IL GATTO

...un nostro grande amico...

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  1. gheagabry
     
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    leggenda




    Le nove vite del gatto

    Un vecchio gatto, emerito matematico ma molto distratto e incredibilmente pigro, sonnecchiava all'entrata del tempio. Ogni tanto, socchiudeva un occhio per contare le mosche dei dintorni e ripiombava quasi subito nella sua dolce letargia.
    Shiva passò di là per caso. Meravigliato dalla grazia tutta naturale che l'animale aveva comunque conservato, malgrado la pinguedine accumulata durante i lunghi ozi, il Signore del Mondo gli chiese:
    «Chi sei e che cosa sai fare?».

    Senza nemmeno socchiudere le palpebre, il felino borbottò:
    «Sono un vecchio gatto, molto sapiente, e so contare alla perfezione».
    «Magnifico! E fino a che numero riesci a contare?»
    «Vediamo un po' ... posso contare fino all'infinito!»
    «In questo caso, fammi un piacere. Conta per me, amico mio, conta ... »
    Il gatto si stirò, sbadigliò, poi, con fare scontroso, cominciò:
    «Uno ... due ... tre ... quattro ... ».
    Ogni numero veniva pronunciato con una voce sempre più fioca e vaga. Al sette, il vecchio gatto era quasi addormentato. Al nove, ormai russava, immerso in un sonno beato.
    «Poiché sei capace di contare soltanto fino al nove» decretò il grande Shiva, sovrano delle Sfere celesti, «io ti concedo nove esistenze.» E fu da quel giorno che i gatti ebbero nove vite.
    Ma Shiva, che era anche un raffinato filosofo, meditò a lungo. Il vecchio gatto saggio gli aveva assicurato che sarebbe stato in grado di 'contare fino all'infinito. Certo, si era fermato al numero nove e poi si era addormentato profondamente. Ebbene, il sonno, senza nome, senza forma e senza pensiero logico, non era forse una prefigurazione dell'infinito?
    Allora Shiva completò il suo decreto: al termine delle nove vite, il gatto avrebbe avuto accesso direttamente alla felicità suprema.










    Nel corso della sua prima vita, il gatto deve dedicarsi essenzialmente alla caccia per rendere i suoi denti aguzzi e i suoi artigli ben affilati, deve imparare a correre veloce, ad arrampicarsi sugli alberi più alti e a tenersi in equilibrio su una grondaia. Deve inoltre sviluppare alcune qualità quali 1'astuzia e la malizia, oltre all' arte dell'inganno e della truffa.
    La sua seconda vita è interamente consacrata al riposo: sbadiglia, si stira, sonnecchia, interrompendo le sue abituali attività solo per divorare in un boccone un merlo presuntuoso, un sorcio distratto o un topo malaticcio.
    La sua terza incarnazione è scandita dal rispetto di determinati rituali. Ogni giorno il gatto deve compiere gesti precisi e ripetere pause ben determinate. Deve scegliere il posto che occuperà nel corso del mattino, della sera e poi della notte. Imparare a girare più volte su se stesso, per rendere omaggio ai quattro punti cardinali. Iniziarsi al tracciato degli itinerari che percorrerà. E poi, sopra ogni cosa, deve dedicarsi al rito sofisticato del gioco con le sue prede: dopo averle azzannate, deve far finta di lasciarle scappare, per riacciuffarle in extremis, lasciarle di nuovo libere, il tempo di una fuggevole speranza, per poi riagguantarle, ghermirle ancora ansimanti, tenerle nelle fauci, allargare la stretta, gettarle lontano con un tocco della zampa per balzare subito su di loro e divorarle golosamente - becco, piume, peli, ossa, coda, in un boccone.
    Nella sua quarta esistenza, il gatto fa voto di povertà. Libero e solitario, batte la campagna ed esplora la città, osservando con occhio critico gli uomini, i loro strani costumi, i loro modi aberranti, la loro follia molto spesso suicida. Generalmente, è costretto a mendicare il cibo. In questa vita, pratica assiduamente lo yoga dei gatti, le cui posizioni più note sono: lo stiramento, con zampe in avanti, posteriore alzato e coda in verticale; la schiena ad arco; e l'attesa, con le zampe ripiegate, le pupille semichiuse e un' espressione perfidamente innocente e falsamente indifferente.
    La sua quinta vita si svolge in comunità. Vivendo tra orde di gattacci, più o meno selvatici, elegge il suo domicilio tra le rovine, nei giardini pubblici o nei sotterranei. Questa esperienza di gruppo gli permette di identificarsi in un essere assai singolare, unico e assai poco adatto a frequentare altre creature.
    Nella sua sesta incarnazione; il gatto può essere ormai considerato un saggio, un guru perfetto. Deve allora cercarsi un discepolo tra gli umani. Abitualmente mette gli occhi su un intellettuale, un artista, un bibliotecario oppure su un animo assai romantico e sensibile. Ma a volte, preferisce una nonna ben paffuta e golosa che gli prepara con cura ottimi bocconcini, in una vecchia casa, piena di morbidi cuscini e di angoli bui.
    La settima vita è il momento dei grandi interrogativi. Per esempio, da dove vengono tutti i riflessi che nel corso dell' estate danzano sui muri e come agguantarli? A quale insolente e curiosa creatura appartengono quei fili di lana o quei pezzi di corda che spesso si attorcigliano sul pavimento o sulla moquette? Perché le mosche si accaniscono così tanto a voler passare attraverso i vetri? Perché, a volte, il cielo si mette a tuonare, a tossire e a ruggire come una grossa bestia feroce a cui hanno pestato la coda? Simili enigmi e prodigi finiscono per turbare anche le menti meglio temprate, da cui derivano alcuni brevi eccessi di follia, nel corso dei quali il gatto si mette a saltare sul posto, con il pelo tutto dritto e poi si lancia in una corsa frenetica e caotica. Conclude questa settima vita in uno stato di profonda prostrazione.
    Nel corso dell' ottava esistenza, si avvicina ai simboli fondamentali. Come quello del cerchio formato dal suo cesto. O quello della verticalità, grazie a tutti i soprammobili e a tutti quei piccoli oggetti che si esercita a far cadere dal tavolo o dalla credenza. li simbolo dell' orizzontalità entra in lui grazie a tutte quelle bestiole che spia per intere ore, ventre a terra. E, soprattutto, il simbolo del passaggio da un livello normale della coscienza a un livello superiore: la preziosa gattaiola.
    Nella nona e ultima tappa, il gatto percepisce chiaramente la vanità di tutte le cose e l'irrilevanza di ogni grande interrogativo. Solo allora niente gli sembrerà più importante o più urgente di un buon sonnellino. In pratica, trascorre il suo tempo dormendo e accede così all'illuminazione definitiva.
    Taluni gatti, segnatamente tibetani, scelgono per compassione di continuare il ciclo delle incarnazioni, per poter prodigare i loro insegnamenti a quegli imbecilli degli umani. Vengono chiamati «bodhi-gatti-sattva».




    Da "Racconti che fanno le fusa"
    di Julia Deuley
     
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94 replies since 16/5/2010, 17:01   42657 views
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