpretato come una metempsicosi temporanea, anticipatoria della trasformazione finale che sopraggiungeva con la morte, quando l'anima poteva assumere le sembianze del lupo (Corradi Musi 1995).

    Nella produzione letteraria troviamo una storia che trae spunto proprio dalla licantropia: ci riferiamo al romanzo La sposa del lupo [Sudenmorsian], scritto nel 1928 da Aino Kallas. Il romanzo racconta la storia di Aalo, sposata con una guardia forestale e trasformata da Satana in lupo mannaro; nonostante il marito avesse notato in lei le caratteristiche tipiche di una strega (i capelli rossi e il marchio di strega sotto il seno sinistro), decise ugualmente di sposarla. Aalo, tuttavia, non riusciva a resistere alla chiamata dello spirito dei boschi e quindi usciva ogni notte per andare a correre nella foresta con i suoi amici lupi. Ecco com'è descritta la trasformazione della fanciulla in lupo mannaro (Kallas 1928):



    "Vaan Aalo heitti sudennahan harteillensa, ja kohta hän tunsi ruumiillisen muotonsa tuiki tuntemattomaksi muuttuvan, niin että hänen rumiinsa valkia iho peittyi takkuiseen karvaan, hänen piskuinen näköpäänsä soukkeni suden teräväksi kuonoksi, hänen vähät sorjat korvansa vaihtuivat suden pystykorviksi, hampaat raateleviksi torahampaiksi, ja kynnet metsänpedon käyriksi kynsiksi. […] Mutta tästä lähtein oli Aalo kadotuksen oma ja liitossa Saatanan kanssa, ja hän alkoi juosta ihmissutena Loksperin noitain lailla, niin että hänellä oli niinkuin kaksi elämätä, koska hän vuoroin oli susi ja vuoroin ihminen. Così Aalo si coprì le spalle con la pelle del lupo, e presto sentì le sue forme corporee trasformarsi in qualcosa di estremamente sconosciuto, cosicché la bianca pelle del suo corpo venne ricoperta da peli arruffati, il suo volto minuto si assottigliò nel muso appuntito di un lupo, le sue piccole orecchie delicate si trasformarono nelle orecchie diritte di un lupo, i denti in zanne acuminate, e le unghie in artigli ricurvi. […] Ma a partire da questo momento Aalo visse nella dannazione e in alleanza con Satana, e, con le sembianze di lupo mannaro, cominciò a correre come gli spiriti di Loksperi, come se ella avesse due vite, poiché a volte era lupo e a volte umana."
    Aino Kallas: La sposa del lupo (Traduzione di Flavia Di Luzio)


    Dal termine susi ha avuto origine l'analogo cognome che è ancora oggi diffuso in tutta la Finlandia. Susi è uno dei cognomi finlandesi più antichi, come del resto lo sono molti dei cognomi che hanno origine da nomi di animali: la forma Susinen («lupetto», «figlio del lupo») era in origine diffusa in modo omogeneo in tutta la regione del Savo, mentre la variante Susi, priva del suffisso -nen, è specifica del villaggio di Kannas, nei pressi di Savonlinna. Alla fine del XIX secolo sono stati registrati dei cambiamenti di cognome che hanno determinato una diminuzione di Susi in Finlandia: Susi > Peltonen (in data 14 agosto 1883 nel comune rurale di Viipuri) e Susi > Saares (nel 1905) (Paikkala 2004). Secondo i registri del Väestorekisterikeskus, la forma Susinen è ormai quasi del tutto scomparsa, mentre per quanto riguarda Susi, vi sono ancora 1244 persone che portano questo cognome ed esse risiedono prevalentemente nella regione del Savo e nella zona di frontiera russocareliana.
     
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  13. gheagabry
     
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    76a64170797b829c7ab165a1a68788cf




    corriamo amico mio
    fratello del mio inquieto spirito
    nel silenzio del mattino
    corriamo a perdifiato
    uno slancio profondo ci spinge prepotente
    incalzante voglia di vivere
    guarigione di antiche ferite
    spalla a spalla corriamo
    così vicini e così liberi
    corriamo ancora amico mio e fratello
    senza fine
    corriamo



    dal web

    Edited by gheagabry1 - 14/10/2019, 21:11
     
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  14. gheagabry
     
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    Canis latrans




    Il coyote (Canis latrans) è un mammifero carnivoro appartenente alla famiglia dei Canidae.

    Diffuso in America centrale e settentrionale, è molto simile al lupo, ma presenta dimensioni più ridotte. È lungo tra 1 e 1,5 m e pesa dai 12 ai 18 kg; la femmina è mediamente più piccola. Il colore della pelliccia, più lunga e folta negli individui che vivono nelle zone fredde, va dal grigio scuro al marrone. I coyoti che vivono a sud hanno il pelo più chiaro rispetto a quelli delle regioni settentrionali. La coda è molto folta e ha frange di colore nero, come il pelo del dorso. Le orecchie sono lunghe e a punta. Tutte le capacità sensoriali del coyote sono molto sviluppate. È il più atletico dei canidi, si sposta su grandi distanze e raggiunge una velocità di 65 km/h; è un abile nuotatore. Si conosce oltre una dozzina di sottospecie.



    Le lepri sono il suo cibo, soprattutto nelle grandi praterie del Nord-America, sebbene consumi tutto ciò che può catturare: uccelli, insetti, ratti, marmotte, castori, serpenti e altri animali; mangia anche frutti caduti. Durante il rigido inverno dell'Alaska e del Canada, il coyote non esita a consumare anche carogne. Caccia in branco o in coppia, soprattutto per catturare prede di maggiori dimensioni.

    Vive in coppia o in branchi, anche se è possibile incontrare individui solitari. La coppia si forma a metà dell'inverno, quando la femmina entra in calore, e si mantiene per anni. I branchi sono fortemente gerarchizzati e gli animali d'età più avanzata sono quelli dominanti. I territori vengono demarcati con le urine da tutti i componenti del branco o della coppia, o dall'individuo, se solitario. Oltre al linguaggio corporale, per comunicare tra loro i coyoti utilizzano anche un vasto repertorio vocale, che comprende ululati simili a quelli del lupo. Sono capaci anche di abbaiare.

    Durante il periodo in cui la femmina è in calore, i maschi sono attratti e la corteggiano per svariate settimane. Tuttavia, è la femmina a scegliere il compagno dandogli colpetti con il muso. La coppia delimita il nuovo territorio, caccia e dorme assieme. Spesso usurpa la tana di una marmotta, di un tasso o di una volpe o ne costruisce una propria per la nascita dei cuccioli, in genere da 2 a 12. A solo due settimane dalla nascita, i piccoli mangiano carne rigurgitata dai genitori, anche se possono continuare ad essere allattati fino al quarto mese di vita. Attorno all'ottavo o nono mese, alcuni dei giovani cuccioli già lasciano i genitori.



     
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  15. gheagabry
     
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    WILLY IL COYOTE





    Wile E. Coyote e Road Runner sono i due personaggi animati creati da Chuck Jones nel 1948 per la Warner Bros.
    L'industria dell'animazione statunitense vanta, oltre ai famosissimi cartoon di Disney e Hanna & Barbera, anche gli spassosi Looney Tunes e Merrie Melodies della Warner Bros prodotti a partire dagli anni quaranta. Wile E. Coyote (conosciuto in Italia anche come Vil Coyote e spesso chiamato erroneamente Willy o Willie a causa dell'assonanza col nome originale) e il Road Runner (Beep Beep o Bip Bip) sono personaggi di queste serie a cartoni animati. Il primo cartoon dedicato esclusivamente ai due personaggi risale al 1949 con l'episodio Fast and Furry-ous.
    Il Coyote è impegnato nel maniacale, e mai fruttuoso, inseguimento del Road Runner ; molti credono che si tratti di uno struzzo, in realtà si tratta di un uccello dei deserti americani il cui nome scientifico è Geococcyx californianus, appartenente alla famiglia dei cuculidi e chiamato volgarmente Roadrunner (corridore della strada).
    Il Road Runner è la preda agognata da Wile E. Coyote: famoso per la sua rapidità, nonostante gli innumerevoli e sempre più ingegnosi tentativi di cattura riesce puntualmente a sfuggire, in modo anche irridente, al suo cacciatore. Le sfide fra i due protagonisti si risolvono, quindi, sempre a favore del velocissimo e astuto pennuto dai colori sgargianti.
    Il cartone è ambientato nelle gole del Grand Canyon dove Wile E. Coyote sperimenta di tutto per catturare il Beep Beep, servendosi molto spesso di strani arnesi, regolarmente difettosi o di uso impossibile, forniti dalla ACME Inc. (A Company that Makes Everything, oppure American Company Making Everything - ACME Products Corp., a Division of Dangerously Innovative Products and Patents Incorporated - "DIPPI"), azienda fittizia ideata dal regista Chuck Jones e che, nei cartoni animati dei Looney Tunes fornisce strambe attrezzature ad alta tecnologia sia a Wile E. Coyote che ad altri personaggi.
    Puntualmente il coyote cade vittima del suo stesso ingegno e, spesso, le sue avventure si concludono con l'inevitabile volo in una gola del canyon oppure con l'investimento del malcapitato da parte di un treno o di un camion. Riuscirà a catturare l'odiato nemico nell'ultima puntata anche se una vistosa differenza di altezza (Wile minuscolo contro un enorme Beep Beep) lascerà capire che le avventure non sono ancora finite.
    Le modalità di espressione dei due personaggi sono estremamente semplici: il Road runner emette solo il suono beep-beep, mentre il coyote si esprime con cartelli estemporanei.



     
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79 replies since 20/5/2010, 10:22   41828 views
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